La scorsa primavera, la CCI ha tenuto il suo 23° Congresso Internazionale. Questo articolo intende rendere conto dei suoi lavori.
Il punto 4 del Rapporto sulla Struttura e sul Funzionamento dell'organizzazione rivoluzionaria definisce “il Congresso Internazionale come il momento privilegiato in cui si esprime in tutta la sua ampiezza l’unità dell’organizzazione. E’ al Congresso Internazionale che viene definito, arricchito, rettificato il programma della CCI, che sono stabilite, modificate o precisate le sue modalità di organizzazione e di funzionamento, che vengono adottate le sue analisi e gli orientamenti generali, che viene fatto un bilancio delle sue attività passate ed elaborate le sue prospettive di lavoro per il futuro.”[1]
Il congresso si è concentrato sulla nostra filiazione con l'Internazionale Comunista, il cui centenario è stato celebrato l'anno scorso. Una preoccupazione fondamentale dell'organizzazione rivoluzionaria è la continuità storica e la sua trasmissione. È con tale approccio che la risoluzione d’attività adottata dal Congresso ricorda che "L'Internazionale Comunista è stata fondata nel marzo del 1919, con l'obiettivo di essere il ‘partito dell'insurrezione rivoluzionaria del proletariato mondiale’. Oggi, in circostanze diverse ma in condizioni ancora determinate dall'epoca storica della decadenza del capitalismo, l'obiettivo posto dall'Internazionale Comunista, la creazione del partito politico mondiale della classe operaia, rimane l'obiettivo finale del lavoro di Frazione della CCI". La risoluzione insiste sul fatto che "l'Internazionale Comunista non è nata dal nulla; la sua fondazione è dipesa dai decenni precedenti di lavoro della Frazione della Sinistra marxista nella 2a Internazionale, in particolare del Partito bolscevico"[2]. Per i rivoluzionari di oggi ciò significa che "proprio come il Comintern non avrebbe potuto essere creato senza il lavoro preparatorio della Sinistra marxista, così il futuro partito internazionale non potrà sorgere senza un'attività internazionale centralizzata e di Frazione degli eredi organizzativi della sinistra comunista".
Ricordando che "L'Internazionale Comunista è stata fondata nelle circostanze più difficili da immaginare: dopo quattro anni di massacri di massa e d'impoverimento del proletariato mondiale; il bastione rivoluzionario in Russia è stato sottoposto a un blocco totale e ad un intervento militare delle potenze imperialiste; la rivolta spartachista in Germania è stata annegata nel sangue e le due delle figure chiave della nuova Internazionale, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, sono state trucidate", la risoluzione sottolinea che, nonostante le differenze con il periodo della risposta rivoluzionaria alla prima guerra mondiale e con quella della controrivoluzione che ne è seguita, anche la CCI "si trova di fronte a condizioni sempre più difficili dal momento che il capitalismo decadente sta sprofondando sempre più in una nuova barbara spirale di crisi economica e conflitti imperialisti nella sua fase di decomposizione. Per compiere i suoi compiti storici, la CCI deve attingere la sua forza e il suo spirito combattivo dalle crisi a cui sarà confrontata, così come ha fatto la Sinistra marxista nel 1919".
Per iscriversi nella continuità del lavoro e degli sforzi dell'Internazionale Comunista, il Congresso ha progettato i suoi compiti con l'obiettivo di sviluppare e concretizzare il nostro lavoro come quello di una Frazione. La nozione di Frazione è sempre stata cruciale nella storia del movimento operaio. Come la classe operaia nel suo insieme, le sue organizzazioni politiche sono sottoposte alla pressione delle ideologie estranee - borghesi e piccolo borghesi. Ciò provoca, in particolare, la malattia dell'opportunismo[3]. Per combattere questa malattia, il proletariato secerne frazioni di Sinistra all'interno delle sue organizzazioni. "Nelle tre principali organizzazioni politiche internazionali del proletariato, è la Sinistra che ha sempre assunto questa continuità. È stata essa a garantire la continuità tra la Prima Internazionale e la Seconda attraverso la corrente marxista, in opposizione alle correnti proudhoniane e bakuniniste, blanquista, ecc. Tra la Seconda Internazionale e la Terza, è ancora la Sinistra a guidare la lotta, prima contro le tendenze riformiste, poi contro i ‘social-patrioti’ assicurando continuità durante la prima guerra mondiale formando l'Internazionale comunista. Nella III Internazionale, è ancora la Sinistra, la ‘Sinistra comunista’, e in particolare le sinistre italiane e tedesche, che riprendono e sviluppano le acquisizioni rivoluzionarie calpestate dalla controrivoluzione socialdemocratica e stalinista"[4]. Il proletariato ha bisogno, per il trionfo della sua lotta, della continuità storica della sua coscienza di classe. Altrimenti, potrebbe essere condannato a diventare un mezzo degli scopi del suo nemico borghese. Le frazioni di Sinistra sono sempre state le più impegnate e determinate nel difendere questa continuità della coscienza di classe, del suo sviluppo e del suo arricchimento.
Gruppi come la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI) fanno la seguente obiezione: Frazione di cosa? I partiti comunisti legati al proletariato non esistono più da molto tempo[5]. È vero che, negli anni '30, i partiti comunisti finirono definitivamente nel campo borghese. Noi non siamo frazioni, ma ciò non significa che non dovremmo fare un lavoro simile a quello di una Frazione[6]. Lavoro che unifica in un insieme coerente:
Il Congresso ha approfondito la comprensione del nostro compito come Frazione a livello della stampa, dell'intervento, dell'elaborazione teorica, della difesa del metodo marxista e dell'organizzazione. Si tratta di tutto un lavoro per costruire il ponte con il futuro partito che avrà bisogno di basi molto solide a livello teorico, organizzativo, programmatico e del metodo di analisi. E ciò non succede dall'oggi al domani, richiede un lavoro paziente, concepito a lungo termine. E' di questo che il proletariato ha bisogno per orientarsi nelle terribili convulsioni del capitalismo e per poter sviluppare un'offensiva rivoluzionaria con l'obiettivo di rovesciare questo sistema.
Nell'ambito del lavoro come Frazione, è stato presentato al Congresso un Rapporto sulla Trasmissione che, per mancanza di tempo, non è stato possibile discutere. Tuttavia, data l'importanza della questione, la sua discussione sarà affrontata prossimamente. La trasmissione è vitale per il proletariato. Più di qualsiasi altra classe rivoluzionaria nella storia, il proletariato ha bisogno delle lezioni delle lotte delle generazioni precedenti per issarsi sulle loro acquisizioni e quindi poter avanzare nella sua lotta e raggiungere il suo obiettivo rivoluzionario. La trasmissione è particolarmente necessaria per la continuità delle organizzazioni rivoluzionarie poiché esiste un'intera serie di approcci, pratiche, tradizioni, esperienze, specifiche del proletariato, che costituiscono il terreno fertile in cui si elabora il funzionamento dell'organizzazione politica proletaria e si sviluppa la sua vitalità. Come afferma la risoluzione d'attività adottata dal congresso: "la CCI deve essere in grado di trasmettere ai nuovi compagni la necessità di studiare in profondità la storia del movimento rivoluzionario e di sviluppare una crescente conoscenza dei differenti elementi dell'esperienza della Sinistra comunista nel periodo della controrivoluzione". Il Rapporto sulla Trasmissione dedica un capitolo centrale alla comprensione delle condizioni del militantismo e delle acquisizioni storiche che devono guidarlo. Formare militanti coscienti e determinati, in grado di resistere alle prove più dure, costituisce un compito molto difficile e tuttavia essenziale per la formazione del futuro partito mondiale della rivoluzione proletaria.
Durante gli anni '80, la CCI iniziò a cogliere lo stallo storico in cui la società mondiale stava precipitando. Da un lato, il capitalismo, data la resistenza del proletariato dei paesi centrali a lasciarsi imbrigliare in una mobilitazione militare, non ha avuto la mano libera per raggiungere l'esito organico della sua crisi storica, l'estensione della guerra imperialista. D'altro canto, il proletariato, nonostante l'avanzamento delle sue lotte tra il 1983 e il 1987, non è stato in grado di aprire la propria prospettiva verso la rivoluzione proletaria. In assenza di qualsiasi prospettiva, che solo le due classi fondamentali della società possono fornire, quest'ultima è soggetta a una dinamica di imputridimento dei rapporti sociali, di caos crescente, di proliferazione di tendenze centrifughe, del ciascuno per sé. Una manifestazione spettacolare di questa dinamica è stato il crollo del blocco dell'ex Unione Sovietica.
La CCI ha dovuto affrontare questa sfida per la teoria marxista. Da un lato, a partire dal settembre 1989, furono prodotte le Tesi sulla crisi economica e politica dei paesi dell'Est che, due mesi prima della caduta del muro di Berlino, annunciarono il brutale crollo del blocco russo e della stessa URSS[7]. D'altro, ci siamo sforzati di comprendere a fondo la nuova situazione elaborando nel 1990 le Tesi sulla Decomposizione[8], la cui idea fondamentale è che "la decomposizione generalizzata in cui sta attualmente sprofondando questo sistema (...) non potrà che aggravarsi (...) al di là dell'aspetto strettamente quantitativo, il fenomeno della decomposizione sociale oggi raggiunge una tale profondità e una tale estensione da acquisire una qualità nuova e singolare che mostra l'ingresso del capitalismo decadente in una fase specifica - la fase finale - della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore, decisivo dell'evoluzione della società".
Il 23° Congresso ha esaminato molto attentamente la realtà di un considerevole peggioramento del processo di decomposizione sociale che colpisce in particolare i paesi centrali, le cui illustrazioni spettacolari sono state - tra altre - la Brexit inglese, il trionfo di Trump o il governo Salvini in Italia.
Tutti questi punti sono stati ampiamente supportati nelle risoluzioni e nelle relazioni del congresso che abbiamo pubblicato[9] e invitiamo i nostri lettori a leggere attentamente e criticamente questi documenti. Con questi, cerchiamo di dare risposte alle tendenze che caratterizzano l'attuale situazione.
La Decomposizione, come la vediamo su scala mondiale e che domina sempre più tutte le sfere della vita sociale, costituisce un fenomeno senza precedenti nella storia umana. Il Manifesto Comunista considera una tale possibilità: "Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, hanno condotto in opposizione costante una guerra ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta"[10].
Tuttavia, i fenomeni storici del crollo di un'intera civiltà a causa della "distruzione delle due classi in lotta" furono molto localizzati e facilmente superabili dalla successiva imposizione di nuovi conquistatori. Nella misura in cui la decadenza dei modi di produzione che precedono il capitalismo (schiavismo, feudalesimo) ha visto l'emergere economico molto potente della nuova classe dominante, che era anche una classe sfruttatrice, i nuovi rapporti di produzione, sviluppandosi, hanno potuto limitare i fenomeni di decomposizione del vecchio ordine e persino sfruttarli a proprio vantaggio. Di contro, questo è impossibile nel capitalismo poiché "la società comunista, l'unica in grado di succedere al capitalismo, non può in alcun modo svilupparsi al suo interno; non vi è quindi alcuna possibilità di una qualsivoglia rigenerazione della società in assenza del violento rovesciamento del potere della classe borghese e dell'estirpazione dei rapporti di produzione capitalistici" (tesi).
Ora, il proletariato deve affrontare le condizioni e le implicazioni imposte da questa nuova era storica, traendo tutte le lezioni che ne derivano per la sua lotta, in particolare quella di difendere, ancor più energicamente che in passato, la sua autonomia politica di classe perché la decomposizione la mette in grave pericolo. La decomposizione favorisce le lotte "parcellari" (femminismo, ecologia, antirazzismo, pacifismo, ecc.), lotte che non vanno alla radice dei problemi ma che si confondono con gli effetti e, peggio ancora, si concentrano su aspetti particolari del capitalismo preservando il sistema nel suo insieme. Queste mobilitazioni diluiscono il proletariato in una massa interclassista, lo disperdono e lo frammentano in una vasta gamma di false "comunità" di genere, razza, religione, affinità, ecc. L'unica soluzione è la lotta del proletariato contro lo sfruttamento capitalista poiché "la lotta contro le fondamenta economiche del sistema contiene la lotta contro gli aspetti sovrastrutturali della società capitalista, il contrario è falso ". (punto 12 della piattaforma CCI)
L'organizzazione rivoluzionaria ha un impegno militante nei confronti della classe. Ciò si concretizza nell'adozione delle Risoluzioni in cui viene analizzata la situazione attuale inserendola in un quadro storico per consentire di identificare le prospettive al fine di orientare la lotta del proletariato. In questo senso, il Congresso ha adottato una risoluzione specifica sulla lotta di classe e un'altra, più generale, sulla situazione mondiale.
La decomposizione ha colpito duramente la lotta del proletariato. Insieme agli effetti eclatanti della caduta del "socialismo" nel 1989 e all'enorme campagna anticomunista lanciata dalla borghesia, la classe operaia ha subito un profondo riflusso della sua coscienza e della sua combattività, i cui effetti persistono - e si sono persino aggravati - 30 anni dopo[11].
Il congresso ha approfondito il quadro storico per la comprensione della lotta di classe effettuando un esame approfondito dell'evoluzione del rapporto di forze tra le classi dal 1968[12]. La risoluzione sottolinea:
le acquisizioni delle lotte del periodo 1968-1989 non sono perse, anche se sembra che molti operai (e certi rivoluzionari) possano averle dimenticate: lotta per l'auto-organizzazione e l'estensione delle lotte; inizio della comprensione del ruolo anti-operaio dei sindacati e dei partiti capitalisti di sinistra; resistenza all’arruolamento nelle guerre; sfiducia nei confronti del gioco elettorale e parlamentare, ecc. Le lotte future dovranno fare affidamento sull'assimilazione critica di questi risultati andando molto oltre e certamente non sulla loro negazione o sulla loro dimenticanza;
il grande pericolo che rappresentano per il proletariato la democrazia, il democratismo e gli strumenti dello Stato democratico, in particolare i sindacati, i partiti di sinistra e di estrema sinistra, ma anche le sue campagne ideologiche e le sue manovre politiche;
l'attuale debolezza del proletariato, nonostante lo sforzo iniziato nelle lotte del 2006-2011 in cui, oltre alla ricomparsa delle assemblee, sono state poste molte domande sul futuro della società[13];
l'effetto positivo che a lungo termine possono avere determinati elementi della situazione attuale: una maggiore concentrazione di lavoratori nelle grandi città, il lavoro associato a livello globale, i crescenti legami tra giovani lavoratori su scala internazionale, l'incorporazione di nuovi battaglioni del proletariato in paesi come Cina, Bangla Desh, Sudafrica, Messico[14] ...
Durante il congresso, sono apparse divergenze sull'apprezzamento della situazione della lotta di classe e delle sue dinamiche. Il proletariato ha subito sconfitte ideologiche che hanno gravemente indebolito le sue capacità? C'è una maturazione sotterranea della coscienza o, al contrario, stiamo assistendo ad un approfondimento del riflusso dell'identità e della coscienza di classe?
Tali questioni sono parte di un dibattito in corso, con degli emendamenti presentati alla risoluzione del Congresso[15].
In linea con le sue responsabilità, il congresso ha esaminato altri aspetti che determinano l'evoluzione della società mondiale, in particolare:
la tendenza dell'apparato politico della borghesia a perdere il controllo del suo gioco elettorale e della formazione dei governi, un fenomeno di cui la Brexit inglese è una testimonianza eloquente: vedi il Rapporto sull'Impatto della decomposizione sulla vita politica della borghesia (2019);
il considerevole peggioramento delle tensioni imperialiste (in particolare tra gli Stati Uniti e la Cina e nel Golfo Persico) nonché l'intensificazione della corsa agli armamenti; la guerra commerciale, che è la conseguenza del peggioramento della crisi, è anche usata dalla potenza americana come mezzo di pressione imperialista sui suoi rivali;
la prospettiva, che tende sempre più ad avvicinarsi, di nuove convulsioni dell'economia mondiale: caduta della crescita, rallentamento del commercio mondiale, debito esorbitante, l'incredibile fenomeno dei tassi di interesse negativi, ecc.
Il marxismo è una teoria vivente. Ciò significa che deve essere in grado di riconoscere che alcuni strumenti d'analisi della situazione storica non sono oramai più validi. E’ questo il caso della nozione di corso storico, un concetto pienamente applicabile al periodo 1914-1989 ma che ha perso la sua validità per comprendere la dinamica e l'orientamento dell'equilibrio delle forze tra le classi nell'attuale periodo storico. Ciò ha portato il Congresso ad adottare un rapporto su questo tema[16].
Difesa dell'organizzazione
L'organizzazione rivoluzionaria costituisce un corpo estraneo alla società borghese. Il proletariato è allo stesso tempo una classe "della società civile che non è una classe della società civile, è un ordine che è la dissoluzione di tutti gli ordini" (Marx). Gli operai non possono mai davvero trovare il loro posto nella società poiché economicamente, essendo sfruttati e privati di qualsiasi mezzo di produzione, si trovano sempre in una situazione precaria, in balia della disoccupazione e perché, politicamente, sono degli "emarginati" che possono trovare salvezza ed emancipazione solo al di fuori del capitalismo, in una società comunista che non può sorgere prima che lo Stato borghese venga rovesciato in tutto il mondo. La borghesia, i suoi politici, i suoi ideologi, possono accettare con disprezzo "gli operai-cittadini", vale a dire concepiti come una somma di individui alienati, ma essi aborriscono e rigettano furiosamente il proletariato come classe.
Come la loro classe, le organizzazioni rivoluzionarie, pur facendo parte del mondo capitalista, sono allo stesso tempo un corpo estraneo a quest'ultimo poiché basano la loro ragione d'essere e il loro programma su un obiettivo in totale rottura con il funzionamento, i ragionamenti ed i valori della società attuale.
In questo senso, l'organizzazione rivoluzionaria costituisce un'entità che la società borghese rigetta con tutte le sue forze. Non solo a causa della minaccia storica che rappresenta come avanguardia del proletariato, ma perché la sua stessa esistenza è un ricordo ossessivo della sua condanna storica, un ricordo dell'urgente bisogno davanti al quale si trova l'umanità di sostituire la concorrenza mortale di tutti contro tutti con l'associazione di individui liberi ed uguali. È questa nuova forma di radicalismo che la borghesia non riesce a capire e che la preoccupa e la mobilita costantemente contro le organizzazioni e i militanti del proletariato. Come sottolinea il Manifesto comunista, "La rivoluzione comunista è la rottura più radicale con i rapporti di proprietà tradizionali; non sorprende che, nel corso del suo sviluppo, essa rompa nel modo più radicale con le vecchie idee tradizionali".
Questa natura di corpo estraneo significa che l'organizzazione rivoluzionaria è permanentemente minacciata, non solo dalla repressione e dai tentativi di infiltrazioni e di distruzione dall'interno attraverso organi specializzati dello Stato borghese, o dalle azioni dei gruppi parassitari (come vedremo più avanti), ma anche dal pericolo permanente di essere distolto dai suoi compiti e dalla sua funzione dalla penetrazione di ideologie estranee al proletariato.
L'organizzazione può esistere solo attraverso una lotta permanente. Lo spirito di lotta è una caratteristica essenziale dell'organizzazione rivoluzionaria e dei suoi militanti. Le lotte, le crisi, le difficoltà sono i tratti distintivi delle organizzazioni rivoluzionarie. “Le crisi non sono necessariamente il segno di un crollo, di un fallimento imminente o irreparabile. Al contrario, l’esistenza delle crisi può essere l’espressione di una sana resistenza a un processo soggiacente che si era tranquillamente e insidiosamente sviluppato fino a quel momento e che, lasciato al suo libero corso, avrebbe potuto portarci al naufragio. Le crisi possono essere un segno di una reazione al pericolo e della lotta contro gravi debolezze che portano al collasso. Una crisi può finanche essere salutare. Essa può costituire un momento cruciale, l’opportunità di andare alla radice di gravi difficoltà, di individuarne le cause profonde per poterle superare. Il che può permettere, alla fine, all’organizzazione di rafforzarsi e di temprare i suoi militanti per le battaglie future.
Nella Seconda Internazionale (1889-1914), il Partito operaio socialdemocratico di Russia (POSDR) era noto per aver attraversato una serie di crisi e scissioni e, per questo, era considerato con disprezzo dai principali partiti dell’Internazionale, come dal Partito socialdemocratico Tedesco (SPD), che sembrava volare di successo in successo e il cui numero di membri e di risultati elettorali crescevano con regolarità.
Tuttavia, le crisi del partito russo e la lotta dell’ala bolscevica per superare queste crisi e trarne gli insegnamenti, hanno rafforzato la minoranza rivoluzionaria, l’hanno preparata a contrapporsi alla guerra imperialista del 1914 e a porsi all’avanguardia della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917. Al contrario, l’unità di facciata e la “calma” all’interno dell’SPD (messa in discussione solo dai “facinorosi” come Rosa Luxemburg) ha portato questo partito al collasso completo e irrevocabile nel 1914, con il totale tradimento dei suoi principi internazionalisti di fronte alla Prima Guerra mondiale."[17]
La difesa dell'organizzazione costituisce un elemento permanente dell'attività dell'organizzazione e quindi un punto importante del bilancio e delle prospettive di attività del Congresso. Essa si effettua su più fronti. Il più importante e specifico è la lotta contro i tentativi di distruzione (attraverso calunnia, denigrazioni, sospetto e diffidenza). Ciò detto, "la CCI non è immune alle pressioni opportunistiche sulle posizioni programmatiche, alleate alla sclerosi, che, su altri livelli, hanno già indebolito gli altri gruppi della sinistra comunista" (Risoluzione sulle attività). Questo è il motivo per cui c'è unità e coerenza tra questo aspetto vitale della lotta contro la minaccia di distruzione e la necessità non meno vitale di combattere contro qualsiasi manifestazione di opportunismo che può sorgere nei nostri ranghi. "Senza questa lotta storica permanente a lungo termine contro l'opportunismo politico e la vigilanza contro di esso, la difesa dell'organizzazione, la sua centralizzazione e i suoi principi operativi in quanto tali non sarebbero di alcuna utilità. Se è vero che, senza un'organizzazione politica proletaria, il miglior programma è un'idea senza forza sociale, è anche vero che, senza una fedeltà totale al programma storico del proletariato, l'organizzazione diventa un guscio vuoto. C'è unità e nessuna opposizione o separazione tra i principi dell'organizzazione politica e i principi programmatici del proletariato"(idem.). Detto questo, dobbiamo rispondere rapidamente ed energicamente a qualsiasi tentativo di distruzione dell'organizzazione, poiché "la lotta per la difesa della teoria e la lotta per la difesa dell'organizzazione sono inseparabili e altrettanto essenziali, l'abbandono del primo è una minaccia, sicuramente fatale, ma a medio termine, mentre l'abbandono del secondo è una minaccia a breve termine. Finché esiste, l'organizzazione può riprendersi, anche teoricamente, ma se essa non esiste più, nessuna teoria la farà rivivere "(idem.)
La lotta contro il parassitismo
La storia del movimento operaio ha messo in evidenza un pericolo che oggi ha assunto notevole importanza, il parassitismo. La Prima Internazionale aveva già dovuto difendersi da questo pericolo identificato da Marx ed Engels: "È giunto il momento, una volta per tutte, di porre fine alle lotte interne provocate quotidianamente nella nostra Associazione dalla presenza di questo organo parassitario. Questi litigi non fanno che sprecare l'energia che dovrebbe essere usata per combattere il regime della borghesia. Paralizzando l'attività dell'Internazionale contro i nemici della classe operaia, l'Alleanza serve mirabilmente la borghesia e i governi" (Engels, "Il Consiglio Generale a tutti i membri dell'Internazionale", 1872, avvertimento contro l'Alleanza di Bakunin). L'Internazionale ha dovuto affrontare i complotti di Bakunin, un avventuriero che aveva usato un radicalismo di facciata come una foglia di fico per compiere un'opera di intrighi, di calunnia contro militanti come Marx ed Engels, di attacchi contro l'organo centrale dell'Internazionale (il Consiglio Generale), di destabilizzazione e disorganizzazione delle sezioni, di creazione di strutture segrete per cospirare contro l'attività e il funzionamento dell'organizzazione proletaria[18].
Ovviamente, le condizioni storiche in cui la lotta proletaria si evolve oggi sono molto diverse da quelle esistenti al tempo della Prima Internazionale. Questa era un'organizzazione di massa, che riuniva tutte le forze viventi del proletariato, una "potenza" che preoccupava i governi borghesi. Oggi il campo proletario è estremamente debole, ridotto a un insieme di piccoli gruppi che non rappresentano una minaccia immediata per la borghesia. Detto questo, il tipo di difficoltà e minacce che questo ambiente deve affrontare presenta somiglianze con quelli affrontati dalla Prima Internazionale. In particolare, l'esistenza di "corpi parassitari", la cui ragione d'essere non contribuisce in alcun modo alla lotta della classe operaia contro la borghesia, ma al contrario essa va a sabotare l'attività delle organizzazioni che svolgono questo combattimento. Al tempo della Prima Internazionale, l'Alleanza guidata da Bakunin aveva svolto il suo lavoro di sabotaggio (prima di essere esclusa al Congresso dell'Aia nel settembre 1872) all'interno della stessa Internazionale. Oggi, in particolare a causa della dispersione dell'ambiente proletario in diversi piccoli gruppi, i "corpi parassitari " non operano all'interno di un determinato gruppo ma ai margini di questi gruppi cercando di reclutare elementi sinceri ma inesperti o influenzati dalle ideologie piccolo-borghesi (come aveva fatto l'Alleanza in Spagna, Italia, Svizzera e Belgio), o facendo tutto il possibile per screditare i gruppi autenticamente proletari e sabotare la loro attività (come fece l'Alleanza quando capì che non poteva prendere il controllo dell'AIT).
Sfortunatamente, questa lezione della storia è stata dimenticata dalla maggior parte dei gruppi della Sinistra comunista. Poiché il parassitismo ha come priorità l'attacco della principale organizzazione di quest'ultima, la CCI, questi gruppi hanno ritenuto che "questo fosse un problema della sola CCI", arrivando fino al punto di mantenere, in certi momenti, relazioni cordiali con gruppi parassiti. Tuttavia, i comportamenti di questi ultimi (dal Communist Bulletin Group quasi quarant'anni fa al più recente Groupe International de la Gauche Communiste, compresi numerosi piccoli gruppi, blog o individui) parlano da soli:
Il Consiglio Generale dell'AIT ritenne che "l'Alleanza serve mirabilmente la borghesia e i governi". Allo stesso modo, la risoluzione sulle attività adottate dal 23° Congresso della CCI stima che: "Nell'attuale epoca storica, il parassitismo lavora oggettivamente al servizio della borghesia per distruggere la CCI" e che "l'esperienza degli ultimi 30 anni [mostra che] il parassitismo politico è uno dei pericoli più gravi che dovremo affrontare. (...) Negli ultimi anni, il parassitismo politico non solo è persistito, ma ha anche sviluppato il suo arsenale anti CCI e ampliato il suo repertorio".
È così che, recentemente, abbiamo assistito a un atto più sofisticato ma anche più pericoloso: la falsificazione della tradizione della Sinistra Comunista mediante la promozione di una falsa "Sinistra comunista" basata sul trotskismo. Al di là delle sue intenzioni, una tale impresa mira a integrare il Fronte della Calunnia e della Delazione con una tattica "consistente a creare un cordone sanitario che isola la CCI dagli altri gruppi della sinistra comunista (...) e dagli elementi in ricerca ... "(Ibid.)[19].
Questo è il motivo per cui il congresso ha coinvolto l'intera organizzazione in una lotta risoluta e incessante contro il parassitismo, considerando che "un asse essenziale e a lungo termine dell'intervento della CCI deve essere una lotta politica e organizzativa aperta e continua contro il parassitismo al fine di eliminarlo dal campo politico proletario ed educare gli elementi in ricerca sul suo pericolo. (...) La costituzione del futuro partito ha quindi bisogno di una dura e perseverante lotta contro il parassitismo per la sua eliminazione dai ranghi della sinistra comunista". (Ibid.)
La lotta per il futuro Partito
Il compito di Frazione ha quindi diverse sfaccettature che formano un'unità: difesa dell'organizzazione, lotta contro il parassitismo, sviluppo del marxismo, capacità di analisi e intervento di fronte all'evoluzione della situazione mondiale. Questa unità è stata al centro del congresso e guiderà l'attività della CCI. Come abbiamo detto all'inizio di questo articolo, il 23° Congresso della CCI ha avuto come asse il ricordo combattente dell'esperienza della Terza Internazionale cercando di trarre da quest'ultima tutte le lezioni. Questo è il motivo per cui la risoluzione sulle attività si conclude con questo impegno: "Per adempiere ai suoi compiti storici, la CCI deve trarre la sua forza e il suo spirito combattivo dalle crisi che dovrà affrontare, così come ha fatto la sinistra marxista nel 1919. Se è in grado di svolgere un lavoro di Frazione, avrà i mezzi per raggruppare le attuali e nuove energie rivoluzionarie della Sinistra comunista su chiare basi programmatiche, e quindi di svolgere pienamente il suo ruolo nella fondazione del futuro partito".
CCI (dicembre 2019)
[1] Rapporto sulla struttura e sul funzionamento delle organizzazioni rivoluzionarie - conferenza internazionale (gennaio 82): https://it.internationalism.org/content/rapporto-sulla-struttura-e-sul-funzionamento-delle-organizzazioni-rivoluzionarie-conferenza [2]
[2] All'interno della Seconda Internazionale, solo i bolscevichi hanno svolto un lavoro sostanziale di frazione, mentre altre correnti hanno combattuto contro l'opportunismo dilagante senza intraprendere una lotta coerente e globale su tutti i piani (Rosa Luxemburg, Pannekoek, Bordiga ecc.). Questa distinzione è importante: si veda a questo proposito la serie di polemiche con il BIPR (oggi TCI): Il rapporto Frazione - Partito nella tradizione marxista, in particolare le parti 3.1 e 3.2, il rapporto frazione-partito nella tradizione marxista (3a parte - I. Da Marx alla 2a Internazionale) e il rapporto partito-frazione nella tradizione marxista (parte 3 - II. Lenin e i bolscevichi).
https://fr.internationalism.org/rinte64/bc.htm [3], https://fr.internationalism.org/rinte65/bc.htm [4]
[3] Vedi la Risoluzione sul Centrismo e l'opportunismo nel periodo di decadenza, testo del nostro sesto congresso.
[4] Comprendere la decadenza del capitalismo (III parte): la natura della Socialdemocrazia
https://fr.internationalism.org/french/rinte50/decadence.htm [5]
[5] Vedi Frazione e Partito nel dibattito della Sinistra Comunista, su Rivista Internazionale n.3 https://it.internationalism.org/rint/3_dibattito [6]
[6] Vedi il rapporto sul ruolo della CCI come "frazione" adottata dal nostro 21° Congresso: https://it.internationalism.org/cci/201603/1359/rapporto-sul-ruolo-della-cci-in-quanto-frazione [7]
[7] Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est: https://it.internationalism.org/rivistainternazionale/200803/578/tesi-sulla-crisi-economica-e-politica-in-urss-e-nei-paesi-dellest [8]
[8] In Rivista Internazionale n. 14, https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo [9]
[9] Vedi: Rapporto sull’impatto della decomposizione sulla vita politica della borghesia (2019), https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia [10] , e Rapporto sulla Decomposizione oggi (maggio 2017), https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017 [11]
[10] Marx-Engels: Manifesto dei Comunisti, capitolo Borghesi e proletari
[11] Vedi: Crollo del blocco dell'Est: delle difficoltà accresciute per il proletariato, su Rivista Internazionale n.13 https://it.internationalism.org/rivistainternazionale/200803/579/delle-difficolta-accresciute-per-il-proletariato [12]
[12] Vedi: Risoluzione sul rapporto di forze tra le classi (2019), https://it.internationalism.org/content/1502/risoluzione-sul-rapporto-di-forza-tra-le-classi-2019 [13]
[13] Vedere: Tesi sul movimento studentesco della primavera 2006 in Francia, https://it.internationalism.org/rint/28_tesi_studenti [14] , e Movimento degli indignati in Spagna, Grecia e Israele: dall’indignazione alla preparazione delle battaglie di classe, https://it.internationalism.org/content/movimento-degli-indignati-spagna-grecia-e-israele-dallindignazione-alla-preparazione-delle [15]
[14] Questi fattori piuttosto positivi sono vanificati dalle tendenze all'isolamento e alla frammentazione dei lavoratori, la cui forma estrema è l'uberizzazione del lavoro, in cui i lavoratori sono definiti come "imprenditori in proprio". Il proletariato dovrà affrontare questo problema e trovare i mezzi per affrontarlo.
[15] La CCI ha sempre avuto come orientamento centrale l'espressione dei suoi dibattiti davanti a tutta la classe e al suo ambiente politicizzato. Ciò è stato fatto seguendo un metodo preciso: "Nella misura in cui i dibattiti che attraversano l'organizzazione riguardano generalmente l'intero proletariato, sarebbe conveniente portarli all'esterno, rispettando le seguenti condizioni :
- questi dibattiti riguardano questioni politiche generali e hanno raggiunto una maturità sufficiente perché la loro pubblicazione costituisca un reale contributo alla presa di coscienza della classe operaia;
- il posto assegnato a questi dibattiti non deve rimettere in discussione l'equilibrio generale delle pubblicazioni;
- è l'organizzazione nel suo insieme che decide e si fa carico di questa pubblicazione secondo i criteri validi per la pubblicazione di qualsiasi articolo sulla stampa: qualità di chiarezza e di forma redazionale, interesse che essi presentano per la classe operaia. Sono dunque da proscrivere le pubblicazioni di testi al di fuori degli organismi previsti a tale scopo sull'iniziativa "privata" di un certo numero di membri dell'organizzazione. Allo stesso modo, non esiste alcun "diritto" formale per chiunque nell'organizzazione (individuo o tendenza) di pubblicare un testo se gli organi responsabili delle pubblicazioni non ne vedono l’utilità o l'opportunità" (Rapporto su la struttura e il funzionamento dell'organizzazione rivoluzionaria, https://it.internationalism.org/content/rapporto-sulla-struttura-e-sul-funzionamento-delle-organizzazioni-rivoluzionarie-conferenza [2] )
[16] Vedi il Rapporto sulla questione del corso storico.
[17] Conferenza straordinaria internazionale della CCI: la "notizia" della nostra scomparsa è enormemente esagerata! [16].
[18] Vedere: Le pretese scissioni dell'Internazionale, rapporto adottato dal Congresso de L' Aia (1872). Vedi anche il nostro articolo: Questioni di organizzazione. La Prima Internazionale e la lotta contro il settarismo, https://it.internationalism.org/rint/20_settarismo [17]
[19] Vedi: Nuevo Curso e una “Sinistra Comunista Spagnola”. Da dove viene la Sinistra Comunista?, https://it.internationalism.org/content/1490/nuevo-curso-e-una-sinistra-comunista-spagnola-da-dove-viene-la-sinistra-comunista [18] , e Chi c’è in Nuevo Curso?, https://it.internationalism.org/content/1521/chi-ce-nuevo-curso [19]
Nel quadro dell’impatto della decomposizione sulla vita della borghesia, questo rapporto si centra in particolare sulle difficoltà che la borghesia incontra con la crescita delle correnti populiste e sulla maniera con cui essa tenta di reagire. Non tratterà quindi in maniera diretta e centrale la storia del populismo o questioni più generali come il rapporto fra populismo e violenza.
Dopo il 2007 la CCI non ha più discusso un rapporto sulla vita politica della borghesia. Tuttavia il «rapporto sulla decomposizione» del 22° Congresso internazionale della CCI – discusso debolmente al congresso -, che attualizza e completa gli assi principali delle tesi sulla decomposizione e situa il fenomeno del populismo in questo contesto, fornisce il quadro di riferimento per analizzare ed interpretare le convulsioni che caratterizzano la vita della borghesia oggi. Le principali idee sono le seguenti:
- Il capitalismo decadente è entrato «in una fase specifica – la fase ultima – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non IL fattore, decisivo per l’evoluzione della società» (Rapporto sulla decomposizione). Insieme alla crisi dei rifugiati e lo sviluppo del terrorismo il populismo è una delle sue caratteristiche più importanti. Il processo di decomposizione è irreversibile.
- La crescita del populismo «non è il risultato di una volontà politica deliberata dei settori dominanti della borghesia». Al contrario, essa è una conferma della tendenza a «una crescente perdita di controllo del suo apparato politico da parte della classe dominante» (Ibidem)
- La sua causa determinante è «l’incapacità del proletariato a mettere avanti la sua propria risposta, la sua propria alternativa alla crisi del capitalismo. In questa situazione di vuoto, in qualche maniera di perdita di fiducia verso le istituzioni ufficiali della società che non sono più capaci di proteggere, di perdita di fiducia nel futuro, la tendenza a voltarsi verso il passato, a cercare dei capri espiatori responsabili della catastrofe diventa sempre più forte.» (Ibidem)
- La decomposizione comporta «un elemento comune che è presente nella maggior parte dei paesi avanzati: la perdita di fiducia verso le ‘élite’ (…) a causa della loro incapacità a ristabilire la salute dell’economia, di arrestare la crescita continua della disoccupazione o della miseria. » Questa rivolta contro i dirigenti politici «(…) non può assolutamente sfociare in una prospettiva alternativa al capitalismo». (Ibidem)
- «La reazione populista vuole sostituire la pseudo-uguaglianza ipocrita esistente con un sistema ‘onesto’ e aperto di discriminazione legale. (…) in assenza di una prospettiva di crescita a più lungo termine per l’economia nazionale, le condizioni di vita degli autoctoni non possono essere più o meno stabilizzate se non attraverso una discriminazione e contro tutti gli altri». (Risoluzione sulla situazione internazionale del 22° Congresso della CCI)
Dopo il 2017 e un 22° congresso internazionale che si è confrontato con il voto a favore della Brexit e l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, l’impatto del populismo su tutti gli aspetti della situazione internazionale è diventato sempre più netto: esso è largamente messo in evidenza nel caso delle tensioni imperialiste e della lotta del proletariato. E diventa anche sempre più evidente a livello dell’economia. E si rivela in maniera ancora più spettacolare sul piano della politica della borghesia: gli avvenimenti degli ultimi due anni confermano in maniera spettacolare «questo aspetto che noi abbiamo identificato 25 anni fa: la tendenza a una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante sul suo apparato politico». (Rapporto sulla decomposizione del 22° congresso)
In questi ultimi anni questa perdita di controllo si è manifestata con una estensione spettacolare del fenomeno, con l’accentuazione di un vero affondo populista: secondo uno studio del quotidiano «The Guardian» relativo agli ultimi 25 anni, i partiti populisti hanno visto triplicare i loro voti in Europa (dal 7% al 25%). In una decina di paesi questi partiti partecipano al governo o alla maggioranza parlamentare: Polonia, Ungheria, Cechia, Slovacchia, Bulgaria, Austria, Danimarca, Norvegia, Svizzera e Italia. Lo studio segnala due momenti in cui questa espansione si è intensificata: la crisi finanziaria del 2008 e l’ondata di rifugiati nel 2015. L’acuirsi degli altri fenomeni che caratterizzano la decomposizione, come il terrorismo, il ciascuno per sè, attizzano le fiamme e favoriscono l’estensione populista a tutti gli aspetti della società capitalista. Infine, l’arrivo al potere nella principale potenza imperialista di un presidente populista ha ulteriormente intensificata l’avanzata della marea, come illustrano i dati più recenti : la costituzione di un governo costituito unicamente da formazioni populiste in Italia, l’apparato politico che sprofonda nella confusione in Gran Bretagna, la forte pressione delle forze populiste sulla politica della Merkel in Germania, la vittoria del populista Bolsonaro in Brasile, il movimento dei « Gilet gialli » in Francia, la nascita di un partito populista nazionalista (Vox) in Spagna, ecc.
Le espressioni del populismo provocano dei soprassalti sempre più incontrollabili in seno all’apparato politico delle diverse borghesie. Le prossime sezioni del rapporto mostreranno che esse costituiscono un fattore di prima importanza nell’insieme dei paesi industrializzati e che esse hanno anche, in forme simili, un impatto non trascurabile in un certo numero di paesi ‘emergenti’.
La crisi della borghesia americana non è cominciata con l’elezione di Trump. Nel 2007 il nostro rapporto rilevava già questa crisi, spiegando: « E’ innanzitutto e soprattutto questa situazione oggettiva – una situazione che impedisce ogni strategia a lungo termine da parte della potenza dominante restante – che ha reso possibile l’elezione e la rielezione di un regime così corrotto, con al potere un presidente tanto pio quanto stupido [Bush junior]. (…) l’amministrazione Bush non è nient’altro che il riflesso della situazione senza uscita dell’imperialismo USA» (Rapporto sulla decomposizione del 17° Congresso). Tuttavia, la vittoria di un presidente populista dalle decisioni imprevedibili ha non solo fatto uscire in piena luce la crisi della borghesia USA, ma ha soprattutto messo in luce l’instabilità crescente dell’apparato politico della borghesia USA e l’acuirsi delle tensioni interne.
Incapaci di impedire la sua elezione, le frazioni più responsabili della borghesia americana hanno fatto di tutto per cercare di limitare i danni a) manovrando per destituirlo (ma le procedure per l’impeachment sembrano lunghe) ; b) piazzando nello staff presidenziale degli uomini di fiducia (da Mc Master a Kelly passando per Tillerson) che però sono stati progressivamente eliminati (l’ultimo, « cane matto » Mattis, ha appena dimissionato) ; c) cercando di imporre un controllo politico tramite i deputati repubblicani, ma in fin dei conti è Trump che ha vampirizzato il Partito repubblicano ; d) cercando di trovare all’interno del Partito Democratico un’alternativa da contrapporre a Trump (ma finora questo tentativo non ha dato risultati). Alla fine dei conti, la rielezione di Trump in un secondo mandato sembra sempre più inevitabile.
D’altra parte la politica tortuosa e capricciosa di Trump mette in luce i dubbi e le divisioni in seno alla borghesia americana a proposito delle politiche economica ed imperialista da mettere in atto per mantenere la sua supremazia sull’insieme del pianeta. Al di là dell’approccio versatile e da mercante di Trump, l’abbandono del multilateralismo a profitto del bilateralismo rivela una tensione reale in seno alla borghesia: la dominazione dell’imperialismo USA si è sempre presentata dietro un paravento morale: la difesa della democrazia e del mondo libero, la difesa dei diritti umani (Clinton e Obama), la lotta contro il male (Bush), in questo caso alla testa di una larga coalizione di Stati. Di fronte alle difficoltà a mantenere questo ruolo di gendarme del mondo, Trump rompe apertamente con l’ipocrisia del multilateralismo per imporre la realtà cinica del rapporto di forza bilaterale, anche con i suoi amici (Gran Bretagna) e i suoi alleati (Germania). Nella loro logica, gli USA non possono mantenere la loro supremazia mondiale se non migliorando la loro situazione economica e questo si può fare facendo pressione sui loro concorrenti grazie alla loro schiacciante supremazia militare. Il vecchio consigliere per la sicurezza nazionale, il generale Mc Master, lo spiega bene nel Wall Street Jordan: egli ha «la visione lungimirante che il mondo non è una ‘comunità globale’, ma un’arena in cui le nazioni, gli attori non governativi e gli attori economici si impegnano e combattono per il loro vantaggio. (…). Piuttosto che negare questa natura elementare delle relazioni internazionali, noi ci adeguiamo» (30-05-2017). In questo senso l’irrazionalità di Trump non risiede nell’assenza di un orientamento nella sua politica ma proprio nell’orientamento stesso, che pone il leader dell’imperialismo mondiale all’avanguardia del ciascuno per sé e del caos.
L’imprevedibilità di Trump verso la Russia rivela bene come queste tensioni si cristallizzano intorno all’atteggiamento da avere verso il vecchio capo del blocco avversario, il nemico del «mondo libero» secondo larghe frazioni della borghesia americana, ma che può essere un potenziale alleato contro la Cina (e contro la Germania). Se la maggioranza delle frazioni borghesi sembrano essere contrarie ad un avvicinamento con Putin, Trump continua ad oscillare fra comportamenti diversi : incontri amichevoli con Putin ad Helsinki lo scorso luglio con l’aperta rottura del blocco NATO nei confronti della Russia seguito all’aggressione contro l’Ucraina, con la dichiarazione di voler fare assieme « grandi cose nel mondo » e poi la decisione di Trump ad Ottobre di uscire dall’accordo di non proliferazione nucleare a causa del mancato rispetto di questo da parte della Russia.
Il contributo sul populismo pubblicato nel 2016[1] prospettava come ipotesi tre tipi di strategie che la borghesia avrebbe potuto mettere in atto di fronte all’ondata populista: in primo luogo lo scontro frontale giocando la carta dell’antipopulismo; poi far riprendere dai partiti tradizionali degli elementi della politica populista e, infine, rinvigorire, rianimare l’opposizione destra/sinistra. In che misura queste strategie sono state messe in pratica, e quali sono le conseguenze che ne derivano?
1. Lo scontro attraverso una politica antipopulista: gli esempi francesi e tedesco
In Francia la politica antipopulista della borghesia è riuscita in un primo tempo a fermare la Le Pen tirando fuori dal cilindro l’uomo «nuovo» Macron e il suo movimento «La Francia in marcia», che, secondo la campagna mediatica, non erano legati ai partiti tradizionali. Tuttavia Macron si è rapidamente dovuto confrontare col problema di dover mettere in atto una politica orientata verso la globalizzazione, dato che il protezionismo di Trump cambiava le carte in tavola, e, soprattutto, per farlo ha dovuto lanciare degli attacchi massicci contro la classe operaia.
Le conseguenze non si sono fatte attendere: Macron è confrontato oggi ad una caduta vertiginosa della popolarità e alle proteste dei gilet gialli, di cui beneficeranno sicuramente le correnti populiste, soprattutto visto che Macron non dispone di una struttura politica solida e affidabile (un partito ben strutturato) e che la borghesia ha emarginato, alle elezioni politiche del 2017, i suoi partiti tradizionali – e che da allora si sono indeboliti e sprofondati in liti interne – ; cionostante il movimento di Macron resta la principale forza politica in Francia capace di contrastare il peso del populista Rassemblement National della Le Pen.
In Germania la Merkel si è subito proposta come il campione dell’antipopulismo (vedi il suo «Wir schaffen das» Si può fare) ma questo ha rafforzato l’ondata populista al punto che oggi la borghesia tedesca deve fare i conti con una AFD diventata la terza formazione politica del paese. Dopo le ultime elezioni ha dovuto rimettere in piedi quella «grande coalizione» (con il partito socialdemocratico) che era stata largamente sfiduciata al momento delle elezioni generali, e i risultati delle lezioni nei Lander della Baviera e della Sassonia confermano la bancarotta elettorale della CDU/CSU e il crollo dell’SPD. La situazione è complessa e l’abbandono da parte della Merkel della presidenza della CDU (e quindi in futuro dal posto di cancelliere) annuncia una fase di incertezza e di instabilità della borghesia dominante in Europa.
L’apparato politico della borghesia tedesca conosce quindi dei soprassalti nello stesso momento in cui la Germania è messa sotto pressione nella UE, da una parte dai paesi dell’Europa centrale che rigettano la sua politica verso i rifugiati ed anche il ruolo di economie subordinate alle decisioni che la Germania impone loro, e dall’altra parte dai paesi del sud Europa (Grecia, Italia) che criticano la sua politica economica, nel mentre che essa è anche nel mirino dell’amministrazione Trump che vuole imporle dei dazi sull’importazione delle sue automobili e dei suoi macchinari.
2. La ripresa delle idee populiste da parte dei partiti tradizionali: l’esempio inglese
La borghesia britannica ha cercato di canalizzare le disastrose conseguenze del referendum sull’uscita dall’Unione Europea affidando a uno dei suoi partiti tradizionali, il partito Conservatore il compito di portare a termine la Brexit. Lungi dallo stabilizzare la situazione, le convulsioni in seno all’apparato politico britannico non si sono fermate e accentuano l’instabilità al suo interno e l’imprevedibilità delle opzioni scelte:
- le esitazioni e le continue tergiversazioni del governo May per a) mettere in piedi una politica coerente per portare a termine la Brexit e b) per concludere un accordo chiaro con l’UE, spingono quest’ultima a prendere delle misure di salvaguardia di fronte a quello che i funzionari europei chiamano già un «fallimento»;
- le contraddizioni in seno al governo britannico invece di attenuarsi si acuiscono (con dimissioni regolari di ministri in disaccordo con la politica seguita) ma aumentano soprattutto all’interno del partito conservatore che rischia di scoppiare, cosi che anche l’accordo approssimativo e generale che la May ha concluso con la UE ha poche possibilità di essere approvato dal parlamento britannico. Le divisioni sono d’altra parte altrettanto reali in seno al Labour Party tra un Corbyn portato alla Brexit e un numero importante di deputati pro-UE;
- L’instabilità è più che mai profonda, i politici britannici somigliano a dei «talebani politici» secondo la formulazione coniata da un diplomatico europeo. In questi ultimi mesi si è visto anche un ritorno sulla scena importante delle opzioni populiste più radicali, che sognano la «rinascita di Albione», non solo al di fuori dei partiti tradizionali (Nigel Farrage), ma soprattutto all’interno del partito conservatore (con i pesi massimi Boris Johnson, Michael Gove, Jacob Rees-Mog, Steven Baker).
3. La formazione di un governo populista: l’esempio italiano
Un caso importante non previsto nel contributo sul populismo del 2016 è la costituzione di un governo costituito esclusivamente da partiti populisti. Da diversi anni alcuni partiti populisti fanno parte delle coalizioni di governo in diversi paesi e in parecchi paesi dell’ex blocco dell’est, come l’Ungheria e la Polonia, i partiti populisti sono arrivati al vertice dello Stato. Tuttavia oggi è la quarta potenza economica della UE, l’Italia, che, sullo sfondo di una situazione economica e sociale molto difficile (discesa del PIL del 10 %, a prezzi costanti, tra il 2008 e il 2017), vede l’emergere di un governo costituito esclusivamente di partiti populisti (Lega e M5S). Questo governo affianca una politica identitaria e xenofoba a una politica di difesa sociale degli Italiani:
L’impatto di questa politica populista italiana sulla stabilità della UE è imprevedibile a breve termine: sul piano della politica verso i rifugiati, la sua linea dura (in particolare verso le ONG) si scontra con altri paesi europei, in particolare la Francia e la Spagna. Sul piano del bilancio statale, il governo italiano rifiuta gli obblighi imposti dalla commissione europea (deficit statale al 2,4% del PIL invece dello 0,8% previsti dal governo precedente, in totale contraddizione con le regole di bilancio stabilite dalla UE), e vuole al contrario mettere in opera una politica di difesa sociale del «popolo italiano», che si oppone frontalmente alla politica di rigore difesa dalla Germania. Ora, una nuova crisi monetaria a causa dell’Italia rimetterebbe in discussione l’esistenza dell’unione monetaria e dell’eurozona. L’Italia lo sa, e questo le permette di esercitare un ricatto. In più il deficit di bilancio fa aumentare il debito italiano, cose che svalorizza la sua affidabilità presso le agenzie di rating e spingerà gli investitori istituzionali ad abbandonare i titoli italiani.
L’impatto sociale della politica della coalizione populista va analizzato con attenzione. Le misure sociali annunciate restano in effetti molto al di sotto delle promesse dei populisti, in particolare del M5S (6,1 miliardi per il reddito di cittadinanza al posto dei 17 previsti) e, in più il governo italiano ha accettato, sotto la pressione della UE, di posticipare una serie di misure per limitarne l’impatto sul bilancio. Inoltre il governo non ha abolito il Job Act voluto dal governo Renzi, che liberalizzava e precarizzava il mercato del lavoro in Italia. Di conseguenza, molte delle misure prese avranno un effetto contrario a quello annunciato. Così, il «decreto dignità» riduce teoricamente le possibilità di ripetizione dei contratti a tempo determinato ma la tendenza sarà al non rinnovo di questi contratti e quindi ad una crescita della precarietà. Inoltre il reddito di cittadinanza permetterà anche di aumentare la pressione sui disoccupati (perdono il reddito se rifiutano tre offerte di lavoro) e il controllo sulle spese (il reddito sarà accreditato su una carta dall’uso limitato). Infine il pensionamento a 62 anni sarà possibile solo per quelli che hanno almeno 38 anni di contributi.
4. La rifondazione dell’opposizione destra/sinistra
La terza strategia analizzata, la rifondazione dell’opposizione destra/sinistra per tagliare l’erba sotto ai piedi del populismo, non sembra essere stata effettivamente utilizzata dalla borghesia. Al contrario, gli ultimi anni sono stati piuttosto caratterizzati da una tendenza irreversibile al declino dei partiti socialisti.
La questione della crisi dei partiti socialdemocratici rimanda alla questione del ruolo dei partiti di sinistra, già abbordato nel rapporto sulla vita della borghesia del 17° Congresso (2007). Dopo aver giocato un ruolo essenziale per arginare l’ondata di lotte operaie degli anni ’70 e ’80 (sinistra al governo, sinistra all’opposizione), questi partiti sono stati disponibili per altri compiti, visto che, come sottolinea quel rapporto, dall’inizio degli anni ’90, la questione sociale non è più il fattore decisivo per la formazione dei governi: “(…) c’è un altro fattore che diventa sempre più importante, che diventa un fattore veramente decisivo nella vita politica della borghesia in generale e in particolare nel reclutamento delle formazioni governative: la decomposizione della società borghese che in questi ultimi anni è avanzata in maniera indiscutibile”. Nei fatti, alla fine del 20° secolo e all’inizio del 21° i partiti socialisti o socialdemocratici sono stati impegnati in prima linea per contrastare i primi effetti della decomposizione sull’apparato politico della borghesia (vedi Blair, Schroder, Zapatero, Hollande).
Di conseguenza, essi subiscono non solo l’erosione dei grandi partiti della democrazia dei “30 gloriosi” (i decenni del secondo dopoguerra), come la Democrazia Cristiana (in Italia, Olanda, Belgio e anche in Germania), ma vengono inoltre particolarmente identificati con il fallimento del sistema politico. Da allora la tendenza verso il loro declino sembra irreversibile: il partito socialista è praticamente sparito in Italia, è minacciato di sparizione in Francia, in Olanda o in Grecia, è in crisi profonda in Germania, in Spagna o in Belgio. Solo il Labour Party sembra sfuggire per il momento a questa tendenza in Gran Bretagna, ma non tanto per una rivitalizzazione da parte della borghesia dell’opposizione destra/sinistra. E’ possibile che il Labour profitti del fatto che, di fronte alla lacerazione del partito conservatore a causa della spina populista intorno alla Brexit, la borghesia conti di puntare su di esso in caso di esplosione dei Tories.
In alcuni paesi sono apparse nuove formazioni di sinistra popolare radicali di diverso tipo: Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, “La France insoumise” in Francia, la corrente dei democratici socialisti all’interno del Partito Democratico negli USA, che ha raccolto sulla scia della candidatura di Sanders alle primarie un numero considerevole di giovani, ecc. Queste diverse alternative al fallimento della socialdemocrazia che la borghesia mette in campo, forniscono degli indizi dell’impatto della decomposizione e del populismo sulla classe operaia, del peso delle sconfitte subite e del livello di coscienza nei diversi paesi industrializzati oggi. In Italia, uno dei paesi in cui la classe operaia era all’avanguardia nelle lotte degli anni ’70 e ’80, la “alternativa di sinistra” proposta è il M5S, un movimento populista che d’altra parte si dichiara “né di destra, né di sinistra”, e questo sottolinea l’importanza della sconfitta ideologica subita dal proletariato italiano. In Germania l’alternativa non è veramente costituita dagli ex stalinisti di “Die Linke”, ma piuttosto dai verdi, cosa che riflette ancora lo stato di spirito della classe operaia e l’indebolimento del sentimento di identità di classe. In Francia e in Spagna le alternative messe in campo si situano esplicitamente a sinistra, sviluppano un discorso più “operaio” e pretendono di situarsi su un terreno proletario, anche se esse si presentano, se necessario, disponibili al buon funzionamento dell’apparato politico borghese (Syriza in Grecia per implementare la feroce austerità imposta dalla UE; Podemos in Spagna per fornire l’appoggio necessario ad assicurare una stabilità al governo centrale). In questo senso non possiamo considerarli come dei partiti populisti di sinistra.
5. L’emergere di “leader forti” nei paesi dell’Europa dell’Est e della periferia
L’ondata populista non si limita ai paesi industrializzati d’occidente, ma tocca anche una serie di paesi dell’Europa dell’Est e di paesi “emergenti”, dove si manifesta con fenomeni specifici, come l’avvento di “leader forti”. La destabilizzazione economica causata dalla crisi del 2008 da una parte e gli enormi scandali per corruzione che toccano le formazioni politiche dall’altra, provocano, in una serie di paesi, come Polonia, Ungheria, Turchia…, un risentimento e un’esasperazione nella popolazione. Questi sentimenti sono recuperati da delle forze populiste attraverso dei movimenti reazionari che portano all’avvento di “uomini forti”, di leader carismatici come Orban, Kaczynski, Erdogan o Bolsonaro e, già da un certo tempo, Putin.
Mentre gli anni ‘90 e anche l’inizio del 21° secolo erano stati caratterizzati da una “apertura democratica” in un buon numero di paesi (come anche in Russia o in Cina), questi dirigenti “forti” esternano il loro disprezzo delle élite “liberali”, del gioco politico “democratico” tradizionale e di una stampa “indipendente”, a favore di un regime autoritario, nazionalista e sovranista, che rigetta immigrati e minoranze che potrebbero alterare la coesione nazionale. “Il 26 luglio 2014, in Romania, Orban manifesta chiaramente il suo pensiero in un roboante discorso: ‘(…) Noi pensiamo che una democrazia non deve essere necessariamente liberale e che non è perché uno Stato cessa di essere liberale che esso cessa di essere democratico (…) Le società che hanno un assetto di democrazia liberale saranno probabilmente incapaci di mantenere la loro competitività nei prossimi anni (…)’ Annuncia anche un progetto economico, quello di ‘costruire una nazione concorrenziale nella grande competizione mondiale dei decenni a venire’” (Le Monde diplomatique, settembre 2018). E’ l’idea che esistono diversi modelli di democrazia, un’idea che si ritrova in una certa maniera anche nel modello della Russia di Putin o nell’applicazione del modello Singaporiano da parte della Cina.
La caccia alle élite corrotte (dai giudici polacchi agli oligarchi russi, passando per i burocrati europei, i partigiani del movimento Gulen turco o quelli del PT brasiliano) va di pari con un nazionalismo xenofobo che si focalizza sul rigetto dello straniero (i rifugiati del Medio oriente o d’Africa, i Venezuelani) o delle minoranze (con Erdogan che accentua il suo linguaggio anticurdo, Orban che prende di mira i Rom e Putin i ceceni).
Apparentemente la Cina presenta una certa serenità, ma le tensioni politiche non mancano, nonostante il notevole sviluppo economico e militare. Dalla fine degli anni ’70, la Cina ha abbandonato la sua economia essenzialmente autarchica per sviluppare, sul modello giapponese o singaporiano, un’economia gradualmente integrata ai mercati regionali e poi a quelli globali. Questa linea politica, voluta da Deng Xioping non è stata mantenuta senza scosse e lotte politiche, come illustrato dagli avvenimenti di Tienanmen e ancora verso il 2003, ma essa è stata accentuata tra il 2003 e il 2013 dal presidente Hu Jintao. Questo orientamento necessitava dello stabilirsi di relazioni pacifiche con gli Stati Uniti: nel 1992 veniva firmato un protocollo d’intesa che accoglieva le richieste americane in tema di tariffe doganali e di proprietà dei diritti di proprietà intellettuale. Era anche accompagnata da un’ondata di democratizzazione negli anni ’80 e ’90, con tuttavia delle limitazioni dopo Tienanmen.
L’arrivo al potere di Xi Jinping mostra un certo riorientamento della politica cinese che sul piano politico si esprime, come in altri paesi, con uno scivolamento verso il potere nelle mani di un leader forte. Xi è presentato come uguale a Mao. Questo riorientamento è il frutto di un certo numero di fattori:
- Il vigoroso sviluppo economico della Cina, che va di pari passo con una affermazione più spinta di espansione internazionale (la nuova “via della seta”);
- Esso si accompagna con delle manifestazioni più esplicite di nazionalismo e con uno sviluppo impressionante della sua forza militare, mentre gli Stati Uniti sviluppano un atteggiamento sempre più aggressivo verso la Cina;
- La mutazione supersonica dell’economia cinese che, tra l’altro, “ha generato profonde fratture spaziali e sociali e importanti danni ambientali.(…) Il coefficiente di Gini, che misura la diversificazione dei redditi e quindi del grado di disuguaglianza delle società, è passato da 0,16 all’inizio della transizione postmaoista a una media di 0,4 dalla fine degli anni 90 (l’indice è di 0,27 in Svezia, 0,32 in Francia, 0,34 in Gran Bretagna e 0,4 negli Stati Uniti)” (Le Monde Diplomatique, dicembre 2017).
In questo contesto, in seno al partito sembrano esistere oggi due tendenze: una tendenza economista e una tendenza nazionalista. Con Xi quest’ultima sembra predominante (“Nessuno si aspetti che la Cina ingoi bocconi amari a scapito dei suoi interessi) (19° Congresso del PCC, 18.10.2017) ma sembra che ci siano discussioni nel partito tra una frazione che tende a voler fare delle concessioni agli Stati Uniti (secondo la concezione di Deng Xiaoping “nascondere le proprie qualità e aspettare la propria ora”) e una per la linea dura di confronto con gli Stati Uniti. Xi sembra appartenere a quest’ultima: “affermarsi sulla scena internazionale come numero uno di un ‘grande paese’ – secondo la sua espressione – trattando da pari a pari con gli Stati Uniti” (Le Monde Diplomatique, ottobre 2018).
Come il Rapporto sulla decomposizione del 22° Congresso della CCI ricordava, la decomposizione, di cui il populismo è una delle espressioni più significative, è un fattore decisivo nell’evoluzione della società ed è un processo irreversibile. Anche se il populismo non è il risultato di una volontà politica deliberata dei settori dominanti della borghesia, questi non hanno potuto evitare che il suo impatto sul loro apparato politico prendesse una tale ampiezza da comportare una perdita di controllo su questo apparato e degli scossoni che caratterizzeranno più che mai la vita politica della borghesia nei prossimi periodi.
1. Queste convulsioni dell’apparato politico della borghesia sono chiaramente diverse dalle varie crisi politiche che la borghesia ha potuto conoscere negli anni ’60, ’70 e ’80. Il loro contesto è radicalmente differente: prima degli anni novanta, le crisi politiche della borghesia erano legate o all’incapacità a fare fronte alla classe operaia o alle conseguenze di confronti imperialisti (crisi di Suez in Gran Bretagna e in Francia, crisi algerina in Francia, trattato di Maastricht in Francia e in Olanda, ecc.) ed erano gestiti in seno all’apparato politico.
La crisi attuale riguarda invece proprio la perdita di controllo sull’apparato politico da parte della borghesia. L’avevamo già messo in evidenza nell’ultimo rapporto sulla vita della borghesia (17° congresso della CCI, 2007): “La borghesia dei paesi più sviluppati d’Europa, del Giappone e degli Stati Uniti, una volta maestra nell’arte sottile della manipolazione elettorale, incontra oggi delle crescenti difficoltà nell’ottenere il minimo risultato auspicato”. Le inverosimili convulsioni politiche che toccano le borghesie inglesi, americana e tedesca, le tre borghesie più esperte nel passato a giostrare con maestria il gioco politico, illustrano perfettamente la gravità del problema.
I movimenti populisti si formano intorno a tematiche ricorrenti come quelle dei rifugiati, della sicurezza, del risentimento delle persone più colpite dalla crisi economica, ma si alimentano anche con delle tensioni specifiche delle proprie borghesie nazionali: disorientamento della borghesia americana di fonte all’indebolimento della loro leadership mondiale, ambiguità della borghesia britannica di fronte all’Europa, divisioni tra frazioni regionaliste e nazionaliste in seno alla borghesia spagnola o belga, e così via.
2. Allo stesso tempo che l’accentuazione della pressione del populismo getta l’apparato politico tradizionale della borghesia nel caos, questi movimenti tendono a beneficiare oggi in diversi paesi – e non solo i paesi dell’Europa dell’est ma anche, per esempio, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – del sostegno di frazioni della grande borghesia. Così, negli Stati Uniti, non solo i settori della siderurgia o dell’automobile possono sostenere la politica protezionista di Trump, ma anche il settore High Tech contro la crescita della potenza di compagnie cinesi, come Hawei o Alibaba, che minacciano il loro dominio nel mondo. Altri settori della Silicon Valley possono essere favorevoli ad un riavvicinamento con la Russia.
3. Il populismo è la politica della strada. Nei fatti, se i partiti e i movimenti populisti generano una evidente energia militante, a differenza dei partiti tradizionali, è perché essi non rispettano più i tabù e permettono quindi l’espressione di ogni pregiudizio.
Le campagne populiste, marcate dalla collera e dal risentimento, denigrano il mondo politico tradizionale e le élite e individuano dei colpevoli per le cose che non vanno. Esse spingono a stigmatizzare gruppi ed individui, a sviluppare una tendenza verso la loro demonizzazione, cosa che già si manifesta e che si manifesterà sempre più frequentemente ed esplicitamente in diverse forme: attacchi contro dei centri di accoglienza per rifugiati in Germania; lettere con una polvere sospetta indirizzate a Trump e ad altri membri della sua amministrazione durante la campagna per le elezioni di medio termine, mentre dei pacchetti trappola venivano inviati a dei parlamentari democratici, ai mezzi di informazione (CNN) o ancora ad esponenti delle elite (Soros); attentato antisemita perpetratoda un suprematista bianco a Pittsburgh; tentativo di uccisione del candidato alla presidenza Bolsonaro in Brasile e, di ritorno, le minacce dello stesso Bolsonaro contro il PT e altri movimenti di sinistra; polarizzazione dei “gilet gialli” sulla figura di Macron, e così via.
4. Contrariamente alle prime espressioni del populismo (Haider, Berlusconi…) che difendevano una politica economica ultraliberale, i partiti populisti attuali portano avanti piuttosto una politica volta a proteggere la popolazione autoctona (“prima gli italiani”, i “veri finlandesi”, il “Eigen volk eerst” (innanzitutto il proprio popolo) dei populisti fiamminghi, ecc.) discriminando apertamente gli altri. Questo può implicare un protezionismo economico o la promozione di una forma di politica neokeynesiana patriottica: Trump ha la pretesa di difendere i lavoratori americani e il loro lavoro contro “l’invasione” di immigrati messicani e centroamericani ma anche dei prodotti stranieri; i governi polacco o ungherese prendono misure di protezione per i loro salariati e pensionati mentre si oppongono ad ogni quota di rifugiati in nome della difesa dell’integrità culturale della nazione; il governo Lega-M5S in Italia mette in piedi una politica intransigente e dura contro l’accoglienza di rifugiati mentre pianifica un reddito di cittadinanza per i cittadini italiani e l’anticipo dell’età di pensionamento da 67 a 62 anni. Questo tipo di politica appare come più “realista” rispetto a quella della sinistra, nella misura in cui la salvaguardia dei vantaggi degli oppressi autoctoni si fa a detrimento di quelli di altri oppressi.
Recenti avvenimenti in Russia ed in Ungheria mettono in evidenza che non bisogna sottostimare l’importanza di una tale politica “sociale” patriottica per la credibilità dei movimenti populisti e dei “leader forti”. In Russia, per esempio, la riforma delle pensioni, che Putin e il suo governo hanno fatto passare profittando della campagna mediatica sulla Coppa del Mondo di calcio, che prevede il passaggio dell’età pensionabile da 55 a 63 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini, ha provocato forti proteste e una diminuzione del tasso di popolarità di Putin dall’80 al 63%. Quindi questi ha dovuto immediatamente addolcire le misure e annunciare una forte rivalutazione delle pensioni, senza riuscire tuttavia a convincere completamente, visto che la sua popolarità è proprio basata sul fatto che, restaurando il controllo dello Stato sugli oligarchi, era riuscito a garantire un pagamento regolare dei salari e della pensioni.
In Ungheria ci sono state importanti manifestazioni contro la legge “schiavista” del governo Orban, che abolisce quasi totalmente la retribuzione delle ore di straordinario.
5. In risposta all’avanzare del populismo, la borghesia ha messo in piedi delle campagne antipopuliste, per esempio in Francia durante la campagna elettorale del 2017 negli USA dove l’opposizione populismo/antipopulismo è al centro della vita politica dopo l’elezione, come si è visto anche con le elezioni di medio termine. Spesso, pur opponendosi al populismo, queste campagne di ispirano e riprendono largamente le idee populiste:
- In Francia, la campagna per l’elezione di Macron ha utilizzato le stesse strategie del populismo: rigetto dei partiti tradizionali, uomo “nuovo” (Macron) e “movimento” politico (LREM) presentati come una rottura con il passato, …;
- Avanzando come priorità la necessità di eliminare il terrorismo ed assicurare la sicurezza pubblica del cittadino (controlli rafforzati, moltiplicazione di telecamere…), si istilla anche l’idea che è inevitabile accettare di sacrificare un po’ di libertà per avere più sicurezza;
- Lafontaine in Germania e Podemos in Spagna combattono il populismo traducendo il suo discorso in una versione di “sinistra”: creando un’opposizione fra una sinistra che preconizza “frontiere aperte” e un’altra sinistra che sostiene invece “frontiere chiuse ed aiuti a casa loro”, essi integrano gli argomenti populisti nel seno stesso del discorso antipopulista.
CCI, gennaio 2019
[1] Vedi CCI on line: https://it.internationalism.org/cci/201612/1372/sul-problema-del-populismo [20]
La CCI ha adottato le Tesi sulla decomposizione[1] più di 25 anni fa. Da quel momento, quest'analisi dell'attuale fase della vita della società è diventata un elemento centrale nella comprensione da parte della nostra organizzazione di come il mondo stia evolvendo. Il seguente documento è un aggiornamento delle tesi sulla decomposizione alla luce dell'evoluzione della situazione mondiale nell'ultimo quarto di secolo, e in particolare di quest'ultimo periodo.
In termini concreti, dobbiamo confrontare i punti essenziali delle tesi con la situazione attuale: fino a che punto gli aspetti proposti si sono verificati, o anche amplificati, o sono stati negati o devono essere completati. Un approccio così sistematico è tanto più necessario perché tra gli effetti del periodo di decomposizione, a causa della stessa natura di quest'ultima, i rivoluzionari sono costretti a confrontarsi costantemente con un fenomeno che pesa sull'intera società, "il rifiuto di un pensiero razionale, coerente e costruttivo, che non esclude anche alcuni campi "scientifici" (Tesi 8), ciò che spiega in parte il motivo per cui questa questione non sia compresa dalla maggior parte dei gruppi che si rivendicano alla Sinistra comunista. In particolare, l'attuale situazione globale ci impone di ritornare su tre questioni di primaria importanza:
- terrorismo
- rifugiati
- l'ascesa del populismo come manifestazione della perdita di controllo da parte della borghesia del suo gioco politico.
“ (…) è ugualmente indispensabile mettere in evidenza la differenza fondamentale che esiste tra gli elementi di decomposizione che hanno intaccato il capitalismo dall’inizio del secolo e la decomposizione generalizzata nella quale sprofonda attualmente questo sistema e che non potrà che aggravarsi ulteriormente. Anche qui, al di là dell’aspetto strettamente quantitativo, il fenomeno della decomposizione sociale raggiunge oggi una tale profondità e una tale estensione da acquistare una qualità nuova e singolare manifestando l’entrata del capitalismo decadente in una fase specifica, la fase ultima della sua storia, quella in cui la decomposizione diviene un fattore, se non il fattore decisivo dell’evoluzione della società." (Punto 2)"
“Concretamente, non solo nella fase di decomposizione restano la natura imperialista di tutti gli Stati, la minaccia di guerra mondiale, l’assorbimento della società civile da parte del Moloch statale, la crisi permanente dell’economia capitalista, ma addirittura questa fase rappresenta la conseguenza ultima, la sintesi completa di tutti questi elementi. " (Punto 3).
"In una tale situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si confrontano senza riuscire ad imporre la loro propria risposta decisiva, la storia non può attendere fermandosi. Ancor meno che per gli altri modi di produzione che lo hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo congelare la situazione, la vita sociale. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l’incapacità della borghesia di offrire la minima prospettiva per l’insieme della società così come l’incapacità del proletariato di affermare apertamente la propria prospettiva nell’immediato non possono che sfociare in un fenomeno di decomposizione generalizzata, di incancrenimento generale della società.” (Punto 4).
"In effetti nessun modo di produzione è capace di vivere e svilupparsi, assicurare la coesione sociale, se non è capace di presentare una prospettiva all’insieme della società da esso dominata. E ciò è particolarmente valido per il capitalismo in quanto rappresenta il modo di produzione più dinamico della storia." (Punto 5).
"... in una situazione storica in cui la classe operaia non è ancora capace di ingaggiare immediatamente la lotta per la propria prospettiva, la sola che sia veramente realista, la rivoluzione comunista, e mentre la borghesia a sua volta risulta incapace di proporre una qualsivoglia prospettiva, anche a breve termine, la capacità che quest’ultima ha testimoniato in passato, nel corso stesso del periodo di decadenza, di limitare e controllare il fenomeno della decomposizione, non può che ridursi drasticamente con l’avanzare della crisi ". (Punto 5)
Per cominciare, dobbiamo insistere su di un aspetto essenziale della nostra analisi: il termine "decomposizione" viene utilizzato in due modi diversi. Da un lato, si applica a un fenomeno che colpisce la società, in particolare nel periodo di decadenza del capitalismo e, dall'altro, designa una particolare fase storica di quest'ultima, la sua fase finale:
"(...) il fenomeno della decomposizione sociale raggiunge oggi una tale profondità ed una tale estensione da acquisire una nuova e singolare qualità che manifesta l'ingresso del capitalismo decadente in una fase specifica - la fase finale - della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non quello decisivo, dell'evoluzione della società".
Alla base della nostra analisi della decomposizione c'è la costatazione di questa situazione inedita in cui nessuna delle due classi principali della società, la borghesia e il proletariato, è in grado di dare la propria risposta alla crisi dell'economia capitalista, guerra mondiale o rivoluzione comunista. Anche se ci fosse un cambiamento nell'equilibrio delle forze tra le classi, se per esempio la borghesia si stesse muovendo verso una nuova guerra generalizzata o se il proletariato si ingaggiasse in lotte tali da aprire una prospettiva rivoluzionaria, ciò non significherebbe che questo periodo di decomposizione della società sia stato superato (come afferma stupidamente il GIGC per esempio). Il processo di decomposizione della società è irreversibile perché corrisponde alla fase agonizzante della società capitalista. Nel caso di un cambio in questo equilibrio, l'unica cosa che potrebbe succedere, sarebbe un rallentamento di questo processo, ma non certamente un suo "ritorno indietro". Ad ogni modo, un tale cambio di equilibrio non è avvenuto. Durante l'ultimo quarto di secolo, il proletariato mondiale nel suo insieme è stato assolutamente incapace di darsi anche approssimativamente una prospettiva per rovesciare l'ordine esistente. Al contrario, abbiamo piuttosto assistito a una regressione della sua combattività e della sua capacità di schierare l'arma fondamentale della sua lotta, la solidarietà.
Allo stesso modo, la borghesia non è riuscita a darsi una prospettiva reale tranne quella di "salvare il salvabile" della sua economia procedendo alla giornata (Tesi, punto 9). A seguito del crollo del blocco dell'Est, l'economia mondiale ha sembrato conoscere, dopo un periodo di instabilità in quest'area, una significativa attenuazione della sua crisi. In particolare, abbiamo visto l'emergere dei BRICS (Brasile - Russia - India - Cina - Sudafrica) con tassi di crescita impressionanti. Tuttavia, la bella euforia della borghesia mondiale, che credeva che la sua economia stesse ripartendo come durante i "30 gloriosi" [gli anni del secondo dopoguerra, ndr], è stata crudelmente raffreddata dagli sconvolgimenti del 2007-2008 che hanno messo in luce la fragilità del settore finanziario e fatto aleggiare la minaccia di una depressione simile a quella degli anni ‘30. La borghesia mondiale è riuscita a limitare il danno, in particolare con la massiccia immissione di fondi pubblici nell'economia, ciò che ha portato a un'esplosione dei debiti sovrani e causato in particolare la crisi dell'Euro nel periodo 2010-2013. Allo stesso tempo, il tasso di crescita della prima economia mondiale è rimasto a un livello inferiore rispetto a quello di prima del 2007, nonostante i tassi di interesse fossero praticamente pari a zero. Per quanto riguarda i BRICS così tanto elogiati, ora si sono ridotti a ICS poiché il Brasile e la Russia stanno affrontando un drammatico rallentamento di crescita, se non addirittura di recessione. Ciò che prevale oggi nella classe dominante non è l'euforia, la convinzione in un "domani radioso", ma l'oscurità e l'inquietudine, e ciò certamente non dà all'insieme della società la sensazione di un "possibile futuro migliore", specialmente agli sfruttati le cui condizioni di vita non cessano di degradare.
Pertanto, le condizioni storiche che sono state all'origine di questa fase di decomposizione non solo sono state mantenute, ma sono peggiorate, il che ha comportato un peggioramento della maggior parte delle manifestazioni di decomposizione.
Per comprendere meglio un tale aggravamento, è importante ricordare - come sottolinea il punto 2 delle Tesi - che noi stiamo parlando dell'epoca o della fase di decomposizione e non semplicemente di "manifestazioni di decomposizione".
Il punto 1 delle tesi insiste sul fatto che esiste una differenza cruciale tra la decadenza del capitalismo e la decadenza di altri modi di produzione che lo hanno preceduto. Sottolineare questa differenza è importante in relazione alla questione che costituisce la chiave della decomposizione: la prospettiva. Per limitarsi alla decadenza del feudalesimo, quest'ultima fu limitata dall'emergere "in parallelo" dei rapporti capitalisti e dall'ascesa graduale e parziale della classe borghese. La decomposizione di una serie di forme economiche, sociali, ideologiche e politiche della società feudale è stata in qualche modo mitigata dalla strumentalizzazione da parte di quest'ultima (non necessariamente con una reale coscienza) del nuovo modo di produzione emergente. Possiamo dare due esempi: la monarchia assoluta è servita in alcuni paesi per lo sviluppo economico del capitale, contribuendo alla formazione di un mercato nazionale; la visione religiosa della "purificazione del corpo" – supposto essere il covo del diavolo - aveva un'utilità nell'accumulazione primitiva del capitale per la crescita del tasso di natalità e per imporre la disciplina ai futuri proletari.
Ecco perché, nella decadenza del feudalesimo, potevano esserci manifestazioni di decomposizione sociale più o meno avanzate, ma non sarebbe potuta esistere un'epoca specifica di decomposizione. Nella storia umana alcune civiltà molto isolate sono finite in una completa decomposizione che ha portato alla loro scomparsa. Tuttavia, solo il capitalismo può avere nella sua decadenza un'epoca globale di decomposizione, come fenomeno storico e mondiale.
Le tesi del 1990 indicavano le principali manifestazioni sociali di decomposizione:
"- la moltiplicazione di carestie che avvengono nei paesi del ‘terzo mondo’(...)
Le cifre ufficiali della FAO mostrano un abbassamento dei tassi di denutrizione dagli anni 1990. Tuttavia, ci sono ancora quasi un miliardo di persone che sono vittime della denutrizione. Questa tragedia colpisce principalmente l'Asia del Sud e soprattutto l'Africa sub-sahariana dove, in alcune regioni, quasi la metà della popolazione soffre la fame, in particolare i bambini, con conseguenze drammatiche per la loro crescita e il loro sviluppo. Mentre la tecnologia ha portato a fenomenali aumenti della produttività, anche nel settore agricolo, mentre gli agricoltori in molti paesi non riescono a vendere i loro prodotti, la fame per centinaia di milioni di persone continua a costituire quel flagello proveniente dai peggiori periodi della storia umana. E se non colpisce i paesi ricchi, è perché lo Stato è ancora in grado di nutrire i suoi poveri. Infatti, 50 milioni di persone negli Stati Uniti ricevono buoni alimentari.
Oggi più di un miliardo di esseri umani vivono in bidonville e la cifra non ha fatto che crescere dal 1990. In pratica la “trasformazione del Terzo Mondo in una immensa bidonville si è pienamente verificata, al punto che il rapporto Global Risks presentato al forum di Davos nel 2015 considera per la prima volta “l’urbanizzazione rapida e incontrollata” tra i rischi maggiori che minacciano il pianeta, constatando in particolare che a scala mondiale “il 40% della crescita urbana si fa nelle bidonville”, il che significa che questa proporzione è molto più elevata nei paesi sottosvilupppati.
E questo fenomeno di sviluppo delle baraccopoli tende a diffondersi nei paesi più ricchi, in varie forme: dai milioni di americani che hanno perso la casa durante la crisi dei "subprime" vanno a gonfiare le schiere di persone senza fissa dimora già esistenti, ai campi Rom o di rifugiati nelle periferie di molte città in europee, e persino nel loro centro ... E anche tra coloro che hanno un alloggio permanente, decine di milioni di essi vivono in veri e proprio tuguri. Nel 2015 il 17,4% della popolazione dell'Unione Europea viveva in abitazioni sovraffollate, il 15,7% delle case aveva infiltrazioni o si deteriorava e il 10,8% soffriva il freddo nella propria casa. E questo non solo nei paesi europei poveri, ma anche in Germania, dove queste cifre raggiungevano rispettivamente il 6,7%, 13,1% e 5,3% e, nel Regno Unito, dell'8%, 15,9% e 10,6%.
Per quanto riguarda i disastri "accidentali", potremmo citare numerosi esempi negli ultimi 25 anni. Basti ricordarne due tra i più spettacolari e drammatici che hanno colpito non i paesi del Terzo mondo, ma le due potenze economiche più sviluppate: le alluvioni di New Orleans nell'agosto 2005 (quasi 2000 morti, una città svuotata dei suoi abitanti) e il disastro di Fukushima nel marzo 2011 (che è dello stesso livello di quello di Chernobyl nel 1986).
Per quanto riguarda "il degrado dell'ambiente che raggiunge proporzioni sconcertanti", eravamo ancora lontani, quando è stata scritta questa frase, dai risultati e previsioni che ora sono unanimi nella comunità scientifica e che la maggior parte dei settori borghesi di tutti i paesi hanno preso a loro conto (anche se la classe dirigente non è in grado di attuare le misure necessarie a causa delle leggi stesse del capitalismo). L'elenco delle catastrofi è lungo non solo per quelle che cadranno sull'umanità a causa della distruzione dell'ambiente, ma anche per quelle che in questo momento ci stanno colpendo: inquinamento atmosferico delle città e delle acque oceaniche, cambiamento climatico con fenomeni meteorologici sempre più violenti, desertificazione avanzata, accelerazione della scomparsa di specie animali e vegetali che minaccia sempre più l'equilibrio biologico del nostro pianeta (per esempio la scomparsa delle api è una minaccia per le nostre risorse alimentari).
" l'incredibile corruzione che cresce e prospera nell'apparato politico (...)
Tutti questi aspetti sono stati confermati e si sono persino aggravati. Tralasciando temporaneamente quelli relativi ai punti che tratteremo in particolare dopo (terrorismo, questione dei rifugiati e aumento del populismo), si può notare, ad esempio, che la violenza e la criminalità urbana hanno conosciuto un'esplosione in molti paesi dell'America Latina e anche nei sobborghi di alcune città europee, in parte in relazione al traffico di droga, ma non solo. Per quanto riguarda questo traffico e l'enorme peso che ha assunto nella società, anche a livello economico, possiamo dire che corrisponde all'esistenza di un "mercato" in continua espansione a causa del crescente malessere e della disperazione che colpisce tutti i segmenti della popolazione. Per quanto riguarda la corruzione e tutte le manipolazioni costituenti la "delinquenza dei colletti bianchi", questi ultimi anni non sono stati avari di scoperte (come quelle dei "Panama Papers" che sono solo una piccola punta dell'iceberg del gangsterismo che finanzia sempre più la finanza). Per quanto riguarda la venalità delle creazioni artistiche, possiamo citare la recente attribuzione del Premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan, simbolo artistico della rivolta degli anni '60, ma se ne potrebbero trovare molte altre. Infine, la distruzione delle relazioni umane, dei legami familiari e delle affettività non ha fatto che aggravarsi come evidenziato dal consumo di antidepressivi, dall'esplosione della sofferenza psichica sul lavoro, l'apparizione di nuovi mestieri destinati ad "istruire" le persone, così come vere e proprie ecatombi come quello dell'estate 2003 in Francia, dove 15.000 anziani morirono durante l'ondata di caldo.
Ovviamente, questa non è una nuova questione, né nella storia, né nelle analisi della CCI (vedi ad esempio i testi "Terrore, terrorismo e violenza di classe" pubblicati nei numeri 14 e 15 della Révue Internationale).
Detto ciò, è importante ricordare che è a partire dagli attentati di Parigi nel 1985 che il nostro compagno MC aveva avviato la riflessione sulla decomposizione. Le tesi analizzano, come particolarmente significativo dell'ingresso del capitalismo nella fase di decomposizione: " lo sviluppo del terrorismo, delle prese di ostaggi, come mezzo di guerra tra Stati, a dispetto delle ‘leggi’ che il capitalismo si era dotato per ‘regolamentare’ i conflitti tra le frazioni della classe dominante ".
È necessario rilevare quanto sia diventata importante questa questione nella vita del capitalismo. Oggi, il terrorismo come strumento di guerra tra Stati ha acquisito una posizione centrale nella vita sociale. Abbiamo persino visto la costituzione di un nuovo stato, Daesh, con il suo esercito, la sua polizia, la sua amministrazione, le sue scuole, di cui il terrorismo è l'arma prediletta.
La crescita quantitativa e qualitativa dello scenario terroristico ha compiuto un passo decisivo 15 anni fa con l'attacco alle Torri Gemelle, ed è stata la prima potenza mondiale ad aprirgli deliberatamente le porte per giustificare il suo intervento in Afghanistan e in Iraq. Essa ha avuto successivamente conferma con gli attacchi a Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005. La costituzione di Daesh nel 2013-14 e gli attacchi in Francia nel 2015-16, in Belgio e Germania nel 2016 rappresentano un’altra tappa di primo piano di questo processo.
Inoltre, le tesi ci forniscono elementi di spiegazione del crescente fascino dello jihadismo e degli atti suicidi da parte di giovani dei paesi sviluppati:
" lo sviluppo del nichilismo, del suicidio di giovani, della disperazione, dell'odio e della xenofobia (...)
la proliferazione di sette, il rifiorire dello spirito religioso, anche in alcuni paesi avanzati, il rigetto di un pensiero razionale, coerente, logico (...)
il dilagare in questi stessi mezzi di comunicazione di spettacoli di violenza, di orrore, di sangue, di massacri (...)"
Tutti questi aspetti non hanno fatto che rafforzarsi negli ultimi decenni. Colpiscono tutti i settori della società. Così, nel paese più avanzato del mondo, abbiamo assistito, all'interno di uno dei due partiti politici incaricati della gestione degli interessi del capitale nazionale, allo sviluppo di una "destra religiosa" (il "Tea Party"), un movimento che tocca i settori più avvantaggiati della società. Allo stesso modo, in un paese come la Francia, l'adozione del matrimonio omosessuale (che di per sé è stato solo una manovra della sinistra per far dimenticare il tradimento delle sue promesse elettorali e gli attacchi che essa ha portato contro gli sfruttati) ha visto la mobilitazione di milioni di persone, di ogni origine sociale, ma soprattutto borghese e piccolo borghese, che consideravano che tale misura fosse un insulto fatto a Dio. Allo stesso tempo, l'oscurantismo e il fanatismo religioso continuano a crescere tra le fasce più svantaggiate della popolazione, in particolare tra i giovani proletari provenienti dall'immigrazione musulmana, coinvolgendo un numero significativo di giovani "cittadini di seconda generazione". Mai, nelle città europee, sono state visti così tanti veli e persino "burqa" sulla testa di donne musulmane. E che dire dell'atteggiamento di quelle decine di migliaia di giovani che, dopo l'assassinio dei fumettisti del giornale Charlie Hebdo, hanno detto che quest’ultimi se la erano cercata disegnando il "Profeta"?
Questo problema non è affrontato nelle Tesi del 1990. Bisogna aggiungere ad esse un complemento che affronti questa questione.
Negli ultimi anni, le questioni relative ai rifugiati sono diventate centrali nella vita sociale. Nel 2015, oltre 6 milioni di persone sono state costrette a lasciare il loro paese, portando il numero di rifugiati nel mondo a oltre 65 milioni (più della popolazione della Gran Bretagna). A questo numero dobbiamo aggiungere i 40 milioni di persone che sono sfollate all'interno del proprio paese. Si tratta di un fenomeno senza precedenti dopo la seconda guerra mondiale.
Gli spostamenti di popolazioni fanno parte della storia della specie umana, una specie apparsa in una piccola area dell'Africa orientale 200.000 anni fa e che si è diffusa in tutto il mondo, ovunque ci fossero risorse sfruttabili per nutrirsi e far fronte ad altri bisogni fondamentali della vita. Uno dei grandi momenti di questi spostamenti della popolazione è quello della colonizzazione della maggior parte del pianeta da parte delle potenze europee, un fenomeno apparso 500 anni fa e che coincide con l'ascesa del capitalismo (al riguardo vedi le pagine del Manifesto comunista). In generale, i flussi migratori (se in essi possiamo includere mercanti, avventurieri o militari animati dalla conquista) si compongono principalmente di popolazioni che fuggono dal loro paese a causa delle persecuzioni ("i protestanti inglesi "Mayflower", gli ebrei d'Europa dell'Est) o dalla miseria (irlandesi, siciliani). È solo con l'ingresso del capitalismo nel suo periodo di decadenza che si invertono i flussi migratori dominanti. Sempre più spesso sono gli abitanti delle colonie che, scacciati dalla povertà, vengono in cerca di lavoro (generalmente scarsamente qualificato e scarsamente retribuito) nelle metropoli. Un fenomeno che è proseguito dopo le ondate di decolonizzazione che si sono succedute dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni '60. E' stato alla fine degli anni '60 che la crisi aperta dell'economia capitalista, che vede un aumento della disoccupazione nei paesi sviluppati contemporaneamente all'accentuazione della miseria nelle ex colonie, a provocare una crescita significativa dell'immigrazione clandestina. Da allora, la situazione non ha fatto che peggiorare nonostante l'ipocrita retorica della classe dirigente, che trova in questi "migranti privi di documenti" una mano d'opera persino più economica di quella che dispone di documenti.
Pertanto, per diversi decenni, i flussi migratori hanno riguardato principalmente l'emigrazione economica. Ma ciò che è nuovo negli ultimi anni è che la percentuale di immigrati fuggiti dal proprio paese per motivi di guerra o repressione è esplosa, creando una situazione come quella che abbiamo vissuto alla fine della guerra di Spagna o alla fine della seconda guerra mondiale. Anno dopo anno, il numero di rifugiati, che, con ogni mezzo, incluso i più pericolosi, bussa alla porta d'Europa sta aumentando, il che mette alla prova le capacità d'accoglienza dei paesi europei e rende la questione dei rifugiati uno delle maggiori sfide politiche in questi paesi (vedi in seguito la questione sul populismo).
Gli enormi spostamenti di popolazioni non sono fenomeni peculiari della fase di decomposizione. Ma oggi acquisiscono una dimensione che ne fa un elemento singolare di questa decomposizione e possiamo applicare a questo fenomeno ciò che abbiamo detto nel 1990 sulla disoccupazione:
"Di fatto la disoccupazione, che deriva direttamente dalla crisi economica, se non è di per sé una manifestazione di decomposizione, finisce per comportare, in questa particolare fase della decadenza, delle conseguenze che fanno di essa un elemento singolare di questa decomposizione" (Punto 14).
L'anno 2016, con in particolare la "Brexit" a giugno e l'elezione di Donald Trump a capo della principale potenza mondiale a novembre, ma anche una certa affermazione del partito di estrema destra AFD alle elezioni regionali in Germania a settembre, segna un passo di grande importanza nello sviluppo di un fenomeno che fino ad ora non era stato significativo in paesi come la Francia, l'Austria o, in misura minore, l'Italia: l'ascesa dell'estrema destra populista alle elezioni. Un fenomeno che, ovviamente, non è il risultato di una volontà politica voluta dai settori dominanti della borghesia anche se, ovviamente, questi settori sanno come utilizzarlo contro la coscienza del proletariato.
Le tesi del 1990 dicevano:
"Tra le principali caratteristiche della decomposizione della società capitalistica è necessario sottolineare la crescente difficoltà della borghesia a controllare l'evoluzione della situazione a livello politico" (Punto 9).
"Questa tendenza generale per la borghesia alla perdita di controllo della gestione della sua politica, se costituisce uno dei fattori di primo piano del crollo del blocco dell’Est, non potrà che accentuarsi con tale sprofondamento, e ciò a causa:
La prima conseguenza, l'aggravamento della crisi economica derivante dal crollo del blocco orientale, se pur inizialmente verificatosi, non è continuata. Tuttavia, gli altri aspetti sono rimasti validi. Ciò che deve essere sottolineato nella situazione attuale è la piena conferma di quell’aspetto che abbiamo identificato 25 anni fa: la tendenza verso una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante del suo apparato politico.
Ovviamente, questi eventi sono usati da diversi settori della borghesia (in particolare quelli di sinistra) per ravvivare la fiamma dell'antifascismo (principalmente in Germania) per ovvie ragioni storiche. Allo stesso modo in Francia, durante le ultime elezioni regionali del dicembre 2015, abbiamo assistito ad un "Fronte repubblicano" che ha visto il Partito socialista ritirare i suoi candidati e chiedere un voto per la destra per bloccare la strada al Fronte Nazionale. Detto questo, è chiaro che il principale obiettivo delle campagne antifasciste, come la storia ci ha insegnato, la classe operaia, non è attualmente una minaccia o una grande preoccupazione per la borghesia.
In realtà, l'opinione quasi unanime che abbiamo visto nei settori più responsabili della borghesia e dei loro media contro la Brexit, contro l'elezione di Trump, contro l'estrema destra in Germania o contro il Fronte Nazionale in Francia non può non essere considerata come una manovra: le opzioni economiche e politiche sostenute dal populismo non sono affatto un'opzione realistica per la gestione del capitale nazionale (a differenza delle opzioni della sinistra del capitale che propongono un ritorno a soluzioni keynesiane di fronte agli eccessi della globalizzazione ordo-liberale). Se ci si limita al caso europeo, se i governi guidati dai populisti applicassero il loro programma produrrebbero solo una sorta di vandalismo che aggraverebbe ulteriormente l'instabilità che minaccia le istituzioni di questo continente. E tanto più che lo staff politico dei movimenti populisti, se ha acquisito una seria esperienza nel campo della demagogia, non è in alcun modo preparato a farsi carico degli affari di Stato.
Quando abbiamo sviluppato la nostra analisi della decomposizione, abbiamo considerato che questo fenomeno avrebbe influenzato la forma dei conflitti imperialisti (vedi "Militarismo e decomposizione", Rivista Internationale n°17[2]) e anche la presa di coscienza del proletariato. Di contro, abbiamo considerato che non avrebbe avuto un impatto reale sull'evoluzione della crisi del capitalismo. Se l'attuale ascesa del populismo dovesse portare al potere questa corrente in alcuni dei principali paesi d'Europa, potremmo assistere allo sviluppo di un tale impatto della decomposizione.
In effetti, l'ascesa del populismo, se può avere cause specifiche in questo o quel paese (contraccolpo della caduta dello stalinismo in alcuni paesi dell'Europa centrale, effetti della crisi finanziaria del 2007-2008 che ha rovinato e privato della loro casa milioni di americani, ecc.) comporta un elemento comune che è presente nella maggior parte dei paesi avanzati: la profonda perdita di fiducia nelle "élite", cioè i classici partiti al potere (conservatori o progressisti di tipo socialdemocratici) a causa della loro incapacità a ripristinare la salute dell'economia, di arginare l’aumento costante della disoccupazione e della miseria. In questo senso, l'avanzamento del populismo è una sorta di rivolta contro gli attuali dirigenti politici. Una rivolta però che non può sfociare su una prospettiva alternativa al capitalismo. La sola classe che può dare una simile alternativa è il proletariato quando si mobilita sul suo terreno di classe e riesce a prendere coscienza della necessità e possibilità della rivoluzione comunista. Vale per il populismo lo stesso che vale per il fenomeno generale della decomposizione della società che segna l'attuale fase della vita del capitalismo: la loro causa determinante è l'incapacità del proletariato a proporre la sua risposta, la sua alternativa alla crisi del capitalismo. In questa situazione di vuoto, in qualche modo, di perdita di fiducia verso le istituzioni ufficiali della società che non sono più in grado di proteggerla, di perdita di fiducia nel futuro, la tendenza a guardare al passato, a cercare dei capri espiatori responsabili del disastro stanno diventando sempre più forti. In questo senso, l'ascesa del populismo è un fenomeno totalmente tipico del periodo di decomposizione. E ciò, specialmente se trova alleati preziosi nell'ascesa del terrorismo che crea un crescente senso di paura e impotenza e nell'afflusso di rifugiati, col timore che questi ultimi vengano a rubare lavoro agli autoctoni o a nascondere tra loro nuovi terroristi.
Quando abbiamo identificato l'entrata del capitalismo mondiale nella fase acuta della sua crisi economica abbiamo notato che questo sistema inizialmente era riuscito a respingere i suoi più catastrofici effetti sulla periferia, ma abbiamo anche detto che questi effetti sarebbero inevitabilmente tornati al centro come un boomerang. Lo stesso schema si applica alle tre questioni che abbiamo esaminato in modo più dettagliato dato che:
Il terrorismo esiste già su una scala molto più drammatica in alcuni paesi periferici
- questi stessi paesi stanno affrontando la questione dei rifugiati in un modo molto più massiccio che nei paesi centrali
- questi paesi si caratterizzano anche per le convulsioni del loro apparato politico.
Se oggi, nei paesi centrali, assistiamo a questo ritorno di boomerang è perché la società umana ha fatto un ulteriore passo avanti di sprofondamento nella sua decomposizione.
Una delle ragioni della difficoltà che incontra il proletariato, e soprattutto la sua avanguardia, a definire e comprendere questa epoca di decomposizione e armarsi contro di essa, è proprio la stessa natura della decomposizione come fase storica.
Il processo di decomposizione che imprime il suo marchio nel presente periodo storico è un fenomeno che avanza in modo molto subdolo. Nella misura in cui colpisce le basi più profonde della vita sociale e si manifesta attraverso una putrefazione delle più radicate relazioni sociali, non ha necessariamente un'espressione unica e indiscutibile come lo sono stati, per esempio, lo scoppio della guerra mondiale o i tentativi rivoluzionari. Esso è espresso piuttosto da una proliferazione di fenomeni senza apparente relazione tra di loro.
Di per sé, alcuni dei fenomeni che possono identificare la decomposizione non sono nuovi, ognuno è legato alle fasi precedenti della decadenza capitalista. Ad esempio, stiamo assistendo a una continuazione delle guerre imperialiste. Tuttavia, all'interno di questa continuità troviamo il ciascuno per sé e in particolare "lo sviluppo del terrorismo, la presa di ostaggi, come mezzo di guerra tra Stati, a scapito delle "leggi" che il capitalismo si era dato in passato per "regolare" i conflitti tra le frazioni della classe dominante "(Tesi 8). Questi elementi appaiono "confusi" nel campo delle caratteristiche classiche e generali della guerra imperialista, rendendoli difficili da identificare. Uno sguardo superficiale non li percepisce. È la stessa cosa a livello dell'apparato politico della borghesia (per esempio, l'emergere del populismo può essere collegato, erroneamente, ad un ritorno del fenomeno del fascismo tra le due guerre).
Il fatto che le due classi fondamentali della società (il proletariato e la borghesia) non siano in grado di dare una loro prospettiva favorisce la mancanza di una visione globale, un adattamento passivo all’esistente. Ciò favorisce le grette visioni piccolo-borghesi, cieche, disorientate e senza avvenire. Possiamo dire che la decomposizione costituisce di per sé un potente fattore di annientamento della coscienza della sua realtà. Ciò è molto pericoloso per il proletariato. Ma essa produce anche una cecità della borghesia, in maniera tale che la decomposizione, a causa della difficoltà ad essere riconosciuta, produce un fenomeno cumulativo che si sviluppa a spirale a livello dei suoi effetti.
Infine, due tendenze peculiari del capitalismo aggravano ulteriormente questa difficoltà nel riconoscere la decomposizione e le sue conseguenze:
il capitalismo è il modo di produzione più dinamico della storia (Tesi 5) e "la borghesia non può esistere senza rivoluzionare costantemente i mezzi di produzione, ovvero i rapporti di produzione, vale a dire l'insieme dei rapporti sociali" (Manifesto comunista). Ciò dà l'impressione di una "modernità" permanente, di una società che, nonostante tutto, "progredisce" e si sviluppa. Una delle conseguenze di ciò è che la decomposizione non si manifesta uniformemente in tutti i paesi. È più attenuata in Cina o in altri paesi asiatici. D'altra parte, assume una forma molto più estrema in altre parti del mondo, ad esempio in Africa o in alcuni paesi dell'America Latina. Tutto ciò tende a "mascherare" la decomposizione. Si potrebbe dire che l'odore nauseabondo che essa produce è attenuato dal profumo seducente della "modernità".
Nei paesi più sviluppati, la borghesia, con lo sviluppo del capitalismo di Stato, è ancora in grado di produrre alcune controtendenze per limitare gli effetti della decomposizione. Abbiamo visto un esempio nel caso della Brexit in cui la borghesia britannica si è rapidamente organizzata per limitare i danni.
Al loro punto 13, le Tesi affrontano questa questione nei seguenti termini:
"I diversi elementi che costituiscono la forza del proletariato si scontrano direttamente con i diversi aspetti di questa decomposizione ideologica:
Le esperienze di lotta degli ultimi 25 anni hanno ampiamente confermato queste analisi. In particolare, quando esaminiamo i due più avanzati movimenti di lotta dell'intero periodo: il movimento anti-CPE nel 2006 in Francia e il movimento degli Indignados in Spagna nel 2011. È vero che la solidarietà è stata al centro di questi due movimenti, come lo è stata al centro di esperienze più limitate - ad esempio, la mobilitazione contro la riforma delle pensioni in Francia nel 2003 o lo sciopero della metropolitana a New York nel 2005. Tuttavia, questi eventi sono rimasti isolati e, al di là di una simpatia piuttosto passiva, non hanno suscitato una mobilitazione generale della classe.
L'azione collettiva e di solidarietà, una delle caratteristiche fondamentali della lotta proletaria, ha avuto molte più difficoltà che in passato ad esprimersi, nonostante la gravità degli attacchi alla classe operaia, come per esempio i licenziamenti. È anche vero che l'intimidazione esercitata dalla crisi provoca un temporaneo riflusso della combattività; tuttavia, il fatto che un tale riflusso sia stato quasi permanente ci obbliga a capire che questo fattore, pur giocando un certo ruolo, non è l'unico, e a considerare l'importanza di ciò che dice la Tesi 13, l'"ognuno per sé", l'atomizzazione, il cavarsela da soli.
La questione organizzativa è al centro della lotta del proletariato. Tralasciando le enormi difficoltà che hanno le minoranze rivoluzionarie a prendere sul serio la questione organizzativa (cosa che merita un altro testo), le difficoltà della classe ad organizzarsi si sono aggravate, nonostante la spettacolare irruzione delle Assemblee Generali nel movimento degli Indignados o nel movimento anti-CPE. Oltre a questi esempi più avanzati, che rimangono una pietra miliare per il futuro, molte altre lotte simili hanno avuto parecchie difficoltà a organizzarsi. Per esempio, in particolare, il movimento "Occupy Wall Street" nel 2011 o i movimenti in Brasile e Turchia nel 2013.
La fiducia nella propria forza come classe, elemento chiave della lotta del proletariato, è stata gravemente carente. Nei due importanti movimenti appena menzionati, la stragrande maggioranza dei partecipanti non si riconosceva come classe operaia. Si considerava piuttosto come "semplici cittadini", il che è molto pericoloso dal punto di vista dell'impatto delle illusioni democratiche ma anche di fronte all'attuale ondata populista.
La fiducia nel futuro, e in particolare nella possibilità di una nuova società, è stata anche assente al di là di alcune intuizioni generali o della capacità a porsi in maniera molto embrionale questioni come quelle dello Stato, della moralità, della cultura, ecc. Questi tentativi sono certamente molto interessanti per il futuro, tuttavia sono rimasti molto limitati, e da un punto di vista generale molto al di sotto del livello di riflessione esistente nei movimenti più avanzati del 1968.
La coscienza e il pensiero logico costituiscono uno degli elementi, come nota il punto 13 delle Tesi, che trova un enorme muro davanti a se per svilupparsi. Se il ‘68 è stato preparato da una grande effervescenza sociale a livello di minoranze e ha dato luogo, in seguito e per un certo tempo, a una proliferazione di elementi in ricerca di posizioni rivoluzionarie, è necessario notare la scarsa maturazione sociale che ha preparato e che ha seguito i movimenti del 2006 e del 2011. Nonostante la gravità della situazione storica - incomparabilmente più grave del ‘68 - non s'è avuta una nuova generazione di minoranze rivoluzionarie. Ciò dimostra che il tradizionale divario nel proletariato - come sottolineato da Rosa Luxemburg - tra evoluzione oggettiva e la comprensione soggettiva si è acuito in modo molto importante con la decomposizione, un fenomeno da non sottovalutare.
[1] “La decomposizione fase ultima della decadenza del capitalismo”, su Rivista Internazionale n. 14 https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo [9]
1. Alla fine degli anni ’60, con l’esaurirsi del boom economico del dopoguerra, la classe operaia era ritornata sulla scena sociale in risposta alla degradazione delle sue condizioni di vita. Le lotte operaie sviluppatesi su scala internazionale avevano così messo fine al periodo più lungo di controrivoluzione della storia. Esse avevano aperto un nuovo corso storico verso scontri di classe, impedendo così alla classe dominante di rispondere alla sua maniera alla crisi acuta del capitalismo: una 3a guerra mondiale. Questo nuovo corso storico era stato segnato dallo svilupparsi di lotte di massa, in particolare nei paesi centrali dell’Europa occidentale con il movimento del Maggio 68 in Francia, seguito da quello dell’“autunno caldo” in Italia nel 1969 e molte altre ancora, come in Argentina nel 1969 e in Polonia nell’inverno 1970-71. In questi movimenti di massa, vasti settori della nuova generazione che non aveva conosciuto la guerra avevano posto di nuovo la questione della prospettiva del comunismo come possibilità.
In rapporto con questo movimento generale della classe operaia alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, si deve segnalare anche il risveglio internazionale, su scala molto piccola ma comunque significativa, della Sinistra Comunista organizzata: la tradizione che era rimasta fedele alla bandiera della rivoluzione proletaria mondiale durante la lunga notte della controrivoluzione. In questo risveglio la costituzione della CCI ha significato un rinnovamento ed un impulso importante per la Sinistra Comunista nel suo insieme.
Di fronte a una dinamica che tende alla politicizzazione delle lotte operaie, la borghesia (che si era lasciata sorprendere dal movimento del maggio 68) ha immediatamente sviluppato una controffensiva di grande ampiezza e di lungo termine, al fine di impedire alla classe operaia di rispondere alla crisi storica dell’economia capitalista con la rivoluzione proletaria.
2. A causa della rottura della continuità politica con il movimento operaio del passato, la tendenza alla politicizzazione del proletariato degli anni ’60 si era manifestata con l’emergere di quella che Lenin chiamava una “palude politica”: un insieme di gruppi e di elementi confusi, e allo stesso tempo una zona di passaggio, situata fra la borghesia e il proletariato. Nel momento della sua più grande estensione, questa area di politicizzazione era composta, a livello mondiale, essenzialmente da giovani elementi inesperti, tra cui molti studenti. Già nella prima metà degli anni ’70, il risultato della decantazione in questa “palude” si era manifestato col fatto che:
• la sinistra e l’estrema sinistra del capitale sono riuscite a recuperare gran parte di questi giovani elementi in via di politicizzazione;
• la frustrazione e la disillusione di fronte al riflusso delle lotte di massa della fine degli anni ’70 hanno orientato un buon numero di essi, fortemente segnati dalla impazienza e dal “radicalismo” della piccola borghesia, verso le lotte settoriali o le azioni violente e minoritarie del terrorismo (la banda Baader in Germania, le Brigate Rosse in Italia, poi Azione Diretta in Francia…);
• la componente di questa palude alla ricerca delle posizioni proletarie si è tendenzialmente diretta verso i vicoli ciechi autonomisti, operaisti, “libertari” o verso la difesa del mito della “autogestione”.
L’adesione “critica” dei principali gruppi di estrema sinistra (trotzkisti e maoisti) alla controrivoluzione e le loro pratiche di organizzazione e di intervento proprie delle organizzazioni o sette cripto staliniste, insieme all’attivismo cieco degli ambienti autonomisti e il culto della violenza minoritaria dei gruppuscoli terroristi, hanno distrutto gran parte della nuova generazione in via di politicizzazione. Questo lavoro distruttivo ha contribuito a deformare e screditare il vero movimento rivoluzionario del proletariato.
Parallelamente al ruolo estremamente negativo giocato da questa componente pseudo “radicale” della palude e dei gruppi di estrema sinistra, la borghesia ha sviluppato una controffensiva politica contro la ripresa storica della lotta di classe. Questa controffensiva è consistita, in un primo tempo, all’inizio degli anni ’70, a mettere in atto “la alternativa della sinistra al governo” nei principali paesi occidentali allo scopo di condurre la classe operaia sul terreno delle elezioni, seminando l’illusione che il programma dei partiti di sinistra avrebbe permesso di migliorare le condizioni di vita delle masse sfruttate. Questa prima ondata di lotte, che si era sviluppata dalla fine degli anni sessanta, si è quindi esaurita nel corso di questi “anni di illusioni”
3. Ma con l’aggravarsi della crisi economica, nella seconda metà degli anni ’70, nacque una nuova ondata di lotte operaie, coinvolgendo anche il proletariato di alcuni paesi dell’Europa dell’Est (in particolare in Polonia nell’estate del 1980).
Di fronte a questa ripresa della lotta di classe dopo un breve periodo di riflusso, la borghesia ha dovuto modificare la sua strategia per ostacolare ogni politicizzazione del proletariato nelle sue lotte economiche. Grazie a una ben concepita divisione dei compiti tra le differenti frazioni borghesi, toccò ai partiti di destra al governo portare gli attacchi economici contro le condizioni di vita del proletariato, mentre i partiti di sinistra, stando all’opposizione (e spalleggiati dai gruppi di estrema sinistra e dai sindacati), avevano la responsabilità di sabotare le lotte operaie dall’interno e di deviarle sul terreno della mistificazione elettorale.
Lo sciopero di massa in Polonia nell’agosto 1980 dimostrò che il proletariato, malgrado la cappa di piombo dei regimi stalinisti, era capace di risollevare la testa e ritrovare spontaneamente i suoi metodi di lotta, in particolare le assemblee generali sovrane, l’elezione di comitati di sciopero responsabili di fronte a queste assemblee, la necessaria estensione geografica delle lotte e la loro unificazione al di là delle divisioni corporative.
- Questa gigantesca lotta della classe operaia in Polonia rivelò che è nella lotta di massa contro gli attacchi economici che il proletariato può prendere coscienza della propria forza, affermare la sua identità di classe antagonista al Capitale e sviluppare la fiducia in se stesso.
- Ma la sconfitta degli operai in Polonia, con la fondazione del sindacato “libero” Solidarnosc (che si giovò dell’appoggio dei sindacati occidentali) dimostrò anche il peso molto forte delle illusioni democratiche in un paese in cui il proletariato non aveva nessuna esperienza della democrazia borghese. La sconfitta e la repressione che si abbatterono sugli operai in Polonia aprirono un nuovo periodo di riflusso della lotta di classe su scala internazionale all’inizio degli anni ’80.
4. Nondimeno, malgrado la sua profondità, questo riflusso ebbe una corta durata. Nella prima metà degli anni ’80, di fronte all’aggravarsi della crisi economica, all’esplosione della disoccupazione e ai nuovi attacchi alle condizioni di vita del proletariato nei paesi centrali, emerse una nuova ondata di lotte. Nonostante la sconfitta del lungo sciopero dei minatori in Gran Bretagna nel 1985, questa ondata di lotta si è manifestata con il logoramento della sinistra all’opposizione, il crescente discredito dei sindacati (come testimoniato in numerosi paesi, compresi i paesi scandinavi, dagli scioperi spontanei sporadici che scoppiarono al di fuori e contro le ripetute manovre di sabotaggio dei sindacati). Questa 3a ondata di lotte operaie fu accompagnata da un aumento del tasso di astensione alle elezioni.
Per non farsi sorprendere come nel maggio 68 e paralizzare ogni dinamica di confronto con il sindacalismo, la borghesia sviluppò una terza strategia: il rafforzamento del suo apparato di inquadramento della classe operaia finalizzato ad impedire ogni estensione delle lotte al di là della corporazione o del settore, a sabotare l’identità di classe del proletariato attraverso la divisione tra “colletti bianchi” e “tute blu” e ad impedire ogni tentativo di autorganizzazione del proletariato.
5. È stata la borghesia inglese (la più intelligente al mondo), con la politica della “Dama di ferro” (Margaret Thatcher) che aveva dato il “la” alla strategia della classe dominante degli altri paesi centrali per fermare la dinamica della lotta di classe:
- Grazie al lavoro di sabotaggio del sindacato dei minatori la classe dominante ha intrappolato gli operai in uno sciopero corporativo, lungo, estenuante e totalmente isolato dagli altri settori di produzione. Il cocente fallimento dello sciopero dei minatori ha portato un duro colpo a tutta la classe operaia del paese. Il successo della classe dominante in Gran Bretagna è servito da modello per la borghesia degli altri paesi, e in particolare in Francia, il paese europeo dove il proletariato è tradizionalmente molto combattivo. La borghesia francese si è ispirata alla politica della “Dama di ferro” volta a interrompere la dinamica della lotta di classe, intrappolando gli operai nel corporativismo, e soprattutto favorendo la tendenza al “ciascuno per sé” (che ha rappresentato una delle prime manifestazioni della decomposizione del capitalismo).
- Nel 1986, giacché i settori tradizionalmente più combattivi e sperimentati del proletariato francese avevano combattuto più volte dal maggio 68 il sabotaggio sindacale (nelle miniere, nell’industria siderurgica, nei trasporti, nell’industria automobilistica…), la borghesia non ha potuto usare tale strategia se non istituendo dei “coordinamenti”, destinati a prendere il posto dei grandi sindacati centrali discreditati.
- In Italia, dove il proletariato aveva anche portato avanti lotte di massa molto importanti (in particolare quelle dell’“autunno caldo” nel 1969), la borghesia aveva usato la stessa politica di blocco nel corporativismo, riconquistando, dopo il 1987, il coordinamento dei lavoratori della Scuola.
- In Francia, malgrado il fallimento dello sciopero dei ferrovieri nel 1986 (per il sabotaggio dei “coordinamenti” nella SNCF), due anni più tardi, nel 1988, è esplosa di nuovo la combattività in un altro settore della funzione pubblica, quello ospedaliero. Di fronte al profondo dissenso generale nei confronti dei sindacati e di fronte al pericolo potenziale di estensione della lotta di massa a tutta la funzione pubblica, la classe dominante aveva ulteriormente rafforzato la sua strategia di confinamento corporativo e di divisione della classe operaia. La borghesia francese è riuscita a usare una corporazione ospedaliera ancora inesperta e politicamente “arretrata”, quella degli infermieri, per impedire ogni tentativo di unificazione del movimento negli ospedali, sabotando anche ogni possibilità di estensione della lotta agli altri settori della funzione pubblica.
- Per spaccare il movimento negli ospedali, la manovra della borghesia è stata quella di offrire solo agli infermieri una “mazzetta” (un aumento di 350 franchi al mese, sbloccando un miliardo di franchi già previsti in precedenza), mentre le altre categorie del personale ospedaliero mobilitate nel movimento non hanno ottenuto nulla! Questa sconfitta della classe operaia, nel contesto della tendenza storica al “ciascuno per sé”, ha potuto essere inflitta al proletariato solo grazie al lavoro del “coordinamento degli infermieri”, autoproclamato e creato immediatamente con l’aiuto della CFDT (Confederazione francese democratica del lavoro). Questo organo parasindacale era riuscito a deviare la rabbia degli infermieri sul terreno della difesa della loro “qualifica” di “Bac +3” (diploma di istruzione superiore di 3 anni successivo al baccalauréat) per giustificare una rivalutazione del loro salario mentre il movimento era iniziato contro la mancanza di personale e il degrado delle condizioni di lavoro che toccavano anche tutte le categorie del personale degli ospedali (“colletti bianchi” e “colletti blu”). (Vedi il nostro opuscolo “Bilancio della lotta degli infermieri: i coordinamenti, la nuova arma della borghesia”.)
Negli altri paesi europei, compresa la Germania (in particolare nel settore dell’industria automobilistica), questa manovra della borghesia di accordare aumenti salariali a una sola categoria di proletari della stessa azienda era destinata a dividere gli operai, ad aumentare la concorrenza tra loro, a indebolire la loro solidarietà di classe con lo scopo di metterli gli uni contro gli altri.
Ma ancor più, con questa strategia di divisione del proletariato che predica il “ciascuno per sé”, la borghesia e i sindacati ai suoi ordini hanno cercato costantemente di far passare le sconfitte della classe operaia per delle vittorie!
I rivoluzionari non devono sottovalutare il machiavellismo della borghesia nell’evoluzione del rapporto di forza tra le classi. Tale machiavellismo non può che continuare a svilupparsi con il peggiorare degli attacchi contro tutta la classe sfruttata. La stagnazione della lotta di classe, poi il suo riflusso, alla fine degli anni ’80 è stata il risultato della capacità della classe dominante di ritorcere contro la classe operaia alcune manifestazioni della decomposizione della società borghese, in particolare la tendenza al “ciascuno per sé”.
6. Dopo il riflusso della prima ondata di lotte, sono state essenzialmente le illusioni democratiche (alimentate dalla controffensiva della borghesia e dal sabotaggio dei sindacati) che hanno costituito il freno principale alla politicizzazione delle lotte della classe operaia. Come evidenzia l’articolo della Revue Internationale n°23 “La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo”, la classe operaia deve far fronte a molteplici difficoltà per la politicizzazione delle sue lotte. La vera natura del proletariato in quanto classe allo stesso tempo sfruttata, spogliata di ogni proprietà, e rivoluzionaria, ha comportato necessariamente che la coscienza di classe non può avanzare di vittoria in vittoria, ma può unicamente svilupparsi in modo ineguale verso la vittoria attraverso una serie di sconfitte, come affermava Rosa Luxemburg.
Nel periodo di decadenza:
• la classe operaia non può più dotarsi di organizzazioni di massa permanenti, partiti politici e sindacati operai, per difendere i suoi interessi;
• non c’è più un programma politico “minimo” come nel periodo ascendente, ma unicamente un programma “massimo”. La democrazia borghese e il suo quadro nazionale non sono più un terreno per l’azione politica del proletariato;
• Lo Stato borghese ha imparato a usare in modo intelligente i vecchi partiti politici del proletariato, che lo hanno tradito, contro la politicizzazione della classe operaia.
Inoltre, nel periodo attuale:
• lo Stato borghese ha imparato a rallentare il ritmo della crisi economica e a pianificare i suoi attacchi di concerto con i sindacati impiegando ogni mezzo per evitare una risposta unitaria della classe operaia e la riappropriazione degli obiettivi politici finali della sua lotta contro il capitalismo.
• l’insieme delle forze del capitalismo si sono impegnate a ostacolare la politicizzazione della classe operaia impedendo di collegare le lotte economiche di resistenza allo sfruttamento al rifiuto degli operai dei paesi centrali di lasciarsi trascinare nella politica di guerra della borghesia, una manovra particolarmente significativa, agli inizi degli anni ’80, con le campagne pacifiste contro la politica di “guerre stellari” di Reagan.
7. Quando la terza ondata di lotte cominciò ad esaurirsi verso la fine degli anni ’80, un evento fondamentale nella situazione internazionale, il crollo spettacolare del blocco dell’Est e dei regimi stalinisti nel 1989, ha portato un duro colpo alla dinamica della lotta di classe, modificando così in modo rilevante il rapporto di forza tra proletariato e borghesia a favore di quest’ultima. Questo avvenimento ha segnato con forza l’entrata del capitalismo nella fase ultima della sua decadenza: quella di decomposizione. Crollando, lo stalinismo ha reso un ultimo servizio alla borghesia. Ha consentito alla classe dominante di porre un freno alla dinamica della lotta di classe che, con progressi e battute di arresto, si era sviluppata per due decenni.
In effetti, dal momento che non è stata la lotta del proletariato ma la decomposizione in atto del capitalismo che aveva messo fine allo stalinismo, la borghesia ha potuto sfruttare questo avvenimento per scatenare una gigantesca campagna ideologica tesa a perpetuare la più grande menzogna della Storia: l’identificazione del comunismo con lo stalinismo. Così, la classe dominante ha sferrato un colpo estremamente violento alla coscienza del proletariato. Le campagne assordanti della borghesia sul preteso “fallimento del comunismo” hanno provocato una regressione del proletariato nel suo cammino verso la prospettiva storica di abbattimento del capitalismo. Hanno sferrato un colpo alla sua identità di classe.
Questo profondo riflusso della coscienza e della lotta di classe si è manifestato con una minore combattività operaia in tutti i paesi, un rafforzamento delle illusioni democratiche, un aumento del potere dei sindacati e una grande difficoltà del proletariato a riprendere il cammino delle sue lotte di massa malgrado l’aggravarsi della crisi economica, l’aumento della disoccupazione, della precarietà, e il degrado generale delle condizioni di vita in ogni settore e in ogni paese.
Inoltre, con l’entrata del capitalismo nella ultima fase della sua decadenza, il proletariato doveva ormai fare i conti con i miasmi della decomposizione della società borghese che compromettono la sua capacità di ritrovare il cammino della sua prospettiva rivoluzionaria. Sul piano ideologico, “i diversi elementi che rappresentano la forza del proletariato si scontrano direttamente con i diversi aspetti di questa decomposizione ideologica:
- l’azione collettiva, la solidarietà si trovano di fronte all’atomizzazione, al “ciascuno per sé”, alla “soluzione individuale”;
- la necessità di organizzazione deve far fronte alla decomposizione sociale, alla destrutturazione dei rapporti che no alla base di tutta la vita sociale;
- la fiducia nell’avvenire e nelle proprie forze è continuamente minata dallo sconforto generale che pervade la società, dal nichilismo, dal “no future”;
- la coscienza, la lucidità, la coerenza e l’unità di pensiero, il gusto per la teoria, devono farsi strada con difficoltà attraverso la fuga nelle chimere, la droga, le sette, il misticismo, il rifiuto della riflessione, la distruzione del pensiero che caratterizzano la nostra epoca”. (Tesi sulla decomposizione Rivista Internazionale n.14)
Con l’affievolirsi della sua prospettiva rivoluzionaria e della sua identità di classe, il proletariato ha anche perso la fiducia in se stesso e nelle sue capacità di contrastare in modo efficace il capitalismo per difendere le sue condizioni di esistenza.
8. Un fattore obiettivo che ha aggravato la perdita di identità di classe del proletariato sono state le politiche di delocalizzazione e di ristrutturazione dell’apparato produttivo nei principali paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti. Le grandi concentrazioni operaie sono state smantellate con la chiusura dei bacini minerari, delle acciaierie, delle fabbriche automobilistiche, ecc., settori in cui la classe operaia aveva tradizionalmente portato avanti le sue lotte di massa e molto agguerrite. Questa desertificazione industriale è stata accompagnata dall’intensificazione delle campagne ideologiche sulla fine della lotta di classe, e quindi di ogni prospettiva rivoluzionaria. Queste campagne della borghesia si sono potute sviluppare grazie ai partiti stalinisti o socialdemocratici che, per decenni, hanno identificato la classe operaia con i soli “colletti blu”, nascondendo così che è il lavoro salariato e lo sfruttamento della forza lavoro che definisce la classe operaia. Inoltre, con lo sviluppo delle nuove tecnologie, il proletariato dei “colletti bianchi” è ancora più disperso in piccole unità produttive, rendendo più difficile la nascita di lotte di massa.
In tale situazione di riflusso della coscienza di classe del proletariato e di allontanamento dalla sua prospettiva rivoluzionaria, il “ciascuno per sé” e la concorrenza per sopravvivere nel marasma economico crescente tendono a dominare.
L’aggravarsi della disoccupazione e della precarietà ha anche fatto sorgere il fenomeno dell’“uberizzazione” del lavoro. Passando attraverso l’intermediazione di una piattaforma Internet per trovare un impiego, l’uberizazione camuffa la vendita della forza lavoro a un padrone con una forma di “lavoro autonomo”, aumentando nel contempo l’impoverimento e la precarietà dei “lavoratori autonomi”. L’uberizzazione del lavoro individuale rafforza l’atomizzazione, la difficoltà di fare sciopero, dovuta al fatto che l’auto-sfruttamento di questi lavoratori limita notevolmente la loro capacità di lottare in modo collettivo e di sviluppare la solidarietà di fronte allo sfruttamento capitalistico.
9. Con il fallimento della banca Lehman Brothers e la crisi del 2008, la borghesia ha potuto ancora affondare un colpo alla coscienza del proletariato sviluppando una nuova campagna ideologica su scala mondiale destinata a instillare l’idea (portata avanti dai partiti di sinistra) che i “banchieri corrotti e disonesti” siano i responsabili di questa crisi, facendo credere che il capitalismo è personificato dai broker e dal potere monetario.
La classe dominante ha anche potuto mascherare le origini del fallimento del suo sistema. Ha cercato, da una parte, di portare la classe operaia sul terreno della difesa dello Stato “protettore”, poiché le misure di salvataggio delle banche erano destinate a proteggere i piccoli risparmiatori. Dall’altra parte, questa politica di salvataggio delle banche è stata anche usata, soprattutto dalla sinistra, per mettere sotto accusa i governi che cercano di difendere i banchieri e il mondo della finanza.
Ma al di là di questa mistificazione, l’impatto di questa campagna sulla classe operaia è servito ad aumentare la sua impotenza di fronte a un sistema economico impersonale le cui leggi generali sono assimilabili alle leggi naturali che non possono essere controllate o modificate.
10. Lo scatenarsi dei conflitti imperialisti, nel vicino e nel Medio Oriente, così come la miseria assoluta delle masse impoverite del continente africano, hanno fatto piombare sui paesi dell’Europa occidentale un flusso crescente di rifugiati. Dall’altro lato dell’Atlantico, lo sprofondare del capitalismo nella decomposizione si è manifestato allo stesso modo con l’esodo di ondate di migranti dai paesi dell’America latina verso gli Stati Uniti.
Di fronte a queste manifestazioni di decomposizione della società capitalistica, un nuovo pericolo è comparso per il proletariato: l’ideologia populista basata su una politica “identitaria” che attacca la solidarietà del proletariato veicolando l’illusione che, di fronte all’aggravarsi della crisi e alla “riduzione delle risorse”, le popolazioni autoctone non possono evitare il peggio che a scapito degli altri strati non sfruttati della popolazione. Questa politica si manifesta con il protezionismo, la stigmatizzazione degli immigrati come “parassiti dello Stato assistenziale” e la chiusura delle frontiere alle ondate di migranti.
Il rifiuto sempre più aperto dei partiti borghesi tradizionali e delle “caste”, non ha portato a una politicizzazione del proletariato sul suo terreno di classe ma a una tendenza a cercare degli uomini “nuovi” sul terreno elettorale della democrazia borghese. Questi “uomini nuovi” sono in gran parte demagoghi populisti e avventurieri (come Donald Trump). L’ascesa dei partiti di estrema destra in molti paesi d’Europa, insieme all’avvento al potere di Tramp negli Stati Uniti, eletto con molti voti degli operai della “cintura della ruggine”, rivela che alcune frange del proletariato (particolarmente colpite dalla disoccupazione) possono essere intossicate dal veleno del populismo, della xenofobia, del nazionalismo e di tutte le ideologie reazionarie e oscurantiste che si originano dal letamaio nauseabondo della decomposizione.
La tendenza al ciascuno per sé e allo sgretolamento della società si è anche manifestata con il pericolo di reclutamento di alcuni settori del proletariato dietro le bandiere nazionali o regionali (come nel caso della crisi indipendentista in Catalogna nel 2018).
11. A causa della grande difficoltà attuale della classe operaia a sviluppare le sue lotte, della incapacità al momento di ritrovare la sua identità di classe e ad aprire una prospettiva per l’intera società, il terreno sociale è stato occupato da lotte interclassiste particolarmente influenzate dalla piccola borghesia. Questo strato sociale, senza futuro storico, non può che veicolare l’illusione di una possibilità di riformare il capitalismo rivendicando un capitalismo “dal volto umano”, più democratico, più giusto, più pulito, più attento ai poveri e alla salvaguardia del pianeta.
Questi movimenti interclassisti sono il prodotto dell’assenza di ogni prospettiva che riguardi oggi la società nel suo insieme, compresa una parte importante della stessa classe dirigente. La rivolta popolare dei “Gilet gialli” in Francia contro il carovita, così come il movimento dei “giovani per il clima” (Youth for climate) rappresentano una dimostrazione del pericolo dell’interclassismo per il proletariato.
La rivolta popolare dei “Gilet gialli” (sostenuta e incoraggiata, all’inizio, da tutti i partiti della destra e dell’estrema destra) ha rivelato la capacità della borghesia di usare i movimenti sociali interclassisti contro la coscienza del proletariato.
Sbloccando un finanziamento di 10 miliardi di euro di fronte ai disordini che accompagnano le manifestazioni dei Gilet gialli, la borghesia francese e i suoi media hanno potuto instillare, in modo insidioso, l’idea che solo i movimenti popolari, interclassisti, e i metodi di lotta propri della piccola borghesia possono far recedere il governo.
Di fronte all’accelerazione degli attacchi economici contro la classe sfruttata, e al pericolo della rinascita delle lotte operaie, la borghesia oggi cerca di appianare gli antagonismi di classe. Nel tentativo di annegare e diluire il proletariato nel “popolo dei cittadini”, la classe dominante tenta di impedirgli di ritrovare la sua identità di classe. La copertura mediatica internazionale del movimento dei Gilet gialli dimostra che rappresentano una preoccupazione per la borghesia di tutti i paesi.
Il movimento dei giovani per il clima, pur esprimendo una preoccupazione generale e un’inquietudine di fronte alla minaccia della distruzione dell’umanità, è del tutto deviato sul terreno delle lotte settoriali, facilmente cavalcate dalla borghesia e fortemente influenzate dalla piccola borghesia.
“Solo il proletariato porta con sé una prospettiva per l’umanità e, di conseguenza, nelle sue fila c’è la maggiore capacità di resistenza a questa decomposizione. Esso stesso non è stato risparmiato, soprattutto per il fatto che la piccola borghesia con cui è a contatto ne è proprio il veicolo principale. In questo periodo, il suo obiettivo sarà di resistere agli effetti nocivi della decomposizione al suo interno contando solo sulle proprie forze, sulla sua capacità di battersi in maniera unitaria e solidale in difesa dei suoi interessi in quanto classe sfruttata”. (Tesi sulla decomposizione)
In questa situazione imposta dall’aggravarsi della decomposizione del capitalismo la lotta per l’autonomia di classe del proletariato è cruciale:
• contro le lotte interclassiste;
• contro le lotte settoriali portate avanti da ogni categoria sociale che danno una falsa illusione di “comunità protettiva”
• contro le mobilitazioni sul terreno viziato dal nazionalismo, dal pacifismo, dalla riforma ecologica”, ecc.
Nei rapporti di forza tra la borghesia e il proletariato è sempre la classe dominante che sferra l’attacco, salvo nel caso di una situazione rivoluzionaria. Malgrado le difficoltà interne e la crescente tendenza a perdere il controllo del suo apparato politico, la borghesia è stata capace di ritorcere contro la coscienza e l’identità di classe del proletariato le manifestazioni della decomposizione del suo sistema. La classe operaia non ha ancora superato il profondo arretramento che ha subito fin dal crollo del blocco dell’Est e dei regimi stalinisti. E soprattutto in quanto le campagne democratiche e anticomuniste, portate avanti a lungo, sono state regolarmente rimesse all’ordine del giorno (ad esempio in occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre 1917).
12. Nondimeno, nonostante tre decenni di riflusso della lotta di classe, la borghesia non è riuscita a infliggere fino a oggi una sconfitta decisiva alla classe operaia, come negli anni 1920-30. Malgrado la gravità delle sfide dell’attuale periodo storico, la situazione non è identica a quella del periodo di controrivoluzione. Il proletariato dei paesi centrali non ha subito sconfitte fisiche (come avvenne nella repressione sanguinosa della rivoluzione tedesca nel corso della prima ondata rivoluzionaria del 1917-23). Esso non è stato arruolato in massa dietro le bandiere nazionaliste. La maggior parte dei proletari non è pronta a sacrificare la propria vita sull’altare della difesa del capitale nazionale. Nei grandi paesi industriali, negli Stati Uniti come in Europa, le masse proletarie non hanno più aderito alle crociate imperialiste (e sedicenti “umanitarie”) della “loro” borghesia nazionale.
La lotta di classe del proletariato è fatta di avanzamenti e di arretramenti nel corso dei quali la classe operaia tenta di superare le sue sconfitte, da cui trarre insegnamento per ricominciare la lotta. Come affermava Marx nel 18 Brumaio, “Le rivoluzioni borghesi, come quelle del XVIII secolo, passano tempestosamente di successo in successo, (…)Le rivoluzioni proletarie, al contrario, come quelle del XIX secolo, criticano continuamente se stesse, interrompono a ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo; si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte a esse; si ritraggono continuamente, spaventate dall’immensità infinita dei loro scopi sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic salta! Qui è Rodi, salta qui!"
Queste “circostanze” che devono creare “la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro”, saranno determinate, in primo luogo, dall’esaurimento dei palliativi che hanno consentito finora alla borghesia di far fronte al crollo dell’economia globale. In effetti, perché ci siano le condizioni di ripresa di un periodo di lotte rivoluzionarie, è necessario “che gli sfruttatori non possano più vivere e governare come altre volte”. Solo quando “quelli che stanno in basso non vogliono più e quelli che stanno in alto non possono più continuare a vivere alla vecchia maniera, solo allora la rivoluzione potrà trionfare.” (Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo)
L’aggravamento inesorabile della miseria, del precariato, della disoccupazione, gli attacchi alla dignità degli sfruttati negli anni a venire costituiscono la base materiale che potrà spingere le nuove generazioni di proletari a ritrovare la strada delle lotte portate avanti dalle generazioni precedenti per la difesa delle proprie condizioni di esistenza. Malgrado tutti i pericoli che minacciano il proletariato, il periodo di decomposizione del capitalismo non ha posto termine alle “circostanze” obiettive che hanno costituito lo stimolo delle lotte rivoluzionarie del proletariato dall’inizio del movimento operaio.
13. L’aggravarsi della crisi economica ha già fatto apparire sulla scena sociale una nuova generazione, anche se ancora in modo embrionale e limitato: nel 2006, il movimento degli studenti in Francia contro il CPE, seguito cinque anni dopo dal movimento degli “Indignati” in Spagna. Questi due movimenti di massa della gioventù proletaria hanno spontaneamente ritrovato i metodi di lotta della classe operaia, in particolare la cultura del dibattito nelle assemblee generali di massa aperte a tutti.
Questi movimenti sono stati anche caratterizzati dalla solidarietà tra generazioni (mentre il movimento degli studenti della fine degli anni ’60, fortemente segnato dal peso della piccola borghesia, si era sviluppato contro la generazione che era stata trascinata in guerra).
Se, nel movimento contro il CPE, la grande maggioranza degli studenti in lotta contro la prospettiva della disoccupazione e della precarietà si è riconosciuta come parte della classe operaia, gli Indignati in Spagna (sebbene il loro movimento si sia esteso su scala internazionale grazie ai social media) non avevano una chiara coscienza di appartenere alla classe sfruttata.
Mentre il movimento di massa contro il CPE era una risposta proletaria a un attacco economico (che ha costretto la borghesia a fare un passo indietro ritirando il CPE), quello degli Indignati era segnato essenzialmente da una riflessione generale sul fallimento del capitalismo e sulla necessità di un’altra società.
All’interno di questa nuova generazione, l’identità di classe del proletariato non è stata ancora ritrovata a causa della mancanza di esperienza di questa giovane generazione, della sua vulnerabilità alle mistificazioni dell’ideologia “antiglobalizzazione” e della sua difficoltà di riappropriarsi della storia e dell’esperienza del movimento operaio.
Tuttavia questi movimenti hanno iniziato a porre le prime basi di una lenta maturazione della consapevolezza all’interno della classe operaia (in particolare delle giovani generazioni altamente qualificate) delle sfide poste dalla attuale situazione storica.
14. Una caratteristica essenziale dello sviluppo della coscienza di classe del proletariato è sempre stata la sua capacità di maturazione sotterranea, cioè l’attitudine a svilupparsi a prescindere dai periodi di lotta aperta e anche nei periodi di maggiori sconfitte. La coscienza di classe può svilupparsi in profondità, in piccole minoranze, senza che si estenda ampiamente in tutto il proletariato. Lo sviluppo della coscienza di classe non può dunque essere misurato unicamente dalla sua estensione immediata nella classe in un certo periodo, bensì anche attraverso la sua continuità storica. Come noi abbiamo affermato nell’articolo della Revue Internationale n°42 “Dibattito interno: Gli scivolamenti centristi verso il consiliarismo”: “È necessario distinguere ciò che dipende dalla continuità nel movimento storico del proletariato - l’elaborazione progressiva delle sue posizioni politiche e del suo programma – da ciò che è legato a fattori contingenti - l’estensione della loro assimilazione e del loro impatto in tutta la classe”.
L’esistenza e la salvaguardia determinata delle organizzazioni della Sinistra comunista fino ad oggi, nelle difficili condizioni della decomposizione del capitalismo, esprimono questa capacità sotterranea della coscienza di classe di sviluppare il suo movimento storico in un periodo di profondo disorientamento del proletariato come quello che viviamo oggi.
Questa maturazione sotterranea della coscienza di classe del proletariato si manifesta anche oggi con la comparsa di piccole minoranze e di giovani elementi alla ricerca di una prospettiva di classe e delle posizioni della Sinistra comunista.
Le organizzazioni della Sinistra comunista non devono lasciarsi sfuggire queste piccole minoranze anche se sembrano apparentemente di poco conto. Il processo di decantazione nel periodo di decomposizione del capitalismo è molto lento e aspro rispetto a quanto non fosse alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70.
Malgrado gli effetti deleteri della decomposizione e i pericoli che minacciano il proletariato, “Oggi la prospettiva storica resta totalmente aperta. Malgrado il colpo inferto dal crollo del blocco dell’Est alla presa di coscienza del proletariato, questo non ha subito nessuna sconfitta importante sul terreno della sua lotta. (…) Ma, in aggiunta, ed è là il fattore che determina in ultima analisi l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che è all’origine dello sviluppo della decomposizione, l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo fondamentale della lotta e della presa di coscienza della classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico della putrefazione della società. In effetti, come il proletariato non può trovare un campo di aggregazione di classe nelle lotte settoriali contro gli effetti della decomposizione, così la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi stessa costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità di classe”. (Tesi sulla decomposizione)
15. Nelle lotte economiche e difensive del proletariato “Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più. Essa è favorita dall'aumento dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle diverse località. E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere. Ma ogni lotta di classe è una lotta politica. E quella unione per la quale i cittadini del medioevo con le loro strade vicinali ebbero bisogno di secoli, i proletari moderni con le ferrovie la attuano in pochi anni. L’organizzazione del proletariato in classe e quindi in partito politico, torna ad essere spezzata ogni momento dalla concorrenza che gli operai si fanno tra loro. Ma essa rinasce sempre, e sempre più forte, più salda, più potente”. (Manifesto comunista). “L'incremento dei mezzi di comunicazione “che permettono agli operai di “entrare in contatto” per “centralizzare le lotte locali” non sono più le ferrovie, come ai tempi di Marx, ma le nuove tecnologie digitali.
Infatti, se gli effetti della “globalizzazione”, le delocalizzazioni, la scomparsa di interi settori dell’industria, la dispersione in tante piccole unità produttive, la moltiplicazione dei mini-jobs nei servizi, la precarietà e l’uberizzazione del lavoro, hanno contribuito a sferrare un colpo all’identità di classe del proletariato delle vecchie metropoli industriali, le nuove condizioni economiche, tecnologiche e sociali nelle quali oggi esso si trova contengono elementi favorevoli a una riconquista di questa identità di classe su scala molto più ampia che nel passato. La “globalizzazione” e soprattutto lo sviluppo di Internet, la creazione di una sorta di “rete mondiale” delle conoscenze, delle competenze, delle collaborazioni nel lavoro, così come i viaggi di massa creano le basi oggettive per lo sviluppo di una identità di classe su scala mondiale, in particolare per le nuove generazioni proletarie.
16. Uno dei principali motivi per cui il proletariato non è stato in grado di sviluppare le sue lotte e la sua coscienza al livello adeguato alla gravità della situazione storica, è la rottura della continuità politica con il movimento operaio del passato (in particolare della prima ondata rivoluzionaria del 1917-23). Questa rottura è stata evidenziata dalla debolezza delle organizzazioni rivoluzionarie della corrente della Sinistra comunista che aveva combattuto lo stalinismo negli anni 1920-30.
Questo dimostra la responsabilità enorme che grava sulla Sinistra comunista come ponte tra il vecchio partito scomparso (la III Internazionale) e il futuro partito del proletariato. Senza la costituzione del futuro partito mondiale la rivoluzione proletaria sarà impossibile e l’umanità finirà per essere sopraffatta dalla barbarie della guerra e/o dalla decomposizione della società borghese.
“Quanto alla teoria i comunisti hanno sulla restante massa del proletariato il vantaggio di una chiara comprensione delle condizioni, del cammino e degli obiettivi generali del movimento del proletariato nel suo complesso” (Manifesto comunista)
Maggio 2019
Nella sua fase di declino finale, la società capitalista ha dato vita a diversi tipi di “crisi di identità”. L'atomizzazione di questo sistema di produzione generalizzata di merci ha raggiunto nuovi livelli, tanto per la vita sociale nel suo insieme, quanto per le reazioni contro la miseria dilagante e l'oppressione generata da questo sistema. Da un lato, gruppi o individui che patiscono particolari oppressioni sono portati a mobilitarsi in quanto gruppi specifici per contrastarle – in quanto donne, omosessuali, transessuali, minoranze etniche e altro - e talvolta competono tra loro, come si può osservare dall’attuale scontro tra attivisti transessuali e alcuni rami del femminismo. Contemporaneamente, queste manifestazioni di “politica identitaria” vengono fatte proprie dall'ala sinistra della borghesia, almeno dai suoi settori politici più distinti accademicamente e più potenti (come il Partito Democratico negli Stati Uniti).
Allo stesso tempo, l'ala destra della borghesia, mentre si lamenta dell'emergere di queste politiche identitarie difende le sue proprie forme di ricerca dell’identità: la ricerca del Vero Uomo minacciata dallo spettro del femminismo, la nostalgia per l'Uomo Bianco che sarebbe sostituito dalle orde straniere.
La ricerca di queste identità e comunità, quantomeno parziali e spesso del tutto fittizie, è solo un’espressione del carattere di estraneità dell'umanità verso se stessa in un momento in cui una vera comunità umana universale è allo stesso tempo possibile e indispensabile per la sopravvivenza della specie.
E soprattutto, come altre manifestazioni di decomposizione sociale, è il prodotto della perdita dell'unica identità la cui affermazione può portare alla creazione di una tale comunità, che si chiama comunismo: l’identità di classe del proletariato. Il recente movimento dei Gilets gialli in Francia ci fa capire quali pericoli potrebbero derivare da una tale perdita di identità: un gran numero di lavoratori, giustamente infuriati dai continui attacchi contro le loro condizioni di vita, mobilitati non per i propri interessi, ma dietro le rivendicazioni e le azioni di altre classi sociali - in questo caso la piccola borghesia e parte della stessa borghesia[1]
Lo sfruttamento della classe operaia è la pietra angolare dell'intero edificio capitalista. Non è, come i sostenitori della politica identitaria apertamente o ipocritamente difendono, una semplice oppressione degli uni verso gli altri. Perché, nonostante tutti i cambiamenti in atto da due secoli, il capitalismo continua a dominare il mondo e ciò che Karl Marx scrisse nel 1844 sulla natura rivoluzionaria del proletariato rimane più attuale che mai. È una classe la cui lotta contro il capitalismo contiene la soluzione a tutti i “problemi particolari” causati da questa società:
Dobbiamo formare una classe con cambiamenti radicali, una classe della società borghese che non sia una classe della società borghese, una classe che sia lo scioglimento di tutte le classi, una sfera che abbia un carattere universale per le sue sofferenze universali e che non rivendichi alcun diritto particolare, perché non le è stato fatto un particolare torto, ma un torto in sé, una sfera che non può più riguardare un titolo storico, ma semplicemente un titolo umano, una sfera che non sia in una particolare opposizione con le conseguenze, ma in una generale opposizione con tutte le ipotesi del sistema politico tedesco, una sfera che alla fine non può emanciparsi senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società e senza di conseguenza, emanciparle tutte, che è, in una parola, la perdita completa dell'uomo, e che può quindi conquistare se stessa solo con il completo rinnovamento dell'uomo. La decomposizione della società come classe speciale è il proletariato[2]
Ne La sacra famiglia, scritta nello stesso periodo, Marx ha spiegato che la classe operaia è per sua natura una classe rivoluzionaria, anche se non ne è consapevole:
Se gli autori socialisti attribuiscono al proletariato questo ruolo storico, ciò non è sufficiente, come la critica cerca di farci credere, perché considerano i proletari come dei. Piuttosto è l’inverso. Nel proletariato pienamente sviluppato si ritrova praticamente l'astrazione di tutta l'umanità, persino l'apparenza dell'umanità, nelle condizioni di vita del proletariato sono condensate tutte le condizioni di vita della società attuale in ciò che possono avere di più inumano. Nel proletariato infatti, l'uomo ha perso se stesso, ma allo stesso tempo ha acquisito la consapevolezza teorica di questa perdita e la miseria che non può più evitare o ritardare, la miseria che inevitabilmente si impone - espressione pratica della necessità - lo costringe direttamente a ribellarsi contro tale disumanità, motivo per cui il proletariato può, e deve necessariamente, liberarsi. E non può liberare se stesso senza abolire le proprie condizioni di vita.
Non può abolire le sue condizioni di vita senza abolire tutte le condizioni di vita disumane della società di oggi, che riassume la sua situazione. Non è inutile che attraversi la dura ma fortificante scuola del lavoro. Non si tratta di sapere quale obiettivo uno o altro proletario, o persino l'intero proletariato, persegua momentaneamente. Si tratta di sapere cos'è il proletariato e cosa sarà storicamente obbligato a fare, in conformità con questo essere[3].
L'identità di classe è quindi una base oggettiva che rimane inalterabile finché esiste il capitalismo, ma la coscienza soggettiva di “ciò che è il proletariato” è stata a lungo tenuta in secondo piano dal lato negativo della condizione proletaria: il fatto che “nel proletariato, l'uomo si è perso”, che è una classe che sopporta tutto il peso dell'alienazione umana. Nelle opere successive, Marx spiegherà che le particolari forme assunte dall'alienazione nella società capitalista - il processo chiamato “reificazione”, il velo di mistificazione inerente allo scambio universale di merci - rende particolarmente difficile per gli sfruttati comprendere la vera natura del loro sfruttamento e la vera identità dei loro sfruttatori. Ed è per questo che deve esserci una “coscienza teorica di questa perdita” e il socialismo deve diventare scientifico nei suoi metodi. Ma questa coscienza teorica non è in alcun modo separata dalle reali condizioni del lavoro e dalla sua rivolta contro la disumanità dello sfruttamento capitalistico.
Quando Marx scrive che la classe operaia “non può emanciparsi senza abolire le condizioni della propria esistenza”, coloro che sostengono quella che viene chiamata corrente “comunizzatrice”, ne approfittano per affermare che qualsiasi affermazione dell'identità di classe può essere solo reazionaria, poiché si tratta di un'esaltazione di ciò che il proletariato è nella società capitalista, mentre la rivoluzione comunista richiede l'immediata negazione di sé della classe operaia. Ma così si perde di vista la realtà dialettica della classe operaia come una classe che è sia nella società capitalista che fuori, una classe sfruttata e rivoluzionaria allo stesso tempo. Come Marx, dobbiamo insistere sul fatto che il proletariato, affermando se stesso sia a livello di lotte economiche e politiche sia come candidato alla direzione politica della società, potrà aprire la via per la vera dissoluzione di tutte le classi e per la “completa riconquista” dell'umanità. Questo è il motivo per cui questo rapporto si concentrerà in particolare sul problema dell'identità di classe: dal suo sviluppo iniziale nella fase ascendente del capitalismo alla sua successiva perdita e alla riappropriazione futura.
Per definizione, il proletariato è la classe dell'espropriazione. Inizialmente si formò attraverso l'espropriazione della piccola proprietà contadina, degli strumenti di produzione dell'artigiano e fu raggruppata in baraccopoli infestate da malattie della nascente società industriale. In La situazione della classe operaia in Inghilterra, Engels descrisse ampiamente gli effetti demoralizzanti di questo processo, che portava molti proletari all'ubriachezza e al crimine, sottoponendoli alla competizione più brutale tra loro. Ma Engels respinse qualsiasi condanna morale delle reazioni puramente individuali alla loro condizione e avanzò l'alternativa che poi prese forma: la lotta collettiva dei lavoratori per il miglioramento della loro condizione attraverso la formazione di sindacati, associazioni culturali e educative e partiti politici come i Cartisti - tutto ciò in definitiva ispirato dalla visione di una forma superiore di società. La concentrazione di lavoratori nelle città e nelle fabbriche era la premessa oggettiva di questa lotta. È una delle dimensioni del lavoro associato che supera il relativo isolamento dell'artigiano e dell'agricoltore; ma aldilà di costituire un processo puramente “sociologico”, il meccanismo dell'inizio dell'industrializzazione era così brutale e traumatico da portare alla produzione di una massa di poveri indifferenti e persino all'estinzione del proletariato a causa di carestia e malattie. È il riconoscimento di un interesse comune di classe, opposto a quello della borghesia, che è stata la vera base dell'identità di classe iniziale del proletariato. La “costituzione del proletariato in classe”, come afferma il Manifesto comunista, era quindi inseparabile dallo sviluppo della coscienza di classe e dell'organizzazione e “di conseguenza in partito politico”, come si legge successivamente. La classe lavoratrice non è solo una classe associata in sé, non lo è solo obiettivamente: l'associazione come premessa di una nuova forma superiore di organizzazione sociale può solo prendere forma dal momento in cui la dimensione soggettiva, l'autoorganizzazione e l'unificazione della lotta di classe contro lo sfruttamento sono riusciti a concretizzarsi all'interno della relazione sociale capitalista.
Ma il proletariato rimane la classe dell'espropriazione e ciò si applica alla fine agli stessi strumenti che ha creato per la propria difesa. I primi sindacati e partiti politici motivati dalla comprensione che il proletariato non era ancora una classe della società civile, rispetto al suo progetto di dissoluzione dell'ordine esistente, erano quindi vincolati anche dalla necessità della classe di migliorare le proprie condizioni all'interno del sistema.
E contrariamente alle aspettative iniziali dei fondatori del marxismo, questo sistema era ancora lontano da qualsiasi “crisi finale” o dal suo periodo di declino e più il proletariato ha forgiato le sue organizzazioni in modo esteso e per periodi sempre più lunghi più il pericolo era che queste diventassero “parte della società civile”, istituzionalizzandosi. Come notò Engels nel 1892: a un certo livello, “i sindacati, finora considerati come un'invenzione del diavolo, sono ora apprezzati e considerati istituzioni perfettamente legittime e come mezzi utili per diffondere buone dottrine economiche tra i lavoratori”[4].
Analizzando un’amara esperienza politica, sappiamo che il percorso verso la rivoluzione non passa attraverso la graduale costruzione di organizzazioni di massa proletarie all'interno del sistema. Al contrario, quando la vera prova ebbe luogo con l'inizio della decadenza, queste organizzazioni, che lentamente ma sicuramente erano state corrotte dalla società dominante e dalla sua ideologia, furono definitivamente recuperate dalla classe dominante per aiutarla a scatenare una guerra imperialista e combattere la minaccia della rivoluzione.
Non è stato un processo lineare. Al proletariato è stato costantemente ricordato che si tratta essenzialmente di una classe illegale, una forza per la rivoluzione. I suoi primi sforzi per costruire le più semplici associazioni per l'autodifesa furono brutalmente spazzati via dalla borghesia, che impiegò molto tempo a capire che avrebbe potuto utilizzare le organizzazioni dei lavoratori contro loro stessi. Inoltre, le condizioni politiche della metà del XIX secolo in Europa portarono il proletariato a lotte apertamente insurrezionali contro la classe dominante in Europa, almeno in due momenti chiave: il 1848 e il 1871. In Francia, già la patria della rivoluzione dopo l'esperienza del 1789/93, la classe operaia prese le armi contro lo Stato e, in particolare nel 1871, si pose concretamente il problema della sua distruzione sostituendolo con la dittatura del proletariato. Ma questi movimenti di classe che aprirono la strada per un futuro rivoluzionario non si limitarono alla Francia: in Inghilterra, paese di “riforme graduali”, il movimento di sciopero del 1842 aveva già mostrato le caratteristiche di uno sciopero di massa che sarà la modalità di lotta tipica del periodo successivo[5].
Lo stesso movimento cartista aveva ritenuto che la rivendicazione di suffragio universale fosse utile alla classe operaia per impadronirsi del potere politico e non si limitò a petizioni verso la borghesia: creò un settore per lo “scontro fisico” che, durante l'insurrezione di Newport nel 1839, non esitò a scontrarsi contro il regime[6].
La formazione della Prima Internazionale nel 1864, anche se nacque dalla necessità di coordinare a livello internazionale per lotte difensive, fu un ulteriore indicatore del fatto che per la classe operaia, che si opponeva frontalmente alla società borghese, la vera identità cosciente di classe non avrebbe potuto inserirsi nel quadro dello Stato-nazione.
La paura che l'Internazionale e la Comune di Parigi hanno ispirato all’interno della borghesia, nonché le condizioni oggettive dell'espansione capitalista globale nell'ultima parte del XIX secolo, hanno fornito le basi per una possibile integrazione delle organizzazioni operaie di massa nella società borghese e infine all'interno dello stesso apparato statale. A questi fattori si possono aggiungere le confusioni e le concessioni opportunistiche emerse all'interno del movimento proletario, in particolare l'identificazione del proletariato con l'interesse nazionale che la Seconda Internazionale, con la sua struttura federale e le sue difficoltà per capire l'evoluzione della questione nazionale, non è mai stato in grado di superare.
Ma il senso di identità di classe emerso durante questo lungo periodo di socialdemocrazia, un periodo in cui il movimento operaio organizzato offriva a un’intera generazione di lavoratori, non solo organi di difesa economica e di attività politica, ma un'intera vita sociale e culturale, non è affatto scomparso con l'apertura del periodo di decadenza del capitalismo. Al contrario, si è trasformato in una mistificazione ostile al proletariato, cominciando a “pesare come un incubo sul cervello dei vivi”, la socialdemocrazia e lo stalinismo l'avevano particolarmente utilizzato per perpetuare il loro controllo sulla classe operaia: L'identità di classe è il riconoscimento da parte del proletariato che esso costituisce una classe diversa e contraria alla borghesia e che ha un ruolo attivo nella società, ma ciò non significa meccanicamente che si riconosca come la classe rivoluzionaria. Per molti anni, l'identità di classe ruotava attorno al concetto di una classe della società capitalista che aspirava a un tenore di vita dignitoso e godeva di riconoscimento e potere sociale. Tale identità è stata costruita dalla controrivoluzione e soprattutto dai sindacati e dallo stalinismo, basandosi su alcune debolezze risalenti al periodo della Seconda Internazionale: un operaio, combattivo, interessato ai suoi diritti nella società, riconosciuto da essa, legato a grandi aziende e quartieri della classe operaia, orgoglioso del suo status di “cittadino lavoratore della società” e chiuso nel mondo di una “grande famiglia della classe operaia”.
Tale identità era legata a un periodo molto preciso dell'apogeo del Capitalismo (1870-1914), ma il suo mantenimento nel periodo di decadenza, in cui si conferma la profonda esclusione del proletariato dalla società borghese annunciato da Marx, è diventato una grande mistificazione perché rappresenta una falsa identità, molto pericolosa, piena di illusioni di integrazione nella società capitalista, di accomodamento e distruzione della vera identità e coscienza di classe. L'unica possibile identità per il proletariato è quella di una classe esclusa da questa società e che porta al suo interno la prospettiva comunista[7].
Il testo sul rapporto di forza tra le classi adottato dal nostro organo centrale internazionale nell'aprile 2018, che fa riferimento al nostro Testo di orientamento (TO) sulla fiducia e la solidarietà[8], evidenzia due fasi nella storia del movimento operaio dopo il 1848. Si concentra sullo sviluppo e sulla perdita di fiducia in se stessi da parte della classe lavoratrice, ma questa questione è strettamente legata al problema dell'identità di classe: la classe lavoratrice può fidarsi solo se è consapevole della propria esistenza e dei propri interessi:
“Durante la prima fase, dall'inizio della sua autoaffermazione come classe autonoma sino all'ondata rivoluzionaria del 1917-23, la classe operaia fu in grado, nonostante una serie di sconfitte spesso sanguinose, di sviluppare in modo più o meno continuo la fiducia in se stessa e la sua unità politica e sociale.
Le manifestazioni più importanti di questa capacità sono state, oltre alle lotte dei lavoratori stessi, lo sviluppo di una visione socialista, di una capacità teorica, di una organizzazione politica rivoluzionaria.
Questo processo di accumulazione, opera di decenni di generazioni, è stato interrotto e persino invertito dalla controrivoluzione. Solo piccole minoranze rivoluzionarie sono state in grado di mantenere la loro fiducia nel proletariato nel corso dei decenni. La rinascita storica della classe operaia nel 1968, che pose fine alla controrivoluzione, ha iniziato a rovesciare questa tendenza. Tuttavia, le nuove espressioni di autostima e solidarietà di classe mostrate da questa nuova generazione proletaria non sconfitta, sono rimaste per lo più radicate nelle lotte immediate. Non si sono fondate, come nel periodo precedente alla controrivoluzione, su una visione socialista e una formazione politica, su una teoria di classe e sulla trasmissione di esperienze accumulate e sulla comprensione da un generazione all'altra.
In altre parole, la fiducia in se stessi storica del proletariato e la sua tradizione di unità attiva e di lotta collettiva appartengono agli aspetti della sua lotta che hanno risentito maggiormente della rottura della continuità organica. Allo stesso modo, sono tra gli aspetti più difficili da ripristinare, poiché dipendono più di altri da una continuità politica e sociale vivente. Ciò a sua volta provoca una particolare vulnerabilità delle nuove generazioni della classe e delle sue minoranze rivoluzionarie.”
Possiamo aggiungere che anche prima del colpo di grazia della sconfitta della prima ondata rivoluzionaria, il grande tradimento del 1914/18 aveva significato per la classe la perdita di decenni di lavoro paziente nella costruzione dei suoi sindacati e partiti politici, una perdita che era particolarmente complicato accettare e comprendere per la classe operaia: anche tra i rivoluzionari che si opponevano a questo tradimento, solo una minoranza fu in grado di capire che queste organizzazioni erano state irrimediabilmente perse per la classe. Successivamente, con l'emergere dello Stalinismo, non ci fu solo una difficoltà di comprensione, ma la base per la costruzione della falsa identità menzionata nel “rapporto sulle prospettive” (vedi nota 7).
Ma mentre questo terribile fardello ereditato dal passato non poteva che avere un impatto disastroso sul progresso dell'ondata rivoluzionaria - che è stato espresso in particolare attraverso la teoria e la pratica del Fronte unico - questo periodo in particolare ha messo in luce la nuova forma di identità di classe rappresentata dallo sciopero di massa, dalla formazione dei consigli e dalla fondazione della Terza Internazionale.
Come aveva già detto Marx, il proletariato o è rivoluzionario o non è: questa riscoperta dell'identità di classe non era davvero “nuova”, ma ha semplicemente espresso “ciò che è il proletariato” nell’epoca di guerre e rivoluzioni; la classe può recuperare la sua identità solo organizzandosi al di fuori di qualsiasi istituzione esistente e in diretta antitesi con la società capitalista.
I decenni di controrivoluzione che seguirono approfondirono questo processo di espropriazione. Negli anni ‘30 il proletariato si trovò di fronte alla più importante crisi economica nella storia del capitalismo, la prima vera crisi economica della decadenza. Ma i partiti comunisti creati per opporsi al tradimento del 1914 abbandonarono l'internazionalismo a favore della famigerata teoria del socialismo in un solo paese e, attraverso i Fronti popolari, cercarono di dissolvere politicamente la classe operaia nel concetto di nazione e quindi prepararla per la guerra. Perfino i sindacati anarchici, che avevano conservato un certo carattere operaio in Spagna, cedettero a questo nuovo tradimento. Lo scoppio della guerra nel 1939 non significò, contrariamente a quanto sostenuto da Vercesi, la “scomparsa sociale del proletariato” e quindi l'inutilità di qualsiasi attività politica organizzata per i rivoluzionari. Finché sopravvive il capitalismo, la scomparsa sociale del proletariato è impossibile e la formazione di minoranze rivoluzionarie obbedisce a un bisogno permanente all'interno della classe. Ma questo certamente significava un ulteriore passo avanti nella sua confusione politica, non solo a causa del terrore fascista e stalinista, ma, più insidiosamente, a causa della sua integrazione nel progetto di difesa della democrazia. E questo include anche la rapida integrazione dell'opposizione trotzkista nello sforzo bellico e la dispersione delle sue fazioni di sinistra. Il proletariato si manifestò alla fine della guerra in alcuni paesi, in particolare in Italia nel 1943, ma contrariamente alle aspettative di gran parte della Sinistra comunista italiana (incluso Vercesi), ciò non significò un'inversione della controrivoluzione.
La controrivoluzione, che prese forme sempre più totalitarie, continuò durante il periodo della prosperità post-bellica, perché il Capitale scoprì nuovi modi per sabotare la coscienza che il proletariato ha di se stesso. Fu durante questo periodo “che i sociologi potettero teorizzare "l'imborghesimento" della classe operaia, conseguenza dell'espansione del consumismo e dello sviluppo dello Stato assistenziale. Del resto, dal 1945, questi due aspetti del capitalismo avrebbero costituito un importante peso in più nell’ostacolare maggiormente la classe operaia a ricostituirsi in forza rivoluzionaria: il consumismo atomizzava la classe operaia, e diffondeva l'illusione che ciascuno poteva raggiungere il paradiso della proprietà individuale; l'assistenzialismo statale - che spesso veniva introdotto dai partiti di sinistra e presentato come una conquista della classe operaia, rappresentava uno strumento ancora più significativo del controllo capitalista. Esso sabotava la fiducia della classe operaia in se stessa e la rendeva dipendente della benevolenza dello Stato; in seguito, in una fase di massiccia immigrazione, la sua organizzazione in Stato nazionale significò che la questione dell'accesso alle cure, all'alloggio, e ad altre prestazioni sarebbe diventata un potente fattore di isolamento degli immigrati e di divisioni nella classe operaia.”[9].
Il ritorno della lotta di classe dopo il 1968, che raggiunse il punto più alto durante lo sciopero di massa polacco nel 1980, confutò l'idea che la classe operaia fosse stata integrata nel capitalismo e ci diede una nuova visione della sua identità, una forza cioè che si esprime solo rompendo le proprie catene istituzionali. Gli scioperi selvaggi al di fuori dei sindacati, le assemblee generali e i comitati di sciopero revocabili, la forte tendenza all’estensione della lotta - embrioni o manifestazioni correnti dello sciopero di massa – tornarono con la prospettiva dei consigli operai. Allo stesso tempo, ciò fornì il terreno fertile per un rilancio ancora piccolo ma importante del movimento comunista che stava per scomparire negli anni '50 - prerequisito fondamentale per la formazione di un nuovo partito mondiale.
E oggi il passaggio sopra citato del TO sulla fiducia e la solidarietà, mostra come il maggio 68 e i movimenti che ne seguirono, portarono la questione di una nuova società a un livello teorico, anche se la lotta di classe è rimasta su un terreno economico e non è stata in grado di crescere fino a un confronto politico con il capitalismo. I limiti del rinnovamento proletario sono legati alla nuova fase di decomposizione, che ha visto il proletariato molto vicino a perdere completamente la sua identità di classe.
Per capire come, dalla fine degli anni '80, la consapevolezza che il proletariato ha di se stesso come forza sociale stia diminuendo, è necessario esaminare le sue diverse dimensioni separatamente, al fine di capire come operano insieme.
Tanto per cominciare, una società capitalista le cui premesse tendono a sgretolarsi, una società in aperta disintegrazione, che ha decenni di declino ed è bloccata nella sua evoluzione, tende più o meno automaticamente ad aggravare l'atomizzazione sociale che è stata una delle caratteristiche di questa società sin dalle sue origini, come già notato da Engels in La condizione della classe operaia in Inghilterra:
E anche se sappiamo che questo isolamento dell'individuo, questo egoismo limitato è ovunque il principio fondamentale della società attuale, essi non appaiono da nessuna parte con una chiarezza così grande che, precisamente, nella moltitudine della grande città. La disintegrazione dell'umanità in monadi, ognuna delle quali ha un particolare principio di vita e un fine particolare, questa atomizzazione del mondo è spinta qui all'estremo[10]. Nella fase finale di questa società, la guerra di tutti contro tutti si intensifica a tutti i livelli: aumentano le distanze tra gli individui, la violenta competizione tra bande di strada, del quartiere o del vicinato, la frenetica lotta tra imprese per l'accesso a un mercato limitato, dal crescente caos della concorrenza militare tra Stati e proto-Stati a livello internazionale. Questa tendenza è quindi alla base della ricerca di una comunità basata sulla ridotta identità a cui prima ci riferivamo - una reazione contro l'atomizzazione che serve solo a rafforzarla ad un altro livello. Questa disgregazione del tessuto sociale opera continuamente e in modo insidioso all'esatto opposto del potenziale di unificazione del proletariato intorno ai propri interessi comuni - in altre parole, alla ricostruzione dell'identità di classe proletaria.
Certo, anche la borghesia è direttamente interessata dallo stesso processo - come abbiamo notato in relazione alla sua diminuita capacità di controllare il suo apparato politico e alle sue crescenti difficoltà nel mantenere alleanze nelle relazioni statali. Ma a differenza della classe operaia, la borghesia può in qualche modo utilizzare gli effetti della decomposizione a proprio vantaggio e persino rafforzarli.
Il crollo del blocco dell’Est, ad esempio, è stato il primo esempio del processo “oggettivo” di decomposizione, creato dalla natura più profonda e irrisolvibile della crisi economica. Ma a causa delle particolari circostanze storiche implicate nella formazione di questo blocco - il risultato della sconfitta di una rivoluzione proletaria che ha permesso l'emergere di un sistema apparentemente diverso dal capitalismo occidentale - la borghesia è riuscita da questi eventi a sferrare un attacco ideologico al proletariato, alla sua coscienza di classe, che ha avuto un ruolo significativo nel riflusso delle lotte negli anni 1990. Di fronte a una classe operaia che, già durante le ondate di lotte post-68 ha affrontato notevoli difficoltà nello sviluppare una prospettiva per la sua resistenza, la campagna sulla “morte del comunismo” ha attaccato un aspetto essenziale della coscienza di classe: la sua capacità di guardare avanti e trovare un orientamento per il futuro. Ma queste campagne non si sono fermate a questo punto: hanno portato avanti l’idea non solo della fine di qualsiasi alternativa al capitalismo, ma anche quella della lotta di classe e della stessa classe operaia. In tal modo, la stessa borghesia ha mostrato la sua capacità a sabotare l’identità di classe, strumento per combattere la minaccia di una rivoluzione proletaria.
Un terzo aspetto dell'indebolimento dell'identità di classe nel periodo di decomposizione è collegato a questo. In effetti, l'insistenza sul fatto che la classe operaia sia in pericolo o una specie estinta è profondamente legata ai cambiamenti strutturali che la classe dominante è stata costretta a introdurre in risposta alla crisi economica del suo sistema, afferenti tutti al neoliberismo e globalizzazione fuorvianti, ma soprattutto il processo di “deindustrializzazione” dei più antichi centri capitalisti. Questo processo è stato ovviamente determinato dalla necessità di abbandonare le industrie non redditizie e di spostare il capitale in aree del globo dove gli stessi beni possono essere prodotti in modo molto più economico. Ma c'è sempre stato un elemento di classe direttamente antioperaio in questo processo: la borghesia era perfettamente consapevole, ad esempio, che occupandosi dei minatori chiudendo le miniere non solo l’avrebbe liberata da un settore non redditizio economicamente, ma le avrebbe permesso di dare un duro colpo in un settore molto combattivo della classe avversa. Naturalmente, delocalizzando intere industrie in Estremo Oriente e altrove, la borghesia ha creato nuove schiere di operai ingaggiati nella lotta di classe, ma resta il fatto che la classe lavoratrice industriale dei principali centri capitalisti rappresentava un pericolo particolare. La classe operaia non si limita al proletariato industriale, anche se questo settore è sempre stato al centro del movimento operaio e in particolare delle grandi lotte rivoluzionarie del passato, come dimostrato ad esempio dalla fabbrica Putilov durante la Rivoluzione russa, dagli operai della Ruhr durante la Rivoluzione tedesca, dagli operai della Renault durante lo sciopero di massa del maggio 1968 o quelli dei cantieri navali in Polonia nel 1980.
Con la chiusura di molte di queste vecchie industrie, il capitalismo ha tentato di creare un nuovo modello di classe operaia, in particolare nei settori dei servizi che, nei vecchi paesi capitalisti come la Gran Bretagna, si sono allontanati dai centri della vita economica. Questo modello si chiama “gig economy” e i suoi dipendenti sono spinti a non considerarsi lavoratori, ma come singoli imprenditori che, se lavorano duramente, possono diventare abbastanza grandi da negoziare i loro salari e le loro condizioni di lavoro con le aziende che li impiegano. Ancora una volta, questi cambiamenti sono stati alla fine dettati dalla ricerca del profitto, ma sono stati anche messi in atto dalla borghesia per impedire ai lavoratori di concepirsi come tali e come una parte di classe sfruttata.
Dal nostro ultimo Congresso nell'aprile 2017, la spinta populista è continuata, nonostante gli sforzi delle frazioni più centrali della borghesia per arginare questo fenomeno, come abbiamo visto con l'elezione di Macron in Francia e la “resistenza” organizzata dal Partito Democratico e parte dei servizi di sicurezza contro Trump negli Stati Uniti. La credibilità della Germania come barriera contro la diffusione del populismo è stata gravemente indebolita dall’incremento elettorale dell'AfD e da quello dei movimenti pogromisti come abbiamo visto a Chemnitz. Le divisioni e la quasi paralisi della borghesia inglese sulla Brexit si sono intensificate. L’instaurazione in Italia di un governo populista, in connessione con la crescente opposizione dei governi populisti nell'Europa orientale, pone seri problemi per il futuro dell'UE. La minaccia del separatismo catalano e di altri nazionalismi sull'unità dello Stato spagnolo non è stata superata.
In Brasile, la vittoria di Bolsonaro è un altro passo avanti nell'emergere di “leader forti” che difendono apertamente il terrore di Stato contro qualsiasi opposizione al loro potere. Infine, il fenomeno dei “Gilets gialli” in Francia e altrove mostra la capacità dei populisti, non solo di affermarsi in campo elettorale, ma anche in strada, nel corso di manifestazioni di grande ampiezza che potrebbero sembrare riprendere alcune delle preoccupazioni e persino metodi della classe operaia, pur avendo l'effetto di rendere ancora più confuso il significato dell'identità di classe.
Il populismo, con il suo linguaggio aggressivamente nazionalista e xenofobo, il suo disprezzo per l'evidenza e la ricerca scientifica, le sue manipolazioni cospirative e la relazione a malapena nascosta con la cruda violenza delle bande fasciste, è senza dubbio un puro prodotto di decomposizione, il segno che la classe capitalista, anche con le sue stesse parole, sta facendo marcia indietro di fronte al blocco storico tra le classi. Ma poiché emerge come un prodotto della decadenza sociale e tende a minare il controllo della borghesia su tutto il suo apparato economico e politico, la classe dominante può di nuovo usare i problemi generati dal populismo nella sua lotta permanente contro la coscienza di classe.
Ciò è evidente nel caso di quelle frazioni del proletariato che, a causa della mancanza di qualsiasi prospettiva di resistenza di classe contro il capitalismo e degli effetti della sua crisi, si sono rivolte direttamente al populismo e sono cadute in una nuova versione del “socialismo degli imbecilli”; l'idea che la loro miseria sia causata dalla crescente ondata di migranti e rifugiati, che sono a loro volta le truppe d'assalto delle sinistre élite che cercano di minare la cultura cristiana, bianca o nazionale. Queste illusioni si combinano con il loro sostegno incondizionato ai partiti populisti e ai demagoghi che si presentano come forze “anticasta”, come portavoce di “persone reali”. La presa di queste idee, che può anche condurre una minoranza significativa a compiere pogrom e azioni terroristiche, lavora chiaramente contro quei settori che trovano la loro vera identità come parte di una classe sfruttata, come sezioni della classe che è stata “abbandonata” non dalle trame di menti antinazionali, bensì dal peso spietato della crisi capitalista mondiale.
Ma, nel ricordare il famoso detto di Bordiga secondo cui “l'antifascismo è il peggior prodotto del fascismo”, dobbiamo sottolineare che l'opposizione borghese al populismo svolge un ruolo altrettanto importante nella truffa ideologica volta a impedire al proletariato di riconoscere che i suoi interessi di classe sono indipendenti da tutte le fazioni borghesi e antagonisti ai propri. Descrivendo all'inizio della sua Brochure di Junius l'atmosfera di pogrom che aveva invaso la Germania all'inizio della prima guerra mondiale, Rosa Luxemburg notò questo “clima di criminalità rituale, un'atmosfera di pogrom, dove l'unico rappresentante della dignità umana era l'agente di polizia dietro l'angolo”. Negli Stati Uniti, la stessa situazione è creata dalle dichiarazioni e dalle pratiche flagranti di un Trump, che si traduce nel fatto che sono i democratici, i repubblicani liberali, i giudici della Corte suprema e persino l'FBI e la CIA che sembrano essere i “buoni”. In Gran Bretagna, l'apparente dominio della vita politica da parte di una piccola banda di “Brextremists”, a sua volta legata a denaro sporco e persino manipolazioni dell'imperialismo russo, stimola lo sviluppo di una massiccia opposizione alla Brexit, che, sotto l'incoraggiamento pubblico di una parte dei media, può mobilitare fino a 750.000 persone per le strade di Londra per chiedere un secondo referendum. Sebbene spesso derisi come un movimento della classe media, tali mobilitazioni attraggono senza dubbio un gran numero di proletari urbani istruiti che sono infastiditi dalle bugie populiste, ma che non sono ancora in grado di staccarsi dalle fazioni di sinistra e liberali della borghesia.
In breve: l'intero dibattito politico tende a essere monopolizzato da questioni pro e anti-Trump, pro e anti-Brexit, ecc., un dibattito interamente circoscritto all'ideologia patriottica e democratica. L'opposizione borghese a Trump si presenta anch’essa come la Vera America di Trump e dei suoi sostenitori e condanna l'attuale amministrazione principalmente per le sue violazioni delle regole democratiche; allo stesso modo in Inghilterra, il dibattito ruota sempre intorno ai veri interessi del “nostro paese” e entrambe le parti si presentano essenzialmente come preoccupate della democrazia e della volontà popolare. Possiamo osservare la stessa polarizzazione nella “guerra culturale” che ha alimentato lo sviluppo del populismo: come abbiamo già sottolineato, il populismo è una forma di identità politica, che si presenta come il difensore esclusivo degli interessi di questa o quella nazione o gruppo etnico e intensifica così il reciproco scontro con tutte le altre forme di identità politica, siano le bande islamiste che servono a deviare l'ira di una classe di proletari particolarmente emarginati presenti nel ghetti urbani o campagne della sinistra relative a questioni di razza o di genere. Questa polarizzazione è la vera espressione di una società in disgregazione e sempre più divisa ma, di fronte al proletariato, il capitalismo decadente mostra il suo carattere totalitario, nella misura in cui questa vera polarizzazione occupa il terreno politico e sociale e tende a bloccare la nascita di un dibattito o di un'azione sul terreno del proletariato.
Il mondo capitalista in decomposizione genera necessariamente un clima di apocalisse. Non ha un futuro da offrire all'umanità e il suo potenziale di distruzione è sempre più evidente per gran parte della popolazione mondiale. Le manifestazioni più estreme di questa sensazione che il mondo in cui viviamo è senza futuro si esprimono nelle contorte mitologie del jihadismo islamista o dell'estremo survivalismo cristiano di destra, ma anche in un clima molto più generale. I rapporti sempre più allarmanti di gruppi scientifici sul cambiamento climatico, la distruzione di specie e l'inquinamento tossico di ogni tipo si aggiungono a questa percezione di apocalisse: se gli scienziati ci dicessero che abbiamo 12 anni per prevenire un disastro ambientale è già chiaro a tutti che i governi e le aziende di tutto il mondo faranno poco o nulla per prendere le misure adatte, per paura di indebolire i vantaggi competitivi delle loro economie nazionali. Inoltre, con l'avvento dei governi populisti, la negazione del cambiamento climatico è diventata sempre più isterica di fronte ai pericoli reali che affliggono il mondo e si trasforma in puro vandalismo, il ritiro degli accordi internazionali e l’abolizione di qualsiasi limite allo sfruttamento della natura, come nel caso di Trump negli Stati Uniti o di Bolsonaro in Brasile.
Aggiunto al fatto che la guerra imperialista è diventata più caotica e imprevedibile perché un numero crescente di Stati ha ora accesso alle armi nucleari - e quindi non sorprende che il nichilismo e la disperazione siano molto più diffusi oggi di quanto non fossero nella seconda guerra mondiale – malgrado la prossimità dell’ombra d’Auschwitz e di Hiroshima e la minaccia di una guerra nucleare tra i due blocchi imperialisti.
Il nichilismo e la disperazione derivano da un sentimento di impotenza, una perdita di convinzione che esista un'alternativa all'incubo che prepara il capitalismo. Tendono a paralizzare il pensiero e la volontà di agire. E se l'unica forza sociale in grado di porre questa alternativa è praticamente inconsapevole della propria esistenza, ciò significa che i giochi sono fatti, che il punto di non ritorno è già stato superato? Siamo consapevoli che più il capitalismo si decompone, più mina le basi di una società più umana. Ciò è ancora più chiaramente illustrato dalla distruzione dell'ambiente, che sta accelerando la tendenza verso un collasso completo della società, condizione che non favorisce in alcun modo l'auto-organizzazione e la fiducia nel futuro, necessari per guidare una rivoluzione; e anche se il proletariato arrivasse al potere su scala mondiale, dovrebbe affrontare un lavoro gigantesco, non solo per ripulire il mercato che avrebbe lasciato l’accumulazione capitalista, ma anche per invertire la spirale di distruzione che ha già messo in moto.
Ma sappiamo anche che la disperazione distorce la realtà, genera il panico da un lato, la negazione dall'altro e non ci consente di pensare chiaramente alle possibilità che ci rimangono aperte. In una serie di documenti recenti presentati ai congressi e alle riunioni del suo organo centrale, la CCI ha esaminato tutta una serie di sviluppi oggettivi che si sono verificati (e continuano ad esistere) negli ultimi decenni e che potrebbero agire a favore del proletariato. I più importanti di questi sviluppi sono:
- Lo sviluppo del proletariato su scala globale, che non c’era in passato, guidato dallo straordinario sviluppo industriale della Cina e di altri paesi del sud-est asiatico e del Pacifico. L'idea avanzata da alcuni sociologi secondo cui vivremmo in una società “postindustriale” è completamente confutata quando vediamo che oggi più che mai la società capitalista si presenta come “un immenso accumulo di beni”; e che il cuore di tutto ciò, costruzioni, produzione e distribuzioni frenetiche, sono sempre un prodotto degli esseri umani, nonostante la rapida estensione della robotizzazione. Il capitalismo senza proletariato è pura finzione. Allo stesso tempo, abbiamo assistito alla crescente proletarizzazione di innumerevoli lavori “professionali” e non industriali.
- Questa crescita economica, per quanto fragile, proprio a causa delle sue connessioni con le moderne tecnologie di comunicazione, è diventata enormemente globalizzata, è diventata una catena internazionale che corteggia costantemente con i limiti dei confini nazionali e costringe il capitalismo a organizzarsi su scala internazionale. L'attuale tendenza verso il protezionismo nazionalista cerca di aggirare questa linea di fondo, ma è significativo che la maggior parte dei suoi avversari non sia effettivamente in grado di tagliare il filo con il Capitale globale “mondializzato”. In Gran Bretagna, ad esempio, i finanzieri che hanno condotto alla Brexit (come Aaron Banks, i cui fondi offshore sono ora oggetto di un'indagine giudiziaria) sono tutti speculatori internazionali, e lo stesso vale per Trump e la maggior parte dei membri del suo comitato di supporto. E queste tendenze hanno creato una classe lavoratrice sempre più internazionale nella sua forma e nelle attività quotidiane: l'uso di Internet per coordinare i canali di produzione globali, la “mobilità del lavoro” attraverso i confini che accompagna necessariamente i movimenti di capitali, e così via. Vi è una frazione della classe altamente qualificata, spesso approdata all'università, che rappresenta quindi la migliore protezione “naturale” contro il populismo e il razzismo.
- Questi sviluppi nella forma assunta dal proletariato includono anche una maggiore integrazione delle donne nel lavoro associato, nel settore sanitario in Occidente, nelle comunicazioni in India ad esempio o nella produzione industriale in Bangladesh e in Cina. Ciò fornisce la base oggettiva per superare la divisione di genere nella classe e per capire che l'oppressione sessuale delle donne e altre forme di oppressione sessuale sono alla radice di un problema di classe, un ostacolo pernicioso alla sua unificazione. Allo stesso tempo, la partecipazione delle donne proletarie alla lotta di classe è sempre stata un elemento potente nello sviluppo della sua dimensione morale.
- Gli sviluppi tecnologici - in termini marxisti, lo sviluppo delle forze produttive - sono anche potenzialmente un fattore nel riconoscere l'obsolescenza del modo di produzione capitalistico. Nel processo di produzione, il crescente posto di computer e robot nel capitalismo genera da un lato la disoccupazione, dall'altro il superlavoro, ma il loro uso potenziale per alleviare l'umanità dal duro lavoro è sempre più ovvio. Allo stesso tempo, l'uso delle tecnologie digitali nelle aree di distribuzione, pagamento e finanza suggerisce la possibilità che la forma delle merci sia essa stessa in dissesto, che la tecnologia possa essere utilizzata semplicemente per misurare la distribuzione sul mercato sulla base dei bisogni. Tutto ciò ha dato origine a varie teorie utopiche “post-capitaliste” che si illudono nel pensare che tali sviluppi possano automaticamente derivare dall'uso di queste tecnologie in sé[11], che tuttavia esprime solo una realtà sempre più evidente prevista da Marx: “Il capitale sopravvive a se stesso”.
- L'obsolescenza della forma mercato, della produzione di valore, si esprime soprattutto in quello che è forse il “fattore obiettivo” più cruciale di tutti: la crisi economica. È l'incapacità del Capitale di andare più lontano di se stesso, che è il fattore alla base dell'attuale crisi di civiltà; e quando le contraddizioni derivanti da questo fatto storico diventano più aperte, tendono a rivelare alla classe sfruttata la necessità di un nuovo modo di produzione. La crisi del 2008, anche se la forma che ha assunto (un crollo del credito che ha colpito i proletari più come risparmiatori individuali che come classe collettiva) e i mezzi utilizzati per combatterla (in primo luogo un'iniezione ad alte dosi dello stesso veleno che lo ha provocato) non ha favorito uno sviluppo massiccio e generale della coscienza di classe, rimane una prova della vulnerabilità e dell'invecchiamento di questo sistema, che ci porta direttamente a convulsioni ancora maggiori per il futuro. Le nuvole che si addensano sull'economia mondiale saranno esaminate in un altro rapporto, ma non vi è dubbio che la crescente incapacità della classe dominante di controllare le contraddizioni economiche del suo sistema, e quindi la necessità sempre più grande di attaccare frontalmente le condizioni di vita e di lavoro, rimane un potenziale fattore chiave per il riavvio della lotta di classe e di una autocoscienza proletaria più ampia.
- La necessità di uno sviluppo a livello soggettivo. Dobbiamo tenere presente che questi fattori oggettivi, poiché sono necessari per il recupero dell'identità e della coscienza di classe, non sono di per sé sufficienti e che vi sono altri fattori che si contrappongono al realizzare il potenziale che posseggono. Pertanto, le nuove generazioni di lavoratori industriali in Asia mostrano spesso un alto livello militante (ad esempio gli scioperi massicci nell'industria tessile del Bangladesh), ma mancano della tradizione politica di lunga data del proletariato occidentale, anche se quest’ultimo è stato ampiamente oscurato. L'integrazione delle donne nel lavoro, quando la coscienza di classe è debole, è stata spesso accompagnata da un aumento delle molestie. E abbiamo già visto (certamente negli anni '30, ma in una certa misura dopo il 2008) che la crisi economica in determinate circostanze diventa un fattore di demoralizzazione e atomizzazione individuale piuttosto che di mobilitazione collettiva.
La classe operaia è la classe della coscienza. A differenza delle rivoluzioni borghesi, la sua rivoluzione non si basa su un accumulo regolare di ricchezza e potere economico. Può solo accumulare esperienza, tradizione di lotta, metodi di organizzazione e così via. In effetti, l'elemento soggettivo è cruciale perché si conquisti e realizzi un obiettivo potenziale.
Questo potenziale soggettivo non può essere misurato in termini immediati. La lotta per il potere delle classi esiste storicamente e possiamo dire che, anche se il tempo non è dalla nostra parte, anche se la decomposizione sta diventando una minaccia crescente e la classe operaia si confronta con notevoli differenze al suo interno per emergere dal suo attuale declino, a livello globale la classe non è stata sconfitta dal 1968 e ciò rappresenta quindi un ostacolo alla caduta completa nella barbarie; ha ancora il potenziale per superare questo sistema. Ma possiamo continuare ad affermarlo solo esaminando attentamente le espressioni più immediate di ribellione contro l'ordine sociale, che non mancano.
Per quanto riguarda le lotte aperte della classe, esamineremo due esempi recenti:
1. In Gran Bretagna negli ultimi due anni, abbiamo visto piccoli ma significativi scioperi dei lavoratori della gig economy[12], come riportato in questo articolo di World Revolution:
“Una delle paure per i lavoratori che hanno un lavoro occasionale molto precario, con una grande percentuale di immigrati tra loro, è che non sono in grado di combattere, e che c'è solo tra loro una pressione competitiva per abbassare i salari. Ad aziende come Uber e Deliveroo piace dire che i loro dipendenti sono lavoratori autonomi (e quindi non possono ottenere il salario minimo, ferie retribuite o malattia). Il recente sciopero a Deliveroo, che si è esteso ai fattorini di UberEats, ha risposto ad entrambe le questioni, essi fanno sicuramente parte della classe operaia e sono in grado di combattere per difendersi. Minacciati con un nuovo contratto che al salario orario più un bonus per ogni consegna (£ 7 e £ 1) avrebbe sostituito una retribuzione solo per ogni consegna, nonostante il loro apparente isolamento reciproco e le loro condizioni precarie, i dipendenti Deliveroo hanno organizzato un’assemblea generale (AG) per lanciare la lotta, una manifestazione con ciclomotori e biciclette per le strade di Londra e uno sciopero di 6 giorni. Hanno chiesto una contrattazione collettiva contro l‘“offerta” della dirigenza per discutere con loro individualmente. Alla fine, la minaccia di licenziarli se non avessero firmato il nuovo contratto è stata rimossa, ma quest’ultimo è stata messo alla prova per coloro che lo hanno scelto. Una vittoria parziale. Un certo numero di fattorini ha partecipato alle AG di Deliveroo. Si sono confrontati con le stesse condizioni, che danno loro uno status ipocrita di imprenditori autonomi; lo stipendio è crollato, tant’è che ora si ritrovano a reddito minimo, senza alcuna garanzia sulla paga, ricevendo solo £ 3,30 per consegna. In seguito ad uno sciopero selvaggio, un dipendente è stato licenziato (o “disabilitato” dal momento che non è protetto da alcuna legislazione sul lavoro), e qui si vuole sottolineare il coraggio di questi lavoratori nel lottare in tali precarie attività ...”[13].
Più di recente, a ottobre, i lavoratori di una serie di fast-food in diverse città del Regno Unito (McDonalds, TGI Fridays e JD Witherspoon) hanno scioperato contemporaneamente ai fattorini di UberEats e si sono uniti ai loro picchetti e manifestazioni. Come scrive l'articolo di WR, queste azioni si basavano sulla consapevolezza dei lavoratori di queste società di far parte dello stesso corpo sociale collettivo e non di essere individui isolati. È stato significativo che questi scioperi abbiano coinvolto molti lavoratori immigrati insieme a quelli nati in Gran Bretagna, mentre molte di queste azioni sono state coordinate con i lavoratori delle stesse aziende in Europa. Allo stesso tempo, secondo la BBC, gli scioperi coincidono con le azioni dei lavoratori dei fast-food in Cile, Colombia, Stati Uniti, Belgio, Italia, Germania, Filippine e Giappone…[14]
La nozione di “precariato” applicata a questi impiegati avrebbe potuto significare che fanno parte di un’altra classe, ma l'occupazione precaria ha sempre fatto parte delle condizioni della classe lavoratrice. In un certo senso, i metodi dell’”economia dei gig”, con sempre più lavoratori impiegati nel breve periodo e su una base precaria, ci riportano al periodo in cui gli operai edili o dei porti facevano la coda per farsi assumere giornalmente.
I tentativi da parte di lavoratori di diverse aziende e paesi di agire di concerto sono un'affermazione di un'identità di classe contro il “nuovo modello” accennato prima, e mostrano che nessuna parte della classe, anche se dispersa e oppressa, è incapace di combattere per i propri interessi. Allo stesso tempo, il fatto che questi lavoratori siano in gran parte ignorati dai sindacati tradizionali ha aperto le porte a forme più radicali di sindacalismo: in Gran Bretagna, organizzazioni semi-sindacali come l'IWW, la Independent Workers Union of Great Britain, o la United Voices of the World ne hanno approfittato rapidamente diventando la principale forza che “organizza” i lavoratori. Ciò è probabilmente inevitabile in una situazione in cui non esiste un movimento di classe generale, ma l'influenza di questi sindacati radicali testimonia la necessità di controllare una vera radicalizzazione all'interno di una minoranza di lavoratori.
2. Lotta contro l'economia di guerra in Medio Oriente
Gli scioperi e le manifestazioni scoppiate a luglio in diversi luoghi in Giordania, Iraq e Iran, descritti in diversi articoli del nostro sito[15], sono stati una risposta diretta dei proletari di queste regioni alla miseria inflitta alla popolazione dall'economia di guerra. Le richieste erano molto focalizzate sui problemi economici di base: riduzione dell'approvvigionamento idrico e accesso alle medicine, salari di miseria e conti non pagati, disoccupazione, testimonianza che questi movimenti sono iniziati su un terreno di classe. Ci sono stati anche molti slogan politici tendenti ad affermare gli interessi proletari contro quelli della classe dominante e della guerra: in Iran, ad esempio, le fazioni “fondamentaliste” e quelle dei “riformatori” della teocrazia sono state messe insieme e le rivendicazioni imperialiste del regime iraniano sono state spesso ridicolizzate; in Iraq, i manifestanti hanno proclamato a gran voce che non erano né sunniti né sciiti; e non solo il governo e gli edifici municipali sono stati attaccati dai manifestanti, ma anche le istituzioni sciite hanno proclamato ipocritamente il loro “sostegno” alle ondate di protesta. La delegazione del populista “radicale” Al-Sadr per incontrare i manifestanti è stata attaccata ed è fuggita, il tutto trasmesso in un video sui social network[16].
Ancora più importante, nell'autunno del 2018, ci sono stati numerosi scioperi da parte dei lavoratori molto combattivi nell'industria iraniana, con alcune evidenti dimostrazioni di solidarietà tra le diverse società, come nel caso dei lavoratori siderurgici di Foolad e dello zucchero a Haft Tappeh. Quest'ultima lotta è diventata famosa anche a livello internazionale grazie ad assemblee generali e le dichiarazioni di Ismail Bakhshi, un leader chiave dello sciopero, sul loro comitato di sciopero come embrione del sovietismo.
Ciò è stato ripreso da vari elementi del milieu lasciando capire che i consigli dei lavoratori erano all'ordine del giorno in Iran, quando per noi non era lontanamente il caso. Le altre dichiarazioni di Bakhshi mostrano che esiste una grave confusione sull'autogestione anche tra i lavoratori più avanzati[17]. È anche vero che alcuni degli slogan delle prime manifestazioni di strada avevano un carattere nazionalista e persino monarchico. Nonostante queste profonde debolezze, riteniamo ancora che questa ondata di lotta in Iran sia un’espressione importante del potenziale intatto della lotta di classe. Mentre la guerra diventa una realtà permanente per frazioni sempre più numerose della classe operaia, questi movimenti ci ricordano non solo il completo antagonismo tra proletariato e qualsiasi conflitto imperialista, ma anche la presa di coscienza di questo antagonismo, che si esprime sia attraverso gli slogan proposti sia attraverso la simultaneità internazionale delle rivolte in Iran, Iraq e Giordania.
Non presentiamo questi esempi come prove di una ripresa mondiale della lotta di classe o addirittura della fine del riflusso, che richiederebbe l'emergere di importanti movimenti di classe nei paesi centrali del capitalismo. In questi paesi, la situazione sociale è sempre caratterizzata da un'assenza di grandi lotte sul terreno proletario. D'altra parte, abbiamo visto una serie di movimenti che mostrano una crescente indignazione contro la brutalità e il carattere distruttore della società capitalista. Negli Stati Uniti in particolare, abbiamo assistito ad azioni dirette negli aeroporti contro la detenzione e l'espulsione di viaggiatori dei paesi musulmani, dimostrazioni gigantesche contro l'uccisione di giovani neri in diverse città: Charlotte, Saint Louis, New York, Sacramento… e la massiccia mobilitazione giovanile che ha seguito la sparatoria della High School Marjory Stoneman Douglas a Parkland, in Florida. I cambiamenti climatici e la distruzione ambientale sono anche fattori scatenanti di movimenti di protesta, tra cui gli scioperi scolastici in molti paesi sotto l'egida di “Venerdì per il futuro” o le proteste di “Extinction Rebellion” a Londra. Nella stessa direzione, l’indignazione per i comportamenti condiscendenti e violenti nei confronti delle donne, non solo nei paesi “meno sviluppati” come l'India, ma anche nelle cosiddette “democrazie liberali” si esprimeva per strada senza limitarsi ai forum su Internet.
Tuttavia, data la perdita generale dell'identità di classe, è molto difficile impedire che tali proteste cadano nelle trappole della borghesia, nelle mistificazioni che circondano la “politica identitaria” e il riformismo, nonché a dirigere manipolazioni da parte della sinistra e di varie fazioni democratiche borghesi. Il fenomeno dei “Gilet gialli” mostra il pericolo che la classe continui a perdersi nei movimenti interclassisti dominati da un'ideologia populista e nazionalista.
È solo riacquistando la consapevolezza di se stessa come classe, con lo sviluppo della lotta sul proprio terreno, che tutta questa energia e questa rabbia legittima che oggi vengono dirottate in direzioni sterili e impotenti, domani potranno essere “recuperate” dal proletariato. La dinamica del movimento degli Indignados nel 2011 mostra che questo è più che un vago desiderio. Motivato dai problemi “classici” della classe lavoratrice, ovvero disoccupazione, insicurezza del lavoro, impatto della crisi del 2008 sulle condizioni di vita, questo movimento ha messo in luce delle questioni sul futuro dell'umanità in un sistema che molti partecipanti consideravano “obsoleto”. Ha organizzato ogni tipo di discussione sulla moralità, la scienza, l'ambiente, le questioni relative al sesso e al genere, ecc., e in questo senso ha chiaramente ravvivato lo spirito del Maggio ’68, ponendo la richiesta di alternativa alla società capitalista. È stato l’espressione di un movimento proletario che aveva iniziato a capire che stava rispondendo ad “attacchi sia particolari che generali”. Ha dimostrato che la lotta di classe deve estendersi non solo ai settori più ampi dell'economia capitalista, ma anche ai campi della politica e della cultura.
Tuttavia, rimane il problema che, anche se gli Indignados erano essenzialmente un movimento del proletariato, in gran parte composto da impiegati, semi-disoccupati e disoccupati, studenti delle scuole superiori e dell'università, la maggior parte dei suoi partecipanti si vedevano soprattutto come cittadini, e quindi erano molto vulnerabili all'intera ideologia di “Democracy Now” (Democrazia Adesso) e ad altri gruppi di sinistra che cercavano di portare il movimento delle assemblee al corporativismo per riformare il sistema parlamentare. Naturalmente nel movimento esisteva una sostanziale ala proletaria (in senso politico piuttosto che sociologico) che vedeva le cose in modo diverso ma rimaneva una minoranza e sembra aver dato alla luce una minoranza ancora molto più piccola di elementi che si sono evoluti verso posizioni rivoluzionarie. Il “problema identitario” del movimento degli Indignados è stato messo in evidenza anche nel 2017, quando molti che erano stati davvero indignati dal futuro offerto dal capitalismo caddero nella trappola del nazionalismo, in particolare nella sua versione catalana.
Una delle debolezze fondamentali del movimento è stata la mancanza di connessione tra movimento di strada, piazze e lotte sul posto di lavoro, e questo divario dovrà essere colmato da future lotte. Ne abbiamo avuto un esempio nei recenti movimenti in Medio Oriente, e forse più esplicitamente con gli scioperi dei metallurgici di Vigo nel 2006. Poiché per essere presenti in strada è essenziale stare insieme, lavoratori di diversi settori e disoccupati, il movimento sul posto di lavoro è la chiave per ricordare a tutti quelli che sono nella strada che fanno parte di una classe costretta a vendere la propria forza lavoro al Capitale.
Questa unione è anche importante per risolvere il problema dell'organizzazione unitaria dei futuri movimenti di massa, è il problema dei consigli operai. Nei movimenti rivoluzionari del passato, i consigli operai tendevano a emergere dalla centralizzazione delle Assemblee Generali di grandi unità industriali. Questo è senza dubbio un fattore importante nelle aree in cui tali unità esistono ancora (Germania, per esempio) o si sono recentemente sviluppate (Cina, subcontinente indiano, ecc.). Ma visto che i vecchi centri di lotta di classe, specialmente in Europa, hanno attraversato un lungo processo di deindustrializzazione, è possibile che i consigli emergano da una serie di assemblee tenute in luoghi di lavoro centrali come ospedali, università, magazzini, ecc. e che assemblee di massa si svolgano nelle strade e nelle piazze dove lavoratori provenienti da posti dispersi, i disoccupati e i lavoratori precari possano unire le loro lotte.
Il fatto che la maggior parte della popolazione sia stata proletarizzata dall'impatto combinato della crisi e dai cambiamenti nella “pelle” della classe operaia, implica che le assemblee create su base territoriale piuttosto che sulla base di unità di produzione avranno un carattere di classe proletaria, anche se esiste in tali forme di organizzazione un evidente pericolo di influenza della piccola borghesia e di altri strati. Tali dilemmi ci portano alla questione dell'autonomia di classe e della sua relazione con lo Stato di transizione in una rivoluzione futura, poiché la classe operaia, dopo aver riguadagnato la sua identità di forza sociale rivoluzionaria, dovrà mantenere la sua autonomia, politicamente e organizzativamente durante il periodo di transizione, fino a quando tutti sono diventati proletari e non ci siano altri che non lo siano.
È anche probabile che questa nuova identità rivoluzionaria assumerà una forma più direttamente politica in futuro: in altre parole, che la classe sarà definita attraverso una crescente aderenza alla prospettiva comunista, anche perché la profondità della crisi sociale e la volontà economica distrugge ogni illusione su un possibile “ritorno alla normalità” nel capitalismo in decomposizione. Ne abbiamo avuto un'indicazione con l'apparizione di un'ala rivoluzionaria nel movimento degli Indignados: il suo carattere proletario non si basava tanto sulla sua composizione sociologica quanto sulla sua lotta per difendere l'autonomia delle assemblee e una prospettiva globale di trasformazione sociale contro i diversi recuperatori di estrema sinistra (gauchisti). Il Partito del futuro potrebbe emergere da un'interazione tra tali grandi minoranze proletarie e organizzazioni politiche comuniste. Naturalmente la fragilità dell'attuale contesto politico della Sinistra comunista significa che non vi è alcuna garanzia che questo incontro abbia luogo. Ma possiamo dire che l'apparizione di nuovi elementi che ora ruotano attorno alla Sinistra comunista, alcuni dei quali molto giovani, è un segno che il processo di maturazione sotterranea è una realtà e che continua nonostante le ovvie difficoltà della lotta di classe. Anche se comprendiamo che il Partito del futuro non sarà un'organizzazione di massa che cercherà di abbracciare l'intera classe, questa dimensione della politicizzazione della lotta ci mostra quanto rimane profondamente vera la frase classica del marxismo: “la costituzione del proletariato in classe, e di conseguenza in partito politico”.
28 dicembre 2018
[3] La critica critica [26]come serenità della coscienza, ovvero la Critica critica come signor Edgardo (…IV: Proudhon) di Karl Marx.
[4] Introduzione all’edizione inglese di La condizione della classe operaia in Inghilterra.
[5] Leggi il nostro articolo in inglese Storia del movimento operaio in Gran Bretagna [27]
[6] Questo movimento fu preceduto nel 1831 dalla rivolta di Merthyr, che, si può dire, era meglio organizzato e di maggior successo, anche se gli operai potevano solo prendere il potere in una città e per un breve momento. È tuttavia il primo episodio noto in cui i lavoratori hanno camminato dietro la bandiera rossa.
[7] Estratto da un rapporto sulle prospettive della lotta di classe, dicembre 2015.
[8] Rivista Internazionale n. 33. Testo di orientamento, 2001: la fiducia e la solidarietà nella lotta del proletariato 1a parte [28]
[9] Risoluzione sulla lotta di classe [29], 22 ° Congresso della CCI
[10] La situazione della classe operaia in Inghilterra [30] capitolo Le Grandi città.
[11] Ad esempio, si può leggere il libro Post Capitalism di Paul Mason, una guida al nostro futuro e le sue critiche in inglese da parte della CWO [31]
[12] Caratterizzato dalla predominanza di contratti a breve termine o di lavoro autonomo rispetto ai lavori a tempo indeterminato.
[13] Leggi il nostro articolo in inglese: Deliveroo, UberEats: lotte di precari e lavoratori immigrati [32]
[14] Leggi il nostro articolo in inglese I lavoratori di McDonald's, UberEats e Wetherspoon sono in sciopero [33]
[15] Leggi i nostri articoli in inglese Iraq: marcia contro la macchina da guerra [34] ; Voce e proteste internazionaliste in Medio Oriente [35] ;
[16] Leggi il nostro articolo in inglese Iraq: marcia contro la macchina da guerra [34]
[17] Leggi il nostro articolo in inglese: Risposta a Internationalist Voice sugli scioperi in Iran [36]
Il Rapporto sulla questione del “Corso Storico” del 23° Congresso della CCI, che pubblichiamo di seguito, conferma un cambiamento significativo di analisi rispetto a quello elaborato in un testo fondamentale del 1978 dal titolo “Il corso storico”[1].
In breve, questo cambio di analisi deriva direttamente dal cambiamento del contesto mondiale, seguito alla caduta del blocco imperialista dell’Est avvenuto nel 1989, che a sua volta ha portato alla disgregazione del blocco occidentale. Ciò che cambia infatti nella nuova situazione, con l’entrata in pieno del mondo nel periodo di decomposizione del capitalismo, è la necessità di analizzare i cambiamenti significativi nell'evoluzione dei rapporti di forza tra le classi; in particolare il fatto che l’alternativa rivoluzione o distruzione dell'umanità attraverso la guerra mondiale non si pone più negli stessi termini poiché, con la scomparsa dei blocchi imperialisti, la guerra mondiale non è più all’ordine del giorno. Effettuando il necessario cambiamento nella nostra analisi, abbiamo ripreso il metodo di Marx e del movimento marxista, sin dalla sua creazione, consistente nel cambiare posizione, analisi e persino programma completo, non appena questi non corrispondono al cammino della storia e questo per essere fedeli allo scopo stesso del marxismo come teoria rivoluzionaria. Un famoso esempio è quello delle importanti modifiche che Marx ed Engels apportarono successivamente allo stesso Manifesto comunista, riassunte nelle successive prefazioni che aggiunsero a questo lavoro fondamentale, alla luce dei mutamenti storici avvenuti. Le generazioni successive di marxisti rivoluzionari adottarono lo stesso metodo critico:
L’insistenza di Rosa in quest’epoca sulla necessità di riconsiderare analisi precedenti per essere fedeli alla natura e al metodo del marxismo, come teoria rivoluzionaria, era direttamente collegata al significato mutevole della prima guerra mondiale. La guerra del 1914-1918 segnò il punto di svolta per il capitalismo come modo di produzione, dal suo periodo di ascesa o progresso a un periodo di decadenza e collasso, che cambiò radicalmente le condizioni e il programma del movimento operaio. Ma solo la sinistra della II Internazionale cominciò a riconoscere che il periodo precedente era definitivamente terminato e che il proletariato stava entrando “nell'epoca delle guerre e delle rivoluzioni", come la chiamerà in seguito la III Internazionale.
La destra opportunista della socialdemocrazia ha falsamente affermato che la prima guerra interimperialista era una guerra di difesa nazionale - come le guerre limitate e minori del XIX secolo - e ha unito le sue forze con la borghesia imperialista, mentre l'ala centrista ha affermato che la guerra era solo un'aberrazione temporanea e che le cose sarebbero “tornate alla normalità” dopo la fine delle ostilità. I rappresentanti di queste due correnti finirono per combattere l'ondata proletaria rivoluzionaria che pose fine alla prima guerra mondiale, mentre i dirigenti delle insurrezioni proletarie come Rosa, Lenin e Trotskij, nei partiti comunisti di recente formazione, conservarono l’“onore del socialismo internazionale” mettendo da parte le formule antiquate della Socialdemocrazia che ora venivano usate per giustificare la controrivoluzione.
I cambiamenti senza precedenti segnati dalla fine della Guerra Fredda nel 1989 non furono della stessa portata di quelli del 1914. Ma hanno segnato una nuova tappa significativa nello sviluppo della decadenza capitalista, in coincidenza con l'emergere della sua fase finale, quella della decomposizione sociale. Se la svolta del 1989 non ha cambiato il programma della classe operaia che ha mantenuto la sua validità per tutta la decadenza del capitalismo, ha segnato un cambiamento importante rispetto alle condizioni in cui la lotta di classe si era evoluta fino ad allora nei sette decenni tra il 1914 e il 1989. Il Rapporto che pubblichiamo contribuisce allo sforzo critico di aggiornare l'analisi marxista su questo importante punto di svolta nella storia mondiale.
Nel 1989, proprio nel momento degli eventi che hanno scosso il mondo, la CCI aveva già analizzato, in vari testi, i cambiamenti molto importanti in atto. Nelle sue Tesi sulla decomposizione (Rivista Internazionale n°14, 1990) e nel testo su Militarismo e decomposizione (Rivista Internazionale n°15, 1991), la CCI aveva previsto che il periodo successivo sarebbe stato dominato dalla putrefazione accelerata e dal caos di un modo di produzione nella sua agonia, attraversato da contraddizioni violente e distruttive della decadenza capitalista, ma in una nuova forma e in un nuovo contesto. La ripresa della lotta di classe proletaria, iniziata nel 1968 e che aveva impedito lo scoppio di una terza guerra mondiale, incontrava ora nuove difficoltà e un lungo periodo di ritiro e disorientamento, ma l'aggravarsi della crisi economica mondiale spingerà il proletariato a riprendere la sua lotta.
Inoltre, il crollo del blocco dell’Est pose fine, forse definitivamente, alla divisione del mondo in due parti armate, che era stata la forma principale in cui l'imperialismo mondiale aveva operato a pieno titolo nella sua fase decadente. La prima e la seconda guerra mondiale, così come gli eventi che le hanno precedute e seguite, hanno dimostrato che il capitalismo non poteva più evolversi grazie all'espansione coloniale come nel XIX secolo e che a ciascuno degli Stati imperialisti rivali non restava che tentare di operare una nuova divisione del mercato mondiale a proprio vantaggio, attraverso guerre massacranti. E questo tentativo si è articolato attraverso la tendenza a raggruppare i diversi paesi dietro ciascuno dei due gangster più potenti, un processo pienamente confermato dopo il 1945. Dopo il periodo 1914-1989, dominato dalla divisione del mondo in due blocchi imperialisti rivali, la tendenza alla formazione dei blocchi cessa di essere dominante nei rapporti imperialistici e ogni potenza segue ormai il suo sanguinoso cammino, guidata da “l’ognuno per sé”.
Il rapporto esamina e riafferma questa analisi modificata dal 1989, ma ne amplia ulteriormente la portata. Nel 2015, il 21° Congresso della CCI ha lanciato un importante progetto a lungo termine che rivede 40 anni della sua esistenza per “identificare, nella maniera più lucida possibile, le nostre forze e le nostre debolezze, ciò che era valido nelle nostre analisi e gli errori che abbiamo fatto, al fine di armarci per superarli” (A 40 anni dalla fondazione della CCI, quale bilancio e quali prospettive per la nostra attività? [38]) Il Rapporto sulla questione del corso storico del 23° Congresso è una conseguenza di questo specifico sforzo e spinge oltre l'analisi già contenuta nei testi prodotti trent'anni fa riesaminando punto per punto il testo originale sul corso storico del 1978.
Così facendo conclude che il termine stesso “corso storico” non può più essere considerato adeguato per coprire tutti i periodi della lotta di classe. Si applica al periodo da Sarajevo 1914 al crollo dell'URSS nel 1989, ma non al periodo precedente o al periodo successivo. Nel trarre questa conclusione, il rapporto sottolinea una distinzione molto importante da fare tra due diversi concetti:
Questi due concetti - corso storico e rapporto di forza tra le classi - non sono quindi identici o sinonimi, ma il testo del 1978 non stabilisce chiaramente questa distinzione. Siamo lieti di notare che prima della sua pubblicazione, il Rapporto ha già acceso un vivace dibattito pubblico (diverse dozzine di contributi da luglio fino ad oggi sul nostro forum online sull'argomento(3)) poiché le sue principali conclusioni erano già incluse nella Risoluzione sulla situazione internazionale del 23° Congresso che è già stata proposta ai nostri lettori. Non è ancora il momento di fare il punto su questo dibattito, che è ancora agli inizi. Ma deve svilupparsi. Il dibattito critico è una parte essenziale dello sforzo marxista per sviluppare una nuova comprensione mentre continuiamo a discutere le “tempeste della storia”.
Secondo la concezione materialista della storia sviluppata da Marx, le contraddizioni del sistema capitalista portano ad un'alternativa storica, il socialismo o la barbarie: o una lotta che porta al rovesciamento della borghesia da parte del proletariato, o la mutua rovina di queste classi e della società stessa.
Comprendere lo sviluppo della lotta di classe all'interno del capitalismo - le sue diverse fasi storiche, i suoi progressi e battute d'arresto, le mutevoli forze relative degli avversari - è stato quindi di importanza decisiva per le analisi dell'avanguardia comunista del proletariato e un aspetto intrinseco dell'applicazione del metodo marxista.
I grandi cambiamenti dei parametri della situazione mondiale nel 1989, causati dal crollo del blocco dell’Est e dall'ingresso del capitalismo decadente nella sua fase finale di decomposizione sociale, hanno portato l'organizzazione a tener conto delle crescenti difficoltà per il proletariato in questa nuova situazione e a modificare la sua analisi delle dinamiche della società in funzione dei rapporti di forza tra le classi. In effetti, questa analisi, come è stata esposta nel testo sul Corso Storico (CS78) del 3° Congresso della CCI nel 1978[2], non era più appropriata nel mondo post 1989, dove le rivalità imperialiste non sono più impostate nel confronto di due blocchi imperialisti rivali, ma in un mondo in cui la risposta capitalista con una nuova guerra imperialista mondiale non è più una possibilità storica nel prossimo futuro. I testi prodotti dalla CCI subito dopo il crollo del blocco dell’Est come le “La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9]” (Rivista Internazionale n°14, 1990), “Militarismo e decomposizione [22]” (Rivista Internazionale n°15, 1991), l'articolo “Dopo il crollo del blocco dell’est, destabilizzazione e caos”[3], definiscono già chiaramente la questione del rapporto mondiale delle forze tra le classi basato su un paradigma diverso da quello del testo CS78.
Durante i due decenni dal 1990, la CCI ha elaborato, in numerosi testi e articoli, questo cambio di analisi riguardante i rapporti di forza tra le classi e la posta in gioco a livello delle dinamiche sociali, in particolare nei rapporti e nelle risoluzioni sulla lotta di classe per i suoi Congressi internazionali e pubblicati sulla nostra stampa. Questi confermano in particolare le crescenti difficoltà e minacce per il proletariato, create dal periodo di decomposizione sociale del capitalismo.
A tal proposito si può citare ad esempio il Rapporto sulla lotta di classe per il 13° Congresso della CCI nel 1999 (Rivista Internazionale n°23) o il rapporto sulla lotta di classe per il 14° Congresso del 2001 (International Review n.107) che era intitolato “Il concetto di corso storico nel movimento rivoluzionario”. Dovrebbero essere presi in considerazione anche altri articoli che trattano del problema del rapporto di forza tra le classi nel periodo di decomposizione, come “Perché il proletariato non ha ancora rovesciato il capitalismo” (International Review n.103 e 104) e gli articoli “Capire la decomposizione del capitalismo”, in particolare quello della International Review n.117[4].
Tuttavia, sebbene abbia sviluppato i principali elementi teorici per capire cosa cambia neri rapporti di forza tra le classi, l'organizzazione non ha finora effettuato una revisione specifica del testo CS78. È ovvio che una rettifica di questa anomalia - per quanto tardiva - è necessaria se vogliamo essere scrupolosamente fedeli al nostro metodo storico di modificare o cambiare non solo la nostra analisi e le nostre argomentazioni alla luce dei grandi eventi, ma anche giustificare questa modifica facendo riferimento specificamente all'analisi originale. Il nostro metodo politico non è mai stato quello di abbandonare posizioni o analisi precedenti senza tenerne conto e giustificarle pubblicamente, perché un’invarianza o un monolitismo anacronistico sono impossibili e possono solo costituire un ostacolo alla chiarificazione della coscienza di classe. Ciò che rimane valido nel testo CS78, ciò che è stato superato dal cambiamento del contesto storico nel capitalismo decadente e come quest'ultimo ha rivelato i limiti del testo CS78, tutto questo deve essere compreso e spiegato più chiaramente, in modo che gli anacronismi rimanenti possano essere rivelati e chiariti.
Punto 1) I rivoluzionari devono fare previsioni. Si tratta, infatti, di una capacità e di una necessità specifica della coscienza umana di predire (cfr. il paragone fatto da Marx tra l'ape istintiva e l'architetto umano cosciente). Il marxismo, come metodo scientifico, come la scienza nel suo insieme, trasforma: “ipotesi basate su una prima serie di esperienze in previsioni, e confrontando queste previsioni con nuove esperienze, il ricercatore può verificare (o invalidare) queste ipotesi e progredire nella sua comprensione”[5].
Il marxismo basa la sua prospettiva della rivoluzione comunista su un'analisi scientifica e materialista del crollo del capitalismo e degli interessi di classe del proletariato rivoluzionario.
Questa prospettiva generale e a lungo termine è relativamente semplice per i marxisti. La difficoltà per i rivoluzionari è prevedere a medio termine se la lotta di classe avanza o indietreggia. In primo luogo, ovviamente il marxismo non può fare affidamento su esperimenti controllati come può fare la scienza di laboratorio.
Punto 2) Inoltre, la lotta di classe proletaria è caratterizzata da periodi di sviluppo molto diversi, con picchi e depressioni estremi, dovuti al fatto che la classe operaia è una classe sfruttata senza alcun potere nella vecchia società e quindi destinata a lunghi periodi di sottomissione. Gli scatti relativamente brevi della sua lotta sono determinati dai periodi di crisi del capitalismo (crisi economica e guerra). Il proletariato non può progredire di vittoria in vittoria, come nel caso delle nuove classi sfruttatrici del passato. La vittoria finale del proletariato, infatti, è condizionata da una lunga serie di dolorose sconfitte. Da qui la dichiarazione di Marx in Le 18 Brumaire de Louis Napoléon del 1852 sull'andamento estremamente diseguale dello sviluppo della lotta delle classi[6]. La realtà di uno sviluppo così frastagliato della lotta di classe era evidente in passato, ma la lunghezza e la profondità della controrivoluzione tra il 1923 e il 1968 hanno avuto l’effetto di oscurarla.
Punto 3) Tuttavia, sono essenziali precise previsioni di medio termine dei rivoluzionari sull'evoluzione degli rapporti di forza tra le classi. Le conseguenze di errori a questo riguardo sono eloquenti: l'avventurismo di Willich-Schapper dopo le sconfitte delle rivoluzioni del 1848; la “teoria dell'offensiva” del KAPD quando l'ondata rivoluzionaria rifluì negli anni '20; la fondazione da parte di Trotzki della Quarta Internazionale nel 1938 nel profondo della controrivoluzione. Contrariamente a questi esempi, alcune previsioni si sono rivelate perfettamente corrette: Marx ed Engels riconobbero che dopo le sconfitte del 1848 e del 1871 era inevitabile un periodo di riflusso della classe operaia; la previsione di Lenin nelle Tesi di aprile 1917 della marea crescente della rivoluzione mondiale; l'identificazione da parte della sinistra italiana degli anni Trenta come corrispondenti ad un periodo di sconfitta decisiva.
Punti 4/5/11) Prevedere la direzione della lotta di classe indica se i rivoluzionari stanno andando con o contro corrente. Gli errori o l’ignoranza della tendenza corrente, possono essere catastrofici. Ciò è stato particolarmente vero nella decadenza capitalista in cui la posta in gioco, guerra imperialista o rivoluzione proletaria, era molto più alta che ai tempi dell'ascendenza capitalista.
Punto 6) L'opposizione e l'esclusione reciproca dei due termini dell'alternativa storica, guerra o rivoluzione. Mentre la crisi del capitalismo decadente può portare all'uno o all'altro dei due termini dell'alternativa, questi ultimi non si sviluppano all’unisono ma in modo antagonista. Questo punto è particolarmente rivolto a Battaglia Comunista e alla CWO che hanno visto e vedono ancora, la guerra mondiale e la rivoluzione come ugualmente possibili.
Punti 7/8) Questi punti hanno lo scopo di mostrare che le guerre mondiali imperialiste del XX secolo e in particolare quella del 1939-1945 potevano aver luogo solo una volta che il proletariato fosse stato sconfitto, che i suoi tentativi rivoluzionari fossero stati schiacciati e che venisse mobilitato dietro le ideologie di guerra dei suoi rispettivi padroni imperialisti con l’aiuto dei partiti operai traditori che avevano varcato la frontiera di classe.
Punto 9) La situazione del proletariato dal 1968 non è più la stessa di prima delle due precedenti guerre mondiali. È imbattuto e combattivo, resiste alle ideologie mobilitanti dei blocchi imperialisti e costituisce quindi una barriera allo scoppio di una terza guerra mondiale
Punto 10) Tutte le condizioni militari ed economiche per una nuova guerra mondiale esistono già, manca solo l’adesione del proletariato, punto rivolto anche a Battaglia che possiede altri argomenti per spiegare perché la guerra mondiale non è ancora scoppiata.
Ciò che rimane vero nel testo
I primi cinque punti del testo CS78 mantengono tutta la loro rilevanza in relazione all'importanza e alla necessità per i rivoluzionari di prevedere l'evoluzione futura della lotta di classe. Vale a dire: la giustificazione della necessità di tali previsioni dal punto di vista del metodo marxista; la rilevanza degli esempi storici che mostrano il carattere critico delle previsioni dei rivoluzionari sulla lotta di classe e le gravi conseguenze degli errori al riguardo; gli argomenti contro l'indifferenza o l'agnosticismo di Battaglia e del CWO su questo tema.
L'argomento centrale del testo conserva tutta la sua validità anche per il periodo 1914-1989. Con l'inizio del periodo di decadenza del capitalismo, le condizioni per l'evoluzione dei rapporti di forza tra le classi sono cambiate radicalmente rispetto a quelle del periodo di ascesa. La tendenza dell'imperialismo del periodo di decadenza a portare a conflitti mondiali tra blocchi rivali che richiedevano la massiccia mobilitazione della classe operaia come carne da cannone, esplose in pieno durante la prima guerra mondiale. Lo scoppio delle ostilità è dipeso da una sconfitta politica dei principali settori del proletariato mondiale. I partiti e i sindacati socialdemocratici, putrefatti da un lungo processo di degenerazione opportunista e revisionista, fallirono nel momento critico del 1914 e, con poche eccezioni, abbandonarono l'internazionalismo per unirsi allo sforzo bellico dei propri imperialismi nazionali, trascinandosi dietro la classe operaia disorientata. L'esperienza del massacro senza precedenti di operai in divisa nelle trincee e la miseria sul “fronte interno” portarono però, dopo alcuni anni, al recupero da parte del proletariato di un’importanza nei rapporti tra le classi; hanno permesso l'apertura dell'ondata rivoluzionaria mondiale del 1917-1923, che ha costretto la borghesia a porre fine alla guerra per evitare l’estensione della rivoluzione proletaria.
A partire dalla prima guerra mondiale, l'idea di un percorso storico, dal quale la lotta di classe si sarebbe orientata alla guerra o alla rivoluzione, acquistava quindi una profonda veridicità. Per imporre la sua risposta militare alle crisi della decadenza capitalista, l'imperialismo richiedeva la sconfitta delle aspirazioni rivoluzionarie del proletariato e, una volta schiacciate, la sua mobilitazione dietro gli interessi della borghesia. Al contrario, la rinascita del proletariato costituì un grosso ostacolo a questa impresa e aprì la strada alla soluzione del proletariato: la rivoluzione comunista.
La sconfitta della rivoluzione in Russia, Germania e altrove negli anni ‘20 ha aperto la strada verso una seconda guerra mondiale. Contrariamente a quanto accaduto nel periodo che precede la Prima guerra mondiale, quello precedente alla Seconda non ha portato a un'inversione di rotta, il proletariato è stato sconfitto non solo politicamente ma anche fisicamente dalla brutalità e dal terrore senza precedenti dello stalinismo e del fascismo, da una parte, e dall’antifascismo democratico, dall'altra, prima e subito dopo le stragi. A differenza della prima guerra mondiale, nessuna ondata rivoluzionaria è emersa dalle rovine della seconda guerra mondiale. Questa situazione di continua sconfitta proletaria non portò però a una terza guerra mondiale dopo il 1945, come credevano i rivoluzionari dell'epoca. Gli anni '50 e '60 videro un lungo periodo di ripresa economica e di guerra fredda, con guerre per procura locali. Durante questo periodo, il proletariato riacquistò gradualmente la sua forza man mano che diminuiva il peso delle ideologie belliche degli anni 1930. L'apertura di una nuova crisi economica mondiale avrebbe determinato una nuova ripresa della lotta di classe iniziata nel 1968, impedendo la “soluzione” imperialista alla crisi, quella di una terza guerra mondiale. Ma la classe operaia non è riuscita ad andare oltre le sue lotte difensive sviluppando un'offensiva rivoluzionaria. Il crollo di uno dei due blocchi imperialisti opposti, il blocco dell’Est, nel 1989, pose fine alla possibilità di una guerra mondiale, sebbene la stessa guerra imperialista continuasse a crescere in una forma caotica sotto l'impulso della crescente crisi economica globale.
Casi in cui il testo di CS78 non è più applicabile
Per comprendere questo problema, citeremo prima un lungo estratto da un rapporto di una riunione plenaria del nostro organo centrale internazionale nel gennaio 1990: “Nel periodo di decadenza del capitalismo, TUTTI gli stati sono imperialisti e stanno prendendo misure per acquisire questa realtà: economia di guerra, armamenti, ecc. Ecco perché l'aggravarsi delle convulsioni dell'economia mondiale non può che alimentare le spaccature tra questi diversi Stati, tra cui, e sempre di più, quelle sul piano militare. La differenza con il periodo appena trascorso è che queste fratture e antagonismi che prima erano contenuti e usati dai due grandi blocchi imperialisti, ora diverranno preminenti. La scomparsa del gendarme imperialista russo, e quello che seguirà per il gendarme americano nei confronti dei suoi principali “partner” di ieri, apre la porta allo scatenarsi di tutta una serie di rivalità più locali. Queste rivalità e scontri non possono, attualmente, degenerare in un conflitto mondiale (anche supponendo che il proletariato non sia più in grado di opporvisi). D'altra parte, a causa della scomparsa della disciplina imposta dalla presenza dei blocchi, questi conflitti rischiano di essere più violenti e più numerosi, in particolare, ovviamente, nelle aree dove il proletariato è più debole.
Finora, nel periodo della decadenza, una tale situazione di dispersione degli antagonismi imperialisti, di assenza di una divisione del mondo (o delle sue zone decisive) tra due blocchi, non si è mai prolungata. La scomparsa delle due costellazioni imperialiste emerse dalla seconda guerra mondiale porta con sé la tendenza a ricomporre due nuovi blocchi. Tuttavia, una situazione del genere non è ancora all'ordine del giorno (...) la tendenza verso una nuova divisione del mondo tra due blocchi militari è contrastata, e potrebbe forse anche essere definitivamente compromessa, dal fenomeno sempre più profondo e generalizzato della decomposizione della società capitalista come abbiamo già messo in evidenza (vedi International Review n.57).
In un tale contesto di perdita di controllo della situazione da parte della borghesia mondiale, non è detto che i settori dominanti di quest'ultima siano oggi in grado di attuare l'organizzazione e la disciplina necessarie alla ricostituzione di blocchi militari. (...) Per questo è fondamentale sottolineare che, se la soluzione del proletariato - la rivoluzione comunista - è l'unica che può opporsi alla distruzione dell'umanità (che costituisce l'unica “risposta” che la borghesia può portare alla sua crisi), questa distruzione non sarebbe necessariamente il risultato di una terza guerra mondiale. Potrebbe anche derivare dalla continuazione, fino alle sue estreme conseguenze (catastrofi ecologiche, epidemie, carestie, scatenamento di guerre locali, ecc.) di questa decomposizione.
L'alternativa storica “Socialismo o barbarie”, come evidenziato dal marxismo, dopo essersi materializzata sotto forma di “Socialismo o Guerra imperialista mondiale” durante la maggior parte del XX secolo, si era concretizzata nella forma terrificante di “Socialismo o Distruzione dell'umanità” negli ultimi decenni a causa dello sviluppo delle armi atomiche. Oggi, dopo il crollo del blocco dell’Est, questa prospettiva resta molto valida. Ma va sottolineato che tale distruzione può venire dalla guerra imperialista generalizzata O dalla decomposizione della società. (…)
Anche se la guerra mondiale non può, attualmente, e forse in modo definitivo, costituire una minaccia per l’umanità, questa minaccia può benissimo sorgere, come abbiamo visto, della decomposizione della società. Tanto più che se lo svolgersi della guerra mondiale richiede l'adesione del proletariato agli ideali della borghesia, fenomeno che non è affatto all'ordine del giorno per i suoi settori decisivi, la decomposizione non ha bisogno di tale adesione per distruggere l'umanità. In effetti, la decomposizione della società non costituisce, in senso stretto, una “risposta” della borghesia alla crisi aperta dell'economia mondiale. In realtà, questo fenomeno può svilupparsi proprio perché la classe dominante non è in grado, a causa della mancata sconfitta del proletariato, di fornire la SUA risposta specifica a questa crisi, alla guerra mondiale e alla mobilitazione per essa. La classe operaia, sviluppando le sue lotte (come ha fatto dalla fine degli anni '60), non lasciandosi reclutare dietro le bandiere borghesi, può impedire alla borghesia di scatenare la guerra mondiale. D'altra parte, solo il rovesciamento del capitalismo è in grado di porre fine alla decomposizione della società. Così come non possono in alcun modo opporsi al collasso economico del capitalismo, le lotte del proletariato in questo sistema non possono costituire un freno alla sua decomposizione”.
Così, il 1989 segna un cambiamento fondamentale nelle dinamiche generali della società capitalista decadente. Prima di quella data, il rapporto di forza tra le classi era il fattore determinante di questa dinamica: è da questo che dipendeva il risultato dell'esacerbazione delle contraddizioni del capitalismo: lo scoppio della guerra mondiale o lo sviluppo della lotta di classe con, in prospettiva, il rovesciamento del capitalismo. Dopo questa data, la dinamica generale della decadenza capitalista non lo è più determinata direttamente. Qualunque sia il rapporto di forze, finché nessuna classe sarà in grado di imporre la sua soluzione (guerra mondiale o rivoluzione mondiale), il capitalismo continuerà a sprofondare nella decadenza, perché la decomposizione sociale tende a sfuggire al controllo delle classi in conflitto.
Nel paradigma che ha dominato la maggior parte del XX secolo, la nozione di “corso storico” ha definito i due possibili esiti di una tendenza storica: la guerra mondiale o i conflitti di classe. Una volta che il proletariato subì una sconfitta decisiva (come alla vigilia del 1914 o in seguito allo schiacciamento dell'ondata rivoluzionaria del 1917-23), la guerra mondiale divenne inevitabile. Nel paradigma che definisce la situazione attuale (fino a quando non saranno ricostituiti due nuovi blocchi imperialisti, cosa che potrebbe non accadere mai), è del tutto possibile che il proletariato subisca una sconfitta profonda senza necessariamente avere una conseguenza determinante sull'evoluzione generale della società. Ci si può chiedere, naturalmente, se una tale sconfitta possa avere la conseguenza di impedire permanentemente al proletariato di alzare la testa. Sarebbe quindi necessario parlare di una sconfitta definitiva che porterebbe alla fine dell'umanità. Tale possibilità non può essere esclusa, soprattutto in considerazione del crescente peso della decomposizione. Questa minaccia è chiaramente indicata dal Manifesto del 9° Congresso della CCI: “Rivoluzione comunista o distruzione dell'umanità” (https://it.internationalism.org/manifesto-91 [39]). Ma non possiamo fare una previsione in questa direzione, né in relazione all'attuale situazione di debolezza della classe operaia, né se questa situazione dovesse peggiorare. Ecco perché il concetto di “corso storico” non è più in grado di definire le dinamiche della situazione mondiale, né i rapporti di forza tra borghesia e proletariato nel periodo di decomposizione. Diventando ormai un concetto inadatto a questo nuovo periodo, deve essere abbandonato.
In conclusione: il testo CS78, pur conservando tutta la sua validità dal punto di vista del metodo e dell'analisi del periodo 1914-1989, è oggi limitato, da un lato, dal fatto di essere stato superato da eventi storici importanti e inediti, dall'altro dalla sua tendenza a identificare la nozione di corso storico e quella di evoluzione dei rapporti di forza tra le classi, come se fosse la stessa cosa, mentre non lo è. In particolare, il testo CS78 parla del corso storico per descrivere i diversi momenti della lotta di classe nel XIX secolo quando in realtà:
In un certo senso, questa tendenza a identificare erroneamente il corso della storia con il rapporto di forza tra le classi in generale è simile al modo impreciso in cui è stato utilizzato il concetto di opportunismo. Per un po’ c’è stata un'identificazione all'interno della CCI tra opportunismo e riformismo e più in generale nella politica. Alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento, anche se tale identificazione era già un errore, si basava su una realtà: infatti, a quel tempo, una delle maggiori manifestazioni di opportunismo era costituita dal riformismo. Ma con l'ingresso del capitalismo nel suo periodo di decadenza, il riformismo non ha più il suo posto nel movimento operaio: organizzazioni dove le correnti che sostengono la sostituzione del capitalismo con il socialismo con riforme progressive del sistema attuale appartengono necessariamente al campo della borghesia mentre l'opportunismo continua a costituire una malattia che può colpire e distruggere le organizzazioni proletarie.
Abbiamo la tendenza, sulla base di ciò che la classe operaia ha conosciuto durante il XX secolo, di identificare la nozione di rapporti di forza tra la borghesia e il proletariato con la nozione di “corso storico”, mentre quest'ultimo indica un risultato alternativo fondamentale, guerra o rivoluzione mondiale, una sanzione dei rapporti di forza tra le classi. In un certo senso, la situazione storica attuale è simile a quella del XIX secolo: il rapporto tra le classi può evolvere in una direzione o nell'altra senza influenzare in modo decisivo la vita della società.
Allo stesso modo, questo rapporto di forza tra le classi o la sua evoluzione non può più essere descritto come un “percorso”. In questo senso, il termine “sconfitta del proletariato”, se conserva tutto il suo valore operativo nel periodo attuale, non può più avere lo stesso significato del periodo precedente al 1989. L'importante è tenere conto e studiare costantemente l'evoluzione dei rapporti di forza tra la borghesia e il proletariato: possiamo considerare che questo sviluppo è a favore del proletariato (il che non significa ancora che non si possa tornare indietro) o che siamo in una dinamica di indebolimento della classe (sapendo che questa dinamica può anche essere invertita).
In un senso più generale e a lungo termine, l’abbandono del concetto di “corso storico” evidenzia la necessità per i marxisti rivoluzionari di fare uno studio storico più approfondito dell'intera evoluzione della lotta di classe proletaria per meglio comprendere i criteri per valutare l’evoluzione dei rapporti di forza tra le classi durante il periodo della decomposizione capitalista.
[1] The Historic Course [40] International Review n.18, disponibile anche in spagnolo e francese alle pagine web corrispondenti
[2] Vedi nota 1
[3] After the collapse of the Eastern Bloc, destabilization and chaos [41], International Review n.61, 1990disponibile anche in spagnolo e francese alle pagine web corrispondenti
[4] Questo articolo rileva l'indifferenza di altri gruppi della Sinistra comunista di fronte a questo argomento e il loro perentorio rifiuto delle analisi della CCI come “non marxista”, il che indica che non possono, finora, dare alcun contributo teorico alla questione vitale dell'evoluzione dei rapporti di forza tra le classi ... soprattutto perché hanno dimenticato la famosa prima riga del manifesto comunista e quindi un precetto essenziale del materialismo storico. Per quanto riguarda i parassiti l'articolo ricorda l'attacco della Frazione Interna della CCI (ora GIGC) al rapporto della CCI sulla lotta di classe del 14° Congresso della CCI e la sua analisi dell'effetto della decomposizione capitalista sulla lotta di classe, come “opportunista” e “revisionista”, “la liquidazione della lotta di classe”, anche se i compari di questo gruppo erano d'accordo prima di questa analisi, quando erano membri della CCI qualche tempo prima. Il tradimento organizzativo va di pari passo con l'idiozia politica nell'ambiente parassitario.
[5] Vedi nota 1
[6] Le rivoluzioni borghesi, come quelle del secolo decimottavo, passano tempestosamente di successo in successo; i loro effetti drammatici si sorpassano l’un l’altro, gli uomini e le cose sembrano illuminati da fuochi di bengala, l’estasi è lo stato d’animo d’ogni giorno. Ma hanno una vita effimera, presto raggiungono il punto culminante: e allora una nausea si impadronisce della società, prima che essa possa rendersi freddamente ragione dei risultati del suo periodo di febbre e di tempesta. Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompono ad ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo, si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte ad esse; si ritraggono continuamente, spaventate dall’infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic salta!
Nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, la CCI ha tenuto il suo 24° Congresso Internazionale e possiamo trarne un bilancio positivo. Come abbiamo sempre fatto, e in conformità con la pratica del movimento operaio, attraverso questo articolo vogliamo fornire una panoramica generale dei suoi lavori, dopo aver già pubblicato una serie di documenti, rapporti e risoluzioni, che orienteranno la nostra attività e il nostro intervento nei prossimi due anni[1]. Il Congresso si è svolto con il pieno riconoscimento della gravità della situazione storica attuale, caratterizzata da una delle pandemie più pericolose della storia, che è lungi dall'essere superata.
La cosa peggiore sarebbe sottovalutare questa situazione in un momento in cui i governi proclamano che “tutto è sotto controllo”, che “siamo tornati alla normalità”, mentre allo stesso tempo un'orda di negazionisti Covid e no-Vax (l'altra faccia delle bugie del governo, altrettanto menzognera) che sminuiscono la realtà con i loro discorsi di “cospirazioni” e “manovre oscure” e usano un fatto reale - il rafforzamento del controllo totalitario dello Stato - per cavalcare l’onda in nome della “difesa delle libertà democratiche”, dissimulando così l’importanza dei pericoli per la vita umana che la pandemia comporta.
La cosa più grave della pandemia sta nel modo in cui tutti gli Stati hanno reagito: in maniera totalmente irresponsabile, prendendo misure contraddittorie e caotiche, senza alcun piano, senza alcun coordinamento, giocando più cinicamente che mai con la vita di milioni di persone[2]. E questo non è successo negli Stati solitamente etichettati come “Stati canaglia”, ma negli Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia, i paesi “più avanzati”, dove si suppone ci sia “civiltà e progresso”. La pandemia ha messo in evidenza la decadenza e la decomposizione del capitalismo, il marciume delle sue strutture sociali e ideologiche, il disordine e il caos che proviene dai suoi stessi rapporti di produzione, l’assenza di futuro di un modo di produzione attanagliato da contraddizioni sempre più violente e che non può superare.
Peggio ancora, la pandemia è foriera di nuove e più profonde convulsioni in tutti i paesi, di tensioni imperialiste, distruzione ecologica e crisi economica... Il proletariato mondiale non può essere ingannato da vaghe promesse di un “ritorno alla normalità”. Ha bisogno di guardare in faccia la realtà, capire che il volto della barbarie è stato chiaramente delineato dalla pandemia e sarà definito con ancora più virulenza nei tempi a venire.
Il 24° Congresso della CCI si è svolto, come i congressi delle organizzazioni rivoluzionarie nel corso della storia, in un contesto di fraternità e di dibattito profondo. Questo aveva la responsabilità di confermare il quadro di analisi della decomposizione del capitalismo, correggendo eventuali errori o valutazioni non sufficientemente elaborate. Il Congresso doveva rispondere a una serie di domande necessarie:
Questo Congresso ha confermato che l'analisi della decomposizione è in continuità con il marxismo. Nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, i marxisti identificarono l'entrata del capitalismo nella sua epoca di decadenza, analisi confermata nel 1919 dalla piattaforma dell'Internazionale Comunista, che parlava de “l’epoca della disgregazione del capitalismo, del suo collasso interno”. Fedele a questo approccio la CCI, più di tre decenni fa, ha identificato una fase specifica e terminale della decadenza del capitalismo: la sua decomposizione. Questa fase di decomposizione si caratterizza per l'accumulo di una serie di contraddizioni che la società capitalista non è stata in grado di risolvere, come descritto al punto 3 delle Tesi sulla Decomposizione[3]: “Nella misura in cui le contraddizioni e le manifestazioni della decadenza del capitalismo che, una dopo l’altra, marcano i diversi momenti di questa decadenza, non scompaiono col tempo ma si mantengono e si vanno pure ad approfondire, la fase di decomposizione appare come quella risultante dall’accumulazione di tutte queste caratteristiche di un sistema moribondo, quella che chiude degnamente tre quarti di secolo di agonia di un modo di produzione condannato dalla storia. Concretamente, non solo nella fase di decomposizione restano la natura imperialista di tutti gli Stati, la minaccia di guerra mondiale, l’assorbimento della società civile da parte del Moloch statale, la crisi permanente dell’economia capitalista, ma addirittura questa fase rappresenta la conseguenza ultima, la sintesi completa di tutti questi elementi”.
Questa analisi, sviluppata per la prima volta 30 anni fa, è stata confermata con una forza e una gravità tali da portandoci a concludere nella Risoluzione sulla Situazione Internazionale del 24° Congresso della CCI che “la maggior parte degli avvenimenti importanti degli ultimi tre decenni hanno in effetti confermato la validità di questo quadro, come lo testimoniano l’esacerbazione del ciascuno per sé a livello internazionale, il rimbalzo dei fenomeni della decomposizione verso i centri del capitalismo mondiale attraverso lo sviluppo del terrorismo e la crisi dei rifugiati, l’ascesa del populismo e la perdita di controllo politico da parte della classe dirigente, la putrefazione progressiva dell’ideologia attraverso la propagazione della ricerca del capro espiatorio, del fondamentalismo religioso e delle teorie complottiste. (…) l’attuale pandemia di Covid-19 è la distillazione di tutte le manifestazioni-chiave della decomposizione, e un fattore attivo della sua accelerazione”[4]. Da quando il nostro Congresso ha terminato i suoi lavori, gli eventi si sono succeduti con una virulenza senza precedenti, confermando chiaramente la nostra analisi: guerre imperialiste in Etiopia, Ucraina, Yemen, Siria…; intensificazione dello scontro tra USA e Cina; enorme impronta della crisi ecologica nel mondo, in particolare attraverso il moltiplicarsi di inondazioni e incendi catastrofici. Oggi, la pandemia vede una nuova impennata di infezioni e la minaccia molto pericolosa della variante Omicron; allo stesso tempo, la crisi economica si aggrava... La difesa del quadro di analisi marxista della decomposizione è oggi più che mai necessaria di fronte alla cecità di altri gruppi della Sinistra comunista e all'infiltrazione nell'ambiente rivoluzionario di ogni tipo di posizioni moderniste, scettiche, nichiliste che chiudono gli occhi sulla gravità della situazione. In questo momento stiamo assistendo all’emergere in diversi paesi di lotte operaie combattive che hanno più che mai bisogno della forza e della lucidità di questo quadro di analisi.
Il 24° Congresso ha potuto identificare l'accelerazione della decomposizione capitalista esaminando in profondità le radici e le conseguenze della pandemia: “la prima di una tale ampiezza dopo l’epidemia dell’influenza spagnola, è il momento più importante nell’evoluzione della decomposizione capitalista dopo l’apertura di questo periodo nel 1989. L’incapacità della classe dirigente a impedire dai 7 ai 12 milioni e più di morti che ne risultano conferma che il sistema capitalista mondiale, se lasciato libero, trascina l’umanità verso l’abisso della barbarie, verso la sua distruzione e che solo la rivoluzione proletaria mondiale può fermare questa deriva e condurre l’umanità verso un futuro diverso” (idem).
La pandemia ha dimostrato e confermato le seguenti realtà:
Il 24° Congresso è arrivato alla conclusione che la pandemia non può essere ridotta a una “calamità” o vista solo come una crisi sanitaria (tipo quelle che si verificavano periodicamente nei modi di produzione pre-capitalisti e nello stesso capitalismo durante il 19° secolo). Si ratta di una crisi globale, che si manifesta a molti livelli: sanitario, economico, sociale e politico, così come morale e ideologico. È una crisi della decomposizione del capitalismo in quanto prodotto dell'accumulazione delle contraddizioni del sistema degli ultimi 30 anni, come evidenziato nel nostro Rapporto su Pandemia e Decomposizione per il 24° Congresso[7]. Più precisamente, la pandemia è il risultato:
“La CCI è praticamente sola a difendere la teoria della decomposizione. Altri gruppi della Sinistra Comunista la rigettano completamente, o perché, come nel caso dei bordighisti, non accettano che il capitalismo possa essere un sistema in declino (o, nel migliore dei casi, sono incoerenti e ambigui su questo punto); o, come per la Tendenza Comunista Internazionalista, perché parlare di una fase “finale” del capitalismo suona troppo apocalittico, o perché definire la decomposizione come una discesa verso il caos sarebbe una deviazione dal materialismo che, secondo loro, cerca di trovare le radici di ogni fenomeno nell’economia e soprattutto nella tendenza alla caduta del saggio di profitto”. (Risoluzione sulla situazione internazionale, 24° Congresso) (Idem). La Risoluzione sulle attività, del 24° Congresso, sottolinea che “la pandemia Covid19 cominciata all'inizio del 2020 ha confermato in modo eclatante l'accelerazione dell'impatto del periodo di decomposizione sociale del capitalismo”.
La crisi pandemica ha mostrato un avanzamento della decomposizione: 1) ha colpito con particolare forza i paesi centrali, specialmente gli USA; 2) c'è una combinazione e una concomitanza tra i diversi effetti della decomposizione, a differenza dei periodi precedenti in cui erano contenuti localmente e non si influenzavano a vicenda. Ciò che questa crisi annuncia sono convulsioni sempre più violente e un inasprimento delle tendenze alla perdita di controllo della società da parte dello Stato. Il decennio 2020 è pieno di gravi incertezze, di catastrofi sempre più frequenti e interconnesse. Lo scivolamento del capitalismo verso la barbarie avrà un volto sempre più terrificante.
Le prospettive per il proletariato devono essere analizzate nel quadro della decomposizione capitalista. La risoluzione sul rapporto di forze tra le classi adottata dal nostro precedente congresso[8] ha analizzatoo le difficoltà e le debolezze della classe operaia negli ultimi 30 anni. Con il crollo del blocco orientale, la CCI ha identificato l'apertura della fase finale di decomposizione del capitalismo e le sue conseguenze per il proletariato in termini di maggiori difficoltà nello sviluppo delle sue lotte, difficoltà che sono state ulteriormente aggravate dalle campagne della borghesia sulla “morte del comunismo” e la “scomparsa della classe operaia”. Tuttavia, la CCI ha preso atto al suo 24° Congresso, come aveva fatto nei Congressi precedenti, che la classe operaia non è sconfitta: “Nonostante gli enormi problemi a cui è confrontato il proletariato, noi rigettiamo l’idea che la classe è già vinta a livello mondiale, o che essa sia sul punto di subire una sconfitta comparabile a quella del periodo di controrivoluzione, un tipo di sconfitta da cui il proletariato non sarebbe più capace di riprendersi. Il proletariato, in quanto classe sfruttata, non può evitare di passare per la scuola delle sconfitte, ma la questione centrale è sapere se il proletariato è già stato così sommerso dall’avanzata implacabile della decomposizione da intaccare effettivamente il suo potenziale rivoluzionario. Misurare una tale sconfitta nella fase di decomposizione è un compito ben più complesso rispetto al periodo che ha preceduto la Seconda Guerra mondiale, quando il proletariato si era apertamente sollevato contro il capitalismo ed era stato schiacciato da una serie di sconfitte frontali” (Risoluzione sulla situazione Internazionale)
È chiaro che dobbiamo affinare le nostre capacità analitiche per individuare questa situazione di 'non ritorno' perché “la fase di decomposizione contiene in effetti il pericolo che il proletariato non riesca più a rispondere e sia soffocato sul lungo periodo – una morte lenta invece che in uno scontro di classe frontale” (Idem)
Tuttavia, il congresso ha affermato che “ci sono ancora sufficienti elementi che mostrano che malgrado l’avanzata incontestabile della decomposizione, malgrado il fatto che il tempo non gioca a favore della classe operaia, il potenziale di una profonda rinascita proletaria – che potrebbe portare a una riunificazione tra le dimensioni economiche e politiche della lotta di classe – non è scomparso” (idem).
Il congresso ha individuato “piccoli ma significativi segni di una maturazione sotterranea della coscienza, che si manifestata con un inizio di riflessione globale sul fallimento del capitalismo e la necessità di un’altra società in certi movimenti (soprattutto gli Indignados nel 2011), ma anche con l’emergere di giovani elementi in ricerca di posizioni di classe e che si indirizzano verso l’eredità della Sinistra comunista” (Idem)
Dobbiamo anche tener presente che la situazione alla quale è confrontata la classe operaia non è la stessa di quella che seguì il crollo del blocco russo e la conferma della fase di decomposizione nel 1989. A quel tempo la borghesia ha potuto presentare questi eventi come prova della morte del comunismo, della vittoria del capitalismo e dell'inizio di un futuro luminoso per l'umanità. Trent'anni di decomposizione hanno seriamente minato questa frode ideologica, e la pandemia in particolare ha messo in evidenza l'irresponsabilità e la negligenza di tutti i governi capitalisti, così come la realtà di una società profondamente divisa economicamente in cui non siamo affatto “tutti sulla stessa barca”. Al contrario, la pandemia e il lockdown hanno mostrato le condizioni della classe operaia, sia come vittima principale della crisi sanitaria sia come fonte di tutto il lavoro e la produzione materiale e, in particolare, di tutto ciò che riguarda la soddisfazione dei bisogni umani fondamentali. Questo può essere la base per una futura riappropriazione da parte del proletariato della sua identità di classe. E questo, insieme alla crescente consapevolezza che il capitalismo è un modo di produzione totalmente obsoleto, è già stato un elemento nell'emergere di minoranze politicizzate la cui motivazione è soprattutto quella di comprendere la drammatica situazione in cui versa l'umanità.
Nonostante l'atomizzazione sociale dovuta alla decomposizione, nonostante i tentativi deliberati di frammentare la forza lavoro attraverso stratagemmi come la “green economy” o campagne ideologiche che mirano a presentare le frazioni più istruite del proletariato globale come “classe media” e spingerle verso l'individualismo, i lavoratori rimangono una classe che negli ultimi anni è cresciuta ed è globalmente interconnessa, anche se, con l'avanzare della decomposizione, è anche vero che l'atomizzazione e l'isolamento sociale si stanno intensificando. Questo è un fattore che, per il momento, rende più difficile al proletariato ritrovare la propria identità di classe. Solo attraverso le lotte sul proprio terreno di classe il proletariato potrà sviluppare la forza collettiva di cui avrà bisogno per rovesciare il capitalismo su scala mondiale. I lavoratori sono riuniti dal capitale nel processo di produzione, il lavoro associato si svolge sotto costrizione, ma il carattere rivoluzionario del proletariato implica il rovesciamento dialettico di queste condizioni in una lotta collettiva. La lotta collettiva contro lo sfruttamento, guidata dalla coscienza comunista che nasce dal proletariato, contiene il potenziale per la liberazione del carattere sociale del lavoro, per una società che sappia utilizzare coscientemente tutto il potenziale dell'attività associata. Questa società per la quale il proletariato mondiale dovrà lottare è la società comunista.
“Contrariamente alla visione bordighista, l’organizzazione dei rivoluzionari non può essere “monolitica”. L’esistenza di divergenze al suo interno è la manifestazione del suo essere un organismo vivente che non ha delle risposte sempre pronte da fornire immediatamente ai problemi che si pongono alla classe. Il marxismo non è né un dogma, né un catechismo (…). Come qualunque riflessione umana, quello che presiede allo sviluppo della coscienza proletaria non è un processo lineare e meccanico, ma un processo contraddittorio e critico, che implica necessariamente la discussione e il confronto degli argomenti”[9]
Già prima del 23° Congresso Internazionale, all'interno della CCI sono state espresse divergenze su diverse questioni: le tensioni imperialiste portano a una nuova guerra mondiale? Il proletariato è già sconfitto? Qual è il compito del momento per l'organizzazione? Questo solleva la questione di cosa si intende per attività come frazione[10] nella fase attuale di decomposizione. Le divergenze sull'analisi della situazione internazionale hanno portato alla prima pubblicazione del testo “Divergenze con la risoluzione sulla situazione internazionale del 23° Congresso della CCI”[11]. La risoluzione sulle attività del nostro recente congresso sottolinea che “l'organizzazione si è sforzata a tutti i livelli - al congresso, nelle riunioni degli organi centrali, nelle riunioni di sezione e in circa 45 contributi individuali nei bollettini interni internazionali negli ultimi quattro anni - di rispondere alle divergenze dei compagni e ha anche iniziato a portare il dibattito all'esterno. Lo sforzo fatto dall'organizzazione in questo periodo per affrontare le divergenze esprime una volontà positiva di rafforzare la difesa nella discussione delle sue posizioni e analisi”.
Le divergenze si sono precisate al 24° Congresso:
• La polarizzazione delle tensioni imperialiste, principalmente tra Stati Uniti e Cina, prepara il terreno per una terza guerra mondiale?
• Le brutali misure di isolamento adottate dagli Stati non sono forse un modo nascosto di preparare la popolazione alla guerra imperialista?
• La pandemia è semplicemente un fenomeno “socio-naturale” che gli Stati possono sfruttare per il controllo della popolazione o, al contrario, esprime e accelera la decomposizione generale del capitalismo?
• Come può il proletariato far fronte a questa grave situazione storica? Ha bisogno come prima cosa di una chiara coscienza di cosa è il comunismo? O la situazione richiede lo sviluppo di lotte sul suo terreno di classe, la maturazione della sua coscienza e il rafforzamento della capacità delle sue organizzazioni comuniste di intervenire?
Queste e altre divergenze sono state discusse al Congresso e, al fine di ottenere la massima chiarezza possibile nella loro espressione, saranno presentate pubblicamente in documenti di discussione. Questa è una pratica del movimento operaio che la CCI ha preso molto sul serio, come sottolinea il testo citato sopra:
“Nella misura in cui i dibattiti che attraversano l'organizzazione riguardano in generale tutto il proletariato, è opportuno che l'organizzazione li porti all'esterno, rispettando le seguenti condizioni:
• questi dibattiti devono riguardare questioni politiche generali e devono aver raggiunto una maturità sufficiente perché la loro pubblicazione costituisca un reale contributo alla presa di coscienza della classe operaia;
• il posto dato a questi dibattiti non deve mettere in discussione l'equilibrio generale delle pubblicazioni
• è l'organizzazione nel suo insieme che decide e si fa carico di questa pubblicazione secondo i criteri validi per la pubblicazione di qualsiasi articolo sulla stampa: qualità di chiarezza e di forma editoriale, interesse che presenta per la classe operaia.”.
Il congresso ha fatto un bilancio positivo dell'attività dell'organizzazione negli ultimi due anni, sottolineando in particolare la solidarietà con tutti i compagni colpiti dalla pandemia o dalle gravi conseguenze economiche del lockdown (molti compagni hanno perso i loro mezzi di sussistenza).
Questa valutazione positiva non deve farci abbassare la guardia. L'organizzazione comunista è soggetta a molteplici pressioni. I passi avanti - che sono costosi da realizzare - possono essere rapidamente persi. Come sottolinea la risoluzione sulle attività adottata dal Congresso, “l'accelerazione della decomposizione pone grandi problemi alla militanza, alla teoria e al tessuto organizzativo”.
Questi problemi non sono nuovi, sono l'espressione dell'impatto della decomposizione sul funzionamento e la militanza delle organizzazioni comuniste poiché “I diversi elementi che costituiscono la forza del proletariato si scontrano direttamente con le varie sfaccettature di questa decomposizione ideologica:
• l'azione collettiva, la solidarietà, trovano di fronte a loro l'atomizzazione, il ciascuno per sé, “l'iniziativa individuale”;
• il bisogno di organizzazione si confronta con la decomposizione sociale, con la distruzione delle relazioni che sono alla base di ogni vita sociale;
• la fiducia nel futuro e nelle proprie forze è permanentemente minata dalla disperazione generale che pervade la società, dal nichilismo, dal “no future”;
• la coscienza, la lucidità, la coerenza e l'unità di pensiero, il gusto per la teoria, trovano un cammino difficile in mezzo alla fuga verso le chimere, le droghe, le sette, il misticismo, il rifiuto della riflessione, la distruzione del pensiero che caratterizzano la nostra epoca”. (Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9], Tesi 13).
Di fronte a questi pericoli, il nostro compito è soprattutto quello di preparare il futuro. L'obiettivo fondamentale della CCI, che è quello di costruire un ponte verso il futuro partito comunista mondiale del proletariato, è stato definito alla sua Conferenza di fondazione nel 1975 e riaffermato al 23° Congresso. Ma la natura di questo obiettivo è stata chiarita negli ultimi anni da diversi fattori: l'accelerazione della decomposizione e le difficoltà della lotta di classe del proletariato intensificano sempre più le sfide per l'organizzazione dei rivoluzionari; l'invecchiamento e allo stesso tempo l'emergere di nuovi militanti che entrano nell'organizzazione nel contesto della decomposizione; i crescenti attacchi del parassitismo all'organizzazione; il peso dell'opportunismo e del settarismo nei gruppi provenienti dalla Sinistra comunista.
Al suo 24° Congresso la CCI ha voluto identificare le prospettive, le difficoltà e i pericoli che deve affrontare per adempiere al suo ruolo di trasmissione. Ora, di fronte a questa situazione, la preparazione del futuro può essere compresa solo con la consapevolezza di andare controcorrente.
Storicamente, il movimento marxista ha potuto svilupparsi solo affrontando con successo eventi epocali e quindi si è sempre basato su uno spirito combattivo, sulla volontà di superare tutti gli ostacoli che la società borghese pone sul suo cammino. L'esperienza della CCI non è diversa in questo senso. Le organizzazioni a cui la storia chiede di svolgere un ruolo di trasmissione hanno dovuto dare prova di sé di fronte a vere e proprie prove decisive: la corrente marxista della metà del XIX secolo, nonostante la prigionia, l'esilio e la grande povertà dei suoi militanti dopo la sconfitta del 1848, servì da trampolino per la creazione della Prima Internazionale negli anni 1860. Bilan e la Sinistra Comunista in Francia hanno superato le prove della controrivoluzione degli anni '30, '40 e '50, lo stalinismo, il fascismo e l'antifascismo, e la seconda guerra mondiale per mantenere viva la fiamma rivoluzionaria per le generazioni future. È chiaro che il periodo di decomposizione costituisce la prova decisiva per la CCI.
La capacità di analizzare il mondo e la situazione storica è uno dei pilastri della nostra prospettiva immediata; il metodo marxista del materialismo storico e il costante riferimento al patrimonio delle acquisizioni precedenti, così come il confronto delle divergenze, fanno parte della preparazione del futuro. La nostra attività di intervento, di elaborazione teorica, di difesa dell'organizzazione si basa sulla trasmissione e lo sviluppo delle acquisizioni storiche di un secolo di lotta della Sinistra comunista e solo su questa solida base si può realizzare la preparazione del futuro partito comunista mondiale del proletariato.
Nel quadro della preparazione del futuro c'è anche la lotta senza compromessi contro il parassitismo. Lo sforzo degli ultimi anni mostra la necessità di continuare questa lotta, denunciando il parassitismo come ha fatto la CCI di fronte alla classe operaia, ai suoi contatti e al campo della Sinistra Comunista.
La lotta contro l'opportunismo nelle organizzazioni della Sinistra comunista, in legame alla lotta contro il parassitismo[12] sarà importante nel prossimo periodo perché c'è un grande pericolo che il potenziale della futura unità dei rivoluzionari possa essere perso e atrofizzato. L'esperienza degli ultimi due anni nella difesa dell'organizzazione contro gli attacchi del parassitismo e per rompere il cordone sanitario che questo cerca di costruire intorno alla CCI, dimostra che la lotta contro l'opportunismo e il settarismo è sinonimo di conoscenza e difesa della nostra storia.
Nel prossimo periodo la CCI intende migliorare la sua stampa. Negli ultimi decenni la preoccupazione di polemizzare con l'ambiente politico proletario è diminuita. L'organizzazione intende invertire questa situazione e il nostro lavoro tipo frazione è anche quello di preparare il futuro allargando la polemica e permettendole di attingere a ciò che furono la prima fase di Iskra o i primi numeri di Internazionalisme, la pubblicazione della GCF, dedicati alla polemica contro Vercesi e la sua deriva opportunista. In risposta alla putrefazione dell'ideologia borghese, all'oscurantismo delle sue mistificazioni, la stampa deve poter costituire un punto di riferimento contro l'intossicazione ideologica che emana dalla decomposizione ideologica del capitalismo e presentare alla classe operaia una prospettiva razionale e concreta del rovesciamento del capitalismo. Dobbiamo quindi rafforzare la distribuzione della nostra stampa cartacea e digitale.
L'obiettivo centrale del 24° Congresso è stato la preparazione del futuro attraverso le lezioni degli errori del passato, la lotta senza tregua contro il parassitismo e l'opportunismo, la comprensione più rapida possibile dei continui sviluppi dell'evoluzione storica, la difesa dell'organizzazione e del suo funzionamento unitario, fraterno e centralizzato. Questo significa basarsi fermamente e criticamente sulla continuità storica delle organizzazioni comuniste, come dice la Risoluzione sulle attività del Congresso:
“Nella transizione tempestosa verso un futuro di 'guerre e rivoluzioni', Rosa Luxemburg dichiarò al congresso di fondazione del Partito Comunista Tedesco nel 1919 [che il partito] 'stava tornando sotto la bandiera del marxismo'. (...) Mentre la classe operaia in Russia si preparava per la prima volta nella storia a rovesciare lo Stato borghese, Lenin ricordava le acquisizioni di Marx ed Engels sulla questione dello Stato in 'Stato e rivoluzione' (...) La CCI, mentre si prepara ad affrontare l'instabilità e l'imprevedibilità senza precedenti della putrefazione del capitalismo mondiale, deve recuperare l'eredità, l'esempio militante e l'esperienza organizzativa di MC[13], trent'anni dopo la sua morte. Cioè, ritornare alla tradizione e al metodo della Sinistra comunista che la CCI ha ereditato (...) Questa tradizione è vivente e deve essere riappropriata con spirito critico, nei fatti è l'unica che può guidare la CCI e la classe operaia attraverso la prova del fuoco che verrà”.
CCI, dicembre 2021
[1] Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione [43]
Rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso della CCI [44]
Rapporto sulla lotta di classe internazionale [45]
Risoluzione sulla situazione internazionale (2021) [46]
A breve pubblicheremo anche un rapporto sui conflitti imperialisti adottato dall'organo centrale internazionale della CCI a novembre.
[2] Tutti i modi di sfruttamento che hanno preceduto il capitalismo (dispotismo asiatico, schiavitù, feudalesimo,) hanno giocato in modo criminale con la vita di migliaia di persone, ma il capitalismo ha portato questa barbarie alle sue espressioni più estreme. Cos'è la guerra imperialista? Milioni di esseri umani usati come carne da cannone, come giocattoli, per i sordidi interessi economici e imperialisti di nazioni, Stati, capitalisti. Non è quindi una novità che la gestione della pandemia sia stata concepita dai governi come un gioco irresponsabile sulla vita di milioni di persone.
[5] https://www.amnesty.org [47]: “COVID-19: Le morti degli operatori sanitari salgono ad almeno 17.000 mentre le organizzazioni chiedono una rapida distribuzione dei vaccini”.
[6] Il capitalismo si basa, come abbiamo sottolineato prima, sulla concorrenza mortale tra gli Stati e tra i capitalisti. Ecco perché il “ciascuno per sé” è inscritto nel suo DNA. Ma questa caratteristica è stata acuita a livelli mai visti prima con la fase di decomposizione capitalista.
[9] Rapporto sulla struttura e sul funzionamento delle organizzazioni rivoluzionarie - conferenza internazionale (gennaio 82) [2]
[13] Marc Chirik: Principale fondatore della CCI che si è distinto in particolare per la sua capacità di mantenere vive le acquisizioni teoriche del movimento rivoluzionario, in particolare quelle elaborate dalla Frazione di sinistra del Partito Comunista d'Italia. In questo modo ha potuto orientarsi criticamente e lucidamente nell'analisi dell'evoluzione della situazione mondiale. Questo "fiuto" politico, basato sull'analisi globale del rapporto di forze tra le classi, gli permise di mettere in discussione alcuni “dogmi” del movimento operaio, senza allontanarsi dall'approccio e dal metodo marxista del materialismo storico, ma ancorandolo invece alla dinamica dell'evoluzione della realtà storica concreta. Su questo argomento vedi gli articoli “MARC : De la révolution d'octobre 1917 à la deuxième guerre mondiale [50]” et MARC : De la deuxième guerre mondiale à la période actuelle [51].
In un certo senso, “la Sinistra comunista si trova oggi in una situazione simile a quella di Bilan degli anni ‘30, nel senso che è costretta a comprendere una nuova situazione storica senza precedenti” (Résolution sur la situation internationale [52], 13° Congresso della CCI, Revue internationale n. 97, 1999).
Questa osservazione, più che mai adeguata, richiederebbe intensi dibattiti tra le organizzazioni dell’ambiente proletario per analizzare il significato della crisi del Covid-19 nella storia del capitalismo e le conseguenze che ne derivano. Ora, di fronte all’estensione fulminea degli avvenimenti, i gruppi dell’ambiente politico proletario appaiono totalmente impotenti e disarmati: invece di cogliere il metodo marxista come una teoria vivente, lo riducono a un dogma invariante in cui la lotta di classe è vista come una ripetizione immutabile di schemi eternamente validi senza poter mostrare non solo ciò che persiste ma anche ciò che è cambiato. Così, i gruppi bordighisti o quelli consiliaristi ignorano ostinatamente l’entrata del sistema nella sua fase di decadenza. D’altra parte, la Tendenza Comunista Internazionale (TCI) rigetta l’analisi della decomposizione come una visione cataclismica e limita le sue spiegazioni al fatto che il profitto è responsabile della pandemia e all’idea illusoria che quest’ultima è solo un evento aneddotico, una parentesi, negli attacchi della borghesia per massimizzare i suoi profitti. Questi gruppi dell’ambiente politico proletario si contentano di recitare gli schemi del passato senza analizzare le circostanze specifiche, i tempi e l’impatto della crisi sanitaria. Di conseguenza, il loro contributo alla valutazione del rapporto di forze tra le due classi antagoniste nella società, i pericoli o le opportunità che la classe e le sue minoranze devono affrontare è ormai irrisorio.
Un approccio marxista fermo è tanto più necessario in quanto la sfiducia verso i discorsi ufficiali sta facendo emergere numerose “spiegazioni alternative” fallaci e fantasiose degli eventi. Teorie complottiste, una più fantasiosa dell’altra, stanno emergendo e sono condivise da milioni di persone: la pandemia e ora la vaccinazione di massa sarebbero una macchinazione dei Cinesi per assicurare la loro supremazia, un complotto della borghesia mondiale per preparare la guerra o ristrutturare l’economia mondiale, una mossa per il potere da parte di un’internazionale segreta di virologi o ancora una nebulosa cospirazione mondiale dell’élite (sotto la direzione di Soros o Gates). ... Questa atmosfera generale provoca persino un disorientamento dell’ambiente politico proletario, un vero “Corona blues”[1].
Per la CCI, il marxismo è “un pensiero vivo per il quale ogni avvenimento storico importante è occasione di un arricchimento. In effetti tali avvenimenti permettono o di confermare il quadro e le analisi sviluppate anteriormente, o di rimettere in discussione alcune di esse, imponendo uno sforzo di riflessione per riaggiustare degli schemi prima validi ma ormai superati, oppure, apertamente, di elaborarne di nuovi, adatti a rendere conto della nuova realtà. Le organizzazioni ed i militanti rivoluzionari hanno la responsabilità specifica e fondamentale di compiere questo lavoro di riflessione, avendo cura, come fecero i nostri predecessori, di avanzare allo stesso tempo con prudenza e audacia:
appoggiandosi in modo risoluto sulle acquisizioni di base del marxismo;
esaminando la realtà senza paraocchi e sviluppando il pensiero senza "alcun divieto o ostracismo" (Bilan).
In particolare, di fronte a tali avvenimenti storici, è importante che i rivoluzionari sappiano distinguere le analisi che sono diventate superate da quelle che restano valide, per evitare un doppio pericolo: o sclerotizzarsi o “gettare il bambino con l’acqua sporca”. (Testo di orientamento Militarismo e decomposizione [22], 1991).
Da allora, la crisi da Covid-19 ha imposto alla CCI la necessità di confrontare gli elementi salienti di questo grande evento con il quadro della decomposizione che l’organizzazione ha proposto da più di 30 anni per comprendere l’evoluzione del capitalismo. Questo quadro è chiaramente ricordato nel seguente passaggio della Risoluzione Internazionale del 23° Congresso della CCI:
“30 anni fa, la CCI ha evidenziato che il sistema capitalista era entrato nella fase finale della sua decadenza e della sua esistenza, quella della decomposizione. Quest’analisi si basava su una serie di fatti empirici, ma allo stesso tempo ha fornito un quadro per la comprensione di questi fatti: "in una situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si affrontano tra loro senza riuscire nessuna delle due ad imporre la sua risposta decisiva, la storia non si sarebbe potuta fermare. Ancor meno degli altri modi di produzione che l'hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo "un congelamento", una "stagnazione" della vita sociale. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l'incapacità della borghesia di offrire la minima prospettiva per la società nel suo insieme e l'incapacità del proletariato di affermare apertamente la sua nel futuro immediato non possono che tradursi in un fenomeno di decomposizione diffusa, di imputridimento dell’intera società". (La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9], punto 4, Rivista Internazionale n. 14). La nostra analisi ha avuto cura di chiarire i due significati del termine "decomposizione"; da un lato, si applica a un fenomeno che colpisce la società, soprattutto nel periodo di decadenza del capitalismo e, in secondo luogo, designa una particolare fase storica di quest'ultimo, la sua fase finale: “... È essenziale evidenziare la differenza fondamentale tra gli elementi di decomposizione che hanno colpito il capitalismo dall'inizio del secolo [XX secolo] e la decomposizione generalizzata in cui attualmente sta sprofondando questo sistema e che non potrà che aggravarsi. Anche qui, al di là dell'aspetto rigorosamente quantitativo, il fenomeno della decomposizione sociale sta ora raggiungendo una tale profondità e una tale ampiezza da acquisire una nuova e singolare qualità che mostra l'ingresso del capitalismo decadente in una fase specifica – la fase finale – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore decisivo nell'evoluzione della società" (Ibid., punto 2). È soprattutto quest'ultimo punto (il fatto che la decomposizione tende a diventare il fattore decisivo dell'evoluzione della società, e quindi di tutte le componenti della situazione mondiale, un'idea che non è per niente condivisa dagli altri gruppi della Sinistra comunista) a costituire l'asse principale di questa risoluzione.”[2]
In questo contesto, l’obiettivo di questo rapporto è valutare l’impatto della crisi da Covid-19 sull’approfondimento delle contraddizioni all’interno del sistema capitalista e le sue implicazioni rispetto all’approfondimento della fase di decomposizione.
1. La crisi da Covid-19 rivela la profondità della putrefazione del capitalismo
La pandemia infuria nel cuore del capitalismo: una prima, poi una seconda, addirittura una terza ondata di infezioni sta travolgendo il mondo e in particolare i paesi industrializzati; i loro sistemi ospedalieri sono sull’orlo dell’implosione e sono costretti a imporre ripetutamente confinamenti più o meno radicali. Dopo un anno di pandemia, le cifre ufficiali, ampiamente sottostimate in molti paesi, contano più di 500.000 morti negli Stati Uniti e più di 650.000 nell'Unione Europea e in America Latina.[3]
Durante gli ultimi dodici mesi, in questo modo di produzione che ha capacità scientifiche e tecnologiche illimitate le borghesie, non solo dei paesi periferici ma soprattutto dei principali paesi industrializzati, si sono dimostrate incapaci di:
impedire la diffusione della pandemia, e poi la sua ripresa attraverso una seconda, terza, .... ondata;
evitare la saturazione dei sistemi ospedalieri, come in Italia, Spagna, ma anche Gran Bretagna e Stati Uniti;
mettere in atto tecniche e strumenti per controllare e contenere le diverse ondate;
coordinare e centralizzare la ricerca di un vaccino e mettere in atto una politica di una sua produzione, distribuzione e somministrazione pianificata e ben studiata per tutto il pianeta.
Invece le varie borghesie hanno fatto a gara nell’adottare misure incoerenti e caotiche e hanno fatto ricorso, per disperazione, a misure adottate in tempi lontanissimi nella storia, come il confinamento, la quarantena e il coprifuoco. Queste stesse borghesie hanno condannato a morte centinaia di migliaia di persone selezionando chi tra i malati di Covid dovesse essere ammesso negli ospedali sovraffollati o rimandando a una data lontana il trattamento di altre patologie gravi.
Il corso catastrofico della crisi pandemica è fondamentalmente legato alla pressione inesorabile della crisi storica del modo di produzione capitalista. L’impatto delle misure di austerità, ulteriormente accentuato dalla recessione del 2007-2011, la concorrenza economica spietata tra gli Stati e la priorità accordata, soprattutto nei paesi industrializzati, al mantenimento delle capacità produttive a scapito della salute della popolazione in nome del primato dell'economia, hanno favorito la portata della crisi sanitaria e costituiscono un ostacolo permanente al suo contenimento. Questa immensa catastrofe che è la pandemia non è il prodotto del destino o dell’insufficienza delle conoscenze scientifiche o degli strumenti sanitari (come poteva essere il caso nei modi di produzione precedenti); né arriva come un fulmine a ciel sereno, né costituisce una parentesi passeggera. Essa esprime invece l’impotenza fondamentale del modo di produzione capitalista in declino, che va al di là dell’incuria di questo o quel governo, ma che è, al contrario, indicativa del blocco e della putrefazione della società borghese. Soprattutto essa rivela l’ampiezza di questa fase di decomposizione che si sta approfondendo ormai da 30 anni.
1.1 La sua comparsa evidenzia 30 anni di sprofondamento nella decomposizione
La crisi da Covid-19 non sorge dal nulla; essa è al tempo stesso l’espressione e la risultante di 30 anni di una fase di decomposizione che hanno messo in evidenza una tendenza alla moltiplicazione, all’approfondimento e alla convergenza sempre più evidente delle varie manifestazioni di degrado del sistema.
(a) L’importanza e il significato della dinamica di decomposizione sono stati compresi dalla CCI già alla fine degli anni ‘80:
“Mentre la borghesia non ha le mani libere per imporre la sua "soluzione": la guerra imperialista generalizzata, e la lotta di classe non è ancora sufficientemente sviluppata per permettere di avanzare la sua prospettiva rivoluzionaria, il capitalismo è bloccato in una dinamica di decomposizione, di imputridimento che si manifesta su tutti i piani della sua esistenza:
degrado delle relazioni internazionali tra gli Stati che si manifesta con lo sviluppo del terrorismo;
catastrofi tecnologiche e cosiddette naturali a ripetizione;
distruzione della sfera ecologica;
carestie, epidemie, espressioni dell’impoverimento assoluto che si generalizza;
esplosione delle “nazionalità”;
vita della società segnata dallo sviluppo della criminalità, della delinquenza, dei suicidi, della follia, dell'atomizzazione individuale;
decomposizione ideologica segnata, tra l’altro, dallo sviluppo del misticismo, del nichilismo, dell’ideologia del “ciascuno per sé”, ecc.”[4]
(b) L'implosione del blocco sovietico marca un’accelerazione spettacolare del processo nonostante le campagne per nasconderlo. Il crollo dall’interno di uno dei due blocchi imperialisti che si fronteggiavano, senza che questo sia il prodotto né di una guerra mondiale tra i blocchi, né dell’offensiva del proletariato, può essere compreso solo come una espressione di rilievo dell’entrata nella fase di decomposizione. Tuttavia, le tendenze alla perdita di controllo e l’esacerbazione del ciascuno per sé che questa implosione manifesta sono state in gran parte nascoste e contrastate:
in un primo tempo anzitutto dal recupero di prestigio della “democrazia”, dovuto alla sua “vittoria sul comunismo” (campagne sulla morte del comunismo e sulla superiorità dei governi democratici);
poi, dalla prima guerra del Golfo (1991), intrapresa in nome delle Nazioni Unite contro Saddam Hussein, che ha permesso a Bush senior di imporre una “coalizione internazionale di Stati” sotto la guida degli USA e di rallentare così la tendenza al ciascuno per sé;
infine, dal fatto che il crollo economico risultante dall’implosione del blocco orientale ha colpito solo i paesi dell’ex blocco russo, una parte particolarmente arretrata del capitalismo, e ha risparmiato ampiamente i paesi industrializzati.
(c) All’inizio del XXI secolo, l’estensione della decomposizione si manifesta soprattutto nell’esplosione del ciascuno per sé e del caos imperialista. L’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono da parte di Al Qaeda l’11 settembre 2001 e la risposta militare unilaterale dell’amministrazione Bush hanno scoperchiato il “vaso di Pandora” della decomposizione: con l’attacco e l’invasione dell’Iraq nel 2003, in spregio alle convenzioni e alle organizzazioni internazionali e senza tener conto dell’avviso dei suoi principali “alleati”, la prima potenza mondiale è passata dal ruolo di gendarme dell’ordine mondiale a quello di principale causa del ciascuno per sé e del caos. L’occupazione dell’Iraq, seguita dalla guerra civile in Siria (2011), alimenteranno potentemente il caos imperialista non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo. Essi accentuano anche la tendenza al declino della leadership statunitense, mentre la Russia torna alla ribalta, soprattutto attraverso un ruolo imperialista “destabilizzante” in Siria, e la Cina acquista potenza come sfidante della superpotenza statunitense.
(d) Nei primi due decenni del XXI secolo, la crescita quantitativa e qualitativa del terrorismo, favorita dalla diffusione del caos e della barbarie bellica nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nella vita della società come strumento di guerra tra gli Stati. Ciò ha condotto addirittura alla costituzione di un nuovo Stato, lo “Stato Islamico” (Daesh), con il suo esercito, la sua polizia, un’amministrazione, le scuole, per il quale il terrorismo è l’arma prediletta e che ha scatenato un’ondata di attentati suicidi in Medio Oriente così come nelle metropoli dei paesi industrializzati. “La costituzione di Daesh nel 2013-14 e gli attacchi in Francia nel 2015-16, in Belgio e Germania nel 2016 rappresentano un’altra tappa di primo piano di questo processo.” (Rapporto sulla decomposizione oggi, 22° Congresso della CCI, maggio 2017) [11]. L’espansione di questo terrorismo “kamikaze” va di pari passo con l’aumento del radicalismo religioso irrazionale e fanatico in tutto il mondo, dal Medio Oriente al Brasile, dagli Stati Uniti all’India.
(e) Nel 2016-17, il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e la presidenza Trump negli Stati Uniti mettono in evidenza lo tsunami populista che costituisce una nuova manifestazione particolarmente saliente dell’aggravarsi della decomposizione “L’ascesa del populismo costituisce, nelle attuali circostanze, un’espressione della crescente perdita di controllo da parte della borghesia sul funzionamento della società, risultante fondamentalmente da ciò che sta al centro della decomposizione, l’incapacità delle due classi fondamentali della società di rispondere alla crisi insolubile in cui l’economia capitalista sta sprofondando. In altre parole, la decomposizione è fondamentalmente il risultato di un’impotenza da parte della classe dirigente, che trova la sua fonte nell’incapacità di superare la crisi del suo modo di produzione e che tende sempre più a influenzare il suo apparato politico. Tra le cause attuali dell’ondata populista ci sono le principali manifestazioni di decomposizione sociale: la crescita della disperazione, il nichilismo, la violenza, la xenofobia, insieme a un crescente rifiuto delle “élite” (i “ricchi”, i politici, i tecnocrati) e in una situazione in cui la classe operaia non è in grado di presentare, anche in modo embrionale, un’alternativa.” (Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [53], 23° Congresso della CCI, punto 4, Rivista Internazionale n° 34). Se questa ondata populista colpisce in particolare le borghesie dei paesi industrializzati, essa si manifesta anche nelle altre regioni del mondo sotto forma dell’arrivo al potere di leader forti e “carismatici” (Orban, Bolsonaro, Erdogan, Modi, Duterte, ...) spesso tramite l’appoggio di sette o di movimenti estremisti di ispirazione religiosa (chiese evangeliste in America Latina o in Africa, i Fratelli musulmani in Turchia, movimenti identitari razzisti indù nel caso di Modi).
La fase di decomposizione ha già 30 anni di storia e la breve carrellata fatta mostra come la putrefazione del capitalismo si sia estesa e approfondita attraverso fenomeni che hanno progressivamente interessato sempre più aspetti della società e che costituiscono gli ingredienti che hanno provocato il carattere esplosivo della crisi planetaria da Covid-19. È vero che durante questi 30 anni la progressione dei fenomeni è stata discontinua, ma si è svolta su diversi livelli (crisi ecologica, ciascuno per sé sul piano imperialista, frammentazione degli Stati, terrorismo, rivolte sociali, perdita di controllo da parte dell’apparato politico, putrescenza ideologica), minando sempre più i tentativi del capitalismo di Stato di contrastare la sua avanzata e mantenere un certo quadro condiviso. Tuttavia, mentre i vari fenomeni stavano raggiungendo un livello apprezzabile di intensità, apparivano fino ad allora come “una proliferazione di sintomi senza un’apparente interconnessione, in contrasto con i precedenti periodi di decadenza capitalistica che erano definiti e dominati da marcatori evidenti come la guerra mondiale o la rivoluzione proletaria” (Rapport sur la pandémie Covid-19 et la période de décomposition capitaliste [54] (luglio 2020). È proprio il significato della crisi da Covid-19 ad essere, come l’implosione del blocco dell’Est, altamente emblematica della fase di decomposizione accumulando assieme tutti i fattori di putrefazione del sistema.
1.2 Il suo impatto risulta dall’interazione delle manifestazioni di decomposizione che promuove
Come le varie manifestazioni della decadenza (guerre mondiali, crisi economiche generali, militarismo, fascismo e stalinismo, ...), c'è quindi anche un accumulo di manifestazioni della fase di decomposizione. L’ampiezza dell’impatto della crisi da Covid-19 si spiega non solo con questo accumulo, ma anche attraverso l’interazione delle espressioni ecologiche, sanitarie, sociali, politiche, economiche e ideologiche della decomposizione in una specie di spirale mai vista prima, che ha portato a perdere il controllo di sempre più aspetti della società e all’esplosione di ideologie irrazionali, estremamente pericolose per il futuro dell’umanità.
a) Covid-19 e distruzione della natura
La pandemia è chiaramente un’espressione della rottura del rapporto tra l’uomo e la natura, che ha raggiunto un’intensità e una dimensione planetaria senza pari con la decadenza del sistema e, in particolare, con l’ultima fase di questa decadenza, quella della decomposizione, più specificamente attraverso la crescita urbana incontrollata (proliferazione di baraccopoli sovraffollate) nelle regioni periferiche del capitalismo, la deforestazione e il cambiamento climatico. Per esempio, nel caso del Covid-19, uno studio recente di ricercatori delle Università di Cambridge e delle Hawaii e del Potsdam Institute for Climate Impact Research (pubblicato sulla prestigiosa rivista Science of the Total Environment) indicherebbe che i cambiamenti climatici nella Cina meridionale nel secolo scorso avrebbero favorito la concentrazione nella regione di specie di pipistrelli, che sono portatori di migliaia di coronavirus, e permesso la trasmissione del SARS-CoV-2, probabilmente attraverso il pangolino, agli esseri umani[5].
Da decenni, la distruzione irrimediabile del mondo naturale genera un pericolo crescente di disastri ambientali ma anche sanitari, come già illustrato dalle epidemie di SARS, H1N1 o Ebola che, per fortuna, non sono diventate pandemie. Eppure, sebbene il capitalismo abbia la forza tecnologica di inviare uomini sulla Luna, di produrre armi mostruose capaci di distruggere il pianeta decine di volte, non è stato capace di dotarsi dei mezzi necessari per far fronte ai problemi ecologici e sanitari che hanno portato allo scoppio della pandemia da Covid-19. L’uomo è sempre più separato dal suo “corpo organico” (Marx) e la decomposizione sociale accentua questa tendenza.
(b) Covid-19 e recessione economica
Allo stesso tempo, le misure di austerità e di ristrutturazione della ricerca e dei sistemi sanitari, intensificate in seguito alla recessione del 2007-2011, hanno ridotto le disponibilità ospedaliere e rallentato, se non arrestato, le ricerche sui virus della famiglia del Covid, anche se diverse epidemie precedenti avevano messo in evidenza la loro pericolosità. D’altra parte, durante la pandemia, l’obiettivo primario dei paesi industrializzati è sempre stato quello di mantenere intatte il più possibile e il più a lungo possibile le capacità produttive e, come estensione di questo, gli asili, l'istruzione primaria e secondaria per permettere ai genitori di andare al lavoro, pur sapendo che aziende e scuole costituiscono una fonte non trascurabile di contagio, nonostante le misure adottate (indossare mascherine, mantenere le distanze, ecc.). In particolare, durante la fase di riduzione del confinamento dell’estate 2020, la borghesia ha giocato cinicamente con la salute delle popolazioni in nome del primato dell’economia, che ha sempre prevalso, anche se a rischio dell’emergere di una nuova ondata di pandemia, della ripetizione dei confinamenti e dell’aumento del numero di ricoveri e di morti.
(c) Covid-19 e caos imperialista
Fin dall’inizio, la crescente divisione tra gli Stati ha costituito un potente stimolo alla diffusione della pandemia e incoraggiato persino la sua utilizzazione a fini egemonici. A partire dai tentativi iniziali della Cina di nascondere il sorgere dell’epidemia e dal suo rifiuto di trasmettere informazioni all’OMS che hanno largamente favorito la diffusione iniziale della pandemia. In secondo luogo, la persistenza della pandemia e delle sue varie ondate, così come il numero di vittime, sono stati favoriti dal rifiuto di molti paesi di “condividere” le loro scorte di materiale sanitario con i loro vicini, dal crescente caos nella cooperazione tra diversi paesi, anche e soprattutto all’interno dell’UE, per armonizzare le politiche di controllo delle infezioni o le politiche di progettazione e approvvigionamento dei vaccini, e ancora dalla “corsa al vaccino” tra i giganti farmaceutici in competizione (con profitti lucrosi per i vincitori) invece di mettere insieme tutte le competenze mediche e farmacologiche disponibili. Infine, la “guerra dei vaccini” è in pieno svolgimento tra gli Stati: per esempio, la Commissione europea aveva inizialmente rifiutato di riservare 5 milioni di dosi di vaccino supplementari proposte da Pfizer-BioNTech sotto pressione della Francia, che ha chiesto un ordine supplementare equivalente per la società francese Sanofi; il vaccino AstraZeneca della Oxford University è stato riservato prioritariamente all’Inghilterra senza rispettare gli ordini dell’UE; inoltre, i vaccini cinesi (Sinovac), russi (Sputnik V), indiani (BBV152) o americani (Moderna) sono stati ampiamente sfruttati da questi stati come strumenti di politica imperialista. La competizione tra gli Stati e l’esplosione del “ciascuno per sé” hanno accentuato il caos spaventoso nella gestione della crisi pandemica.
(d) Covid-19 e perdita di controllo della borghesia sul proprio apparato politico
La perdita di controllo sull’apparato politico era già una delle caratteristiche che avevano segnato l’implosione del blocco dell’Est, ma era apparsa allora come una specificità legata al carattere particolare dei regimi stalinisti. La crisi dei rifugiati (2015-16), l’emergere di rivolte sociali contro la corruzione dell’élite e soprattutto la marea populista (2016), tutte manifestazioni che erano già presenti ma meno prominenti nei decenni precedenti, hanno messo in evidenza a partire dalla seconda metà del decennio 2010-2020 l’importanza di questo fenomeno come espressione della progressione della decomposizione. Questa dimensione giocherà un ruolo determinante nell’estensione della crisi da Covid-19. Il populismo, e in particolare i leader populisti come Bolsonaro, Johnson o Trump, hanno favorito con la loro politica vandalica la diffusione e l’impatto letale della pandemia: essi hanno banalizzato il Covid-19 come una semplice influenza, hanno favorito un’applicazione incoerente della politica di limitazione dei contagi, esprimendo apertamente il loro scetticismo nei suoi confronti, e hanno sabotato ogni collaborazione internazionale. Ad esempio, Trump ha trasgredito apertamente le misure sanitarie raccomandate, ha incolpato apertamente la Cina (il "virus cinese") e ha rifiutato qualunque cooperazione con l’OMS.
Questo “vandalismo” esprime in maniera emblematica la perdita di controllo della borghesia sul proprio apparato politico: dopo essersi dimostrate incapaci già all’inizio di limitare la diffusione della pandemia, le varie borghesie nazionali non sono riuscite a coordinare le loro azioni e a mettere in atto un ampio sistema di controllo e tracciamento dell’epidemia per controllare e limitare nuove ondate di contagio Covid-19. Infine, lo sviluppo lento e caotico della campagna di vaccinazione evidenzia ancora una volta le difficoltà dello Stato a gestire adeguatamente la pandemia. Il susseguirsi di misure contraddittorie e inefficaci ha alimentato scetticismo e sfiducia crescenti nelle popolazioni nei confronti delle direttive dei governi: “Possiamo constatare che, rispetto alla prima ondata, i cittadini fanno più fatica ad aderire alle raccomandazioni” (D. Le Guludec, presidente dell'Alta autorità francese per la salute, LMD 800, novembre 2020). Questa preoccupazione è molto presente nei governi dei paesi industrializzati (da Macron a Biden), esortando la popolazione a seguire le raccomandazioni e le direttive delle autorità.
(e) Covid-19 e rifiuto dell’élite, ideologie irrazionali e crescita della disperazione
I movimenti populisti non solo si oppongono all’élite, ma alimentano anche lo sviluppo di ideologie nichiliste e i settarismi religiosi più retrogradi, già rafforzati dall’approfondirsi della fase di decomposizione. La crisi da Covid-19 ha provocato un’esplosione senza precedenti di visioni cospirative e antiscientifiche, che alimentano la contestazione delle politiche sanitarie statali. Le teorie cospirative abbondano, diffondendo nozioni totalmente fantasiose sul virus e la pandemia. Inoltre, leader populisti come Bolsonaro o Trump hanno apertamente espresso il loro disprezzo per la scienza. La diffusione esponenziale del pensiero irrazionale e della messa in discussione della razionalità scientifica durante la pandemia è un’illustrazione impressionante dell’accelerazione della decomposizione.
Il rifiuto populista dell’élite e le ideologie irrazionali hanno esacerbato una contestazione sempre più violenta, ma su un terreno puramente borghese, delle misure governative, come il coprifuoco e il confinamento. Questa rabbia anti-élite e anti-Stato ha stimolato il nascere di raduni (Danimarca, Italia, Germania) o di rivolte “vandaliche”, nichiliste e anti-Stato contro le restrizioni (al grido di “Libertà!”, “Per i nostri diritti e la nostra vita”), contro la “dittatura del confino” o ancora l’“inganno di un virus che non esiste”, come quelli scoppiati in gennaio in Israele, Libano, Spagna e soprattutto in molte città olandesi[6].
1.3 La crisi da Covid-19 mostra che le manifestazioni della decomposizione si concentrano nei paesi centrali del capitalismo
Gli effetti della fase di decomposizione hanno prima colpito duramente le aree periferiche del sistema: i paesi dell’Est con l’implosione del blocco sovietico e dell’ex Jugoslavia, le guerre in Medio Oriente, la recrudescenza delle tensioni belliche in Asia (Afghanistan, Corea, conflitto di confine sino-indiano), le carestie, le guerre civili, il caos in Africa. La situazione cambia con la crisi dei rifugiati, che ha portato a un flusso massiccio di richiedenti asilo in Europa, o con l’esodo di popolazioni disperate dal Messico e dall’America centrale verso gli Stati Uniti, poi con gli attacchi jihadisti negli Stati Uniti e nel cuore dell’Europa e infine con lo tsunami populista del 2016. Nel secondo decennio del XXI secolo, il centro dei paesi industrializzati è sempre più colpito e questa tendenza è confermata in maniera spettacolare dalla crisi da Covid-19.
La pandemia sta colpendo fortemente il cuore del capitalismo, e particolarmente gli Stati Uniti. Rispetto all’implosione del blocco dell’Est del 1989, che ha aperto la fase di decomposizione, la situazione attuale presenta una differenza cruciale che è il fatto che la crisi da Covid-19 ha praticamente risparmiato una parte particolarmente arretrata del mondo capitalista e pertanto non può essere presentata come una vittoria del “capitalismo democratico” poiché colpisce al contrario il centro del sistema capitalista attraverso le democrazie dell’Europa e degli Stati Uniti. Come un boomerang, i peggiori effetti della decomposizione, che il capitalismo aveva spinto per anni alla periferia del sistema, stanno tornando a colpire duramente i paesi industrializzati, che sono ora al centro delle turbolenze e ben lontani dall’essere esenti da tutti i suoi effetti. Questo impatto sui paesi industrializzati centrali era già stato segnalato dalla CCI a livello di controllo del gioco politico, soprattutto a partire dal 2017, ma oggi le borghesie americana, britannica e tedesca (e successivamente quelle degli altri paesi industrializzati) sono al centro dell’uragano pandemico e delle sue conseguenze a livello sanitario, economico, politico, sociale e ideologico.
Tra i paesi centrali, è il più potente tra loro, la superpotenza americana, a subire di più l’impatto della crisi da Covid.19: il più alto numero assoluto di infezioni e morti al mondo, una situazione sanitaria deplorevole, un’amministrazione presidenziale “vandalica” che ha gestito in modo catastrofico la pandemia e che, a livello internazionale, ha isolato il paese dai suoi precedenti alleati, un’economia in profonda difficoltà, un presidente che ha screditato le elezioni, chiamato a marciare contro il parlamento, approfondito le divisioni all’interno del paese e alimentato la sfiducia nella scienza e nei dati razionali, etichettati come fake news. Oggi, gli Stati Uniti sono l’epicentro della decomposizione.
Come spiegare che la pandemia sembra effettivamente colpire meno la “periferia” del sistema (sia in termini di infezioni che di morti), e in particolare l’Asia e l’Africa? Ci sono naturalmente diverse ragioni circostanziali: il clima, la densità della popolazione o l’isolamento geografico (come dimostrano i casi della Nuova Zelanda, dell’Australia o della Finlandia in Europa), ma anche la relativa affidabilità dei dati: per esempio, la cifra dei morti per Covid-19 nel 2020 in Russia risulta essere tre volte superiore a quella ufficiale (185.000 invece di 55.000) secondo uno dei vice primi ministri, Tatjana Golikova, sulla base della mortalità in eccesso (De Morgen, 29.12.2020).
Più fondamentalmente, il fatto che l’Asia e l’Africa hanno una esperienza di gestione delle pandemie (H1N1, Ebola) ha certamente giocato a loro favore. Poi, ci sono varie spiegazioni di natura economica (la maggiore o minore densità di scambi e di contatti internazionali, la scelta di confinamenti localizzati che permettono di continuare l’attività economica), sociale (una popolazione anziana “parcheggiata” a centinaia nelle “case di riposo”), medica (una maggiore o minore durata media della vita: cfr. Francia: 82,4, Vietnam: 76, Cina: 76,1, Egitto: 70,9, Filippine: 68,5, Congo: 64,7 e maggiore o minore resistenza alle malattie). Inoltre, i paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina subiscono e subiranno un pesante impatto indiretto dalla pandemia in seguito ai ritardi nella vaccinazione alla periferia, gli effetti economici della crisi da Covid-19 e il rallentamento del commercio mondiale, come indicato dall’attuale pericolo di carestia in America Centrale, dovuto all'arresto dell’economia. Infine, il fatto che i paesi europei e gli Stati Uniti evitino il più possibile di imporre confinamenti e controlli drastici e brutali, come quelli decretati in Cina, è senza dubbio legato anche alla prudenza delle borghesie nei confronti di una classe operaia, certamente disillusa ma non sconfitta, che non è pronta a lasciarsi “rinchiudere” dallo Stato. La perdita di controllo da parte della borghesia del suo apparato politico e la rabbia all’interno di una popolazione confrontata con il collasso dei servizi sanitari e il fallimento delle politiche sanitarie rendono ancora più necessario agire con circospezione.
2. La crisi da Covid-19 annuncia una potente accelerazione del processo di decomposizione
Di fronte ad un ambiente politico proletario che, dopo aver negato le passate espressioni della decomposizione, considera la crisi pandemica come un episodio transitorio, la CCI sottolinea, al contrario, che l’ampiezza della crisi da Covid-19 e delle sue conseguenze implica che non ci sarà un “ritorno alla normalità”. Anche se l’approfondimento della decomposizione, come nel caso della decadenza, non è lineare, anche se la partenza del populista Trump e l’arrivo al potere di Biden nella prima potenza mondiale possono, in un primo momento, fornire l’immagine di una stabilizzazione illusoria, bisogna essere coscienti che le diverse tendenze che si sono manifestate durante la crisi del Covid-19 segnano un’accelerazione del processo di sgretolamento e di distruzione del sistema.
2.1. Il decadimento della sovrastruttura sta infettando la base economica
Nel 2007, la nostra analisi concludeva ancora che “Paradossalmente, la situazione economica del capitalismo è l’aspetto di questa società meno colpito dalla decomposizione. Ciò perché è proprio questa situazione economica che determina, in ultima istanza, gli altri aspetti della vita di questo sistema, compresi quelli che sono espressione della decomposizione. (...). Oggi, nonostante tutti i discorsi sul “trionfo del liberalismo” e sul “libero esercizio delle leggi di mercato”, gli Stati non hanno rinunciato né a intervenire nelle economie dei loro rispettivi paesi, né a utilizzare strutture che regolino in qualche misura le relazioni tra loro, creandone anche di nuove, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio” (Résolution sur la situation internationale [55], Revue internationale n° 130, 2007). Fino ad allora, la crisi economica e la decomposizione erano state separate dall’azione dello Stato, con la prima apparentemente non influenzata dalla seconda.
In effetti, i meccanismi internazionali del capitalismo di Stato, dispiegati nel quadro dei blocchi imperialisti (1945-89), erano stati mantenuti a partire dagli anni ‘90 su iniziativa dei paesi industrializzati come palliativo alla crisi e come scudo protettivo contro gli effetti della decomposizione. La CCI aveva interpretato i meccanismi multilaterali di cooperazione economica e una certa coordinazione delle politiche economiche non come un’unificazione del capitale a livello mondiale, né come una tendenza al super-imperialismo, ma come una collaborazione tra borghesie a livello internazionale allo scopo di regolare e organizzare il mercato e la produzione mondiale, di rallentare e ridurre il peso del precipitare nella crisi, di evitare l’impatto degli effetti della decomposizione sul terreno nevralgico dell’economia e infine di proteggere il cuore del capitalismo (gli Stati Uniti, la Germania, ... ). Tuttavia, questo meccanismo di resistenza contro la crisi e la decomposizione tendeva ad erodersi sempre di più. Dal 2015, diversi fenomeni hanno cominciato ad esprimere tale erosione: una tendenza verso un notevole indebolimento della coordinazione tra i paesi, in particolare per quanto riguarda la ripresa dell’economia (e che contrasta chiaramente con la risposta coordinata messa in atto di fronte alla crisi del 2008-2011), una frammentazione delle relazioni tra e all’interno degli Stati. Dal 2016, il voto a favore della Brexit e la presidenza Trump hanno aumentato la paralisi e il rischio di frammentazione dell’Unione europea e intensificato la guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, ma anche le tensioni economiche tra gli Stati Uniti e la Germania.
Una delle principali conseguenze della crisi da Covid-19 è che gli effetti della decomposizione, l’accentuazione del ciascuno per sé e la perdita di controllo, che fino ad ora avevano colpito principalmente la sovrastruttura del sistema capitalista, ora tendono a colpire direttamente la base economica del sistema, la sua capacità di gestire gli shock economici nell’affondamento della sua crisi storica. “Quando abbiamo sviluppato la nostra analisi della decomposizione, abbiamo considerato che questo fenomeno avrebbe influenzato la forma dei conflitti imperialisti (vedi “Militarismo e decomposizione [22]”, Rivista Internazionale n°15) e anche la presa di coscienza del proletariato. Di contro, abbiamo considerato che non avrebbe avuto un impatto reale sull’evoluzione della crisi del capitalismo. Se l’attuale ascesa del populismo dovesse portare al potere questa corrente in alcuni dei principali paesi d’Europa, potremmo assistere allo sviluppo di un tale impatto della decomposizione.” (Rapporto sulla decomposizione oggi, 22° Congresso della CCI, maggio 2017) [11]. In effetti, la prospettiva avanzata nel 2017 è diventata rapidamente una realtà e ora dobbiamo considerare che la crisi economica e la decomposizione interferiscono e si influenzano sempre di più.
Per esempio, i tagli di bilancio nelle politiche sanitarie e nell’assistenza ospedaliera hanno favorito la diffusione della pandemia, che a sua volta ha portato a un crollo del commercio mondiale e delle economie, in particolare nei paesi industrializzati (i PIL dei principali paesi industrializzati presentano nel 2020 dei tassi negativi mai raggiunti dalla seconda guerra mondiale). La recessione economica fornirà a sua volta uno stimolo per l’ulteriore decadimento della sovrastruttura. D’altra parte, l’aumento del ciascuno per sé e la perdita di controllo che caratterizzano globalmente la crisi da Covid-19 intaccano già da ora l’economia. Colpisce la mancanza di concertazione internazionale tra i paesi centrali sul fronte economico (nessuna riunione del G7, G8 o G20 nel 2020) e il mancato coordinamento delle politiche economiche e sanitarie tra i paesi dell’UE. Di fronte alla pressione delle contraddizioni economiche all’interno dei paesi centrali del capitalismo, e di fronte alle esitazioni della Cina sulla sua politica (continuare ad aprirsi al mondo o iniziare un ritiro strategico nazionalista in Asia), gli shock a livello della base economica tenderanno a diventare sempre più forti e caotici.
2.2. I paesi centrali al centro della crescente instabilità delle relazioni all’interno delle borghesie e tra le borghesie
Negli anni precedenti abbiamo assistito ad un’acutizzazione delle tensioni all’interno delle borghesie e tra le borghesie. In particolare, con l’arrivo al potere di Trump e l’attuazione della Brexit, queste tensioni si sono manifestate soprattutto a livello delle borghesie americana e inglese, precedentemente considerate le più stabili ed esperte del mondo: le conseguenze della crisi da Covid-19 non potevano che acuire ancora di più tali tensioni:
La borghesia inglese sta entrando nella nebbia post-Brexit avendo perso l’appoggio del grande fratello americano a causa della sconfitta di Trump, mentre subisce con forza tutte le conseguenze della pandemia. Per quanto riguarda la Brexit, l’insoddisfazione per l’accordo poco chiaro con l'UE appare tanto tra coloro che non volevano questo accordo (scozzesi, nordirlandesi) quanto tra coloro che volevano una hard Brexit (pescatori), mentre non c’è un accordo (ancora?) con l’UE per i servizi (80% del commercio) e le tensioni tra UE e Regno Unito stanno aumentando (sui vaccini, per esempio). Per quanto riguarda la crisi da Covid-19, l’Inghilterra è dovuta ricorrere di nuovo e in tutta fretta al confinamento, ha superato la soglia dei 120.000 morti, con dei servizi sanitari sottoposti a una terribile pressione. Nel frattempo, la situazione nei suoi principali partiti politici, i Tories e il Labour, è catastrofica, entrambi in preda a una grave crisi interna.
L’acutizzazione delle tensioni tra gli Stati Uniti e gli altri Stati è stata evidente sotto l’amministrazione Trump: “Il comportamento da vandalo di un Trump che può rinnegare dall’oggi al domani gli impegni internazionali americani sfidando regole consolidate rappresenta un nuovo e potente fattore d’incertezza e impulso del ciascuno per sé. Ciò costituisce un ulteriore indice della nuova tappa che il sistema capitalista attraversa nello sprofondamento nella barbarie e nell’abisso del militarismo senza limiti.” (Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [53], punto 13, 23° Congresso della CCI). Ma anche all’interno della stessa borghesia americana le tensioni sono elevate. Questo si era già manifestato a proposito della strategia da adottare per assicurare il mantenimento della sua supremazia durante la catastrofica avventura irachena di Bush Junior: “L’arrivo nel 2001 alla guida dello Stato americano dei neoconservatori ha rappresentato una vera catastrofe per la borghesia americana. (...). Infatti, l’arrivo dell’equipe Cheney, Rumsfeld e compagnia alla guida dello Stato non è stato semplicemente il risultato di un monumentale “errore di casting” da parte di questa classe. Se ha peggiorato considerevolmente la situazione degli Stati Uniti sul piano imperialista, questo era già la manifestazione dell’impasse in cui si trovava questo paese di fronte alla perdita crescente della propria leadership, e più in generale allo sviluppo del ciascuno per sé nelle relazioni internazionali che caratterizza la fase di decomposizione” (Résolution sur la situation internationale [55], 17° Congresso della CCI, Revue internationale n° 130, 2007). Ma con le politiche “vandaliche” di Trump e la crisi da Covid-19, le opposizioni all’interno della borghesia americana sono apparse molto più ampie (immigrazione, economia) e soprattutto, la capacità dell’apparato politico di mantenere la coesione di una società frammentata sembra minata. In effetti, l’“unità” e l’“identità” nazionali hanno delle debolezze congenite che le rendono vulnerabili alla decomposizione. Così, l’esistenza di grandi comunità etniche e migranti, che hanno subito discriminazioni razziali fin dalle origini degli Stati Uniti e alcune delle quali sono escluse dalla vita “ufficiale”, il peso delle chiese e delle sette che propagano un pensiero irrazionale e antiscientifico, la grande autonomia di gestione degli Stati dell’“Unione americana” rispetto al potere federale (esiste, per esempio, un movimento indipendentista in Texas), l’opposizione sempre più netta tra gli Stati della costa orientale e occidentale (California, Oregon, Washington, New York, Massachusetts, ecc.), profittando pienamente della “mondializzazione”, e gli Stati del Sud (Tennessee, Louisiana, ecc.), la Rust Belt (Indiana, Ohio, ecc.) e il centro profondo (Oklahoma, Kansas, ecc.), che sono molto più favorevoli a un approccio più protezionista, tendono a favorire una frammentazione della società americana, anche se lo Stato federale è ancora lontano dall’aver perso il controllo della situazione. Tuttavia, il teatrino della contestazione del processo e dei risultati delle ultime elezioni presidenziali così come l’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump di fronte al mondo intero come in una qualsiasi repubblica delle banane conferma l'accentuazione di questa tendenza alla frammentazione.
Per quanto riguarda il futuro inasprimento delle tensioni all’interno e tra le borghesie, due punti sono degni di nota.
(a) La nomina di Biden non cambia la radice dei problemi degli Stati Uniti
L’avvento dell’amministrazione Biden non significa affatto la riduzione delle tensioni intra- e inter-borghesi e in particolare la fine dell’impronta del populismo trumpiano sulla politica interna ed estera: da un lato, quattro anni di imprevedibilità e vandalismo di Trump, da ultimo per quanto riguarda la gestione catastrofica della pandemia, hanno segnato profondamente la situazione interna degli Stati Uniti, la frammentazione della società americana, così come il suo posizionamento internazionale. Inoltre, Trump ha fatto di tutto nell’ultimo periodo della sua presidenza per rendere la situazione ancora più caotica per il suo successore (cfr. la lettera degli ultimi 10 ministri della difesa che ingiungono a Trump di non coinvolgere l’esercito nella contestazione dei risultati elettorali nel dicembre 2020 con l’occupazione del Congresso da parte dei suoi sostenitori). In secondo luogo, il risultato elettorale ottenuto da Trump mostra che circa la metà della popolazione condivide le sue idee e in particolare la sua avversione per le élite politiche. Infine, la presa di Trump e delle sue opinioni su gran parte del partito repubblicano annunciano una gestione difficile per la poco popolare (al di fuori delle élite politiche) amministrazione Biden. La sua vittoria è stata dovuta più alla polarizzazione anti-Trump che all’entusiasmo per l’agenda del nuovo presidente.
Inoltre, se a livello di forma e in settori specifici, come la politica sul clima o l’immigrazione, l’amministrazione Biden tenderà a rompere con la politica di Trump, la sua politica interna di “vendetta” delle élite delle due coste contro l’“America profonda” (le questioni dei combustibili fossili e del “muro” sono proprio legate a questo) e la politica estera, segnata dalla continuazione della politica di Trump in Medio Oriente e da un rafforzamento del confronto con la Cina (cfr. l’atteggiamento duro di Biden nei confronti di Xi durante la loro prima conversazione telefonica e la richiesta degli Stati Uniti all’UE di rivedere il suo trattato commerciale con la Cina) può solo portare a lungo termine a una maggiore instabilità all’interno della borghesia statunitense e tra le borghesie.
(b) La Cina non è il grande vincitore della situazione
Ufficialmente, la Cina si presenta come il “paese che ha sconfitto la pandemia”. Qual è la sua situazione nella realtà? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo valutare l’impatto a breve termine (controllo effettivo della pandemia) e a medio termine della crisi da Covid-19.
La Cina ha una responsabilità schiacciante nell’emergere e nell’espandersi della pandemia. Dopo l’epidemia di SARS nel 2003, sono stati stabiliti protocolli per le autorità locali per avvertire le autorità centrali; già con l'epidemia di peste suina nel 2019, è diventato chiaro che questo non funzionava perché, nel capitalismo di Stato stalinista, i funzionari locali temono per le loro carriere/promozioni se annunciano cattive notizie. Lo stesso è successo all’inizio del Covid-19 a Wuhan. Sono state le “opposizioni democratiche cittadine” che alla fine hanno trasmesso la notizia e, di conseguenza, con ritardo, hanno portato la notizia a livello centrale. Il “livello centrale” si è inizialmente distinto per la sua assenza: non ha avvisato l’OMS e, per tre settimane, Xi è stato assente, tre preziose settimane perse. Da allora, inoltre, la Cina ha sempre rifiutato di fornire all’OMS dati verificabili sullo sviluppo della pandemia sul suo territorio.
L’impatto a breve termine è principalmente indiretto. A livello diretto, le cifre ufficiali delle infezioni e dei decessi non sono affidabili, (quest’ultime vanno da 30.000 a diversi milioni) e, secondo il New York Times [56], lo stesso governo cinese potrebbe non essere a conoscenza dell’estensione dell’epidemia poiché le autorità locali mentono sul numero di infezioni, di test e morti per paura di rappresaglie da parte del governo centrale. Tuttavia, l’imposizione di spietate e barbare serrate su intere regioni, chiudendo letteralmente milioni di persone nelle loro case a volte per settimane (imposte di nuovo regolarmente negli ultimi mesi), paralizza totalmente l’economia cinese per diverse settimane, portando a una disoccupazione massiccia (205 milioni a maggio 2020) e conseguenze disastrose sui raccolti (in combinazione con siccità, inondazioni e invasioni di cavallette). Per il 2020, la crescita del PIL scende di oltre il 4% rispetto al 2019 (da +6,1% a +1,9%); il consumo interno è stato mantenuto solo grazie a un pieno rilascio del credito da parte dello Stato.
A più lungo termine, l’economia cinese deve affrontare una delocalizzazione delle industrie strategiche da parte degli Stati Uniti e dei paesi europei e le difficoltà della “Nuova Via della Seta” a causa dei problemi finanziari legati alla crisi economica e accentuati dalla crisi da Covid-19 (i finanziamenti cinesi, ma soprattutto il livello di indebitamento dei paesi “partner” come lo Sri-Lanka, il Bangladesh, il Pakistan, il Nepal, etc.), ma anche a causa della crescente diffidenza di molti paesi e della pressione anticinese degli Stati Uniti. Pertanto, non è sorprendente che nel 2020, c’è stato un crollo del valore finanziario degli investimenti fatti nel progetto “Nuova Via della Seta” (-64%).
La crisi da Covid-19 e gli ostacoli incontrati dalla “Nuova Via della Seta” hanno anche accentuato le tensioni, che sono sempre più evidenti, alla testa dello stato cinese. La fazione “economista” si affida soprattutto alla globalizzazione economica e al “multilateralismo” per perseguire l’espansione capitalista della Cina. La fazione “nazionalista” chiede invece una politica più muscolosa e mette avanti la forza (“La Cina che ha sconfitto il Covid”) di fronte alle minacce interne (gli uiguri, Hong Kong, Taiwan) ed esterne (tensioni con gli Stati Uniti, l’India e il Giappone). In vista del prossimo Congresso del Popolo del 2022, che dovrebbe nominare il nuovo (o confermare il vecchio) presidente, la situazione in Cina è quindi anche particolarmente instabile.
2.3. Il capitalismo di Stato come fattore di acutizzazione delle contraddizioni
“Come sottolineava la CGF nel suo organo di stampa Internationalisme nel 1952, il capitalismo di Stato non è una soluzione alle contraddizioni del capitalismo, anche se può ritardarne gli effetti, ma ne è l’espressione. La capacità dello Stato a mantenere insieme una società in declino, per quanto pervasiva, è quindi destinata a indebolirsi nel tempo e a diventare alla fine un fattore aggravante delle stesse contraddizioni che cerca di contenere. La decomposizione del capitalismo è il periodo in cui una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante e del suo Stato diventa la tendenza dominante nell’evoluzione sociale, cosa che il Covid rivela così drammaticamente” (Rapport sur la pandémie Covid-19 et la période de décomposition capitaliste [54] (luglio 2020)). Con la crisi pandemica, si esprime in maniera particolarmente acuta la contraddizione tra la necessità di un massiccio interventismo da parte del capitalismo di Stato per cercare di limitare gli effetti della crisi e una tendenza opposta alla perdita di controllo, alla frammentazione, a sua volta esacerbata da questi tentativi dello Stato di mantenere il controllo.
In particolare, la crisi da Covid-19 ha segnato un’accelerazione nella perdita di credibilità degli apparati statali. Mentre il capitalismo di Stato è intervenuto in maniera massiccia per far fronte agli effetti della crisi pandemica (misure sanitarie, confinamenti, vaccinazioni di massa, compensi finanziari generalizzati per attutire l’impatto economico, ecc.), le misure prese sui diversi piani si sono spesso rivelate inefficaci o hanno provocato nuove contraddizioni (ad es. la vaccinazione ha acuito l’opposizione contro lo Stato dei “no-vax”, i compensi economici per un settore hanno suscitato il malcontento di altri). Quindi, se è vero che lo Stato dovrebbe rappresentare l’intera società e mantenere la sua coesione, ciò è qualcosa che è sempre meno vista come tale dalla società: di fronte all’incuria e all’irresponsabilità crescenti della borghesia, sempre più evidente anche nei paesi centrali, la tendenza è quella di vedere lo Stato come una struttura a servizio delle élite corrotte, ed anche come una forza di repressione. Di conseguenza, esso ha sempre più difficoltà a imporre delle regole: in molti paesi europei, come l’Italia, la Francia o la Polonia, e anche negli Stati Uniti, ci sono state manifestazioni contro le misure governative di chiusura delle imprese o di confinamento delle persone. Ovunque, soprattutto tra i giovani, stanno nascendo campagne sui social media per opporsi a queste regole, come l’hashtag, “Non voglio più giocare”, in Olanda.
L’incapacità degli Stati a far fronte alla situazione è simboleggiata e influenzata dall’impatto del “vandalismo” populista. La perturbazione del gioco politico della borghesia nei paesi industrializzati si manifesta in maniera evidente dall’inizio del XXI secolo con movimenti e partiti populisti, spesso vicini all’estrema destra. Per esempio, la scalata a sorpresa di Le Pen alle elezioni presidenziali del 2002 in Francia, la spettacolare affermazione della “lista Pim Fortuyn” nei Paesi Bassi nel 2001-2002, i governi Berlusconi con l’appoggio dell’estrema destra in Italia, l’ascesa di Jorg Haider e del FPÖ in Austria, o l’ascesa del Tea Party negli Stati Uniti. All’epoca, la CCI tendeva a legare tale fenomeno alla debolezza delle borghesie: “Dipendono dalla forza o dalla debolezza della borghesia nazionale. In Italia, le debolezze e le divisioni interne della borghesia, anche da un punto di vista imperialista, tendono a far risorgere una significativa destra populista. In Gran Bretagna, invece, la quasi inesistenza di un partito specifico di estrema destra è legata all’esperienza e alla superiore padronanza del gioco politico da parte della borghesia inglese [sic!]” (Montée de l’extrême droite en Europe: existe-t-il un danger fasciste aujourd'hui? [57] Revue Internationale n° 110, 2002). Se la tendenza alla perdita di controllo è mondiale e ha segnato la periferia (paesi come il Brasile, il Venezuela, il Perù in America Latina, le Filippine o l’India in Asia), ora sta colpendo duramente i paesi industrializzati, le borghesie storicamente più forti (Gran Bretagna) e oggi soprattutto gli Stati Uniti. Mentre l’ondata populista cavalca la contestazione dell’establishment, l’arrivo al potere dei populisti mina e destabilizza ulteriormente le strutture statali attraverso le loro politiche “vandaliche” (ad esempio Trump, Bolsonaro, ma anche il “governo populista” M5S e Lega in Italia), in quanto non sono né disposti né in grado di assumere responsabilmente gli affari dello Stato.
Queste osservazioni contrastano con la tesi secondo cui la borghesia, attraverso queste misure, promuove una mobilitazione e una sottomissione della popolazione in vista della marcia verso la guerra generalizzata. Al contrario, le caotiche politiche sanitarie e l’incapacità degli Stati di far fronte alla situazione esprimono la difficoltà delle borghesie dei paesi centrali di imporre il loro controllo sulla società. Lo sviluppo di questa tendenza può alterare la credibilità delle istituzioni democratiche (senza che questo implichi nel contesto attuale il minimo rafforzamento del terreno di classe) o al contrario vedere lo sviluppo di campagne per la difesa di queste istituzioni, o anche per la restaurazione di una “vera democrazia”: così, durante l’assalto al Campidoglio, c’era chi voleva recuperare la democrazia “presa in ostaggio dalle élite” (“il Campidoglio è casa nostra”) e chi difendeva la democrazia contro un putsch populista.
Il fatto che la borghesia sia sempre meno capace di presentare una prospettiva per tutta la società genera anche una esplosione di ideologie alternative irrazionali e un crescente disprezzo per un approccio scientifico e ragionato. Naturalmente, la decredibilizzazione dei valori della classe dirigente non è cosa nuova. Essa è apparsa dalla fine degli anni ‘60, ma lo sprofondamento progressivo nella decomposizione, nel caos e nella barbarie ha favorito l’ascesa dell’odio e della violenza di ideologie nichiliste e di settarismi religiosi tra i più retrogradi. La crisi da Covid-19 stimola l’estensione su larga scala di tali ideologie. Movimenti come QAnon, Wolverine Watchmen, Proud Boys o il movimento Boogaloo negli Stati Uniti, le sette evangeliche in Brasile, in America Latina o in Africa, le sette musulmane sunnite o sciite, ma anche sette indù o buddiste, diffondono teorie del complotto e concezioni totalmente fantasiose sul virus, la pandemia, l’origine (creazionismo) o il futuro della società. La diffusione esponenziale del pensiero irrazionale e del rifiuto dei contributi della scienza tenderà ad accelerare.
2.4. La moltiplicazione delle rivolte antistatali e dei movimenti interclassisti
Le esplosioni di rivolte popolari contro la miseria e la barbarie guerriera erano presenti dall’inizio della fase di decomposizione e si stanno accentuando nel XXI secolo: l’Argentina (2001-2002), le periferie francesi nel 2005, l’Iran nel 2009, Londra e altre città inglesi nel 2011, lo scoppio di rivolte nel Maghreb e nel Medio Oriente nel 2011-12 (la “primavera araba”). Una nuova ondata di rivolte sociali scoppia in Cile, Ecuador o Colombia (2019), Iran (nel 2017-18 e di nuovo nel 2019-2020), Iraq, Libano (2019-2020), ma anche in Romania (2017) e Bulgaria (2013 e 2019-2020) o in Francia con il movimento dei “gilet gialli” (2018-2019) e, con caratteristiche specifiche, a Ferguson (2014) e Baltimora (2016) negli USA. Queste rivolte manifestano la crescente disperazione delle popolazioni che soffrono per la destrutturazione dei rapporti sociali, sottoposte alle conseguenze traumatiche e drammatiche dell’impoverimento legato al collasso economico o a delle guerre senza fine. Inoltre, esse prendono sempre più di mira la corruzione delle cricche al potere e, più in generale, le élite politiche.
Sulla scia della crisi da Covid-19, tali esplosioni di rabbia si stanno moltiplicando, prendendo la forma di manifestazioni e persino di rivolte. Esse tendono a cristallizzarsi intorno a tre poli:
a) dei movimenti interclassisti che esprimono una rivolta di fronte alle conseguenze economiche e sociali della crisi da Covid-19 (esempio dei “gilet gialli”);
b) dei movimenti identitari, di origine populista (MAGA) o parcellari, tendenti a esacerbare le tensioni tra componenti della popolazione (come le rivolte razziali (BLM), ma anche i movimenti di ispirazione religiosa (in India per esempio), ecc.;
c) dei movimenti anti-establishment e anti-Stato in nome della “libertà individuale”, di tipo nichilista, senza reali “alternative”, come i “no-vax” o i movimenti cospirativi (“recuperare le mie istituzioni dalle mani delle élite”).
Questi tipi di movimenti sfociano spesso in rivolte e saccheggi, servendo da valvola di sfogo per bande di giovani provenienti da quartieri afflitti dal degrado. Se questi movimenti mettono in evidenza la grave perdita di credibilità delle strutture politiche della borghesia, nessuno di essi offre in alcun modo una prospettiva per la classe operaia. Non tutte le rivolte contro lo Stato sono un terreno favorevole al proletariato: al contrario, esse lo deviano dal suo terreno di classe verso un terreno che non gli è proprio.
2.5. L’utilizzo della minaccia ecologica nelle campagne della borghesia
La pandemia illustra il drammatico peggioramento del degrado ambientale, che sta raggiungendo livelli allarmanti secondo i risultati e le previsioni che sono ormai unanimemente accettati negli ambienti scientifici e che la maggioranza degli stessi settori borghesi di tutti i paesi hanno fatto proprie (Accordo di Parigi, 2015): inquinamento urbano dell’aria e dell’acqua degli oceani, alterazione del clima con fenomeni meteorologici sempre più violenti, desertificazione che avanza, scomparsa accelerata di specie vegetali e animali che minaccia sempre più l’equilibrio biologico del nostro pianeta. “Tutte queste calamità economiche e sociali, se sono in generale un’espressione della decadenza del capitalismo, per il grado di accumulazione e l’ampiezza raggiunti costituiscono la manifestazione dello sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione. Un sistema in cui le politiche economiche, le ricerche, gli investimenti, tutto è realizzato sistematicamente a discapito del futuro dell’umanità e, pertanto, a discapito del futuro del sistema stesso.” (Punto 7 delle Tesi sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9]).
La classe dominante non è in grado di attuare le misure necessarie a causa delle stesse leggi del capitalismo e più specificamente dell’acuirsi delle contraddizioni provocate dallo sprofondamento nella decomposizione; di conseguenza, la crisi ecologica non può che peggiorare e generare nuove catastrofi in futuro. Tuttavia, negli ultimi decenni, la borghesia ha recuperato la dimensione ecologica nel tentativo di proporre una prospettiva di “riforme nel sistema”. In particolare, le borghesie dei paesi industrializzati pongono la “transizione ecologica” e l’“economia verde” al centro delle loro attuali campagne per far accettare una prospettiva di austerità draconiana nel quadro delle loro politiche economiche “post-Covid” volte a ristrutturare e rafforzare la posizione di concorrenza dei paesi industrializzati. Così, sono al centro dei “piani di ripresa” della Commissione europea per i paesi dell’UE e delle misure di rilancio dell’amministrazione Biden negli Stati Uniti. Nei prossimi anni, quindi, l’ecologia sarà più che mai una grande mistificazione che i rivoluzionari dovranno combattere.
3. Conclusioni
Questo rapporto ha dimostrato che la pandemia non inaugura un nuovo periodo, ma che è anzitutto un indicatore del livello di disfacimento raggiunto durante 30 anni di decomposizione, un livello spesso sottovalutato fino ad oggi. Allo stesso tempo, la crisi pandemica preannuncia anche una significativa accelerazione di vari effetti della decomposizione nel prossimo periodo, come illustrato in particolare dall’impatto della crisi da Covid-19 sulla gestione dell’economia da parte degli Stati e dai suoi effetti devastanti sui paesi industriali centrali, in particolare sulla superpotenza americana. Ci sono possibilità di controtendenze specifiche, che possono imporre una pausa o anche una certa ripresa di controllo da parte del capitalismo di Stato, ma questi eventi specifici non significheranno che la dinamica storica di sprofondamento nella fase di decomposizione, evidenziata in questo rapporto, sia messa in discussione.
Se la prospettiva non è quella di una guerra mondiale generalizzata (tra blocchi imperialisti), l’attuale caduta nel “ciascuno per sé” e la frammentazione porta comunque la cupa promessa di una moltiplicazione di conflitti bellici cruenti, di rivolte senza prospettive annegate nel sangue o di catastrofi per l’umanità:
“Il corso della storia è irreversibile: la decomposizione porta, come indica il nome stesso, alla dislocazione ed alla putrefazione della società, al niente. Lasciata alla sua propria logica, alle sue ultime conseguenze, essa conduce l’umanità allo stesso risultato di una guerra mondiale. Essere annientati brutalmente da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, la radioattività delle centrali nucleari, la fame, le epidemie ed i massacri delle differenti guerre locali (dove potrebbe anche essere usata l’arma atomica), il risultato è lo stesso. La sola differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più rapida mentre la seconda è più lenta e quindi molto più sofferta.” (Tesi 11 sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9]).
La progressione della fase di decomposizione può anche portare a ridurre la capacità del proletariato a condurre la sua azione rivoluzionaria. Quest’ultimo è così impegnato in una corsa col tempo contro lo sprofondamento della società nella barbarie di un sistema storicamente obsoleto. Certo, le lotte operaie non possono impedire il progredire della decomposizione, ma possono creare un freno ai suoi effetti, sul “ciascuno per sé”. Ricordiamo che “la decadenza del capitalismo era necessaria perché il proletariato fosse in grado di rovesciare questo sistema; al contrario, l’apparizione del fenomeno storico della decomposizione, risultato del perpetuarsi della decadenza in assenza della rivoluzione proletaria, non costituisce affatto una tappa necessaria per il proletariato sul cammino della sua emancipazione.” (Tesi 12 Tesi 11 sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9])
La crisi da Covid-19 genera così una situazione ancora più imprevedibile e confusa. Le tensioni sui diversi piani (sanitario, socio-economico, militare, politico, ideologico) genereranno grandi sconvolgimenti sociali, massicce rivolte popolari, rivolte distruttive, intense campagne ideologiche, come quella sull’ecologia. Senza un solido quadro di comprensione degli eventi, i rivoluzionari non saranno in grado di svolgere il loro ruolo di avanguardia politica della classe, ma contribuiranno invece alla sua confusione, al declino della sua capacità di realizzare la sua azione rivoluzionaria.
[1] Termine usato a livello internazionale per indicare la forma di depressione prodotta dalla pandemia da Corona virus.
[2] Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [53].
[3] Purtroppo le cifre sono continuamente cresciute da quando il rapporto è stato scritto e oggi, secondo il Ministero della Salute, si contano più di 4 milioni di morti in tutto il mondo, di cui 600 mila negli USA, 1 milione tra India e Brasile ed oltre 1 milione in Europa.
[4] 8° Congresso della CCI. La Situazione internazionale: presentazione e risoluzione, 1989, Rivista internazionale n. 13.
[5] Questo testo è stato scritto nel luglio 2020, e non ha potuto tener conto di una recente informazione che considera plausibile la tesi che l’epidemia abbia avuto la sua origine in un incidente di laboratorio a Wuhan, in Cina (Vedi a questo proposito il seguente articolo: “Origines du Covid-19: l’hypothèse d’un accident à l’Institut de virologie de Wuhan relancée après la divulgation de travaux inédits [58]”). Detto questo, questa ipotesi, se verificata, non diminuirebbe in alcun modo la nostra analisi che la pandemia è un prodotto della decomposizione del capitalismo. Al contrario, illustrerebbe che questo non risparmia la ricerca scientifica in un paese la cui crescita fulminea negli ultimi decenni porta proprio il marchio della decomposizione.
[6] Queste manifestazioni continuano ancor oggi prendendo spunto in particolare dalla decisione di adottare il green pass per accedere alle varie attività o ambiti quali ristoranti, spettacoli, musei, concorsi pubblici, etc.
Il presente rapporto fa seguito al rapporto adottato dal 24° Congresso della nostra sezione in Francia[1], in cui vengono adeguatamente trattati diversi aspetti, tra cui le misure adottate in campo economico di fronte alla pandemia; la violenta incursione della decomposizione sul terreno economico e l'attacco alle condizioni di vita dei lavoratori che sta diventando un vero incubo. In questo rapporto non svilupperemo questi elementi ma ci concentreremo sulla prospettiva: dove sta andando l'economia mondiale dopo il grande cataclisma scoppiato con la pandemia Covid-19?
Il rapporto sulla crisi economica adottato dal 23° congresso annunciava: “dobbiamo prendere in considerazione la possibilità di scosse significative nell’economia mondiale per il 2019-2020. I fattori negativi si accumulano: un debito sempre più incontrollabile; la guerra commerciale che si scatena; svalutazioni brutali degli attivi finanziari sopravvalutati; contrazione dello 0,1% dell’economia tedesca nel terzo trimestre 2018; la discesa dell’economia cinese ad un ritmo di crescita il più basso dell’ultimo decennio”.
Per il 2020 la Banca Mondiale ha registrato una caduta della produzione del 5,2% a livello globale, del 7% per le 23 prime economie del mondo e del 2,5% per le “economie in via di viluppo”. Secondo la Banca Mondiale questa diminuzione della produzione è la peggiore dal 1945 e “per la prima volta dopo il 1870 un numero senza precedenti di paesi conosceranno una diminuzione della loro produzione per abitante”[2]. Un fenomeno molto importante è il crollo del commercio mondiale. Un indicatore è la diminuzione del commercio marittimo mondiale, che è diminuito del 10% nel 2020. Ma, paradossalmente, “i prezzi dei container sono mediamente quadruplicati nel corso dei due ultimi mesi. Da circa 1.500 dollari a quasi 5.000 dollari. E in certi casi hanno raggiunto anche i 12.000 dollari. La spiegazione di questo fatto è che paesi come la Cina utilizzano le loro navi e i loro container per il loro proprio uso, sottraendoli al traffico mondiale”[3].
Per il 2021 è previsto un rimbalzo dell’economia mondiale, a condizione però che la pandemia sia vinta entro giugno, altrimenti le previsioni sono molto più pessimiste. Ci saranno degli aumenti consistenti della crescita, ma al di là di questo, le previsioni più serie indicano una stabilizzazione dell’economia mondiale solo a partire dal 2023. L’esperienza della ripresa dopo il 2008 è che essa ci ha messo del tempo per realizzarsi (a partire dal 2013), che è stata piuttosto anemica e nel 2018 ha mostrato segni di esaurimento. Come vedremo in questo rapporto le condizioni attuali dell’economia mondiale sono molto peggiori del 2008 e, piuttosto che fare predizioni, l’importante è comprendere questo importante deterioramento.
Da un lato, gli “esperti” danno un’immagine ingannevole degli effetti della crisi pandemica sull’economia. Essi partono dall’assioma secondo cui una tale crisi non avrà effetti irreversibili sull’apparato economico e che l’economia si rialzerà ad un livello superiore a quello del periodo precedente. Una tale ipotesi sottostima l’importante deterioramento di lunga data del tessuto produttivo, finanziario e commerciale, che la crisi pandemica rischia di indebolire profondamente. Si stima che il 30% delle imprese nei paesi dell’OCSE potrebbe sparire definitivamente. Siamo di fronte a più 100 anni di decadenza del capitalismo, con un’economia deformata dall’economia di guerra e dagli effetti della distruzione dell’ambiente, profondamente alterata nei suoi meccanismi di riproduzione dall’indebitamento e dalle manipolazioni statali, erosa dalla pandemia e sempre più toccata dagli effetti della decomposizione. In queste condizioni è illusorio pensare che l’economia si raddrizzerà senza nessuna conseguenza.
D’altra parte la profonda debolezza della “ripresa” proclamata del 2013-2018 già annunciava la situazione attuale. Al di fuori degli Stati Uniti, della Cina e, in misura minore, della Germania, la produzione di tutti i grandi paesi del mondo ha stagnato o è diminuita (secondo le stime della banca Mondiale), cosa che non verificava dalla Seconda Guerra Mondiale.
Già al 22° Congresso avevamo constatato il crescente impatto degli effetti della decomposizione sul terreno economico e in particolare sulla gestione capitalista di Stato sulla crisi. Notavamo ancora questa tendenza nel rapporto sulla crisi economica adottato al 23° Congresso che segnalava questa irruzione della decomposizione come uno dei principali fattori dell’evoluzione della situazione economica e, infine, il rapporto sulla questione adottato dal 24° congresso di Révolution Internationale approfondiva questa analisi centrata sulla pandemia in un doppio senso: come risultato della decomposizione e dell’aggravamento della crisi economica ma allo stesso tempo come un potente acceleratore di quest’ultima.
E’ importante ricordare il nostro approccio alla questione: una delle caratteristiche della decadenza è che il sistema capitalista tende ad estendere tutte le possibilità contenute nei suoi rapporti di produzione fino ai loro limiti estremi, anche a rischio di violare le sue stesse leggi economiche. Così, “una delle contraddizioni maggiori del capitalismo è quella che deriva dal conflitto tra la natura sempre più mondiale della produzione e la struttura necessariamente nazionale del capitale. Spingendo verso gli estremi limiti le possibilità delle ‘associazioni’ di nazioni sul piano economico, finanziario e produttivo, il capitalismo ha ottenuto una boccata di ossigeno significativa nella sua lotta contro la crisi che lo corrode, ma allo sesso tempo si è messo in una situazione rischiosa” (Rapporto del 23° Congresso). Questa situazione “rischiosa” ha dimostrato le sue gravi conseguenze legate all’impatto della decomposizione sul terreno economico, in particolare nel corso degli ultimi cinque anni del precedente decennio.
La pandemia rappresenta una accelerazione della decomposizione e, allo stesso tempo, un aggravamento di questa. Il rapporto sulla crisi economica è centrato su questa realtà fondamentale. La risoluzione sulla situazione in Francia (Bollettino interno) mostra bene questo asse centrale: “Nel 2008, al momento della ‘crisi dei Subprime’, la borghesia aveva saputo reagire in maniera coordinata a scala internazionale. I famosi G7, G8,….G20 (tutti di attualità) simbolizzavano questa capacità degli Stati a estendersi per tentare di rispondere alla ‘crisi del debito’. 12 anni più tardi, la divisione, la ‘guerra delle mascherine’ e poi la ‘guerra dei vaccini’, la dissonanza regnante nelle decisioni di chiusura delle frontiere contro la propagazione del Covid-19, l’assenza di concertazione a scala internazionale (al di fuori dell’Europa che cerca con difficoltà di proteggersi contro i suoi concorrenti) per limitare il crollo economico, segnano l’avanzata del ciascuno per sé e lo scivolamento delle più alte sfere politiche del capitalismo in una gestione sempre più irrazionale del sistema”. Questa tendenza è particolarmente forte negli Stati Uniti in cui in cui una lunga tendenza al declino economico si combina con un aggravamento senza precedenti della decomposizione del suo apparato politico e del suo tessuto sociale.
Tuttavia sarebbe un errore pensare che questa tendenza si limiti agli Stati Uniti. In Europa la Germania sembra aver reagito, ma le tensioni esistenti in seno all’Unione Europeo sono sempre più evidenti e lo choc della Brexit avrà delle conseguenze che non sono ancora uscite in superficie. La “stabilità” della Cina è più apparente che reale.
Conseguentemente possiamo dire che gli effetti della rottura nella sfera economica e nella gestione statale dell’economia proseguiranno e avranno un’influenza sempre più forte sugli sviluppi dell’economia. E’ vero che la borghesia cercherà di mettere in atto delle contromisure (per esempio gli accordi per la mutualizzazione dei debiti nella UE, o l’annullamento da parte di Biden di certe misure adottate da Trump), tuttavia, al di là dei freni e delle giravolte, il peso della decomposizione sull’economia e sulla sua gestione statale è destinato a rafforzarsi con conseguenze che al momento sono difficili da prevedere. Ma piuttosto che fare delle previsioni, noi dobbiamo seguire da vicino l’evoluzione della situazione e tirarne delle conclusioni nel quadro più generale che abbiamo predisposto.
Con la risposta che il capitale nella maggior parte dei paesi è stato costretto a prendere (e il confinamento non è ancora finito), si è verificata una delle peggiori recessioni della storia.
Per evitare un crollo generalizzato, la borghesia (gli Stati borghesi) è stata costretta a iniettare miliardi nell’economia. Questo le ha permesso di “uscirne”, di “resistere alla tempesta”[4]. Bisogna “salvare l’economia mondiale”. E come si svilupperà questa difficile operazione?
Possiamo dire che si farà in condizioni ben peggiori che nel 2008, che implicherà una violenta dose di austerità e che l’economia mondiale si ritroverà in uno stato molto più degradato, con una minore capacità di ripresa, e con un caos e convulsioni importanti.
Cinque fattori spiegano perché le condizioni saranno peggiori:
Di fronte alla pandemia abbiamo assistito a una risposta caotica e irrazionale degli Stati, a cominciare dai più grandi e dai più potenti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata ignorata da tutti gli Stati, ostacolando così la necessaria strategia internazionale basata su dei criteri scientifici. Ogni Stato ha cercato di fermare la propria economia il più tardi possibile per non perdere i suoi vantaggi competitivi e imperialisti sui suoi rivali. Ancora, le economie sono state riaperte allo scopo di guadagnare dei vantaggio sui propri rivali, e le chiusure provocate dall’aggravamento della pandemia sono state ostaggio della contraddizione tra la necessità di mantenere e aumentare la produzione rispetto ai propri rivali e quella di evitare che l’apparato produttivo e la coesione sociale non fossero attaccati da nuove ondate di contagi.
La guerra delle maschere ha dato luogo a uno spettacolo indecoroso: Stati considerati “seri”, come la Francia o la Germania, hanno rubato in maniera flagrante carichi di maschere destinati ad altri capitali nazionali. Lo stesso è avvenuto per attrezzature come respiratori, ossigeno, equipaggiamenti per la protezione individuale, etc.
Nell’attuale guerra dei vaccini, la loro fabbricazione, la loro distribuzione e le vaccinazioni stesse sono altrettanti indici del disordine crescente in cui sprofonda l’economia mondiale.
Nel campo della ricerca e della fabbricazione dei vaccini, abbiamo assistito a una corsa caotica tra Stati in concorrenza spietata. La Gran Bretagna, la Cina, la Russia, gli Stati Uniti… si sono lanciati in una corsa contro il tempo per essere i primi a disporre del vaccino. Il coordinamento internazionale è mancato completamente. I vaccini sono stati sperimentati in un tempo record, senza una reale garanzia di efficacia.
La stessa distribuzione è stata caotica. Il conflitto fra la UE e la società britannica AstraZeneca ne sono una testimonianza. I paesi più ricchi hanno lasciato i più poveri senza protezione. Israele ha vaccinato i suoi cittadini trascurando completamente i Palestinesi. La Russia utilizza una propaganda ingannevole per presentare il suo vaccino come il migliore. Questo prova che il vaccino è utilizzato come uno strumento di influenza imperialista. La Russia e la Cina non lo nascondono e dichiarano apertamente che li offriranno a un prezzo più basso ai paesi che si piegheranno alle loro esigenze economiche, politiche e militari.
Infine, la maniera in cui la popolazione viene vaccinata è veramente incredibile per la disorganizzazione e l’indisciplina. In Francia, in Germania, in Spagna, in Italia, per non citare che qualche esempio, si constata una mancanza costante di approvvigionamenti, ritardi nelle vaccinazioni anche per i gruppi considerati come prioritari (personale sanitario, persone di più di 65 anni). I piani di vaccinazione hanno subito ritardi in molte occasioni. Spesso la prima dose e somministrata mentre la seconda è rimandata sine die, annullando così l’efficacia del vaccino. I dirigenti, i politici, gli uomini d’affari, i militari, ecc., hanno riempito le liste dei gruppi prioritari e sono stati vaccinati per primi.
Questo spettacolo degradante intorno ai vaccini ci mostra una tendenza crescente del capitalismo a demolire la capacità di “cooperazione internazionale “che era riuscita ad attenuare la crisi economica nel periodo 1990-2008. Il capitalismo è basato su una concorrenza a morte – e questa caratteristica costitutiva del capitalismo non è scomparsa con l’apogeo della “mondializzazione” – ma quella che vediamo oggi è una concorrenza esacerbata, che prende come campo d’azione qualcosa di così sensibile come la salute e le epidemie. Se nel periodo ascendente del capitalismo la concorrenza tra i capitali e tra le nazioni era un fattore di espansione e di sviluppo del sistema, nella decadenza essa è al contrario un fattore di distruzione e di caos. Distruzione con la barbarie della guerra imperialista. Caos (che comprende anche la distruzione e le guerre) soprattutto con l’irruzione visibile degli effetti della decomposizione sul terreno economico e sulla sua gestione da parte degli Stati. Questo caos colpirà sempre più le catene di produzione e di approvvigionamento mondiali, la pianificazione della produzione, la capacità a combattere fenomeni “inattesi” come le pandemie o altre catastrofi.
Il rimpatrio della produzione nei paesi di origine da parte delle multinazionali era già in atto nel corso del 2017, ma sembra essersi accelerata con la pandemia: “Uno studio pubblicato questa settimana dalla Banca d’America, riguardante 3.000 imprese che sommano una capitalizzazione di borsa di 22.000 miliardi di dollari e si situano nei 12 maggiori settori produttivi nel mondo, indica che l’80% di queste imprese ha dei piani di trasferimento per rimpatriare una parte della loro produzione dall’estero. ‘E’ la prima svolta rispetto a una tendenza che dura da decenni’, dichiarano gli autori. Nel corso degli ultimi 3 anni, 153 imprese sono ritornate negli Stati Uniti, mentre 208 lo hanno fatto nella UE”[5].
Queste misure sono irreversibili? Stiamo assistendo alla fine della fase di “mondializzazione”, cioè una produzione mondiale, fortemente interconnessa con una divisione internazionale del lavoro, con catene di produzione, di trasporto e di logistica organizzate a livello mondiale?
La prima considerazione è che la pandemia dura da più tempo del previsto. Il 28 settembre 2020 è stata raggiunta la cifra di un milione di morti; il 15 gennaio 2021, meno di 4 mesi dopo, i morti erano 2 milioni. Benché la vaccinazione sia in corso, la direttrice scientifica dell'OMS, Soumya Awaminathan prevede che bisognerà aspettare il 2022 per raggiungere in Europa un’immunizzazione ragionevole. E’ probabile che le perturbazioni e le interruzioni di produzione proseguiranno lungo tutto il 2021.
In secondo luogo, se noi esaminiamo l’esperienza storica, possiamo constatare che le misure di capitalismo di Stato che furono prese in risposta alla Prima Guerra Mondiale non sono completamente sparite dopo la guerra, e 10 anni dopo, con la crisi del 1929, esse hanno fatto un salto considerevole, confermando la carretta previsione del primo congresso dell’Internazionale Comunista: "tutti questi problemi fondamentali della vita economica non sono regolati dalla libera concorrenza, nè dalla combinazione di trust e di consorzi nazionali e internazionali, bensì dal potere militare che in tali questioni interviene direttamente ai fini della propria ulteriore conservazione. Se la totale subordinazione del potere statale alla forza del capitale finanziario ha condotto l’umanità al macello imperialistico, il capitale finanziario, attraverso questo macello di massa, ha militarizzato non solo lo Stato, ma anche se stesso, tanto da non essere più in grado di attendere alle sue funzioni economiche essenziali se non col ferro e col sangue"[6].
Ancora, è probabile che le misure prese in risposta alla pandemia sul terreno economico resteranno in piedi, anche se ci saranno dei parziali ritorni indietro.
Questo è confermato dal fatto che dal 2015, come abbiamo precisato nel rapporto del 23° Congresso, la Cina, la Germania e gli Stati uniti si orientano in questa direzione. Le misure prese durante la pandemia non fanno che accentuare un orientamento che era già presente nel secondo decennio del 2000. Il fatto che le grandi potenze non abbiano, al momento, coordinato le loro risposte finanziarie ed economiche al pericolo di fallimenti ne è la prova. Mentre durante la crisi del 2008 le riunioni del G8, del G20, ecc., si sono moltiplicate, oggi questo tipo di riunioni sono praticamente assenti[7].
Tuttavia la struttura mondializzata della produzione mondiale offre dei vantaggi maggiori alle economie più potenti, ed esse prenderanno delle misure per correggere le principali perturbazioni descritte prima. Un chiaro esempio: il piano di mutualizzazione dei debiti nella UE conviene particolarmente alla Germania che così consoliderà le sue esportazioni verso la Spagna, l’Italia, ecc. Questi ultimi paesi, presentati come i “grandi beneficiari” di queste misure, saranno invece il grandi perdenti, perché il loro tessuto industriale sarà indebolito dalla concorrenza schiacciante delle esportazioni tedesche. Nei fatti la mutualizzazione dei debiti aiuterà la Germania a contrastare la presenza cinese nei paesi del sud dell’Europa, che si è rafforzata a partire dal 2013. Quello che è in atto non è uno smantellamento della mondializzazione, ma piuttosto un suo crescente indebolimento – per esempio attraverso la tendenza alla frammentazione in zone regionali -, un peso molto più importante delle tendenze protezioniste, il trasferimento delle zone di produzione, la moltiplicazione delle misure che ogni paese prende per sé, in violazione degli accordi internazionali. In breve, una tendenza ad un caos crescente nel funzionamento dell’economia mondiale.
Durante il periodo 2009-2015 la Cina ha giocato un ruolo essenziale, con i suoi acquisti e i suoi investimenti, nel debole rilancio dell’economia mondiale dopo i grandi sconvolgimenti del 2008. Nella situazione attuale la Cina può giocare lo stesso ruolo di locomotiva dell’economia mondiale? Noi pensiamo che questa possibilità è molto poco probabile per almeno 4 ragioni:
Il processo di distruzione ecologica (la devastazione e l’inquinamento dell’ambiente e delle risorse naturali) non è cominciato ieri. La guerra imperialista e l’economia di guerra hanno contribuito in grande misura a questo processo. La questione che vogliamo porre qui è di sapere in che misura questo processo ha influenzato negativamente l’economia capitalista ostacolando l’accumulazione.
Non possiamo dare una risposta elaborata nel corso di questo rapporto. Tuttavia è probabile che nel contesto delle crescenti difficoltà di collaborazione tra i paesi, con le misure nazionaliste che ogni Stato prende, la distruzione ecologica avrà un impatto sempre più negativo sulla riproduzione del capitale e contribuirà a rendere i futuri momenti di ripresa economica molto più deboli e instabili rispetto al passato.
Si stima che l’inquinamento atmosferico uccida 7 milioni di persone ogni anno. Il consumo di acqua contaminata provoca circa 485.000 morti all’anno[9].
Nel corso del 20° secolo, 260 milioni di persone sono morte per l’inquinamento dell’aria interna nel terzo mondo, cioè circa due volte il numero di vittime di tutte le guerre del secolo. Questa cifra è più di 4 volte superiore a quella delle morti dovute all’inquinamento dell’aria esterna.[10]
I fenomeni meteorologici estremi, le estinzioni di massa, la diminuzione dei rendimenti in agricoltura e la tossicità dell’aria e dell’acqua nuocciono già all’economia mondiale, il solo inquinamento costa 4.600 miliardi di dollari all’anno[11].
Anche la protezione delle città situate lungo le coste richiederà somme considerevoli – uguali, se non superiori, a quelle di tutti i piani di salvataggio che si sono dovuti adottare per la pandemia di Covid-19. Le implicazioni economiche di questo caos sono molto concrete. L’impatto di questo processo di autodistruzione è stupefacente. Si calcola che se il cambiamento climatico provocasse un aumento della temperatura media di 4°C, il PIL mondiale scenderebbe del 30% rispetto al 2010 (si pensi che la diminuzione provocata dalla depressione degli anni ‘30 arrivò al 26,7%), e si potrebbero perdere 1,2 miliardi di posti di lavoro. Queste cifre non tengono conto dell’aggravamento della crisi economica e dell’impatto del Covid.
Tutti questi danni sono considerevolmente aggravati dalla crisi pandemica, anche se ci vorrà del tempo per valutarne l’impatto. In effetti il Covid stesso esprime chiaramente quali conseguenze ha sull’economia la distruzione ecologica: "La colonizzazione delle specie naturali e il contatto umano con gli animali portatori di virus e di agenti patogeni è il primo anello della catena che spiega le pandemie. La distruzione degli habitat forestali nelle zone tropicali permette la trasmissione agli umani di numerosi agenti patogeni che erano prima confinati in luoghi inaccessibili. Le persone incontrano delle specie con cui prima non avevano contatti, cosa che aumenta il rischio di essere infettati da malattie di origine animale. I mercati di animali, i trasporti e la mondializzazione ne favoriscono poi la propagazione"[12].
Istituzioni come la Banca Mondiale mettono chiaramente in guardia contro le conseguenze della distruzione ecologica, per esempio l’espansione della povertà: "Secondo nuove stime il cambiamento climatico potrebbe trascinare da 68 a 135 milioni di persone nella povertà entro il 2030. Questa è una minaccia particolarmente grave per l’Africa subsahariana e l’Asia del sud, le due regioni che concentrano la maggior parte dei poveri del pianeta. In un certo numero di paesi, come il Nepal, il Camerun, la Liberia e la Repubblica centrafricana, una gran parte dei poveri vivono in zone che sono allo stesso tempo preda di conflitti guerrieri e di inondazioni."[13]
Il fallimento della cooperazione internazionale sull’epidemia di Covid è un annuncio dell’atteggiamento di ciascuno per sé che predominerà di fronte al cambiamento climatico. La concorrenza economica acuita conseguente al Covid non può che accelerare questa dinamica. La capacità del capitalismo a limitare l’aumento della temperatura globale si indebolisce.
“Un’azione rapida contro l’aumento delle temperature e un impegno rinnovato in favore della mondializzazione permetterebbero all’economia mondiale di raggiungere una produzione di 185.000 miliardi dollari nel 2050. Se si rimandano le misure per ridurre le emissioni di anidride carbonica e se si lasciano allentare i legami transfrontalieri, potrebbe arrivare a 149.000 miliardi di dollari, il che significherebbe dire addio alla totalità del PIL degli Stati Uniti e della Cina dello scorso anno.”[14]
La contraddizione tra gli interessi della nazione capitalista e dell’insieme del sistema capitalista e l’avvenire dell’umanità non potrebbe essere più chiaro. Se vengono prese delle misure sufficienti contro i cambiamenti climatici le tensioni imperialiste ed economiche si intensificheranno qualitativamente con la crescita della Cina come principale economia mondiale. Se non viene presa nessuna misura l’economia mondiale si contrarrà del 30% con tutte le conseguenze che questo implicherà. Cosa che non può che sviluppare in maniera esponenziale la distruzione dell’ambiente da parte del capitalismo e preparare il terreno per altre pandemie man mano che se ne svilupperanno le condizioni, come sviluppato da molti compagni in contributi interni[15].
L’economia di guerra, come ricordatoci da Internationalisme (l’organo della Sinistra Comunista di Francia), è un peso morto per l’economia mondiale. Nonostante la chiara posizione del testo di orientamento Militarismo e decomposizione[16] ci sono state parti dell’organizzazione che hanno avuto tendenza a pensare che nel quadro della decomposizione le spese di guerra avrebbero avuto tendenza a essere ridotte e non avrebbero avuto l’impatto enorme che esse avevano avuto all’epoca dei blocchi e della Guerra fredda. Questa visione è falsa, come sottolineato nel rapporto adottato al 23° Congresso: “Le spese militari mondiali hanno conosciuto, nel 2019, il loro più forte aumento in dieci anni. Nel corso del 2019 le spese militari hanno raggiunto 1.900 miliardi di dollari (1.800 miliardi di euro) nel mondo, cioè un aumento del 3,6% in un anno, il più importante dal 2010. ‘Le spese militari hanno raggiunto il loro più alto livello dalla fine della guerra fredda’, ha dichiarato Nan Tian, ricercatore del SIPRI”[17].
La necessità di far fronte al Covid non ha rallentato le spese per gli armamenti. Il budget per la Germania cresce del 2,8% per il 2021, la Spagna aumenta le sue spese militari del 4,7%, la Francia del 4,5%, e il Regno Unito le aumenta di 18,5 miliardi di euro[18].
Negli Stati Uniti, in un clima di isteria anti-Cina, il Senato ha approvato un aumento astronomico delle spese militari, che raggiungeranno i 740 miliardi di dollari nel 2021. In Giappone “il primo ministro Yoshihide Suga ha approvato lunedì il nono rialzo consecutivo del budget militare, stabilendo un nuovo record storico a 5.340 miliardi di yen (circa 51,7 miliardi di dollari), pari ad un aumento dell’1,1% rispetto all’anno precedente.”[19]
"Le guerre americane in Afghanistan, Iraq, Siria e Pakistan sono costate ai contribuenti americani 6.400 miliardi di dollari dal loro inizio nel 2001. Questo valore supera di 2 miliardi di dollari l’insieme delle spese del governo federale nel corso dell’ultimo anno fiscale.”[20]
Non ci sono dati disponibili per la Cina nel 2021, ma sembrerebbe che le spese militari sono aumentate nel 2020 meno che nel 2019. Tuttavia “l’Esercito popolare di liberazione ha raggiunto due risultati maggiori, varando la sua prima portaerei 100% indigena e il suo primo missile balistico intercontinentale capace di raggiungere gli Stati Uniti. La Cina ha anche costruito la sua prima base militare all’estero, a Gibuti nel 2017, e messo in cantiere una nuova generazione di cacciatorpediniere e di missili per rafforzare la sua capacità di dissuasione contro i suoi vicini asiatici e la marina americana.”[21]
La Russia ha aumentato in maniera spettacolare le sue spese militari nel corso del triennio 2018-2021, l’Australia “nel corso dei due ultimi anni ha lanciato un ambizioso programma navale finalizzato a creare una marina di dodici nuovi sottomarini, nove fregate, due navi di appoggio logistico e dodici motovedette; riceverà anche 72 aerei da combattimento americani F-35 entro il 2020. Le autorità australiane prevedono anche di raddoppiare il proprio budget in un decennio per portarlo a 21 miliardi di dollari all’anno”. I paesi scandinavi “considerano che le minacce russe sui loro spazi aerei e nell’Artico si fanno sempre più reali, e la Svezia ha annunciato il ristabilimento del servizio militare obbligatorio e significativi aumenti del budget della difesa”[22]
Questo giro nella giungla sanguinosa delle spese militari mostra che l’economia di guerra e gli armamenti, al di là dell’impulso che possono dare inizialmente, finiscono per costituire un peso sempre più grande per l’economia, e si può prevedere che esse parteciperanno alla tendenza a rendere più fragile e convulsa la ripresa economica che il capitalismo ricerca per il periodo post-Covid[23].
Nel 1948 il piano Marshall ha significato un montante di prestiti di 8 miliardi di dollari; il piano Brady per salvare le economie sudamericane nel 1985 ha implicato 50 miliardi di dollari; le spese per uscire dalla tempesta del 2008 hanno raggiunto l’astronomica cifra di 750 miliardi di dollari.
Le cifre attuali sono ancora più consistenti. L’Unione Europea ha impiegato un programma da 750 miliardi di euro. In Germania “il governo ha stabilito il più grande piano di aiuti della storia della Repubblica Federale. Per finanziare questo programma la Federazione contratterà nuovi debiti per un totale di circa 156 miliardi di euro.”[24] Biden ha proposto al Congresso un programma di sostegno e di rilancio dell’economia di 1.900 miliardi di dollari. Il totale delle misure di rilancio versate nell’economia americana nel 2020 è stimata in 4.000 miliardi di dollari.
Il debito mondiale nel terzo trimestre del 2020 era di 229.000 miliardi di dollari, cioè il 365% del PIL mondiale (un nuovo record storico). Questo debito raggiunge il 382% del PIL nei paesi industrializzati. Secondo l’Istituto della finanza internazionale questa scalata si accelera dal 2016 con un aumento negli ultimi 4 anni di 44.000 miliardi di dollari. E’ in questo quadro che noi dobbiamo abbordare le conseguenze della crescita attuale dell’indebitamento mondiale.[25]
L’accumulazione del capitale (la riproduzione allargata definita da Marx) ha per base di sviluppo i mercati extra-capitalisti e le zone poco integrate nel capitalismo. Se gli uni e gli altri si riducono, la sola via d’uscita per il capitale, organizzata dallo Stato, è l’indebitamento, che consiste nel gettare somme sempre più importanti nell’economia come anticipazione della produzione attesa negli anni seguenti.
Se non ci sono choc inflazionisti nelle grandi economie è per 3 ragioni:
Uno dei fattori che hanno permesso al capitale globale di ammortizzare gli effetti del debito era il coordinamento internazionale delle politiche monetarie, un certo livello di coordinamento e di organizzazione delle transazioni finanziarie a scala mondiale. Se questo fattore comincia a indebolirsi e il “ciascuno per sé” prevale, quali sono le conseguenze che ci si può attendere?
Il capitalismo ha utilizzato l’equivalente di tre anni e mezzo di produzione mondiale con il debito. Si tratta di una cifra insignificante che potrebbe essere reiterata all’infinito? Assolutamente no. Questa gigantesca cancrena è il terreno di coltura non solo di folli spinte speculative che hanno finito per istituzionalizzarsi nel labirinto indecifrabile che sono le transazioni finanziarie, ma anche delle crisi monetarie, dei giganteschi fallimenti di imprese e banche, perfino di Stati di una certa importanza. Logicamente questo processo implica che il mercato interno per il capitale non può crescere all’infinito, anche se non c’è nessun limite preciso in materia. E’ in questo contesto che la crisi di sovrapproduzione allo stadio attuale del suo sviluppo pone un problema di redditività al capitalismo. La borghesia stima che circa il 20% delle forze produttive mondiali sono inutilizzate. La sovrapproduzione dei mezzi di produzione è particolarmente visibile e tocca l’Europa, gli Stati Uniti, l’India, il Giappone, ecc.[26]
Dal 1985, data in cui gli Stati Uniti hanno abbandonato la loro posizione di creditori per diventare uno dei più grandi debitori, l’economia mondiale soffre di una situazione aberrante: praticamente tutti i paesi sono indebitati, i più grossi creditori sono a loro volta i più grandi debitori, e tutti lo sanno. Oggi, dopo decenni di debiti giganteschi, i recenti piani di salvataggio hanno superato tutti gli interventi precedenti. Con il livello attuale di indebitamento di tutti i grandi attori economici il rischio di esplosioni del debito aumenta. L’attuale situazione di tassi di interesse nulli facilita ancora la politica di aumento del peso del debito, ma – anche mettendo da parte tutti gli altri fattori – se i tassi di interesse aumentano… qualche cosa crollerà…
L’ arresto brutale della produzione ha delle conseguenze. Innanzitutto la Cina e la Germania, come altri grandi paesi produttori, si ritrovano con un’enorme sovra-capacità di produzione che non può essere compensata immediatamente. In generale, il settore delle macchine, l’elettronica, l’informatica, l’approvvigionamento di materie prime, i trasporti, ecc., si ritrovano con degli stock enormi di fronte a una ripresa lenta della domanda.
Anche se ci saranno indubbiamente dei momenti di ripresa della produzione (che saranno applauditi con entusiasmo dalla propaganda capitalista) e anche se ci saranno delle controtendenze che i settori più intelligenti del capitale metteranno in atto[27], quello che è indiscutibile è che l’economia mondiale sarà scossa e indebolita durante il prossimo decennio.
Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, il capitalismo ha mostrato una capacità a “sopravvivere” di fronte ai numerosi sconvolgimenti che ha subito (1975, 1987, 1998, 2008). Tuttavia le condizioni globali che abbiamo analizzato ci permettono di suggerire che questa capacità si è notevolmente indebolita. Non ci sarà – come sperano i consiliaristi e i bordighisti – il Grande Crollo Finale, ma poiché il cuore dell’economia mondiale è fortemente destabilizzato – in particolare gli USA e in maniera crescente certe parti dell’Europa – sarà più difficile coordinare una risposta alla crisi a livello internazionale, cosa che, insieme al peso travolgente del debito, fornisce una conferma chiara della prospettiva descritta nel rapporto del 23° Congresso sulla crisi: "Peso destabilizzatore di un indebitamento senza freni; saturazione crescente dei mercati; difficoltà crescenti della ‘gestione globalizzatrice’ dell’economia mondiale provocate dall’ascesa del populismo, ma anche l’acuirsi della concorrenza e il peso degli enormi investimenti richiesti dalla corsa agli armamenti; infine, fattore che non bisogna trascurare, gli effetti sempre più negativi della distruzione accelerata dell’ambiente e lo scombussolamento incontrollato degli equilibri ‘naturali’ del pianeta".
Una delle politiche che gli Stati metteranno in atto per dare una spinta all’economia sono i cosiddetti piani per una “economia verde”. Questi sono motivati dalla necessità di rimpiazzare la vecchia industria pesante e i combustibili fossili con l’elettronica, l’informatizzazione, l’intelligenza artificiale, i materiali leggeri e le nuove fonti di energia che permettano una più grande produttività, una riduzione dei costi e della mano d’opera. Per un certo tempo gli investimenti importanti che un tale rilancio dell’economia richiedono – che coinvolgerà anche la produzione di armi – potranno dare una spinta alle economie dei paesi meglio piazzati nel processo, ma lo spettro della sovrapproduzione tornerà ancora una volta a tormentare l’economia mondiale.
Il deterioramento delle condizioni di vita degli operai è stato relativo nel corso del periodo 1967-1980, ma ha cominciato ad accelerarsi negli anni ’80, quando le prestazioni sociali hanno cominciato ad essere limitate, si sono avuti licenziamenti massicci ed è cominciata a realizzarsi la precarietà del lavoro.
Nel corso del periodo 1990-2008 il deterioramento è proseguito: la riduzione sistematica degli operai al lavoro è diventata “normale”. E’ anche iniziata una crisi degli alloggi. La migrazione di massa ha costituito una pressione al ribasso dei salari e delle condizioni di lavoro nei paesi centrali. Tuttavia il peggioramento delle condizioni di vita nei paesi centrali restava graduale e limitata. C’era qualcosa di perverso che mascherava il peggioramento: lo sviluppo massiccio del credito nelle famiglie proletarie.
Nel rapporto adottato dal 23° Congresso abbiamo mostrato l’enorme degradazione del livello di vita del proletariato nei paesi importanti, gli attacchi importanti alle pensioni, al sistema sanitario, all’istruzione, ai servizi sociali, alle prestazioni sociali, l’aumento della disoccupazione e soprattutto lo sviluppo spettacolare della precarietà del lavoro. Gli anni seguiti al 2010 hanno significato un’ulteriore avanzata della degradazione della vita professionale nei paesi centrali. Gli attacchi graduali a cui abbiamo assistito tra il 1970 e il 2008 si sono accelerati nel decennio 2010-2020.
La crisi pandemica ha intensificato gli attacchi contro le condizioni di vita degli operai. Innanzitutto in tutti i paesi gli operai sono stati mandati al macello perché costretti ad andare al lavoro in mezzi di trasporto pubblico sovraffollati e si sono ritrovati senza mezzi di protezione sui loro luoghi di lavoro (e ci sono state un certo numero di proteste in fabbriche, uffici, ecc. all’inizio del confinamento proprio per questo). Conviene tuttavia notare che i lavoratori della sanità e delle case per anziani hanno subito un numero elevato di infezioni e di decessi. Anche i lavoratori dell’industria alimentare sono stati duramente toccati[28], come pure i lavoratori agricoli, che sono in gran parte immigrati[29].
Gli attacchi contro la classe operaia in tutti i paesi, ma in particolare nei paesi centrali, sono chiaramente all’ordine del giorno. Il rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Commercio “Il Covid19 e il mondo del lavoro” è molto chiaro: “il Covid-19 ha generato la crisi più grave mai registrata nel mondo del lavoro dopo la Grande depressione degli anni ‘30”.
La disoccupazione. L’eccessiva capacità produttiva delle industrie e la lenta e debole ripresa della domanda spingono verso licenziamenti di massa. Durante il periodo di confinamento stretto le enormi sovvenzioni dello Stato ai disoccupati a tempo parziale hanno mascherato la gravità della situazione di molti operai che soffrivano una drastica riduzione dei loro redditi. Tuttavia una “normalizzazione” graduale del funzionamento economico comporterà una nuova degradazione delle condizioni di vita degli operai, rendendola in molti casi irreversibile. Secondo l’OIC, le stime mondiali per il 2021 sono quelle di una perdita che può andare da 36 milioni di posti, nel caso migliore, a 130 milioni nel peggiore.[30]
Significativa in proposito un’analisi sulle grigie prospettive per l’industria dell’automobile: “Un esperto dell’industria automobilistica tedesca ha avanzato la seguente previsione: è pensabile che tutte i grandi mercati automobilistici conosceranno una contrazione in percentuale a due cifre. La Francia e l’Italia saranno le più toccate, con una diminuzione del 25% ciascuna, la Spagna con il 22%, la Germania, gli Stati Uniti e il Messico con il 20% ciascuno. Per il più grande mercato dell’automobile del mondo, la Cina, Dudenhoffer prevede una diminuzione delle vendite di circa il 15%. Nelle fabbriche tedesche si ha un’improvvisa eccedenza da 1,3 a 1,5 milioni di veicoli. La cassa integrazione non può coprire che dei brevi periodi. Nessuna impresa potrebbe conservare delle capacità produttive inutilizzate per più anni. E’ perciò che in Germania sono 100.000 degli 830.000 posti nella costruzione e negli accessori di automobili ad essere minacciati –‘secondo delle ipotesi ottimistiche’- scrive Dudenhoffer."[31]
La precarietà. L’OIC chiama la precarietà “lavoro sottoutilizzato” e stima che ci sono 473 milioni di lavoratori in questa situazione nel mondo (dato 2020). Il lavoro informale è altrettanto importante: “più di due miliardi di lavoratori sono impegnati in attività economiche che sono o insufficientemente coperte, o per niente coperte da disposizioni formali di diritto o di pratica.” Secondo l’OIC, “più di 630 milioni di lavoratori nel mondo non guadagnano abbastanza per poter far uscire se stessi e le loro famiglie dalla povertà”[32].
I salari. Per quanto riguarda i salari, l’OIC ha valutato la diminuzione globale dei salari nel mondo dell’8,3% fino al 2020. Malgrado le misure di sostegno governative, i salari sono diminuiti, secondo l’OIC, del 56,2% in Perù, del 21,3% in Brasile, del 6,9% in Vietnam, del 4,0% in Italia, del 2,9% nel Regno Unito e del 9,3% negli Stati Uniti.
Nel rapporto citato prima l’OIC previene che “La crisi ha avuto degli effetti particolarmente devastanti su numerose categorie di popolazioni vulnerabili e di settori nel mondo. I giovani, le donne, le persone debolmente remunerate e i lavoratori poco qualificati dispongono di un potenziale inferiore per agganciare la ripresa economica, e i rischi di ferite di lunga durata e di allontanamento dal mercato del lavoro sono ben reali per loro”.
Il livello incredibile di indebitamento nazionale non può essere mantenuto indefinitamente; a partire da un certo punto esso condurrà necessariamente a misure di austerità drastiche nei settori dell’istruzione, della sanità, delle pensioni, dei sussidi, delle prestazioni sociali, ecc.
Non ci si può aspettare niente dalla “gestione intelligente” del capitalismo di Stato, solo austerità, miseria, caos e nessun avvenire. Il futuro dell’umanità è nelle mani del proletariato, la sua resistenza contro l’austerità, e la politicizzazione di questa resistenza saranno la chiave del futuro periodo.
[2] https://www.banquemondiale.org/fr/news/press-release/2020/06/08/covid-19-to-plunge-global-economy-into-worst-recession-since-world-war-ii [61]
[3] https://www.lavanguardia.com/economia/20210207/6228774/precios-comercio-maritimo-mundial-cuadruplican-covid.html?utm_term=botones_sociales_app&utm_source=social-otros&utm_medium=social [62]
[4] Per fare solo degli esempi : in Italia più di cento miliardi di euro nei vari decreti « sostegno » del governo, , in aggiunta l’Europa ha stanziato circa 800 miliardi per il cosiddetto PNRR (di cui circa 200 andranno all’Italia per il cosiddetto Piano di ripresa e resilienza), negli Stati Uniti il governo ha stanziato (sempre a debito) più di 2000 miliardi di dollari,…
[5] https://www.aeutransmer.com/2020/03/02/el-80-de-las-multinacionales-tiene-planes-para-repatriar-su [63]
[6] Manifesto del [64]1 [64]° Congresso dell’Internazionale Comunista, Editori Riuniti, pag. 61
[7] Biden ha proposto di convocare una riunione del G10 non per un coordinamento economico, ma per isolare la Cina.
[8] Le imprese zombie sono quelle che devono continuamente rifinanziare il loro debito, cosi che il rimborso di questo debito assorbe tutti i loro profitti e le obbliga anche a contrarre nuovi debiti.
[12]Rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente, https://www.lavanguardia.com/natural/20200908/483359329249/degradacion-ambiental-catapulta-pandemias.htm [68]l [68]
[15] "la conquista sconsiderata di territori « selvaggi » da parte del capitale, (…) l’urbanizzazione crescente, lo sfruttamento di ogni centimetro quadro del pianeta (…) conduce a una coesistenza forzata delle specie”(D.). “C’è effettivamente tendenza a sottostimare a qual punto la pandemia è un prodotto della dimensione ecologica, altra caratteristica fondamentale della decomposizione. La citazione da Le Fil rouge è interessante: la maniera in cui la tendenza alle pandemie è legata allo scambio metabolico con la natura (Marx) – che ha raggiunto delle proporzioni deformate dallo sviluppo del capitalismo nella decadenza e nella decomposizione. – conduce alle radici sociali che sono in atto."(B.)
[16]Rivista Internazionale n. 15, https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione [22]
[17] Rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI) pubblicato il 27/04/2020. Fonte : https://www.dw.com/es/gasto-militar-mundial-tuvo-su-mayor-aumento-en-una-d%C3%A9cada-seg%C3%BAn-sipri/a-53254197 [71]
[18] Fonte: https://www.infodefensa.com/mundo/2020/12/01/noticia-alemania-incrementa-millones-presupuesto-defensa.html [72]
[20] https://www.cnbc.com/2019/11/20/us-spent-6point4-trillion-on-middle-east-wars-since-2001-study.html [74]
[22] https://www.abc.es/internacional/abci-china-y-rusia-doblan-gasto-militar-decada-201711121042_noticia.html [76]
[23] L'economia di guerra può inizialmente stimolare l’economia. Ma questo stimolo è ingannevole, e lo si può constatare se si guarda sul lungo termine. C’è l’esempio della Russia e, più recentemente, quello della Turchia che dopo un rilancio spettacolare è oggi sempre più indebolita dal peso soffocante dello sforzo di guerra. Stessa cosa per le economie dell’Iran e dell’Arabia Saudita, che prese da una rivalità estrema sono sempre più indebolite.
[24] Citazione dal comunicato della nostra sezione sulla situazione in Germania.
[26] Rapporto sulla crisi economica adottato dal 24° Congresso di Révolution Internationale.
[27] Vedere in proposito il rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso di RI.
[28] "La situazione dell’industria del trattamento della carne ha rivelato un’immagine simile a quella dei macelli di Chicago un secolo fa. Ora si sono conosciuti gli elevati tassi di infezione tra il personale dei macelli. Si è saputo che si trattava di aziende di moderna miseria in Germania, con una mano d’opera a molto buon mercato proveniente dall’Europa dell’est, che viveva in baracche o in appartamenti fatiscenti e sovraffollati – affittati dai gestori dei macelli. Centinaia di loro si sono infettati, a causa del loro ammassamento al lavoro come negli alloggi." (Comunicato della sezione in Germania).
[29]Ad aprile 2020, in Spagna, i raccoglitori di fragole, per la maggior parte operai originari del Marocco e dell’Africa hanno tentato di fare sciopero contro l’insopportabile affollamento dei loro quartieri e il governo di coalizione di sinistra ha immediatamente inviato la Guardia Civile.
[30] https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/documents/briefingnote/wcms_767223.pdf [78]
[31] Citato dal comunicato sulla situazione in Germania.
Continuiamo la pubblicazione dei principali rapporti sulla situazione mondiale adottati dal 24° Congresso della CCI. Questo rapporto esamina alcune delle questioni principali a cui è confrontata la lotta di classe internazionale nella fase di decomposizione del capitalismo: il problema della politicizzazione dei movimenti di classe, i pericoli connessi all’interclassismo, la maturazione della coscienza e il significato delle sconfitte in questo periodo.
Parte 1: Costruire sulla base del lavoro del nostro 23° Congresso
Al suo 23° Congresso Internazionale, la CCI ha chiarito che bisogna distinguere tra il concetto di rapporto di forza tra le classi e il concetto di corso storico. Il primo si applica a tutte le fasi della lotta di classe, sia nel periodo ascendente del capitalismo che in quello decadente, mentre il secondo si applica solo alla decadenza, e solo nel periodo tra l'avvicinarsi della prima guerra mondiale e il crollo del blocco dell’est nel 1989. L'idea di un corso storico ha senso solo in quelle fasi in cui diventa possibile prevedere il movimento generale della società capitalista verso la guerra mondiale o verso decisivi scontri di classe. Così, negli anni '30, la sinistra italiana fu in grado di riconoscere che la sconfitta del proletariato mondiale avvenuta negli anni '20 aveva aperto la strada alla seconda guerra mondiale, mentre dopo il 1968 la CCI aveva ragione a sostenere che, senza una sconfitta frontale di una classe operaia in ripresa, il capitalismo non sarebbe stato in grado di arruolare il proletariato per una terza guerra mondiale. D'altra parte, nella fase di decomposizione, prodotto di un'impasse storica tra le classi, anche se la guerra mondiale non è all’ordine del giorno per il prossimo futuro a causa della disintegrazione del sistema dei blocchi, il sistema può scivolare in altre forme di barbarie irreversibile senza uno scontro frontale con la classe operaia. In una tale situazione, diventa molto più difficile riconoscere quando un "punto di non ritorno" è stato raggiunto e la possibilità della rivoluzione proletaria è stata sepolta una volta per tutte.
Ma l'"imprevedibilità" della decomposizione non significa che i rivoluzionari non si preoccupino più di valutare l'equilibrio generale del rapporto di forza tra le classi. Questo punto è affermato dal titolo della risoluzione del 23° Congresso sulla lotta di classe: "Risoluzione sul rapporto di forza tra le classi". Ci sono due elementi chiave di questa risoluzione che dobbiamo sottolineare qui:
Questi temi costituiscono il “filo rosso” della risoluzione, come detto al suo inizio:
“Alla fine degli anni ’60, con l’esaurirsi del boom economico del dopoguerra, la classe operaia era ritornata sulla scena sociale in risposta alla degradazione delle sue condizioni di vita. Le lotte operaie sviluppatesi su scala internazionale avevano così messo fine al periodo più lungo di controrivoluzione della storia. Esse avevano aperto un nuovo corso storico verso scontri di classe, impedendo così alla classe dominante di rispondere alla sua maniera alla crisi acuta del capitalismo: una 3a guerra mondiale. Questo nuovo corso storico era stato segnato dallo svilupparsi di lotte di massa, in particolare nei paesi centrali dell’Europa occidentale con il movimento del Maggio 68 in Francia, seguito da quello dell’“autunno caldo” in Italia nel 1969 e molte altre ancora, come in Argentina nel 1969 e in Polonia nell’inverno 1970-71. In questi movimenti di massa, vasti settori della nuova generazione che non aveva conosciuto la guerra avevano posto di nuovo la questione della prospettiva del comunismo come possibilità.
In rapporto con questo movimento generale della classe operaia alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, si deve segnalare anche il risveglio internazionale, su scala molto piccola ma comunque significativa, della Sinistra Comunista organizzata: la tradizione che era rimasta fedele alla bandiera della rivoluzione proletaria mondiale durante la lunga notte della controrivoluzione. In questo risveglio la costituzione della CCI ha significato un rinnovamento ed un impulso importante per la Sinistra Comunista nel suo insieme.
Di fronte a una dinamica che tende alla politicizzazione delle lotte operaie, la borghesia (che si era lasciata sorprendere dal movimento del maggio 68) ha immediatamente sviluppato una controffensiva di grande ampiezza e di lungo termine, al fine di impedire alla classe operaia di rispondere alla crisi storica dell’economia capitalista con la rivoluzione proletaria."[1]
Successivamente la risoluzione ritraccia le grandi linee di come la borghesia, classe machiavellica per eccellenza, ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per bloccare questa dinamica:
“Nel primo periodo, offrendo alla classe operaia un'alternativa politica puramente borghese. Alla fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, deviando le sue aspirazioni verso la falsa prospettiva di governi di sinistra capaci di umanizzare il capitalismo e persino di stabilire una società socialista, e dalla fine degli anni '70 in poi, con la divisione del lavoro tra una destra dura al potere che portava avanti i brutali tagli agli standard di vita della classe operaia richiesti dalla crisi economica, e una "sinistra all'opposizione" meglio posizionata per assorbire la minaccia posta dalle ondate di lotta che hanno caratterizzato questo periodo;
- L'uso massiccio dell'estrema sinistra del capitale (maoisti, trotskisti, ecc.) per recuperare la crescente ricerca di risposte politiche da parte di una minoranza significativa della nuova generazione;
- L'uso del sindacalismo radicale e persino di forme di organizzazione "extra-sindacale" manipolate dall'estrema sinistra per sconfiggere il crescente disincanto dei lavoratori nei confronti dei sindacati e il pericolo che i lavoratori arrivassero a una comprensione politica del ruolo dei sindacati nell'epoca della decadenza;
- L'uso dell'ideologia corporativista e nazionalista per isolare importanti lotte operaie e, se necessario, per schiacciarle attraverso la repressione diretta dello Stato (cfr. lo sciopero dei minatori in Gran Bretagna e, su scala molto più ampia, lo sciopero di massa in Polonia nel 1980).
- La cosciente riorganizzazione della produzione e del commercio globale che prese piede a partire dagli anni '80: la politica della "globalizzazione", pur essendo fondamentalmente determinata dalla necessità di rispondere alla crisi economica, conteneva anche un elemento direttamente antioperaio in quanto cercava di abbattere i tradizionali centri di combattività proletaria e minare l'identità di classe;
- Rivolgendo la decomposizione stessa della società capitalista contro la classe operaia. Così, la tendenza all’"ognuno per sé", amplificata in questa nuova fase, è stata utilizzata per rafforzare l'atomizzazione sociale e le divisioni corporativiste. Soprattutto, il crollo del "socialismo reale" nel blocco orientale è stato il trampolino di lancio per una gigantesca campagna intorno alla morte del comunismo, che ha approfondito ed esteso le difficoltà della classe operaia a sviluppare la propria prospettiva rivoluzionaria.”
Se queste difficoltà erano già aumentate negli anni '80 - ed erano all'origine dell'impasse tra le classi - gli eventi del 1989 non solo aprirono definitivamente la fase di decomposizione ma portarono ad un profondo arretramento della classe a tutti i livelli: nella sua combattività, nella sua coscienza, nella sua stessa capacità di riconoscersi come classe specifica nella società borghese. Inoltre, ha accelerato tutte le tendenze negative di decomposizione sociale che avevano già iniziato a giocare un ruolo nel periodo precedente: la crescita cancerosa dell'egoismo, del nichilismo e dell'irrazionalità che sono i prodotti naturali di un ordine sociale che non può più offrire all'umanità alcuna prospettiva per il futuro[2]. Da notare che la risoluzione del XXIII Congresso riafferma anche che, nonostante tutti i fattori negativi della fase di decomposizione che pesano sulla bilancia, ci sono ancora segni di una controtendenza proletaria. In particolare, il movimento degli studenti contro il CPE in Francia nel 2006, e il movimento degli "Indignados" in Spagna nel 2011, così come la ricomparsa di nuovi elementi alla ricerca di posizioni autenticamente comuniste, forniscono prove concrete che il fenomeno della maturazione sotterranea della coscienza, lo scavo della "Vecchia Talpa", è ancora operativo nella nuova fase. La voglia di una nuova generazione di proletari di comprendere l'impasse della società capitalista, la rinascita dell'interesse per i movimenti precedenti che avevano sollevato la possibilità di un'alternativa rivoluzionaria (1917-23, maggio 68 ecc.) confermano che la prospettiva di una futura politicizzazione non è stata annegata nel fango della decomposizione. Ma prima di procedere verso una migliore comprensione del rapporto di forze tra le classi negli ultimi dieci anni, e soprattutto sulla scia della pandemia di Covid, è necessario approfondire cosa intendiamo esattamente con il termine politicizzazione.
Parte 2: Il significato della politicizzazione
Nel corso della sua storia, l'avanguardia marxista del movimento operaio ha lottato per chiarire l'interrelazione tra i diversi aspetti della lotta di classe: economico e politico, pratico e teorico, difensivo e offensivo. Il profondo legame tra la dimensione economica e quella politica fu sottolineato da Marx nella sua prima polemica con Proudhon:
“Non si dica che il movimento sociale esclude il movimento politico. Non vi è mai un movimento politico che non sia sociale nello stesso tempo.
Solo in un ordine di cose in cui non vi saranno più classi né antagonismi di classi le evoluzioni sociali cesseranno di essere rivoluzioni politiche”[3]
Questa polemica continuò nel periodo della Prima Internazionale nella lotta contro le dottrine di Bakunin. A quel tempo, la necessità di affermare la dimensione politica della lotta di classe era principalmente legata alla lotta per le riforme, e quindi all'intervento nell'arena parlamentare della borghesia. Ma il conflitto con gli anarchici, così come l'esperienza pratica della classe operaia, sollevò anche questioni sulla fase offensiva della lotta, specialmente gli eventi della Comune di Parigi, il primo esempio di potere politico della classe operaia.
Durante il periodo della Seconda Internazionale, soprattutto nella sua fase di degenerazione, fu lanciata una nuova battaglia: la lotta delle correnti di sinistra contro la crescente tendenza a separare rigorosamente la dimensione economica, considerata la specialità dei sindacati, e la dimensione politica, sempre più ridotta agli sforzi del partito per conquistare seggi nei parlamenti borghesi e nei comuni.
All'alba dell'era decadente del capitalismo, la spettacolare apparizione dello sciopero di massa nel 1905 in Russia, e l'emergere dei soviet, riaffermarono l'unità essenziale della dimensione economica e politica, e la necessità di organi di classe indipendenti che combinassero i due aspetti. Come disse la Luxemburg nel suo pamphlet sullo sciopero di massa, che era essenzialmente una polemica contro le concezioni superate della destra e del centro socialdemocratico:
«Non ci sono due lotte di classe differenti della classe operaia, una economica e una politica, ma una sola lotta di classe, che mira allo stesso tempo alla limitazione dello sfruttamento capitalista in seno alla società borghese e all’abolizione dello sfruttamento insieme alla società borghese stessa.»[4] Tuttavia, è necessario ricordare che queste due dimensioni, pur facendo parte di un'unità, non sono identiche, e la loro unità spesso non viene colta dai lavoratori impegnati nelle lotte reali. Così, anche quando uno sciopero intorno a rivendicazioni economiche può rapidamente confrontarsi con l'opposizione attiva degli organi dello stato borghese (governo, polizia, sindacati, ecc.), il contesto politico "oggettivo" della lotta può restare visibile solo a una minoranza combattiva dei lavoratori coinvolti.
Inoltre, ciò significa che nel movimento di presa di coscienza della posta in gioco politica della lotta, sono in atto due diverse dinamiche: da un lato, quella che potremmo chiamare la politicizzazione delle lotte, e dall'altro, l'emergere di minoranze politicizzate che possono o meno essere legate all'immediata ascesa della lotta aperta.
E di nuovo, nel primo caso, siamo di fronte a un processo che passa attraverso diverse fasi. Nella decadenza, se non ci può più essere un intervento proletario nella sfera politica borghese, ci possono ancora essere richieste politiche difensive e dibattiti che non pongono ancora la questione del potere politico o di una nuova società, come, per esempio, quando i proletari discutono su come rispondere alla violenza della polizia, come durante gli scioperi di massa in Polonia nel 1980 o il movimento "anti-CPE" nel 2006. È solo in una fase molto avanzata della lotta che i lavoratori possono considerare la presa del potere politico come un obiettivo reale del loro movimento. Tuttavia, ciò che generalmente caratterizza la politicizzazione delle lotte è lo sviluppo di una massiccia cultura del dibattito, dove il posto di lavoro, l'angolo della strada, la piazza pubblica, le università e le scuole sono lo scenario di discussioni appassionate su come portare avanti la lotta, sui nemici della lotta, sui suoi metodi organizzativi e sugli obiettivi generali, come Trotsky e John Reed hanno descritto nei loro libri sulla rivoluzione russa del 1917, e che furono forse il principale "segnale d'allarme" per la borghesia sui pericoli posti dagli eventi del maggio-giugno 1968 in Francia.
Per il marxismo, la minoranza comunista è un'emanazione della classe operaia, ma della classe operaia come forza storica nella società borghese; non è un prodotto meccanico delle sue lotte immediate. Certamente, l'esperienza di un aspro conflitto di classe può spingere singoli lavoratori a conclusioni rivoluzionarie, ma i comunisti possono anche essere "formati" dalla riflessione sulle condizioni generali del proletariato e del capitalismo in generale, e possono anche avere le loro origini sociologiche in strati esterni al proletariato. Marx lo esprime così ne L'ideologia tedesca:
“Nello sviluppo delle forze produttive si presenta uno stadio nel quale vengono fatte sorgere forze produttive e mezzi di relazione che nelle situazioni esistenti fanno solo del male, che non sono più forze produttive ma forze distruttive (macchine e denaro) e, in connessione con tutto ciò, viene fatta sorgere una classe che deve sopportare tutti i pesi della società, forzata al più deciso antagonismo contro le altre classi ; una classe che forma la maggioranza di tutti i membri della società e dalla quale prende le mosse la coscienza della necessità di una rivoluzione che vada al fondo, la coscienza comunista, la quale naturalmente si può formare anche fra le altre classi, in virtù della considerazione della posizione di questa classe” (Libro primo, I Feuerbach)
Ovviamente, la convergenza delle due dinamiche - la politicizzazione delle lotte e lo sviluppo della minoranza rivoluzionaria - è essenziale per l'emergere di una situazione rivoluzionaria; e possiamo anche dire che tale convergenza, come notato all'inizio della risoluzione a proposito del maggio '68 in Francia, può anche essere l'espressione di un cambiamento nel corso della storia verso grandi scontri di classe. Allo stesso modo, i progressi nella lotta generale della classe operaia e l'emergere di minoranze politicizzate sono entrambi, alla base, prodotti della maturazione sotterranea della coscienza, che può continuare anche quando la lotta aperta è scomparsa dalla vista. Ma mescolare le due dinamiche può anche portare a conclusioni errate, compresa una sopravvalutazione del potenziale immediato della lotta di classe. Come dice il proverbio, "una rondine non fa primavera".
La risoluzione (punto 6) ci avverte anche delle notevoli difficoltà che impediscono alla classe operaia di prendere coscienza del fatto che essa è "rivoluzionaria o niente". Parla della natura della classe operaia come una classe sfruttata soggetta a tutte le pressioni dell'ideologia dominante, per cui “la coscienza di classe non può avanzare di vittoria in vittoria, ma può unicamente svilupparsi in modo ineguale verso la vittoria attraverso una serie di sconfitte”. Rileva anche che la classe affronta ulteriori difficoltà nella decadenza, per esempio la non permanenza di organizzazioni di massa in cui i lavoratori possano mantenere e sviluppare una cultura politica; l'inesistenza di un programma minimo, il che significa che la lotta di classe deve raggiungere le altezze vertiginose del programma massimo; l'uso dei vecchi strumenti delle organizzazioni operaie contro la lotta di classe che -nel caso dello stalinismo in particolare- ha contribuito a creare un fossato tra le organizzazioni comuniste genuine e la massa della classe operaia. Altrove, la risoluzione, facendo eco alle nostre Tesi sulla Decomposizione, evidenzia le nuove difficoltà imposte dalle condizioni particolari della fase finale del declino capitalista.
Una di queste difficoltà è trattata a lungo nella risoluzione: il pericolo rappresentato dalle lotte interclassiste come quella dei Gilet Gialli in Francia o le rivolte popolari provocate dal crescente impoverimento delle masse nei paesi meno "sviluppati". In tutti questi movimenti, in una situazione in cui la classe operaia ha un livello molto basso di identità di classe, ed è ancora lontana dal raccogliere le sue forze al punto di poter dare una prospettiva alla rabbia e al malcontento che si sta accumulando in tutta la società, i proletari partecipano non come una forza sociale e politica indipendente ma come una massa di individui. In alcuni casi, questi movimenti non sono semplicemente interclassisti, mescolando le richieste proletarie con le aspirazioni di altri strati sociali (come nel caso dei Gilet Gialli), ma sposano obiettivi apertamente borghesi, come le proteste per la democrazia a Hong Kong, o l'illusione dello sviluppo sostenibile o l'uguaglianza razziale all'interno del capitalismo, come nel caso delle marce per il clima dei giovani e le proteste di Black Lives Matter. La risoluzione non è del tutto chiara sulla distinzione da fare qui, riflettendo problemi più ampi nelle analisi della CCI su questi eventi: da qui la necessità di una sezione specifica di questo rapporto per chiarire queste questioni.
Parte 3 : il pericolo centrale dell’interclassismo
“A causa della grande difficoltà attuale della classe operaia a sviluppare le sue lotte, della incapacità al momento di ritrovare la sua identità di classe e ad aprire una prospettiva per l’intera società, il terreno sociale è stato occupato da lotte interclassiste particolarmente influenzate dalla piccola borghesia.(…) Questi movimenti interclassisti sono il prodotto dell’assenza di ogni prospettiva che riguardi oggi la società nel suo insieme, compresa una parte importante della stessa classe dirigente. (…) In questa situazione imposta dall’aggravarsi della decomposizione del capitalismo la lotta per l’autonomia di classe del proletariato è cruciale:
Difficoltà ricorrenti nell'analisi della natura dei movimenti sociali emersi negli ultimi anni
Le lotte interclassiste e le lotte parcellari sono ostacoli allo sviluppo della lotta dei lavoratori. Abbiamo visto recentemente quanto duramente la CCI ha lottato per padroneggiare queste due questioni:
- Nel caso dei Gilets Jaunes, il movimento è stato inizialmente visto come avente elementi positivi per la lotta di classe (attraverso la questione del rifiuto dei sindacati).
- Nel movimento giovanile intorno alla questione del clima, che è una lotta parcellare, la mobilitazione giovanile è stata vista come qualcosa di positivo, dimenticando il punto 12 della piattaforma.
- Sull'assassinio di George Floyd, ci sono state tendenze a vederlo come un movimento interclassista, mentre l'indignazione che ha provocato ha portato a una mobilitazione su un terreno direttamente borghese, con la richiesta di un sistema di polizia e giudiziario più democratico.
Difficoltà che continuano
La valutazione dei movimenti in Medio Oriente: una questione da chiarire
La presentazione sulla lotta di classe al 23° Congresso ha ricordato che l'analisi dei movimenti della primavera araba non era stata inclusa nel bilancio critico che abbiamo fatto dopo il 21° Congresso, nonostante l'esistenza di differenze irrisolte, comprese "le questioni degli scivolamenti opportunisti che abbiamo fatto in passato verso, ad esempio, i movimenti interclassisti della primavera araba e altri."[5]
Torniamo alla nostra analisi dei movimenti del 2011.
Se l'organizzazione, nel suo intervento, non ha usato il termine "interclassismo" per descrivere questi movimenti, li ha descritti in un modo che sviluppava tutte le caratteristiche di un movimento interclassista, mostrando che non era totalmente ignorante della loro natura: "La classe operaia non vi si è mai presentata [in queste lotte] come una forza autonoma capace di assumere la direzione di lotte che hanno spesso assunto la forma di una rivolta dell'insieme delle classi non sfruttatrici, dai contadini in rovina agli strati medi in via di proletarizzazione."[6]
La posizione esposta: "In generale, la classe operaia non è stata a capo di queste ribellioni, ma ha certamente avuto una presenza e un'influenza considerevole che si può vedere sia nei metodi e nelle forme di organizzazione adottate dal movimento, sia, in alcuni casi, dallo sviluppo specifico delle lotte operaie, come gli scioperi in Algeria e soprattutto la grande ondata di scioperi in Egitto"[7], non è riuscita a localizzare con precisione il terreno di classe su cui si sono sviluppati o a identificare la dinamica della componente operaia che si poteva trovare in questi movimenti; La nostra analisi si è basata su un approccio empirico: il paragone con l'Iran del 1979, pur essendo stimolante, è stato utilizzato senza inserirlo nella nuova situazione, senza contestualizzarlo nel nostro quadro: "Quando cerchiamo di capire la natura di classe di queste ribellioni, dobbiamo quindi evitare due errori simmetrici: da un lato, un'identificazione generale di tutte le masse in lotta con il proletariato (la posizione più caratteristica di questa visione è quella del Gruppo Comunista Internazionalista), e dall'altro, un rifiuto di ciò che può essere positivo nelle rivolte che non sono esplicitamente quelle della classe operaia."[8] La seconda parte della citazione fa delle concessioni a un approccio che considera i lati "positivi" e i lati "negativi" senza basarsi sulla loro natura di classe.
Una sopravvalutazione di questi movimenti: "Tutte queste esperienze sono veri e propri trampolini di lancio per lo sviluppo di una coscienza veramente rivoluzionaria. Ma la strada in questa direzione è ancora lunga, è disseminata di molte innegabili illusioni e debolezze ideologiche"[9]; "L'insieme di queste rivolte costituisce una formidabile esperienza sulla strada che conduce alla coscienza rivoluzionaria"[10]
Debolezze nell'applicazione del nostro quadro politico
Dimenticato il quadro della critica dell'anello debole
Se l'organizzazione aveva ragione a sottolineare che il movimento degli "Indignados" e le rivolte delle classi sfruttate, specialmente la classe operaia del Medio Oriente, hanno un'origine comune negli effetti della crisi economica globale, lo ha fatto equiparando, o raggruppando, tutti i movimenti, sia che provengano da paesi centrali che periferici. Cioè, senza collocarli nel quadro della critica della teoria dell'anello debole (vedi la risoluzione sulla situazione internazionale del XX Congresso)[11].
La CCI ha definito il movimento degli Indignados[12] come un movimento proletario segnato:
I nostri testi di questo periodo non distinguono tra il movimento degli Indignados in Spagna e le rivolte nei paesi arabi. Eppure ci sono differenze molto importanti: in Spagna, anche se l'ala proletaria non ha dominato il movimento degli Indignados, ha lottato per la propria autonomia di fronte agli sforzi di "Democracia Ya" per distruggerla. Nei paesi arabi, il proletariato, nel migliore dei casi, non è stato in grado di reggere sul proprio terreno, né di utilizzare i propri metodi di lotta per sviluppare la propria coscienza, lasciandosi mobilitare dietro le fazioni nazionaliste e democratiche[13].
Assenza del quadro della decomposizione
Senza mai negare la sua esistenza o il peso delle difficoltà profonde di questi movimenti, e sottolineando gli "aspetti positivi" delle rivolte sociali[14], l'analisi di questi movimenti nei paesi arabi non è stata collocata nel quadro della decomposizione[15]. Questo portò ad un indebolimento della ferma denuncia del veleno democratico e nazionalista così forte in questi paesi, e del pericolo che rappresentava soprattutto in queste parti del mondo, ma anche e soprattutto di fronte alla propaganda delle borghesie occidentali verso il proletariato europeo, che insisteva sulla necessità della democrazia nei paesi arabi.
Delle debolezze più generali dell’organizzazione che condizionano le sue analisi e prese di posizione
L’impazienza di vedere dappertutto e rapidamente l’uscita dal riflusso cominciato nel 1989 in seguito al rilancio delle lotte del 2003 ha costituito un pesante fardello: “L’attuale ondata internazionale di rivolte contro l’austerità capitalista sta aprendo la porta a tutt’altra soluzione: la solidarietà di tutti gli sfruttati al di là di ogni divisione religiosa o nazionale; la lotta di classe in tutti i paesi con l’obiettivo finale di un mondo nuovo che sarà la negazione dei confini nazionali e degli Stati. Uno o due anni fa una tale prospettiva sarebbe sembrata completamente utopica ai più. Oggi, un numero crescente di persone si rende conto che una rivoluzione globale costituisce un’alternativa realistica al collasso dell’ordine del capitalista globale.”[16]
La posizione della CCI è stata marcata non solo da una sopravvalutazione generale della situazione, ma anche da una sopravvalutazione dell’importanza dei movimenti nei paesi arabi per lo sviluppo di una prospettiva proletaria. Ancora, la tendenza a dimenticare l’importanza del dibattito nell’ambiente politico proletario ha avuto ugualmente un’influenza negativa: mentre il contributo del Nucleo Comunista Internazionalista d’Argentina all’analisi del movimento dei Piqueteros nel 2002-2004 era stato molto importante, la CCI non è stata capace di prendere altrettanto in conto le critiche formulate nei suoi confronti, nel 2011, da Internationalist Voice.
Abbiamo fatto errori opportunisti nell’analisi dei movimenti arabi?
Da quanto detto possiamo concludere che la CCI, sulla questione dell’analisi dei movimenti nei paesi arabi nel 2011, dove il loro carattere di massa, la loro simultaneità con altri movimenti nei paesi occidentali, le forme prese da questi movimenti (assemblee, ecc.), la presenza della classe operaia (diversa dal carattere caotico di un certo numero di rivolte interclassiste o dominate da gruppi gauchistes, come fu con i Piqueteros per esempio) sono stati esaminati senza prenderla da lontano e senza avere una visione lucida di quello che essi rappresentavano veramente, in un contesto in cui le parti più esperte del proletariato mondiale non erano in grado di fornire una prospettiva e una direzione. Questo approccio corrisponde all’immediatismo.
Nel contesto generale che favoriva l’impazienza e la precipitazione che esisteva nell’organizzazione, credendo che il proletariato mondiale era già vicino a superare il riflusso post-89, questo immediatismo era certamente l’anticamera dell’opportunismo, il punto di partenza di uno scivolamento verso l’opportunismo e l’abbandono delle posizioni di classe, come si può verificare esaminando le diverse maniere in cui questo immediatismo si è manifestato:
Se tutti questi elementi riuniscono le condizioni per delle posizioni apertamente opportuniste – se la chiarezza proletaria e la difesa delle posizioni di classe da parte della CCI non costituiscono una barriera a queste tendenze deleterie – bisogna anche dire che la CCI non ha preso delle posizioni che contraddicevano apertamente la sua piattaforma e le posizioni di classe. Bisogna situare queste difficoltà al livello di ciò che esse realmente rappresentavano (il che non significa relativizzare la loro importanza o la loro pericolosità). L’analisi e l’intervento della CCI sono stati indeboliti dall’immediatismo (con tutto ciò che questo implica a livello dell’ambiguità, della superficialità, della mancanza di rigore, della dimenticanza della difesa del nostro quadro e delle nostre posizioni politiche, e di una dinamica che apre la porta all’opportunismo), ma non si può concludere che essa ha preso delle posizioni direttamente opportuniste (cosa che invece si è verificato nel caso del movimento dei giovani sull’ecologia).
La relazione tra lotte parcellari e interclassismo
La deriva relativamente al movimento giovanile contro i disastri ecologici significa una dimenticanza del punto 12 della nostra Piattaforma: “La questione ecologica, come tutte le questioni sociali, (che si tratti della scuola, delle relazioni familiari e sessuali o altre) sono destinate a giocare un ruolo enorme in ogni presa di coscienza futura e ogni lotta comunista. Il proletariato, e solo lui, ha la capacità di integrare queste questioni nella sua coscienza rivoluzionaria. Ciò facendo, il proletariato allargherà ed approfondirà questa coscienza. Così potrà dirigere tutte le “lotte parziali” e dare loro una prospettiva. La rivoluzione proletaria dovrà affrontare in maniera molto concreta tutti questi problemi nella lotta per il comunismo. Ma essi non possono essere il punto di partenza per lo sviluppo di una prospettiva di classe rivoluzionaria. In assenza del proletariato essi sono nel caso peggiore il punto di partenza di nuovi cicli di barbarie. Il volantino e l’articolo della CCI in Belgio sono degli esempi flagranti di opportunismo. Questa volta non si tratta di opportunismo in materia di organizzazione, ma di opportunismo rispetto alle posizioni di classe esposte nella nostra piattaforma. (Contributo del compagno S. in un bollettino interno del 2019)
Possiamo dire che il rapporto sulla lotta di classe del 23° Congresso non mancava di ambiguità in proposito. Ha adottato una posizione ambigua sulla natura di questi movimenti e lasciava la porta aperta all’idea che questi movimenti potevano giocare un ruolo positivo nello sviluppo della coscienza.[17]
Abbiamo avuto difficoltà a vedere quello che distingue questi due tipi di movimenti, con una tendenza ad amalgamarli, a metterli sullo stesso piano. Cosa distingue dunque le lotte interclassiste e le lotte parcellari? Nei movimenti interclassisti le rivendicazioni operaie sono diluite e mescolate con delle rivendicazioni piccolo-borghesi (vedi ad esempio i Gilet gialli). Non è così nel caso delle lotte parcellari, che si manifestano essenzialmente a livello delle sovrastrutture; le loro rivendicazioni si concentrano su temi che mettono da parte le fondamenta della società capitalista, anche se esse possono indicare il capitalismo come responsabile, come possiamo vedere con la questione del clima o dell’oppressione delle donne che è imputato al patriarcato capitalista. Esse sono anche dei fattori di divisione in seno alla classe operaia, divisioni con i lavoratori impiegati nel settore dell’energia nel primo caso, o rafforzando le divisioni fra i sessi. I lavoratori possono essere coinvolti nelle lotte parcellari, ma questo non le rende interclassiste. Si tratta di chiarire la differenza tra le lotte parcellari e le lotte interclassiste e cosa possono avere in comune.
Sull’indignazione
Negli anni del secondo decennio del 21° secolo la CCI ha riconosciuto l’indignazione come una componente importante della lotta di classe del proletariato e un fattore della sua presa di coscienza. Tuttavia la CCI ha avuto tendenza a definire la sua importanza “in sé”, in una maniera un po’ metafisica. Una delle radici delle nostre difficoltà risiede nell’utilizzazione inappropriata e unilaterale del concetto dell’indignazione, come qualcosa di necessariamente positiva, una indicazione della riflessione e anche dello sviluppo della coscienza di classe, senza tenere conto della natura di classe che la ha originata, o del terreno di classe su cui si esprime. Con il prosieguo dell’approfondirsi della decomposizione ci saranno numerosi movimenti spinti dall’indignazione, dal disgusto, dalla collera in larghi strati della società contro i fenomeni che caratterizzano questo periodo.
Il rapporto sulla lotta di classe del 23° Congresso della CCI contiene una sezione sull’indignazione sociale contro la natura distruttrice della società capitalista (per esempio in reazione all’assassinio di neri, la questione climatica o l’oppressione delle donne). Ma affermando che la collera espressa da questi movimenti possa essere recuperata dal proletariato quando questo avrà ritrovato la sua identità di classe e lotterà sul suo terreno, si introduce la falsa idea che il proletariato potrà “assumere” la direzione di tali movimenti nella loro forma attuale. In realtà questi movimenti dovranno “dissolversi” prima che gli elementi che vi partecipano possano raggiungere la lotta proletaria. Questo dice la Piattaforma nel suo punto 12: “La lotta contro i fondamenti economici del sistema contiene la lotta contro gli aspetti sovrastrutturali della società capitalistica, ma il contrario è falso.”. Inoltre tali lotte parcellari tendono ad ostacolare la lotta della classe operaia, la sua autonomia, ed è perciò che la borghesia sa molto bene come recuperarli per preservare l’ordine capitalista. In questo senso, l’indignazione non è in sé un fattore di sviluppo della coscienza di classe: tutto dipende dal terreno su cui essa si esprime. Questa reazione emotiva che può provenire da differenti classi non conduce automaticamente a una riflessione che possa contribuire allo sviluppo della coscienza di classe.
L’organizzazione deve chiarire quali sarebbero le condizioni, su scala storica, perché un movimento proletario autonomo possa dare un orientamento e una direzione completamente nuovi a tutte le diverse sofferenze ed oppressioni imposte dalla società capitalista, e che oggi, in assenza di una direzione proletaria, trovano il loro solo esito sul terreno delle mobilitazioni interclassiste o borghesi.
L’impatto della crisi capitalista sull’insieme della società impone la chiarificazione di un’altra questione: quale è il rapporto della lotta del proletariato con le altre classi, strati intermedi o non sfruttati, che esistono ancora nel capitalismo e capaci di sviluppare le loro mobilitazioni contro la politica dello Stato (come i movimenti contadini).
Parte 4. Cosa è cambiato dopo il 23° Congresso?
Dal movimento degli Indignados è passato quasi un decennio. Per quanto importante esso sia stato non ha comunque segnato la fine del riflusso aperto nel 1989. Noi sappiamo anche che la borghesia – soprattutto in Francia dove il pericolo di contagio era più evidente – ha preso delle contromisure per impedire che potesse scoppiare un movimento simile, o più avanzato, nel focolaio tradizionale delle rivoluzioni.
Per certi versi, il riflusso della classe si è accentuato dopo l’esaurimento dei movimenti del 2011. Le illusioni che hanno predominato nelle Primavere arabe, data l’incapacità della classe operaia a fornire una leadership alle diverse rivolte, sono state annegate nella barbarie, nella guerra, nel terrorismo e nella repressione feroce. In Europa e negli Stati Uniti la marea populista, in parte alimentata dai barbari sviluppi in Africa e nel Medio oriente che hanno provocato la crisi dei rifugiati e il ritorno del terrorismo islamico, ha toccato una parte della classe operaia. Nel “Terzo Mondo” la crescita della miseria economica ha provocato delle rivolte popolari in cui la classe operaia è stata di nuovo incapace di manifestarsi sul terreno che gli è proprio; in maniera ancora più significativa la tendenza del malcontento sociale a prendere un carattere interclassista si è chiaramente espressa in un paese centrale come la Francia, con le manifestazioni dei Gilet gialli che si sono protratte per tutto un anno. A partire dal 2016, con l’arrivo al potere di Trump e il voto per la Brexit in Gran Bretagna, lo sviluppo del populismo ha raggiunto dei livelli spettacolari, coinvolgendo una parte della classe operaia nelle sue campagne contro le “élite”. E nel 2020 tutto questo processo di decomposizione si è accentuato in maniera ancora più spettacolare con la pandemia. Il clima di paura generato dalla pandemia e il blocco che ne risulta hanno accresciuto ancora di più l’atomizzazione della classe operaia e creato profonde difficoltà per una risposta di classe alle conseguenze economiche devastatrici della crisi del Covid-19.
Ciononostante, poco prima che la pandemia scoppiasse, abbiamo assistito a un nuovo sviluppo di movimenti di classe: lo sciopero degli insegnanti e degli operai della General Motors negli Stati Uniti; gli scioperi generalizzati in Iran nel 2018 che hanno posto la questione dell’auto-organizzazione, anche se, contrariamente alle esagerazioni di una parte dell’ambiente politico proletario, si era ancora ben lontani dalla formazione dei soviet. Questi ultimi scioperi hanno in particolare posto la questione della solidarietà di classe di fronte alla repressione statale.
Soprattutto abbiamo avuto le lotte in Francia alla fine del 2019, dove battaglioni chiave della classe operaia hanno manifestato con rivendicazioni di classe, evitando il movimento dei Gilet gialli che era ridotto a una presenza simbolica alla coda dei cortei.
Altre espressioni di combattività hanno toccato altri paesi, per esempio la Finlandia. Ma la pandemia ha colpito il cuore dell’Europa, paralizzando in larga misura la possibilità per le lotte in Francia di prendere una dimensione internazionale. Cionondimeno, in diversi luoghi del mondo ci sono stati scioperi di lavoratori per la difesa delle loro condizioni di lavoro di fronte alle misure sanitarie completamente inadatte prese dallo Stato e dal padronato.[18] Questi movimenti non hanno potuto svilupparsi ulteriormente a causa delle restrizioni imposte col primo confinamento, benché il ruolo centrale della classe operaia nel permettere che la vita della società continuasse sia stato messo in evidenza dai settori che non hanno avuto altra scelta che continuare a lavorare durante il confinamento: sanità, trasporti, alimentazione, ecc. La classe dirigente ha fatto grossi sforzi per presentare questi lavoratori come degli eroi al servizio della nazione, ma l’ipocrisia dei governi – e quindi la base di classe dei «sacrifici» di questi lavoratori – era evidente per molti. In Gran Bretagna, per esempio, i lavoratori della sanità hanno manifestato la loro collera quando è risultato che il loro « eroismo » non valeva un aumento di salario.[19]
Oltre alla pandemia la classe operaia è rapidamente stata confrontata ad altri ostacoli allo sviluppo della coscienza di classe, soprattutto negli Stati Uniti, dove le manifestazioni di «Black Lives Matter» si sono polarizzate su una mobilitazione settoriale, quella della razza, seguite rapidamente dall’enorme campagna elettorale che ha dato un nuovo slancio alle illusioni democratiche. Queste due campagne hanno avuto un impatto internazionale importante. In particolare negli Stati Uniti il pericolo che la classe operaia sia coinvolta, attraverso le politiche identitarie di destra e di sinistra, in scontri violenti dietro frazioni borghesi concorrenti resta molto reale: il drammatico assalto al Capitol da parte dei partigiani di Trump dimostra che anche se Trump è stato estromesso dal governo, il trumpismo resta una forza potente a livello delle mobilitazioni di piazza. Infine, i lavoratori sono ora confrontati a una seconda ondata della pandemia e a una nuova serie di restrizioni che non solo rinnovano l’atomizzazione della classe da parte dello Stato, ma hanno anche portato allo sviluppo di una frustrazione contro le restrizioni che ha trascinato certe parti della classe in proteste reazionarie alimentate dalle teorie complottiste e dall’ideologia de «l’individuo sovrano».
Per il momento, la combinazione di tutti questi elementi, ma soprattutto le condizioni imposte dalla pandemia, hanno agito come un freno importante alla fragile ripresa della lotta di classe tra il 2018 e il 2020. È difficile prevedere quando durerà questa situazione e quindi non possiamo individuare delle prospettive concrete per lo sviluppo della lotta nel corso del futuro periodo. Quello che noi possiamo dire, tuttavia, è che la classe operaia sarà confrontata a degli attacchi brutali alle sue condizioni di vita. Una cosa che è già cominciata in un certo numero di settori in cui gli imprenditori hanno ridotto drasticamente i posti di lavoro. I governi dei paesi centrali del capitalismo mantengono ancora una certa prudenza nei confronti della classe, sovvenzionando le imprese per permettere loro di conservare i loro effettivi, mettendo in cassa integrazione i lavoratori che non possono lavorare a domicilio per evitare una caduta immediata nella pauperizzazione, prendendo delle misure per evitare gli sfratti degli inquilini che non riescono a pagare gli affitti, e così via. Queste misure costano molto care ai governi e appesantiscono considerevolmente il peso del debito statale. Noi sappiamo che prima o poi i lavoratori saranno chiamati a pagare tutto questo.
Parte 5. Dibattito sul rapporto di forza fra le classi
La drammatica evoluzione della situazione mondiale dopo l’ultimo congresso della CCI ha inevitabilmente dato luogo a dei dibattiti tanto in seno all’organizzazione che tra i nostri contatti e simpatizzanti. Questi dibatti hanno riguardato l’importanza della pandemia e dell’accelerazione della decomposizione, ma essi hanno anche posto nuove questioni sul rapporto di forze tra le classi. Al congresso della sezione in Francia dell’estate 2020 sono state avanzate alcune critiche al rapporto sulla lotta di classe, in particolare sulla sua valutazione del movimento contro la riforma delle pensioni in Francia di inizio 2019. Un contributo nel bollettino interno (della compagna M, 2021) in particolare faceva notare – noi pensiamo a giusto titolo – che il rapporto pretendeva che il movimento avesse raggiunto un certo livello di politicizzazione senza fornire prove sufficienti per una tale tesi; allo stresso tempo che nel rapporto c’era una mancanza di chiarezza rispetto alla distinzione tra politicizzazione delle lotte e politicizzazione delle minoranze –una distinzione che questo rapporto cerca di chiarire. Questo contributo mette in guardia contro une sovrastima del livello attuale della lotta di classe (un errore che nel passato abbiamo commesso spesso – vedi il rapporto del 21° congresso):
Ed aggiunge che questa sovrastima della tendenza alla politicizzazione può aprire la porta a una visione consiliarista: “La politicizzazione delle lotte non può verificarsi che quando l’avanguardia rivoluzionaria comincia ad avere una certa influenza nelle lotte operaie (in particolare nelle assemblee generali). Non è questa la situazione oggi. Il rapporto del congresso di RI apre dunque la porta a una visione consiliarista affermando che già esistono ‘dei segni di una politicizzazione della lotta.”
Il pericolo di una visione consiliarista si può rilevare anche nelle divergenze sollevate dal compagno S. durante e dopo il 23° Congresso, anche se non partendo dallo stesso punto. Queste divergenze si sono in seguito approfondite e hanno dato luogo a un dibattito pubblico che, a sua volta, ha avuto un certo impatto su alcuni dei nostri contatti. Giacchè queste divergenze riguardano il problema del rapporto di forze fra le classi, esse toccano tre punti essenziali:
Lotte economiche e maturazione sotterranea
Nella sua replica alla nostra risposta (Bollettino interno 2021) il compagno S. afferma che lui è d’accordo con la CCI sulla necessità della lotta economica perché i lavoratori devono difendere la loro esistenza fisica contro lo sfruttamento capitalista; perché i lavoratori devono lottare per “avere una vita” al di là della giornata di lavoro al fine di avere accesso alla cultura, ai dibattiti politici, e così via; e perché, come dice Marx, una classe che non può lottare per i suoi interessi a questo livello non può certo presentarsi come una forza capace di trasformare la società. Ma allo stesso tempo, dice il compagno S., nelle condizioni di decomposizione, in particolare a causa dell’indebolimento della prospettiva di una rivoluzione sociale dovuto all’impatto del crollo del blocco dell’Est, i legami storici tra le dimensioni economiche e politiche della lotta sono stati rotti al punto che questa unità non può essere ritrovata attraverso lo sviluppo delle sole lotte economiche. E qui egli cita Rosa Luxemburg in Riforme e Rivoluzione per mettere in guardia la CCI contro ogni ricaduta in una visione consiliarista in cui i «lavoratori di per sè stessi», senza il ruolo indispensabile dell’organizzazione rivoluzionaria, possano ritrovare la loro prospettiva rivoluzionaria: "Il socialismo non consegue dunque spontaneamente e sotto qualunque circostanza dalla lotta quotidiana della classe operaia. Esso scaturisce soltanto dal sempre maggiore inasprimento delle contraddizioni dell’economia capitalista e dall’apprendimento da parte della classe operaia della irremissibile necessità della loro eliminazione attraverso un rivolgimento sociale."
La conclusione del compagno S. è che il principale pericolo a cui è confrontata la CCI è una deviazione consiliarista per cui l’organizzazione lascia al risorgere delle lotte economiche il compito di politicizzarsi “spontaneamente”, dimenticando così quello che dovrebbe essere il suo compito principale: realizzare l’approfondimento teorico necessario che permetterebbe alla classe di riprendere fiducia nel marxismo e nella possibilità di una società comunista.
Come abbiamo visto il pericolo del conciliarismo non può essere scartato quando si tratta di comprendere il processo di politicizzazione: abbiamo imparato a nostre spese che il pericolo di diventare troppo entusiasti rispetto alle possibilità e alla profondità delle lotte immediate è sempre presente. Siamo anche d’accordo con Luxemburg - e Lenin - per dire che la coscienza socialista non è il prodotto meccanico della lotta quotidiana, ma che essa è il prodotto del movimento storico della classe, che include certamente l’elaborazione teorica e l’intervento dell’organizzazione rivoluzionaria. Ma quello che manca nell’argomentazione di S. è una spiegazione del processo reale attraverso il quale la teoria rivoluzionaria può di nuovo “impadronirsi delle masse”. Secondo noi questo è legato a un disaccordo sulla questione della maturazione sotterranea.
Nel suo testo, il compagno dice: "La risposta mi chiede se considero la situazione attuale peggiore di quella degli anni '30 (quando gruppi come Bilan contribuirono ad una 'maturazione sotterranea' politica e teorica della coscienza nonostante la sconfitta della classe), giacché nego l'esistenza di una tale maturazione al momento attuale. Sì, a livello di maturazione sotterranea, la situazione è effettivamente peggiore che negli anni '30, perché oggi la tendenza dei rivoluzionari è piuttosto verso la regressione politica e teorica.”
Per rispondere a questo è necessario tornare al nostro dibattito iniziale sulla questione della maturazione sotterranea – in polemica con la posizione consiliarista secondo cui la coscienza di classe non si sviluppa che nelle fasi di lotta aperta.
Così, l'argomento del compagno MC[20] nel testo "Sulla maturazione sotterranea" (Bollettino Interno1983) era che il rifiuto della maturazione sotterranea sottovalutava profondamente il ruolo dell'organizzazione rivoluzionaria nello sviluppo della coscienza di classe: "La lotta di classe del proletariato conosce alti e bassi, ma questo non è il caso della coscienza di classe: l'idea di una regressione della coscienza con il riflusso della lotta di classe è contraddetta da tutta la storia del movimento operaio, una storia in cui l'elaborazione e l'approfondimento della teoria continua in un periodo di riflusso. È vero che il campo, l'estensione della sua azione si sta restringendo, ma non la sua elaborazione in profondità".
S. evidentemente non nega il ruolo dell’organizzazione rivoluzionaria nell’elaborazione della teoria. Così quando egli parla di “regressione sotterranea”, vuol dire che l’avanguardia politica comunista (e quindi anche la CCI) non arriva a fare il lavoro teorico necessario per restaurare la fiducia della classe operaia nella sua prospettiva rivoluzionaria, e che quindi essa regredisce teoricamente e politicamente.
Ma ricordiamo che il testo di MC non limita la maturazione sotterranea al lavoro dell'organizzazione rivoluzionaria:
Questo punto è importante perché S. sembra limitare la maturazione sotterranea proprio all'organizzazione rivoluzionaria. Se capiamo bene, dato che la CCI tende alla regressione teorica e politica, questa sarebbe la prova della "regressione sotterranea" di cui parla. Naturalmente, non siamo d'accordo con questa valutazione della situazione attuale della CCI, ma questa è un'altra discussione. Il punto su cui concentrarsi qui è che l'organizzazione comunista e l'ambiente politico proletario sono solo la punta dell'iceberg di un processo più profondo che sta avvenendo nella classe:
in una polemica con il CWO nella Révue Internationale n. 43 sul problema della maturazione sotterranea, abbiamo definito questo processo come segue:
- "al livello più basso della coscienza, così come negli strati più ampi della classe, questa (maturazione sotterranea) prende la forma di una contraddizione crescente tra l'essere storico, i bisogni reali della classe, e l'adesione superficiale dei lavoratori alle idee borghesi. Questo scontro può rimanere in gran parte non riconosciuto, sepolto o represso per molto tempo, o può iniziare ad emergere sotto forma di disillusione e distacco rispetto a i temi principali dell'ideologia borghese;
- in un settore più piccolo della classe, tra gli operai che rimangono fondamentalmente sul terreno proletario, prende la forma della riflessione sulle lotte passate; discussioni più o meno formali sulle lotte future; l'emergere di nuclei combattivi nelle fabbriche e tra i disoccupati. Recentemente, la manifestazione più spettacolare di questo aspetto del fenomeno della maturazione sotterranea è stata data dagli scioperi di massa in Polonia nel 1980, in cui i metodi di lotta utilizzati dai lavoratori hanno mostrato che c'era stata una reale assimilazione di molte delle lezioni delle lotte del 1956, 1970 e 1976 ......
- in una frazione della classe, ancora più limitata nelle dimensioni, ma destinata a crescere con l'avanzare della lotta, questo prende la forma di una difesa esplicita del programma comunista, e quindi di un raggruppamento in un'avanguardia marxista organizzata. L'emergere delle organizzazioni comuniste, lungi dall'essere una confutazione della nozione di maturazione sotterranea, ne è al contempo un prodotto e un fattore attivo.”[21]
Quello che manca in questo modello è un altro strato costituito da quegli elementi che spesso non sono prodotti diretti dei movimenti di classe, ma che sono alla ricerca di posizioni comuniste; essi costituiscono la "palude" (o quella parte di essa che è il prodotto di un avanzamento politico, anche se confuso, e non quegli elementi che esprimono una regressione da un livello superiore di chiarezza), e anche quelli che si muovono più esplicitamente verso le organizzazioni rivoluzionarie.
L'emergere di un tale strato non è l'unica indicazione della maturazione sotterranea, ma è certamente la più evidente. S. ha sostenuto che l'emergere di questo strato può essere spiegato semplicemente facendo riferimento alla natura rivoluzionaria della classe operaia. Dato che intendiamo la classe non come una forza statica, ma come una forza dinamica, è più accurato vedere questo strato come il prodotto di un movimento verso la coscienza all'interno della classe. Ed è certamente necessario studiare la dinamica all'interno del movimento: capire se c'è un processo di maturazione in atto in questo strato - in altre parole, questo ambiente di elementi di ricerca mostra segni di sviluppo? E se confrontiamo le due "ondate" di minoranze politicizzate che sono emerse dal 2003 circa, ci sono effettivamente indicazioni che un tale sviluppo ha avuto luogo.
La prima ondata ha avuto luogo a metà degli anni 2000 e ha coinciso con quella che abbiamo chiamato una nuova generazione della classe operaia, che si è manifestata nel movimento "anti-CPE" e negli "Indignados". Una piccola parte di questo milieu gravitava verso la sinistra comunista e si unì anche alla CCI, il che fece nascere la speranza di incontrare una nuova generazione di rivoluzionari (vedi il testo di orientamento sulla cultura del dibattito[22]). In realtà, si trattava di un "movimento" ampiamente presente nella palude e che si dimostrò molto permeabile all'influenza dell'anarchismo, del modernismo e del parassitismo. Uno dei tratti distintivi di questo movimento fu, accanto a una sfiducia nell'organizzazione politica, una profonda resistenza al concetto di decadenza e quindi ai gruppi della sinistra comunista, percepiti come settari e apocalittici, soprattutto la CCI. Alcuni degli elementi di questa ondata erano stati coinvolti nell'ultra-attivismo del movimento anticapitalista negli anni '90, e sebbene abbiano fatto un primo passo nel vedere la centralità della classe operaia nel rovesciamento del capitalismo, hanno mantenuto la loro inclinazione attivista, spingendo alcuni di loro (per esempio la maggioranza del collettivo organizzatore di Libcom) verso un anarco-sindacalismo rinnovato, verso idee di "organizzazione" sui luoghi di lavoro, che prosperano sulla possibilità di ottenere piccole vittorie e si allontanano da qualsiasi nozione che lo svolgimento oggettivo e storico della crisi sia esso stesso un fattore di sviluppo della lotta di classe.
La seconde vague d'éléments en recherche, dont nous avons pris conscience ces dernières années, bien que peut-être de moindre ampleur que la précédente, se situe certainement à un niveau plus profond : elle tend à considérer la décadence et même la décomposition comme une évidence ; elle contourne souvent l'anarchisme, qu'elle considère comme dépourvu des outils théoriques permettant de comprendre la période actuelle, et craint moins de contacter directement les groupes de la gauche communiste. Souvent très jeunes et sans expérience directe de la lutte des classes, leur souci premier est d'approfondir, de donner un sens au monde chaotique qui leur fait face en assimilant la méthode marxiste. Il s'agit ici, à notre avis, d'une concrétisation claire de la conscience communiste résultant, selon les termes de Rosa Luxemburg, de "l'acuité des contradictions objectives de l'économie capitaliste d'une part, (et) de la compréhension subjective du caractère indispensable de son dépassement par une transformation socialiste d'autre part".
La seconda ondata di elementi di ricerca, di cui siamo venuti a conoscenza negli ultimi anni, anche se forse di minore entità della precedente, si situa certamente a un livello più profondo: tende a considerare la decadenza e persino la decomposizione come una evidenza; spesso aggira l'anarchismo, che considera privo degli strumenti teorici per comprendere il periodo attuale, e ha meno paura di contattare direttamente i gruppi della sinistra comunista. Spesso molto giovani e senza esperienza diretta della lotta di classe, la loro prima preoccupazione è quella di approfondire la comprensione del mondo caotico che hanno di fronte assimilando il metodo marxista. A nostro avviso, si tratta di una chiara concretizzazione della coscienza comunista risultato, come dice Rosa Luxemburg, del "sempre maggiore inasprimento delle contraddizioni dell’economia capitalista e dall’apprendimento da parte della classe operaia della irremissibile necessità della loro eliminazione attraverso un rivolgimento sociale".
Per quanto riguarda questo strato emergente di elementi politicizzati, la CCI ha una doppia responsabilità come organizzazione di tipo "frazione". Da un lato, certo, l'elaborazione teorica vitale necessaria per fornire un'analisi chiara di una situazione mondiale in continua evoluzione e per arricchire la prospettiva comunista[23] Ma anche un paziente lavoro di costruzione organizzativa: un lavoro di "formazione di quadri", come diceva la GCF dopo la seconda guerra mondiale, di sviluppo di nuovi militanti che manterranno la rotta; di difesa contro l’influenza dell'ideologia borghese, le calunnie del parassitismo, ecc. Questo lavoro di costruzione organizzativa non appare affatto nella risposta di S., eppure è certamente uno degli elementi principali della lotta reale contro il consiliarismo.
Inoltre, se questo processo di maturazione sotterranea è reale, se è la punta dell'iceberg degli sviluppi che avvengono in strati molto più ampi della classe, la CCI ha ragione a prevedere la possibilità di una futura riconnessione tra le lotte difensive e il crescente riconoscimento che il capitalismo non ha futuro da offrire all'umanità. In altre parole, preannuncia il potenziale intatto della politicizzazione delle lotte e la loro convergenza con l'emergere di nuove minoranze rivoluzionarie e il crescente impatto dell'organizzazione comunista.
Sulle "sconfitte politiche”
La pubblicazione di un primo giro di discussione sui rapporti di forza tra le classi ha portato alla luce diverse divergenze nel nostro ambiente di simpatizzanti stretti. Sul forum della CCI, in particolare alla voce "Dibattito interno alla CCI sulla situazione internazionale "(Internal debate in the ICC on the international situation [80]), in uno scambio di contributi con MH; e sul “Dibattito sul bilancio di forze tra le classi” (Debate on the balance of class force [81]), nelle nostre riunioni di contatto, e sul blog di MH stesso[24]. Il compagno MH in particolare è diventato sempre più critico nei confronti della nostra visione che è stato essenzialmente il crollo del blocco orientale nel 1989 a causare il lungo riflusso della classe dal quale dobbiamo ancora emergere. Per MH, è stata in gran parte un'offensiva politico/economica della classe dominante dopo il 1980, guidata in particolare dalla borghesia britannica, che ha messo fine alla terza ondata di lotte (anzi: l'ha strangolata alla nascita). Da questo punto di vista, è stata la sconfitta dello sciopero dei minatori nel 1985 nel Regno Unito che ha segnato la sconfitta delle lotte degli anni '80. Questa conclusione sta attualmente portando MH a rivalutare la nostra visione delle lotte dopo il 1968 e persino a mettere in discussione la nozione di decomposizione, anche se le sue divergenze sembrano talvolta implicare che "la decomposizione ha vinto", e che ci troviamo di fronte alla realtà di una grave sconfitta storica della classe operaia. Il compagno Baboon è ampiamente d'accordo con MH sull'importanza fondamentale della sconfitta dello sciopero dei minatori, ma non lo ha seguito fino al punto di mettere in discussione la decomposizione, o di concludere che il riflusso della classe operaia può aver fatto un passo qualitativo verso una sorta di sconfitta storica[25].
Il compagno S. sembra ora essere sempre più esplicito sul fatto che è proprio così. Come ha detto in una recente lettera all’organo centrale:
“C'è o non c'è una divergenza fondamentale sui rapporti di forza tra le classi? La posizione dell'organizzazione è che la classe operaia non è battuta. Esiste anche nelle nostre file la posizione opposta, che la classe operaia negli ultimi cinque anni ha subito una sconfitta politica, il cui sintomo principale è l'esplosione dell’identitarismo di ogni tipo, che deriva soprattutto dall'incapacità della classe di recuperare la propria identità di classe. La posizione dell'organizzazione è che la situazione della classe è migliore di quella degli anni '90 sotto lo shock della "morte del comunismo", mentre l'altra posizione dice che la situazione della classe oggi è peggiore di quella degli anni '90, che il proletariato mondiale è oggi sull'orlo di una sconfitta politica di tale portata che potrebbe richiedere una generazione per recuperare.”
Come abbiamo segnalato all'inizio di questo rapporto, il riconoscimento da parte della CCI che il concetto di corso storico non si applica più nella fase di decomposizione significa che diventa molto più difficile valutare la dinamica globale degli eventi, e in particolare giungere alla conclusione che la porta di un futuro rivoluzionario è definitivamente chiusa, poiché la decomposizione può travolgere il proletariato in un processo graduale, senza che la borghesia debba sconfiggerlo direttamente, in una lotta frontale, come ha fatto nel periodo dell'ondata rivoluzionaria. È quindi difficile sapere cosa intenda S. per una "sconfitta politica di tale portata che potrebbe richiedere una generazione per essere recuperata". Se il proletariato non ha ancora affrontato il nemico di classe in una lotta politica aperta, come fece nel 1917-23, con quali criteri giudichiamo che l'arretramento della lotta di classe negli ultimi tre decenni ha raggiunto tale punto? Inoltre, poiché una tale sconfitta sarebbe probabilmente seguita da una grande accelerazione della barbarie, e - secondo S. - una guerra mondiale, o almeno un olocausto nucleare "limitato" - quali possibilità di "recupero" rimarrebbero per la prossima generazione?
Un ultimo punto: S. sostiene che noi consideriamo la situazione attuale della classe "migliore" di quella che era dopo il crollo dei blocchi. Questo è inesatto. Abbiamo certamente detto che le condizioni per i futuri scontri di classe stanno inevitabilmente maturando, e, come ha sottolineato il rapporto sulla lotta di classe al Congresso di Révolution Internationale, questo avviene in un contesto molto diverso dalla situazione all'inizio della fase di decomposizione:
Ma tutti questi aspetti positivi si aggiungono a 30 anni di decomposizione - un periodo in cui il tempo non è più dalla parte del proletariato, che continua a soffrire le ferite accumulate da una società che sta marcendo in piedi. Per alcuni aspetti, siamo d'accordo che la situazione è "peggiore" di quella degli anni '80. Ma falliremmo nel nostro compito di minoranza rivoluzionaria se ignorassimo i segni che indicano una rinascita della lotta di classe - di un movimento proletario che contiene la possibilità di impedire che la società precipiti definitivamente nell'abisso.
[1] Risoluzione sul rapporto di forza fra le classi, Rivista Internazionale n. 35, RISOLUZIONE SUL RAPPORTO di FORZA TRA LE CLASSI (2019) [13]
[2] Nel suo primo articolo che espone i suoi disaccordi con le risoluzioni del 23° Congresso sulla situazione internazionale, il compagno S. sostiene che la risoluzione sul rapporto di forza tra le classi dimostra che la CCI sta abbandonando la sua posizione secondo cui l'incapacità del proletariato di sviluppare la sua prospettiva rivoluzionaria nel periodo 1968-89 è stata una causa primaria della fase di decomposizione. Nella nostra risposta abbiamo già sottolineato ciò che ripetiamo in questo rapporto: la risoluzione sul rapporto di forze tra le classi pone la questione della politicizzazione - in altre parole, lo sviluppo di un'alternativa proletaria per il futuro della società - al centro stesso della sua comprensione dell'attuale impasse tra le due grandi classi. È vero che la risoluzione avrebbe potuto essere più esplicita sul fatto che l'impasse è il prodotto non solo dell'incapacità della borghesia di mobilitare la società per la guerra mondiale, ma anche dell'incapacità della classe operaia - soprattutto dei suoi battaglioni centrali sulla scia dello sciopero di massa polacco - di comprendere e assumere gli obiettivi politici della sua lotta. Crediamo che questo punto - che è semplicemente l'elemento base della nostra analisi della decomposizione - sia stato chiarito nella nostra risposta a S (pubblicata). Vedere: Dibattito interno alla CCI sulla situazione internazionale [48].
[3] Marx: Miseria della filosofia, Editori Riuniti, collana Le idee, 1998, pag. 121
[4] Rosa Luxemburg: Sciopero di massa, partito e sindacati, 1906.
[5] Da un contributo (J.) nel bollettino internazionale nel 2011.
[6] "Rivolte sociali in Africa del nord e in Medio Oriente, catastrofe nucleare in Giappone, guerra in Libia: solo la rivoluzione proletaria può salvare l’umanità dal disastro del capitalismo", in Révue Internationale n° 145. La risoluzione del 21° Congresso mantiene ancora delle ambiguità sui movimenti in Medio Oriente, qualificati come "marcati dall’interclassismo".
[7] “Che succede in Medio Oriente?”, in Révue Internationale n. 145.
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] "Rivolte sociali in Africa del nord e in Medio Oriente, catastrofe nucleare in Giappone, guerra in Libia: solo la rivoluzione proletaria può salvare l’umanità dal disastro del capitalismo", in Révue Internationale n° 145.
[11] “la metafora dei 5 corsi:
• Movimenti sociali della gioventù precaria, disoccupata o ancora studentesca, che cominciano con la lotta contro il CPE in Francia nel 2006, e che proseguono attraverso le rivolte della gioventù in Grecia nel 2008, culminando nei movimenti degli Indignati e di Occupy nel 2011;
• Movimenti di massa ma ben inquadrati dalla borghesia che aveva preparato in anticipo il campo, come in Francia nel 2007, in Francia ed in Gran Bretagna nel 2010, in Grecia nel 2010-2012, ecc.;
• Movimenti che subiscono il peso dell'interclassismo come in Tunisia ed in Egitto in 2011;
• Embrioni di scioperi di massa in Egitto nel 2007, Vigo (Spagna) nel 2006, Cina nel 2009;
• Il susseguirsi di movimenti nelle fabbriche o in settori industriali localizzati, ma contenenti germi promettenti come Lindsay nel 2009, Tekel nel 2010, elettrici in Gran Bretagna nel 2011.
Questi 5 corsi appartengono alla classe operaia perché, malgrado le loro differenze, esprimono ciascuno a suo livello lo sforzo del proletariato per ritrovarsi come classe, nonostante le difficoltà e gli ostacoli seminati dalla borghesia; ciascuno a suo livello ha portato una dinamica di ricerca, di chiarimento, di preparazione del campo sociale. A differenti livelli, essi si inscrivono nella ricerca "della parola che ci porterà fino al socialismo" (come scrive Rosa Luxemburg parlando dei consigli operai) per mezzo delle assemblee generali.” (Risoluzione sulla situazione Internazionale del 20° Congresso della CCI [82])
[12] Movimento degli indignati in Spagna, Grecia e Israele: dall’indignazione alla preparazione delle battaglie di classe [15], in Rivista internazionale n. 33.
[13] Come lo stesso titolo dell’articolo della Rivista Internazionale n. 33 indica, i movimenti in Grecia ed in Israele del 2011 (ma anche le proteste in Turchia e Brasile del 2013) sono sati analizzati in maniera molto simile agli Indignados in Spagna. Dunque si impone una revisione critica di tutti i nostri articoli di quel periodo.
[14] Un’altra questione da riesaminare è l’esistenza di ambiguità e di confusioni relativamente all’impatto positivo delle rivolte per la fame sullo sviluppo della coscienza di classe. (cf. “Crisi alimentare, rivolte della fame: solo la lotta di classe del proletariato può mettere fine alla miseria”, in Révue Internationale n°134.
[15] Il capitolo “Lotte contro l’economia di guerra in Medio Oriente” nel Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso internazionale della CCI (2019). Formazione, perdita e riconquista dell’identità di classe del proletariato [83] (pubblicato nella Rivista Internazionale n. 35) non è stato discusso in profondità. Il rapporto parla dell’esistenza di movimenti proletari in diversi paesi, ed è necessario rivalutare questi movimenti su una base più solida e approfondita, cercando di situare l’analisi di questi movimenti nel quadro della “critica dell’anello debole della catena”, così come nel contesto della decomposizione (cosa che il rapporto non sembra fare esplicitamente, adottando l’approccio applicato ai movimenti del 2011) al fine di esaminare la natura di questi movimenti e i loro punti di forza e debolezza.
[16] “Proteste in Israele: Mubarak, Assad, Netaniau, sono tutti uguali” su Rivoluzione Internazionale n. 172, https://it.internationalism.org/content/proteste-israele-mubarak-assad-netanyahu-sono-tutti-uguali [84]
[17] "Il fatto che non si tratta di movimenti specificamente proletari li rende certamente vulnerabili alle mistificazioni sulla politica identitaria e del riformismo, e alla manipolazione diretta da parte delle frazioni borghesi di sinistra e democratiche".
[20] Per la storia del nostro compagno, vecchio membro di Bilan e della Sinistra Comunista di Francia (GCF), membro fondatore della CCI e morto nel 1991, vedere i nostri articoli a lui dedicati: Trent'anni fa moriva il nostro compagno Marc Chirik [87]
[21] "Risposta alla CWO : sulla maturazione sotterranea della coscienza di classe [88]"; Révue internationale n° 43.
[23] Come è stato sottolineato durante una discussione all’interno di una riunione dell’organo centrale della CCI nel 2021, la CCI non può essere accusata di trascurare lo sforzo di approfondimento della nostra comprensione del programma comunista. L’esistenza di trenta anni di pubblicazioni sul comunismo prova abbastanza che non partiamo certo da zero su questo…
[25] Non ci dilungheremo su queste discussioni qui, se non per dire che esse sembrano essere basate su una sottostima delle importanti lotte che hanno avuto luogo dopo il 1985, dove la messa in discussione dei sindacati in paesi come la Francia e l’Italia ha costretto la classe dirigente a radicalizzare il suo apparato sindacale, e soprattutto una sottostima dell’impatto del crollo del blocco dell'Est sulla combattività e la coscienza di classe.
Questa risoluzione affronta tutti i maggiori elementi della situazione mondiale: l’accelerazione della decomposizione, l’acuirsi delle rivalità imperialiste, una crisi economica senza precedenti, e le prospettive della lotta di classe.
Preambolo. Questa risoluzione si situa in continuità con il rapporto sulla decomposizione presentato al 22° Congresso della CCI, con la risoluzione sulla situazione internazionale presentata al 23° congresso, e con il rapporto su pandemia e decomposizione presentato al 24° congresso. Essa si basa sull’idea che non solo la decadenza del capitalismo passa per differenti fasi o stati, ma che alla fine degli anni ’80 essa ha raggiunto la sua fase ultima, la fase della decomposizione; anche la decomposizione stessa ha una storia, e un obiettivo entrale di questi testi è di mettere alla prova il quadro teorico della decomposizione rispetto all’evoluzione della situazione mondiale. Questi testi hanno mostrato che la maggior parte degli avvenimenti importanti degli ultimi tre decenni hanno in effetti confermato la validità di questo quadro, come lo testimoniano l’esacerbazione del ciascuno per sé a livello internazionale, il rimbalzo dei fenomeni della decomposizione verso i centri del capitalismo mondiale attraverso lo sviluppo del terrorismo e la crisi dei rifugiati, l’ascesa del populismo e la perdita di controllo politico da parte della classe dirigente, la putrefazione progressiva dell’ideologia attraverso la propagazione della ricerca del capro espiatorio, del fondamentalismo religioso e delle teorie complottiste. E come la fase di decomposizione è l’espressione concentrata di tutte le contraddizioni del capitale, soprattutto nell’epoca del suo declino storico, così la attuale pandemia di COvid-19 è la distillazione di tutte le manifestazioni-chiave della decomposizione, e un fattore attivo della sua accelerazione.
1. La pandemia di Covid-19, la prima di una tale ampiezza dopo l’epidemia dell’influenza spagnola, è il momento più importante nell’evoluzione della decomposizione capitalista dopo l’apertura di questo periodo nel 1989. L’incapacità della classe dirigente a impedire dai 7 ai 12 milioni e più di morti che ne risultano conferma che il sistema capitalista mondiale, se lasciato libero, trascina l’umanità verso l’abisso della barbarie e verso la sua distruzione, e che solo la rivoluzione proletaria mondiale può stoppare questa deriva e condurre l’umanità verso un altro avvenire.
2. La CCI è praticamente sola a difendere la teoria della decomposizione. Altri gruppi della Sinistra Comunista la rigettano completamente, o perché, come nel caso dei bordighisti, non accettano che il capitalismo possa essere un sistema in declino (o, nel migliore dei casi, sono incoerenti e ambigui su questo punto); o, come per la Tendenza Comunista Internazionalista, perché parlare di una fase “finale” del capitalismo suona troppo apocalittico, o perché definire la decomposizione come una discesa verso il caos sarebbe una deviazione dal materialismo che, secondo loro, cerca di trovare le radici di ogni fenomeno nell’economia e soprattutto nella tendenza alla caduta del saggio di profitto. Tutte queste correnti sembrano ignorare che la nostra analisi è nella continuità della Piattaforma dell’Internazionale Comunista del 1919, che non solo insisteva sul fatto che la guerra imperialista mondiale del 1914-18 annunciava l’entrata del capitalismo nella “epoca della disgregazione del capitalismo, del suo dissolvimento interno, l’epoca della rivoluzione comunista del proletariato”, ma sottolineava anche che “l’antico ‘ordine’ capitalistico non esiste più, non può più esistere. Il risultato finale del processo produttivo capitalistico è il caos, e questo caos può essere superato soltanto dalla più grande classe produttrice: la classe operaia. Essa ha il compito di creare il vero ordine – l’ordine comunista”. Così il dramma a cui l’umanità è confrontata si pone effettivamente in termini di ordine contro caos. E la minaccia di un crollo caotico era legata alla “anarchia del modo di produzione capitalista”, in altri termini ad un elemento fondamentale del sistema stesso – un sistema che, secondo il marxismo, e ad un livello qualitativamente più elevato rispetto ad ogni altro modo di produzione precedente, implica che i prodotti del lavoro umano diventino una potenza estranea che si erge al di sopra e contro i loro creatori. La decadenza del sistema, causata dalle sue insolubili contraddizioni, segna una nuova spirale in questa perdita di controllo. E come spiegato nella Piattaforma dell’Internazionale Comunista, la necessità di cercare di superare l’anarchia capitalista all’interno di ogni Stato-nazione – attraverso il monopolio e soprattutto con l’intervento dello Stato – non fa che spingere questa anarchia verso nuove vette su scala mondiale, con culmine nella guerra imperialista. Così, mentre il capitalismo può a certi livelli e per certe fasi frenare la sua innata tendenza al caos (per esempio, mediante la mobilitazione per la guerra durante gli anni ’30, o nel periodo del boom economico del dopoguerra), la tendenza più di fondo è quella della “disintegrazione interna” che per l’Internazionale Comunista caratterizza la nostra epoca.
3. Mentre il Manifesto dell’IC parla di una nuova “epoca”, c’erano in seno all’Internazionale delle tendenze a considerare la catastrofica situazione del mondo del dopoguerra come una crisi finale in termini immediati, piuttosto che come un’intera era di catastrofi che avrebbe potuto durare parecchi decenni. Questo è un errore in cui i rivoluzionari sono caduti in diversi momenti (a causa di un’analisi sbagliata ma anche perché non si può prevedere con certezza il momento preciso in cui si produce un cambiamento di portata storica): nel 1848, quando il Manifesto Comunista proclamava già che l’involucro del capitale era diventato troppo stretto per contenere le forze produttive che aveva messo in movimento; nel 1919-20, con la teoria del crollo brutale del capitalismo, sviluppata in particolare dalla Sinistra Comunista tedesca; nel 1938, con la posizione di Trotsky secondo cui le forze produttive avevano smesso di crescere. Anche la CCI ha sottostimato la capacità del capitalismo di estendersi e di svilupparsi a modo suo, anche in un contesto generale di progressivo declino, in particolare con la Cina stalinista dopo il crollo del blocco sovietico. Tuttavia questi errori sono il prodotto di una interpretazione immediatista della crisi capitalista, e non un difetto inerente alla teoria della decadenza in quanto tale, che vede il capitalismo di questa epoca come un ostacolo crescente allo sviluppo delle forze produttive e non come una barriera assoluta. Il capitalismo è in declino da più di un secolo, e riconoscere che noi tocchiamo i limiti del sistema è del tutto coerente con la comprensione del fatto che la crisi economica, al di là di alti e bassi, è essenzialmente diventata permanente; che i mezzi di distruzione hanno non solo raggiunto un livello tale che potrebbero distruggere ogni vita sul pianeta, ma che essi sono nelle mani di un “ordine” mondiale sempre più instabile; che il capitalismo ha provocato un disastro ecologico planetario senza precedenti nella storia umana. Insomma il riconoscimento del fatto che siamo effettivamente all’ultimo stadio della decadenza capitalista è basata su una valutazione lucida della realtà. Naturalmente questo va considerato su una scala di tempi storica e non sul giorno per giorno. Ciò significa che questa fase finale è irreversibile e non ci può essere altra alternativa storica che il Comunismo o la distruzione dell’umanità. E’ questa l’alternativa a cui è confrontata la nostra epoca.
4. La pandemia di Covid-19, contrariamente a quanto propagandato dalla classe dirigente, non è un avvenimento puramente “naturale”, ma è il risultato di una combinazione di fattori naturali, sociali e politici, tutti legati al funzionamento del sistema capitalista in decomposizione. Il fattore “economico” è certamente cruciale, e a più di un livello. E’ la crisi economica, la caccia disperata del profitto, che ha spinto il capitale a invadere ogni parte della superficie del globo, a impadronirsi di quello che Adam Smith chiamava “il dono gratuito” della natura, a distruggere gli ultimi santuari di vita selvatica aumentando considerevolmente il rischio di zoonosi. A sua volta il crack finanziario del 2008 ha provocato una riduzione brutale degli investimenti nella ricerca di nuove malattie, nelle attrezzature e nei trattamenti sanitari, cosa che ha aumentato in maniera esponenziale l’impatto mortale del Coronavirus, una situazione che è stata ancora aggravata dagli attacchi massicci al sistema sanitario (riduzione del numero di letti e di personale, ecc.) che è scoppiato al momento della pandemia. E l’intensificazione della concorrenza, del “ciascuno per sé” tra le imprese e le nazioni a livello mondiale ha ritardato di molto la fornitura di materiali di sicurezza e di vaccini. Contrariamente alle speranze utopistiche di certe parti della classe dirigente, la pandemia non darà luogo a un ordine mondiale più armonioso una volta che essa sarà stata sconfitta. Non solo perché questa pandemia non è probabilmente che un segno precursore di future, più gravi pandemie, dato che le condizioni fondamentali che l’hanno generata non possono essere eliminati dalla borghesia, ma anche perché la pandemia ha considerevolmente aggravato una recessione economica mondiale che era già imminente prima che la pandemia scoppiasse. Il risultato sarà il contrario dell’armonia, perché le economie nazionali cercheranno di strangolarsi reciprocamente nella lotta per i mercati e le risorse che si riducono. Questa concorrenza esacerbata si esprimerà certamente anche a livello militare. E il “ritorno al normale” della concorrenza capitalista farà pesare nuovi fardelli sulle spalle degli sfruttati del pianeta, che sopporteranno l’essenziale degli sforzi del capitalismo per recuperare una parte dei giganteschi debiti che ha contratto per cercare di gestire la crisi.
5. Nessuno Stato può pretendere di essere un modello di gestione della pandemia. Se certi Stati asiatici sono riusciti, in un primo tempo, a farvi fronte in maniera più efficace (anche se paesi come la Cina hanno falsificato le cifre e la realtà dell’epidemia), è grazie alla loro esperienza, sul piano sociale e culturale, di confronto con le pandemie, dato che questo continente ha storicamente costituito il terreno di sviluppo di nuove malattie, e soprattutto perché questi Stati hanno conservato i mezzi, le istituzioni e le procedure di coordinamento messe in campo durante la pandemia di SARS nel 2003. La propagazione del virus a livello planetario, la generazione internazionale di nuove varianti rivelano il livello di impotenza della borghesia, in particolare la sua incapacità ad adottare un approccio unificato e coordinato (come dimostrato dal recente fallimento della proposta di un trattato per la lotta contro le pandemie) e a fare in maniera che l’insieme dell’umanità sia protetta con i vaccini.
6. La pandemia, prodotto della decomposizione del sistema, si rivela così una forza importante nel prosieguo dell’accelerazione di questa decomposizione. In più il suo impatto sulla nazione più potente della terra, gli Stati Uniti, conferma quanto già notato nel rapporto del 22° congresso: la tendenza degli effetti della decomposizione a tornare con più forza nel cuore stesso del sistema capitalistico mondiale. Infatti gli Stati Uniti sono ora al “centro” del processo mondiale di decomposizione. La catastrofica gestione della crisi del Covid da parte dell’amministrazione populista di Trump ha certamente giocato un ruolo importante nel fatto che gli Stati Uniti conoscono i tassi di mortalità più elevati del mondo per quanto riguarda questa malattia. Allo stesso tempo l’estensione delle divisioni in seno alla classe dirigente americana è stata messa a nudo dalle contestate elezioni di novembre 2020, e soprattutto dall’assalto al Campidoglio da parte dei partigiani di Trump, con l’incoraggiamento di Trump e dei suoi collaboratori. Quest’ultimo avvenimento dimostra che le divisioni interne che scuotono gli Stati Uniti attraversano l’insieme della società. Anche se Trump è stato estromesso dal governo, il trumpismo resta una forza potente, pesantemente armata, che si esprime altrettanto bene nelle piazze come nelle urne. E con l’insieme dell’ala sinistra del capitale mobilitata dietro la bandiera dell’antifascismo c’è un pericolo reale che la classe operaia negli Stati Uniti venga coinvolta nei violenti conflitti tra le fazioni rivali della borghesia.
7. Gli avvenimenti negli Stati Uniti mettono anche in evidenza l’avanzata della decomposizione delle strutture ideologiche del capitalismo, dove ancora una volta questo paese “mostra la via”. L’arrivo al potere dell’amministrazione populista di Trump, la potente influenza del fondamentalismo religioso, la diffidenza crescente nei confronti della scienza, trovano le loro radici in alcuni fattori particolari della storia del capitalismo americano, ma lo sviluppo della decomposizione e in particolare lo scoppio della pandemia ha impregnato la vita politica di ogni sorta di idee irrazionali, che riflettono precisamente la totale assenza di prospettiva per il futuro offerta dalla società esistente. In particolare gli Stati Uniti sono diventati il punto nodale di irraggiamento della “teoria del complotto” nell’insieme del mondo capitalista avanzato, in particolare attraverso internet e i social media, che hanno fornito i mezzi tecnologici che hanno permesso di indebolire le fondamenta di ogni idea di verità oggettiva a un livello che lo stalinismo e il nazismo potevano solo sognare. Anche se si presenta sotto diverse forme, la teoria del complotto ha certi tratti comuni: la visione di élite segrete che dirigono la società di nascosto, un rigetto del metodo scientifico e una profonda diffidenza rispetto ad ogni discorso ufficiale. Contrariamente all’ideologia dominante della borghesia, che presenta la democrazia e il potere statale esistente come i veri rappresentanti della società, la teoria del complotto ha come centro di gravità l’odio verso le élite dominanti, odio che indirizza contro il capitale finanziario e la facciata democratica classica del capitalismo di Stato totalitario. Questo è quello che i rappresentanti del movimento operaio del passato qualificarono come “socialismo degli imbecilli” (August Bebel, in riferimento all’antisemitismo) – un errore ancora comprensibile prima della Prima Guerra mondiale, ma che sarebbe pericoloso oggi. Il populismo della teoria del complotto non è un tentativo contorto di approccio del socialismo o qualcosa che somigli a una coscienza della classe proletaria. Una delle sue principali fonti è la borghesia stessa: quella parte della borghesia che non accetta di essere esclusa appunto dai circoli elitari della sua propria classe, sostenuta da altre parti della borghesia che hanno perduto o stanno per perdere la loro precedente posizione centrale. Le masse che questo tipo di populismo attira dietro di sé, lungi dall’essere animate da una qualunque volontà di sfidare la classe dominante, sperano, identificandosi con la lotta per il potere di quelli che essi sostengono, di condividere in qualche maniera questo potere, o almeno di essere da lui favorite a spese di altri.
8. Se la progressione della decomposizione capitalista, parallelamente all’acuirsi caotico delle rivalità imperialiste, prende principalmente la forma di una frammentazione politica e di una perdita di controllo da parte della classe dirigente, questo non significa che la borghesia non possa più fare ricorso al totalitarismo di Stato nei suoi sforzi per mantenere la coesione della società. Al contrario, più la società tende a disgregarsi, più la borghesia ha bisogno di appoggiarsi sul potere centralizzatore dello Stato, che è il principale strumento della più machiavellica delle classi dominanti. La reazione delle frazioni della classe dirigente più responsabili verso gli interessi generali del capitale nazionale e del suo Stato di fronte all’ascesa del populismo ne è un esempio. L’elezione di Biden, sostenuta da una enorme mobilitazione dei mezzi di informazione, di certe parti dell’apparato politico e anche dell’esercito e dei servizi segreti, esprime questa reale controtendenza al pericolo di disintegrazione sociale e politica molto chiaramente incarnata dal trumpismo. Nel breve termine tali “successi” possono funzionare come un freno al caos sociale crescente. Di fronte alla crisi del Covid-19, i lockdown senza precedenti, ultimo risorsa per frenare la propagazione irresistibile della malattia, il ricorso massiccio all’indebitamento statale per preservare un minimo di livello di vita nei paesi avanzati, la mobilitazione delle risorse scientifiche per trovare un vaccino, dimostrano il bisogno della borghesia di preservare l’immagine dello Stato come protettore della popolazione, il suo rifiuto di perdere la sua credibilità e la sua autorità di fronte alla pandemia. Ma sul lungo termine questo ricorso al totalitarismo di Stato tende ad acuire ancora di più le contraddizioni del sistema. La semi-paralisi dell’economia e l’accumulazione del debito non possono avere altro risultato che di accelerare la crisi economica mondiale, mentre a livello sociale l’aumento massiccio dei poteri della polizia e della sorveglianza dello Stato introdotta per far rispettare le leggi del confinamento – aumento inevitabilmente utilizzato per giustificare la repressione di ogni forma di protesta e di dissenso – aggrava visibilmente la diffidenza verso il potere politico, che si esprime principalmente sul terreno antiproletario dei “diritti del cittadino”.
9. La natura evidente della decomposizione politica ed ideologica della prima potenza mondiale non significa che gli altri centri del capitalismo mondiale siano capaci di costituire delle fortezze alternative di stabilità. Ancora una volta questo è più chiaro nel caso della Gran Bretagna, che è stata colpita simultaneamente dai più elevati tassi di mortalità per Covid in Europa e dai primi sintomi della mutilazione della Brexit, e che è confrontata a un pericolo reale di esplosione nelle “nazioni” che la costituiscono. I ripugnanti dissensi attuali tra la Gran Bretagna e la UE relativamente all’efficacia e alla distribuzione dei vaccini offrono una prova supplementare che la principale tendenza della politica borghese mondiale oggi va nella direzione di una frammentazione crescente, e non di unità di fronte a un “nemico comune”. La stessa Europa non è stata risparmiata da queste tendenze centrifughe, non solo rispetto alla gestione della pandemia, ma anche intorno alla questione dei “diritti dell’uomo” e della democrazia in paesi come la Polonia e l’Ungheria. E’ notevole che anche paesi centrali come la Germania, precedentemente considerata come un’oasi di relativa stabilità politica e che ha potuto basarsi sulla sua forza economica, sia adesso toccata da un caos politico crescente. L’accelerazione della decomposizione nel centro storico del capitalismo si caratterizza con una perdita di controllo e con difficoltà crescenti a generare una omogeneità politica.
Dopo la perdita della sua seconda più importante economia, anche se la UE non corre il rischio immediato di una scissione maggiore, tali minacce continuano ad aleggiare sul sogno di un’Europa unita. E mentre la propaganda dello Stato cinese mette in evidenza la disunione e l’incoerenza crescenti delle “democrazie”, presentandosi come un bastione di stabilità mondiale, il ricorso crescente di Pechino alla repressione interna, come contro il movimento “democratico” a Hong Kong e i mussulmani uiguri, è nei fatti la prova che la Cina è una bomba a scoppio ritardato. La crescita straordinaria della Cina è essa stessa un prodotto della decomposizione. L’apertura economica durante il periodo di Deng negli anni ’80 ha mobilitato enormi investimenti, provenienti essenzialmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e dal Giappone. Il massacro di Tienanmen nel 1989 ha mostrato chiaramente che questa apertura economica è stata messa in atto da un apparato politico inflessibile che ha potuto evitare la sorte dello stalinismo nel blocco russo solo attraverso una combinazione di terrore statale, sfruttamento impietoso della forza lavoro che sottomette centinaia di milioni di lavoratori a uno stato permanente di lavoratori migranti e di crescita economica frenetica le cui basi sembrano ora sempre più fragili. Il controllo totalitario dell’insieme del corpo sociale, l’inasprimento repressivo a cui si dedica la frazione stalinista di Xi Jinping non rappresentano una espressione di forza ma al contrario una manifestazione di debolezza dello Stato, la cui coesione è messa in pericolo dall’esistenza di forze centrifughe in seno alla società e di importanti lotte intestine nella classe dominante.
10. Contrariamente a una situazione, tipo anni ’30, in cui la borghesia è capace di mobilitare la società per la guerra, il ritmo esatto e le forme della dinamica del capitalismo in decomposizione verso la distruzione dell’umanità sono più difficili da prevedere perché essi sono il prodotto della convergenza di diversi fattori, di cui alcuni possono essere parzialmente nascosti. Il risultato finale, come sottolineato nelle Tesi sulla decomposizione, è lo stesso: “Lasciata alla sua propria logica, alle sue ultime conseguenze, essa [la decomposizione] conduce l’umanità allo stesso risultato di una guerra mondiale. Essere annientati brutalmente da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, la radioattività delle centrali nucleari, la fame, le epidemie ed i massacri delle differenti guerre locali (dove potrebbe anche essere usata l’arma atomica), il risultato è lo stesso. La sola differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più rapida mentre la seconda è più lenta e quindi molto più sofferta.” Oggi i contorni di questa dinamica di annientamento si precisano. Le conseguenze della distruzione della natura da parte del capitalismo sono sempre più innegabili, come anche l’incapacità della borghesia mondiale, a dispetto di tutte le conferenze mondiali e le promesse di andare verso un’economia “verde”, di arrestare un processo che è inestricabilmente legato al bisogno del capitalismo di penetrare ogni angolo del pianeta nella corsa competitiva del processo di accumulazione. La pandemia di Covid è probabilmente l’espressione più significativa finora di questo profondo squilibrio tra l’uomo e la natura, ma altri segnali d’allarme si aggiungono, dalla fusione dei ghiacciai polari agli incendi devastatori in Australia e in California, passando per l’inquinamento degli oceani causato dai residui della produzione capitalista.
11. Nello stesso tempo proliferano i massacri causati da innumerevoli piccole guerre, mentre il capitalismo, nella sua fase finale, sprofonda in un ciascuno per se imperialista sempre più irrazionale. L’agonia di dieci anni della Siria, un paese oggi completamente rovinato da un conflitto che coinvolge almeno cinque campi rivali, è forse l’espressione più eloquente di questo terrificante caos, ma si possono vedere manifestazioni simili in Libia, nel Corno d’Africa e nello Yemen, guerre che sono state accompagnate e aggravate dall’emergere di potenze regionali come l’Iran, la Turchia e l’Arabia Saudita, nessuna delle quali vuole accettare la disciplina delle principali potenze mondiali: queste potenze di secondo o terzo ordine possono formare delle alleanze contingenti con gli Stati più potenti per poi ritrovarsi in campi opposti in altre situazioni (vedi il caso della Turchia e della Russia nella guerra in Libia). I ricorrenti scontri militari in Israele/Palestina sono un’ulteriore testimonianza della natura insolubile della maggioranza di questi conflitti. In questo caso il massacro di civili è stato acuito dallo sviluppo di un’atmosfera di pogrom in Israele, cosa che mostra l’impatto della decomposizione a livello militare e sociale. Allo stesso tempo assistiamo a un indurimento dei conflitti tra le potenze mondiali. L’acuirsi delle rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina era già evidente con Trump, ma l’amministrazione Biden continua nella stessa direzione anche se con pretesti ideologici differenti, come le violazioni dei diritti dell’uomo in Cina; contemporaneamente la nuova amministrazione americana ha annunciata che non si farà prendere in giro dalla Russia, che ha perduto il suo punto d’appoggio alla Casa Bianca. E anche se Biden ha promesso di reinserire gli Stati Uniti in un certo numero di istituzioni e di accordi internazionali (sul cambiamento climatico, il programma nucleare iraniano, la NATO, …) questo non significa che gli Stati Uniti rinunceranno alla loro capacità di agire da soli per difendere i loro interessi. Gli attacchi militari contro le milizie filo-iraniane in Siria da parte degli Usa dopo qualche settimana dall’elezione di Biden costituiscono una dichiarazione evidente di queste intenzioni. Il prosieguo del ciascuno per sé renderà sempre più difficile, se non impossibile, agli Stati Uniti di imporre la loro leadership, a conferma delle caratteristiche disgregatrici della decomposizione.
12. In questo panorama caotico non c’è alcun dubbio che il confronto crescente tra gli Stati Uniti e la Cina tende ad essere in primo piano. La nuova amministrazione ha così dimostrato la sua propensione alla “inclinazione verso l’est” (ormai sostenuta dal governo conservatore in Gran Bretagna) che era già un asse centrale della politica estera di Obama. Questo si è concretizzato con lo sviluppo del “Quad”, un’alleanza esplicitamente anticinese tra gli Stati Uniti, il Giappone, l’India e l’Australia. Tuttavia questo non significa che stiamo andando verso la formazione di blocchi stabili e una guerra mondiale generalizzata. La marcia verso la guerra mondiale è ancora ostruita dalla potente tendenza al ciascuno per sé e al caos a livello imperialista, mentre nei paesi capitalisti centrali il capitalismo non dispone ancora degli elementi politici e ideologici – in particolare una sconfitta politica del proletariato – che potrebbero unificare la società e spianare il cammino verso la guerra mondiale. Il fatto che noi viviamo ancora in un mondo essenzialmente multipolare è in particolare messo in evidenza dalle relazioni tra la Russia e la Cina. Se la Russia si è mostrata molto disposta ad allearsi alla Cina su delle questioni specifiche, generalmente in opposizione agli Stati Uniti, essa non è meno cosciente del pericolo di subordinarsi al suo vicino orientale, ed è uno dei principali oppositori della “Nuova via della seta” della Cina che esprime la volontà di egemonia imperialista di quest’ultima.
13. Questo non significa che noi viviamo in un’era di più grande sicurezza rispetto all’epoca della guerra fredda, sottoposta alla minaccia di un Armageddon nucleare. Al contrario, se la fase di decomposizione è marcata da una perdita di controllo crescente da parte della borghesia, questo riguarda anche gli enormi mezzi di distruzione – nucleari, convenzionali, biologici e chimici – che sono stati accumulati dalla classe dirigente, e che sono ora più largamente distribuiti attraverso un numero di Stati-nazione molto più importante che in precedenza. Anche se non assistiamo a una marcia controllata verso una guerra condotta da blocchi militari disciplinati, non possiamo escludere il pericolo di fiammate militari unilaterali o anche di incidenti spaventosi che segnerebbero una nuova accelerazione allo scivolamento verso la barbarie.
14. Per la prima volta nella storia del capitalismo al di fuori di una situazione di guerra mondiale l’economia si è trovata direttamente e profondamente toccata da un fenomeno – la pandemia di Covid-19 – che non è legato direttamente alle contraddizioni dell’economia capitalista. L’ampiezza e l’importanza della pandemia, prodotto dell’agonia di un sistema in piena decomposizione e diventato completamente obsoleto, illustrano il fatto senza precedenti che il fenomeno della decomposizione capitalista intacca ormai anche l’insieme dell’economia capitalista in maniera massiccia e su scala mondiale.
Questa irruzione degli effetti della decomposizione nella sfera economica influenza direttamente l’evoluzione della nuova fase di crisi aperta, inaugurando una situazione totalmente inedita nella storia del capitalismo. Gli effetti della decomposizione, alterando profondamente i meccanismi del capitalismo di Stato messi in atto finora per “accompagnare” e limitare l’impatto della crisi, introducono nella situazione un fattore di instabilità e di fragilità, e di incertezza crescente.
Il caos che si impadronisce dell’economia capitalista conferma l’idea di Rosa Luxemburg secondo cui il capitalismo non conoscerà un crollo puramente economico: “Con quanta maggior potenza il capitale, grazie al militarismo, fa piazza pulita, in patria e all’estero, degli strati non-capitalistici e deprime il livello di vita di tutti i ceti che lavorano, tanto più la storia quotidiana dell’accumulazione del capitale sulla scena del mondo si tramuta in una catena continua di catastrofi e convulsioni politiche e sociali, che, insieme con le periodiche catastrofi economiche rappresentate dalle crisi, rendono impossibile la continuazione dell’accumulazione e necessaria la rivolta della classe operaia internazionale al dominio del capitale, prima ancora che, sul terreno economico, esso sia andato ad urtare contro le barriere naturali elevate dal suo stesso sviluppo.” (L’accumulazione del capitale, cap. 32, Edizioni Einaudi, pag. 469).
15. Colpendo un sistema capitalista che già dall’inizio del 2018 entrava in un netto rallentamento, la pandemia ha rapidamente concretizzato la predizione del 23° congresso della CCI secondo cui noi ci dirigiamo verso una nuova caduta nella crisi aperta.
La violenta accelerazione della crisi economica – e il terrore della borghesia – si misurano attraverso la muraglia di debito elevata in tutta fretta per preservare il sua apparato produttivo dal fallimento e mantenere un minimo di coesione sociale.
Una delle manifestazioni più importanti della gravità della crisi attuale, contrariamente ai momenti di crisi economica aperta e alla crisi del 2008, risiede nel fatto che i paesi centrali (Germania, Cina e Stati Uniti) sono stati tutti colpiti simultaneamente e sono fra i più toccati dalla recessione con un forte ribasso del tasso di crescita nel 2020. Gli Stati più deboli a loro volta vedono le loro economie strangolate dall’inflazione, dalla crollo del valore delle loro monete e dalla pauperizzazione.
Dopo quattro decenni di ricorso al credito e all’indebitamento per contrastare la crescente tendenza alla sovrapproduzione, attraversati da recessioni sempre più profonde e da riprese sempre più limitate, la crisi del 2007-2009 aveva già marcato una tappa nell’infognamento del sistema capitalista nella sua crisi irreversibile. Se l’intervento massiccio degli Stati ha potuto salvare il sistema bancario dal fallimento completo spingendo il debito a livelli ancora più vertiginosi, le cause della crisi del 2007-11 non sono state ancora superate. Le contraddizioni della crisi sono passate a uno stadio superiore con il peso schiacciante del debito sugli stessi Stati. I tentativi di rilancio delle economie non sono sfociati in una vera ripresa: fatto senza precedenti dopo la Seconda Guerra Mondiale, al di fuori degli Stati Uniti, della Cina e, in misura minore, della Germania, i livelli di produzione di tutti i grandi paesi del mondo sono rimasti fermi o anche ridotti tra il 2013 e il 2018. L’estrema fragilità di questa “ripresa”, che conteneva tutte le condizioni di un nuovo significativo deterioramento dell’economia mondiale, presagiva già la situazione attuale.
Nonostante l’ampiezza storica dei piani di rilancio e stante il caotico sfacelo dell’economia non è ancora possibile prevedere come – e in che misura – la borghesia arriverà a stabilizzare la situazione, caratterizzata da ogni sorta di incertezze, con in primo luogo l’evoluzione della pandemia stessa.
Contrariamente a quello che la borghesia ha potuto fare nel 2008, riunendo il G7 e il G20, organismi che riuniscono i principali Stati capitalisti, e mettendosi d’accordo su una risposta coordinata alla crisi del credito, oggi ogni capitale nazionale reagisce in ordine disperso, senza nessuna preoccupazione se non il rilancio della propria macchina economica e della propria sopravvivenza sul mercato mondiale, senza concertazione tra le principali componenti del sistema capitalista. Il ciascuno per sé predomina in maniera decisiva.
L’apparente eccezione del piano europeo di rilancio, che comprende la mutualizzazione dei debiti tra i paesi dell’UE, si spiega con la coscienza dei due principali Stati di questa della necessità di un minimo di cooperazione tra di loro come condizione per evitare una destabilizzazione maggiore della UE, per far fronte ai loro principali rivali cinese e americano, e scongiurare il rischio di un declassamento accelerato della loro posizione nell’arena mondiale.
La contraddizione fra la necessità di contenere la pandemia e di evitare la paralisi della produzione ha portato alla “guerra delle mascherine” e alla “guerra dei vaccini”. Questa guerra dei vaccini, riguardante la loro produzione e la loro distribuzione, è un’immagine del crescente disordine in cui sprofonda l’economia mondiale.
Dopo il crollo del blocco dell’est, la borghesia ha fatto di tutto per mantenere una certa collaborazione fra gli Stati, in particolare appoggiandosi sugli organi di regolazione internazionale ereditati dal periodo dei blocchi imperialisti. Questo quadro della “globalizzazione” ha permesso di limitare l’impatto della fase della decomposizione sull’economia, spingendo all’estremo la possibilità di “associare” le nazioni a diversi livelli dell’economia – finanziario, produttivo, ecc.
Con l’aggravarsi della crisi e delle rivalità imperialiste, le istituzioni e i meccanismi multilaterali erano già messi alla prova dal fatto che le principali potenze sviluppavano sempre più politiche proprie, in particolare la Cina, con la costruzione della vasta rete parallela delle Nuove via della seta, e gli Stati Uniti che tendevano a voltare le spalle a queste istituzioni perché sempre più inadatte a preservare la loro posizione dominante. Già il populismo si presentava come un fattore di aggravamento della situazione economica introducendo un elemento di incertezza di fronte alle minacce della crisi. La sua ascesa al potere in diversi paesi ha accelerato il deterioramento dei mezzi imposti dal capitalismo dopo il 1945 per evitare ogni deriva verso un ripiegamento sul quadro nazionale che avrebbe favorito il contagio incontrollato della crisi economica.
Lo scatenamento del ciascuno per sé discende dalla contraddizione del capitalismo tra la scala sempre più globale della produzione e la struttura nazionale del capitale, contraddizione esacerbata dalla crisi. Provocando un caos crescente in seno all’economia mondiale (con la tendenza alla frammentazione delle catene produttive e la frammentazione del mercato mondiale in zone regionali, al rafforzamento del protezionismo e alla moltiplicazione delle misure unilaterali), questo movimento totalmente irrazionale di ogni nazione a salvare la propria economia a detrimento di tutte le altre è contro produttivo per ogni capitale nazionale e un disastro a livello mondiale, un fattore decisivo di deterioramento dell’insieme dell’economia mondiale.
Questo scivolamento delle fazioni borghesi considerate più “responsabili” verso una gestione sempre più irrazionale e caotica del sistema, e soprattutto l’avanzata senza precedenti della tendenza al ciascuno per sé, rivelano una crescente perdita di controllo sul proprio sistema da parte della classe dominante.
16. Sola nazione ad aver avuto un tasso di crescita positivo nel 2020 (2%), la Cina non è uscita trionfante o rafforzata dalla crisi pandemica, anche se essa ha momentaneamente guadagnato terreno a detrimento dei suoi rivali. Al contrario, la degradazione continua della crescita della sua economia, la più indebitata del mondo, che comporta anche un debole tasso di utilizzazione della capacità produttive e una proporzione di “imprese zombie” superiore al 30%, testimonia l’incapacità della Cina a giocare ormai il ruolo, che le è appartenuto nel 2008-2011, nel rilancio dell’economia mondiale.
La Cina deve fare i conti con la riduzione dei mercati mondiali, con la volontà di numerosi Stati di liberarsi dalla loro dipendenza rispetto alla produzione cinese e con il rischio di insolvibilità di un certo numero di paesi implicati nel progetto di Via della seta che sono tra i più duramente colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia. Il governo cinese prosegue quindi con l’orientamento di uno sviluppo economico interno del piano “Made in Cina 2025”, e del modello di circolazione “duale”, finalizzato a compensare la perdita della domanda estera con lo stimolo alla domanda interna. Questo cambiamento di politica non rappresenta tuttavia un “ripiegamento su sé stesso”, perché l’imperialismo cinese non vuole e non può voltare le spalle al mondo. Al contrario, l’obiettivo di questo cambiamento è di guadagnare una autarchia nazionale a livello delle tecnologie chiave al fine di essere tanto più capace di guadagnare terreno al di là delle proprie frontiere. Ciò rappresenta una nuova tappa nello sviluppo della sua economia di guerra. Tutto questo provoca pesanti conflitti in seno alla classe dirigente, tra i partigiani della direzione dell’economia del Partito Comunista cinese e quelli legati all’economia di mercato e al settore privato, tra i “pianificatori” del potere centrale e le autorità locali che vogliono esse stesse orientare gli investimenti. Sia negli Stati Uniti (rispetto ai giganti tecnologici “GAFA” della Silicon Valley) che – e con maggiore risolutezza – in Cina (rispetto ad Ant International, Alibabà, ecc.) si osserva una forte tendenza dell’apparato di Stato centrale a ridurre la taglia delle imprese diventate troppo grandi (e troppo potenti) per essere controllate.
17. Le conseguenze della distruzione sfrenata dell’ambiente da parte di un capitalismo in decomposizione, i fenomeni risultanti dai cambiamenti climatici e dalla distruzione della biodiversità, portano innanzitutto a una pauperizzazione crescente delle parti più deboli della popolazione mondiale (Africa subsahariana e Asia meridionale) o di quelle in preda a conflitti militari. Ma essi toccano sempre più tutte le economie, quelle dei paesi sviluppati in testa.
Attualmente si assiste alla moltiplicazione di fenomeni meteorologici estremi, a piogge e inondazioni estremamente violente, a vasti incendi che comportano enormi perdite finanziarie nelle città e nelle campagne per la distruzione di infrastrutture vitali (città, strade, istallazioni fluviali, ecc.). Questi fenomeni perturbano il funzionamento dell’apparato produttivo industriale e indeboliscono anche la capacità produttiva dell’agricoltura. La crisi climatica mondiale e la disorganizzazione crescente del mercato mondiale dei prodotti agricoli che ne risultano minacciano la sicurezza ambientale di numerosi Stati.
Il capitalismo in decomposizione non possiede i mezzi per lottare veramente contro il riscaldamento climatico e la devastazione ecologica. Questi hanno già un impatto sempre più negativo sulla riproduzione del capitale e non possono che costituire un ostacolo al ritorno delle crescita economica.
Motivata dalla necessità di rimpiazzare le industrie pesanti obsolete e i combustibili fossili, la “economia verde” non rappresenta uno sbocco per il capitale, né sul piano ecologico né su quello economico. Le sue filiere produttive non sono più verdi o meno inquinanti. Il sistema capitalista non ha la capacità di impegnarsi in una “rivoluzione verde”. Le azioni della classe dominante su questo piano acuiscono inevitabilmente una competizione economica distruttrice e le rivalità imperialiste. L’emergenza di nuovi settori potenzialmente redditizi, come la produzione di veicoli elettrici, potrebbe al massimo apportare dei benefici a certe parti delle economie più forti, ma tenuto conto dei limiti dei mercati solvibili, e dei crescenti problemi provocati dall’utilizzazione sempre più massiccia della creazione di moneta e dell’indebitamento, essi non potranno servire da locomotiva per l’insieme dell’economia.
La “economia verde” costituisce soprattutto un veicolo privilegiato di potenti mistificazioni ideologiche sulla possibilità di riformare il capitalismo e un’arma contro la classe operaia, con la giustificazione delle chiusure di fabbriche e dei licenziamenti.
18. A causa delle crescenti tensioni imperialiste, tutti gli Stati aumentano il loro sforzo militare, sia in volume che in durata. La sfera militare si estende sempre più a nuove “zone di conflitto”, come la cybersicurezza e la militarizzazione crescente dello spazio. Tutte le potenze nucleari rilanciano con discrezione i loro programmi atomici. Tutti gli Stati modernizzano e adattano le loro forze armate.
Questa folle corsa agli armamenti, a cui ogni Stato è irrimediabilmente condannato dalle esigenze della concorrenza interimperialista, è tanto più irrazionale in quanto il crescente peso dell’economia di guerra e della produzione di armi assorbe una parte considerevole della ricchezza nazionale: questa massa gigantesca di spese militari in tutto il mondo, anche se costituisce una fonte di profitto per i mercanti d’armi, dal punto di vista del capitale globale rappresenta una sterilizzazione e una distruzione di capitale. Gli investimenti realizzati nella produzione e nella vendita di armi e di attrezzature militari non costituiscono per niente un punto di partenza o una fonte di accumulazione di nuovi profitti: una volta prodotte o acquistate, le armi non possono servire che a seminare morte e distruzione o a essere sostituite quando sono diventate obsolete. Completamente improduttive, queste spese hanno: “un impatto economico (…) disastroso per il capitale. Di fronte a dei deficit statali già incontrollabili, l’aumento massiccio delle spese militari, che la crescita degli antagonismi interimperialisti rende necessario, è un peso economico che non fa che accelerare la discesa del capitalismo nell’abisso.” (Rapporto sulla situazione Internazionale del 5° Congresso della CCI, "Rapport sur la situation internationale ,Revue internationale n° 35).
19. Dopo decenni di debiti giganteschi, l’iniezione massiccia di liquidità degli ultimi piani di sostegno all’economia sorpassano di molto il volume degli interventi precedenti. I miliardi di dollari sbloccati dai piani americani, europei e cinesi hanno portato il debito mondiale al 365% del Prodotto Interno Lordo mondiale.
Il debito, che non ha smesso di essere utilizzato dal capitalismo lungo tutto il suo periodo di decadenza come palliativo alla crisi di sovrapproduzione, significa rimandare le scadenze nel futuro, anche a prezzo di convulsioni ancora più gravi. Oggi esso raggiunge livelli senza precedenti. Dopo la Grande Depressione degli anni ’30 la borghesia ha mostrato tutta la sua determinazione a mantenere in vita il suo sistema sempre più minacciato dalla sovrapproduzione e dalla ristrettezza dei mercati attraverso la sofisticazione dell’intervento dello Stato per esercitare un controllo generale sull’economia. Ma essa non dispone di nessun mezzo per attaccare le cause reali della crisi. Anche se non esiste un limite fisso e predeterminato alla fuga in avanti nell’indebitamento, un punto a partire dal quale diventerebbe impossibile continuare, questa politica non può continuare all’infinito senza che la crescita del debito abbia delle gravi ripercussioni sulla stabilità del sistema, come mostrato dall’ampiezza e dal ritmo sempre più frequente delle crisi dell’ultimo decennio, ma anche perché una tale politica si dimostra essere, dopo almeno quattro decenni, sempre meno efficace per rilanciare l’economia mondiale.
Il peso del debito non solo condanna il sistema capitalista a delle convulsioni sempre più devastatrici (fallimenti di imprese o anche di Stati, crisi finanziarie e monetarie, ecc.) ma, restringendo sempre di più la capacità degli Stati di barare con le leggi del capitalismo, finisce anche con l’ostacolare la capacità di questi di rilanciare le loro rispettive economie nazionali.
La crisi che si sviluppa ormai da decenni è destinata a diventare la più grave del periodo di decadenza, e la sua portata storica supererà anche la prima crisi di questa epoca, quella iniziata nel 1929. Dopo più di 100 anni di decadenza capitalista, con un’economia devastata dal settore militare, indebolita dall’impatto della distruzione ambientale, profondamente alterata nei suoi meccanismi di riproduzione dal debito e dalla manipolazione dello Stato, in preda alla pandemia e che soffre sempre più tutti gli altri effetti della decomposizione, è illusorio pensare che in queste condizioni ci sarà una ripresa durevole dell’economia mondiale.
20. Allo stesso tempo i rivoluzionari non devono essere tentati di cadere in una visione “catastrofista” di un’economia mondiale sull’orlo di un crollo finale. La borghesia continuerà a battersi fino alla morte per la sopravvivenza del suo sistema, che sia attraverso mezzi direttamente economici (come lo sfruttamento di risorse finora non utilizzate e di nuovi mercati potenziali, quelli illustrati dal progetto cinese della Nuova via della seta) o politici, soprattutto la manipolazione del credito e le forzature con la legge del valore. Ciò significa che ci possono sempre essere delle fasi di stabilizzazione tra convulsioni economiche che avranno conseguenze sempre più profonde.
21. Il ritorno di una sorta di “neokeynesianesimo” iniziato con gli enormi impegni di spesa dell’amministrazione Biden e i provvedimenti per l’aumento delle imposte sulle società – motivato anche dalla necessità di mantenere la coesione della società borghese e dal bisogno altrettanto pressante di far fronte all’aggravamento delle tensioni imperialiste – mostra la volontà della classe dirigente di sperimentare differenti forme di gestione economica, soprattutto perchè le deficienze delle politiche neo-liberali lanciate neghi anni di Reagan e Thatcher sono state pesantemente messe in evidenza dall’insorgere della crisi pandemica. Ciononostante questi cambiamenti di politica non possono impedire all’economia mondiale di oscillare tra il doppio pericolo dell’inflazione e della deflazione, di nuove crisi del credito e di crisi monetarie che portano tutte a delle recessioni brutali.
22. La classe operaia paga un pesante tributo alla crisi. Innanzitutto perché è la più direttamente esposta alla pandemia e quindi è la principale vittima della propagazione dell’infezione, poi perché la caduta dell’economia scatena gli attacchi più gravi dalla Grande Depressione, su tutti i piani delle sue condizioni di vita e di lavoro, anche se non tutti saranno toccati alla stessa maniera.
La distruzione di posti di lavoro, nel 2020 quattro volte più importante che nel 2009, non ha ancora rivelato tutta l’ampiezza del considerevole aumento della disoccupazione di massa che si annuncia. Benché le sovvenzioni pubbliche accordate in certi paesi ai disoccupati parziali cerchino di attenuare lo choc sociale (negli Stati Uniti, per esempio, nel corso del primo anno della pandemia, il reddito medio dei salariati, secondo le statistiche ufficiali, è aumentato – per la prima volta, nella storia del capitalismo, durante un periodo di depressione) milioni di posti di lavoro spariranno nel prossimo periodo.
L’aumento esponenziale del lavoro precario e la diminuzione generale dei salari provocheranno un aumento gigantesco della pauperizzazione, che colpisce già molti lavoratori. Il numero di vittime della carestia nel mondo si è moltiplicato per due e la fame ricompare nei paesi occidentali. Per quelli che mantengono un lavoro, il carico di lavoro e il ritmo di sfruttamento si vanno aggravando.
La classe operaia non può aspettarsi niente dagli sforzi della borghesia per “normalizzare” la situazione economica, se non licenziamenti e riduzione dei salari, l’aumento dello stress e dell’ansia, drastici aumenti delle misure di austerità a tutti i livelli, nella scuola come nelle pensioni di invalidità e nelle prestazioni sociali. In breve, noi assisteremo a una degradazione delle condizioni di vita e di lavoro a un livello che nessuna generazione, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha conosciuto.
23. Poiché il modo di produzione capitalista è entrato nella sua decadenza, cresce la pressione per lottare contro questo declino attraverso misure di capitalismo di Stato. Tuttavia, la tendenza al rafforzamento degli organi e delle forme di capitalismo di Stato è tutto salvo che un rafforzamento del capitalismo; al contrario, esse esprimono le crescenti contraddizioni sul terreno economico e politico. Con l’accelerazione della decomposizione nel disastro della pandemia, noi vediamo un forte aumento delle misure di capitalismo di Stato; queste non sono l’espressione di un più grande controllo dello Stato sulla società, ma costituiscono piuttosto l’espressione delle crescenti difficoltà ad organizzare la società nel suo insieme e ad impedire la sua crescente tendenza alla frammentazione.
24. All’inizio degli anni ’90 la CCI ha riconosciuto che il crollo del blocco dell’Est, e l’apertura definitiva della fase di decomposizione avrebbero creato delle difficoltà crescenti per il proletariato: l’incapacità a riappropriarsi della sua prospettiva politica e storica che era già stato un elemento centrale delle difficoltà della classe operaia negli anni’80 sarebbe stata seriamente aggravata dalle assordanti campagne sulla morte del comunismo; in legame con questo, il sentimento di identità di classe del proletariato sarebbe stato severamente indebolito dal nuovo periodo, allo stesso tempo per gli effetti dell’atomizzazione e delle divisioni della decomposizione sociale, e per gli sforzi coscienti della classe dominante per acuire questi effetti con campagne ideologiche (la “fine della classe operaia”) e i cambiamenti materiali prodotti dalla politica di globalizzazione (eliminazione dei centri tradizionali della lotta di classe, delocalizzazione delle industrie verso regioni del mondo in cui la classe operaia non ha lo stesso grado di esperienza storica, ecc.).
25. La CCI ha avuto tendenza a sottostimare la profondità e la durata di questo riflusso della lotta di classe, vedendo spesso dei segni che la portavano a pensare che il riflusso era sul punto di essere superato e che avremmo visto, a breve, nuove ondate internazionali di lotta come nel periodo successivo al 1968. Nel 2003, sulla base di nuove lotte in Francia, in Austria e altrove, la CCI aveva predetto una ripresa delle lotte da parte di una nuova generazione di proletari che era stata meno influenzata dalle campagne anticomuniste e destinata a confrontarsi con un futuro sempre più incerto. In buona misura queste predizioni sono state confermate dagli avvenimenti del 2006-2007, in particolare con la lotta contro il CPE (Contratto di Primo Impiego) in Francia, e del 2010-2011, in particolare con il movimento degli Indignati in Spagna. Questi movimenti hanno mostrato degli avanzamenti importanti a livello della solidarietà fra le generazioni, dell’autoorganizzazione con lo strumento delle assemblee, della cultura del dibattito, delle preoccupazioni reali sull’avvenire prospettato alla classe operaia e all’umanità nel suo insieme. In questo senso essi hanno mostrato il potenziale di una unificazione delle dimensioni economiche e politiche della lotta di classe. Ciononostante, abbiamo avuto bisogno di molto tempo per capire le immense difficoltà a cui era confrontata questa nuova generazione, cresciuta nelle condizioni della decomposizione, difficoltà che avrebbero impedito al proletariato di invertire il riflusso post-’89 durante questo periodo.
26. Un elemento chiave di queste difficoltà è nell’erosione continua dell’identità di classe. Questo era già visibile nelle lotte del 2010-2011, in particolare nel movimento in Spagna: nonostante gli avanzamenti importanti realizzati a livello della coscienza e dell’organizzazione, la maggioranza si vedeva come dei “cittadini” piuttosto che come membri di una classe, cosa che la rendeva vulnerabile alle illusioni democratiche portate avanti da gruppi come Democracia Ya! (il futuro Podemos), ed in seguito al veleno del nazionalismo catalano e spagnolo. Nel corso degli anni seguenti il riflusso che si è prodotto dopo questi movimenti è stato approfondito dall’ascesa del populismo, che ha creato nuove divisioni in seno alla classe operaia internazionale – divisioni che sfruttano le differenze nazionali ed etniche, alimentate dagli atteggiamenti pogromisti della destra populista, ma anche delle divisioni politiche create dalla contrapposizione populismo e anti-populismo. Dappertutto nel mondo la collera e il malcontento crescono, a causa delle gravi privazioni materiali e delle ansie reali rispetto all’avvenire; ma in assenza di una risposta proletaria, gran parte di questo malcontento è stato canalizzato in rivolte interclassiste come quella dei Gilet Gialli in Francia, in campagne parcellari su un terreno borghese come le marce per il clima, in movimenti per la democrazia contro la dittatura (Hong Kong, Bielorussia, Myanmar, ecc.) o nell’intreccio inestricabile delle politiche identitarie razziali e sessuali che servono innanzitutto a oscurare la questione cruciale dell’identità di classe proletaria come sola base per un’autentica risposta alla crisi del modo di produzione capitalista. La proliferazione di questi movimenti – che si tratti delle rivolte interclassiste o delle mobilitazioni apertamente borghesi – ha aumentato le difficoltà già considerevoli non solo per la classe operaia nel suo insieme ma per la stessa Sinistra comunista, per le organizzazioni che hanno la responsabilità di definire e difendere il terreno di classe. Un esempio chiaro di questo è stata l’incapacità dei bordighisti e della Tendenza Comunista Internazionale a riconoscere che la collera provocata dall’uccisione di George Floyd da parte della polizia nel maggio 2020 era stata immediatamente deviata verso dei canali borghesi. Ma anche la CCI ha conosciuto importanti problemi di fronte a questo ventaglio di movimenti spesso sconcertanti, e, nel quadro del suo esame critico degli ultimi 20 anni, dovrà seriamente esaminare la natura e l’estensione degli errori commessi nel corso del periodo che va dalla primavera araba del 2011 a queste rivolte e mobilitazioni più recenti, passando per le manifestazioni cosiddette “delle candele” in Corea del sud.
27. La pandemia in particolare ha creato delle difficoltà considerevoli per l classe operaia:
• La maggioranza degli operai riconoscono la realtà di questa malattia e i pericoli reali che rappresentano gli assembramenti numerosi, con la conseguente impossibilità di assemblee generali e di manifestazioni operaie; il proletariato è confrontato non solo alla borghesia, ma anche, e in un senso più immediato, al virus. In generale la situazioni in cui le catastrofi giocano un ruolo preponderante non sono favorevoli allo sviluppo della lotta di classe. L’indignazione di Voltaire contro la natura a causa del terremoto di Lisbona non si è generalizzata. Contrariamente al “sisma sociale” dello sciopero di massa del 1905, il terremoto di S. Francisco del 1906 non ha fatto avanzare la causa del proletariato, lo stesso per quello di Tokyo del 1923.
• Come sempre, la borghesia non esita ad utilizzare gli effetti della decomposizione contro la classe operaia. Se i confinamenti sono stati principalmente motivati dal fatto che la borghesia non aveva altro mezzo per impedire la diffusione della malattia, essa ha approfittato della situazione per rafforzare l’atomizzazione e lo sfruttamento della classe operaia, in particolare con lo strumento del nuovo modello dello “smart working”. Questa nuova tappa nell’atomizzazione della popolazione attiva è fonte di una sofferenza psicologica crescente, in particolare presso i giovani (con anche la crescita dei cassi di suicidio);
• Ancora, la classe dirigente ha approfittato delle condizioni della pandemia per rafforzare i suoi sistemi di sorveglianza di massa e per introdurre nuove leggi repressive per limitare le proteste e le manifestazioni, nonché una violenza della polizia sempre più evidente contro ogni espressione di malcontento sociale;
• Il massiccio aumento della disoccupazione risultante dal confinamento non costituirà, in questa situazione e a breve termine, un fattore di unificazione delle lotte operaie, ma avrà piuttosto tendenza ad aumentare l’atomizzazione:
• Benchè il confinamento abbia provocato una grande malcontento sociale, quando questo si è espresso in maniera aperta, come in Spagna a febbraio e in Germania in aprile 2021, esso ha preso la forma di manifestazioni “per la libertà individuale” che costituiscono un completo vicolo cieco per la classe operaia;
• Più in generale, il periodo di pandemia ha visto una nuova recrudescenza della “politica identitaria”, in cui l’insoddisfazione esistente rispetto all’attuale sistema viene frammentata in un uragano di identità che si affrontano, sulla base della razza, del genere, della cultura, ecc. e che costituiscono un ostacolo maggiore per il ristabilimento della sola identità capace di unificare dietro di sè e di liberare l’insieme dell’umanità: l’identità di classe proletaria. In più, dietro questo caos di identità in concorrenza che penetra l’insieme della popolazione, si nasconde la concorrenza tra differenti fazioni borghesi di destra e di sinistra, con il pericolo di trascinare la classe operaia in nuove forme di una reazionaria “lotta culturale” e anche di una guerra civile violenta.
28. Nonostante gli enormi problemi a cui è confrontato il proletariato, noi rigettiamo l’idea che la classe è già vinta a livello mondiale, o che essa sia sul punto di subire una sconfitta comparabile a quella del periodo di controrivoluzione, un tipo di sconfitta da cui il proletariato non sarebbe più capace di riprendersi. Il proletariato, in quanto classe sfruttata, non può evitare di passare per la scuola delle sconfitte, ma la questione centrale è di sapere se il proletariato è già stato così sommerso dall’avanzata implacabile della decomposizione che il suo potenziale rivoluzionario sia stato effettivamente intaccato. Misurare una tale sconfitta nella fase di decomposizione è un compito ben più complesso rispetto al periodo che ha preceduto la Seconda Guerra mondiale, quando il proletariato si era apertamente sollevato contro il capitalismo ed era stato schiacciato da una serie di sconfitte frontali, o rispetto al periodo che ha seguito il 1968, quando il principale ostacolo alla marcia della borghesia verso una nuova guerra mondiale fu la ripresa della lotta di classe da parte di una nuova generazione non sconfitta di proletari. Come abbiamo già ricordato, la fase di decomposizione contiene in effetti il pericolo che il proletariato non riesca semplicemente a rispondere e sia soffocato sul un lungo periodo – una morte lenta invece che in uno scontro di classe frontale. Nondimeno noi affermiamo che ci sono ancora sufficienti elementi che mostrano che malgrado l’avanzata incontestabile della decomposizione, malgrado il fatto che il tempo non gioca in favore della classe operaia, il potenziale di una profonda rinascita proletaria – che potrebbe portare a una riunificazione tra le dimensioni economiche e politiche della lotta di classe – non è scomparso, come confermato da:
• la persistenza di importanti movimenti proletari che si sono avuti durante la fase di decomposizione (2006-7, 2010-11, etc.);
• prima della pandemia si sono avuti diversi segni embrionari e molto fragili di riapparizione della lotta di classe, in particolare in Francia nel 2019. E anche se questa dinamica è stata in seguito largamente bloccata dalla pandemia e i confinamenti, si sono avuti, in un certo numero di paesi, dei movimenti di classe significativi, in particolare intorno alle questioni di sicurezza sul lavoro, soprattutto sanitaria, anche durante la pandemia;
• i segni, piccoli ma significativi, di una maturazione sotterranea della coscienza, manifestatasi con un inizio di riflessione globale sul fallimento del capitalismo e la necessità di un’altra società in certi movimenti (soprattutto gli Indignati nel 2011), ma anche con l’emergenza di giovani elementi in ricerca di posizioni di classe e che si indirizzano verso l’eredità della Sinistra comunista;
• più importante ancora, la situazione a cui la classe operaia è confrontata non è quella che ha seguito il crollo del blocco dell’est e l’apertura della fase di decomposizione nel 1989. Allora era possibile presentare questi avvenimenti come la prova della morte del comunismo e della vittoria del capitalismo e l’inizio di un avvenire radioso per l’umanità. Trenta anni di decomposizione hanno seriamente sconfessato questo inganno ideologico di un avvenire migliore, e la pandemia in particolare ha messo in evidenza l’irresponsabilità e la negligenza di tutti i governi capitalisti e la realtà di una società dilaniata da profonde divisioni economiche in cui non siamo per niente “tutti nella stessa barca”. Al contrario, la pandemia e il confinamento hanno teso a rivelare la condizione della classe operaia allo stesso tempo come principale vittima della crisi sanitaria ma anche come fonte di tutto il lavoro e di tutta la produzione materiale, e in particolare dei generi di prima necessità. Questo può essere una delle basi di un futuro recupero dell’identità di classe. E, insieme alla crescente comprensione che il capitalismo è un modo di produzione totalmente obsoleto, questo ha già giocato come fattore per l’apparizione di minoranze politicizzate la cui motivazione è stata innanzitutto quella di comprendere la situazione drammatica a cui l’umanità è confrontata.
• Infine, a un livello storico più ampio, il processo di decomposizione non ha eliminato il carattere associato del lavoro sotto il capitalismo. Questo permane nonostante l’atomizzazione sociale generata dalla decomposizione, malgrado i tentativi deliberati di frammentare la manodopera con stratagemmi tipo la “uberizzazione” dell’economia, malgrado le campagne ideologiche finalizzate a presentare i settori più istruiti del proletariato come la “classe media”. Il capitale mobilita sempre più lavoratori nel mondo, il processo di proletarizzazione e quindi di sfruttamento del lavoro vivo è ininterrotto. La classe operaia oggi è più numerosa e più interconnessa che mai, ma con l’avanzare della decomposizione l’atomizzazione sociale e l’isolamento si intensificano. Questo si esprime anche nelle difficoltà della classe operaia a fare l’esperienza della propria identità di classe. Non è che con le sue lotte sul proprio terreno di classe che la classe operaia è capace di creare il suo potere “associativo” che esprime un’anticipazione del lavoro associato nel comunismo. I lavoratori sono riuniti dal capitale nel processo di produzione, il lavoro associato è realizzato sotto costrizione, ma il carattere rivoluzionario del proletariato significa il rovesciamento dialettico di queste condizioni nella lotta collettiva. Lo sfruttamento del lavoro comune è rovesciato nella lotta contro lo sfruttamento e per la liberazione del carattere sociale del lavoro, per una società che sappia utilizzare coscientemente tutto il potenziale del lavoro associato. Così la lotta difensiva della classe operaia contiene i germi delle relazioni sociali qualitativamente più elevate che sono lo scopo finale della sua lotta – quello che Marx chiamava i “produttori liberamente associati”. Attraverso l’associazione, attraverso la riunione di tutte le sue componenti, di tutte le sue capacità e di tutte le sue esperienze, il proletariato può diventare possente, può diventare il combattente sempre più cosciente e unito per una umanità liberata e il suo segno annunciatore.
29. A dispetto della tendenza del processo di decomposizione ad agire sulla crisi economica, quest’ultima resta la “alleata del proletariato” in questa fase. Come dicevamo nelle Tesi sulla decomposizione:
"l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità. E ciò in particolare perché:
• se gli effetti della decomposizione (per esempio 1’inquinamento, la droga, l’insicurezza, ecc.) colpiscono indistintamente tutti gli strati della società e costituiscono un terreno propizio alle campagne ed alle mistificazioni aclassiste (ecologia, movimenti antinucleari, mobilitazioni antirazziste, ecc.), gli attacchi economici (abbassamento del salario reale, licenziamenti, aumento dei ritmi, ecc.) che derivano direttamente dalla crisi colpiscono in modo specifico il proletariato (cioè la classe che produce il plusvalore e che si scontra col capitale su questo terreno);
• la crisi economica, contrariamente alla decomposizione sociale che concerne essenzialmente le sovra-strutture, è un fenomeno che colpisce direttamente l’infrastruttura della società sulla quale riposano queste sovrastrutture; in questo senso, essa mette a nudo le cause ultime dell’insieme della barbarie che si abbatte sulla società, permettendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente sistema, e non di cercare di migliorare degli aspetti di questo.” (Tesi 17)
30. Di conseguenza noi dobbiamo rigettare ogni tendenza a minimizzare l’importanza delle lotte economiche « difensive » della classe, che è una espressione tipica della concezione modernista che non vede la classe che come una categoria sfruttata e non anche come una forza storica, rivoluzionaria, E’ certamente vero che la lotta economica da sola non può bloccare la decomposizione : come dicono le Tesi sulla decomposizione “Per mettere fine alla minaccia che costituisce la decomposizione, le lotte operaie di resistenza agli effetti della crisi non bastano più: solo la rivoluzione comunista può mettere fine a tale minaccia.”
Ma è un profondo errore perdere di vista l’interazione costante e dialettica tra gli aspetti economici e politici della lotta, come sottolineava Rosa Luxemburg nel suo lavoro sullo Sciopero di massa del 1905; ed ancora nel fuoco della rivoluzione tedesca del 1918-19, quando la dimensione “politica” era in atto, lei insistette sul fatto che il proletariato doveva continuare a sviluppare le sue lotte economiche, come sola base per organizzarsi e unificarsi in quanto classe. Sarà la combinazione della ripresa delle lotte difensive su un terreno di classe, destinate a scontrarsi ai limiti oggettivi della società borghese in decomposizione e fertilizzate dall’intervento della minoranza rivoluzionaria, che permetterà alla classe operaia di realizzare la politicizzazione pienamente proletaria necessaria per indirizzarsi di nuovo verso la sua prospettiva rivoluzionaria e far uscire l’umanità dall’incubo del capitalismo in decomposizione.
31. In un primo periodo, la riscoperta dell’identità e della combattività di classe costituirà una forma di resistenza contro gli effetti corrosivi della decomposizione capitalista – un’arma contro la frammentazione della classe operaia e la divisione tra le sue differenti parti. Senza lo sviluppo della lotta di classe, fenomeni come quelli della distruzione dell’ambiente e la proliferazione del caos militare tendono a rinforzare il sentimento di impotenza e il ricorso a false soluzioni tipo l’ecologismo e il pacifismo. Ma ad uno stadio più sviluppato della lotta, nel contesto di una situazione rivoluzionaria, la realtà di queste minacce per la sopravvivenza della specie umana diviene un fattore di comprensione del fatto che il capitalismo ha effettivamente raggiunto la fase terminale del suo declino e che la rivoluzione è la sola soluzione possibile. In particolare, le pulsioni guerriere del capitalismo – soprattutto quando esse implicano direttamente o indirettamente le grandi potenze –possono essere un fattore importante nella politicizzazione della lotta di classe, giacché esse implicano allo stesso tempo un aumento molto concreto dello sfruttamento e del pericolo fisico, ma anche una conferma supplementare del fatto che la società è confrontata alla scelta capitale tra socialismo o barbarie. Da fattori di smobilitazione e di disperazione, queste minacce possono rafforzare la determinazione del proletariato a farla finita con questo sistema moribondo.
• “Allo stesso modo, in tutto il periodo futuro, il proletariato non può sperare di utilizzare a proprio beneficio l’indebolimento che la decomposizione provoca all’interno della borghesia. In questo periodo il suo obbiettivo sarà quello di resistere agli effetti nocivi della decomposizione al suo interno contando solo sulle proprie forze, sulla propria capacità di battersi in maniera collettiva e solidale in difesa dei propri interessi in quanto classe sfruttata (anche se la propaganda dei rivoluzionari deve sottolineare in permanenza i pericoli della decomposizione). Solo nel periodo prerivoluzionario, quando il proletariato sarà all’offensiva, quando ingaggerà direttamente e apertamente la lotta per la sua prospettiva storica, esso potrà utilizzare alcuni effetti della decomposizione, in particolare la decomposizione dell’ideologia borghese e quella delle forze del potere capitalista, come punti su cui far leva e da ritorcere contro lo stesso capitale.” (Tesi sulla decomposizione)
La scorsa primavera la CCI ha tenuto il suo 25° Congresso internazionale. Vera e propria assemblea generale, il Congresso è un momento privilegiato nella vita della nostra organizzazione; è la massima espressione del carattere centralizzato e internazionale della CCI. Il Congresso permette a tutta la nostra organizzazione, nel suo insieme, di discutere, chiarire e orientarsi. È il nostro organo sovrano. In quanto tale, i suoi compiti sono
1. elaborare le analisi e le linee guida generali per l'organizzazione, in particolare per quanto riguarda la situazione internazionale;
2. esaminare e fare un bilancio delle attività dell’organizzazione dal Congresso precedente;
3. definire le prospettive di lavoro per il futuro.
Le organizzazioni rivoluzionarie non esistono per sé stesse. Esse sono al tempo stesso l'espressione della lotta storica del proletariato e la parte più determinata di questa stessa lotta. È la classe operaia che affida le sue organizzazioni ai rivoluzionari, affinché possano svolgere il loro ruolo: essere un fattore attivo nello sviluppo della coscienza proletaria e nella lotta verso la rivoluzione.
Il compito dei rivoluzionari è rendere conto dei loro lavori alla classe nel suo complesso. Per questo motivo gran parte dei documenti adottati al nostro ultimo congresso sono stati pubblicati nell’ultimo numero della Rivista Internazionale n°170[1] e saranno presto tutti pubblicati in lingua italiana,
Il primo compito di questo Congresso è stato quello di prendere atto della gravità della situazione storica.
Come indica il rapporto sulla lotta di classe, con il Covid 19, il conflitto in Ucraina e la crescita ovunque dell’economia di guerra, la crisi economica accompagnata da un’inflazione devastante, il riscaldamento globale e la devastazione della natura, il crescere del ciascuno per sé, dell'irrazionalità e dell'oscurantismo, e la decomposizione dell'intero tessuto sociale, gli anni ‘20 non comportano semplicemente dei nuovi micidiali cataclismi. Oggi tutti i vari flagelli convergono, si combinano e si alimentano a vicenda in una sorta di “effetto vortice”. Questa dinamica catastrofica del capitalismo mondiale significa molto di più di un peggioramento della situazione internazionale perché è in gioco la sopravvivenza stessa dell’umanità.
L'effetto “vortice” della decomposizione
Il 25° Congresso Internazionale ha adottato come primo rapporto un “Aggiornamento delle tesi sulla decomposizione”[2].
Nel maggio 1990, la CCI ha adottato le tesi intitolate “La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9]”, che esponevano la nostra analisi complessiva della situazione mondiale al momento e dopo il crollo del blocco imperialista orientale alla fine del 1989. L'idea centrale di queste tesi era che la decadenza del modo di produzione capitalistico, iniziata con la Prima guerra mondiale, era entrata in una nuova fase della sua evoluzione, dominata dalla decomposizione generale della società. 27 anni dopo, in occasione del suo 22° Congresso nel 2017, la nostra organizzazione ha ritenuto necessario aggiornare per la prima volta queste tesi, adottando un testo intitolato “Rapporto sulla decomposizione oggi, maggio 2017 [11]”. Il testo evidenziava che non solo l’analisi adottata nel 1990 era stata ampiamente verificata dall’evoluzione della situazione, ma anche che alcuni aspetti avevano assunto una nuova importanza: l'esplosione dei flussi dei rifugiati in fuga dalle guerre, le carestie e le persecuzioni, l'ascesa del populismo xenofobo che cominciava ad avere un impatto crescente sulla vita politica della classe dirigente...
Ora, a distanza di soli 6 anni, la CCI ha ritenuto necessario procedere a una nuova attualizzazione dei testi del 1990 e del 2017. Perché così rapidamente? Perché assistiamo oggi ad una amplificazione spettacolare delle manifestazioni della decomposizione della società capitalista.
Di fronte all’evidenza dei fatti, la stessa borghesia è costretta a riconoscere questo vertiginoso precipitare del capitalismo nel caos e nella decomposizione. Il nostro rapporto cita ampiamente testi destinati ai leader politici ed economici del mondo, come il “The Global Risks Report 2023 18th Edition - weforum.org [92]” (GRR), Rapporto sui Rischi Globali, che si basa sulle analisi di una moltitudine di “esperti” e che viene presentato ogni anno al Forum di Davos (The World Economic Forum, [93] -WEF). La CCI riprende così un metodo utilizzato dal movimento operaio, che consiste nell’uso del lavoro di esperti della borghesia per mettere in evidenza le statistiche e i fatti che rivelano la realtà del mondo capitalista. Lo stesso metodo si ritrova nei classici del marxismo, come La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) di Engels e Il Capitale di Marx. Nel GRR leggiamo: “I primi anni di questo decennio hanno segnato un periodo particolarmente travagliato nella storia dell'umanità. ... COVID-19... guerra in Ucraina... crisi alimentari ed energetiche... inflazione... scontri geopolitici e lo spettro di una guerra nucleare... livelli insostenibili d’indebitamento... declino dello sviluppo umano... tutto converge per dare forma a un decennio unico, incerto e tormentato.”
Gli esperti della borghesia mettono qui il dito su una dinamica che fondamentalmente non riescono a comprendere. Certo, arrivano a dire che “tutti questi elementi convergono per dare forma a un decennio unico, incerto e tormentato”. Ma non possono che fermarsi a questa constatazione. Infatti, descrivono questa dinamica come una “policrisi”, come se si trattasse di crisi diverse che si sommano. In realtà, e solo la nostra teoria della decomposizione ci permette di capirlo, dietro questa esplosione dei peggiori flagelli del capitalismo si nasconde una stessa dinamica: l’imputridimento di questo sistema decadente. Il modo di produzione capitalista non ha più alcuna prospettiva da offrire e, data l'incapacità del proletariato di sviluppare fino ad oggi il suo progetto rivoluzionario, è l’umanità intera che sta precipitando nella mancanza di futuro e nelle sue conseguenze: irrazionalità, ripiegamento su sé stessi, atomizzazione... È in questa assenza di prospettive che risiede la radice più profonda della putrefazione della società, ad ogni livello.
Anche nel campo proletario si tende ad avanzare una spiegazione specifica e isolata di fronte a ciascuna delle manifestazioni catastrofiche della storia attuale, a non vedere la coerenza dell'intero processo in corso. C'è quindi un grande pericolo di:
Dobbiamo soffermarci un po' su questo rischio di sottovalutare la pericolosità della situazione storica di decomposizione. In apparenza, urlando allo scoppio della III guerra mondiale, si pensa di prevedere il peggio. In realtà - e la guerra in Ucraina lo conferma ancora una volta - il vero processo che può condurre alla barbarie generalizzata, o anche alla distruzione dell’umanità, è una combinazione di fattori: la guerra che si espande attraverso una moltiplicazione di conflitti (Vicino e Medio Oriente, Balcani, Europa dell’Est, ecc.) sempre più imprevedibili e irrazionali, il clima che si riscalda con la sua dose di catastrofi, il gangsterismo e la mancanza di futuro che travolgono fasce sempre più ampie della popolazione mondiale... questo processo di decomposizione è tanto più pericoloso in quanto è così sfuggente e insidioso, da penetrare gradualmente in ogni poro della società.
E tra i vari fattori che alimentano il precipitare nella decomposizione, la guerra (e lo sviluppo generalizzato del militarismo) costituisce il fattore centrale, in quanto atto deliberato della classe dominante.
È questo il motivo per cui quello sulla situazione imperialista è stato il secondo rapporto discusso al nostro congresso: “La fase di decomposizione accentua in particolare uno degli aspetti più perniciosi della guerra in decadenza: la sua irrazionalità. Gli effetti del militarismo diventano sempre più imprevedibili e disastrosi. I nostri materialisti volgari non comprendono questo aspetto e obiettano che le guerre hanno sempre una motivazione economica, e quindi una razionalità. Non vedono che le guerre di oggi non hanno fondamentalmente motivazioni economiche, ma geostrategiche, e che non raggiungono più i loro obiettivi originari, ma portano al risultato opposto. (...) La guerra in Ucraina ne è una conferma esemplare: quali che siano gli obiettivi geostrategici dell'imperialismo russo o americano, il risultato sarà un Paese in rovina (l'Ucraina), un Paese rovinato economicamente e militarmente (la Russia), una situazione imperialista ancora più tesa e caotica, dall’Europa all'Asia centrale e, infine, milioni di rifugiati in Europa”.
All’interno dell’organizzazione, alcuni compagni sono in forte disaccordo con questa analisi dell’attuale dinamica imperialista. Per loro, la guerra in Ucraina non è solo il risultato di una tendenza alla bipolarizzazione del mondo. Intorno alla Cina, da un lato, e agli Stati Uniti, dall'altro, starebbero prendendo forma due campi sempre più chiaramente definiti, due campi che, col tempo, potrebbero formare blocchi imperialisti e scontrarsi in una terza guerra mondiale.
Il Congresso è stato una nuova occasione per rispondere a queste domande: “Le conseguenze del conflitto in Ucraina non stanno affatto portando a una “razionalizzazione” delle tensioni attraverso un allineamento “bipolare” degli imperialismi dietro due “padrini” dominanti, ma al contrario all’esplosione di una molteplicità di ambizioni imperialiste, che non si limitano a quelle dei maggiori imperialismi, né all’Europa orientale e all'Asia centrale, il che accentua il carattere caotico e irrazionale degli scontri”.
Per essere all’altezza delle loro responsabilità e individuare tutti i pericoli che incombono sull’umanità, e soprattutto sulla classe operaia, i rivoluzionari devono comprendere la coerenza dell’intera situazione e la sua reale gravità. Il nostro rapporto mostra che solo il metodo marxista e il suo materialismo permettono una tale comprensione, un materialismo non volgare ma dialettico e storico capace di abbracciare tutti i fattori nella loro relazione e nel loro movimento, un materialismo che integra la forza del pensiero nella sua relazione e nella sua influenza su tutto il mondo materiale, perché il pensiero è una delle forze motrici della Storia. Il nostro rapporto evidenzia quattro punti centrali che appartengono a questo metodo.
1. La trasformazione della quantità in qualità
Applicato alla situazione storica che si è aperta nel 1989/90, si traduce come segue: le manifestazioni di decomposizione possono essere esistite nella decadenza del capitalismo, ma oggi l'accumulo di queste manifestazioni è la prova di una trasformazione-rottura nella vita della società, che segnala l'ingresso in una nuova epoca della decadenza del capitalismo in cui la decomposizione diventa l'elemento decisivo.
2. Il tutto non è la somma delle sue parti
Questo è uno dei fenomeni principali della situazione attuale. Le varie manifestazioni della decomposizione che, all'inizio, potevano sembrare indipendenti ma il cui accumulo indicava già che eravamo entrati in una nuova epoca della decadenza capitalistica, si ripercuotono oggi sempre più le une sulle altre in una sorta di “reazione a catena” che s’amplifica sempre più, un “vortice” che sta dando alla storia l’accelerazione di cui siamo testimoni. Questi effetti cumulativi superano ormai di gran lunga la loro semplice somma.
3. L’approccio storico all'attualità
In questo approccio storico, l’obiettivo è quello di tener conto del fatto che la realtà che esaminiamo non è costituita da elementi statici e intangibili che esistono da sempre, ma corrisponde a processi in continua evoluzione, con elementi di continuità ma anche, e soprattutto, di trasformazione e persino di rottura.
4. L’importanza del futuro nella vita delle società umane
La dialettica marxista attribuisce al futuro un posto fondamentale nell’evoluzione e nel movimento della società. Dei tre momenti di un processo storico - passato, presente e futuro - è quest’ultimo a costituire il fattore fondamentale della sua dinamica. Ed è proprio perché la società odierna è privata di questo elemento fondamentale, il futuro, la prospettiva (cosa che viene avvertita da un numero crescente di persone, particolarmente tra i giovani), una prospettiva che solo il proletariato può offrire, che sta sprofondando e marcendo nella disperazione.
È questo metodo che permette alla nostra risoluzione sulla situazione internazionale di elevare la nostra analisi dall’astratto al concreto: “... oggi assistiamo a questo "effetto vortice" in cui tutte le diverse espressioni di una società in decomposizione interagiscono tra loro e accelerano la discesa nella barbarie. Così, la crisi economica è stata palesemente aggravata dalla pandemia e dai lock-down, dalla guerra in Ucraina e dal costo crescente dei disastri ecologici; nel frattempo, la guerra in Ucraina avrà gravi implicazioni ecologiche e globali; la competizione per le risorse naturali in diminuzione aggraverà ancor più le rivalità militari e le rivolte sociali”.
Il ritorno della classe operaia in lotta
Dall'altra parte di questo polo di distruzione c’è il polo della prospettiva rivoluzionaria del proletariato.
Gli ultimi mesi hanno dimostrato che il proletariato non solo non è sconfitto, ma sta addirittura iniziando ad alzare la testa, a ritrovare la strada della lotta. Già nell’estate del 2022, la CCI ha riconosciuto negli scioperi in Gran Bretagna un cambiamento nella situazione della classe operaia. Nel nostro volantino internazionale pubblicato il 31 agosto, “Un’estate di rabbia in Gran Bretagna: la classe dominante chiede altri sacrifici, la risposta della classe operaia è la lotta! [94]”, abbiamo scritto: “Enough is enough”, “Quando è troppo è troppo”. Questo grido è risuonato da uno sciopero all'altro nelle ultime settimane nel Regno Unito. Questo movimento di massa, soprannominato “L'estate del malcontento” [...], ha coinvolto ogni giorno i lavoratori di un numero sempre maggiore di settori [...]. solo i grandi scioperi del 1979 hanno prodotto un movimento più grande e più diffuso. Un'azione di questa portata in un Paese importante come la Gran Bretagna non è significativa solo a livello locale, ma è un evento di portata internazionale, un messaggio per gli sfruttati di ogni Paese. [...] i massicci scioperi in Gran Bretagna sono una chiamata all’azione per i proletari di tutto il mondo”.
Teoricamente armata per comprendere gli scioperi e le manifestazioni che sono emersi in numerosi paesi, la CCI è stata in grado di intervenire, nella misura delle sue forze, distribuendo otto diversi volantini, al fine di seguire l’evoluzione del movimento e la riflessione della classe operaia. Tutti questi volantini hanno in comune il fatto di evidenziare:
Anche in questo caso, come per la guerra in Ucraina, esiste un disaccordo e un dibattito all’interno dell’organizzazione. Gli stessi compagni che ritengono di vedere nella guerra in Ucraina un passo verso la costituzione di blocchi imperialisti e la terza guerra mondiale, avanzano l’idea che le lotte e la combattività operaia attuali non costituiscano una rottura della dinamica negativa a partire dagli anni ‘80, caratterizzata da una lunga serie di sconfitte non definitive ma che hanno portato a un grave indebolimento della classe, soprattutto a livello di coscienza. In questa visione, “in un mondo capitalista che, più che mai dal 1989, si muove caoticamente e 'naturalmente' verso la guerra, la risposta del proletariato a livello politico rimane molto al di sotto di quanto la situazione richiede” (uno degli emendamenti dei compagni alla risoluzione sulla situazione internazionale, respinto dal Congresso). Per loro, la situazione attuale, pur non essendo identica (vedi il corso storico), ricorda quella degli anni '30, con un proletariato combattivo in molti Paesi centrali ma tuttavia incapace di evitare la guerra. “[…] per il momento, il necessario sviluppo di assemblee di massa e di un’autentica cultura del dibattito non si sono ancora verificati. Né è emersa una nuova generazione di militanti proletari politicizzati”. (ibid.) Un altro argomento è stato avanzato per spiegare la portata dei movimenti sociali e la proliferazione degli scioperi in molti Paesi: la carenza di manodopera in molti settori e la necessità di far girare a pieno regime l’economia di guerra rendono la situazione favorevole per la classe operaia per chiedere aumenti di salari. Per il Congresso, la realtà che si sta dispiegando sotto i nostri occhi, ossia l'ondata di pauperizzazione in corso, con i prezzi che salgono alle stelle mentre i salari ristagnano e gli attacchi governativi piovono, smentisce questa teoria.
Per i compagni, i volantini distribuiti dalla CCI, circa 150.000, nei vari movimenti sociali negli ultimi mesi, non corrispondono ai bisogni della situazione. Coerentemente con la loro analisi di un proletariato quasi sconfitto e di una dinamica verso la costituzione di due blocchi e verso la guerra mondiale, il primo compito dei rivoluzionari non è l’intervento ma il coinvolgimento nell’approfondimento teorico.
Al contrario, il Congresso ha tracciato un bilancio molto positivo dell’intervento internazionale dell’organizzazione nelle lotte. La CCI sapeva che non avrebbe influenzato la classe e il movimento nel suo complesso, le organizzazioni rivoluzionarie non possono avere un tale impatto nell’attuale periodo storico; questo ruolo di guida delle masse è possibile solo quando la classe ha sviluppato la sua coscienza e la sua lotta storica a un livello molto più elevato. Questo intervento era rivolto a una parte della classe operaia, la minoranza che è oggi alla ricerca delle posizioni di classe. Il numero significativo di discussioni che la distribuzione di questi volantini nei cortei ha provocato, le lettere ricevute, i nuovi partecipanti alle nostre diverse riunioni pubbliche, dimostrano che il nostro intervento ha svolto il suo ruolo, che è quello di stimolare la riflessione di una parte delle minoranze, provocare il dibattito e incoraggiare il raggruppamento delle forze rivoluzionarie.
Dietro l’immediato riconoscimento del significato storico del ritorno della lotta di classe nel Regno Unito e delle sue implicazioni per il nostro intervento nella lotta, c’è lo stesso metodo che ci ha permesso di cogliere la novità nell’attuale accelerazione della decomposizione, con il suo “effetto vortice”: la trasformazione della quantità in qualità, l’approccio storico... ma una sfaccettatura di questo metodo è qui particolarmente importante: l’approccio all’evento attraverso la sua dimensione internazionale.
Fu proprio la considerazione della dimensione fortemente internazionale della lotta di classe che, nel 1968, permise a coloro che avrebbero fondato la CCI di cogliere immediatamente il significato reale e profondo degli eventi del Maggio. Mentre l’insieme dei gruppi politici proletari dell’epoca non vedeva altro che una rivolta studentesca e sosteneva che non c’era “nulla di nuovo sotto il sole”, il nostro compagno Marc Chirik e i militanti che cominciavano a riunirsi vedevano che questo movimento annunciava la fine della controrivoluzione e l’apertura di un nuovo periodo di lotta di classe su scala internazionale.
Per questo motivo, il punto 8 della risoluzione internazionale che abbiamo adottato, esplicitamente intitolata “La rottura con i 30 anni di ritirata e di disorientamento”, afferma: “La ripresa della combattività operaia in un certo numero di paesi è un evento storico importante che non è il risultato delle sole circostanze locali e che non può essere spiegato da condizioni puramente nazionali. [...] Il fatto che le lotte attuali siano state avviate da una frazione del proletariato che ha sofferto maggiormente dell’arretramento generale della lotta di classe dalla fine degli anni ‘80 è profondamente significativo: così come la sconfitta in Gran Bretagna nel 1985 annunciava l’arretramento generale della fine degli anni ‘80, così il ritorno degli scioperi e della combattività operaia in Gran Bretagna rivela l’esistenza di una corrente profonda all’interno del proletariato di tutto il mondo”.
In realtà, c’eravamo preparati a questa possibilità fin dall'inizio del 2022! A gennaio abbiamo pubblicato un volantino internazionale intitolato “Verso un brutale deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro”. Facendo leva sui segnali che la lotta stava iniziando a sviluppare, abbiamo annunciato la possibilità di una risposta da parte della nostra classe. Il ritorno dell’inflazione era un terreno fertile per la combattività dei lavoratori.
Un mese dopo, lo scoppio della guerra in Ucraina ha aggravato notevolmente gli effetti della crisi economica, facendo impennare i prezzi dell'energia e dei generi alimentari.
Consapevole delle difficoltà profonde della nostra classe, ma conoscendo la storia delle sue lotte, la CCI sapeva che non ci sarebbe stata una reazione diretta e su vasta scala da parte della classe di fronte alla barbarie della guerra, ma che c'era, invece, la possibilità di una reazione agli effetti della guerra, in Europa e negli Stati Uniti[3]: scioperi di fronte ai sacrifici richiesti in nome dell’economia di guerra. Ed è esattamente quello che si è verificato.
Su queste basi teoriche e storiche, la CCI non si è illusa sulla possibilità di una reazione di classe alla guerra, non ha ritenuto credibile che sorgessero dovunque comitati internazionalisti, tanto meno ha provato a crearne artificialmente. La nostra risposta è stata anzitutto quella di cercare di difendere il più fermamente possibile la tradizione internazionalista della Sinistra Comunista, facendo appello a tutte le forze dell’ambiente politico proletario a raggrupparsi intorno a una dichiarazione comune. Mentre gran parte di questo ambiente ha ignorato o addirittura respinto[4] il nostro appello, tre gruppi (Internationalist Voice [95], Istituto Onorato Damen [96] e Internationalist Communist Perspectives [97]) hanno risposto per mantenere vivo il metodo di lotta e di raggruppamento delle forze internazionaliste che avevano dato luogo alle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, nel settembre 1915 e nell’aprile 1916, di fronte alla Prima Guerra Mondiale.[5]
I villaggi di Zimmerwald e Kienthal, in Svizzera, sono diventati famosi per essere stati i luoghi in cui i socialisti di entrambe le parti si incontrarono durante la Prima Guerra Mondiale per iniziare una lotta internazionale che ponesse fine al massacro e denunciare i leader patriottici dei partiti socialdemocratici. Fu in questi incontri che i bolscevichi, sostenuti dalla Sinistra di Brema e dalla Sinistra olandese, indicarono i principi essenziali dell’internazionalismo contro la guerra imperialista tuttora validi: nessun sostegno a nessuno dei due schieramenti imperialisti, rifiuto di ogni illusione pacifista e riconoscimento che solo la classe operaia e la sua lotta rivoluzionaria possono porre fine al sistema basato sullo sfruttamento della forza lavoro e che produce costantemente la guerra imperialista. Oggi, di fronte all’accelerazione del conflitto imperialista in Europa, è dovere delle organizzazioni politiche che fanno riferimento all’eredità politica della Sinistra Comunista, continuare a innalzare la bandiera di un coerente internazionalismo proletario e fornire un punto di riferimento per coloro che difendono i principi della classe operaia. Questa, almeno, è la scelta delle organizzazioni e dei gruppi della sinistra comunista che hanno deciso di pubblicare questa dichiarazione comune per diffondere il più estesamente possibile i principi internazionalisti forgiati contro la barbarie della guerra mondiale.
Questo modo di raggruppare le forze rivoluzionarie attorno ai principi fondamentali della sinistra comunista è una lezione storica per il futuro. Zimmerwald ieri e la dichiarazione congiunta oggi sono piccole pietre bianche che indicano la strada per il domani.
La responsabilità dei rivoluzionari
I dibattiti preparatori e il Congresso stesso hanno messo al centro la questione essenziale della costruzione dell’organizzazione. Se questa è chiaramente la dimensione centrale delle attività della CCI, questa preoccupazione per il futuro va ben oltre la nostra sola organizzazione.
“Di fronte al crescente confronto tra i due poli dell’alternativa - distruzione dell’umanità o rivoluzione comunista - le organizzazioni rivoluzionarie della sinistra comunista, e la CCI in particolare, hanno un ruolo insostituibile da svolgere nello sviluppo della coscienza di classe. Esse devono dedicare le loro energie al lavoro permanente di approfondimento teorico, proponendo un’analisi chiara della situazione mondiale e intervenendo nelle lotte della nostra classe per difendere la necessità dell’autonomia, dell’autorganizzazione e dell’unificazione della classe e dello sviluppo della prospettiva rivoluzionaria. Questo lavoro può essere svolto solo sulla base di una paziente costruzione organizzativa, gettando le basi per il partito mondiale di domani. Tutti questi compiti richiedono una lotta militante contro tutte le influenze dell’ideologia borghese e piccolo-borghese nell'ambiente della sinistra comunista e nella stessa CCI. Nell’attuale congiuntura, i gruppi della sinistra comunista si trovano di fronte al pericolo di una vera e propria crisi: con poche eccezioni, non sono stati in grado di unirsi in difesa dell’internazionalismo di fronte alla guerra imperialista in Ucraina e sono sempre più aperti alla penetrazione dell’opportunismo e del parassitismo. Un’adesione rigorosa al metodo marxista e ai principi proletari è l'unica risposta a questi pericoli.” (punto 9 della Risoluzione sulla Situazione Internazionale[6]).
Affinché la rivoluzione sia possibile a lungo termine, il proletariato deve avere nelle sue mani l’arma del Partito. È questa costruzione futura del Partito che deve essere preparata fin da oggi. In altre parole, una minoranza di rivoluzionari organizzati porta sulle proprie spalle la responsabilità di far vivere le organizzazioni attuali, di far vivere i principi storici del movimento operaio e particolarmente della sinistra comunista, e di trasmettere questi principi e queste posizioni alla nuova generazione che gradualmente si unirà al campo rivoluzionario.
Qualsiasi spirito di competizione, qualsiasi opportunismo, qualsiasi concessione all’ideologia borghese e al parassitismo all’interno dell’ambiente politico proletario sono tutte pugnalate alle spalle della rivoluzione. Nel difficilissimo contesto dell’accelerazione della decomposizione, che disorienta, che spinge al ciascuno per sé, che mina la fiducia nella capacità della classe e delle sue minoranze di organizzarsi e di unirsi, è responsabilità dei rivoluzionari non cedere e continuare a tenere alta la bandiera dei principi della sinistra comunista.
Le organizzazioni rivoluzionarie devono far fronte a una sfida enorme: essere in grado di trasmettere l’esperienza accumulata dalla generazione emersa dall’ondata di lotte del maggio '68.
Dalla fine degli anni Sessanta, per quasi sessant'anni, il capitalismo mondiale decadente è lentamente sprofondato in una crisi economica senza fine e in una barbarie crescente. Se dal 1968 alla metà degli anni Ottanta il proletariato ha condotto tutta una serie di lotte e ha accumulato una grande esperienza, in particolare nel confronto con i sindacati, la lotta di classe è declinata bruscamente a partire dal 1985/1986 e si è quasi spenta fino ad oggi. In questo contesto molto difficile, pochissime forze militanti si sono unite alle organizzazioni rivoluzionarie. Sotto i colpi della propaganda menzognera sulla “morte del comunismo” nel 1989/1990, un’intera generazione è stata persa. Da allora, con lo sviluppo della decomposizione, che attacca subdolamente la convinzione militante favorendo il no future, l'individualismo, la perdita di fiducia nel collettivo organizzato e nella lotta storica della classe operaia, molte forze militanti hanno gradualmente abbandonato la lotta e sono scomparse.
Quindi oggi il futuro dell’umanità poggia su un numero molto ridotto di militanti sparsi in tutto il mondo. Lo stato disastroso dell’ambiente politico proletario, incancrenito dallo spirito di competizione e dall’opportunismo, rende ancora più scarse le possibilità di successo della rivoluzione. Pertanto, il ruolo delle organizzazioni rivoluzionarie in generale, e della CCI in particolare, è ancora più vitale. Trasmettere alle nuove generazioni di militanti rivoluzionari che stanno iniziando ad arrivare le lezioni della nostra storia e delle organizzazioni del passato, lo spirito rivoluzionario di generazioni di militanti del passato che le hanno animate, è questa la chiave per il futuro.
CCI, 11 giugno 2023
[2] Update of the Theses on Decomposition (2023) [100], Actualisation des thèses sur la décomposition (2023) [101]
[3] Il nostro rapporto sulla lotta di classe e il dibattito al congresso ci hanno ricordato ancora una volta il ruolo cruciale del proletariato dei Paesi occidentali che, per la sua storia e la sua esperienza, avrà la responsabilità di mostrare al proletariato mondiale la via della rivoluzione. Il nostro rapporto ricorda anche ampiamente la nostra posizione sulla “critica dell’anello debole”. È proprio questo approccio che ci ha permesso di prendere atto dell’eterogeneità del proletariato nelle diverse parti del mondo, dell’immensa debolezza del proletariato dei Paesi dell’Est e di anticipare la possibilità di conflitti nei Balcani. Così, già questa primavera, il nostro rapporto traeva le lezioni dalla guerra in Ucraina e prevedeva che: “L’incapacità della classe operaia di questi Paesi di opporsi alla guerra e al suo reclutamento, incapacità che ha reso possibile la macelleria imperialista in atto, indica fino a che punto la barbarie e il marciume capitalista stanno guadagnando terreno in parti sempre più ampie del globo. Dopo l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia centrale, una parte dell’Europa centrale è ora minacciata dal rischio di precipitare nel caos imperialista. L’Ucraina ha dimostrato che in alcuni Paesi satelliti dell'ex URSS, in Bielorussia, in Moldavia e nell'ex Jugoslavia, esiste un proletariato molto indebolito da decenni di sfruttamento forsennato da parte dello stalinismo in nome del comunismo, dal peso delle illusioni democratiche e incancrenito dal nazionalismo, così che la guerra può infuriare. In Kosovo, Serbia e Montenegro, le tensioni stanno effettivamente aumentando”.
[4] Ad esempio, la TCI ha preferito buttarsi nell’avventura di “No war but the class war”. Leggere a tale proposito il nostro articolo “Un comitato che trascina i partecipanti in un vicolo cieco [102]”.
[5] Il testo è disponibile qui: “Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra Comunista Internazionale sulla guerra in Ucraina [103]”.
La CCI ha adottato nel maggio 1990 delle tesi intitolate "La decomposizione, fase ultima della decadenza capitalista", che presentavano la nostra analisi globale della situazione mondiale durante e dopo il crollo del blocco imperialista dell'Est, fine 1989. L'idea centrale di queste tesi, come ne indica il titolo, era che la decadenza del modo di produzione capitalista, iniziata con la prima guerra mondiale, era entrata in una nuova fase della sua evoluzione, quella dominata dalla decomposizione generalizzata della società. Nel corso del suo 22° congresso, nel 2017, adottando un testo intitolato "Rapporto sulla decomposizione oggi (maggio 2017)", la nostra organizzazione aveva ritenuto necessario aggiornare il documento del 1990, per "confrontare i punti essenziali delle tesi con la situazione attuale: in che misura gli aspetti evidenziati siano stati verificati, addirittura amplificati, oppure smentiti o da completare". Questo secondo documento, scritto 27 anni dopo il primo, mostrava che l'analisi adottata nel 1990 era stata ampiamente verificata. Allo stesso tempo, il testo del 2017 aveva affrontato aspetti della situazione mondiale che non apparivano nel testo del 1990 ma che completavano il quadro presentato da quest’ultimo, assumendone maggiore importanza: l’esplosione dei flussi di rifugiati in fuga dalle guerre, carestie, persecuzioni e anche l’ascesa del populismo xenofobo che andava ad incidere in maniera crescente sulla vita politica della classe dominante.
Oggi, la CCI ritiene necessario effettuare un nuovo aggiornamento dei testi del 1990 e del 2017, non un quarto di secolo dopo quest’ultimo, ma solo 6 anni dopo e questo perché, in quest’ultimo periodo, abbiamo assistito ad una spettacolare accelerazione e amplificazione delle manifestazioni di questa decomposizione generale della società capitalista.
Questa evoluzione catastrofica e accelerata dello stato del mondo non è ovviamente sfuggita all’attenzione dei principali dirigenti politici ed economici del pianeta. Nel “Global Risks Report 2023” (GRR) basato sulle analisi di una moltitudine di “esperti” (1200 nel 2022) e che viene presentato ogni anno al forum di Davos (World Economic Forum – WEF), che riunisce questi leader, possiamo leggere: "I primi anni di questo decennio hanno segnato un periodo particolarmente turbolento della storia umana. Il ritorno a una 'nuova normalità' dopo la pandemia da COVID-19 è stato rapidamente compromesso dallo scoppio della guerra in Ucraina, inaugurando una nuova serie di crisi alimentari ed energetiche – scatenando problemi che decenni di progresso stavano cercando di risolvere.
All’inizio del 2023, il mondo si trova ad affrontare una serie di rischi del tutto nuovi e terribilmente familiari. Abbiamo assistito al ritorno di “vecchi” rischi – inflazione, crisi del costo della vita, guerre commerciali, deflussi di capitali dai mercati emergenti, disordini sociali generalizzati, scontri geopolitici e lo spettro della guerra nucleare – che pochi leader aziendali e dirigenti pubblici di questa generazione hanno conosciuto. Questi fenomeni sono amplificati da sviluppi relativamente nuovi nel panorama mondiale dei rischi, tra cui livelli di debito insostenibili, una nuova era di bassa crescita, investimenti globali ridotti e deglobalizzazione, un declino dello sviluppo umano dopo decenni di progresso, lo sviluppo rapido e incontrollato di tecnologie a duplice uso (civile e militare) e la crescente pressione degli impatti e delle ambizioni legate ai cambiamenti climatici in una finestra di transizione verso un mondo a +1,5°C che non cessa di fermarsi. Tutti questi elementi convergono per dare forma ad un decennio unico, incerto e travagliato". (Principali conclusioni: alcuni estratti).
In generale, sia nelle dichiarazioni dei governi che nei grandi media, la classe dominante cerca di attenuare le osservazioni sull’estrema gravità della situazione mondiale. Ma quando riunisce i principali leader del mondo, dove parla solo a sé stessa, come durante l’annuale Forum di Davos, non può fare a meno di esprimere una certa lucidità. D'altra parte è significativo che le allarmanti osservazioni contenute in questo rapporto abbiano avuto ben poca risonanza nei principali media, la cui vocazione fondamentale non è quella di informare onestamente la popolazione, e in particolare gli sfruttati, ma di agire come agenzie di propaganda destinate a far loro accettare una situazione che sta diventando sempre più catastrofica, per nascondere loro il completo fallimento storico del modo di produzione capitalista.
In effetti, le osservazioni contenute nel rapporto presentato al Forum di Davos nel gennaio 2023 sono ampiamente in linea con il testo adottato dalla CCI nell’ottobre 2022 intitolato “L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità". In realtà, l’analisi della CCI ha preceduto non di pochi mesi quella degli “esperti” più informati della classe dominante ma di diversi decenni poiché i risultati fissati nel nostro documento dell’ottobre 2022 non sono che una conferma eclatante delle previsioni che avevamo già avanzato alla fine degli anni '80, in particolare nelle nostre "tesi sulla decomposizione". Che i comunisti abbiano un certo vantaggio, addirittura un netto vantaggio, rispetto agli “esperti” borghesi nel prevedere le grandi tendenze catastrofiche che sono all’opera nel mondo capitalista non sorprende: la classe dominante può, di regola, nascondere a sé stessa e alla classe che sfrutta e che sola può fornire una soluzione alle contraddizioni che minano la società, il proletariato, una realtà fondamentale: come i modi di produzione che lo hanno preceduto, il modo di produzione capitalista non è eterno. Come i modi di produzione del passato, esso è destinato a essere sostituito, se non distrugge prima l'umanità, da un altro modo di produzione superiore corrispondente allo sviluppo delle forze produttive da lui raggiunto in un determinato momento della sua storia. Un modo di produzione che abolirà i rapporti mercantili che sono al centro della crisi storica del capitalismo, dove non ci sarà più spazio per una classe privilegiata che vive dello sfruttamento dei produttori. Ma poiché non riesce a prevedere la sua scomparsa, la classe borghese è in generale incapace di considerare con lucidità le contraddizioni che portano alla caduta della società da essa dominata.
Nella postfazione alla seconda edizione tedesca del Capitale, Marx scriveva: "Quello che più vivamente fa avvertire al pratico borghese il movimento contraddittorio della società capitalistica sono le incerte vicende del ciclo periodico che ha percorso la moderna industria, e il termine ultimo di esse, cioè la crisi generale. Essa si sta di nuovo muovendo, sebbene sia ancora solo agli inizi; e, per l'universalità del suo apparire oltre che per l'intensità dei suoi effetti, caccerà la dialettica persino nella testa dei fortunati parassiti del nuovo sacro impero prusso-tedesco. ".
Nello stesso momento in cui la CCI ha adottato le tesi sulla decomposizione che annunciavano l'ingresso del capitalismo in una nuova fase, la fase ultima della sua decadenza, segnata da un aggravamento qualitativo delle contraddizioni di questo sistema e da una decomposizione generale della società, il "borghese pratico", in particolare nella persona del presidente Bush senior, era estasiato dalla nuova gloriosa prospettiva che, ai suoi occhi, il crollo dei regimi stalinisti e del blocco "sovietico" inaugurava, un'era di "pace" e di "prosperità". Oggi, di fronte al "movimento contraddittorio della società capitalista", non nella forma di una crisi ciclica come quelle del XIX secolo, ma di una crisi permanente e insolubile della sua economia che genera uno sconvolgimento e un caos crescente nella società, questo stesso "borghese pratico" è costretto a fare entrare nella sua testa un po' di "dialettica".
È per questo motivo che l’aggiornamento delle tesi si baserà in gran parte sulle analisi e previsioni contenute nel “Global Risks Report” del 2023 contestualmente al nostro testo dell’ottobre 2022 di cui costituisce, attraverso un'attenta visione, una conferma. Una conferma portata dalle più lucide istanze della classe dominante, in realtà una vera e propria ammissione del fallimento storico del suo sistema. L'utilizzo di dati e analisi forniti dalla classe nemica non è una "innovazione" della CCI. Infatti, i rivoluzionari generalmente non hanno i mezzi per raccogliere i dati e le statistiche che l’apparato statale e amministrativo della borghesia raccoglie per i propri bisogni di gestione della società. È sulla base, in parte, di questo tipo di dati che Engels ha elaborato, ovviamente con occhio critico, il suo studio su "La situazione della classe operaia in Inghilterra". E Marx, soprattutto nel Capitale, usa spesso le “note blu” delle inchieste parlamentari britanniche. Per quanto riguarda le analisi e le previsioni degli “esperti” della borghesia occorre essere ancora più critici sui dati di fatto, soprattutto quando corrispondono a una propaganda intesa a “dimostrare” che il capitalismo è il migliore o l’unico sistema capace di garantire il progresso e il benessere umano. Tuttavia, quando queste analisi e previsioni sottolineano l’impasse catastrofica in cui si trova questo sistema, che ovviamente non può corrispondere alla sua apologia, è utile e importante fare affidamento su di esse per sostenere e rafforzare le nostre stesse analisi e previsioni.
Parte I: Gli anni 2020 inaugurano una nuova fase della decomposizione del capitalismo
Nel testo adottato nell’ottobre 2022 possiamo leggere:
"Gli anni '20 del 21° secolo si annunciano come uno dei periodi più convulsi della storia e già si accumulano catastrofi e sofferenze indescrivibili. Essi sono cominciati con la pandemia del Covid-19 (che ancora continua) e una guerra nel cuore dell’Europa, che dura già da più di 9 mesi e di cui nessuno può prevedere l’esito. Il capitalismo è entrato in una fase di gravi sconvolgimenti su tutti i piani. Dietro questa accumulazione e interconnessione di convulsioni si profila la minaccia della distruzione dell’umanità (...).
Con l’improvvisa irruzione della pandemia Covid, abbiamo messo in evidenza l’esistenza di quattro caratteristiche proprie della decomposizione:
L’anno 2022 ha fornito una illustrazione clamorosa di queste quattro caratteristiche, attraverso:
L’aggregazione e l’interazione dei fenomeni distruttivi sbocca in un “effetto vortice” che concentra, catalizza e moltiplica ognuno degli effetti parziali, provocando dei danni ancora più disastrosi. (…) Ora, questo “effetto vortice” costituisce un cambiamento qualitativo le cui conseguenze saranno ancora più manifeste nel prossimo periodo.
In questo quadro bisogna sottolineare il ruolo motore della guerra in quanto azione voluta e pianificata dagli Stati capitalisti, diventando il fattore più potente e grave del caos e della distruzione. Nei fatti, la guerra in Ucraina ha avuto un effetto moltiplicatore dei fattori di barbarie e di distruzione (…)
In questo contesto bisogna comprendere in tutta la sua gravità l’espansione della crisi ambientale che arriva a dei livelli mai visti prima:
Le osservazioni degli “esperti” del WEF non sono differenti:
"Il prossimo decennio sarà caratterizzato da crisi ambientali e sociali, alimentate dalle tendenze geopolitiche ed economiche sottostanti. La "crisi del costo della vita" è classificata come il più grave rischio mondiale per i prossimi due anni, con un picco a breve termine. La "perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi" sono considerati come uno dei rischi globali che peggioreranno più rapidamente nel prossimo decennio, e tutti e sei i rischi ambientali figurano tra i primi dieci rischi per i prossimi dieci anni. Nove rischi figurano nella classifica dei primi dieci rischi a breve e lungo termine, tra cui lo "scontro geo-economico" e "l'erosione della coesione sociale e della polarizzazione sociale", nonché due nuovi arrivati nella classificazione: "criminalità informatica generalizzata, sicurezza informatica" e "migrazione involontaria su larga scala".
I governi e le banche centrali potrebbero trovarsi nella condizione di far fronte a pressioni inflazionistiche persistenti nei prossimi due anni, principalmente in ragione della possibilità di una guerra prolungata in Ucraina, di persistenti costrizioni legate alla pandemia e di una guerra economica che porterà al disaccoppiamento delle catene di approvvigionamento. Anche rischi al ribasso per le prospettive economiche sono significativi. Uno squilibrio tra le politiche monetarie e di bilancio aumenterà la probabilità di shock di liquidità, segnalando una recessione economica più prolungata e un eccesso di debito globale. Il perdurare dell’inflazione guidata dall’offerta potrebbe portare alla stagflazione, le cui conseguenze socioeconomiche potrebbero essere gravi, data un’interazione senza precedenti con livelli storicamente elevati di debito pubblico. La frammentazione dell’economia globale, le tensioni geopolitiche e le ristrutturazioni più difficili potrebbero contribuire a un diffuso sovraindebitamento per i prossimi dieci anni. (…)
La guerra economica diventa la norma, con crescenti scontri tra le potenze mondiali e crescenti interventi statali sui mercati nei prossimi due anni. Le politiche economiche saranno utilizzate in modo difensivo, per rafforzare l’autosufficienza e la sovranità di fronte alle potenze rivali, ma saranno sempre più utilizzate anche in modo offensivo per limitare l’ascesa di altri. L’intensa militarizzazione geo-economica metterà in luce le vulnerabilità della sicurezza poste dall’interdipendenza commerciale, finanziaria e tecnologica tra le economie integrate a livello globale, rischiando così un’escalation del ciclo di sfiducia e disaccoppiamento.
Gli intervistati del GRPS prevedono che nei prossimi 10 anni gli scontri interstatali rimarranno in gran parte di natura economica. Tuttavia, il recente aumento della spesa militare e la proliferazione di nuove tecnologie a più attori potrebbero portare a una corsa agli armamenti globale in tecnologie emergenti. Il panorama dei rischi globali a lungo termine potrebbe essere definito da conflitti multicampo e da guerre asimmetriche, con il dispiegamento mirato di nuove armi tecnologiche su una scala potenzialmente più distruttiva di quanto visto negli ultimi decenni.
Il crescente intreccio delle tecnologie nel funzionamento critico delle società espone le popolazioni a minacce interne dirette, comprese quelle che cercano di interrompere il funzionamento della società. Insieme all’aumento della criminalità informatica, i tentativi di interrompere risorse e servizi tecnologici critici diventeranno più comuni, con attacchi previsti all’agricoltura e all’acqua, ai sistemi finanziari, alla sicurezza pubblica, ai trasporti, all’energia e alle infrastrutture di comunicazione nazionali, spaziali e sottomarine.
La distruzione della natura e il cambiamento climatico sono intrinsecamente legati: un fallimento di un’area si riverserà nell’altra. In assenza di cambiamenti politici o investimenti significativi, l’interazione tra gli effetti del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, della sicurezza alimentare e del consumo di risorse naturali accelererà il collasso degli ecosistemi, minaccerà le forniture alimentari e i mezzi di sussistenza nelle economie vulnerabili al clima, amplificherà gli effetti dei disastri naturali e limiterà i progressi messi in atto per mitigare il cambiamento climatico.
Le crisi aggravate ampliano il loro impatto sulle società, colpendo i mezzi di sussistenza di una fascia molto più ampia della popolazione e destabilizzando più economie in tutto il mondo rispetto alle comunità tradizionalmente vulnerabili e agli Stati fragili. Sulla base dei rischi più gravi attesi per il 2023 – in particolare la “crisi dell’approvvigionamento energetico”, “l’aumento dell’inflazione” e la “crisi dell’approvvigionamento alimentare” – si sta già avvertendo una crisi mondiale del costo della vita. (…)
I perturbamenti sociali e l'instabilità politica non si limiteranno ai mercati emergenti, poiché le pressioni economiche continuano a prosciugare la fascia di redditi medi. La crescente frustrazione dei cittadini per le perdite di sviluppo umano e il declino della mobilità sociale, così come il crescente divario nei valori e nell’uguaglianza, rappresentano una sfida esistenziale per i sistemi politici di tutto il mondo. L’elezione di leader meno centristi e la polarizzazione politica tra le superpotenze economiche nei prossimi due anni potrebbero anche ridurre ulteriormente lo spazio per la risoluzione collettiva dei problemi, rompendo le alleanze e portando a dinamiche più volatili.
Con la riduzione dei finanziamenti del settore pubblico e le preoccupazioni legate alla sicurezza, la nostra capacità di assorbire il prossimo shock globale si sta riducendo. Nei prossimi dieci anni, meno paesi disporranno di margini di manovre economiche per investire nella crescita futura, nelle tecnologie verdi, nell’istruzione, nell’assistenza e nei sistemi sanitari.
Gli shock concomitanti, i rischi profondamente interconnessi e l’erosione della resilienza aumentano il rischio di policrisi, dove crisi disparate interagiscono in modo tale che l’impatto complessivo supera di gran lunga la somma di ciascuna parte. L’erosione della cooperazione geopolitica avrà effetti a catena sul panorama dei rischi globali nel medio termine, contribuendo anche ad una potenziale policrisi di rischi ambientali, geopolitici e socioeconomici interdipendenti legati alla domanda e all’offerta di risorse naturali. Il rapporto delinea quattro potenziali futuri incentrati sulla carenza di cibo, acqua, metalli e minerali, che potrebbero innescare una crisi umanitaria ed ecologica, che va dalle guerre per l’acqua e per le carestie al continuo sfruttamento eccessivo delle risorse ecologiche, fino al rallentamento della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico". (Principali conclusioni: alcuni estratti)
"La combinazione di eventi meteorologici estremi e di un approvvigionamento limitato potrebbe trasformare l'attuale crisi del costo della vita in uno scenario catastrofico di fame e disagio per milioni di persone nei paesi dipendenti dalle importazioni o trasformare la crisi energetica in una crisi umanitaria nei mercati emergenti più poveri.
Secondo le stime, le inondazioni in Pakistan hanno distrutto più di 800.000 ettari di terreni agricoli, ... Le previste siccità e carenze idriche potrebbero portare al declino dei raccolti e alla morte del bestiame nell'Africa orientale, nell'Africa settentrionale e meridionale, esacerbando così l'insicurezza alimentare.
Gli "shock gravi o la volatilità dei prezzi dei prodotti di base" rappresentano uno dei cinque rischi principali per i prossimi due anni nei 47 paesi esaminati dai dirigenti (EOS) del Forum, mentre le "gravi crisi di approvvigionamento di prodotti di base" rappresentano un rischio più localizzato, come una delle principali preoccupazioni in 34 paesi, tra cui Svizzera, Corea del Sud, Singapore, Cile e Turchia. Gli effetti catastrofici della carestia e della perdita di vite umane possono anche avere ripercussioni di vasta portata, poiché aumenta il rischio di violenza diffusa e la migrazione involontaria". (Crisi del costo della vita p.15)
“Alcuni paesi non saranno in grado di contenere gli shock futuri, d'investire nella crescita futura e nelle tecnologie verdi, o di rafforzare la resilienza futura nell’istruzione, nella sanità e nei sistemi ecologici, essendo gli impatti esacerbati dai più potenti e sopportati in modo sproporzionato dai più vulnerabili”. (Rallentamento economico, pag.17) "Di fronte alle vulnerabilità evidenziate dalla pandemia e poi dalla guerra, la politica economica, soprattutto nelle economie avanzate, è sempre più orientata verso obiettivi geopolitici. I paesi cercano di costruire "autosufficienza" sostenuti dagli aiuti pubblici, e di ottenere "sovranità" nei confronti delle potenze rivali, (…)
Ciò potrebbe causare esiti contrari agli obiettivi desiderati, determinando una minore resilienza e crescita della produttività e segnalando la fine di un’era economica caratterizzata da capitali, mano d'opera, materie prime e beni più economici e globalizzati.
Questa situazione probabilmente continuerà a indebolire le alleanze esistenti dal momento che le nazioni si ripiegano su sé stesse". (Confronto Geo-economico, p.19) "Oggi, i livelli atmosferici di anidride carbonica, metano e protossido di azoto hanno raggiunto dei record. Le traiettorie delle emissioni rendono altamente improbabile il raggiungimento dell'ambizione mondiale di limitare il riscaldamento a 1,5°C. Gli eventi recenti hanno evidenziato una divergenza tra ciò che è scientificamente necessario e ciò che è politicamente opportuno.
Tuttavia, le tensioni geo-politiche e le pressioni economiche hanno già limitato – e in alcuni casi invertito – i progressi nella mitigazione del cambiamento climatico, almeno nel breve termine. Ad esempio, l’UE ha speso almeno 50 miliardi di euro per la creazione e l’espansione delle infrastrutture e delle forniture di combustibili fossili, e alcuni paesi hanno riavviato le centrali elettriche alimentate a carbone.
La dura realtà di 600 milioni di persone in Africa che non hanno accesso all’elettricità mostra l’incapacità di portare il cambiamento a coloro che ne hanno bisogno e la continua attrazione verso soluzioni rapide basate sui combustibili fossili, nonostante i rischi che ciò comporta.
Il cambiamento climatico diventerà in tal modo sempre più un fattore chiave di migrazione e ci sono indicazioni che esso abbia già contribuito all’emergere di gruppi terroristici e conflitti in Asia, Medio Oriente e Africa". (La pausa dell’azione climatica, p. 21)
Ritroviamo in questa osservazione dello stato del mondo d'oggi tutti gli elementi che erano menzionati nel nostro testo dell’ottobre 2022, e spesso in modo più dettagliato. In particolare le quattro principali caratteristiche della situazione attuale:
sono presenti nel documento del WEF, anche se con parole e articolazioni leggermente diverse e se l’impatto politico della decomposizione sui paesi più avanzati viene affrontato in termini un po’ “timidi”: non bisogna infastidire i governi e le forze politiche di questi paesi evocando le loro politiche sempre più irrazionali e caotiche.
In particolare, il rapporto del WEF evidenzia la crescente interazione degli effetti di decomposizione che chiamiamo “effetto vortice”. Per fare questo esso introduce il termine “policrisi” usato già negli anni Novanta da Edgar Morin, un “filosofo” francese amico di Castoriadis, mentore del gruppo Socialisme ou Barbarie. Le definizioni di questo termine che riprende il rapporto WEF sono le seguenti:
"Un problema diventa crisi quando mette alla prova la nostra capacità di farvi fronte e quindi minaccia la nostra identità. Nella policrisi, gli shock sono disparati, ma interagiscono in modo tale che il tutto è ancora più travolgente della somma delle parti.
Un’altra spiegazione per la policrisi potrebbe essere la seguente: quando molteplici crisi in molteplici sistemi mondiali si intrecciano causalmente in modo tale da degradare significativamente le prospettive dell’umanità”.
Questo "significativo peggioramento delle prospettive dell'umanità" si ritrova nel rapporto del WEF nel capitolo intitolato "Global Risks 2033: Tomorrow’s Catastrophes" ["Rischi mondiali 2033: le catastrofi di domani"], titolo che è già significativo nel tono di queste prospettive. Significativi anche alcuni sottotitoli: “Ecosistemi naturali: il punto di non ritorno è stato superato”, “Salute umana: pandemie permanenti e sfide croniche relative alla capacità di affrontarle”, “Sicurezza umana: nuove armi, nuovi conflitti”.
Più concretamente, ecco alcuni esempi di come il rapporto del WEF declina questi temi:
“La biodiversità all’interno e tra gli ecosistemi sta già diminuendo più velocemente che in qualsiasi momento della storia umana.
Gli interventi umani hanno avuto un impatto negativo su un ecosistema naturale mondiale complesso e delicatamente equilibrato, innescando una catena di reazioni. Nei prossimi dieci anni, l’interazione tra perdita di biodiversità, inquinamento, consumo di risorse naturali, cambiamento climatico e fattori socioeconomici costituirà una miscela pericolosa. Dato che si stima che più della metà della produzione economica mondiale dipenda in misura moderata o elevata dalla natura, il collasso degli ecosistemi avrà conseguenze economiche e sociali di vasta portata. Tra queste citiamo l’aumento della frequenza di malattie zoonotiche, il calo della resa e del valore nutrizionale dei raccolti, l’aumento dello stress idrico che esacerba conflitti potenzialmente violenti, la perdita di mezzi di sussistenza dipendenti dai sistemi alimentari e dai servizi naturali come l’impollinazione, nonché inondazioni sempre più drammatiche, innalzamento del livello del mare e erosione dovuta al degrado dei sistemi naturali di protezione dalle inondazioni, come le praterie acquatiche e le mangrovie costiere.
La distruzione della natura e il cambiamento climatico sono intrinsecamente legati: il fallimento di un ambito si ripercuoterà sull’altro, e il raggiungimento dello zero netto richiederà una mitigazione su entrambe le leve. Se non riusciamo a limitare il riscaldamento a +1,5°C o addirittura a +2°C, il continuo impatto dei disastri naturali e dei cambiamenti di temperatura e precipitazioni diventerà la causa principale della perdita di biodiversità, in termini di composizione e funzione.
I continui danni ai pozzi di assorbimento di carbonio derivanti dalla deforestazione e dallo scongelamento del permafrost, ad esempio, e il calo della produttività dello stoccaggio del carbonio (suolo e oceano) potrebbero trasformare questi ecosistemi in fonti “naturali” di emissioni di carbonio e metano. L’imminente collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale potrebbe contribuire all’innalzamento del livello del mare e alle inondazioni costiere, mentre il “deperimento” delle barriere coralline a bassa latitudine, che sono i vivai della vita marina, avrà sicuramente ripercussioni sull’approvvigionamento alimentare e sugli ecosistemi marini più ampi.
È probabile che la pressione sulla biodiversità venga ulteriormente amplificata dalla continua deforestazione a fini agricoli, con una domanda associata di ulteriori terreni coltivabili, in particolare nelle aree subtropicali e tropicali ad alta densità di biodiversità, come l’Africa sub-sahariana e il sud-est asiatico.
Tuttavia, bisogna considerare un meccanismo di verifica più esistenziale: la biodiversità contribuisce alla salute e alla resilienza dei suoli, delle piante e degli animali, e il suo declino mette a repentaglio la resa della produzione alimentare e il suo valore nutrizionale. Ciò potrebbe quindi alimentare la deforestazione, aumentare i prezzi dei prodotti alimentari, minacciare i mezzi di sussistenza locali e contribuire a malattie e morti legate all’alimentazione. Può anche portare a migrazioni involontarie su larga scala.
È chiaro che la portata e il ritmo necessari per la transizione verso un’economia verde richiedono nuove tecnologie. Tuttavia, è probabile che alcune di queste tecnologie abbiano un nuovo impatto sugli ecosistemi naturali, e le possibilità di "testare i risultati sul campo" sono limitate." (Ecosistemi naturali: il punto di non ritorno è superato, p.31) “La sanità pubblica mondiale è sottoposta ad una crescente pressione e i sistemi sanitari in tutto il mondo rischiano di diventare inadeguati.
Date le crisi attuali, la salute mentale può anche essere aggravata dall’aumento di fattori di stress come la violenza, la povertà e la solitudine.
I sistemi sanitari si trovano ad affrontare la carenza di lavoratori e persistenti penurie in un momento in cui il consolidamento finanziario rischia di deviare l’attenzione e le risorse altrove. Nel prossimo decennio, epidemie di malattie infettive sempre più frequenti e diffuse, in un contesto di malattie croniche, rischiano di spingere i sistemi sanitari esausti sull’orlo della bancarotta in tutto il mondo. (…)
Si prevede inoltre che il cambiamento climatico aggraverà la malnutrizione a causa della crescente insicurezza alimentare. L’aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera può portare a carenze nutrizionali nelle piante e persino ad un assorbimento accelerato di minerali pesanti, che sono stati collegati al cancro, al diabete, alle malattie cardiache e ai disturbi della crescita”. (Salute umana: pandemie croniche e difficoltà ad affrontarle, p.35)
"Un'inversione della tendenza alla smilitarizzazione aumenterà il rischio di conflitto, su una scala potenzialmente più distruttiva. La sfiducia ed il sospetto crescenti tra le potenze mondiali e regionali hanno già implicato una ridefinizione delle priorità relative alle spese militari ed un ristagno dei meccanismi di non proliferazione. La diffusione della potenza economica, tecnologica e, quindi, militare a più paesi e attori è all'origine dell'ultima iterazione di una corsa mondiale agli armamenti.
La proliferazione di armi militari più distruttive e di nuove tecnologie può consentire nuove forme di guerra asimmetrica, consentendo alle piccole potenze e agli individui di avere un impatto maggiore a livello nazionale e globale". (Sicurezza umana: nuove armi, nuovi conflitti, p.38) "La serie di emergenti preoccupazioni sulla domanda e sull'offerta di risorse naturali sta già diventando motivo di crescente inquietudine. Gli intervistati al GRPS [Global Risks Perception Survey - Sondaggio sulla percezione dei rischi globali] hanno identificato forti relazioni e collegamenti reciproci tra le "crisi delle risorse naturali" e gli altri rischi identificati nei capitoli precedenti.
Il rapporto descrive quattro potenziali futuri incentrati sulla carenza di cibo, acqua, metalli e minerali, che potrebbero innescare una crisi umanitaria ed ecologica: dalle guerre per l’acqua e le carestie al continuo sfruttamento eccessivo delle risorse ecologiche e al rallentamento dell'attenuazione e dell’adattamento climatico. (Rivalità per le risorse: quattro prospettive future, p.57)
La conclusione del rapporto ci offre un quadro sintetico di come sarà il mondo nel 2030:
“La povertà globale, le crisi dei mezzi di sussistenza sensibili al clima, la malnutrizione e le malattie legate all’alimentazione, l'instabilità degli Stati e le migrazioni involontarie sono tutti aumentate, prolungando ed estendendo l’instabilità e le crisi umanitarie (…)
L’insicurezza alimentare, energetica e idrica sta diventando un fattore di polarizzazione sociale, disordini civili e instabilità politica.
Il sovrasfruttamento e l’inquinamento – la tragedia dei beni comuni globali – si sono estesi. La carestia è tornata su una scala mai vista nel secolo scorso. La portata delle crisi umanitarie e ambientali evidenzia la paralisi e l’inefficienza dei principali meccanismi multilaterali di fronte alle crisi con le quali si sta scontrando l’ordine mondiale, trasformandosi in una spirale di policrisi che si perpetuano e si aggravano".
Il rapporto cerca a volte di non disperare troppo i suoi lettori dicendo, ad esempio:
"Alcuni dei rischi descritti nel rapporto di quest'anno sono prossimi a un punto di svolta. Ora è il momento di agire collettivamente, con decisione e con una prospettiva a lungo termine, per tracciare il percorso verso un futuro più positivo, più inclusivo e più stabile". Ma, nel complesso, dimostra che i mezzi “per agire collettivamente, con decisione” non esistono nel sistema attuale.
Nel testo del 1990, abbiamo basato lo sviluppo della nostra analisi sull'osservazione che a livello mondiale stavano sorgendo, aggravandosi, tutta una serie di manifestazioni mortali o caotiche della vita sociale. Possiamo ricordarle qui per vedere come la situazione attuale, così come presentata sopra, abbia accentuato e amplificato queste manifestazioni:
Il fenomeno della corruzione non è trattato nel rapporto del WEF (non irritare i corrotti!). Nonostante tutti i programmi “virtuosi”, questa piaga non fa che prosperare, in particolare nei paesi del Terzo Mondo: ad esempio, la vittoria dei talebani in Afghanistan e l’avanzata dei gruppi jihadisti nel Sahel devono molto alla corruzione sfrenata di regimi che erano o sono alla loro testa. Nei paesi generati dall’ex Unione Sovietica, a cominciare da Russia e Ucraina, governano Stati apertamente mafiosi. Ma questo fenomeno non risparmia i paesi più sviluppati con tutti gli imbrogli (che sono solo la punta dell'iceberg) rivelati dai "Panama Papers" e da altre autorità. Allo stesso modo, i "petrodollari" affluiscono verso i paesi avanzati, in particolare quelli europei, per comprare la compiacenza dei "decisori di questi paesi" per decisioni assurde e dannose come l'assegnazione della Coppa del mondo di calcio al Qatar o (incredibile ma vero) l’assegnazione dei Giochi Asiatici Invernali all’Arabia Saudita! Ma uno dei picchi è stato raggiunto quando la vicepresidente del Parlamento europeo, un'istituzione che dovrebbe, tra l'altro, combattere la corruzione, è stata sorpresa con valigie di banconote provenienti dal Qatar.
Infine, è chiaro che il terribile bilancio in termini di vite umane del terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria all’inizio di febbraio è essenzialmente il risultato della corruzione che ha consentito ai costruttori di aggirare le norme antisismiche ufficiali per aumentare i propri profitti.
“Tendenza generale della borghesia a perdere il controllo sulla condotta della sua politica”: Come abbiamo visto, la questione viene trattata con molta cautela nel rapporto del WEF, soprattutto quando si fa riferimento a “una sfida esistenziale per i sistemi politici di tutto il mondo” e “all’elezione di leader meno centristi”.
Infine, le manifestazioni di decomposizione individuate nel 1990 non sono menzionate direttamente nel rapporto del WEF (per ragioni spesso “diplomatiche”) né nel nostro testo dell’ottobre 2022 perché erano secondarie rispetto all’idea centrale di questo testo: il notevole passo compiuto dalla decomposizione con l'ingresso negli anni 2020.
“Aumento permanente della criminalità e dell’insicurezza, della violenza urbana, in cui sono sempre più coinvolti i bambini”: Possiamo citare due esempi (tra molti altri): la continuazione degli omicidi di massa negli Stati Uniti e i recenti omicidi di numerosi adolescenti da parte di altri adolescenti in Francia.
"Sviluppo del nichilismo, del 'no futuro' dell'odio e della xenofobia": La crescita dell’odio razzista (spesso in nome della religione) che è il terreno fertile su cui prosperano i populismi di estrema destra (Nigel Farrage nel Regno Unito, Trump e i suoi “fan” negli Stati Uniti, Le Pen in Francia, Meloni in Italia, ecc.)
“L’ondata di droga colpisce soprattutto i giovani”: Nessuna inversione di tendenza di questa piaga da parte della potenza delle bande di narcotrafficanti come in Messico.
"Profusione di sette, risveglio dello spirito religioso, anche in alcuni paesi avanzati": Ci sono molti esempi oggi dell’aggravarsi di questo fenomeno con l’aumento:
Ovviamente il rapporto del WEF evita accuratamente di menzionare questi fenomeni: bisogna essere educati nei confronti dei partecipanti al Forum di Davos che rappresentano governi la cui religione e fanatismo religioso costituiscono uno dei principali strumenti politici del loro potere.
"Rifiuto del pensiero razionale, coerente, costruito, anche da parte di certi ambienti 'scientifici'": Recenti sviluppi del complottismo, soprattutto al tempo della pandemia da Covid, spesso associati a un’ideologia di estrema destra. Con una contropartita dall'altra parte dello scacchiere politico: il crescente successo del "wokismo", una corrente proveniente dalle università americane, il cui radicalismo "consiste nel raggrupparsi in piccole cappelle "militanti" attorno a temi totalmente borghesi che pretendono di "combattere il sistema".
"'Ognuno per sé', atomizzazione degli individui": Un esempio drammatico, quello dell’isolamento degli anziani durante la pandemia prima dell’uso dei vaccini, soprattutto nelle case di riposo. E anche l’angoscia dei familiari dei defunti.
Tutti i passaggi tra virgolette sono tratti dalle tesi del 1990. Essi rendono conto delle caratteristiche già presenti nel mondo in quel momento e che ci avevano permesso di fondare la nostra analisi. Questo accumulo simultaneo di tutte queste manifestazioni catastrofiche, la loro quantità, indicava che stava iniziando un periodo qualitativamente nuovo nella storia della decadenza del capitalismo. Nelle Tesi, l'interazione tra alcune di queste manifestazioni era già presente. Ma allora avevamo messo in luce soprattutto l'origine comune di queste manifestazioni che, in un certo modo, sembravano svilupparsi parallelamente senza interagire tra loro. In particolare, avevamo osservato che se, fondamentalmente, la crisi economica del capitalismo era all'origine del fenomeno della decomposizione della società, essa non veniva realmente toccata dalle diverse manifestazioni di questa decomposizione.
• Al 22° Congresso, oltre a evidenziare l'affermazione di due nuove e correlate manifestazioni di decomposizione, l'immigrazione massiccia e l'ascesa del populismo, abbiamo sottolineato che l'economia cominciava a essere colpita dalla decomposizione (in particolare attraverso l'ascesa del populismo), mentre in precedenza era stata relativamente risparmiata. Oggi, questa interazione tra aspetti fondamentali della situazione mondiale e di cruciale importanza storica conosce uno sviluppo spettacolare e drammatico. Il nostro testo dell’ottobre 2022, così come il rapporto del WEF, evidenzia la misura attraverso la quale queste diverse manifestazioni ora si determinano a vicenda.
Così, con il suo ingresso negli anni 2020, e in particolare nel 2022, assistiamo a un’accelerazione della storia, a un nuovo drammatico peggioramento della decomposizione che sta trascinando la società umana, anzi la specie umana, e questo è percepito da un numero crescente di persone, alla sua distruzione.
Questa intensificazione delle diverse convulsioni che il pianeta sta vivendo, la loro crescente interazione, costituisce una conferma non solo della nostra analisi ma anche del metodo marxista su cui si basa, un metodo che altri gruppi del milieu politico proletario tendono a “dimenticare” quando rifiutano la nostra analisi della decomposizione.
Parte II: Il metodo marxista, strumento indispensabile per comprendere il mondo di oggi
Questa parte del rapporto che pubblichiamo di seguito è stata arricchita da un insieme di sviluppi che fanno parte del metodo di comprensione della realtà attraverso il marxismo. Essi non erano esplicitamente presenti nella versione sottoposta al congresso ma ne sono alla base. Lo scopo di tale aggiunta è quello di alimentare il dibattito pubblico in difesa della concezione marxista del materialismo contro la concezione volgare difesa dalla maggior parte delle componenti del milieu politico proletario, in particolare dai damenisti e dai bordighisti.
La storia è la storia della lotta di classe
Nel complesso, i gruppi del MPP (milieu politico proletario) hanno capito ben poco di ciò che intendiamo nella nostra analisi sulla decomposizione. Chi si è preso la briga di andare più lontano nel confutare questa analisi è il gruppo bordighista che pubblica Le Prolétaire in Francia. Alla nostra analisi dell'ascesa del populismo in vari paesi e al suo legame con l'analisi sulla decomposizione (che definisce "famosa e fumosa") ha dedicato due articoli, di cui riportiamo alcuni estratti:
"Revolution Internationale ci spiega le radici di questa cosiddetta "decomposizione": "l'attuale incapacità delle due classi fondamentali e antagoniste, che sono la borghesia e il proletariato, di proporre la propria prospettiva (guerra mondiale o rivoluzione) ha generato una situazione di "blocco temporaneo" e di putrefazione della società". I proletari che vedono quotidianamente peggiorare le loro condizioni di sfruttamento e peggiorare le loro condizioni di vita, saranno felici di apprendere che la loro classe è capace di bloccare la borghesia e impedire ad essa di attuare le sue “prospettive”…” (LP 523)
"Neghiamo quindi che la borghesia abbia" perso il controllo del suo sistema politico" e che le politiche perseguite dai governi di Gran Bretagna o Stati Uniti siano dovute a una misteriosa malattia chiamata "populismo" causata dalla "stagnazione della società nella barbarie".
Per dirla in termini molto generali, questi punti di svolta (a cui si potrebbe aggiungere il progresso dell’estrema destra in Svezia o in Germania, con il sostegno di una parte del personale politico borghese) hanno la funzione di rispondere a un’esigenza di dominio, sia a livello interno che esterno, in una situazione di accumulo di rischi economici e politici a livello internazionale – e non qualcosa che “disturbi il gioco politico con la conseguenza di una crescente perdita di controllo dell’apparato politico borghese su terreno elettorale'" (LP 530)
Per quanto riguarda l’idea che il populismo corrisponda a una politica veramente “realistica” della borghesia e da essa controllata, ciò che è accaduto nel Regno Unito negli ultimi anni dovrebbe far riflettere questo gruppo.
Come si vede, Le Prolétaire si prende la briga di entrare nel vivo della nostra analisi: la situazione di blocco tra le classi sorta in seguito alla ripresa storica del proletariato mondiale nel 1968 (che esso non ha riconosciuto come l'intero MPP). Dietro questa ignoranza, infatti, si nasconde l’incomprensione e il rifiuto della nozione di percorso storico che si riferisce al disaccordo che abbiamo con i gruppi nati dal Partito del 1945.
Negare l'esistenza del periodo di decomposizione significa per questi bordighisti negare il ruolo storico fondamentale svolto dalla lotta tra le classi nello sviluppo della situazione mondiale. In altre parole, un grande allontanamento dal metodo marxista. Riconoscere il fattore decisivo della lotta di classe solo nei momenti eccezionali in cui il proletariato si manifesta apertamente sulla scena mondiale, cioè quando le capacità della classe operaia sono evidenti a tutti, è un indice del declino degli epigoni della Sinistra italiana.
Il fatto che la borghesia abbia sempre, in ogni momento, sia nei periodi di sconfitta o di ritirata, sia in quelli di rivoluzione, imparato a tener conto delle disposizioni della classe operaia, ciò è noto al marxismo dal 1848, dopo la sanguinosa repressione dell'insurrezione del proletariato francese nel giugno di quello stesso anno. Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte di Marx, che Engels ha sempre presentato come un eccellente esempio dell'applicazione del metodo del materialismo storico agli avvenimenti mondiali, mostra che dopo gli avvenimenti del 1848 la borghesia fu comunque costretta a riconoscere nella classe operaia, sebbene sconfitta, il suo avversario storico. Questo riconoscimento fu un fattore importante per allineare la classe dominante dietro il colpo di stato di Luigi Bonaparte del 1852 e per la repressione della fazione repubblicana della borghesia [[1]].
Altro erede del Partito del 1945, anche la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI, ex-Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario) rinuncia all'ABC del materialismo storico secondo il quale "la storia è la storia della lotta delle classi" e mostra orgogliosamente la sua ignoranza sull’attuale periodo di decomposizione del capitalismo mondiale e sulle sue cause di base che risiedono nella situazione degli antagonismi di classe.
La TCI cerca anche di presentare la nostra analisi come non marxista e idealista:
"Dopo il crollo dell'URSS, la CCI dichiarò improvvisamente che questo crollo aveva creato una nuova situazione in cui il capitalismo aveva raggiunto una nuova fase, che essa chiamò "decomposizione". Nella sua incomprensione del funzionamento del capitalismo, per la CCI, quasi tutto ciò che è male – dal fondamentalismo religioso alle molte guerre scoppiate dopo il crollo del blocco dell’Est – non è altro che un’espressione del Caos e della Decadenza. Noi pensiamo che ciò equivale all'abbandono completo del terreno del marxismo, perchè queste guerre, così come le guerre precedenti della fase decadente del capitalismo, sono il risultato di questo stesso ordine capitalista (…) La sovrapproduzione di capitale e di merci, provocata ciclicamente dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, conduce a delle crisi economiche e a delle contraddizioni che, a loro volta, generano delle guerre imperialiste. Non appena un capitale sufficiente viene svalutato e i mezzi di produzione vengono distrutti (dalla guerra), può iniziare un nuovo ciclo di produzione. Dal 1973 ci troviamo nella fase finale di tale crisi, e un nuovo ciclo di accumulazione non è ancora iniziato". (Marxismo o idealismo - Le nostre divergenze con la CCI)
Potremmo chiederci se i compagni della TCI (che pensano che è stato in seguito al crollo del blocco dell’Est nel 1989 che abbiamo improvvisamente tirato fuori dal cappello la nostra analisi della decomposizione) si siano dato la pena di leggere il nostro testo di base del 1990. Nella sua introduzione, siamo molto chiari: "Anche prima che si verificassero gli avvenimenti dell'Est, la CCI aveva già messo in luce questo fenomeno storico (vedi in particolare la Revue internationale, n°57)". E dimostrano anche una straziante superficialità nell’attribuire a noi l'idea che "quasi tutto ciò che è male (...) è solo l'espressione del Caos e della Decomposizione”. E ci colpiscono con un'idea fondamentale alla quale pensano che non avessimo pensato: "queste guerre, come le precedenti guerre della fase decadente del capitalismo, sono il risultato di questo stesso ordine imperialista”. Quale scoperta! Non abbiamo mai detto altro, ma la domanda che poniamo, e che loro non si pongono, è in quale contesto storico generale si colloca oggi l’ordine imperialista. Per i militanti della TCI è sufficiente distruggere abbastanza capitale costante perché possa iniziare un nuovo ciclo di accumulazione. Da questo punto di vista, la distruzione che si verifica oggi in Ucraina è un vantaggio per la salute dell’economia globale. Il messaggio dovrà essere trasmesso ai dirigenti economici della borghesia che, al recente Forum di Davos, come abbiamo visto, sono allarmati dalla prospettiva del mondo capitalista e in particolare dall’impatto negativo della guerra in Ucraina sull'economia mondiale. Infatti, chi ci attribuisce una rottura con l'approccio marxista farebbe bene a rileggere (o leggere) i testi fondamentali di Marx ed Engels e cercare di capire il metodo da essi utilizzato. Se i fatti stessi, l’evoluzione della situazione mondiale, confermano, giorno dopo giorno, la validità della nostra analisi, è in gran parte perché essa si fonda saldamente sul metodo dialettico del marxismo (anche se nelle tesi del 1990 non vi è alcun riferimento esplicito a questo metodo né citazioni di Marx o Engels).
Nel suo rifiuto dell'analisi della decomposizione del capitalismo mondiale, la TCI si distingue, e si mette in imbarazzo, abbattendo la sua ascia polemica, seppur smussata, anche su un altro pilastro del metodo marxista del materialismo storico, che è riassunto nella prefazione di Marx a il “Contributo alla critica dell'economia politica” del 1859 (e ripreso nel primo punto della piattaforma della CCI). I rapporti di produzione in ogni formazione sociale della storia umana - rapporti che determinano gli interessi e le azioni delle classi contrapposte da essa scaturite - si trasformano sempre da fattori di sviluppo delle forze produttive in fase ascendente, in impedimenti negativi di queste stesse forze in un’altra fase, creando la necessità di una rivoluzione sociale. Ma il periodo di decomposizione, punto culminante di un secolo di decadenza del capitalismo come modo di produzione, semplicemente non esiste per la TCI.
Sebbene la TCI usi l'espressione “fase di decadenza del capitalismo”, non ha capito cosa significhi questa fase per lo sviluppo della crisi economica del capitalismo o delle guerre imperialiste che ne derivano.
Nell’era dell’ascesa del capitalismo, i cicli produttivi – comunemente noti come boom e crolli – erano il battito cardiaco di un sistema in progressiva espansione. Le guerre limitate di quest’epoca potevano accelerare questa progressione attraverso il consolidamento nazionale – come fece per la Germania la guerra franco-prussiana del 1871 – o conquistare nuovi mercati attraverso la conquista coloniale. La devastazione delle due guerre mondiali, le distruzioni imperialiste del periodo decadente e le loro conseguenze esprimono per contrasto la rovina del sistema capitalista e la sua impasse come modo di produzione.
Per la TCI, tuttavia, la sana dinamica dell’accumulazione capitalistica del XIX secolo è eterna: per questa organizzazione, i cicli di produzione sono solo aumentati di dimensione. E questo li porta all’assurdità che un nuovo ciclo di produzione capitalistica possa essere fecondato dalle ceneri di una Terza Guerra Mondiale [[2]]. Perfino la borghesia non è così stupidamente ottimista riguardo alle prospettive del suo sistema e ha una migliore comprensione dell’era di disastri che si trova ad affrontare.
La TCI è forse “economicamente materialista”, ma non nel senso marxista di analizzare lo sviluppo dei rapporti di produzione in condizioni storiche radicalmente mutate.
Nelle 3 opere fondamentali del movimento operaio, Il Capitale di Marx, Accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg e Stato e rivoluzione di Lenin, troviamo un approccio storico alle questioni studiate. Marx dedica molte pagine a spiegare come si sia sviluppato nel corso della storia il modo di produzione capitalistico, che già dominava pienamente la società del suo tempo. Rosa Luxemburg esamina come è stata posta la questione dell'accumulazione da diversi autori più antichi e Lenin fa lo stesso sulla questione dello Stato. In questo approccio storico si tratta di rendere conto del fatto che le realtà che esaminiamo non sono cose statiche, immateriali, esistite in ogni tempo, ma corrispondono a processi in continua evoluzione con elementi di continuità ma anche e soprattutto di trasformazione e perfino di rottura. Le tesi del 1990 cercano di trarre ispirazione da questo approccio presentando la situazione storica attuale nella storia generale della società, quella del capitalismo e più in particolare la storia della decadenza di questo sistema. Più concretamente, mettono in luce le similitudini tra la decadenza delle società precapitaliste e quella della società capitalistica ma anche, e soprattutto, le differenze tra queste, questione che è al centro della sopraggiunta fase di decomposizione all’interno di quest’ultima: "mentre, nelle società del passato, i nuovi rapporti di produzione che erano chiamati a soppiantare i vecchi ormai superati potevano svilupparsi al loro fianco, all’interno della stessa società - cosa che poteva, in un certo modo, limitare gli effetti e l’ampiezza della sua decadenza - la società comunista, la sola che possa succedere al capitalismo, non può in alcun modo svilupparsi al suo interno; non esiste dunque alcuna possibilità di una qualunque rigenerazione di questa società in assenza di un rovesciamento violento del potere della classe borghese e dell’estirpazione dei rapporti di produzione capitalisti”. (Tesi 1)
Al contrario, il materialismo astorico della TCI può spiegare tutti gli eventi, tutte le guerre, in tutte le epoche applicando in modo incantatorio la stessa formula: “cicli di accumulazione”. Questo materialismo oracolare, poiché spiega tutto, non spiega nulla e per questo non può esorcizzare il pericolo dell'idealismo. Al contrario, le lacune create dal materialismo volgare devono essere colmate con cemento idealistico. Quando le condizioni reali della lotta rivoluzionaria del proletariato non possono essere comprese o spiegate, è necessario un deus ex-machina idealista per risolvere il problema: "il partito rivoluzionario". Ma non si tratta del partito comunista che emerge e si costruisce in determinate condizioni storiche, ma di un partito mitico che può essere gonfiato in qualsiasi periodo con aria fritta opportunistica.
La componente dialettica del materialismo storico
Gli epigoni della sinistra italiana [[3]], rigettando l’esistenza di un periodo di decomposizione del capitalismo mondiale, hanno dovuto quindi cercare di rimuovere due grandi pilastri del metodo marxista del materialismo storico. In primo luogo, il fatto che la storia del capitalismo, come tutta la storia precedente, è la storia della lotta di classe e, in secondo luogo, il fatto che il ruolo determinante delle leggi economiche evolve con l’evoluzione storica di un modo di produzione.
C'è una terza esigenza dimenticata, implicita negli altri due aspetti del metodo marxista: il riconoscimento dell'evoluzione dialettica di tutti i fenomeni, compreso lo sviluppo delle società umane, secondo l'unità degli opposti, che Lenin descrive come l'essenza della dialettica nel suo lavoro sulla questione durante la prima guerra mondiale. Mentre gli epigoni vedono lo sviluppo solo in termini di ripetizione, di aumento o diminuzione, il marxismo comprende che la necessità storica - il determinismo materialista - si esprime in modo contraddittorio e interattivo, in modo che la causa e l'effetto possano cambiarsi posto e che la necessità si riveli attraverso un percorso tortuoso.
Per il marxismo la sovrastruttura delle formazioni sociali, vale a dire la loro organizzazione politica, giuridica e ideologica, nasce sulla base dell'infrastruttura economica ed è determinata da questa. Questo è ciò che hanno capito gli epigoni. Ma sfugge loro il fatto che questa sovrastruttura possa fungere da causa – se non da principio – oltre che da effetto. Engels, verso la fine della sua vita, ha dovuto insistere su questo punto preciso in una serie di lettere indirizzate negli anni Novanta dell'Ottocento al materialismo volgare degli epigoni dell'epoca. La sua corrispondenza è una lettura assolutamente essenziale per coloro che oggi negano che la decomposizione della sovrastruttura capitalista possa avere un effetto catastrofico sulle basi economiche del sistema.
"Lo sviluppo politico, giuridico, filosofico, religioso, letterario, artistico, ecc., si basa sullo sviluppo economico. Tutti reagiscono gli uni sugli altri e sulla base economica. Non è vero che la situazione economica sia l'unica causa attiva e tutto il resto è solo un effetto passivo. C'è, piuttosto, un'interazione sulla base della necessità economica, che in ultima analisi si afferma sempre? (Engels a Borgius, 25 gennaio 1894)
Nella fase finale del declino capitalistico, il suo periodo di decomposizione, l’effetto retroattivo della sovrastruttura in decomposizione sulle infrastrutture economiche è sempre più accentuato, come hanno dimostrato in maniera lampante gli effetti economici negativi della pandemia da Covid, del cambiamento climatico e della guerra imperialista in Europa - fatta eccezione per i discepoli ciechi di Bordiga e Damen [[4]].
Marx non ha avuto la possibilità di esporre, così come ne aveva formulato il progetto, il suo metodo, quello che impiega in particolare nel Capitale. Egli menziona questo metodo, solo brevemente, nella postfazione alla seconda edizione tedesca del suo libro. Da parte nostra, soprattutto di fronte alle accuse, spesso stupide, del MPP (e ancor più dei parassiti) secondo cui la nostra analisi "non è marxista", è "idealista", tocca a noi evidenziare la fedeltà dell’approccio delle tesi del 1990 riguardo al metodo dialettico del marxismo di cui possiamo richiamare alcuni elementi aggiuntivi:
La trasformazione della quantità in qualità:
È un’idea che ricorre spesso nel testo del 1990. Manifestazioni di decomposizione potevano esistere nella decadenza del capitalismo ma, oggi, l’accumularsi di queste manifestazioni dimostra una trasformazione-rottura nella vita della società, segnalando l’ingresso in una nuova era di decadenza capitalista dove la decomposizione diventa l’elemento determinante. Questa componente della dialettica marxista non si limita ai fatti sociali. Come sottolinea Engels, soprattutto nell'Antidühring e nella Dialettica della natura, si tratta di un fenomeno che si riscontra in tutti i campi e che, del resto, è stato colto da altri pensatori. Così, nell'Anti Dühring, Engels cita una frase di Napoleone Bonaparte che dice (in sintesi) "Due Mamelucchi erano assolutamente superiori a tre francesi; (...) 1.000 francesi hanno sempre rovesciato 1.500 Mamelucchi" a causa della disciplina che diventa efficace quando si tratta di un gran numero di combattenti. Engels insiste molto sul fatto che questa legge trova piena applicazione anche nel campo della scienza. Di fronte all’attuale situazione storica e al moltiplicarsi di tutta una serie di fatti catastrofici, è voltare le spalle alla dialettica marxista (cosa normale da parte dell’ideologia borghese e della maggior parte degli accademici “specialisti”) piuttosto che basarsi su questa legge della trasformazione della quantità in qualità, come tuttavia avviene per l’intero MPP che cerca di applicare una causa specifica ed isolata a ciascuna delle manifestazioni catastrofiche della storia presente.
Il tutto non è la semplice somma delle parti:
Le diverse componenti della vita sociale, se hanno ciascuna una specificità, se possono acquisire in determinate circostanze anche una relativa autonomia, si determinano a vicenda all'interno di una totalità governata, “in ultima istanza” (ma solo in ultima istanza, come diceva Engels nella famosa lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890), attraverso i modi e i rapporti di produzione e la loro evoluzione. Questo è uno dei principali fenomeni della situazione attuale. Le diverse manifestazioni di decomposizione che, all'inizio, potrebbero sembrare indipendenti ma la cui accumulazione già indicava che eravamo entrati in una nuova epoca di decadenza capitalista, ora si influenzano sempre più l'una con l'altra in una sorta di "reazione a catena", di "vortice" che imprime alla storia l’accelerazione di cui siamo testimoni (compresi gli “esperti” di Davos).
Il ruolo decisivo del futuro
Infine, il prestito alla dialettica marxista dell'approccio storico, di questo aspetto essenziale che costituisce il movimento, la trasformazione, è al centro dell'idea centrale della nostra analisi sulla decomposizione: "nessun modo di produzione è capace di vivere e svilupparsi, assicurare la coesione sociale, se non è capace di presentare una prospettiva all’insieme della società da esso dominata. E ciò è particolarmente valido per il capitalismo in quanto rappresenta il modo di produzione più dinamico della storia" (Tesi 5). E giustamente oggi nessuna delle due classi fondamentali, la borghesia e il proletariato, può, per il momento, offrire una simile prospettiva alla società.
Per quelli che ci trattano da "idealisti", è un vero scandalo affermare che un fattore ideologico, l'assenza di un progetto nella società, possa avere un impatto importante sulla vita di quest'ultima. In realtà, essi dimostrano che il materialismo da loro rivendicato non è altro che un materialismo volgare già criticato a suo tempo da Marx, in particolare nelle Tesi su Feuerbach. Nella loro visione, le forze produttive si sviluppano in modo autonomo. E lo sviluppo delle forze produttive è il solo a dettare i cambiamenti nei rapporti di produzione e nei rapporti tra le classi.
Secondo costoro, le istituzioni e le ideologie, vale a dire la sovrastruttura, rimangono in vigore finché legittimano e preservano i rapporti di produzione esistenti. E quindi elementi come le idee, la moralità umana o anche l’intervento politico nel processo storico sono esclusi.
Il materialismo storico contiene, oltre ai fattori economici, altri fattori come le risorse naturali e i fattori contestuali. Le forze produttive contengono molto più che macchine o tecnologia. Contengono conoscenza, il saper fare, l'esperienza. In realtà tutto ciò che rende possibile il processo lavorativo o che lo ostacoli. Le forme di cooperazione e associazione sono esse stesse forze produttive e costituiscono anche un importante fattore di trasformazione e di sviluppo economico.
Quelli che si potrebbero definire “antidialettici” [5[5]] negano la distinzione tra condizioni oggettive e condizioni soggettive della lotta rivoluzionaria. Essi fanno derivare la capacità della classe dalla semplice difesa dei propri interessi economici immediati. Ritengono che gli interessi di classe del proletariato creeranno la capacità del proletariato di realizzare e difendere questi interessi. Negano le forze in atto per disorganizzare sistematicamente la classe operaia, annientare le sue capacità, dividerla e oscurare il carattere di classe della sua lotta.
Come ha osservato Lenin, dobbiamo fare analisi concrete della situazione concreta. E nella società capitalista più sviluppata un ruolo molto importante è assegnato all’ideologia, a un apparato che deve difendere e giustificare gli interessi borghesi e dare stabilità al sistema capitalista. Questo è il motivo per cui Marx sosteneva che affinché la rivoluzione comunista avesse luogo, le sue condizioni oggettive e soggettive dovevano essere soddisfatte. La prima condizione è la capacità dell’economia di produrre in abbondanza sufficiente per la popolazione mondiale. La seconda condizione, un livello sufficiente di sviluppo della coscienza di classe. Ciò ci riporta alla nostra analisi sulla questione dell'“anello debole” e della necessaria esperienza storica che si esprime nella coscienza.
I “deterministi” rimuovono lo sviluppo delle forze produttive dal loro contesto sociale. Tendono a negare QUALSIASI significato alla sovrastruttura ideologica, anche se non lo dicono. Le lotte dei lavoratori tendono ad apparire come una pura questione di riflessi. Si tratta di una visione fondamentalmente fatalistica che è ben espressa nell'idea di Bordiga secondo cui "la rivoluzione è certa come se fosse già avvenuta". Una tale visione porta a una sottomissione passiva, una sottomissione che attende gli effetti automatici dello sviluppo economico. In definitiva, non lascia spazio alla lotta di classe come condizione fondamentale per ogni cambiamento, in contraddizione con la prima frase del Manifesto Comunista: “La storia di ogni società fino ai giorni nostri non è stata altro che storia di lotte di classe”.
La terza tesi su Feuerbach ci offre una buona comprensione del materialismo storico e rigetta ogni rigido determinismo:
"La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen).
La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.”
L’importanza del futuro nella vita delle società umane:
È probabile che i nostri detrattori considerino questa una visione idealistica, ma noi sosteniamo che la dialettica marxista attribuisca al futuro un posto fondamentale nell'evoluzione e nel movimento della società. Dei tre momenti di un processo storico, passato, presente, futuro, è quest'ultimo a costituire il fattore fondamentale nella sua dinamica.
Il ruolo del futuro è fondamentale nella storia dell’umanità. I primi esseri umani che lasciarono l'Africa alla conquista del mondo, gli aborigeni che lasciarono l'Australia per conquistare il Pacifico, erano alla ricerca di nuovi mezzi di sussistenza per il futuro. È la preoccupazione per il futuro che anima il desiderio di procreazione, così come è per la maggior parte delle religioni. E poiché i nostri detrattori hanno bisogno di “buoni esempi economici”, possiamo citarne due nel funzionamento del capitalismo. Quando un capitalista investe, non è con lo sguardo rivolto al passato, è per ottenere un profitto futuro. Allo stesso modo, il credito, che gioca un ruolo così fondamentale nei meccanismi del capitalismo, non è altro che un progetto sul futuro.
Il ruolo del futuro è onnipresente nei testi di Marx e più in generale del marxismo. Questo ruolo è ben dimostrato in questo noto passo del Capitale:
"Il nostro punto di partenza è il lavoro in una forma che appartiene esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che somigliano a quelle del tessitore, e l'ape sorprende con la struttura delle sue cellette di cera l'abilità di più di un architetto. Ma ciò che distingue il peggiore architetto dall’ape più esperta è che esso ha costruito la cella nella sua testa prima di costruirla nell’alveare. Il risultato a cui porta il lavoro preesiste idealmente nell’immaginario del lavoratore. Non è che egli operi solo un cambiamento della forma nei materiali naturali; egli realizza nello stesso tempo il proprio scopo di cui ha coscienza, che determina come legge il suo modo di agire e al quale deve subordinare la sua volontà".
Ovviamente, questo ruolo essenziale del futuro nella società è ancora più fondamentale per il movimento operaio, le cui lotte del presente assumono un significato reale solo nella prospettiva della rivoluzione comunista del futuro.
“La rivoluzione sociale del XIX secolo [la rivoluzione proletaria] non può trarre la sua poesia dal passato, ma solo dal futuro”. (Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte)
"i sindacati agiscono utilmente come centri di resistenza all'invasione del capitale. In parte falliscono nel loro scopo non appena fanno un uso sconsiderato del loro potere. Falliscono completamente nel loro scopo non appena si limitano a una guerra di scaramucce contro gli effetti del regime esistente, invece di lavorare allo stesso tempo per la sua trasformazione e di usare la loro forza organizzata come leva per l'emancipazione definitiva della classe operaia, vale a dire per l'abolizione definitiva del lavoro salariato". (Marx, Salari, Prezzi e Profitto)
“Lo scopo finale, qualunque esso sia, è nullo, il movimento è tutto' [secondo Bernstein]. Ora, lo scopo finale del socialismo è l'unico elemento decisivo che distingue il movimento socialista dalla democrazia borghese e dal radicalismo borghese, l'unico elemento che, invece di dare al movimento operaio il vano compito di intonacare il regime capitalista per salvarlo, ne fa una lotta di classe contro questo regime, per l'abolizione di questo regime..." (Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione?)
“Che fare?”, “Da dove cominciare?” (Lenin)
E poiché la società attuale è privata proprio di questo elemento fondamentale, il futuro, la prospettiva (che sempre più persone avvertono, soprattutto tra i giovani), la prospettiva che solo il proletariato può offrirle, la vediamo sprofondare nella disperazione ed imputridire.
Parte III: La prospettiva per il proletariato
Il rapporto del WEF 2023 ci mette in guardia in modo molto convincente sull’estrema gravità dell’attuale situazione mondiale, che sarà molto peggiore entro il 2030 “in assenza di cambiamenti politici o investimenti significativi”. Nello stesso tempo, "mette in evidenza la paralisi e l'inefficienza dei principali meccanismi multilaterali per fronteggiare le crisi che attanagliano l'ordine mondiale" e rileva la "divergenza tra ciò che è scientificamente necessario e ciò che è politicamente opportuno". In altre parole, la situazione è disperata e la società attuale è definitivamente incapace di invertire il corso della sua distruzione, il che conferma il titolo del nostro testo dell’ottobre 2022: “L’accelerazione della decomposizione capitalista solleva apertamente la questione della distruzione dell’umanità” e conferma anche e pienamente la prognosi già contenuta nelle nostre tesi del 1990.
Allo stesso tempo, questo rapporto solleva ripetutamente la prospettiva di “disordini sociali generalizzati” che “non si limiteranno ai mercati emergenti” (nel senso che colpiranno anche i paesi più sviluppati) e che “costituiscono una sfida esistenziale per i sistemi politici a livello mondiale. Nientemeno! Per il WEF, e per la borghesia in generale, questi disordini sociali rientrano nella categoria negativa dei “rischi” e delle minacce all’“ordine mondiale”. Ma le previsioni del WEF aggiungono timidamente e involontariamente acqua al mulino della nostra analisi, segnalando che il proletariato continua a rappresentare una minaccia per l'ordine borghese. Come tutta la borghesia, il WEF non fa distinzione tra i diversi disordini sociali: tutto questo è fattore di “disordine” e di “caos”. Ed è vero che alcuni movimenti dovrebbero essere collocati in questa categoria, come è avvenuto ad esempio con la “Primavera araba”. Ma in realtà, ciò che spaventa di più la borghesia, senza che essa lo dica apertamente o ne abbia piena consapevolezza, è che, tra questi “disordini sociali”, ce ne sono alcuni che prefigurano il rovesciamento del suo potere sulla società e sul sistema capitalista: le lotte del proletariato.
Così, anche sotto questo aspetto, il WEF illustra le nostre tesi del 1990 e il nostro testo dell'ottobre 2022. Riprende l'idea che, nonostante tutte le difficoltà incontrate, il proletariato non ha perso la sua parte, che "la prospettiva storica resta completamente aperta" (tesi 17). E ricorda che “Nonostante il colpo che il crollo del blocco dell’est ha inferto alla presa di coscienza del proletariato, questo non ha subito nessuna sconfitta importante sul terreno della sua lotta. In questo senso, la sua combattività resta praticamente intatta. Ma in più, ed é questo l’elemento che determina in ultima istanza l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che si trova all’origine dello sviluppo della decomposizione, cioè l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità." (ibid.).
Di più: “la crisi economica, contrariamente alla decomposizione sociale che concerne essenzialmente le sovrastrutture, è un fenomeno che colpisce direttamente l’infrastruttura della società sulla quale riposano queste sovrastrutture; in questo senso, essa mette a nudo le cause ultime dell’insieme della barbarie che si abbatte sulla società, permettendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente sistema, e non di cercare di migliorare degli aspetti di questo.” (ibid).
E infatti oggi possiamo constatare che, nonostante il peso della decomposizione (in particolare il crollo dello stalinismo) e il lungo torpore che l’ha colpita, la classe operaia è ancora presente sulla scena della storia e ha la capacità di riprendere la sua lotta, come dimostrano in particolare le lotte nel Regno Unito e in Francia (i due proletariati che furono all'origine della fondazione dell'AIT nel 1864: una strizzatina d'occhio della storia!)
In effetti, il cammino che il proletariato deve percorrere è estremamente lungo e difficile. Da un lato, dovrà affrontare tutte le trappole che la borghesia metterà sul suo cammino, e ciò in un clima ideologico avvelenato dalla decomposizione della società capitalista che ostacola permanentemente la lotta e la coscienza del proletariato:
Le tesi del 1990 sottolineano queste difficoltà. Sottolineano in particolare che “è (…) fondamentale comprendere che quanto più il proletariato tarda a rovesciare il capitalismo, tanto maggiori saranno i pericoli e gli effetti dannosi della decomposizione”. (Tesi 15)
"Contrariamente alla situazione esistente negli anni ‘70, occorre mettere in evidenza che oggi il tempo non gioca più a favore della classe operaia. Finché la minaccia di distruzione della società era rappresentata unicamente dalla guerra imperialista, il semplice fatto che le lotte del proletariato fossero capaci di mantenersi come ostacolo decisivo di un tale evento era sufficiente a sbarrare la strada a questa distruzione. Invece, contrariamente alla guerra imperialista che per potersi realizzare richiede l’adesione del proletariato alle idee della borghesia, la decomposizione non ha nessun bisogno di imbrigliare la classe operaia per distruggere l’umanità. In effetti, le lotte operaie sono incapaci di costituire un freno alla decomposizione così come non riescono in nessun modo ad opporsi al crollo dell’economia borghese. In queste condizioni, anche se la decomposizione sembra essere per la vita della società un pericolo più lontano rispetto a quello di una guerra mondiale, essa è tuttavia ben più insidiosa. Per mettere fine alla minaccia costituita dalla decomposizione, le lotte operaie di resistenza agli effetti della crisi non sono più sufficienti: solo la rivoluzione comunista può bloccare una tale minaccia.” (Tesi 16)
La brutale accelerazione della decomposizione alla quale assistiamo oggi e che rende sempre più minacciosa la prospettiva della distruzione dell'umanità, agli stessi occhi dei settori più lucidi della borghesia, costituisce una conferma di questa analisi. E poiché solo la rivoluzione comunista potrà porre fine alla dinamica distruttiva della decomposizione e ai suoi effetti sempre più deleteri, ciò può dare un’idea della difficoltà del cammino che porta al rovesciamento del capitalismo. Un percorso durante il quale i compiti che il proletariato deve assolvere sono immani. In particolare, dovrà riappropriarsi pienamente della propria identità di classe, che è stata fortemente colpita dalla controrivoluzione e dalle varie manifestazioni di decomposizione, in particolare dal crollo dei regimi cosiddetti “socialisti”. Sarà anche necessario, e anche questo è fondamentale, riappropriarsi della sua esperienza passata, il che è un compito immenso perché questa esperienza è stata dimenticata dai proletari. Questa è una responsabilità fondamentale dell'avanguardia comunista: dare un contributo decisivo a questa riappropriazione da parte dell'intera classe delle lezioni di oltre un secolo e mezzo di lotta proletaria.
Le difficoltà che il proletariato dovrà affrontare non scompariranno con il rovesciamento dello Stato capitalista in tutti i paesi. Seguendo Marx, abbiamo spesso insistito sull'immensità del compito che attende la classe operaia durante il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, compito incommensurabile con tutte le rivoluzioni del passato poiché si tratta di uscire dal "regno della necessità al regno della libertà”. Ed è chiaro che quanto più la rivoluzione tarda a realizzarsi, tanto più immenso sarà il compito: giorno dopo giorno il capitalismo distrugge sempre di più il pianeta e, di conseguenza, le condizioni materiali del comunismo. Inoltre, la presa del potere da parte del proletariato farà seguito ad una terribile guerra civile che aumenterà le devastazioni di ogni genere già causate dal modo di produzione capitalistico ancor prima del periodo rivoluzionario. In questo senso, il compito di ricostruzione della società che il proletariato dovrà svolgere sarà incomparabilmente più gigantesco di quello che avrebbe dovuto svolgere se avesse preso il potere durante l'ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra. Allo stesso modo, se le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale furono già considerevoli, esse colpirono solo i paesi interessati dai combattimenti, il che permise una ricostruzione dell’economia mondiale, tanto più che la principale potenza industriale, gli Stati Uniti, era stata risparmiata da questa distruzione. Ma oggi l’intero pianeta è colpito dalla crescente distruzione di ogni tipo causata dal capitalismo agonizzante. Di conseguenza, deve essere chiaro che la presa del potere da parte della classe operaia su scala mondiale non garantirà di per sé che essa sarà in grado di portare a termine il suo compito storico, l’instaurazione del comunismo. Il capitalismo, consentendo un enorme sviluppo delle forze produttive, ha creato le condizioni materiali per il comunismo, ma la decadenza di questo sistema, e la sua decomposizione, potrebbero minare queste condizioni, lasciando in eredità al proletariato un pianeta completamente devastato e irrecuperabile.
È quindi responsabilità dei rivoluzionari sottolineare le difficoltà che il proletariato dovrà affrontare nel cammino verso il comunismo. Il loro ruolo non è quello di fornire consolazioni per non portare la classe operaia alla disperazione. La verità è rivoluzionaria, come diceva Marx, per quanto terribile possa essere.
Detto questo, se riuscirà a prendere il potere, il proletariato disporrà di un certo numero di risorse per realizzare il suo compito di ricostruire la società.
Da un lato, potrà mettere al suo servizio gli enormi progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnologia nel corso del XX secolo e dei due decenni del XXI secolo. Il rapporto del WEF menziona questo progresso, precisando che si tratta di “tecnologie a duplice uso (civile e militare)”. Quando il proletariato avrà preso il potere, l'uso militare non sarà più necessario, il che rappresenta un notevole progresso poiché è chiaro che oggi la sfera militare fa la parte del leone (insieme a numerose altre spese improduttive) nei benefici apportati dai progressi tecnologici.
Più in generale, la presa del potere da parte del proletariato dovrà consentire una liberazione senza precedenti delle forze produttive imprigionate dalle leggi del capitalismo. Non solo verrà eliminato l’enorme peso delle spese militari e improduttive, ma anche il mostruoso spreco rappresentato dalla concorrenza tra i vari settori economici e nazionali della società borghese nonché da una fenomenale sottoutilizzazione delle forze produttive (obsolescenza programmata, disoccupazione di massa, assenza o carenze dei sistemi educativi, ecc.).
Ma la principale risorsa del proletariato in questo periodo di transizione-ricostruzione non sarà tecnologica o strettamente economica. Sarà fondamentalmente politica. Se il proletariato riuscirà a prendere il potere, ciò significherà che esso ha raggiunto durante il periodo dello scontro con lo Stato capitalista, della guerra civile contro la borghesia, un altissimo livello di coscienza, di organizzazione e di solidarietà. E questi sono risultati che saranno preziosi per affrontare le immense sfide che gli si presenteranno. Soprattutto, il proletariato potrà contare sul futuro, su questo elemento fondamentale della vita della società, su questo futuro la cui assenza nella società attuale è all’origine del suo imputridimento.
Nel suo Rapporto sullo sviluppo umano 2021-22 [2021/2022 Human Development Report] pubblicato lo scorso ottobre e intitolato “Tempi incerti, vite instabili” l'ONU ci dice:
"Nuovi strati di incertezze interagiscono per creare nuovi tipi di incertezze - un nuovo complesso di incertezze - mai visto prima nella storia umana. Oltre all'incertezza quotidiana che le persone affrontano da tempi immemorabili, ora stiamo navigando in acque sconosciute, intrappolati in tre correnti volatili incrociate:
Le crisi globali si sono accumulate: la crisi finanziaria globale, la crisi climatica globale in corso e la pandemia da Covid-19, un’incombente crisi alimentare mondiale. Abbiamo l'assillante sensazione che il controllo che abbiamo sulle nostre vite stia svanendo, che le norme e le istituzioni su cui facevamo affidamento per la stabilità e la prosperità non possano competere con il complesso di incertezza di oggi".
Come possiamo vedere, questo rapporto dell’ONU va nella stessa direzione di quello del WEF. In un certo senso va anche oltre poiché ritiene che la terra sia entrata in un nuovo periodo geologico a causa dell'azione dell'uomo, che inizia nel XVII secolo e che lui chiama Antropocene e che noi chiamiamo capitalismo. Soprattutto, sottolinea la profonda disperazione, il “no futur” che permea sempre più la società (che lui chiama “complesso di incertezza”).
Proprio il fatto che la rivoluzione proletaria restituisca alla società umana un futuro che ha perduto costituirà un fattore potente nella capacità della classe operaia di raggiungere finalmente la “terra promessa” del comunismo dopo non 40 anni, ma ben più di un secolo di “attraversamento del deserto”.
[1]) “Il loro istinto diceva loro che se la Repubblica rende più completo il loro dominio politico, essa mina allo stesso tempo le sue basi sociali opponendole alle classi oppresse della società e obbligandole a lottare contro di esse senza intermediari, senza la copertura della corona, senza poter deviare l'interesse della nazione con le loro lotte subalterne tra loro e contro la regalità. Era il sentimento della loro debolezza che li faceva tremare davanti alle pure condizioni del loro dominio di classe e rimpiangere le forme meno complete, meno sviluppate e, di conseguenza, meno pericolose del loro dominio”. (Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, parte III)
[2]) Questo fondamentale cambiamento qualitativo (e non solo quantitativo) nella vita del capitalismo è chiaramente evidenziato dal Manifesto dell’Internazionale Comunista (marzo 1919): “Se l’assoluta sottomissione del potere politico al capitale finanziario ha portato l’umanità al massacro imperialista, questa carneficina ha permesso al capitale finanziario non solo di militarizzare fino in fondo lo Stato, ma di militarizzare se stesso, in modo che non possa più adempiere alle sue funzioni economiche essenziali se non con il ferro e il sangue. (...) La statalizzazione della vita economica, contro la quale il liberalismo capitalista ha tanto protestato, è un fatto compiuto. Il ritorno non alla libera concorrenza, ma solo al dominio dei trust, dei sindacati e delle altre piovre capitaliste, è ormai impossibile". Ma evidentemente i compagni della TCI non conoscono questo documento; a meno che non siano in disaccordo con questa posizione fondamentale dell’IC, la qual cosa andrebbe detta da loro con chiarezza.
[3]) Ci permettiamo di usare questo termine perché i discendenti del Partito del 1945 voltarono le spalle al lavoro teorico rivoluzionario di Bilan, la Sinistra Italiana in Esilio, negli anni Trenta.
[4]) A questi discepoli sembra perfettamente adatta un'altra lettera di Engels sul metodo marxista: Quel che manca a questi signori, è la dialettica. Vedono sempre solo da una parte la causa, dall'altra l'effetto. Che ciò è una vuota astrazione, che nel mondo reale tali metafisiche opposizioni polari si danno solo nei momenti di crisi, mentre tutto il gran corso dello sviluppo avviene nella forma dell'azione reciproca - anche se di forze assai impari, di cui il movimento economico è di gran lunga la più forte e la più originaria, la più decisiva - che qui niente è assoluto e tutto è relativo, questo neanche lo vedono; per loro Hegel non è mai esistito (...) (Engels a Conrad Schmidt, 27 ottobre 1890)
[5]) È necessario distinguere la dialettica marxista, oggettiva, dalla dialettica vuota e soggettiva delle varie correnti dell'anarchismo e del modernismo, che restano confuse trovando contraddizioni ovunque. Possono ben riconoscere alcuni dei fenomeni di decomposizione, ma tipicamente rifiutano di vedere la causa ultima e la logica del periodo di decomposizione nella bancarotta economica del sistema capitalista. Per loro la dialettica storica oggettiva è un anatema, perché li priverebbe della loro preoccupazione principale, vale a dire la conservazione dogmatica della loro libertà di opinione individuale. Se il fattore economico viene trattato come un fattore tra altri di pari importanza, la loro dialettica resta soggettiva, astorica e, come gli epigoni della sinistra italiana, incapace di cogliere la traiettoria degli eventi.
A partire da una terribile pandemia, gli anni ’20 del 21° secolo hanno ricordato concretamente l’unica alternativa esistente: rivoluzione proletaria o distruzione dell’umanità. Lo scoppio del conflitto in Ucraina e l’aumento dell’economia di guerra ovunque, la crisi economica e la sua devastante inflazione, con il riscaldamento globale e la devastazione della natura che sempre più minacciano anche la vita, con la crescita del ciascuno per sé, dell’irrazionalismo e dall’oscurantismo, con la decomposizione dell’intero tessuto sociale, gli anni ’20 non vedono solo il sommarsi di flagelli mortali; tutti questi convergono, si combinano e si alimentano a vicenda. Gli anni 2020 saranno una concatenazione di tutti i peggiori mali del capitalismo decadente e marcio. Il capitalismo è entrato in una fase di convulsioni estreme e gravi, e la più minacciosa e sanguinosa è il rischio di un aumento dei conflitti armati.
La decadenza del capitalismo ha una storia; ha attraversato diverse fasi a partire dal 1914. Quella inaugurata nel 1989 è “ una fase specifica – la fase ultima – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore decisivo, nell’evoluzione della società”[1]. La caratteristica principale di questa fase di decomposizione, le sue radici più profonde, ciò che mina l'intera società e genera marciume, è l'assenza di prospettiva. Questi anni ‘20 dimostrano ancora una volta che la borghesia non può offrire all’umanità altro che miseria, guerra e caos, in un disordine crescente e sempre più irrazionale. Ma che dire della classe operaia? Che dire della sua prospettiva rivoluzionaria, il comunismo? È evidente che da decenni il proletariato è immerso in immense difficoltà; le sue lotte sono rare e non massicce, la sua capacità di organizzazione è ancora estremamente limitata e, soprattutto, non sa più di esistere come classe, come forza sociale capace di portare avanti un progetto rivoluzionario. Ora, il tempo non gioca a favore della classe operaia.
Tuttavia, se esiste questo pericolo di un’erosione lenta e in ultima analisi irreversibile delle basi stesse del comunismo, finire nella barbarie totale non è inevitabile; al contrario, la prospettiva storica rimane completamente aperta. In effetti, “Nonostante il colpo che il crollo del blocco dell’est ha inferto alla presa di coscienza del proletariato, questo non ha subito nessuna sconfitta importante sul terreno della sua lotta. In questo senso, la sua combattività resta praticamente intatta. Ma in più, ed è questo l’elemento che determina in ultima istanza l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che si trova all’origine dello sviluppo della decomposizione, cioè l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. La sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base per lo sviluppo della sua forza e della sua unità di classe ”[2].
E in effetti oggi, con il terribile peggioramento della crisi economica globale e il ritorno dell’inflazione, la classe operaia sta cominciando a reagire e a trovare la via della sua lotta. Persistono tutte le sue difficoltà storiche; la sua capacità di organizzare le proprie lotte e ancor più la presa di coscienza del suo progetto rivoluzionario sono ancora molto lontane, ma la crescente combattività di fronte ai brutali colpi inferti dalla borghesia alle condizioni di vita e di lavoro è il terreno fertile su cui il proletariato può riscoprire la sua identità di classe, prendere nuovamente coscienza di ciò che è, della sua forza quando lotta, sta insieme e sviluppa la sua unità. È un processo, una lotta che riprende dopo anni di atonia, una potenzialità che gli scioperi attuali suggeriscono. Il segnale più forte di questa possibile dinamica è il ritorno dello sciopero nel Regno Unito, un evento di portata storica.
Il ritorno della combattività operaia in risposta alla crisi economica può diventare fonte di presa di coscienza. Finora ogni accelerazione della decomposizione ha inferto un duro colpo agli sforzi embrionali di combattività operaia: il movimento in Francia del 2019 ha sofferto per lo scoppio della pandemia; le lotte dell’inverno 2021 si sono fermate di fronte alla guerra in Ucraina, ecc. Ciò significa una significativa difficoltà aggiuntiva nello sviluppo delle lotte e nella fiducia del proletariato in sé stesso. Ma non c’è altra via che la lotta: la lotta è di per sé la prima vittoria. Il proletariato mondiale, in un processo molto tormentato e costellato di amare sconfitte, potrà gradualmente cominciare a recuperare la sua identità di classe e infine lanciarsi in un’offensiva internazionale contro questo sistema moribondo. In altre parole, gli anni a venire saranno decisivi per il futuro dell’umanità.
Durante gli anni ’80, il mondo si stava chiaramente dirigendo o verso la guerra o verso grandi scontri di classe. L’esito di questo decennio è stato tanto inaspettato quanto senza precedenti: da un lato l’impossibilità per la borghesia di procedere verso la guerra mondiale, impedita dal rifiuto della classe operaia di accettare i sacrifici, e dall’altro l’incapacità della stessa classe operaia di politicizzare le proprie lotte e offrire una prospettiva rivoluzionaria hanno generato una sorta di blocco, facendo precipitare l’intera società in una situazione senza futuro e generando quindi un imputridimento generalizzato. “Gli anni della verità”, gli anni ’80[3] hanno così portato alla Decomposizione. Oggi la situazione si presenta in condizioni storiche più intense e drammatiche:
I due poli della prospettiva si confrontano e si scontreranno. Nel corso di questo decennio si verificherà allo stesso tempo un peggioramento sempre più drammatico degli effetti della Decomposizione e reazioni operaie portatrici di un altro futuro. La sola alternativa, la distruzione dell’Umanità o la rivoluzione proletaria, riaffiorerà e diventerà sempre più palpabile. È quindi uno scontro, una lotta, la lotta di classe. E affinché l’esito sia favorevole, il ruolo delle organizzazioni rivoluzionarie sarà vitale. Che si tratti dello sviluppo della coscienza di classe e dell'organizzazione della classe nella lotta o della chiara comprensione dei problemi e delle prospettive da parte delle minoranze, il nostro intervento sarà decisivo.
Dobbiamo quindi avere la più chiara e lucida consapevolezza della dinamica in atto, delle sue potenzialità, dei punti di forza e di debolezza della nostra classe, nonché degli attacchi ideologici e delle trappole che la situazione storica di decomposizione e la borghesia, la classe dirigente più intelligente e machiavellica della storia, ci tendono sul cammino che ci aspetta.
La guerra è sempre un momento decisivo per il proletariato mondiale. Con la guerra, la classe operaia mondiale subisce il massacro di una sua parte, ma anche un colpo enorme da parte della classe dominante. Sotto tutti i punti di vista, la guerra è l’esatto opposto di ciò che è la classe operaia, della sua natura internazionale simboleggiata dal suo grido di battaglia: “I lavoratori non hanno patria. Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
Lo scoppio del conflitto in Ucraina mette così alla prova il proletariato mondiale. La reazione a questa barbarie è un indicatore essenziale per capire a che punto è la nostra classe, a che punto sono gli equilibri di potere con la borghesia. E non c’è omogeneità. Al contrario, ci sono differenze molto grandi tra i paesi, tra la periferia e le regioni centrali del capitalismo.
In Ucraina la classe operaia viene schiacciata fisicamente e ideologicamente. Arruolati in gran parte nella difesa della patria, contro "l'invasore russo", contro "il bruto e teppista Putin", per la difesa della "cultura e delle libertà ucraine", per la democrazia, gli operai si uniscono alla mobilitazione nelle fabbriche e nelle trincee. Questa situazione è ovviamente il risultato della debolezza del movimento operaio internazionale ma anche della storia del proletariato in Ucraina. Se si tratta di un proletariato concentrato e colto, con lunga esperienza, questo proletariato ha anche e soprattutto subito tutte le conseguenze della controrivoluzione e dello stalinismo. La carestia causata negli anni '30 dal potere sovietico, l’Holomodor, in cui persero la vita 5 milioni di persone, costituisce la base dell'odio contro il vicino russo e di un forte sentimento patriottico. Più recentemente, all’inizio degli anni 2010, un’intera parte della borghesia ucraina ha scelto di emanciparsi dalla tutela russa e di allearsi con l’Occidente. In realtà, questa evoluzione testimoniava la crescente pressione da parte degli Stati Uniti in tutta la regione. La “Rivoluzione arancione”[4] del 2004, poi il Maidan (o “Rivoluzione della dignità”) del 2014 hanno mostrato fino a che punto una parte molto ampia della popolazione abbia aderito alla difesa della “democrazia” e dell’indipendenza ucraina dall’influenza russa. Da allora, la propaganda nazionalista non ha fatto altro che amplificarsi fino all’esito del febbraio 2022.
L’incapacità della classe operaia di questo paese di opporsi alla guerra e al suo arruolamento, un’incapacità che ha aperto la possibilità di questo massacro imperialista, indica la misura in cui la barbarie e il marciume capitalista stanno guadagnando terreno in parti di aree sempre più ampie del globo. Dopo l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia centrale, tocca a una parte dell’Europa centrale essere minacciata dal rischio di precipitare definitivamente nel caos imperialista; L’Ucraina ha dimostrato che esiste, in alcuni paesi satelliti dell’ex Unione Sovietica, in Bielorussia, in Moldavia, nell’ex Jugoslavia, un proletariato molto indebolito da decenni di sfruttamento forsennato da parte dello stalinismo in nome del comunismo, dal peso delle illusioni democratiche e del nazionalismo, cosa che permette alla guerra di propagarsi. In Kosovo, Serbia e Montenegro le tensioni stanno aumentando.
D’altra parte, in Russia, il proletariato non è pronto ad accettare di sacrificare a questo livello la propria vita. Certo, la classe operaia russa non è capace di opporsi all’avventura bellica della propria borghesia, accetta questa barbarie e i suoi 100.000 morti senza reagire, certo la reazione dei richiamati per non andare al fronte è la diserzione o l’automutilazione, tanti atti individuali disperati che riflettono l’assenza di reazione della classe, ma nondimeno la borghesia russa non può dichiarare la mobilitazione generale. Perché i lavoratori russi non sono abbastanza convinti di versare il proprio sangue in nome della Patria.
Molto probabilmente è la stessa cosa in Asia: sarebbe quindi un errore dedurre troppo frettolosamente dalla debolezza del proletariato ucraino che c'è strada libera anche per lo scoppio di violente dispute tra Cina e Taiwan o tra le due Coree. In Cina, Corea del Sud e Taiwan la classe operaia ha una maggiore concentrazione, istruzione e coscienza rispetto a quella che vive in Ucraina, maggiore di quella che vive in Russia. Il rifiuto di farsi trasformare in carne da cannone è ancora oggi la situazione più plausibile in questi paesi. Così, al di là dei rapporti di forza tra le potenze imperialiste coinvolte in questa regione del mondo, Cina e Stati Uniti in primis, la presenza di una concentrazione molto forte di lavoratori istruiti rappresenta il primo freno alla dinamica della guerra.
Per quanto riguarda i paesi centrali, a differenza del 1990 o del 2003, le grandi potenze democratiche non sono direttamente coinvolte nel conflitto ucraino, non inviano le loro truppe di soldati professionisti. Al momento non possono fare altro che sostenere politicamente e militarmente l'Ucraina contro l'invasione russa, difendere la libertà democratica del popolo ucraino contro il dittatore Putin, inviando armi, tutte etichettate come "armi difensive".
Nel 2003 e ancor più nel 1991, gli effetti della guerra si tradussero in una relativa paralisi della combattività ma anche in una preoccupata e profonda riflessione sulle sfide storiche. Questa situazione all'interno della classe costrinse poi le forze della sinistra della borghesia ad organizzare manifestazioni pacifiste fiorite quasi ovunque contro "l'imperialismo americano e i suoi alleati". Queste grandi mobilitazioni contro gli interventi dei paesi occidentali non sono state opera della classe operaia; la posizione " siamo contrari alla politica del nostro governo che partecipa alla guerra", ha avuto un impatto sulla classe operaia tale da portarla in un vicolo cieco e sterilizzare ogni sforzo di presa di coscienza. Niente di simile oggi, non ci sono state mobilitazioni pacifiste di questo tipo. Coloro che criticano le politiche dei paesi occidentali e il loro sostegno all'Ucraina sono soprattutto le forze di estrema destra legate a Putin, mentre negli Stati Uniti sono i trumpisti o i repubblicani a “esitare”.
Questa assenza di mobilitazione pacifista oggi non significa indifferenza e ancor meno sostegno del proletariato alla guerra. Certo, la campagna per difendere la democrazia e la libertà dell’Ucraina contro l’aggressore russo ha dimostrato tutta la sua efficacia in questo senso: la classe operaia è intrappolata dal potere della propaganda filodemocratica. Ma, a differenza del 1991, il rovescio della medaglia è che non ha alcun impatto sulla combattività dei lavoratori. Siamo lontani da una semplice non adesione passiva. Non solo la classe operaia dei paesi centrali non è ancora pronta ad accettare i morti (anche se di soldati professionisti), ma rifiuta anche i sacrifici e il degrado delle loro condizioni di vita e di lavoro che la guerra comporta. In Gran Bretagna ad esempio, il paese europeo che è materialmente e politicamente più coinvolto nella guerra, il più determinato a sostenere l'Ucraina, è allo stesso tempo quello dove la combattività operaia si esprime con maggiore forza in questo momento. Gli scioperi nel Regno Unito sono l'elemento più importante della reazione internazionale, del rifiuto da parte della classe operaia dei sacrifici (del supersfruttamento, della diminuzione dell’occupazione, dell'aumento dei ritmi di lavoro, dell'aumento dei prezzi, ecc.) che la borghesia impone al proletariato, e che lo sviluppo del militarismo accentuerà sempre di più.
Uno dei limiti attuali degli sforzi della nostra classe è la sua incapacità di collegare il deterioramento delle sue condizioni di vita alla guerra. Le lotte operaie che si verificano e si sviluppano sono una risposta dei lavoratori alle condizioni loro imposte; costituiscono l'unica risposta possibile, e portatrici di una prospettiva, alla politica della borghesia ma, allo stesso tempo, non si mostrano, per il momento, capaci di affrontare e integrare la questione della guerra. Dobbiamo tuttavia rimanere molto attenti ai possibili sviluppi. In Francia, ad esempio, giovedì 19 gennaio si è svolta una manifestazione estremamente massiccia dopo l'annuncio di una riforma delle pensioni, peggiorativa, in nome “dell'equilibrio del bilancio dello Stato e della giustizia sociale”; il giorno successivo, venerdì 20 gennaio, Il presidente Macron ha formalizzato in pompa magna un budget militare record di 400 miliardi di euro. Il legame tra i sacrifici richiesti e le spese belliche dovrà necessariamente, alla lunga, farsi strada nella mente dei lavoratori.
L'intensificazione dell'economia di guerra implica direttamente un peggioramento della crisi economica; la classe operaia non coglie ancora veramente il nesso, non si mobilita, nel complesso, contro l’economia di guerra, ma si oppone ai suoi effetti, contro la crisi economica, in primo luogo contro i salari troppo bassi di fronte all’inflazione.
Questa non è una sorpresa. La storia dimostra che la classe operaia non si mobilita direttamente al fronte contro la guerra, ma contro le sue conseguenze sulla vita quotidiana nelle retrovie. Già nel 1982, in un articolo della nostra rivista che poneva la domanda: "La guerra è una condizione favorevole per la rivoluzione comunista?", abbiamo risposto negativamente e abbiamo affermato che è soprattutto la crisi economica a costituire il terreno più fertile per lo sviluppo delle lotte e della coscienza, aggiungendo molto giustamente che "l'aggravarsi della crisi economica abbatte queste barriere nella coscienza di un numero crescente di proletari attraverso i fatti che dimostrano che si tratta della stessa lotta di classe".
2. …al contrario, trova la via della lotta di fronte alla crisi
La reazione della classe operaia alla guerra, anche se è molto eterogenea in tutto il mondo, mostra che dove si trova la chiave per il futuro, dove si accumula l’esperienza storica, nei paesi centrali, il proletariato non ha subito una sconfitta importante, che non è pronto a lasciarsi reclutare e a sacrificare la sua vita. Ancor di più, la sua reazione agli effetti della crisi economica indica una dinamica verso la ripresa della combattività operaia in questi paesi.
Ritornando agli scioperi, i lavoratori britannici hanno inviato un chiaro segnale ai lavoratori di tutto il mondo: "Dobbiamo lottare. Basta". Una parte della stampa di sinistra titolava addirittura: “Nel Regno Unito: il grande ritorno della lotta di classe”. L'entrata in lotta del proletariato britannico costituisce quindi un evento di portata storica.
Quest’ondata di scioperi è stata guidata da quella frazione del proletariato europeo che ha sofferto maggiormente il declino generale della lotta di classe a partire dalla fine degli anni ‘80. Se negli anni ‘70, anche se con un certo ritardo rispetto ad altri paesi come Francia, Italia e Polonia, i lavoratori britannici avevano sviluppato lotte molto importanti culminate nell'ondata di scioperi del 1979 ("l’inverno del malcontento")."), nel corso degli anni '80, la classe operaia britannica subì un'efficace controffensiva da parte della borghesia che culminò nella sconfitta dello sciopero dei minatori del 1985 contro Margaret Thatcher. Questa sconfitta e il riflusso del proletariato britannico annunciarono in qualche modo il declino storico del proletariato mondiale, rivelando anzitempo il risultato dell’incapacità di politicizzare le lotte e il peso della debolezza del corporativismo. Durante gli anni novanta e duemila, la Gran Bretagna è stata particolarmente colpita dalla deindustrializzazione e dal trasferimento delle industrie in Cina, India o Europa dell’Est. Negli ultimi anni, i lavoratori britannici hanno subito l’ondata di movimenti populisti e soprattutto l’assordante campagna sulla Brexit, che ha stimolato la divisione al loro interno tra "remainers" et "leavers" e poi la crisi di Covid, che ha pesato molto sulla classe operaia. Infine, ancora più di recente, è stata messa di fronte all'appello ai sacrifici necessari per lo sforzo bellico, sacrifici che sono "molto piccoli" rispetto a quelli dell' "eroico popolo ucraino" che resiste sotto le bombe. Tuttavia, nonostante tutte queste difficoltà e ostacoli, oggi si affaccia sulla scena sociale una generazione di proletari che non risente più del peso delle sconfitte della "generazione Thatcher", una nuova generazione che sta rialzando la testa dimostrando che la classe operaia è in grado di rispondere agli attacchi attraverso la lotta. Fatte salve le dovute proporzioni, notiamo un fenomeno abbastanza paragonabile (ma non identico) a quello che vide emergere la classe operaia francese nel 1968: l’arrivo di una generazione giovane meno colpita rispetto a quella anziana dal peso della controrivoluzione. Così, mentre la sconfitta del 1985 nel Regno Unito annunciava il declino generale della fine degli anni ’80, il ritorno della combattività operaia e lo sciopero sull’isola britannica indicano una dinamica profonda nelle viscere del proletariato mondiale. “L’estate della rabbia” (che è continuata in autunno, in inverno… e presto in primavera) non può che costituire un incoraggiamento per tutti i lavoratori del pianeta e questo per diverse ragioni: si tratta della classe operaia della quinta potenza economica del mondo, e di un proletariato di lingua inglese, le cui lotte possono essere significative in paesi come gli Stati Uniti, il Canada o in altre regioni del mondo, come l’India o il Sud Africa. Essendo l'inglese, d'altronde, la lingua della comunicazione globale, l'influenza di questi movimenti supera necessariamente quella che potrebbero avere le lotte in Francia o in Germania, per esempio. In questo senso, il proletariato britannico indica la strada non solo ai lavoratori europei, che dovranno essere in prima linea nella crescita della lotta di classe, ma anche al proletariato mondiale, e in particolare a quello americano. In vista delle lotte future, la classe operaia britannica potrà così fungere da collegamento tra il proletariato dell’Europa occidentale e il proletariato americano. Negli USA, gli scioperi nelle numerose fabbriche di questi ultimi anni lo mostrano, c’è una combattività crescente della classe, e il movimento Occupy Wall Street aveva rivelato tutta la riflessione che maturava al suo interno; non dobbiamo dimenticare che il proletariato ha una grande storia ed esperienza da questa parte dell'Atlantico. Ma anche i suoi punti deboli sono molto grandi: il peso dell’irrazionalità, del populismo e dell’arretratezza; il peso dell'isolamento continentale; il peso dell’ideologia piccolo-borghese e borghese riguardo alle libertà, alle razze, ecc. Il collegamento con l’Europa, questo collegamento reso possibile dal Regno Unito, è tanto più cruciale.
Per comprendere come il ritorno dello sciopero nel Regno Unito sia un segno della possibilità di un futuro sviluppo della lotta e della coscienza proletaria, dobbiamo ritornare a quanto abbiamo affermato nella nostra Risoluzione sulla situazione internazionale adottata durante il nostro congresso internazionale nel 2021:
"Nel 2003, sulla base di nuove lotte in Francia, in Austria e altrove, la CCI aveva predetto una ripresa delle lotte da parte di una nuova generazione di proletari che era stata meno influenzata dalle campagne anticomuniste e destinata a confrontarsi con un futuro sempre più incerto. In buona misura queste predizioni sono state confermate dagli avvenimenti del 2006-2007, in particolare con la lotta contro il CPE (Contratto di Primo Impiego) in Francia, e del 2010-2011, in particolare con il movimento degli Indignati in Spagna. Questi movimenti hanno mostrato degli avanzamenti importanti a livello della solidarietà fra le generazioni, dell’autoorganizzazione con lo strumento delle assemblee, della cultura del dibattito, delle preoccupazioni reali sull’avvenire prospettato alla classe operaia e all’umanità nel suo insieme. In questo senso essi hanno mostrato il potenziale di una unificazione delle dimensioni economiche e politiche della lotta di classe. Ciononostante, abbiamo avuto bisogno di molto tempo per capire le immense difficoltà a cui era confrontata questa nuova generazione, cresciuta nelle condizioni della decomposizione, difficoltà che avrebbero impedito al proletariato di invertire il riflusso post-’89 durante questo periodo."[5]
L’elemento chiave di queste difficoltà è stata la continua erosione dell’identità di classe.È questo che spiega principalmente perché il movimento contro la riforma del CPE (Contratto di primo Impiego) del 2006 in Francia non ha lasciato traccia visibile: in seguito non ci sono stati circoli di discussione, la comparsa di piccoli gruppi, e nemmeno libri, raccolte di testimonianze ecc., al punto da essere oggi del tutto sconosciuto tra i giovani. Gli studenti precari dell'epoca avevano utilizzato i metodi di lotta del proletariato (assemblee generali) e ripresa la natura della sua lotta (solidarietà) senza nemmeno saperlo, il che rendeva impossibile prendere coscienza della natura, della forza e degli obiettivi storici del proprio movimento. È la stessa debolezza che ha ostacolato lo sviluppo del movimento degli Indignati nel 2010-2011 e che ha impedito di trarne i frutti e le lezioni. In effetti, "la maggioranza si vedeva come dei “cittadini” piuttosto che come membri di una classe, cosa che la rendeva vulnerabile alle illusioni democratiche portate avanti da gruppi come Democracia Ya! (il futuro Podemos), ed in seguito al veleno del nazionalismo catalano e spagnolo.”[6]
Per mancanza di radicamento, il movimento è andato alla deriva. L’identità di classe è inseparabile dallo sviluppo della coscienza di classe, perché essa è il riconoscimento di un interesse comune di classe, contrapposto a quello della borghesia, perché essa è la “costituzione del proletariato in classe”, come dice il Manifesto comunista. Per fare un esempio, senza identità di classe, è impossibile relazionarsi consapevolmente alla storia della classe, alle sue lotte, alle sue lezioni.
I due grandi momenti del movimento del proletariato dopo gli anni ‘80, il movimento contro il CPE e gli Indignati, sono stati sterilizzati o recuperati soprattutto a causa di questa mancanza di una base per lo sviluppo più generale della coscienza, a causa di questa perdita dell'identità di classe. È questa notevole debolezza che il ritorno allo sciopero nel Regno Unito suggerisce di poter superare. Storicamente, il proletariato del Regno Unito è segnato da notevoli debolezze (controllo sindacale e corporativismo, riformismo)[7], ma lì la parola workers è stata cancellata meno che altrove; nel Regno Unito la parola non è vergognosa; e questo sciopero può cominciare a riportarla “in auge” a livello internazionale. I workers del Regno Unito non indicano la strada a tutti i livelli, perché i loro metodi di lotta sono troppo segnati dalle loro debolezze, questo toccherà agli altri settori del proletariato, ma lanciano oggi il messaggio essenziale: lottiamo non come cittadini o studenti ma come operai. E questo passo avanti è possibile grazie a questo inizio di reazione operaia alla crisi economica.
La realtà di questa dinamica può essere misurata dalla reazione preoccupata della borghesia, soprattutto in Europa occidentale, in relazione ai pericoli posti dall’estensione del “deterioramento della situazione sociale”. Ciò è particolarmente vero in Francia, Belgio, Spagna e Germania, dove la borghesia, contrariamente all’atteggiamento della borghesia britannica, ha adottato misure per limitare gli aumenti del petrolio, del gas e dell’elettricità o per compensare attraverso sussidi o tagli fiscali l’impatto dell’inflazione e dell’aumento dei prezzi e proclama a gran voce di voler proteggere il “potere d’acquisto” dei lavoratori. In Germania, nell’ottobre e novembre 2022, gli “avvisi di sciopero” hanno portato immediatamente all’annuncio di “bonus per l’inflazione” (3.000 euro nella metallurgia, 7000 nel settore automobilistico) e di promesse di aumenti salariali.
Ma di fronte alla realtà dell’aggravarsi della crisi economica globale, le borghesie nazionali sono tuttavia obbligate ad attaccare il loro proletariato in nome della competitività e dell’equilibrio di bilancio; le loro misure di “protezione” e altri “scudi” vengono gradualmente ridotti. In Italia, la “legge finanziaria 2023” riduce così gran parte degli “aiuti speciali” e costituisce un nuovo attacco frontale alle condizioni di vita e di lavoro. In Francia, il governo Macron ha dovuto annunciare la sua importante riforma pensionistica all’inizio di gennaio 2023, dopo mesi di passi indietro e di preparazione. Risultato: manifestazioni di massa, addirittura superiori alle aspettative dei sindacati. Al di là del milione di persone in strada, sono l'atmosfera e la natura delle discussioni in questi cortei in Francia a rivelare meglio ciò che accade nel profondo della nostra classe:
Ovviamente questa dinamica positiva non arriva ancora fino all’autorganizzazione. Il confronto aperto con i sindacati è attualmente inesistente. La nostra classe non è ancora pronta. La semplice domanda non si pone ancora. E quando i lavoratori cominceranno ad affrontare questa questione, sarà un processo molto lungo, con la riconquista delle assemblee generali e dei comitati di lotta, con le insidie delle diverse forme di sindacalismo (le organizzazioni centrali, i coordinamenti, la “base”, ecc.). Ma il fatto che i sindacati, per rispondere alle preoccupazioni della classe e mantenere la guida del movimento, debbano organizzare grandi manifestazioni apparentemente unite quando per mesi hanno fatto di tutto per evitarle, dimostra che i lavoratori hanno la tendenza a volersi unire per combattere.
Interessante è anche monitorare come evolverà la situazione nel Regno Unito a questo riguardo. Dopo nove mesi di ripetuti scioperi, la rabbia e la combattività non sembrano diminuire. All'inizio di gennaio è stata la volta degli autisti delle ambulanze e degli insegnanti ad unirsi alla serie di scioperi. E anche qui germoglia l’idea di lottare insieme. È così che il discorso sindacale ha dovuto adattarsi, lasciando sempre più spazio alle parole “unità”, “solidarietà” ... e sono state mantenute le promesse di “manifestazioni”. Per la prima volta alcuni settori scioperano lo stesso giorno, ad esempio infermieri e autisti di ambulanze.
Questa simultaneità di lotte in diversi paesi non si vedeva dagli anni ’80! L'influenza della combattività del proletariato del Regno Unito sul proletariato francese deve essere attentamente monitorata, così come l'influenza della tradizione delle manifestazioni di piazza in Francia sulla situazione nel Regno Unito. Quasi 160 anni fa, il 28 settembre 1864, nasceva l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, principalmente su iniziativa dei proletariati britannico e francese. Questo è più di un semplice cenno alla storia. Ciò rivela la profondità di ciò che sta accadendo: le parti più esperte del proletariato mondiale si stanno muovendo di nuovo e tornano a far sentire la loro voce. Manca ancora quello della Germania, ancora profondamente segnato dalla sconfitta degli anni ‘20, dal suo schiacciamento fisico e ideologico, ma la durezza della crisi economica che sta iniziando a colpirlo potrebbe spingerlo a reagire a sua volta.
Perché l’aggravarsi della crisi e le conseguenze della guerra saranno un crescendo continuo, generando ovunque un aumento della rabbia e della combattività. Ed è molto importante che l’aggravarsi della crisi economica globale oggi prenda la forma dell’inflazione perché:
Periodi di inflazione nella storia hanno regolarmente spinto il proletariato nelle strade. L'intera fine del XIX secolo fu segnata a livello internazionale dall'aumento dei prezzi e allo stesso tempo si svilupparono scioperi di massa dal Belgio, a partire dal 1892, alla Russia nel 1905. In Polonia nel 1980 il processo ha le sue radici nell'impennata dei prezzi della carne. L’esempio opposto è quello della Germania degli anni ’30: se a quel tempo l’inflazione galoppante provocò anche un’immensa rabbia, in realtà contribuì alla paura, alla ritirata e al disorientamento della classe; ma questo avvenne in un periodo storico ben diverso, quello della controrivoluzione, ed è proprio in Germania che il proletariato era stato precedentemente più massacrato ideologicamente e fisicamente.
Oggi, la Germania (dell’Ovest) è colpita dalla crisi economica globale come non accadeva dagli anni ’30, ma questo deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, questa ricomparsa dell’inflazione si inserisce nel contesto di una ripresa internazionale della combattività operaia. L'evoluzione della situazione sociale di questo Paese, dopo decenni di relativo immobilismo, deve quindi essere monitorata con particolare attenzione.
Così, nonostante la tendenza alla decomposizione ad agire sulla crisi economica, quest’ultima resta “il miglior alleato del proletariato”. Si tratta di una nuova conferma delle nostre Tesi sulla decomposizione: “l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità.” Avevamo dunque ragione quando, nella nostra ultima risoluzione sulla situazione internazionale, affermavamo: “Di conseguenza noi dobbiamo rigettare ogni tendenza a minimizzare l’importanza delle lotte economiche «difensive» della classe, che è una espressione tipica della concezione modernista che non vede la classe che come una categoria sfruttata e non anche come una forza storica, rivoluzionaria». Abbiamo già difeso questa posizione cardinale in uno dei nostri articoli appartenenti al nostro patrimonio, "La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo": "La lotta del proletariato tende ad uscire dall'ambito strettamente economico per divenire sociale, confrontandosi direttamente con lo Stato, politicizzandosi ed esigendo una massiccia partecipazione della classe”[8]. È la stessa idea contenuta nella formula di Lenin: “Dietro ogni sciopero si erge l’idra della rivoluzione”.
Il movimento del 2006 contro il CPE è stato una reazione a un attacco economico che ha immediatamente sollevato profonde questioni politiche generali, in particolare quella dell'organizzazione in assemblee ma anche quella della solidarietà tra generazioni. Ma, come abbiamo visto sopra, la perdita dell’identità di classe ha sterilizzato tutte queste questioni di fondo. Nei prossimi scioperi, a livello internazionale, di fronte al naufragare della crisi economica, c’è la possibilità che i lavoratori, pur con tutte le loro debolezze e illusioni, comincino a vedersi, a riconoscersi, a comprendere la forza che rappresentano nel collettivo, e quindi come classe, e allora tutte queste questioni sospese dall'inizio degli anni 2000 sulla prospettiva ("Un altro mondo è possibile"), sui metodi di lotta (le assemblee e il superamento delle divisioni corporativistiche), il sentimento di essere "tutti sulla stessa barca", gli slanci di solidarietà diventeranno terreno fertile per l'unità, e brilleranno di una nuova luce. Possono finalmente cominciare a essere visti e discussi consapevolmente. È così che si intrecceranno la dimensione economica e la dimensione politica.
L’intensificarsi dell’economia di guerra e l’aggravarsi della crisi economica a livello globale stanno creando un aumento della rabbia e della combattività anche esso a livello globale. E, come di fronte alla guerra, l’eterogeneità del proletariato nei diversi paesi genera un’eterogeneità di risposte e di potenzialità di ciascun movimento. Esiste tutta una gamma di lotte a seconda delle situazioni, della storia del proletariato e della sua esperienza.
Molti paesi si stanno avvicinando alla situazione europea, con una significativa concentrazione di lavoratori e governi “democratici” al potere. È il caso del Sudamerica. Lo sciopero dei medici e degli infermieri di fine novembre o lo sciopero “generale” di fine dicembre in Argentina, confermano questa relativa somiglianza, questa dinamica in parte comune. Ma in questi paesi il proletariato non ha accumulato la stessa esperienza come in Europa e in Nord America. Lì il peso degli strati intermedi e quindi il pericolo della trappola interclassista sono molto maggiori; il movimento Piqueteros degli anni '90 in Argentina è ancora il modello di lotta dominante. Soprattutto, i morsi della decomposizione marciscono l’intero tessuto sociale; la violenza e il traffico di droga dominano la società del nord del Messico, della Colombia, del Venezuela, cominciano ad affliggere il Perù, il Cile… Queste debolezze spiegano, ad esempio, perché nell’ultimo decennio il Venezuela è sprofondato in una crisi economica devastante senza che il proletariato abbia reagito, anche se si tratta di un proletariato industriale altamente istruito e con una forte tradizione di lotta.
Questa realtà conferma ancora una volta la responsabilità primaria del proletariato in Europa. Sulle sue spalle pesa il dovere di indicare la strada sviluppando lotte che mettano al centro i metodi del proletariato: assemblee generali operaie, rivendicazioni unificanti, solidarietà tra settori e generazioni... e difesa dell'autonomia della classe operaia, una lezione che risale alle lotte di classe in Francia nel 1848!
In particolare bisogna seguire l’evoluzione della lotta di classe in Cina. Questo paese conta una concentrazione di 770 milioni di lavoratori salariati e sembra conoscere un aumento significativo del numero di scioperi di fronte ad una crisi economica che si manifesta sotto forma di immense ondate di licenziamenti. Alcuni analisti avanzano l'idea che la nuova generazione di lavoratori non è pronta ad accettare le stesse condizioni di sfruttamento dei loro genitori, perché con lo sviluppo della crisi economica la promessa di un futuro migliore in cambio dei sacrifici attuali non regge più. Il pugno di ferro dello Stato cinese, la cui autorità poggia soprattutto sulla repressione, può contribuire ad alimentare la rabbia e spingere verso una lotta di massa. Detto ciò, la terribile storia del proletariato in Cina significa che il veleno delle illusioni democratiche sarà molto potente; è inevitabile che la rabbia e le rivendicazioni vengano dirottate sul terreno borghese: contro il giogo “comunista”, per i diritti e le libertà, ecc. In ogni caso, questo è quello che è successo quando è esplosa la rabbia contro le insopportabili restrizioni della politica anti-Covid cinese alla fine del 2022.
In tutta una parte del globo il proletariato è segnato da una grande debolezza storica e le sue lotte possono facilmente ridursi all’impotenza o/e sprofondare in vicoli ciechi borghesi (richiesta di più democrazia, libertà, uguaglianza, ecc.) o/e diluirsi nei movimenti interclassisti. Questa è la principale lezione della Primavera araba del 2010: anche se la mobilitazione operaia è stata reale, essa è stata diluita nel “popolo” e, soprattutto, le rivendicazioni erano dirette sul terreno borghese del cambio di leader (“Mubarak fuori", ecc.) e della richiesta di maggiore democrazia. L’immenso movimento di protesta che colpisce l’Iran ne è un perfetto esempio. La rabbia massiccia della popolazione si trasforma in rivendicazioni per i diritti delle donne (lo slogan centrale e ormai famoso in tutto il mondo è “donna, vita, libertà”); quindi, anche se nel paese si svolgono ancora molte lotte operaie, queste non possono che finire annegate nel movimento popolare. Negli ultimi anni, il linguaggio molto radicale di questi movimenti sociali ha fatto pensare a una certa forma di auto-organizzazione operaia: critica ai sindacati, appelli ai soviet, ecc. In realtà, questa terminologia marxista è una patina diffusa dalla sinistra radicale che non corrisponde alla realtà delle azioni della classe operaia in Iran[9]. Molti attivisti di sinistra in Iran si sono formati in Europa negli anni '70 e '80, e ne hanno importato questo linguaggio che usano per difendere i propri interessi, cioè quelli dell'ala sinistra del Capitale in Iran.
D’altra parte, gli stati democratici utilizzano questi movimenti, in Cina come in Iran:
Qui si vede come la debolezza politica del proletariato di un paese venga sfruttata dalla borghesia contro tutto il proletariato mondiale; e viceversa, l’esperienza accumulata dal proletariato dei paesi centrali può indicare a tutti la via.
Le confusioni attuali sui movimenti sociali che scuotono i paesi della periferia ci obbligano a ricordare qui la nostra critica alla teoria dell'anello debole, critica che appartiene alla nostra eredità. Nella nostra risoluzione del gennaio 1983 scrivevamo: " L'altro grande insegnamento di queste lotte (in Polonia negli anni 80-81) e della loro sconfitta è che questa generalizzazione globale delle lotte non può che partire dai paesi che costituiscono il cuore economico del capitalismo: i paesi avanzati dell’Occidente e, tra questi, quelli dove la classe operaia ha acquisito l’esperienza più antica e completa: “l’Europa occidentale”[10]. E, per essere ancora più precisi, abbiamo precisato nella nostra risoluzione del luglio 1983: “Né i paesi del Terzo Mondo, né i paesi dell’Est, né il Nord America, né il Giappone possono essere il punto di partenza del processo che porta alla rivoluzione:
Se al di fuori dei paesi centrali possono esserci lotte massicce che dimostrano la rabbia, il coraggio e la combattività dei lavoratori di queste regioni del mondo, questi movimenti non possono avere alcuna prospettiva. Questa impossibilità sottolinea la responsabilità storica del proletariato in Europa che ha il dovere di far leva sulla propria esperienza per sventare le trappole più sofisticate della borghesia, a cominciare dalla democrazia e dai “sindacati liberi”, e indicare così la via da seguire.
Quello che vediamo negli scioperi e nelle manifestazioni attuali, lo sviluppo della solidarietà, del sentimento che dobbiamo lottare insieme, di essere tutti sulla stessa barca, indica una certa maturazione sotterranea della coscienza. Come scrive MC[12] nel suo testo “Sulla maturazione sotterranea” (Bollettino Interno 1983): “Il lavoro di riflessione continua nella testa dei lavoratori e si manifesterà nella ripresa di nuove lotte. Esiste una memoria collettiva della classe, e questa memoria contribuisce anche allo sviluppo della coscienza e alla sua estensione nella classe”. Ma dobbiamo essere più precisi. La maturazione sotterranea si esprime diversamente a seconda che riguardi la classe nel suo insieme, i suoi settori combattivi, o le minoranze alla ricerca. Come abbiamo precisato nella nostra Rivista Internazionale 43:
Dov'è allora la maturazione sotterranea nei diversi livelli della nostra classe?
Esaminare la politica della borghesia è sempre assolutamente essenziale, sia per valutare al meglio la posizione della nostra classe, sia per individuare le trappole che si stanno preparando. Pertanto, l’energia che la borghesia dispiega nei paesi centrali, soprattutto attraverso i suoi sindacati, per indebolire le lotte, isolare gli scioperi gli uni dagli altri ed evitare qualsiasi manifestazione unitaria di massa, dimostra che essa non vuole che i lavoratori si riuniscano per manifestare per aumenti salariali perché sanno che questo è il terreno più fertile per la riconquista dell’identità di classe.
Finora questa strategia ha funzionato, ma la borghesia sa che l’idea di dover lottare “tutti insieme” continuerà a germogliare nelle teste dei lavoratori, mentre la crisi si aggrava ovunque; del resto c'è già una piccola parte della classe che si pone questo tipo di domande. Ecco perché, sia per prepararsi al futuro, sia per captare e sterilizzare il pensiero delle attuali minoranze, alcuni sindacati mostrano sempre più una facciata radicale, proponendo un sindacalismo di classe e di lotta.
Colpisce anche vedere nelle manifestazioni fino a che punto le organizzazioni di estrema sinistra attirino una parte sempre più ampia di giovani. Una parte dei gruppi trotskisti si richiama sempre più alla lotta rivoluzionaria della classe operaia per il comunismo quando negli anni ’90, al contrario, si è rivolta alla difesa della democrazia, dei fronti unici di sinistra, ecc. Questa netta differenza è il frutto dell'adattamento della borghesia a ciò che avverte nella classe: non solo il ritorno della combattività operaia ma anche una certa maturazione della coscienza.
Del resto, questo crescente radicalismo di parte della sinistra e delle forze sindacali è visibile anche riguardo alla questione della guerra. Molti sindacati "di lotta", partiti che si dichiarano anarchici, trotskisti e maoisti, hanno prodotto dichiarazioni "internazionaliste", vale a dire denunciando apparentemente i due schieramenti presenti in Ucraina, Russia e Stati Uniti, e invocando apparentemente la lotta unitaria della classe operaia. Anche qui, questa attività della sinistra del capitale ha un duplice significato: catturare piccole minoranze alla ricerca di posizioni di classe che si stanno sviluppando e, a lungo termine, dare la loro risposta alle preoccupazioni che agitano la classe nel profondo.
Tuttavia, non dobbiamo sottovalutare l’impatto della propaganda imperialista o della guerra stessa sulla coscienza della classe operaia. Se la “difesa della democrazia” non può bastare oggi a mobilitare, resta il fatto che inquina gli animi, che mantiene le illusioni e le menzogne dello Stato protettore. Il discorso continuo sul "popolo" contribuisce ad attaccare ulteriormente l'identità di classe, a farci dimenticare che la società è divisa in classi antagoniste inconciliabili, mentre il "popolo" sarebbe una comunità di interessi riunita dalla nazione. Ultimo, ma non per importanza, la guerra stessa amplifica tutte le paure, il ripiego in sé stessi e l'irrazionalità: l'aspetto incomprensibile di questa guerra, il crescente disordine e caos, l'incapacità di poter prevedere l'evoluzione del conflitto, la minaccia di estensione, la paura di una terza guerra mondiale o l’uso di armi nucleari.
Più in generale, negli ultimi due anni, l’irrazionalità è aumentata nella popolazione mentre la decomposizione si è aggravata: la pandemia, la guerra e la distruzione della natura hanno notevolmente rafforzato il sentimento del no-futur, della mancanza di prospettive. In effetti, tutto ciò che abbiamo scritto nel 2019 nel nostro “Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso Internazionale della CCI” si è verificato e amplificato:
“Il mondo capitalista in decomposizione genera necessariamente un clima di apocalisse. Non ha un futuro da offrire all'umanità e il suo potenziale di distruzione è sempre più evidente per gran parte della popolazione mondiale. (…) Il nichilismo e la disperazione derivano da un sentimento di impotenza, una perdita di convinzione che esista un'alternativa all'incubo che prepara il capitalismo. Tendono a paralizzare il pensiero e la volontà di agire. E se l'unica forza sociale in grado di porre questa alternativa è praticamente inconsapevole della propria esistenza, ciò significa che i giochi sono fatti, che il punto di non ritorno è già stato superato? Siamo consapevoli che più il capitalismo si decompone, più mina le basi di una società più umana. Ciò è ancora più chiaramente illustrato dalla distruzione dell'ambiente, che sta accelerando la tendenza verso un collasso completo della società, condizione che non favorisce in alcun modo l'auto-organizzazione e la fiducia nel futuro, necessari per guidare una rivoluzione”[14]
La borghesia sfrutta spudoratamente questa cancrena contro la classe operaia, promuovendo ideologie piccolo-borghesi decomposte. Negli Stati Uniti, un’intera fascia del proletariato è colpita dai peggiori effetti della decomposizione, come l’aumento della xenofobia e dell’odio razziale. In Europa, la classe operaia mostra una maggiore resistenza a queste manifestazioni nauseanti, d'altro canto anche in questo nucleo storico hanno cominciato a diffondersi il complottismo e il rifiuto di ogni pensiero razionale (il movimento "anti-vaccino" per esempio) … E soprattutto, in tutti i paesi centrali, il proletariato è sempre più inquinato dall’ambientalismo e dal wokismo.[15]
Assistiamo qui ad un processo generale: ogni aspetto davvero rivoltante di questo capitalismo decadente e decomposto viene isolato, separato dalla questione del sistema e delle sue radici, per trasformarlo in una lotta frammentata nella quale deve essere inclusa l'una o l'altra categoria della popolazione (nero, donna, ecc.) o anche tutti ma in quanto “popolo”. Tutti questi movimenti costituiscono un pericolo per i lavoratori che rischiano di essere trascinati in lotte interclassiste o addirittura borghesi in cui vengono annegati nella massa dei “cittadini”. I lavoratori con più esperienza dei settori tradizionali della classe sembrano meno influenzati da queste ideologie e da queste forme di “lotta”. Ma la generazione più giovane, che è allo stesso tempo esclusa dalla tradizione della lotta di classe e particolarmente indignata di fronte alle palesi ingiustizie e preoccupata per il futuro oscuro, si perde in gran parte in questi movimenti "non misti" (incontri riservati esclusivamente ai neri, alle donne, ecc.), contro il "genere" (teoria dell'assenza di distinzione biologica tra i sessi), ecc. Invece della lotta contro lo sfruttamento, che è la radice del sistema capitalista, e che consente un movimento di emancipazione sempre più ampio (in cui includere la questione delle donne, delle minoranze, ecc.) come avvenne nel 1917, le ideologie ecologiste, wokiste, razzialiste, zadiste[16] … spazzano via la lotta di classe, la negano o addirittura la giudicano colpevole per l’attuale stato della società. Secondo i razzialisti la lotta di classe è una faccenda dei bianchi che mantiene l’oppressione dei neri; secondo il wokismo, la lotta di classe è una cosa del passato segnata dal paternalismo e dal dominio maschilista, oppure, secondo la teoria dell'intersezionalità, la lotta operaia sarebbe una lotta uguale alle altre: femminismo, antirazzismo, "classismo", ecc., sarebbero tutte lotte particolari contro l’oppressione che a volte potrebbero trovarsi fianco a fianco, “convergenti”. Il risultato è catastrofico: rifiuto della classe operaia e dei suoi metodi di lotta, divisione per categorie che non è altro che una forma dell’ognuno per sé, critica superficiale del capitalismo che porta a chiedere riforme, una maggiore “coscienza” dei potenti, nuove “leggi”, ecc. La borghesia quindi non esita, quando possibile, a dare la massima eco a tutti questi movimenti. Tutti gli Stati democratici hanno così fatto propria la causa dello slogan "donna, vita, libertà” divenuto il simbolo della protesta sociale in Iran.
E poiché questi movimenti sono chiaramente impotenti, ad una parte di questa gioventù, quella più radicale e ribelle, viene offerto di impegnarsi in azioni più "forti", azioni fulminee, sabotaggi, ecc. Negli ultimi mesi abbiamo assistito allo sviluppo dell’“ecologia radicale”. Quella più a “sinistra” di queste ideologie è l’“intersezionalità”: pretende di parlare di rivoluzione e lotta di classe, ma pone sullo stesso piano la lotta contro lo sfruttamento e le lotte contro il razzismo, il maschilismo, ecc. in realtà per diluire meglio la lotta operaia e indirizzarla astutamente verso l'interclassismo.
In altre parole, tutte queste ideologie decomposte coprono l'intero spettro della riflessione che germoglia nella nostra classe, in particolare nella sua gioventù, e sono quindi molto efficaci nello sterilizzare lo sforzo del proletariato che cerca come lottare, come affrontare questo mondo che sprofonda nell'orrore della barbarie e della distruzione.
Un intero settore dei partiti e delle organizzazioni della sinistra e dell'estrema sinistra promuove ovviamente queste ideologie. È sorprendente vedere come tutta una parte del trotskismo metta sempre più in primo piano il “popolo”; e gli eredi del modernismo (comunizzatori e altri)[17] hanno un ruolo specifico in questo caso: attirare a sé i giovani che cercano chiaramente di distruggere il capitalismo, fare sempre questo lavoro sporco di tenersi lontani dalla lotta di classe e ostacolare qualsiasi riconquista dell’identità di classe.
Nei prossimi anni si assisterà quindi sia ad uno sviluppo della lotta del proletariato di fronte all'aggravarsi della crisi economica (scioperi, giornate di mobilitazione, manifestazioni, movimenti sociali) sia, allo stesso tempo, allo sprofondare dell'intera società nella decomposizione con tutti i pericoli che ciò rappresenta per la nostra classe (lotte frammentate, movimenti interclassisti e persino rivendicazioni borghesi). Avremo contemporaneamente la possibilità di una progressiva riconquista dell’identità di classe e la crescente influenza delle ideologie decomposte.
Per quanto riguarda l'intera classe, dovremo intervenire attraverso la nostra stampa, nelle manifestazioni, in eventuali incontri politici e nelle assemblee generali per:
Per quanto riguarda tutta una parte della classe che mette in discussione lo stato della società e la prospettiva, dovremo continuare a sviluppare ciò che abbiamo iniziato a fare con il nostro testo sugli anni 2020, ovvero come esprimere al meglio la coerenza della nostra analisi, l'unica capace di collegare i diversi aspetti della situazione storica e di far emergere la realtà delle dinamiche del momento storico.
Più specificamente nei confronti di tutti questi giovani che vogliono lottare ma che sono prigionieri di ideologie decomposte, dovremo sviluppare la nostra critica al wokismo, all’ambientalismo, ecc. e richiamare l'esperienza del movimento operaio su tutte queste questioni (questione delle donne, della natura, ecc.). Così come è assolutamente necessario rispondere a tutte le domande che il trotskismo sa cogliere (distribuzione della ricchezza, capitalismo di Stato, comunismo, ecc.). Qui la questione della prospettiva e del comunismo, punto debole del nostro intervento, assume tutta la sua importanza.
Infine, per quanto riguarda le minoranze in ricerca, appaiono assolutamente essenziali la denuncia concreta delle diverse forze di estrema sinistra che si stanno sviluppando per distruggere questo potenziale, così come la lotta contro tutte le propaggini del modernismo; è nostra responsabilità per il futuro e la costruzione dell'organizzazione. Ed è qui che il nostro appello alle organizzazioni della sinistra comunista a riunirsi attorno ad una dichiarazione internazionalista di fronte alla guerra in Ucraina assume tutto il suo significato, quello di riprendere il metodo dei nostri predecessori, quelli di Zimmerwald, affinché le attuali minoranze possono ancorarsi alla storia del movimento operaio e resistere ai venti contrari soffiati dalla borghesia e dalle sue ideologie di estrema sinistra.
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Sul legame tra economia e politica nello sviluppo della lotta e della coscienza
"(…) se noi invece di considerare questa varietà minore che è lo sciopero dimostrativo consideriamo lo sciopero di lotta come quello che si verifica attualmente in Russia, non possiamo non essere colpiti dal fatto che l’elemento economico e l’elemento politico sono in esso indissolubilmente legato. Anche qui la realtà si discosta dallo schema teorico; la concezione pedante, che fa derivare logicamente lo sciopero di massa politico puro dallo sciopero generale economico, costituendone lo stadio più maturo e più elevato e che distingue accuratamente le due forme, viene smentita dall’esperienza della rivoluzione russa. Lo dimostra storicamente non solo il fatto che gli scioperi di massa – dal primo grande sciopero rivendicativo degli operai tessili a San Pietroburgo nel 1896-97 fino all’ultimo grande sciopero del dicembre 1905 – sono passati insensibilmente dal dominio delle rivendicazioni economiche a quello della politica, in una maniera così sottile che è quasi impossibile tracciare dei confini tra le une e le altre. Ma ognuno dei grandi scioperi di massa ripercorre, per così dire in miniatura, la storia generale degli scioperi in Russia, cominciando da un conflitto sindacale puramente rivendicativo o quantomeno parziale, percorrendo in seguito tutte le tappe fino alla manifestazione politica. La tempesta che scosse il sud della Russia nel 1902 e 1903 cominciò a Baku con una protesta contro il licenziamento dei lavoratori disoccupati; a Rostov con delle rivendicazioni salariali; a Tiflis con una lotta dei lavoratori del commercio per ottenere una diminuzione dell’orario giornaliero; a Odessa con una rivendicazione sui salari in una piccola fabbrica isolata. Lo sciopero di massa di gennaio 1905 è iniziato con un conflitto all’interno delle officine Putilov, lo sciopero di ottobre con le rivendicazioni dei ferrovieri per la loro cassa pensioni; infine, lo sciopero di dicembre con la lotta degli impiegati delle poste e telegrafi per ottenere il diritto di associazione. Il progresso del movimento non significa che l’elemento economico sparisce, ma piuttosto si caratterizza per la rapidità con cui vengono percorse tutte le tappe fino alla manifestazione politica e per la posizione più o meno estrema del punto finale raggiunto dallo sciopero di massa.
Tuttavia il movimento nel suo insieme non si orienta unicamente nel senso di un passaggio dall’economico al politico, ma anche nel senso inverso. Ognuna delle grandi azioni politiche di massa si trasforma, dopo aver raggiunto il suo apogeo, in un gran numero di scioperi economici. Questo non vale solo per ognuno dei grandi scioperi, ma anche per la rivoluzione nel suo insieme. Quando la lotta politica si estende, si chiarifica e si intensifica, non solo la lotta rivendicativa non sparisce, ma si estende, si organizza e si intensifica anch’essa. C’è un’interazione completa fra le due.
Ogni nuovo slancio e ogni nuova vittoria della lotta politica danno un impulso potente alla lotta economica allargando le sue possibilità d’azione esterna e dando agli operai un nuovo impulso per migliorare la loro situazione aumentando la loro combattività. Ogni ondata di azione politica lascia dietro di sé un terreno fertile da cui sorgono presto nuove mille rivendicazioni economiche. E, all’opposto, la guerra economica incessante che gli operai oppongono al capitale mantiene sveglia l’energia combattiva anche nei momenti di calma politica; essa costituisce in qualche maniera una riserva permanente di energia da cui la lotta politica trae sempre delle forze fresche; allo stesso tempo il lavoro infaticabile della lotta rivendicativa scatena ora qui, ora là dei conflitti acuti da cui scaturiscono bruscamente delle battaglie politiche.
In una sola parola, la lotta economica presenta una continuità, essa è il filo che lega i differenti nodi politici; la lotta politica è una fecondazione periodica che prepara il terreno alle lotte economiche. La causa e l’effetto si succedono e si alternano continuamente, e così l’economico e il fattore politico, lungi dal distinguersi completamente o anche di escludersi reciprocamente, come pretende lo schematismo pedante, costituiscono in un periodo di sciopero di massa degli aspetti complementari della lotta della classe proletaria in Russia. È precisamente lo sciopero di massa che costituisce la loro unità. La teoria sottile divide artificialmente, con l’aiuto della logica formale, lo sciopero di massa per ottenere uno ‘sciopero politico puro’; una tale divisione, come tutte le divisioni, non ci permette di vedere il fenomeno vivente, ma ci mostra un cadavere”
[1] Tesi sulla decomposizione, Rivista Internazionale n. 14, https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo [9]
[2] Ibidem
[3] Anni 80: gli anni della verità [107] ; Révue Internationale n.20 (in francese, inglese e spagnolo).
[4] La “Rivoluzione Arancione” appartiene al movimento delle “rivoluzioni colorate” o “rivoluzioni dei fiori”, una serie di rivolte “popolari”, “pacifiche” e filo-occidentali, alcune delle quali hanno portato a cambiamenti di governo tra il 2003 e il 2006 in Eurasia [108] e Medio Oriente: la “Rivoluzione delle rose” in Georgia nel 2003, la “Rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan, la “Rivoluzione dei jeans” in Bielorussia e la “Rivoluzione dei cedri” in Libano nel 2005.
[5] Rivista Internazionale n. 36, https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021 [46]
[6] Ibidem, punto 26
[7] Bisogna riconoscere che il proletariato tedesco è il teorico del proletariato europeo, così come il proletariato inglese è l’economista e il proletariato francese il politico» (Marx, in Vorwärts, 1844).
[8] La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo [109] ; Révue Internationale n. 23.
[9] Alcuni compagni pensano, al contrario, che questo linguaggio radicale della sinistra e dei comitati di base corrisponda alla necessità di recuperare le forme embrionali di autorganizzazione e di solidarietà che abbiamo visto nella classe operaia in Iran dal 2018. Bisogna discuterne.
[10] Risoluzione sulla situazione internazionale 1983 [110] ; Révue internationale n. 35.
[11] Dibattito: sulla critica alla teoria dell'"anello più debole" [111]; Révue internationale n. 37
[12] Per saperne di più sul nostro compagno Marc, leggere gli articoli: https://it.internationalism.org/content/1596/trentanni-fa-moriva-il-nostro-compagno-marc-chirik [87] e https://it.internationalism.org/content/1600/marc-70-anni-di-vita-e-di-lotta-la-classe-operaia [112]
[13] Risposta alla CWO: sulla maturazione sotterranea della coscienza di classe [88]; Révue internationale n. 43.
[14] Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso internazionale della CCI; Rivista internazionale n. 35, https://it.internationalism.org/content/1533/rapporto-sulla-lotta-di-classe-il-23deg-congresso-internazionale-della-cci-2019 [83].
[15] Woke, letteralmente "sveglio", è un aggettivo della lingua inglese con il quale ci si riferisce allo "stare all'erta", "stare svegli" nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. La voce è entrata nei dizionari della lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter. (da Wikipedia)
[16] Zadista: persona che si mobilita per la protezione e la difesa delle ZAD (dal francese Zone à defendre)
[17] Vedi la nostra serie in corso sui comunizzatori (attualmente in francese).
La risoluzione adottata dal 24° Congresso CCI (2021, Rivista Internazionale n.36) ha fornito un quadro adeguato per orientare l’organizzazione sul piano dell’evoluzione della crisi economica.
In essa si affermava che: “L’ampiezza e l’importanza della pandemia, prodotto dell’agonia di un sistema in piena decomposizione e diventato completamente obsoleto, illustrano il fatto senza precedenti che il fenomeno della decomposizione capitalista intacca ormai anche l’insieme dell’economia capitalista in maniera massiccia e su scala mondiale. Questa irruzione degli effetti della decomposizione nella sfera economica influenza direttamente l’evoluzione della nuova fase di crisi aperta, inaugurando una situazione totalmente inedita nella storia del capitalismo. Gli effetti della decomposizione, alterando profondamente i meccanismi del capitalismo di Stato messi in atto finora per “accompagnare” e limitare l’impatto della crisi, introducono nella situazione un fattore di instabilità e di fragilità, e di incertezza crescente” (punto 14).
Si riconosceva inoltre il ruolo predominante dell’ognuno per sé nelle relazioni tra le nazioni e lo “scivolamento delle fazioni borghesi considerate più ‘responsabili’ verso una gestione sempre più irrazionale e caotica del sistema, e soprattutto l’avanzata senza precedenti della tendenza al ciascuno per sé, [che] rivelano una crescente perdita di controllo sul proprio sistema da parte della classe dominante” (punto 15). Questo ognuno per sé “Provocando un caos crescente in seno all’economia mondiale (con la tendenza alla frammentazione delle catene produttive e la frammentazione del mercato mondiale in zone regionali, al rafforzamento del protezionismo e alla moltiplicazione delle misure unilaterali), questo movimento totalmente irrazionale di ogni nazione a salvare la propria economia a detrimento di tutte le altre è controproduttivo per ogni capitale nazionale e un disastro a livello mondiale, un fattore decisivo di deterioramento dell’insieme dell’economia mondiale” (punto 15).
Sottolineava anche che “Le conseguenze della distruzione sfrenata dell’ambiente da parte di un capitalismo in decomposizione, i fenomeni risultanti dai cambiamenti climatici e dalla distruzione della biodiversità (…) toccano sempre più tutte le economie, quelle dei paesi sviluppati in testa (…), perturbano il funzionamento dell’apparato produttivo industriale e indeboliscono anche la capacità produttiva dell’agricoltura. La crisi climatica mondiale e la disorganizzazione crescente del mercato mondiale dei prodotti agricoli che ne risultano minacciano la sicurezza ambientale di numerosi Stati” (punto 17).
D’altra parte, pur non prevedendo lo scoppio di una guerra tra le nazioni, la risoluzione affermava: “non possiamo escludere il pericolo di fiammate militari unilaterali o anche di incidenti spaventosi che segnerebbero una nuova accelerazione allo scivolamento verso la barbarie” (punto 13).
E poteva quindi prospettare che: “La crisi che si sviluppa ormai da decenni è destinata a diventare la più grave del periodo di decadenza, e la sua portata storica supererà anche la prima crisi di questa epoca, quella iniziata nel 1929. Dopo più di 100 anni di decadenza capitalista, con un’economia devastata dal settore militare, indebolita dall’impatto della distruzione ambientale, profondamente alterata nei suoi meccanismi di riproduzione dal debito e dalla manipolazione dello Stato, in preda alla pandemia e che soffre sempre più tutti gli altri effetti della decomposizione, è illusorio pensare che in queste condizioni ci sarà una ripresa durevole dell’economia mondiale”[1].
Pertanto:
- L’accelerazione della decomposizione e l’ampliarsi dell’impatto dei suoi effetti combinati sull’economia capitalista già gravemente degradata;
- Lo scoppio della guerra e l’accelerazione del militarismo su scala globale, che peggiorano drasticamente la situazione;
- Lo sviluppo a oltranza del ciascuno per sé tra le nazioni, sullo sfondo della competizione sempre più acuta tra Cina e Stati Uniti per la supremazia mondiale;
- L’abbandono di un minimo di regole e di cooperazione tra le nazioni per gestire le contraddizioni e le convulsioni del sistema;
- L’assenza di una forza trainante in grado di rivitalizzare l’economia capitalista;
- il fatto che la prospettiva di un impoverimento assoluto per il proletariato dei paesi centrali sia ormai all’ordine del giorno;
costituiscono i principali indicatori della gravità storica della crisi attuale e illustrano il processo di “disintegrazione interna” del capitalismo mondiale, annunciato dall'Internazionale Comunista nel 1919.
A. Le conseguenze della guerra
Come ha detto un importante industriale francese: “Ciò che è eccezionale dagli ultimi due anni è che le crisi iniziano ma non si fermano. C’è un vero e proprio effetto di accumulo. La crisi Covid è iniziata nel 2020, ma è ancora con noi! Da allora, abbiamo dovuto affrontare tensioni estreme e interruzioni nelle catene di approvvigionamento, un rapporto profondamente cambiato con il lavoro, una guerra ai confini dell’Europa, la crisi energetica e il ritorno dell’inflazione, e infine la crescente consapevolezza del cambiamento climatico (...) Gli shock si stanno sommando. Stanno emergendo rapidamente e violentemente” (Les Échos, 21-22/10). In una situazione storica in cui i vari effetti di decomposizione si combinano, si compenetrano e interagiscono in un effetto vortice devastante, il riscaldamento globale e la crisi ecologica, il ciascuno per sé nelle relazioni tra gli Stati e, più in generale, le contraddizioni fondamentali del capitalismo, la guerra e le sue ripercussioni sono il fattore centrale che aggrava la crisi economica:
- Annientamento economico dell’Ucraina. L’economia nazionale si è ridotta del 40% rispetto alle sue dimensioni precedenti. Secondo il suo Primo Ministro, “i danni sono stati stimati, quest’autunno, a 350 miliardi di dollari. Ma queste stime sono destinate a raddoppiare entro la fine dell’anno, fino a 700 miliardi di dollari, a causa dei massicci attacchi effettuati da Mosca contro le nostre infrastrutture. (...) Le attuali interruzioni di corrente dovrebbero rappresentare una perdita tra il 3% e il 9% del PIL”[2]. Lo sforzo militare sta assorbendo il 30% delle risorse del paese; le entrate di bilancio insufficienti stanno costringendo il governo a indebitarsi e a stampare moneta.
- Inflazione in Ucraina. Questa sta facendo impennare l’inflazione mondiale: 7,2% nei paesi avanzati, 9,8% nei paesi emergenti, 13,8% in Medio Oriente e Asia centrale e 14,4% nell’Africa sub-sahariana. Nell’UE è del 10%, anche se in alcuni paesi la media è più alta: Lettonia e Lituania sono al 22%, i Paesi Bassi al 17%. Le cifre hanno raggiunto un picco del 9% a metà del 2022, per poi scendere al 7,1% alla fine del 2022.
- Aggravarsi della crisi alimentare e della fame nel mondo. Mettendo l’uno contro l’altro due produttori essenziali di cereali e fertilizzanti, la guerra ha provocato un aumento della fame nel mondo senza “alcun precedente, (...), dalla seconda guerra mondiale”[3]. “Lo shock è aggravato da altri grandi problemi che avevano già causato l’aumento dei prezzi e la diminuzione delle forniture, tra cui la pandemia da Covid-19, i vincoli logistici, gli alti costi energetici e le recenti siccità, inondazioni e incendi”[4]. La produzione mondiale di cereali è in declino: la Cina, dopo le gravi inondazioni del 2021, sta affrontando il peggior raccolto di grano da decenni, mentre in India ondate di calore senza precedenti “hanno portato a notevoli perdite di raccolto quest’anno”. L’aumento dei prezzi e le “minacce alla sicurezza alimentare” hanno scatenato “un’ondata di protezionismo alimentare”, con il divieto di esportazione di grano in India e l’introduzione di quote (in Argentina, Kazakistan, Serbia, ecc.) per garantire l’approvvigionamento interno”. Con il grano invernale americano “in cattive condizioni” e le riserve francesi “in via di esaurimento”, “il mondo sta iniziando a esaurire il grano”[5].
- L’anarchia capitalistica raggiunge nuove vette. L’organizzazione delle catene di produzione e di approvvigionamento espone ogni capitale nazionale a molteplici dipendenze che, fino ad ora, non avevano conseguenze, dal momento che il commercio e gli scambi mondiali potevano essere effettuati senza alcuna restrizione. Ma la pandemia e poi la guerra hanno cambiato tutto. Le serrate in Cina, le sanzioni contro la Russia e gli effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina hanno portato a numerosi blocchi e interruzioni sia della produzione che del commercio, seminando caos e anarchia; le carenze si sono estese in molti settori: ad esempio, microchip, prodotti medici e materie prime.
- Sviluppo del militarismo e della produzione di armi. Una delle principali conseguenze della guerra è stato l’incremento a livelli abissali della spesa per gli armamenti in tutti gli Stati. Il peso dell’onere militare (una perdita secca per il capitale) sulla ricchezza nazionale, il ritmo accelerato della produzione di armi, la conversione di settori strategici all’industria militare, l’indebitamento provocato e il calo degli investimenti in altri settori dell’economia modificheranno notevolmente l’economia e il commercio mondiale.
B. Quale impatto hanno avuto le sanzioni sull’economia russa?
Mirando a “dissanguare” l’ottava economia mondiale, le sanzioni occidentali contro la Russia hanno aperto un vero e proprio “buco nero” nell’economia globale, con conseguenze ancora sconosciute. Anche se l’economia russa non è crollata né dimezzata (come aveva promesso Biden), intrappolata nella guerra in corso e strangolata dalle misure di ritorsione imposte dagli Stati Uniti, l’economia russa viene soffocata e portata alla rovina. Con un PIL in calo dell’11% e un’inflazione del 22%, le sanzioni economiche hanno indebolito lo sforzo bellico russo[6] e causato carenze paralizzanti nell’industria. Inoltre, l’embargo sui semiconduttori sta limitando la produzione di missili di precisione e carri armati[7].
Dopo il ritiro dei produttori stranieri, il settore automobilistico è crollato quasi completamente (del 97%). I settori dell’aerospaziale (un settore strategico) e del trasporto aereo (centrale per un paese così vasto), totalmente dipendenti dalle tecnologie occidentali, sono stati duramente colpiti.
Con la fuga di centinaia di migliaia di russi all’estero, l’economia russa ha subito una massiccia perdita di manodopera, in particolare nel settore informatico, dove 100.000 specialisti informatici hanno lasciato il paese.
L’alternativa offerta dalla Cina e da altri paesi refrattari alle sanzioni occidentali (India, Turchia - acquirenti di energia russa) può aver fornito una tregua temporanea, ma è ben lungi dal compensare la scomparsa dei mercati occidentali. L’entrata in vigore, a inizio dicembre 2022, dell’embargo europeo sul petrolio russo ridurrà notevolmente questa “boccata d'ossigeno”.
Mentre le importazioni cinesi dalla Russia sono aumentate, le esportazioni verso la Russia sono diminuite in proporzioni simili a quelle dei paesi occidentali (a causa della cauta applicazione da parte della Cina della maggior parte delle sanzioni occidentali[8]). La tenuta del valore del rublo e persino il suo aumento rispetto al dollaro, che riflette questo massiccio squilibrio tra l’elevato volume di esportazioni di petrolio e gas e il parallelo crollo delle importazioni in seguito alle sanzioni, non è affatto un segno di forza. Le sanzioni finanziarie, il congelamento del 40-50% delle riserve russe e la messa al bando del sistema SWIFT stanno colpendo sempre più la capacità di pagamento della Russia all’estero e la credibilità della sua solvibilità.
Nonostante la loro apparente resilienza, le sanzioni sono una formidabile arma da guerra e avranno un forte impatto sull’economia russa nel medio termine: a causa del loro effetto “ritardato”, il prolungamento della guerra sarà il mezzo nelle mani degli Stati Uniti per raggiungere l’obiettivo di “distruggere” l’economia russa.
C. Lo shock destabilizzante della guerra del gas
Il terremoto della guerra ha rappresentato un grande “cambiamento epocale”, non solo per quanto riguarda la situazione delle singole nazioni, soprattutto europee, ma anche a livello internazionale.
La guerra è un abisso dal costo economico esorbitante “(da marzo ad agosto) l’Ucraina ha ricevuto 84 miliardi di euro da 40 Stati partner e istituzioni dell’UE - gli alleati più importanti sono gli Stati Uniti, le istituzioni dell’UE, il Regno Unito, la Germania, il Canada, la Polonia, la Francia, la Norvegia, il Giappone e l’Italia”. “L’Ucraina potrebbe ricevere fino a 30 miliardi di dollari tra settembre e dicembre 2022. L’UE svolge un ruolo centrale nel ‘mantenere la stabilità macro finanziaria dell’Ucraina (fornendole 10 miliardi di euro tra marzo e settembre 2022)”[9]. L’onda d’urto economica della guerra non impatta allo stesso modo, nell’immediato e nel medio termine, sulle principali aree del pianeta. Le capitali europee stanno subendo l’impatto più brutale. Per loro si tratta di una destabilizzazione senza precedenti del proprio modello “economico”.
A seguito delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti alla Russia, le aziende europee che sono più coinvolte in Russia rispetto a quelle americane sono più direttamente colpite dalla rottura delle relazioni economiche con la Russia.
L’embargo sul gas russo sta causando un enorme shock con effetti a cascata in tutta Europa: “Le vere bombe stanno cadendo in Ucraina, ma è quasi come se anche l’infrastruttura industriale dell’UE fosse stata distrutta. Il continente sta per vivere una violenta crisi industriale. Sarà uno shock terribile per le finanze pubbliche e per le classi medie e povere dei paesi europei”[10] Come ha detto J. Borrell: “Gli Stati Uniti si sono occupati della nostra sicurezza. La Cina e la Russia hanno fornito la base per la nostra prosperità. Quel mondo non esiste più (...) La nostra prosperità si basava sull’energia proveniente dalla Russia, sul suo gas, ritenuto economico, stabile e privo di rischi. Tutto questo era sbagliato (...) Questo porterà a una profonda ristrutturazione della nostra economia”. Ogni capitale si trova di fronte a contraddizioni e dilemmi quasi insolubili, con scelte economiche e strategiche drastiche da compiere con urgenza, che riguardano la sovranità nazionale e la salvaguardia della loro posizione nel mondo.
1. In un momento in cui la crescita stava già rallentando, l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia (il prezzo del gas è aumentato di 20 volte dal 2010) sta già portando all’indebolimento di interi settori industriali fortemente dipendenti dall’energia importata, con vaste fasce di attività che non sono né redditizie né competitive. Alcuni settori (chimica, vetro, altiforni dell’industria siderurgica, alluminio, ecc.) sono costretti a ridurre la produzione per contenere i costi esorbitanti, mentre molti stanno fallendo a causa della radicale perdita di redditività.
2. Di fronte alla gravità della situazione, lo Stato è intervenuto in modo massiccio nazionalizzando le principali aziende energetiche, come Uniper in Germania e EDF in Francia, e istituendo “scudi finanziari o tariffari” per sostenere le aziende e attutire l’impatto su imprese e privati.
3. I paesi europei corrono un rischio reale di deindustrializzazione e di declino economico, a causa del persistente differenziale di prezzo dell’energia tra l’Europa e gli Stati Uniti e l’Asia. In questo clima di “si salvi chi può”, sta emergendo la tendenza, per chi può, a delocalizzare le imprese europee, la cui sopravvivenza è minacciata, in aree americane o asiatiche dove i prezzi dell’energia sono più bassi.
4. Oltre all’esaurimento delle fonti di gas russe, si teme di dover limitare la produzione nei settori più esposti, come la chimica, la metallurgia, il legno e la carta, l’industria della plastica e della gomma, o addirittura di interromperla durante l’inverno. In Francia, ad esempio, si aggiunge il problema dell’elettricità: scarsità di investimenti e lo stato di degrado delle centrali nucleari potrebbero portare a interruzioni di corrente, con il rischio di ridurre o addirittura bloccare la produzione industriale a partire dal prossimo gennaio, gettando nel caos la quinta economia mondiale in settori come i trasporti, l’agroalimentare e le telecomunicazioni[11].
L’indebolimento del capitale tedesco. E’ la Germania in particolare a concentrare in modo esplosivo tutte le contraddizioni di questa situazione senza precedenti. La fine delle forniture di gas russo pone il capitale tedesco in una situazione di fragilità strategica ed economica senza precedenti: è in gioco la competitività di tutta la sua industria[12]. Il capitale tedesco (e l’Europa) rischia di dover passare dalla dipendenza dal gas russo a quella del LNG americano, che gli Stati Uniti intendono imporre al continente europeo, sostituendo il ruolo finora svolto dalla Russia. La fine del multilateralismo, di cui il capitale tedesco ha beneficiato più di ogni altra nazione (risparmiandosi anche parte del peso delle spese militari per il “dividendo della pace” dal 1989), ha un impatto più diretto sul suo potere economico che si basa sulle esportazioni. Infine, la pressione esercitata dagli Stati Uniti per costringere i suoi “alleati” a partecipare alla guerra economico-strategica contro la Cina e a rinunciare ai mercati cinesi pone la Germania di fronte a un enorme dilemma, data l’importanza vitale del mercato cinese. A causa della sua posizione di leader nell’UE, il vacillare del potere tedesco si ripercuote su tutta l’Europa, segnata in varia misura dalle stesse contraddizioni e dagli stessi dilemmi.
La Cina e le Vie della seta sono direttamente toccate. Uno degli obiettivi della guerra e dell’indebolimento della Russia è quello di colpire la Cina. La guerra sta vanificando l’obiettivo principale delle Vie della Seta di fare dell’Ucraina una pota di accesso per il mercato europeo; il caos sta tagliando fuori la Cina da uno dei suoi principali mercati. Questo obiettivo deve trovare un’alternativa attraverso il Medio Oriente.
D. La crisi climatica
Sebbene le grandi potenze riconoscano che “il cambiamento climatico si sta affermando come una forza destabilizzante, anche economicamente distruttiva”, la COP27 di Sharm El Sheikh si è spaccata sulla questione di “chi deve pagare”. Oltre all’incapacità congenita del capitalismo di frenare la distruzione della natura, ciò che suona la campana a morto per l’impegno delle grandi potenze a ridurre la produzione di gas serra è il ritorno e la preparazione di tutti gli Stati a una guerra “ad alta intensità”. Infatti: “Non ci può essere guerra senza petrolio. Senza petrolio, è impossibile fare la guerra (...) Rinunciare alla possibilità di ottenere forniture di petrolio abbondanti e poco costose equivale semplicemente al disarmo. Le tecnologie di trasporto [che non necessitano di petrolio, idrogeno ed elettricità] sono totalmente inadatte agli eserciti. I carri armati elettrici a batteria pongono così tanti problemi tecnici e logistici che devono essere considerati impossibili, come tutto ciò che funziona su terra (veicoli corazzati, artiglieria, macchine ingegneristiche, fuoristrada leggeri, camion). Il motore a combustione interna e il suo carburante sono così efficienti e flessibili che sarebbe un suicidio sostituirli”[13].
Il capitalismo è destinato a subire sempre più gli effetti del cambiamento climatico (incendi giganteschi, inondazioni, ondate di calore, siccità, fenomeni meteorologici violenti, ecc.), che colpiscono l’economia capitalista in modo sempre più significativo e la penalizzano sempre più pesantemente. Il fattore climatico (già fattore dell’implosione dei Paesi arabi negli anni 2010) è di per sé una causa del collasso di paesi particolarmente vulnerabili alla periferia del capitalismo. La “carneficina climatica su scala senza precedenti” (A. Guterres, ONU) in Pakistan ha causato danni stimati a due volte e mezzo il suo PIL - una catastrofe impossibile da superare economicamente[14]. La portata dello shock climatico sta ora avendo un impatto diretto sui paesi centrali del capitalismo e l’insieme delle loro attività economiche su tutti i piani:
- Il costo delle perdite dovute a fattori climatici nei paesi centrali continua a crescere: solo negli Stati Uniti “negli anni '80, il costo totale dei disastri naturali ammontava a 3 miliardi di dollari all’anno. Tra il 2000 e il 2010, questa cifra è salita a più di 20 miliardi di dollari all’anno. (...) Dal 2011 e 2012 (...) questi costi hanno cominciato a raddoppiare” per raggiungere nel 2018 “300 miliardi di danni materiali che corrispondono ai ¾ del servizio annuale del debito americano”.
- Il commercio delle infrastrutture produttive (così come la loro distribuzione) è direttamente colpito, minando e mettendo a rischio la stabilità delle economie nazionali a causa del cambiamento climatico: tra gli altri esempi, la combinazione di siccità e sfruttamento eccessivo dell’acqua in America, Europa e Cina sta interrompendo la produzione di energia nucleare e idroelettrica; disorganizzando e riducendo il traffico fluviale delle merci; questo pone “un grande rischio per la capacità agricola americana. (...) Uno stato permanente di disastro idrico, irto di conflitti e migrazioni interne, sta prendendo piede nell’Ovest americano”. La Cina è minacciata da “una nuova insicurezza alimentare indotta dalla fragilità climatica, idrica e biologica dell’agricoltura”.
Gli effetti “sempre più rapidi e intensi” dell’innalzamento del livello del mare pongono i governi di fronte a sfide colossali. La salinizzazione del suolo sta sterilizzando i terreni coltivabili (come in Bangladesh). Questi minacciano sia le megalopoli costiere (come quelle sulla costa orientale e occidentale degli Stati Uniti e molte città della Cina) sia le industrie costiere, come l’industria petrolifera intorno al Golfo del Messico e nella regione di Shenzhen, cuore della produzione elettronica cinese, dove “le autorità urbane cinesi stanno già iniziando a evacuare centinaia di migliaia di persone”.
Negli ultimi due anni, i diversi effetti della decomposizione che avevano già iniziato a colpire l’economia capitalista hanno assunto una qualità nuova, inedita nella loro interazione su una scala finora sconosciuta e che si è andata rafforzando in una sorta di “vortice” infernale in cui ogni catastrofe alimenta la virulenza delle altre: la pandemia ha sconvolto l’economia mondiale; questa, a sua volta, ha aggravato la barbarie della guerra e della crisi ambientale. La guerra e la crisi ambientale continueranno ad avere un impatto considerevole, colpendo ormai il cuore delle grandi potenze e aggravando notevolmente la crisi economica che fa da sfondo a questo sviluppo catastrofico.
Il sistema capitalistico già indebolito nel suo complesso dalle convulsioni derivanti dalle sue contraddizioni e dalla sua decomposizione è stato ulteriormente colpito dalla guerra.
A. Indebolimento della produzione industriale
Le onde d’urto della guerra si abbattono su un’economia indebolita, con alcuni settori resi molto fragili dalla pandemia: “nel 2022 la produzione mondiale di automobili sarà ancora inferiore a quella del 2019. In Cina è aumentata del 7%, ma in Europa è ancora in calo del 25% e negli Stati Uniti dell’11%. L’industria ha perso volumi e i suoi costi stanno aumentando...”[15].
B. L’inflazione
“Le cause fondamentali dell’inflazione vanno ricercate nelle condizioni operative specifiche del modo di produzione capitalistico nella sua fase decadente. In effetti, l’osservazione empirica ci permette di constatare che l’inflazione è fondamentalmente un fenomeno di questo periodo del capitalismo e si manifesta in modo più acuto durante i periodi di guerra (1914-18, 1939-45, guerra di Corea, 1957-58 in Francia durante la guerra d’Algeria (...), cioè quelle in cui la spesa improduttiva è più elevata. È quindi logico ritenere che è a partire da questa caratteristica specifica della decadenza, la quota considerevole di armamenti e più in generale di spese improduttive nell’economia, che dobbiamo cercare di spiegare il fenomeno dell’inflazione”[16].
Scatenata dall’aumento del peso delle spese improduttive, dall’indebitamento a oltranza messo in atto dagli Stati nei loro vari piani di salvataggio di fronte alla pandemia e poi per assumere la politica di sviluppo dell’economia di guerra e del riarmo generale delle nazioni capitaliste, l’inflazione[17] non può che aumentare sempre di più a causa della necessità di ogni capitale nazionale di sostenere colossali spese improduttive, con:
- la spesa per gli armamenti a livelli abissali, mettendo l’economia più che mai al servizio della guerra e della produzione sfrenata di strumenti di distruzione senza la minima razionalità economica;
- gli effetti del ricorso alla stampa di moneta, che alimenta l’indebitamento, in risposta alle contraddizioni del suo sistema;
- il costo esorbitante delle devastazioni, generate dalla decomposizione, sulla società e l’infrastruttura produttiva: pandemie, gravi eventi climatici, ecc.;
- l’invecchiamento della popolazione in tutti i paesi (compresa la Cina), che riduce drasticamente la parte della popolazione in età lavorativa sulla popolazione totale.
Anche l’inflazione ad un livello alto e duraturo, che il capitalismo non è più in grado di controllare come finora (la borghesia ha rinunciato a un ritorno al 2%, ritenuto irrealistico), segna una tappa dell’aggravamento della crisi. La crisi avrà un impatto sempre più negativo sull’economia, destabilizzando il commercio mondiale e privando la produzione della visibilità di cui ha bisogno, diventando al contempo un vettore essenziale di instabilità monetaria e finanziaria.
C. Tensioni finanziarie e monetarie
La fragilità del sistema capitalistico è illustrata dai “crescenti rischi per la stabilità finanziaria in alcuni segmenti chiave dei mercati finanziari e del debito sovrano”. (K. Georgieva, FMI) e da nuove crepe.
- L’indebolimento e le tensioni sulle valute delle grandi potenze stanno diventando un fattore sempre più importante della situazione. Con il dollaro precipitato al livello più basso della storia e la sterlina che ha perso il 17% del suo valore, la svalutazione dello yen (- 21%) al livello più basso dal 1990, lo yuan che è sceso al livello più basso da 14 anni a questa parte rispetto al dollaro, il crollo senza precedenti dell'euro fino alla parità con il dollaro…, tanto da necessitare l’intervento delle banche centrali per sostenere le loro valute, prospettano una instabilità monetaria crescente.
- Lo scoppio della bolla delle criptovalute (con il crollo delle valutazioni in borsa del mercato dei bitcoin di 3 volte in un anno) e i clamorosi fallimenti in questo settore (come quello di FTX, il secondo operatore mondiale di criptovalute) fanno temere alla borghesia il contagio ad altri attori della finanza tradizionale. L’instabilità finanziaria in questo settore è foriera di prossimi crolli, come quello del settore immobiliare (50% in valore delle transazioni mondiali), iniziato in Cina e che minaccia di apparire altrove.
- Analogamente, “L’economia tecnologica sta vacillando, (...) Negli ultimi dieci anni circa abbiamo assistito all’emergere di una bolla finanziaria alimentata dall’abbondanza di liquidità creata dalle banche centrali. (...) Questa bolla è scoppiata dopo l’inizio della guerra russo-ucraina e l’avvento dell’inflazione. La valutazione del settore tecnologico sul mercato azionario è crollata. Amazon è diventata la prima azienda della storia a perdere 1.000 miliardi di dollari di valore in borsa. Una perdita di 200 miliardi di dollari in sei mesi per Meta. (...) Questo brutale ritorno alla realtà ha scatenato vasti piani di licenziamento, soprattutto negli Stati Uniti. È probabile che nel 2022 vengano distrutti 130.000 posti di lavoro nell’industria tecnologica”[18].
D. La continuazione della politica di indebitamento
Sebbene la massa del debito (260% del PIL mondiale) stia già indebolendo l’intero sistema[19], nonostante l’evoluzione della natura del debito sia sempre meno basata sul valore già raggiunto e sia alimentata dalla stampa di moneta e il debito sovrano degli Stati, la continuazione della politica di indebitamento resta un obbligo al quale sono soggetti tutti ii capitali nazionali, nonostante gli effetti deleteri sulla stabilità sempre più aleatoria del sistema capitalistico. Tutti gli Stati, nessuno escluso, sono sempre più impegnati ad affrontare le contraddizioni generate dal sistema capitalista. Lo dimostra la sospensione del Patto di stabilità dell’UE, che sarà ripristinato solo all’inizio del 2023 dopo essere stato significativamente modificato con un allentamento delle sue regole applicative, e senza dubbio per consentire alla BCE di svolgere il ruolo di ultima spiaggia per un prestito.
E. Il caos politico all’interno della classe dominante, un fattore che aggrava la crisi
L’irresponsabilità e la disattenzione della classe dominante, manifestatesi nella crisi sanitaria come in quella energetica, o di fronte ai fenomeni climatici, costituiscono un potente fattore di aggravamento della crisi.
A questi fattori si aggiungono il caos politico e l’influenza del populismo all’interno della classe dominante. Questi stanno avendo effetti catastrofici sull’economia del Regno Unito, la più antica borghesia del mondo. La Brexit illustra l’irrazionalità del ciascuno per se sul piano economico; “Invece della prosperità, della sovranità e dell’influenza internazionale che pretendevano di portare con la rottura con i loro vicini, i conservatori hanno raccolto solo il rallentamento delle loro esportazioni, il deprezzamento della sterlina, le peggiori previsioni di crescita dei paesi sviluppati, tranne la Russia, e isolamento diplomatico.”[20] (Le Monde 18-19/12). L’incompetenza e il clientelismo elettorale del governo di Lizz Truss, succeduto a Johnson in un fugace periodo di potere, spiegano le sue decisioni irresponsabili, condannate dal resto della classe dirigente: l’annuncio dell’abbassamento d’imposta per 45 miliardi non finanziati a beneficio dei più abbienti ha portato ad accelerare la caduta della sterlina e ad aumentare i timori di un suo crollo e di una crisi del debito!
In Italia, le promesse di rispetto delle regole europee pronunciate dalla Meloni (la prima volta che un governo di estrema destra è salito al potere in uno dei paesi fondatori dell’UE) hanno temporaneamente calmato i timori sul futuro del piano di ripresa italiano, finanziato dal Fondo europeo creato da un indebitamento comune ai paesi membri, ma non lasciano presagire alcuna stabilità futura[21].
Infine, le divisioni all’interno della classe dirigente non possono che aggravarsi a causa delle scelte e delle priorità da adottare nella difesa degli interessi di ciascun capitale nazionale in un contesto più che incerto e contraddittorio.
F. Il peggioramento di ciascuno per sé al centro dei rapporti tra le nazioni
Nel rapporto del 2020, la CCI si chiedeva se lo sviluppo del ciascuno per sé, che trova la sua origine nell’impasse della sovrapproduzione e nella crescente difficoltà del capitale a realizzare l’accumulazione ampliata di capitale proprio come negli effetti stessi della decomposizione, fosse irreversibile. Tra la crisi del 2008 (che possiamo considerare come quella della globalizzazione) e oggi, il ciascuno per sé nei rapporti tra le potenze ha visto un progressivo cambiamento qualitativo fino a trionfare completamente. Secondo il Fondo monetario internazionale, la guerra “modificherà radicalmente l’ordine economico e geopolitico globale”. Il conflitto in Ucraina chiude il periodo “intermedio” aperto dopo il 2008 e segna la fine della globalizzazione:
• Dopo il 2008, il ciascuno per sé si è manifestato innanzitutto nella tendenza della Cina, e soprattutto degli Stati Uniti, a mettere in discussione il quadro della globalizzazione; il primo sabotando strutture come l’OMC; l’altro attraverso lo sviluppo del proprio progetto alternativo delle Vie della Seta.
• Si è poi mostrato magistralmente durante l’epidemia di Covid, in particolare per l’incapacità di coordinare una politica di produzione, distribuzione e vaccinazione su scala mondiale; il comportamento gangsteristico di alcuni paesi che rubano attrezzature mediche destinate ad altri paesi, la tendenza al ripiegamento in se stessi nel quadro nazionale e il desiderio di ogni borghesia di voler salvare la propria economia a scapito degli altri come tendenza irrazionale disastrosa per tutti i paesi e per l’intera economia globale.
• L'attuale “guerra del gas” tra le nazioni è degna di quella delle mascherine[22]: il recente sabotaggio del gasdotto Nord Stream II, attribuito a un “agente statale” non ancora identificato, illustra la morale da gangster secondo la quale “sul mercato del GNL (…) tutti i copi sono legittimi”[23].
Gli Stati Uniti escono come grandi vincitori dalla guerra, anche a livello economico. Nelle condizioni storiche di decomposizione, grazie alla guerra, espressione ultima della guerra di tutti contro tutti, alla potenza militare – quale unico vero mezzo a disposizione degli Stati Uniti per difendere la propria leadership mondiale – gli Stati Uniti ottengono il temporaneo rafforzamento della propria economia nazionale a scapito del resto del mondo, al prezzo della dislocazione globale e dell’indebolimento convulso dell’intero sistema capitalista[24]. Questo rafforzamento economico degli Stati Uniti è il prodotto diretto del ciascuno per sé; non è in contraddizione con lo sprofondamento dell’intero sistema nella spirale della sua decomposizione (ne è una manifestazione e non rappresenta in alcun modo la stabilizzazione, ma testimonia al contrario l’aggravamento di questo sprofondamento) poiché il suo corollario e condizione è lo sviluppo fenomenale del caos e dell’indebolimento del sistema capitalista nel suo complesso. “Il sostegno incrollabile di Washington all’Ucraina ha reso gli Stati Uniti il grande vincitore nella sequenza a livello mondiale, senza che un solo GI abbia avuto bisogno di mettere piede sul suolo ucraino. Vantaggi geostrategici, militari e politici innegabili. (...) In un contesto di protezionismo disinibito e nazionalismo economico, l’America di Biden può ora dedicarsi interamente alla guerra tecnologica contro il suo unico grande rivale, la Cina. L’Europa, che era riuscita a giocare solidale durante il Covid, ne esce indebolita, divisa, con un tandem franco-tedesco a brandelli.”[25]. In questa discesa agli inferi del capitalismo mondiale, la guerra cambia la situazione per tutti i capitali e sconvolge tutte le relazioni economiche mondiali:
• La guerra del gas e del petrolio. In una svolta senza precedenti, Washington emerge come il grande vincitore. Mentre 10 anni fa gli Stati Uniti non esportavano GNL, ora ne sono il principale esportatore mondiale. La guerra ha rimescolato tutte le carte del mercato mondiale. “Gli Stati Uniti beneficiano di una quasi indipendenza energetica, che permette loro di proiettarsi con calma in un mondo in cui gli idrocarburi sono diventati armi geopolitiche. L’America non ha bisogno di importare gas, è il primo produttore mondiale davanti alla Russia. Per quanto riguarda il petrolio, Washington è anche il primo produttore mondiale e ha recentemente ridotto la sua dipendenza dal greggio estero[26].” (Le Point Géopolitique, Le guerre energetiche, p.7). Prodotto di una vasta politica verso l’autosufficienza intrapresa a lungo termine dall’amministrazione Obama come parte del suo desiderio di contrastare l’ascesa del suo sfidante cinese, la guerra in Ucraina non ha solo permesso agli Stati Uniti di trarne grande vantaggio per rilanciare la propria industria[27], ma è stato anche il mezzo per affermarsi come attore chiave. Sul piano strategico energetico gli Stati Uniti pongono i loro rivali sulla difensiva e in uno stato di inferiorità:
L’Europa è quasi ridotta a passare dalla dipendenza dal gas russo a quella dal GNL americano. Per sfuggire a questo strangolamento mortale, gli europei stanno cercando freneticamente di diversificare i propri fornitori.
La Cina, in gran parte dipendente dalle importazioni di idrocarburi, è svantaggiata e indebolita di fronte agli Stati Uniti, ora in grado di controllare – tagliare – le rotte terrestri e marittime per le forniture cinesi.
• Il rafforzamento dell’industria militare. Con una quota del 40% sul mercato degli armamenti, “l’innegabile successo strategico della macchina da guerra americana” dà impulso all’industria militare americana: “L’arsenale della democrazia, come lo chiamava il presidente FD Roosevelt, funziona a pieno regime (...) Di conseguenza, l’industria militare americana si trova ad affrontare notevoli vincoli di produzione[28]”.
• Il dollaro forte e il rialzo dei tassi La straordinaria mole del piano Biden da 1.700 miliardi di dollari per sostenere l’economia americana rilanciando domanda e consumi, seguito dall’avvio dello smantellamento del sistema di allentamento monetario e dal graduale aumento dei tassi da parte de la FED (decisa all’inizio del 2022) ha colto di sorpresa tutti i suoi rivali. Approfittando sia del ruolo centrale del dollaro (nelle riserve delle banche centrali del mondo, della sua preponderanza nell’economia e nel commercio mondiale), del dollaro forte, delle dimensioni della sua economia e del suo rango di prima potenza economica a livello mondiale, questa politica ha l’effetto di:
1. attrarre e incanalare capitali e investimenti (in cerca di rifugio) verso l’economia americana,
2. avere il resto del mondo che finanzia il sostegno alla propria economia,
3. trasferire gli effetti più deleteri dell’inflazione ad altri paesi più deboli[29]. Gli Stati Uniti stanno rafforzando la stabilità e il potere della propria economia a scapito dei suoi concorrenti più diretti.
Chiaramente, gli Stati Uniti non esitano a correre il rischio di innescare la recessione, rallentare il commercio internazionale e provocare crisi finanziarie negli Stati più deboli purché la loro economia ne tragga vantaggio e ne sia a lungo termine beneficiaria, in nome della necessità di salvare la propria economia e il loro posto di prima potenza mondiale.
• Il rafforzamento del protezionismo. Con la legge governativa di riduzione dell'inflazione da 370 miliardi di dollari per gli investimenti pubblici nell’industria statunitense, unita a forti misure protezionistiche che privilegiano i prodotti fabbricati negli Stati Uniti rispetto a quelli importati, l’UE ha subito un “secondo shock di competitività” (dopo quello del gas).
Più in generale, tutte le misure adottate negli Stati Uniti a livello economico, monetario, finanziario e industriale agiscono attrattivi per gli investimenti e come una calamita per le delocalizzazioni sul territorio americano. L’Eldorado dei bassi prezzi dell’energia e dei sussidi dirotta capitali e grandi aziende straniere verso gli Stati Uniti, a scapito soprattutto dell’Europa. Più di sessanta aziende tedesche (Lufthansa, Siemens, ecc.) stanno pensando di investire negli Stati Uniti. VW ha annunciato di voler aumentare la produzione di veicoli elettrici negli Stati Uniti e prevede 7 miliardi di investimenti nei suoi siti americani. La BMW sta investendo 1,7 miliardi nella sua fabbrica nella Carolina del Nord e sta cercando di produrre le batterie lì invece che come parte di progetti europei. La Francia stima le sue potenziali perdite in “10 miliardi di euro di investimenti” e “10.000 potenziali posti di lavoro” persi.
A questa “virata” degli Stati Uniti “dalla parte sbagliata” del protezionismo (secondo l’UE)[30] si risponde con la minaccia di un “Buy European Act”; e “Francia e Germania hanno formalizzato una proposta di controffensiva [...] e hanno chiesto a Bruxelles di allentare le norme che regolano i sussidi pubblici alle imprese, nonché i sussidi mirati e i crediti d'imposta per i settori strategici”[31].
• Agricoltura: “La guerra in Ucraina ha sconvolto tutti gli equilibri agricoli. Africa e Maghreb sono state le prime vittime. Ma è stato colpito anche il Vecchio continente. Nell’ultimo decennio, l’Europa è nelle mani dell’Ucraina per l’approvvigionamento di mais[32]. (...) Anche se gran parte delle forniture hanno potuto lasciare l’Ucraina, i conti non tornano per gli acquirenti europei che hanno dovuto bussare alla porta di altri fornitori. Gli Stati Uniti hanno una capacità di produzione di mais molto grande. (...) Questa forza non solo ha permesso loro di servire il proprio mercato interno, ma anche di prendere il posto della Russia e dell’Ucraina per esportare ampiamente verso altri paesi. E in particolare verso l’Europa”[33].
• Gli Stati Uniti all’offensiva economica contro la Cina. Da una posizione di forza, gli Stati Uniti aumentano la pressione sulla Cina e attaccano i suoi interessi economici in tutto il mondo attraverso varie iniziative e, approfittando dell’indebolimento e delle divisioni tra gli europei, cercano con vari mezzi di costringerli a seguirli nella loro offensiva[34]: Una “prima”: La riunione del G7 del giugno 2022 ha denunciato “interventi non trasparenti e che perturbano il mercato da parte della Cina” e ha chiesto “approcci collettivi, anche al di fuori del G7, per affrontare le sfide poste da politiche e pratiche non di mercato che falsano l’economia globale”, utilizzando l’argomento democratico di “eliminare tutte le forme di lavoro forzato dalle catene di approvvigionamento globali, compreso il lavoro forzato sponsorizzato dallo Stato, come nello Xinjiang”.
Per garantirsi il decisivo vantaggio tecnologico sulla Cina, gli Stati Uniti stanno organizzando la ricollocazione[35] sul proprio territorio della produzione di semiconduttori di ultima generazione nonché il controllo internazionale sull’intero settore dal quale intendono escludere la Cina, minacciando al tempo stesso con sanzioni qualsiasi rivale che intrattenga rapporti commerciali con quest’ultimo suscettibili di violare tale “monopolio”.
Il vasto programma di investimenti da 600 miliardi di dollari da qui al 2027 per questi paesi in via di sviluppo della Global Partnership for Infrastructures mira a contrastare, soprattutto nell’Africa sub-sahariana ma anche in America Centrale e in Asia, gli enormi progetti finanziati dalla Cina nell’ambito delle Vie della Seta.
La creazione del Pacific Economic Partnership[36] che dovrebbe “scrivere le nuove regole per l’economia del 21° secolo” (Biden) e “costruire catene di approvvigionamento forti e stabili” sotto il controllo di Washington è stata immediatamente denunciata dalla Cina come la “formazione di cricche destinate a tenerla a bada”.
L’UE è in preda al “ciascuno per sé”?
Profondamente divisa, marcata dal cavaliere solitario della Germania che ha varato unilateralmente un piano da 200 miliardi a sostegno della sua economia (qualificato come “dito medio al resto d’Europa”) e dalla contesa tra Francia e Germania per la leadership, l’Unione è attraversata da tensioni importanti. “Alcuni paesi, come la Germania, hanno i mezzi per sovvenzionare massicciamente la loro industria. Altri, come l’Italia, molto meno. La Grecia, la Spagna ma anche la Francia sono preoccupate per questo e chiedono misure di solidarietà europea per correggere queste differenze. ‘L’IRA americano [Inflation Reduction Act] è di 2 punti di PIL, dobbiamo fare uno sforzo analogo’ ha precisato E. Macron. Al contrario, Germania, Paesi Bassi e Svezia restano contrari ad un nuovo strumento finanziario europeo”[37]. Le due potenze europee non sono sulla stessa lunghezza d'onda nei confronti della Cina: “I convenevoli diplomatici non bastano più a nascondere il divario che separa Washington - che considera Pechino il suo principale rivale - e il governo tedesco, i cui interessi lo spingono a mantenere buoni rapporti commerciali con la Cina. (...) Senza essere allineata con gli Stati Uniti, la Francia è più vicina a Washington che a Berlino. La Cina è solo il quinto partner commerciale della Francia (...) Quando Macron ha incontrato Xi a margine del vertice del G20, la sua posizione era più vicina a quella di Biden che a quello di Scholz”[38]. Così al viaggio di Scholz in Cina ha fatto seguito il viaggio di Macron negli Stati Uniti.
Se queste tensioni dovessero aggravarsi, come conseguenza degli interessi nazionali contrastanti fomentati dal rivale americano, fino a minacciare la disgregazione dell’UE, ciò aggraverebbe ulteriormente la crisi e destabilizzerebbe l’intero sistema capitalista.
La reazione della Cina. La guerra in Ucraina mostra come il distacco delle economie statunitense e cinese, avviato dagli Stati Uniti, renda la Cina vulnerabile:
• Le sanzioni contro la Russia sono un monito alla Cina riguardo alle “gigantesche conseguenze per l’economia cinese delle potenziali sanzioni occidentali contro la Cina[39]” Riguardo alle sue enormi riserve di valuta estera in dollari “La guerra in Ucraina ha lanciato il segnale di allarme. (...) Gli esperti cinesi sottolineano che la dipendenza dal dollaro è ancora più inquietante che nel caso della Russia. La Cina non è pronta ad affrontare eventuali sanzioni occidentali” e “vuole rafforzare drasticamente la sicurezza dei suoi beni all’estero per non ripetere gli errori della Russia, (...) modificare la struttura degli investimenti all’estero e ridurre il più rapidamente possibile la dipendenza dal dollaro statunitense[40]” per uscire dalla contraddizione di non avere “quasi altra soluzione per valorizzare i dollari ricevuti dal surplus commerciale se non quella di prestarli col tempo agli Stati Uniti”[41].
• Gli sforzi dello Stato per rendere lo yuan una valuta internazionale in concorrenza con il dollaro sono vani, anche in un contesto in cui molti paesi potrebbero cercare riparo dalle sanzioni occidentali. Lo yuan ristagna al 2,88% delle riserve valutarie (di cui il 30% detenuto dalla Russia) (rispetto a 59,5 per il dollaro e 19,76 per l’euro); e dal 2015 al 5° posto nei pagamenti mondiali con una quota del 2,44% contro il 42% del dollaro. La BPC (Banca Popolare Cinese) deve lottare contro il deprezzamento dello yuan rispetto al dollaro.
• “Come risultato delle misure adottate negli ultimi anni dagli Stati Uniti” che limitano l’esportazione di alte tecnologie (utilizzate dalla produzione avanzata nel settore automobilistico, aeronautico, conquista dello spazio, ricerca scientifica, informatica, trasporti, medicina, ecc.), “attualmente la Cina non è più in corsa (...) I produttori cinesi di semiconduttori non hanno la tecnologia per recuperare il ritardo. (...) Tanto che alcuni esperti dubitano che la Cina sarà in grado di recuperare nel breve e medio termine in questo campo, che è responsabile di gran parte della futura crescita economica” (Asyalist)
• La Cina è impegnata in una lotta competitiva all’ultimo sangue per il controllo di alcune filiere strategiche (come terre rare e metalli); o per garantirsi l’approvvigionamento di idrocarburi, approfittando dell’indebolimento della Russia a firmare contratti con le Repubbliche dell’Asia Centrale e del ciascuno per sé per avvicinarsi all’Arabia Saudita.
• Gli interessi economici vitali della Cina sono in gioco nelle tensioni con Taiwan, che, come Singapore, funge da piattaforma essenziale per l’industria manifatturiera cinese ed è indispensabile per il suo attuale modello economico.
Quali conseguenze?
L’esclusione da parte degli Stati Uniti della Russia dal commercio internazionale, l’offensiva contro la Cina, la dichiarata volontà di riconfigurare le relazioni economiche mondiali a proprio vantaggio, segnano un punto di svolta nella visione del libero scambio che ha guidato la politica americana per quasi trent’anni. Ciò si tradurrà in una maggiore frammentazione del mercato mondiale a causa della proliferazione di accordi regionali come quello tra Stati Uniti, Canada e Messico siglato nel 2020[42].
Tali accordi tra firmatari che presumibilmente condividono “interessi più comuni”, così come gli scambi tra Stati e imprese che favoriscono partner “della stessa sensibilità, a non commerciare più con chiunque”, non lasciano presagire alcuna stabilità o la formazione di relazioni economiche esclusive secondo l’egida di grandi sponsor. Anzi. Poiché tendono ad abbracciare le molteplici linee di faglia delle tensioni tra le potenze, non faranno altro che portare ad una maggiore frammentazione del mercato mondiale su scala globale e al rafforzamento del ciascuno per sé, della guerra commerciale, del ripiegamento nazionale e della ricerca della difesa della sovranità nazionale a tutti i livelli. Ciò non farà altro che acuire, come fattore di sopravvivenza, il desiderio di controllare catene produttive strategiche essenziali per la sopravvivenza nazionale e di porsi in una posizione di forza rispetto ad altre potenze ricattabili o, al contrario, sottrarsene[43].
Ormai non solo è progressivamente scomparsa (senza che sia percepibile alcun ritorno) la capacità di cooperazione delle principali nazioni capitaliste per ritardare e attenuare l’impatto della crisi economica sull’intero sistema capitalista e su se stesse, ma si delinea sempre più chiaramente una politica, guidata in particolare dalla prima delle grandi potenze, gli Stati Uniti, di salvaguardia del proprio posto sulla scena mondiale a diretto discapito delle altre potenze dello stesso tipo (e del resto del mondo) mondo) attaccando i loro interessi e provocandone deliberatamente l’indebolimento.
Questa situazione rompe apertamente con buona parte delle regole che gli Stati avevano adottato a partire dalla crisi del 1929 e apre un periodo di terra di nessuno, dove il caos assumerà, anche all’interno e tra i paesi centrali, una dimensione nuova e sconosciuta, con ripercussioni, ancora difficilmente “immaginabili”, che colpiranno il cuore del sistema capitalista in una spirale di crisi sempre maggiore.
A. Peggioramento della crisi: l’unico futuro sotto il capitalismo
La crisi irreversibile del capitalismo fa da sfondo ad un’accelerazione del caos e della barbarie. Più nello specifico, si tratta di 50 anni di crisi economica, accelerata a partire dal 2018, che oggi si manifesta apertamente con un’inflazione galoppante con i suoi postumi di povertà, fame e impoverimento generalizzato.
• “La crisi del capitalismo tocca le fondamenta stesse di questa società. Inflazione, precarietà, disoccupazione, ritmi infernali e condizioni di lavoro che distruggono la salute dei lavoratori, alloggi inaccessibili... sono la prova di un inesorabile deterioramento della vita della classe operaia e, sebbene la borghesia stia cercando di creare ogni possibile divisione, concedendo condizioni “privilegiate” a determinate categorie di lavoratori, ciò a cui stiamo assistendo nel complesso è, da un lato, quella che probabilmente sarà la PEGGIORE CRISI della storia del capitalismo, e, d’altra parte, la realtà concreta della PAUPERIZZAZIONE ASSOLUTA della classe operaia nei paesi centrali. Il che conferma totalmente la correttezza di questa previsione che Marx fece sulla prospettiva storica del capitalismo e che gli economisti e gli altri ideologi della borghesia hanno tanto deriso”[44].
A differenza degli anni ꞌ30, oggi ci sono più fattori che aggravano la crisi. La pandemia e la guerra in Ucraina segnano una nuova qualità nella situazione. La concatenazione dei fattori di decomposizione è alla base di una spirale di degrado e peggioramento della situazione economica globale. “Questa crisi si presenta come una crisi più lunga e più profonda di quella del 1929. Innanzitutto perché l’irruzione degli effetti della decomposizione sull’economia tende a creare caos nel funzionamento della produzione, provocando costanti colli di bottiglia che strangolano o bloccano l’economia, in una situazione di sviluppo della disoccupazione che si combina, in maniera paradossale, con delle situazioni di penuria di mano d’opera. Essa si esprime soprattutto con lo scatenamento dell’inflazione che i diversi piani di salvataggio, frettolosamente messi in campo dagli Stati di fronte alla pandemia e alla guerra, non hanno fatto che alimentare per la fuga in avanti dell’indebitamento. L’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali per cercare di frenare l’inflazione rischia di provocare una recessione molto violenta capace di strangolare allo stesso tempo gli Stati e le imprese. Quello che è ormai in marcia è un vero tsunami di miseria, un impoverimento brutale del proletariato anche nei paesi centrali”[45]. Lo spettro della “stagflazione” aleggio sul mondo. Se negli anni ꞌ70 era solo un concetto degli economisti borghesi caratterizzare uno stato di alta inflazione con la stagnazione economica, oggi questo pericolo sta diventando evidente e l’attuale inflazione incontrollata e il rallentamento dell’economia porteranno a una catena di fallimenti, anche di interi Paesi (Pakistan, Sri Lanka, ecc.), nonché a turbolenze finanziarie e a difficoltà ancora maggiori nei paesi emergenti.
“Si prevede che la crescita nelle economie avanzate decelererà bruscamente, dal 5,1% nel 2021 al 2,6% nel 2022 (1,2 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni di gennaio). La crescita dovrebbe moderarsi ulteriormente per raggiungere il 2,2% nel 2023, riflettendo in gran parte il ritiro delle politiche di sostegno e fiscali fornite durante la pandemia”[46]. La borghesia non ha altra alternativa che continuare ad aumentare i tassi di interesse, come ha fatto la FED lo scorso novembre, tutti gli Stati sono coinvolti in questa dinamica e ciò causerà contrazioni sui mercati, chiusure di aziende con massicci licenziamenti come si può vedere nelle aziende tecnologiche in Stati Uniti (GAFAM). La delocalizzazione delle imprese della Cina verso l’America (Nearshoring) peggiorerà la situazione della disoccupazione in alcune regioni del mondo.
A differenza degli anni ꞌ30, gli attuali livelli di debito non hanno precedenti. La Cina, la seconda potenza mondiale, ha un debito pari a 2,5 volte il suo PIL! Allo stesso tempo, è diventata un sostenitore finanziario, per sostenere la sua Via della Seta e garantire la sua influenza in Africa e America Latina. Gli Stati Uniti, il cui debito totale supera ormai i 31trilioni (milioni di milioni), hanno stampato 5 miliardi di dollari mentre l’UE, con 750 milioni di euro, ha stampato il 20% in più degli Stati Uniti. Le prospettive per gli anni a venire saranno piene di convulsioni e difficoltà per il capitalismo.
B. La Cina come fattore destabilizzante e aggravante della crisi
i.- L’economia cinese ha subito un forte rallentamento a causa dei ripetuti blocchi, poi lo tsunami di contagi che ha causato il caos nel sistema sanitario, la bolla immobiliare e il blocco di numerose strade della “via della seta” a causa dei conflitti armati (Ucraina) o del caos ambientale (Etiopia). La crescita nella prima metà di quest’anno è stata del 2,5%, rendendo irraggiungibile l’obiettivo del 5% fissato per quest’anno. Per la prima volta in 30 anni, la crescita economica della Cina sarà inferiore a quella di altri paesi asiatici (Vietnam). Grandi aziende tecnologiche e commerciali come Alibaba, Tencent, JD.com e iQiyi hanno licenziato il 10-30% della loro forza lavoro. I giovani sono particolarmente sensibili al deterioramento della situazione, con un tasso di disoccupazione stimato al 20% tra gli studenti universitari in cerca di lavoro. Anche i progetti di espansione della “Nuova Via della Seta” sono in difficoltà a causa dell’aggravarsi della crisi economica: quasi il 60% del debito verso la Cina è ormai dovuto a paesi in difficoltà finanziarie, rispetto al 5% nel 2010. Inoltre, la pressione economica da parte degli Stati Uniti si stanno intensificando, in particolare con l’Inflation Reduction Act e la CHIPS and Science Act negli Stati Uniti, che colpiscono direttamente le esportazioni tecnologiche di diverse società tecnologiche cinesi (ad esempio Huawei) verso gli Stati Uniti.
Ancora più penoso per la borghesia cinese, i problemi economici, uniti alla crisi sanitaria, hanno dato origine a grandi movimenti di protesta sociale.
ii. - Il fallimento del modello neostalinista della borghesia cinese. Di fronte alle difficoltà economiche e sanitarie, la politica di Xi Jinping è stata quella di ritornare alle ricette classiche dello stalinismo:
- Sul piano economico, a partire da Deng Xiao Ping, la borghesia cinese ha creato un meccanismo fragile e complesso per mantenere un partito unico onnipotente che convive con una borghesia privata direttamente stimolata dallo Stato. “Entro la fine del 2021, l’era delle riforme e delle aperture di Deng Xiaoping sarà chiaramente finita, sostituita da una nuova ortodossia economica statalista”[47] La fazione dominante dietro Xi Jinping sta riorientando l’economia cinese verso un controllo statale assoluto in stile stalinista;
- Sul fronte sociale, con la politica “Zero Covid”, Xi non solo ha assicurato uno spietato controllo statale sulla popolazione, ma ha anche imposto questo controllo alle autorità regionali e locali, che si erano rivelate inaffidabili e inefficaci all’inizio della pandemia. In autunno ha inviato a Shanghai unità della polizia statale centrale per richiamare all’ordine le autorità locali che liberalizzavano le misure di controllo.
“Un capitale nazionale sviluppato, proprietà ‘privata’ di diversi settori della borghesia, trova nella ‘democrazia’ parlamentare il suo apparato politico più appropriato; al controllo statale quasi completo dei mezzi di produzione corrisponde il potere totalitario di un partito unico”[48].
Il crollo della politica “Covid zero” ha avuto come ripercussione la rielezione per un terzo mandato di colui che l’ha imposta, Xi Jinping, a costo di complessi compromessi tra le fazioni del PCC. La borghesia cinese dimostra così più che mai la sua congenita incapacità di superare la rigidità politica del suo apparato statale, pesante eredità del maoismo stalinista.
iii. - Una crisi che si estende inesorabilmente. La seconda potenza mondiale è coinvolta nella stessa dinamica delle sue pari. Questa catastrofe deve ancora arrivare.
• Il ruolo della Cina nella crisi finanziaria del 2008 è stato quello di contenere e non di fermare gli investimenti, in particolare concentrandosi sul mercato interno e sulle infrastrutture (treni ad alta velocità), ovviamente, il tutto sulla base di una montagna di debiti. Tuttavia, durante la crisi finanziaria del 2008, è rimasta uno dei “settori sani dell’economia”. Oggi non possiamo dire lo stesso. La Cina ha visto il fallimento di Evergrande seguito da quello di Shintao (seconda impresa di costruzioni dopo Evergrande). La sola Evergande aveva un debito di 350 miliardi di dollari che non riesce a ripagare. Dietro questo debito ci sono investitori internazionali, tra cui Black Rock, che reclamano i loro soldi. Le banche regionali sono fallite al punto da innescare un “corralito”[49] cinese. Sono 320 i progetti immobiliari fermi e sono 100 milioni le case vuote. Il debito delle famiglie è triplicato, arrivando a 7.000 miliardi di dollari, a cui va aggiunto il debito delle imprese. La siccità ha ridotto moltissimo la produzione di energia idroelettrica al punto da costringere al razionamento e alla chiusura parziale delle fabbriche, come TESLA che, per ironia della sorte, produce auto elettriche! Qual è stata la risposta della borghesia cinese alla crisi? Tassi di interesse più bassi, massicce assunzioni nello Stato, fondi statali per le infrastrutture e gli immobili, niente di nuovo! e conosciamo già la “efficacia” di queste misure... Possiamo solo aspettarci una serie di shock economici nel prossimo futuro in questa regione del mondo.
• La guerra commerciale con gli Stati Uniti e l’intenzione di non dipendere più dalla Cina hanno portato i paesi sviluppati, e gli Stati Uniti in prima linea, a diversificare le loro catene di approvvigionamento e a cercare nuovi paesi maquiladoras[50]. Così, paesi come il Messico, ma soprattutto il Vietnam, che ha già superato la Cina in termini di crescita economica percentuale, appaiono come le nuove “maquiladoras” del capitalismo. Quest’anno, gli ordini statunitensi ai produttori cinesi sono diminuiti del 40% (CNBC).
In conclusione, sembra oggi che se il capitalismo di Stato cinese ha saputo sfruttare le opportunità offerte dal cambio di blocco, dall’implosione del blocco sovietico e dalla globalizzazione dell’economia auspicata dagli Stati Uniti e dalle principali potenze del blocco occidentale, la sua debolezza congenita nella sua struttura statale di tipo stalinista, costituisce oggi un grave handicap di fronte ai problemi economici, sanitari e sociali. La situazione fa presagire instabilità e possibili sconvolgimenti anche per la posizione di Xi e dei suoi sostenitori all’interno del PCC. Una destabilizzazione del capitalismo cinese avrebbe conseguenze imprevedibili sul capitalismo globale.
C. La continuazione del militarismo e dell’economia di guerra
L’anno 2021 ha visto un’esplosione accelerata delle spese militari. Gli Stati Uniti hanno aumentato la propria spesa del 38% (880 milioni di dollari), la Cina del 14% (243 milioni di dollari) e la Russia del 3% (65 milioni di dollari). La superiorità militare americana si riflette nel suo bilancio. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nello stesso anno “il mondo ha speso 2.000 miliardi di dollari” in campo militare.
Tutta la regione dell’Indo-Pacifico ha visto aumentare le sue spese militari per paura di cadere vittima dell’imperialismo cinese: il Giappone ha raddoppiato il suo budget militare e ha firmato un accordo di “trasferimento della difesa” con il Vietnam, la Thailandia sta investendo 125 milioni di dollari in 50 navi da guerra per proteggere i propri mari, l’Indonesia sta aumentando del 200% i propri investimenti militari nel Mar Cinese e le Filippine hanno appena ricevuto ulteriori 64 milioni di dollari dagli Stati Uniti per rafforzare le proprie basi militari al fine di contenere le minacce cinesi. Ma questa regione non è l’unica a essere coinvolta in questa dinamica, nessuno ne è risparmiato.
Il mondo si sta dirigendo verso un’esplosione delle spese militari mai vista prima nella storia. Tutte queste spese improduttive verranno caricate sulle spalle dei lavoratori.
Non solo l’implementazione dell’energia pulita e rinnovabile è impossibile sotto il capitalismo, ma la guerra energetica continuerà a segnare il futuro di questo sistema. Il controllo delle fonti energetiche, in particolare del gas e soprattutto del petrolio, resterà una questione di “sicurezza nazionale” per ogni capitale. Il funzionamento delle imprese dipende da questo e, a livello imperialista, l’esercito si nutre di petrolio. Gli Stati Uniti hanno attualmente il controllo di queste risorse e il fatto che ora siano i principali fornitori dell’Europa diventa fonte di ricatto e futura pressione sui paesi dell’UE. Il viaggio di Xi in Arabia Saudita e il recente accordo energetico con la Russia lo confermano.
È necessario sottolineare l’accelerazione storica dell’influenza della guerra sull’economia, manifestatasi in modo tragico con la guerra in Ucraina. Facendo un paragone storico con la guerra del Vietnam, se allora il peso militare gravava sull’economia, oggi l’impatto del militarismo sull’economia è ancora maggiore.
D. L’impossibile transizione energetica
Il capitalismo è l’unico sistema della storia in grado di devastare la natura su larga scala, eliminare interi ecosistemi e accelerare l’estinzione delle specie, alterando così l’intero ordine naturale. Questo fenomeno è cumulativo e accelera, portando a una rapida devastazione del pianeta. L’attuale “transizione all’energia pulita” è solo l’espressione della lotta tra i capitalisti e la loro concorrenza all’ultimo sangue. Si tratta di vedere chi riesce ad entrare per primo nel mercato e togliere clienti all’avversario. Tutti i discorsi sulle loro “preoccupazioni” per l’ambiente sono demagogia. L’aggravarsi della “crisi ecologica” sta accelerando e provocando devastazioni inaccettabili. Gli Stati Uniti, di cui l’ex presidente Trump ha negato l’esistenza del “cambiamento climatico”, si confrontano con gli effetti di questa crisi ecologica e la prima potenza mondiale è lungi dall’essere risparmiata dai “disastri naturali” e detiene il sinistro record mondiale di distruzione della biodiversità. In effetti, il capitalismo non può essere allo stesso tempo un sistema competitivo ed essere “ecologico”, perché:
• Il suo obiettivo è il profitto, non la preservazione della natura, che sarà sempre considerata dal capitalismo come una fonte di risorse gratuite la cui distruzione e le implicazioni che ne derivano non lo riguardano;
• Il ciascuno per sé e l’anarchia della produzione significano che la borghesia non ha alcun controllo sulle “nuove tecnologie”, essa è un apprendista stregone!
• I progressi tecnologici sono unilaterali e non tengono conto del quadro globale. Se l’estrazione del litio per le batterie delle automobili è inquinante e la sua riciclabilità è ridotta al 5%, ciò non ha alcuna importanza per il capitalismo. L’importante è vendere auto “verdi”;
• La separazione tra uomo e natura diventa estrema sotto il capitalismo, al punto da considerare l’uomo come “esterno” al suo ambiente naturale.
D’altra parte, il ritorno al carbone, anche se le aziende pagassero una tassa aggiuntiva per coprire i danni causati all’ambiente – che è solo una cortina di fumo – non elimina l’enorme fallimento del capitalismo nell’eliminare le emissioni di carbonio. Se gli europei avevano deciso di abbandonare l’energia nucleare, ora cercano di reintrodurla per compensare la loro dipendenza da Russia e Stati Uniti. È un nuovo esempio dei fallimenti del capitalismo che ci spinge a far rivivere vecchie glorie, anche se inquinanti. Ogni paese agisce solo nel proprio interesse e gli altri ne soffrono!
Una transizione verso “l’energia verde” sotto il capitalismo equivale all’illusione di un capitalismo senza guerre.
E. Verso l’impoverimento assoluto della classe operaia nei paesi centrali
La spesa improduttiva di capitale non cesserà, il militarismo e il mantenimento dello Stato devasteranno la classe operaia. Questo fenomeno di pauperizzazione della classe operaia nei paesi centrali ha una sua storia, ma dopo la pandemia e la guerra in Ucraina ha subito un’accelerazione. L’inflazione riduce considerevolmente il potere d’acquisto dei lavoratori e, a differenza degli anni ꞌ70, oggi la borghesia non ricorre all’indicizzazione dei salari. E così, la borghesia nel Regno Unito adotta una linea dura nei confronti delle richieste di aumenti salariali per compensare l’inflazione; il primo ministro britannico ha dichiarato: “nessuna trattativa è possibile”.
• “Riscaldarsi o mangiare”, questo slogan degli scioperi britannici rivela la gravità della situazione. Per molte famiglie lavoratrici pagare l’energia è più costoso che pagare il mutuo: salari sempre più miserabili, aumento del costo della vita, aumento costante dei prezzi, licenziamenti massicci, tagli alla previdenza sociale, pensioni attaccate, ecc. Tutto ciò fa presagire un futuro di miseria al quale il proletariato dovrà rispondere seguendo i suoi fratelli e sorelle di classe come in Gran Bretagna, in Europa e persino negli Stati Uniti. Si apre e si accelera una prospettiva di impoverimento del proletariato.
• La carenza di manodopera è sia un prodotto che un fattore della crisi del capitalismo. La logistica capitalista della circolazione delle merci è nel caos, non ci sono abbastanza autisti e i prodotti marciscono o scarseggiano. Nel settore sanitario ci sono troppi posti vacanti e nel settore dell’istruzione gli insegnanti lasciano rapidamente il lavoro. In Cina, ad esempio, 1 giovane su 5 non riesce a trovare un lavoro “promettente” e preferisce non accettare nulla. “Lasciatelo marcire” è un’espressione cinese comune per indicare i giovani che non accettano di lavorare. Dietro questa situazione si nasconde ovviamente un percorso individuale e disperato, una reazione “privata” al degrado delle condizioni di lavoro. Le nuove generazioni non vogliono vivere al ritmo della produzione capitalistica. Questo fenomeno è allo stesso tempo espressione di una mancanza di identità di classe, non si organizzano per lottare e prendono solo una posizione personale di fronte ad un problema eminentemente sociale, economico e politico. La riduzione delle indennità lavorative, l’assenza di pensioni in molti paesi, l’aumento delle malattie mentali e dei suicidi, tutto ciò crea condizioni di vita e di lavoro insopportabili.
Sono la crisi e la sua prospettiva di recessione mondiale che creano le condizioni affinché i lavoratori inizino a portare avanti le loro lotte sul proprio terreno. “La crisi economica, a differenza della decomposizione sociale che riguarda essenzialmente le sovrastrutture, è un fenomeno che colpisce direttamente le infrastrutture della società su cui poggiano le sovrastrutture; la crisi mette quindi a nudo le cause profonde di tutta la barbarie che grava sulla società, consentendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente il sistema e di non pretendere più di migliorarne alcuni aspetti” (Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [9], Rivista Internazionale n.14, novembre 1990)
Gennaio 2023
[1] Rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso della CCI [44], Rivista internazionale n.36
[2] Le Monde, del 17/12
[3] La fame è aumentata di circa il 18% durante la pandemia e oggi colpisce da 720 a 811 milioni di persone. La riduzione degli aiuti alimentari, il loro riorientamento verso l’accoglienza dei soli rifugiati ucraini o la ridistribuzione della loro somma a favore dell’aumento delle spese militari hanno fatto sì che, per l’Afghanistan, dove la carestia minaccia 23 milioni di abitanti, e per la Somalia, dove una parte della popolazione corre “un pericolo imminente di morte” non è stato possibile raccogliere i fondi necessari.
[4] In Europa, la notevole riduzione della produzione di fertilizzanti (che consuma molto gas naturale) a causa degli alti prezzi dell’energia sta portando ad una riduzione del consumo di fertilizzanti ovunque nel mondo, dal Brasile agli Stati Uniti, che mette a rischio il volume dei prossimi raccolti. Ad esempio: “Il Brasile, il principale produttore mondiale di soia, acquista quasi la metà dei suoi fertilizzanti fosfatici dalla Russia e dalla Bielorussia. Ha solo tre mesi di scorte. L’associazione brasiliana dei produttori di soia (Aprosoja) ha chiesto ai suoi membri di utilizzare meno fertilizzanti quest’anno, o addirittura niente. Il raccolto di soia del Brasile, già ridotto a causa di una grave siccità, sarà probabilmente ancora più scarso. Il Brasile vende la sua soia principalmente alla Cina, che ne utilizza gran parte per l’alimentazione animale. La soia meno abbondante e più costosa, potrebbe costringere gli allevatori cinesi a ridurre le razioni date ai loro animali, con il risultato che mucche, maiali e polli saranno più piccoli e la carne più costosa”.
[5] Tutte le citazioni del brano sono tratte da Courrier International
[6] “La scarsità di entrate pubbliche, dovuta all’embargo occidentale sull’acquisto di oro, carbone e metalli, ha fatto sì che alcuni reggimenti ricevessero la paga solo occasionalmente. Questo ha portato al rifiuto di combattere e persino alla resa” (Les Échos 17/09/2022)
[7] “Molte fabbriche del complesso militare-industriale hanno dovuto ridurre la produzione o addirittura chiudere, come quella dei missili antiaerei di Ulyanovsk, dei missili aria-aria di Vympel o dei carri armati di Uralvagonzavod, principale sito produttivo del paese” (Les Échos 17/09/2022).
[8] “In effetti, anche se Pechino rifiuta di rinnegare pubblicamente il suo principale partner strategico, le autorità cinesi hanno ampiamente rispettato le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia. Le aziende cinesi hanno seguito le aziende occidentali nel loro esodo dal mercato russo: i giganti della tecnologia cinese — Lenovo, TikTok e Huawei — hanno bloccato tutte le loro operazioni in Russia, mentre i produttori cinesi di moduli artici per il megaprogetto russo sul gas Arctic-LNG2 hanno deciso di porre fine alla loro cooperazione con Novatek. Infine, nonostante le rassicurazioni della propaganda ufficiale del Cremlino, UnionPay, uno dei principali circuiti di pagamento controllati dallo Stato, ha messo in stand-by i suoi piani di collaborazione con le banche russe alla fine di aprile, tagliando le loro speranze di trovare un'alternativa ai giganti americani dei circuiti di pagamento Visa e Mastercard. Questo complesso passo a due dovrebbe, agli occhi di Pechino, proteggere gli interessi cinesi e minimizzare l'impatto della guerra sull'economia cinese...” (Chine: 2022, l’année de tous les périls?, Diplomatie)
[9] Diplomatie 118, p33; “Se aggiungiamo [alle spese puramente militari] gli aiuti umanitari, economici di emergenza e l’assistenza ai rifugiati, l’UE e gli Stati membri hanno fornito più aiuti degli Stati Uniti, secondo l’Istituto di Kiel, per 52 miliardi di dollari contro i 48 miliardi di Washington” (Les Échos, 3-4/02)
[10] IFRI, Le Point Géopolitique, Les guerres de l’énergie, p.6
[11] L’esempio del Sudafrica mostra la natura generale del problema: agli effetti della siccità e della scarsità d’acqua che il paese sperimenta quest’autunno si aggiunge una crisi energetica di portata senza precedenti, dovuta all’obsolescenza e ai guasti delle vecchie centrali elettriche a carbone con conseguenti interruzioni incessanti di elettricità che impediscono il pompaggio dell’acqua sui monti Drakensberg e il suo trasporto a Johannesburg e Pretoria, mentre il 40% scompare nelle perdite della rete. Ma per riparare tutte le infrastrutture servirebbero 3,4 miliardi di euro, di cui l’Autorità Idrica non dispone.
[12] Ad esempio, nel settore chimico (maggior consumatore di gas) la produzione è drasticamente ridotta; Il 70% del settore registra perdite; per BASF, interi settori della sua attività non sono più redditizi o competitivi, il che comporta un calo dei risultati del 30%. Tutta l’Europa (che assorbe il 60% delle esportazioni di questo settore) ne è colpita!
[13] Conflicts n.42
[14] Le inondazioni hanno quasi completamente distrutto i raccolti di questo quinto produttore di cotone del mondo. Si tratta di una perdita colossale per l’industria tessile che rappresenta il 10% del PIL; l’agricoltura nel Sindh è stata distrutta, il bestiame decimato; il resto lasciato alle epizoozie “la sicurezza alimentare dei 220 milioni di abitanti è in pericolo” (Le Monde, 14/09) A cui si aggiungono i flagelli della malaria, della dengue, del colera e del tifo. Quarto produttore e fornitore di riso della Cina e dell’Africa sub-sahariana, “qualsiasi calo delle esportazioni non farà altro che aumentare l’insicurezza alimentare globale incrementata dal calo delle esportazioni di grano dall’Ucraina” (Le Monde, 14/09).
[15] Les Échos, 23-24/12
[16] Révolution Internationale, vecchia serie n. 6
[17] L’inflazione non deve essere confusa con un altro fenomeno della vita del capitalismo, ovvero la tendenza all’aumento del prezzo di alcuni beni a causa dell’insufficiente offerta. Questo fenomeno ha assunto di recente una particolare portata a causa della guerra in Ucraina, che ha colpito la fornitura di un volume significativo di diversi prodotti agricoli, la cui carenza è già un fattore di aggravamento della miseria e della fame nel mondo. L’inflazione è una caratteristica permanente del periodo di decadenza del capitalismo che incide pesantemente sull’economia. Come la mancanza di offerta, si riflette nell’aumento dei prezzi, ma è la conseguenza del peso delle spese improduttive nella società, il cui costo si ripercuote sul costo dei beni prodotti. Infine, un altro fattore di inflazione è la conseguenza della svalutazione delle valute derivante dal ricorso alla stampa di moneta per accompagnare l’aumento incontrollato del debito globale, che attualmente si avvicina al 260% del PIL mondiale.
[18] Marianne n.1341
[19] “...numerosi default di pagamento si profilano all’orizzonte. Il FMI stima che 2/3 dei paesi a basso reddito e un quarto dei paesi emergenti si trovano ad affrontare gravi difficoltà legate ai loro debiti”. (Le Monde, 24/09)
[20] La Brexit ha portato ad uno stallo dell’economia britannica: “Il Regno Unito è l’unico paese avanzato le cui esportazioni sono diminuite lo scorso anno e rimangono al di sotto del livello pre-covid (…) gli investimenti delle imprese sono rimasti inferiori del 10% rispetto a metà 2016” (Les Échos 24/09). “Con la Brexit è andato perduto il passaporto finanziario europeo che permetteva di vendere i prodotti in tutta l’UE. Circa diecimila banchieri hanno lasciato la piazza finanziaria londinese per stabilirsi a Dublino, Francoforte, Parigi Lussemburgo o Amsterdam. (…) un altro fenomeno: dalla fine del 2019 il numero di posti di lavoro nel settore finanziario britannico è diminuito di 76.000 unità (su un totale attuale di 1,06 milioni). La Brexit ha giocato un ruolo significativo nel declino della City in relazione con le decine di migliaia di posti di lavoro delocalizzati, ma soprattutto indirettamente, perché le grandi istituzioni finanziarie internazionali hanno scelto di investire altrove.” (Le Monde 19/11)
[21] “Questo allineamento con la Commissione europea e la sua dottrina del rigore non sarà senza problemi per una parte significativa dell’elettorato della Meloni” (Le Monde Diplomatique, 22/12)
[22] “Fin dai primi anni 80, sotto Reagan, gli Stati Uniti hanno sognato di tagliare l’Europa dal gas russo. Hanno esercitato enormi pressioni. Hanno esercitato enormi pressioni affinché il gasdotto Nord Stream 1 non vedesse mai la luce, e lo hanno fatto di nuovo anni dopo con il Nord Stream 2, arrivando a minacciare sanzioni contro le aziende che avevano preso parte al progetto. Per loro la guerra in Ucraina è una manna dal cielo.
[23] “Una storia ha fatto notizia la scorsa primavera: una nave cisterna di GNL è partita da Freeport, in Texas, il 21 marzo, diretta in Asia. Ma dopo dieci giorni di viaggio, ha cambiato bruscamente rotta, nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico, per deviare verso l’Europa (...) gli alti premi offerti nel Vecchio Continente per questo prezioso carico di GNL hanno convinto la BP, la società che aveva noleggiato la nave, a cambiare i suoi piani.” (Le Point Géopolitique, Les guerres de l’énergie, p.36). “All'inizio di novembre, una trentina di gasiere cariche di GNL per un valore di 2 miliardi di dollari si aggiravano nelle acque al largo delle coste spagnole e dei terminali del Nord Europa. Quando scaricheranno? ‘I broker che controllano le petroliere aspettano che i prezzi salgano quando la temperatura scende durante l’ “inverno’, dice il FT (4/11/2022)". (Le Monde Diplomatique, 22 dicembre).
[24] L’impatto della crisi sull’economia statunitense, la relativa erosione del suo peso nel mondo, gli effetti della decomposizione del suo apparato politico e la tendenza storica a perdere la propria leadership non devono portare a sottovalutare la realtà del potere degli Stati Uniti e la loro capacità di difenderlo a tutti i livelli: “Gli Stati Uniti sfruttano un sistema panottico unico che gli permette di controllare la maggior parte dei centri nevralgici della globalizzazione. 'Globale' rimane l’aggettivo che meglio definisce il suo potere e la sua strategia. Si basa su un sistema di sorveglianza e sul controllo simultaneo di ‘spazi comuni’: mare, aria, spazio e digitale. I primi tre corrispondono ad ambienti fisici distinti innervati dal quarto. Grazie al dollaro e alla legge, garantiti dalla loro schiacciante superiorità militare, gli Stati Uniti conservano un formidabile potere di strutturazione, e quindi di destrutturazione.”, T. Gomart, “Guerre invisibili”, 2021, p. 251.
[25] L’Express, n. 3725
[26] “Dal 2020, le sue esportazioni hanno superato le importazioni e il suo principale fornitore è un paese con il quale dovrebbe mantenere buoni rapporti negli anni a venire, poiché è il Canada (il 51% del petrolio importato proviene dal suo vicino settentrionale). Una garanzia energetica che gli permette di portare avanti una diplomazia offensiva in Ucraina.” (Le Point Géopolitique, Le guerre energetiche, p.7)
[27] “Nella prima metà del 2022, le esportazioni di GNL (per l’insieme dei paesi) sono aumentate del 20% e quasi due terzi sono andate verso l’Europa. L’America ha un potenziale considerevole. In primo luogo perché esiste un consenso politico per andare oltre nel gas di scisto. Poi perché hanno la rete di gasdotti più estesa di tutti i paesi. Infine perché investono enormemente nei terminali di liquefazione. (…) In tutto il Golfo del Messico, a sud della Louisiana, dal Texas alla Florida, si sta scrivendo una rivoluzione del GNL L’America conta attualmente solo 8 terminali di liquefazione, ma 5 sono in costruzione, altri 12 già approvati sono in attesa di autorizzazione e 8 permessi sono in fase di elaborazione.” (L’Express, n. 3725).
[28] “La maggior parte dei Paesi europei ha effettuato commesse. In primis la Germania, che ha annunciato di voler acquistare fino a 35 caccia F35 da Lockheed Martin. La Royal Navy investirà 300 milioni di euro per aumentare le capacità dei suoi missili Tomahawk. I Paesi Bassi hanno messo sul piatto un miliardo di euro per i sistemi di difesa missilistica a medio raggio Patriot. Quest’estate l’Estonia ha ordinato sei sistemi Himars e un missile balistico in grado di raggiungere un obiettivo a quasi 300 km di distanza. Quanto alla Bulgaria, a settembre ha deciso di aumentare ulteriormente la commessa di caccia F16 per un totale di 1,3 miliardi di dollari”. L’Express, n. 3725.
[29] “I capitali stanno abbandonando i mercati emergenti, indebolendo le loro valute. (La moneta ghanese -41%, il dollaro taiwanese -13%, il tugrik mongolo -16%) (...) Undici paesi emergenti rischiano una crisi della bilancia dei pagamenti a causa della stretta monetaria internazionale (Cile, Pakistan, Ungheria, Kenya, Tunisia)”. (Le Monde, 13/10).
[30] Altro ostacolo al commercio internazionale, i dazi doganali sono stati aumentati da molti paesi, compresi gli Stati Uniti. Dal 2010, secondo l’OMC, il valore del commercio mondiale soggetto a tariffe e altre barriere è aumentato da 126 miliardi di dollari a 1,5 trilioni di dollari.
[31] Di fronte alla “fine dell’era liberale della globalizzazione” (Lemaire), anche i datori di lavoro francesi hanno cambiato dottrina… e si battono per un “protezionismo intelligente”. (Les Échos, 23-24/12
[32] Quasi un quarto delle spighe consumate nel continente viene coltivato al di fuori dei confini dell'UE, in particolare in Ucraina, che negli anni è diventata il nostro principale fornitore. Poiché i combattimenti hanno interrotto la semina, quest'anno la produzione del Paese potrebbe essere ridotta di 10-15 milioni di tonnellate.
[33] L’Express, n.3725
[34] “Per Washington, l’Europa non può considerare la Cina come un partner, un concorrente e un rivale allo stesso tempo”. (Bloomberg, 21/11)
[35] “Joe Biden ha firmato lo scorso agosto il Chips and Science Act che prevede di iniettare miliardi di dollari in questo settore, di cui 57 miliardi in prestiti, sussidi e altre misure fiscali con l’obiettivo di incoraggiare i produttori americani di semiconduttori a rafforzare le loro capacità”. (Asyalist)
[36] Gli Stati membri di questo patto sono: Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam. Insieme agli Stati Uniti rappresentano il 40% del PIL mondiale.
[37] Le Monde, 17/12
[38] Bloomberg, 21/11
[39] “Secondo uno studio condotto dal Consiglio di Stato cinese lo scorso aprile, il cui testo è stato divulgato al Giappone, queste sanzioni avrebbero un ‘effetto drammatico sulla Cina’, che ‘tornerebbe a un’economia pianificata tagliata fuori dal mondo. Ci sarebbe poi un serio rischio di crisi alimentare’, a causa dei danni che queste sanzioni provocherebbero con l’interruzione delle importazioni di prodotti alimentari essenziali. L’interruzione delle importazioni di soia, in particolare, creerebbe una crisi per le catene alimentari cinesi che dipendono fortemente dalla soia, mentre la riduzione o l’interruzione delle esportazioni avrebbe gravi conseguenze in termini di entrate finanziarie, si legge nel documento di Pechino. La Cina importa il 30% del suo fabbisogno di soia dagli Stati Uniti. Il documento afferma che la produzione cinese di soia copre meno del 20% del fabbisogno del Paese. La soia è essenziale per la produzione di oli commestibili e per l’alimentazione dei suini, che rappresentano il 60% della carne consumata dai cinesi”.
[40] Conflits, n. 41, settembre-ottobre 2022
[41] T. Gomart, “Guerres invisibles”, 2021, p. 242
[42] Lo dimostrano i recenti commenti del Segretario al Tesoro Janet Yellen: “Nel corso del 2022, l’amministrazione Biden ha promosso un piano economico per rafforzare la resistenza degli Stati Uniti alle interruzioni delle forniture, alleggerendo le strozzature nei porti, investendo massicciamente nelle infrastrutture fisiche e costruendo capacità produttive nazionali in settori chiave del 21° secolo come i semiconduttori e le energie rinnovabili. (...) Attraverso un approccio di 'friend-sharing' (“condivisione amichevole"), l’amministrazione Biden intende mantenere l’efficienza del commercio promuovendo al contempo la resilienza economica degli Stati Uniti e dei suoi partner. (...) L’obiettivo dell’approccio ‘friend-sharing’ è quello di approfondire la nostra integrazione economica con un gran numero di partner commerciali fidati sui quali possiamo fare affidamento. (...) Attraverso il Consiglio commerciale e tecnologico UE-USA, stiamo collaborando per creare catene di approvvigionamento sicure nei settori dell’energia solare, dei semiconduttori e dei magneti di terre rare. Gli Stati Uniti stanno creando partenariati simili attraverso l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) e in America Latina attraverso l’Economic Prosperity Partnership of the Americas. I paesi coinvolti nell’IPEF, che rappresentano il 40% del PIL mondiale, si sono impegnati a coordinare i loro sforzi per diversificare le catene di approvvigionamento. (...) Lo 'friend-sharing' sarà attuato progressivamente. Si stanno già sviluppando nuove catene di approvvigionamento. L’UE sta collaborando con Intel per facilitare un investimento di circa 90 miliardi di dollari nella creazione di un’industria di semiconduttori. Gli Stati Uniti stanno lavorando con i loro partner di fiducia per sviluppare un ecosistema completo di semiconduttori negli Stati Uniti. Stiamo inoltre collaborando con l’Australia per costruire impianti di estrazione e lavorazione delle terre rare in entrambi i nostri paesi”. (Le Monde, 1-2/01/2023)
[43] “La guerra commerciale è uno dei teatri in cui si gioca la rivalità strategica sino-americana, con una conseguenza importante per tutti gli attori: la trasformazione delle interdipendenze in leve di potere (...). Abbandonando il sistema multilaterale che avevano costruito da soli, [gli Stati Uniti] hanno deliberatamente destabilizzato i loro alleati tradizionali, indicando al contempo la volontà di continuare a esercitare il loro potere strutturante. Anche se manterrà le forme del multilateralismo, l’amministrazione Biden le userà per contenere il più possibile l’ascesa al potere della Cina”, T. Gomart, “Invisible Wars”, 2021, p. 112.
[44] Terzo manifesto della CCI: Il capitalismo porta alla distruzione dell’umanità... Solo la rivoluzione proletaria mondiale può porvi fine [113]
[45] Gli anni 20 del 21° secolo: L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità [114]
[46] Banca mondiale, giugno 2022
[47]Foreign Affairs, in Courrier International 1674
[48] Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est [8], Rivista Internazionale n.13, 1990
[49] Nome non ufficiale dato alle misure economiche adottate in Argentina durante la crisi economica del 2001, che limitavano i prelievi di contante e vietavano tutte le rimesse verso l'esterno, per porre fine alla corsa alla liquidità e combattere la fuga di capitali.
[50] Paesi in cui le fabbriche beneficiano di esenzioni dai dazi doganali per poter produrre beni a costi inferiori.
1. Preambolo
Il testo della CCI sulle prospettive che si aprono negli anni 2020[[1]] sostiene che le molteplici contraddizioni e crisi del sistema capitalistico globale - economiche, sanitarie, militari, ecologiche, sociali - si stanno sempre più unendo, interagendo, per creare una sorta di "effetto vortice" che rende la distruzione dell'umanità un risultato sempre più probabile. Questa conclusione è diventata così ovvia che settori significativi della classe dirigente stanno dipingendo un quadro simile. Il Rapporto sullo Sviluppo Umano 2021-22 delle Nazioni Unite aveva già lanciato l'allarme, ma il Rapporto sui “Rischi Globali” del Forum Economico Mondiale (WEF), pubblicato nel gennaio 2023, è ancora più esplicito, parlando della "policrisi" che sta affrontando la civiltà umana: "Mentre entriamo nel 2023, il mondo si trova di fronte a una serie di rischi che sembrano allo stesso tempo totalmente nuovi e stranamente familiari. Abbiamo assistito al ritorno dei 'vecchi' rischi - inflazione, crisi del costo della vita, guerre commerciali, deflussi di capitali dai mercati emergenti, disordini sociali diffusi, scontri geopolitici e lo spettro della guerra nucleare - che pochi leader aziendali e responsabili pubblici di questa generazione hanno sperimentato. Questi fenomeni sono amplificati da sviluppi relativamente nuovi nel panorama dei rischi globali, tra cui livelli di debito insostenibili, una nuova era di bassa crescita, scarsi investimenti globali e deglobalizzazione, un declino dello sviluppo umano dopo decenni di progressi, lo sviluppo rapido e incontrollato di tecnologie a duplice uso (civile e militare) e la crescente pressione degli impatti e delle ambizioni del cambiamento climatico in una finestra di transizione sempre più ristretta verso un mondo a più 1,5°C. Tutti questi elementi stanno convergendo per dare forma a un decennio unico, incerto e turbolento".
Questa è la borghesia che parla onestamente a sé stessa dell'attuale situazione globale, anche se può solo illudersi di poter trovare soluzioni all'interno del sistema esistente. E continuerà a vendere queste illusioni alla popolazione mondiale, con l'aiuto di numerosi partiti politici e campagne di protesta che propongono programmi radicali che non mettono mai in discussione i rapporti sociali capitalistici che hanno dato origine alla catastrofe imminente.
Per noi comunisti, non c'è soluzione senza l'abolizione dei rapporti capitalistici e l'instaurazione di una società comunista su scala globale. E quello che il WEF indica come un altro "rischio" per il periodo a venire - "disordini sociali generalizzati" - costituisce, se si distingue questo termine da tutti i vari movimenti borghesi o interclassisti che vi confluiscono, l'alternativa opposta che l'umanità deve affrontare: la lotta di classe internazionale, che sola può portare al rovesciamento del capitale e all'instaurazione del comunismo.
2. Il quadro storico
La borghesia non è in grado di collocare la "policrisi" nelle insolubili contraddizioni economiche derivanti dalle relazioni sociali antagoniste esistenti, ma ne vede la causa nell'astrazione dell'"attività umana"; né può collocarla in un quadro storico coerente. Per i comunisti, al contrario, la traiettoria catastrofica del capitalismo mondiale è il risultato di oltre un secolo di decadenza di questo modo di produzione.
La guerra del 1914-18 e l'ondata rivoluzionaria che provocò portarono il Primo Congresso dell'Internazionale Comunista a proclamare che il capitalismo aveva raggiunto la sua epoca di "disintegrazione interna", di "guerre e rivoluzioni", offrendo la scelta tra il socialismo e la discesa nella barbarie e nel caos. La sconfitta dei primi tentativi rivoluzionari del proletariato fece sì che gli eventi della fine degli anni Venti, poi degli anni Trenta e Quaranta (la più grande depressione economica della storia del capitalismo, una guerra mondiale ancora più devastante, genocidi sistematici, ecc.), facessero pendere la bilancia verso la barbarie e, dopo la Seconda guerra mondiale, il conflitto tra il blocco americano e quello russo confermò che il capitalismo decadente aveva ormai la capacità di distruggere l'umanità. Ma la decadenza del capitalismo è proseguita attraverso una serie di fasi: il boom economico del dopoguerra, il ritorno della crisi iniziata alla fine degli anni Sessanta e la rinascita della classe operaia internazionale dopo il 1968. Quest'ultima ha posto fine al dominio della controrivoluzione, ostacolando la marcia verso una nuova guerra mondiale e aprendo un nuovo percorso storico verso il confronto di classe, che conteneva il potenziale per la rinascita della prospettiva comunista. Ma l'incapacità della classe operaia nel suo complesso di sviluppare questa prospettiva ha portato a un'impasse di classe che è diventata sempre più evidente negli anni Ottanta. Il crollo del vecchio ordine mondiale imperialista dopo il 1989 ha confermato e accelerato l'apertura di una fase qualitativamente nuova e terminale dell'epoca della decadenza, che chiamiamo decomposizione del capitalismo. Il fatto che questa fase sia caratterizzata da una crescente tendenza al caos nelle relazioni internazionali ha aggiunto un ulteriore ostacolo alla traiettoria verso la guerra mondiale, ma non ha affatto reso più sicuro il futuro della società umana. Nelle nostre Tesi sulla decomposizione [9], pubblicate nel 1990, avevamo previsto che la decomposizione della società borghese avrebbe potuto portare alla distruzione dell'umanità senza una guerra mondiale tra blocchi imperialisti organizzati, attraverso una combinazione di guerre regionali, distruzione ecologica, pandemie e collasso sociale. Avevamo anche previsto che il ciclo di lotte operaie del 1968-89 si stava concludendo e che le condizioni della nuova fase avrebbero comportato grandi difficoltà per la classe operaia.
3. Accelerazione della decomposizione
L'attuale situazione del capitalismo mondiale fornisce una conferma sorprendente di questa previsione. Gli anni 2020 sono iniziati con la pandemia di Covid, seguita nel 2022 dalla guerra in Ucraina. Allo stesso tempo, abbiamo assistito a numerose conferme della crisi ecologica globale (ondate di calore, inondazioni, scioglimento delle calotte polari, inquinamento massiccio dell'aria e degli oceani, ecc.) Dal 2019 stiamo anche vivendo un nuovo precipitare nella crisi economica, con i "rimedi" alla cosiddetta crisi finanziaria del 2008 che hanno rivelato tutti i loro limiti. Ma mentre nei decenni precedenti le classi dirigenti dei principali Paesi erano riuscite in una certa misura a preservare l'economia dall'impatto della decomposizione, ora stiamo assistendo a questo "effetto vortice" in cui tutte le diverse espressioni di una società in decomposizione interagiscono tra loro e accelerano la discesa nella barbarie. Ad esempio, la crisi economica è stata chiaramente aggravata dalla pandemia e dalle serrate, dalla guerra in Ucraina e dal costo crescente dei disastri ecologici; nel frattempo, la guerra in Ucraina avrà gravi implicazioni ecologiche e globali; la competizione per le risorse naturali in via di esaurimento esacerberà ulteriormente le rivalità militari e i disordini sociali. In questa concatenazione di effetti, la guerra imperialista, frutto di scelte deliberate della classe dominante, ha giocato un ruolo centrale, ma anche l'impatto di un disastro "naturale" come il terribile terremoto in Turchia e Siria è stato notevolmente aggravato dal fatto che si è verificato in una regione già paralizzata dalla guerra. Si può anche parlare di corruzione endemica di politici e uomini d'affari, che è un'altra caratteristica del degrado sociale: in Turchia, la sconsiderata ricerca del profitto nell'industria edilizia locale ha portato a non rispettare gli standard di sicurezza che avrebbero potuto ridurre notevolmente il numero di vittime del terremoto. Questa accelerazione e interazione dei fenomeni di decadenza segna una nuova trasformazione della quantità in qualità in questa fase terminale della decadenza, rendendo più chiaro che mai che la continuazione del capitalismo è diventata una minaccia tangibile per la sopravvivenza dell'umanità.
4. Impatto della guerra in Ucraina
Anche la guerra in Ucraina ha una lunga "preistoria". È il culmine dei più importanti sviluppi delle tensioni imperialiste degli ultimi tre decenni, in particolare:
- il crollo del sistema dei blocchi post-1945 alla fine degli anni '80 e l'esplosione del "ciascuno per sé" nelle relazioni inter-imperialiste, che ha causato un significativo declino della leadership globale degli Stati Uniti;
- l'emergere, in questa nuova mischia globale, della Cina come principale sfidante imperialista degli Stati Uniti, con la sua strategia a lungo termine di porre le basi economiche globali per il suo futuro dominio imperialista. La risposta degli Stati Uniti al proprio declino e all'ascesa della Cina non è stata quella di ritirarsi dagli affari mondiali, anzi. Gli Stati Uniti hanno lanciato una propria offensiva volta a limitare l'avanzata della Cina, dal "perno a est" di Obama all'approccio più direttamente militare di Biden, passando per l'enfasi di Trump sulla guerra commerciale (provocazioni intorno a Taiwan, distruzione di palloni spia cinesi, formazione di AUKUS, nuova base statunitense nelle Filippine, ecc.) L'obiettivo di questa offensiva è quello di erigere un muro di fuoco intorno alla Cina, bloccando la sua capacità di svilupparsi come potenza mondiale.
- Allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno continuato il loro graduale accerchiamento della Russia attraverso l'espansione della NATO, con l'obiettivo non solo di contenere e indebolire la Russia stessa, ma soprattutto di sabotare la sua alleanza con la Cina. La trappola tesa alla Russia in Ucraina è stata la mossa finale di questa partita a scacchi, che non ha lasciato a Mosca altra scelta se non quella di reagire militarmente, spingendola in una guerra che ha il potenziale di dissanguarla e di minare le sue ambizioni di forza regionale e globale.
All'ombra di queste rivalità imperialiste mondiali, stiamo assistendo alla diffusione e all'intensificazione di altri tipi di conflitto, anch'essi legati alla lotta tra le grandi potenze, ma in modo ancora più caotico. Molte potenze regionali stanno giocando sempre più la loro partita, sia per quanto riguarda la guerra in Ucraina sia per i conflitti nelle loro regioni. Ad esempio, la Turchia, membro della NATO, agisce da "intermediario" per conto della Russia di Putin sulla questione delle forniture di grano, mentre rifornisce l'Ucraina di droni militari e si oppone alla Russia nella "guerra civile" libica; l'Arabia Saudita ha sfidato gli Stati Uniti rifiutandosi di aumentare le sue forniture di petrolio e quindi di abbassare i prezzi mondiali del petrolio; l'India si è rifiutata di rispettare le sanzioni economiche guidate dagli Stati Uniti contro la Russia. Nel frattempo, la guerra in Siria, che è stata a malapena menzionata dai media più importanti dopo l'invasione dell'Ucraina, ha continuato a creare scompiglio, con Turchia, Iran e Israele più o meno direttamente coinvolti nel massacro. Lo Yemen è stato un sanguinoso campo di battaglia tra Iran e Arabia Saudita; l'ingresso di un governo di estrema destra in Israele aggiunge benzina al fuoco del conflitto con l'OLP, Hamas e l'Iran. A seguito di un nuovo vertice USA-Africa, Washington ha annunciato una serie di misure economiche volte esplicitamente a contrastare il crescente coinvolgimento di Russia e Cina nel continente, che continua a soffrire per l'impatto della guerra in Ucraina sulle forniture alimentari e per un intero mosaico di guerre e tensioni regionali (Etiopia-Tigray, Sudan, Libia, Ruanda-Congo, ecc.) che offrono aperture a tutti gli avvoltoi imperialisti regionali e globali. In Estremo Oriente, la Corea del Nord, che è uno dei pochi Paesi a fornire armi direttamente alla Russia, agita la spada contro la Corea del Sud (in particolare con nuovi lanci di missili, che sono anche una provocazione al Giappone). E dietro la Corea del Nord c'è la Cina, che reagisce al crescente accerchiamento degli Stati Uniti.
Un altro obiettivo bellico degli Stati Uniti in Ucraina, in netto contrasto con gli sforzi di Trump per minare l'alleanza NATO, è stato quello di frenare le ambizioni indipendenti dei suoi "alleati" europei, costringendoli a rispettare le sanzioni statunitensi contro la Russia e a continuare ad armare l'Ucraina. Questa politica di riavvicinamento all'alleanza NATO ha avuto un certo successo, con la Gran Bretagna che è stata la più entusiasta sostenitrice dello sforzo bellico dell'Ucraina. Tuttavia, la ricostituzione di un vero blocco controllato dagli Stati Uniti è ancora lontana. Francia e Germania - quest'ultima è quella che ha più da perdere dall'abbandono della sua tradizionale "Ostpolitik", data la sua dipendenza dalle forniture energetiche russe - rimangono incoerenti sulla consegna degli armamenti richiesti da Kiev e hanno perseverato nelle loro "iniziative" diplomatiche verso Russia e Cina. La Cina, da parte sua, ha adottato un atteggiamento molto cauto nei confronti della guerra in Ucraina, svelando di recente il proprio "piano di pace" e astenendosi dal fornire a Mosca gli "aiuti letali" di cui ha disperatamente bisogno.
L'insieme dei fatti - anche a prescindere dalla questione della mobilitazione del proletariato nei Paesi centrali che ciò richiederebbe - conferma quindi l'opinione che non stiamo andando verso la formazione di blocchi imperialisti stabili. Ma questo non diminuisce affatto il pericolo di escalation militari incontrollate, compreso l'uso di armi nucleari. Da quando George Bush senior ha annunciato l'avvento di un "nuovo ordine mondiale" dopo la scomparsa dell'URSS, i tentativi degli Stati Uniti di imporre questo "ordine" li hanno resi la forza più potente per aumentare il disordine e l'instabilità nel mondo. Questa dinamica è stata chiaramente illustrata dal caos da incubo che continua a regnare in Afghanistan e in Iraq dopo le invasioni statunitensi di questi Paesi, ma lo stesso processo è all'opera anche nel conflitto ucraino.
Mettere la Russia con le spalle al muro comporta quindi il rischio di una reazione disperata da parte del regime di Mosca, compreso l'uso di armi nucleari; viceversa, se il regime crolla, potrebbe innescare la disintegrazione della Russia stessa, creando una nuova zona di caos dalle conseguenze più imprevedibili. L'irrazionalità della guerra nella decadenza del capitalismo può essere misurata non solo dai suoi giganteschi costi economici, che superano di gran lunga qualsiasi possibilità di profitto o di ricostruzione a breve termine, ma anche dal brutale crollo degli obiettivi strategico-militari che, nel periodo della decadenza capitalistica, hanno sempre più soppiantato la razionalità economica della guerra.
All'indomani della prima guerra del Golfo, nel nostro testo di orientamento "Militarismo e decomposizione [22]" (Rivista Internazionale n°15, 1990), avevamo previsto il seguente scenario per le relazioni imperialiste in fase di decomposizione:
- “Nel nuovo periodo storico in cui siamo entrati, e gli avvenimenti del Golfo lo confermano, il mondo si presenta con un carattere di instabilità, dove regna la tendenza al 'ciascuno per sé', dove le alleanze tra Stati non avranno più il carattere di stabilità che caratterizzava i blocchi, ma saranno dettati dalla necessità del momento. Un mondo di disordine cruento, di caos sanguinoso nel quale il gendarme americano tenterà di far regnare un minimo di ordine con l'uso sempre più massiccio e brutale della propria potenza militare.”
Come hanno dimostrato le conseguenze delle invasioni dell'Afghanistan e dell'Iraq nei primi anni 2000, l'uso crescente della potenza militare degli Stati Uniti ha reso evidente che, lungi dal raggiungere questo minimo di ordine, "la politica imperialista degli Stati Uniti è diventata uno dei principali fattori di instabilità nel mondo" (Risoluzione sulla situazione internazionale [115] 17° Congresso della CCI, Rivista Internazionale n°29, 2007), e i risultati dell'offensiva statunitense contro la Russia hanno reso ancora più chiaro che 'il poliziotto mondiale' è diventato il principale fattore di intensificazione del caos su scala globale.
5. La crisi economica
La guerra in Ucraina è stata un ulteriore colpo a un'economia capitalista già indebolita e minata dalle sue contraddizioni interne e dalle convulsioni derivanti dalla sua decomposizione. L'economia capitalista era già in preda a un rallentamento, segnato dall'aumento dell'inflazione, dalla crescente pressione sulle valute delle grandi potenze e dalla crescente instabilità finanziaria (che si riflette nello scoppio delle bolle immobiliari in Cina, nelle criptovalute e nella tecnologia). La guerra sta ora aggravando fortemente la crisi economica a tutti i livelli.
La guerra significa l'annientamento economico dell'Ucraina, il grave indebolimento dell'economia russa a causa degli immensi costi della guerra e degli effetti delle sanzioni imposte dalle potenze occidentali. Le sue onde d'urto si fanno sentire in tutto il mondo, alimentando la crisi alimentare e le carestie attraverso l'impennata dei prezzi dei beni di prima necessità e la scarsità di cereali.
La conseguenza più tangibile della guerra in tutto il mondo è l'esplosione delle spese militari, che hanno superato i 2.000 miliardi di dollari. Ogni Paese del mondo è coinvolto nella spirale del riarmo. Le economie sono più che mai soggette alle esigenze della guerra, aumentando la percentuale di ricchezza nazionale destinata alla produzione di strumenti di distruzione.
Il cancro del militarismo comporta la sterilizzazione del capitale e rappresenta un peso schiacciante per il commercio e l'economia nazionale, che porta a chiedere sacrifici sempre maggiori agli sfruttati.
Allo stesso tempo, le più gravi convulsioni finanziarie dalla crisi del 2008, innescate da una serie di fallimenti bancari negli Stati Uniti (tra cui quello della 16esima banca più grande degli USA) e poi del Credit Suisse (la seconda banca del Paese), si stanno diffondendo a livello internazionale, mentre il massiccio intervento delle banche centrali statunitense e svizzera non è riuscito a scongiurare il rischio di contagio ad altri Paesi europei e ad altri settori a rischio, né a evitare che questi fallimenti si trasformassero in una crisi 'sistemica' del credito.
A differenza del 2008, quando il fallimento delle principali banche fu causato dalla loro esposizione ai mutui subprime, questa volta le banche sono minate soprattutto dai loro investimenti a lungo termine in titoli di Stato, che stanno perdendo valore a causa dell'improvviso aumento dei tassi di interesse per combattere l'inflazione. L'attuale instabilità finanziaria, sebbene non sia (ancora) così drammatica come quella del 2008, si sta avvicinando al cuore del sistema finanziario, perché il ricorso al debito pubblico - e in particolare al Tesoro statunitense, al centro di questo sistema - è sempre stato considerato il rifugio più sicuro.
In ogni caso, le crisi finanziarie, a prescindere dalle dinamiche interne e dalle cause immediate, sono sempre, in ultima analisi, una manifestazione della crisi di sovrapproduzione riemersa nel 1967 e ulteriormente aggravata da fattori legati alla decomposizione del capitalismo.
Soprattutto, la guerra rivela il trionfo della mentalità dell'ognuno per sé e il fallimento, se non la fine, di qualsiasi forma di 'governo mondiale' in termini di coordinamento delle economie, di lotta al cambiamento climatico e così via. Questa tendenza all'ognuno per sé nelle relazioni tra gli Stati si è progressivamente accentuata dopo la crisi del 2008 e la guerra in Ucraina ha messo fine a molte delle tendenze economiche, definite "globalizzazione", in atto dagli anni 1990.
Non solo è venuta meno la capacità delle principali potenze capitalistiche di cooperare per contenere l'impatto della crisi economica, ma di fronte al deterioramento della propria economia e all'aggravarsi della crisi globale, e al fine di preservare la propria posizione di prima potenza mondiale, gli Stati Uniti si impegnano sempre più deliberatamente per indebolire i propri concorrenti. Questo rappresenta una rottura aperta con molte delle regole adottate dai governi dopo la crisi del 1929. Apre la strada a una terra incognita sempre più dominata dal caos e dall'imprevedibilità.
Gli Stati Uniti, convinti che la conservazione della loro leadership di fronte all'ascesa al potere della Cina dipenda in larga misura dalla forza della loro economia, che la guerra ha messo in una posizione di forza politica e militare, sono all'offensiva contro i loro rivali anche sul fronte economico. Questa offensiva si sta svolgendo in diverse direzioni. Gli Stati Uniti sono i grandi vincitori della "guerra del gas" lanciata contro la Russia, a scapito degli Stati europei, che sono stati costretti a smettere di importare il gas russo. Avendo raggiunto l'autosufficienza di petrolio e gas grazie a una politica energetica a lungo termine avviata sotto Obama, questa guerra ha confermato la supremazia americana nella sfera strategica dell'energia. Ha messo i suoi rivali sulla difensiva in questo settore: l'Europa ha dovuto accettare la sua dipendenza dal gas naturale liquefatto americano; la Cina, che dipende fortemente dagli idrocarburi importati, è stata indebolita dal fatto che gli Stati Uniti sono ora in grado di controllare le rotte di approvvigionamento della Cina. Gli Stati Uniti hanno ora una capacità senza precedenti di esercitare pressioni sul resto del mondo in questo settore.
Sfruttando il ruolo centrale del dollaro nell'economia globale e la sua posizione di prima potenza economica mondiale, le varie iniziative monetarie, finanziarie e industriali (dai piani di stimolo economico di Trump alle massicce sovvenzioni di Biden per i prodotti 'made in USA', l'Inflation Reduction Act, ecc.) hanno aumentato la 'resilienza' dell'economia statunitense, attirando investimenti di capitale e delocalizzazioni industriali negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti stanno limitando l'impatto dell'attuale rallentamento globale sulla loro economia e rimandano gli effetti peggiori dell'inflazione e della recessione sul resto del mondo.
Inoltre, per garantire il proprio vantaggio tecnologico decisivo, gli Stati Uniti mirano anche a garantire il trasferimento negli Stati Uniti o il controllo internazionale di tecnologie strategiche (semiconduttori) da cui intendono escludere la Cina, minacciando al contempo sanzioni contro qualsiasi rivale del proprio monopolio.
La Germania, in particolare, è un concentrato esplosivo di tutte le contraddizioni di questa situazione senza precedenti. La fine delle forniture di gas russo pone la Germania in una posizione economica e strategica fragile, minacciando la sua competitività e la sua intera industria. La fine del multilateralismo, di cui il capitale tedesco ha beneficiato più di ogni altra nazione (risparmiando l'onere delle spese militari), ha un impatto più diretto sul suo potere economico, che dipende dalle esportazioni. Rischia inoltre di dipendere dagli Stati Uniti per l'approvvigionamento energetico, poiché questi ultimi spingono i loro 'alleati' a partecipare alla guerra economico-strategica contro la Cina e a rinunciare ai loro mercati cinesi. Essendo uno sbocco vitale per il capitale tedesco, la Germania si trova di fronte a un enorme dilemma, condiviso da altre potenze europee, in un momento in cui la stessa UE è minacciata dalla tendenza dei suoi Stati membri ad anteporre i propri interessi nazionali a quelli dell'Unione.
Per quanto riguarda la Cina, mentre due anni fa veniva presentata come il grande vincitore della crisi di Covid, è una delle espressioni più caratteristiche dell'effetto 'vortice'. Già vittima di un rallentamento economico, si trova ora ad affrontare gravi turbolenze.
Dalla fine del 2019, la pandemia, i ripetuti lockdown e lo tsunami di infezioni che hanno seguito l'abbandono della politica 'Zero Covid' hanno continuato a paralizzare l'economia cinese.
La Cina è coinvolta nelle dinamiche globali della crisi, con il suo sistema finanziario minacciato dallo scoppio della bolla immobiliare. Il declino del partner russo e l'interruzione delle vie della seta verso l'Europa a causa di conflitti armati e caos stanno causando danni considerevoli. Le forti pressioni degli Stati Uniti aumentano le sue difficoltà economiche. E di fronte ai suoi problemi economici, sanitari, ecologici e sociali, la debolezza congenita della sua struttura statale stalinista rappresenta un grosso handicap.
Lungi dal poter svolgere il ruolo di locomotiva dell'economia mondiale, la Cina è una bomba a orologeria la cui destabilizzazione avrebbe conseguenze imprevedibili per il capitalismo mondiale.
Le principali aree dell'economia mondiale sono già in recessione o sull'orlo della stessa. Tuttavia, la gravità della "crisi che si sta sviluppando da decenni e che è destinata a diventare la più grave dell'intero periodo di decadenza, la cui importanza storica supererà persino la più grande crisi di quest'epoca, quella iniziata nel 1929"[[2]] non si limita alla portata di questa recessione. La gravità storica della crisi attuale segna un punto avanzato nel processo di 'disintegrazione interna' del capitalismo mondiale, annunciato dall'Internazionale Comunista nel 1919, e che deriva dal contesto generale della fase terminale della decadenza, le cui tendenze principali sono:
- l'accelerazione della decomposizione e la molteplicità dei suoi effetti su un'economia capitalista già degradata;
- l'accelerazione del militarismo su scala globale;
- il forte sviluppo del principio 'ognuno per sé' tra le nazioni, in un contesto di competizione sempre più feroce tra Cina e Stati Uniti per la supremazia mondiale;
- l'abbandono delle regole di cooperazione tra le nazioni per affrontare le contraddizioni e le convulsioni del sistema;
- l'assenza di una forza trainante in grado di rivitalizzare l'economia capitalista;
- la prospettiva di un impoverimento assoluto del proletariato nei Paesi centrali, che è già in corso.
Assistiamo alla coincidenza delle varie espressioni della crisi economica, e soprattutto alla loro interazione nella dinamica del suo sviluppo: l'alta inflazione rende necessario l'aumento dei tassi di interesse, che a loro volta provocano la recessione, a sua volta fonte della crisi finanziaria, che porta a nuove iniezioni di liquidità, e quindi a un indebitamento ancora maggiore, che è già astronomico, e che è un ulteriore fattore di inflazione... Tutto ciò dimostra la bancarotta di questo sistema e la sua incapacità di offrire prospettive all'umanità.
L'economia mondiale si sta dirigendo verso la stagflazione, una situazione caratterizzata dall'impatto della sovrapproduzione e dall'innesco dell'inflazione a causa della crescita della spesa improduttiva (soprattutto quella per gli armamenti, ma anche il costo esorbitante delle devastazioni della decomposizione) e del ricorso alla stampa di moneta per alimentare ulteriormente il debito. In un contesto di caos crescente e di accelerazioni impreviste, la borghesia non fa altro che rivelare la sua impotenza: tutto ciò che fa tende a peggiorare la situazione.
Per il proletariato, l'impennata dell'inflazione e il rifiuto della borghesia di inasprire la 'spirale salari-prezzi' stanno riducendo drasticamente il potere d'acquisto. A ciò si aggiungono i licenziamenti di massa, i drastici tagli ai bilanci sociali e gli attacchi alle pensioni, che lasciano presagire un futuro di povertà, come già avviene nei Paesi periferici. Per settori sempre più ampi del proletariato dei Paesi centrali sarà sempre più difficile trovare casa, riscaldamento, cibo o assistenza sociale.
La borghesia sta affrontando una massiccia carenza di manodopera in diversi settori. Questo fenomeno, le cui dimensioni e il cui impatto sulla produzione sono senza precedenti, sembra essere la cristallizzazione di un insieme di fattori che combinano le contraddizioni interne del capitalismo e gli effetti della sua decomposizione. È il prodotto dell'anarchia del capitalismo, che genera sia sovraccapacità - disoccupazione - sia carenza di manodopera. Altri fattori di questo fenomeno sono la globalizzazione e la crescente frammentazione del mercato mondiale, che ostacolano la disponibilità internazionale di forza lavoro; fattori demografici come il calo delle nascite e l'invecchiamento della popolazione, che limitano il numero di lavoratori disponibili per lo sfruttamento, e la relativa mancanza di una forza lavoro sufficientemente qualificata, nonostante le politiche di immigrazione selettiva attuate da molti Paesi. A ciò si aggiunge la fuga dei lavoratori dai settori in cui le condizioni di lavoro sono diventate insopportabili.
6. La distruzione della natura
La guerra in Ucraina è anche una dimostrazione lampante di come la guerra possa accelerare ulteriormente la crisi ecologica che si è accumulata durante tutto il periodo della decadenza, ma che aveva già raggiunto nuovi livelli nei primi decenni della fase terminale del capitalismo. La devastazione di edifici, infrastrutture, tecnologie e altre risorse è un enorme spreco di energia, e la loro ricostruzione genererà ancora più emissioni di carbonio. L'uso indiscriminato di armi altamente distruttive provoca l'inquinamento del suolo, dell'acqua e dell'aria, con la minaccia sempre presente che l'intera regione possa tornare a essere una fonte di radiazioni atomiche, sia a causa del bombardamento di centrali nucleari sia per l'uso deliberato di armi nucleari. Ma la guerra ha anche un impatto ecologico a livello mondiale, in quanto ha reso ancora più difficile il raggiungimento degli obiettivi globali di limitazione delle emissioni, con ogni Paese sempre più preoccupato della propria 'sicurezza energetica', che in genere significa una maggiore dipendenza dai combustibili fossili.
Così come la crisi ecologica è un fattore dell''effetto vortice', essa sta anche generando i propri 'anelli di retroazione' che stanno già accelerando il processo di riscaldamento globale. Ad esempio, lo scioglimento delle calotte polari non solo contiene i pericoli legati all'innalzamento del livello del mare, ma sta diventando esso stesso un fattore di aumento della temperatura globale, poiché la perdita di ghiaccio comporta una minore capacità di riflettere l'energia solare nell'atmosfera. Allo stesso modo, lo scioglimento del permafrost in Siberia libererà un'enorme riserva di metano, un potente gas serra. L'aggravarsi degli effetti combinati del riscaldamento globale (inondazioni, incendi, siccità, erosione del suolo, ecc.) sta già rendendo inabitabili sempre più regioni del pianeta, aggravando ulteriormente il problema mondiale dei rifugiati, già alimentato dalla persistenza e dalla diffusione dei conflitti imperialisti.
Come spiegavano Marx e Luxemburg, l'incessante ricerca di mercati e materie prime ha spinto il capitalismo a invadere e occupare l'intero pianeta, distruggendo le aree 'selvagge' rimaste o assoggettandole alla legge del profitto. Questo processo è inseparabile dalla generazione di malattie zoonotiche come il Covid, che pone le basi per future pandemie.
La classe dominante è sempre più consapevole dei pericoli posti dalla crisi ecologica, tanto più che tutto ciò ha un enorme costo economico, ma le recenti conferenze sull'ambiente hanno confermato la fondamentale incapacità della classe dominante di affrontare la situazione, dato che il capitalismo non può esistere senza la competizione tra gli Stati nazionali e a causa delle esigenze della 'crescita'. Una parte della borghesia, come un'ala significativa del Partito Repubblicano negli Stati Uniti, la cui ideologia è alimentata dalla profonda irrazionalità tipica della fase finale del capitalismo, si ostina a negare la scienza del clima, ma come dimostrano i rapporti del WEF e delle Nazioni Unite, le fazioni più intelligenti sono ben consapevoli della gravità della situazione. Ma le soluzioni che propongono non riescono mai ad andare alla radice del problema e anzi si affidano a soluzioni tecniche altrettanto tossiche della tecnologia esistente (come nel caso dei veicoli elettrici 'puliti' le cui batterie al litio si basano su vasti progetti minerari altamente inquinanti) o comportano ulteriori attacchi alle condizioni di vita della classe operaia. Così, l'idea di un'economia 'post-crescita' in cui uno Stato 'benevolo' e 'veramente democratico' presieda a tutti i rapporti fondamentali del capitalismo (lavoro salariato, produzione generalizzata di merci) non solo è un'assurdità logica - poiché sono proprio questi rapporti a sostenere la necessità di un'accumulazione senza fine - ma implicherebbe anche feroci misure di austerità, giustificate dallo slogan 'consumare meno'. E mentre l'ala più radicale dei movimenti 'verdi' (Friday for Future, Extinction Rebellion, ecc.) critica sempre più il 'bla-bla' delle conferenze governative sull'ambiente, i loro appelli all'azione diretta da parte di 'cittadini' preoccupati non possono che oscurare la necessità che i lavoratori combattano questo sistema sul proprio terreno di classe e riconoscano che un vero 'cambiamento di sistema' può avvenire solo attraverso la rivoluzione proletaria. In un momento in cui i disastri ecologici si susseguono sempre più rapidamente, la borghesia non mancherà di utilizzare forme di protesta come false alternative alla lotta di classe, che sola può sviluppare la prospettiva di un rapporto radicalmente nuovo tra l'umanità e il suo ambiente naturale.
7. L'instabilità politica della classe dirigente
Nel 1990, le Tesi sulla decomposizione hanno evidenziato la crescente tendenza della classe dirigente a perdere il controllo del proprio gioco politico. L'ascesa del populismo, alimentata dalla totale mancanza di prospettiva offerta dal capitalismo e dallo sviluppo del “ciascuno per sé” a livello internazionale, è probabilmente l'espressione più chiara di questa perdita di controllo, e questa tendenza è continuata nonostante le contromosse di altre fazioni più 'responsabili' della borghesia (ad esempio, la sostituzione di Trump e la rapida estromissione di Truss nel Regno Unito). Negli Stati Uniti, Trump sta ancora preparando una nuova candidatura presidenziale che, in caso di successo, metterebbe seriamente a repentaglio gli attuali indirizzi di politica estera del governo statunitense; in Gran Bretagna, il classico Paese con un governo parlamentare stabile, abbiamo assistito a un susseguirsi di quattro primi ministri Tory, che esprimono profonde divisioni all'interno del partito Tory nel suo complesso, e ancora una volta sono stati guidati principalmente dalle forze populiste che hanno spinto il Paese nel fiasco della Brexit; lontano dai centri storici del sistema, demagoghi nazionalisti come Erdogan e Modi continuano ad agire come cani sciolti impedendo la formazione di una solida alleanza dietro gli Stati Uniti nel conflitto con la Russia. Anche in Israele Netanyahu è risorto da quella che sembrava la sua tomba politica, sostenuto da forze ultrareligiose e apertamente annessioniste, e i suoi sforzi per subordinare la Corte Suprema al suo governo hanno provocato un vasto movimento di protesta, interamente dominato da appelli alla difesa della 'democrazia'.
L'assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump il 6 gennaio ha evidenziato come le divisioni all'interno della classe dirigente, anche nel Paese più potente del pianeta, si stiano approfondendo e rischino di degenerare in scontri violenti e persino in una guerra civile. L'elezione di Lula in Brasile ha visto le forze bolsonariste tentare una propria versione del 6 gennaio, mentre in Russia l'opposizione a Putin all'interno della classe dirigente è sempre più evidente, in particolare da parte di gruppi ultranazionalisti insoddisfatti del modo in cui si sta svolgendo l'attuale 'operazione militare speciale' in Ucraina. Le voci di colpi di Stato militari abbondano; e sebbene Putin stesso si stia adattando alle pressioni della destra minacciando costantemente di inasprire la 'guerra con l'Occidente', la sostituzione di Putin con una banda rivale sarebbe tutt'altro che un processo pacifico. Infine, anche in Cina le divisioni all'interno della borghesia si fanno più evidenti, in particolare tra la fazione che ruota attorno a Xi Jinping, favorevole a un maggiore controllo dello Stato centrale sull'economia nel suo complesso, e i rivali più legati alle possibilità di sviluppo del capitale privato e degli investimenti esteri. Mentre il regno della fazione di Xi sembrava inattaccabile al Congresso del Partito dell'ottobre 2022, la sua disastrosa gestione della crisi del Covid, l'aggravarsi della crisi economica e i gravi dilemmi creati dalla guerra in Ucraina hanno rivelato le reali debolezze della classe dirigente cinese, appesantita da un rigido apparato stalinista che non ha i mezzi per adattarsi ai principali problemi sociali ed economici.
Tuttavia, queste divisioni non mettono fine alla capacità della classe dirigente di rivolgere gli effetti della decomposizione contro la classe operaia o, di fronte all'insorgere della lotta di classe, di mettere temporaneamente da parte le sue divisioni per affrontare il suo nemico mortale. E anche quando la borghesia non è in grado di controllare le sue divisioni interne, la classe operaia è costantemente minacciata dal pericolo di essere mobilitata dietro le fazioni rivali del suo nemico di classe.
8. La rottura con 30 anni di arretramento e disorientamento della lotta di classe
La rinascita della combattività operaia in diversi Paesi è un evento storico importante, che non è il risultato delle sole circostanze locali e non può essere spiegato da condizioni puramente nazionali.
Alla base di questa rinascita ci sono le lotte che si stanno svolgendo in Gran Bretagna dall'estate del 2022, che hanno un significato che va al di là del solo contesto britannico; la reazione dei lavoratori in Gran Bretagna getta luce su quelle che si svolgono altrove e conferisce loro un nuovo e particolare significato nella situazione. Il fatto che le lotte attuali siano state avviate da una frazione del proletariato che ha sofferto maggiormente dell'arretramento generale della lotta di classe dalla fine degli anni '80 è profondamente significativo: così come la sconfitta in Gran Bretagna nel 1985 ha preannunciato l'arretramento generale della fine degli anni '80, il ritorno degli scioperi e della combattività operaia in Gran Bretagna rivela l'esistenza di una corrente profonda all'interno del proletariato di tutto il mondo. Di fronte all'aggravarsi della crisi economica mondiale, la classe operaia sta iniziando a sviluppare la sua risposta all'inesorabile deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro in un unico movimento internazionale. Questa analisi si applica anche alla massiccia mobilitazione di tre mesi della classe operaia in Francia di fronte all'attacco del governo alle pensioni. Per diversi decenni, i lavoratori di questo Paese sono stati tra i più combattivi al mondo, ma le loro mobilitazioni all'inizio del 2023 non sono semplicemente una continuazione delle importanti lotte del periodo precedente; la portata di queste mobilitazioni si spiega anche, e fondamentalmente, con il fatto che sono parte di una combattività che anima il proletariato di molti Paesi.
Le attuali lotte operaie in Europa confermano che la classe operaia non è stata sconfitta e conserva il suo potenziale. Il fatto che i sindacati controllino questi movimenti senza essere messi in discussione non deve minimizzare o relativizzare la loro importanza. Al contrario, l'atteggiamento della classe dominante, che da tempo si prepara alla prospettiva di un rinnovamento delle lotte operaie, testimonia il loro potenziale: i sindacati erano pronti in anticipo ad adottare una posizione 'combattiva' e a mettersi alla testa del movimento per svolgere appieno il loro ruolo di guardiani dell'ordine capitalistico.
Guidati da una nuova generazione di lavoratori, la portata e la simultaneità di questi movimenti testimoniano un vero e proprio cambiamento di mentalità nella classe e la rottura con la passività e il disorientamento che hanno prevalso dalla fine degli anni Ottanta a oggi.
Di fronte alla prova della guerra, non ci si poteva aspettare una risposta diretta da parte della classe operaia. La storia dimostra che la classe operaia non si mobilita direttamente contro la guerra, ma contro i suoi effetti sulla vita nelle retrovie. La rarità delle mobilitazioni pacifiste organizzate dalla borghesia non significa che il proletariato sostenga la guerra, ma dimostra l'efficacia della campagna per la 'difesa dell'Ucraina contro l'aggressore russo'. Tuttavia, non si tratta solo di una non adesione passiva. Non solo la classe operaia dei Paesi centrali non è ancora disposta ad accettare il supremo sacrificio della morte, ma rifiuta anche il sacrificio delle condizioni di vita e di lavoro richiesto dalla guerra.
Le lotte attuali sono proprio la risposta dei lavoratori a questa situazione; sono l'unica risposta possibile e contengono le premesse per il futuro, ma allo stesso tempo dimostrano che la classe operaia non è ancora in grado di stabilire un legame tra la guerra e il degrado delle sue condizioni.
La CCI ha sempre insistito sul fatto che, nonostante i colpi inferti alla coscienza di classe, nonostante il suo declino negli ultimi decenni:
- il proletariato dei Paesi centrali ha conservato enormi riserve di spirito combattivo che finora non sono state messe decisamente alla prova;
- lo sviluppo di una resistenza aperta agli attacchi del capitale costituisce più che mai, nella situazione attuale, la condizione più cruciale perché il proletariato recuperi la sua identità di classe come punto di partenza di una più generale evoluzione della coscienza di classe.
Finora, le espressioni di combattività che si sono manifestate sembrano aver avuto "pochissima eco nel resto della classe: il fenomeno delle lotte in un paese che 'rispondono' ai movimenti altrove sembra essere quasi inesistente. Per la classe nel suo complesso, la natura frammentata e non collegata delle lotte fa poco, almeno in superficie, per rafforzare o piuttosto ripristinare la fiducia in se stesso del proletariato, la sua coscienza di essere una forza distinta nella società, una classe internazionale con il potenziale per sfidare l'ordine esistente"[[3]].
Oggi, la combinazione tra il ritorno della combattività operaia e l'aggravarsi della crisi economica mondiale (rispetto al 1968 o al 2008), che non risparmierà nessuna parte del proletariato e le colpirà tutte contemporaneamente, sta oggettivamente cambiando le basi della lotta di classe.
L'aggravarsi della crisi e l'intensificarsi dell'economia di guerra non possono che continuare su scala globale, e ovunque questo non può che generare una crescente combattività. L'inflazione avrà un ruolo particolare in questo sviluppo della combattività e della coscienza. Colpendo tutti i Paesi e tutta la classe operaia, l'inflazione spinge il proletariato alla lotta. Poiché non è un attacco che la borghesia può preparare e alla fine ritirare, ma un prodotto del capitalismo, implica una lotta e una riflessione più profonda.
La ripresa delle lotte conferma la posizione della CCI secondo cui la crisi rimane il miglior alleato del proletariato:
"l'inesorabile aggravarsi della crisi capitalistica costituisce lo stimolo essenziale per la lotta di classe e lo sviluppo della coscienza, il presupposto per la sua capacità di resistere al veleno distillato dal marciume sociale. Infatti, se le lotte parziali contro gli effetti della decomposizione non hanno alcuna base per l'unificazione della classe, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce tuttavia la base per lo sviluppo della sua forza e della sua unità di classe". (Tesi sulla decomposizione [9] , Rivista Internazionale n°14). Questo sviluppo delle lotte non è un fuoco di paglia, ma ha un futuro. Indica un processo di rinascita della classe dopo anni di riflusso e contiene il potenziale per il recupero dell'identità di classe, della classe che riprende coscienza di ciò che è, del potere che ha quando entra in lotta.
Tutto indica che questo movimento di classe, nato in Europa, può durare a lungo e si ripeterà in altre parti del mondo. Si sta aprendo una nuova situazione per la lotta di classe.
Di fronte al pericolo di distruzione contenuto nella decomposizione del capitalismo, queste lotte dimostrano che la prospettiva storica rimane totalmente aperta: "Questi primi passi saranno spesso esitanti e pieni di debolezze, ma sono essenziali se la classe operaia vuole riaffermare la sua capacità storica di imporre la sua prospettiva comunista. Così, i due poli alternativi della prospettiva si confronteranno globalmente: la distruzione dell'umanità o la rivoluzione comunista, anche se quest'ultima alternativa è ancora molto lontana e incontra enormi ostacoli"[[4]].
Sebbene il contesto stesso della decomposizione rappresenti un ostacolo allo sviluppo delle lotte e alla riconquista della fiducia da parte del proletariato, sebbene la decomposizione abbia fatto progressi spaventosi, sebbene il tempo non sia più dalla sua parte, la classe è riuscita a riprendere la lotta. Il periodo recente ha confermato in modo eclatante la nostra previsione contenuta nella Risoluzione sulla situazione internazionale del 24° Congresso internazionale:
- "Come abbiamo già ricordato, la fase di decomposizione contiene effettivamente il pericolo che il proletariato non riesca a reagire e che venga soffocato per un lungo periodo - una 'morte da mille ferite' piuttosto che uno scontro frontale di classe. Tuttavia, affermiamo che ci sono ancora prove sufficienti per dimostrare che, nonostante l'innegabile avanzamento della decomposizione, nonostante il fatto che il tempo non sia più dalla parte della classe operaia, il potenziale per una profonda rinascita proletaria - che porti a una riunificazione tra la dimensione economica e quella politica della lotta di classe - non è scomparso"[[5]].
La lotta stessa è la prima vittoria del proletariato, rivelatrice in particolare:
- La strada per il recupero dell'identità di classe. Mentre il fragile riemergere della lotta di classe (USA 2018, Francia 2019) è stato in gran parte bloccato dalla pandemia e dalle serrate, questi eventi hanno rivelato la condizione della classe operaia, come principale vittima della crisi sanitaria ma anche come fonte di tutto il lavoro e di tutta la produzione materiale di beni essenziali. I lavoratori sono ora impegnati in un'esperienza collettiva di lotta in cui si cerca l'unità e l'inizio della solidarietà tra diversi settori della classe, tra 'colletti blu' e 'colletti bianchi', tra generazioni. La sensazione di essere tutti sulla stessa barca permetterà alla classe operaia di riconoscersi come forza sociale unita dalle stesse condizioni di sfruttamento. Il recupero dell'identità di classe del proletariato è inseparabile da questi primi passi verso il riconoscimento di sé stesso e della sua forza; esso implica anche l'identificazione del suo antagonismo di classe, al di là di ogni particolare datore di lavoro o governo. Questa ripresa del confronto di classe pone le basi per una più consapevole politicizzazione della lotta, un processo lungo e tortuoso che è appena iniziato.
- Una progressione nella maturazione sotterranea della coscienza, che si è sviluppata in un periodo piuttosto lungo e a diversi livelli: negli strati più ampi della classe, la maturazione sotterranea ha assunto dapprima la forma di una perdita di illusione nella capacità del capitalismo di offrire un futuro, una consapevolezza che la situazione può solo peggiorare, che l'intera dinamica del capitalismo sta spingendo la società verso il muro, e soprattutto una profonda rivolta contro le condizioni di sfruttamento, riassunta nello slogan 'quando è troppo è troppo'. In un settore più ristretto della classe, c'è stata una riflessione sulle lotte passate e una ricerca di lezioni su come rafforzare la lotta e creare un efficace equilibrio di potere contro lo Stato. Infine, "in una frazione della classe, di dimensioni ancora più limitate, ma destinata a crescere con l'avanzare della lotta, ciò assume la forma di una difesa esplicita del programma comunista, e quindi del raggruppamento in un'avanguardia marxista organizzata"[[6]]. Ciò si è concretizzato nella comparsa di minoranze interessate alle posizioni politiche della sinistra comunista.
È stata la progressiva perdita dell'identità di classe a permettere alla borghesia di sterilizzare o recuperare i due più grandi momenti di lotta proletaria dagli anni 1980 (il movimento contro il Contratto di primo impiego – CPE - in Francia nel 2006 e gli Indignados in Spagna nel 2011), perché i protagonisti sono stati privati di questa base cruciale per lo sviluppo più generale della coscienza. Oggi, la tendenza a recuperare l'identità di classe e l'evoluzione della maturazione sotterranea esprimono il cambiamento più importante a livello soggettivo, rivelando il potenziale per il futuro sviluppo della lotta proletaria. Poiché essa significa la coscienza di formare una classe unita da interessi comuni, opposti a quelli della borghesia, poiché significa la "costituzione del proletariato come classe" (Manifesto), l'identità di classe è una parte inseparabile della coscienza di classe, per l'affermazione dell'essere rivoluzionario consapevole del proletariato. Senza di essa, è impossibile per la classe relazionarsi con la sua storia per imparare le lezioni delle lotte passate e quindi impegnarsi nelle lotte presenti e future. L'identità e la coscienza di classe possono essere rafforzate solo dallo sviluppo della lotta autonoma della classe sul proprio terreno.
Il risveglio della combattività di classe e la maturazione sotterranea della coscienza esigono che i sindacati, gli organi statali specializzati nel controllo delle lotte operaie, e le organizzazioni politiche di sinistra, i falsi amici borghesi della classe operaia, si mettano in prima linea contro la lotta di classe.
L'attuale efficacia del controllo sindacale si basa sulle debolezze derivanti dalla decomposizione, debolezze sfruttate politicamente dalla borghesia, e dall'arretramento della coscienza che dura da diversi decenni e che ha portato al "ritorno in forze dei sindacati" e al rafforzamento dell'"ideologia riformista sulle lotte del periodo a venire, facilitando enormemente il lavoro dei sindacati" (Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei Paesi dell'est [8]).
In particolare, il peso dell'atomizzazione, la mancanza di prospettiva, la debolezza dell'identità di classe, la perdita delle conquiste e delle lezioni apprese dagli scontri passati con i sindacati sono alla base dell'influenza estremamente importante del corporativismo. Questa debolezza permette ai sindacati di mantenere una potente influenza sulla classe.
Sebbene non siano ancora minacciati da una messa in discussione di questo controllo della lotta, i sindacati sono stati costretti ad adattarsi alle lotte attuali, per svolgere meglio il loro solito lavoro di divisione, utilizzando un linguaggio più 'combattivo', più 'operaio', presentandosi come artigiani dell'unità di classe, per sabotarla meglio.
Allo stesso tempo, le varie organizzazioni di sinistra (e la sinistra in generale) lavorano all'interno e all'esterno dei sindacati e danno loro un forte sostegno. In quanto difensori delle più sofisticate mistificazioni antioperaie sotto una veste radicale, la loro funzione è anche quella di catturare le minoranze in cerca di posizioni di classe.
La costante difesa della 'democrazia' e degli interessi del 'popolo' mira a nascondere l'esistenza di antagonismi di classe, ad alimentare la menzogna dello Stato protettore e ad attaccare l'identità della classe proletaria, riducendo la classe operaia a una massa di cittadini o a 'settori' di attività separati da interessi particolari.
Di fronte ai movimenti delle classi non sfruttatrici o della piccola borghesia polverizzata dalla crisi economica, il proletariato deve diffidare delle rivolte 'popolari' o delle lotte interclassiste che annegano i propri interessi nella somma indifferenziata degli interessi del 'popolo'. Deve porsi con decisione sul terreno della difesa delle proprie rivendicazioni e della propria autonomia di classe, condizione per lo sviluppo della propria forza e della propria lotta.
Deve anche respingere le trappole tese dalla borghesia con lotte di settore (per salvare l'ambiente, contro l'oppressione razziale, il femminismo, ecc.) che la distolgono dal proprio terreno di classe. Una delle armi più efficaci della classe dominante è la sua capacità di rivolgere gli effetti della decomposizione contro la classe operaia e di incoraggiare le ideologie decomposte della piccola borghesia. Sul terreno della decomposizione, dell'irrazionalità, del nichilismo e del 'no-future' proliferano correnti ideologiche di ogni tipo. Il loro ruolo centrale è quello di trasformare ogni aspetto ripugnante del sistema capitalistico decadente in una causa specifica di lotta, raccolta da diversi settori della popolazione o talvolta dal 'popolo', ma sempre separata da una vera e propria messa in discussione del sistema nel suo complesso.
Tutte queste ideologie (ecologiste, 'wokiste', razziste, ecc.) che negano la lotta di classe o che, come quelle che sostengono l''intersezionalità', mettono la lotta di classe sullo stesso piano della lotta contro il razzismo o il machismo, rappresentano un pericolo per la classe, in particolare per la giovane generazione di lavoratori inesperti che sono profondamente rivoltati dallo stato della società. A questo livello, queste ideologie sono integrate dalla panoplia di sinistra e modernisti ('comunizzatori') il cui ruolo è quello di sterilizzare gli sforzi del proletariato per sviluppare la coscienza di classe e di allontanare i lavoratori dalla lotta di classe.
Se la lotta di classe è per sua natura internazionale, la classe operaia è allo stesso tempo una classe eterogenea che deve forgiare la propria unità attraverso la lotta. In questo processo, è il proletariato dei Paesi centrali che ha la responsabilità di aprire la porta della rivoluzione al proletariato mondiale.
Nei Paesi di più recente sviluppo, come la Cina, l'India, ecc. anche se la classe operaia si è dimostrata molto combattiva e nonostante la sua importanza in termini quantitativi, queste frazioni del proletariato, a causa della loro mancanza di esperienza storica, sono particolarmente vulnerabili alle trappole ideologiche e alle mistificazioni della classe dominante. Le loro lotte sono facilmente ridotte all'impotenza o deviate in vicoli ciechi borghesi (richieste di maggiore democrazia, libertà, uguaglianza, ecc.) o completamente diluite in movimenti interclassisti dominati da altri strati sociali.
Come ha dimostrato la primavera araba del 2011: la lotta molto reale dei lavoratori in Egitto è stata rapidamente diluita nel 'popolo', per poi essere trascinata dietro le fazioni della classe dominante sul terreno borghese di 'più democrazia'. Oppure l'enorme movimento di protesta in Iran, dove, in assenza di una chiara prospettiva rivoluzionaria difesa dalle frazioni più esperte del proletariato mondiale dell'Europa occidentale, le numerose lotte operaie del Paese possono solo essere annegate nel movimento popolare e deviate dal loro terreno di classe dietro lo slogan dei diritti delle donne.
Negli Stati Uniti, pur segnati da debolezze legate al fatto che la classe di questo paese non si è confrontata direttamente con la controrivoluzione e che non ha una profonda tradizione rivoluzionaria, il proletariato della prima potenza mondiale, nonostante i numerosi ostacoli generati dalla decomposizione di cui gli Stati Uniti sono diventati l'epicentro (il peso delle divisioni razziali e del populismo, tutta l'atmosfera di quasi-guerra civile tra populisti e democratici, l'impasse dei movimenti che lavorano sul terreno borghese come Black Lives Matter) mostra la capacità di sviluppare le sue lotte (durante la pandemia, durante lo 'Striketober' del 2021) sul suo terreno di classe. Il proletariato americano sta dimostrando, in una situazione politica molto difficile, di iniziare a rispondere agli effetti della crisi economica.
La chiave del futuro rivoluzionario del proletariato rimane nelle mani della sua frazione nei paesi centrali del capitalismo. Solo il proletariato dei vecchi centri industriali dell'Europa occidentale costituisce il punto di partenza della futura rivoluzione mondiale:
- Perché è la sede delle più importanti esperienze rivoluzionarie della classe operaia, dalle prime battaglie del 1848 alla Comune di Parigi del 1871, fino alla rivoluzione in Germania del 1918-19;
- Perché è stata la più temprata dal confronto con le più sofisticate mistificazioni borghesi della democrazia, delle elezioni e dei sindacati.
- Perché si è confrontata anche con la controrivoluzione nelle varie forme assunte dalla dittatura della classe dominante: democrazia borghese, stalinismo e fascismo.
- Perché la questione dell'internazionalizzazione della lotta di classe è immediatamente sollevata dalla vicinanza delle nazioni più potenti d'Europa;
- Perché i gruppi politici della sinistra comunista, sebbene ancora molto minoritari e deboli, sono presenti.
9. La responsabilità dei rivoluzionari
Di fronte al crescente confronto tra i due poli dell'alternativa - la distruzione dell'umanità o la rivoluzione comunista - le organizzazioni rivoluzionarie della sinistra comunista, e la CCI in particolare, hanno un ruolo insostituibile da svolgere nello sviluppo della coscienza di classe, e devono dedicare le loro energie al lavoro permanente di approfondimento teorico, a proporre un'analisi chiara della situazione mondiale e a intervenire nelle lotte della nostra classe per difendere la necessità dell'autonomia, dell'autorganizzazione e dell'unificazione della classe e dello sviluppo della prospettiva rivoluzionaria.
Questo lavoro può essere svolto solo sulla base di una paziente costruzione organizzativa, gettando le basi per il partito mondiale di domani. Tutti questi compiti richiedono una lotta militante contro tutte le influenze dell'ideologia borghese e piccolo-borghese nell'ambiente della sinistra comunista e nello stesso CCI. Nell'attuale congiuntura, i gruppi della sinistra comunista si trovano di fronte al pericolo di una vera e propria crisi: con poche eccezioni, non sono stati in grado di unirsi in difesa dell'internazionalismo di fronte alla guerra imperialista in Ucraina e sono sempre più aperti alla penetrazione dell'opportunismo e del parassitismo. La rigorosa adesione al metodo marxista e ai principi proletari è l'unica risposta a questi pericoli.
Maggio 2023
[1] L'accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell'umanità [114]
[2]Risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021 [46] Rivista Internazionale n° 36
[3] Il concetto di corso storico nel movimento rivoluzionario [116] Revue Internationale n° 107 - 4° trimestre 2001
[4] L'accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell'umanità [114]
[5]risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021 [46] Rivista Internazionale n°36
[6] Risposta alla CWO: sulla maturazione sotterranea della coscienza di classe [88] Revue Internationale n°43
Avere un'analisi precisa della situazione storica e delle prospettive che ne derivano è una delle principali responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie, per fornire un quadro solido al loro intervento nella classe e per proporre alla classe orientamenti precisi per comprendere le dinamiche del capitalismo o le azioni e le manovre della borghesia. Purtroppo, i gruppi dell'ambiente politico proletario nel loro insieme rimangono largamente al di sotto di questa necessità: o perché rimangono ancorati a schemi del passato applicati meccanicamente, senza sottoporli a critica, anche se non si attengono più alla realtà storica (gruppi bordighisti); o perché il loro opportunismo li porta a privilegiare un approccio immediato ed empirista che mira a un illusorio successo immediato, piuttosto che fare lo sforzo di verificare la solidità e la pertinenza delle loro analisi (la Tendenza Comunista Internazionalista - TCI)[1].
Da parte sua, la CCI, fedele alla tradizione del movimento operaio e al metodo marxista, ha sempre sottoposto il suo quadro di analisi a un esame critico per verificare se resta valido o se, al contrario, debba essere modificato o addirittura rivisto. In linea con questo approccio, il presente rapporto prende le mosse dalla Risoluzione sulla situazione internazionale del 24° Congresso della CCI [46][2] che evidenziava la marcata accelerazione della decomposizione che si stava allora manifestando con le devastazioni della pandemia e il suo impatto sulle basi economiche del sistema, dando così concretezza all'alternativa "socialismo o barbarie" avanzata dalla Terza Internazionale. Ma, "Contrariamente a una situazione, tipo anni ’30, in cui la borghesia è capace di mobilitare la società per la guerra, il ritmo esatto e le forme della dinamica del capitalismo in decomposizione verso la distruzione dell’umanità sono più difficili da prevedere perché essi sono il prodotto della convergenza di diversi fattori, di cui alcuni possono essere parzialmente nascosti” (punto 10). Diverse osservazioni hanno sottolineato questa accelerazione della decomposizione sul piano degli scontri imperialisti:
- Un'intensificazione dello sviluppo del militarismo, che era già diventato lo stile di vita del capitalismo nella sua fase decadente. Così, i "massacri di innumerevoli piccole guerre" fanno precipitare il capitalismo "in un ciascuno per sé imperialista sempre più irrazionale" (punto 11), mentre allo stesso tempo si assiste a un inasprimento dei conflitti tra le potenze mondiali. "In questo panorama caotico non c’è alcun dubbio che il confronto crescente tra gli Stati Uniti e la Cina tende ad essere in primo piano" (punto 12). Mentre la rivalità tra Stati Uniti e Cina tende a inasprirsi, la nuova amministrazione Biden ha annunciato che "non si farà prendere in giro" dalla Russia (punto 11).
- La politica aggressiva degli Stati Uniti che, di fronte al declino della loro egemonia, non esitano a usare "la capacità di agire da soli per difendere i loro interessi". Tuttavia, "il prosieguo del ciascuno per sé renderà sempre più difficile, se non impossibile, agli Stati Uniti di imporre la propria leadership, a conferma delle caratteristiche disgregatrici della decomposizione" (punto 11).
- “La crescita straordinaria della Cina è essa stessa un prodotto della decomposizione [...]. Il controllo totalitario dell’insieme del corpo sociale, l’inasprimento repressivo a cui si dedica la frazione stalinista di Xi Jinping non rappresentano una espressione di forza ma al contrario una manifestazione di debolezza dello Stato" (punto 9).
- L'aumento delle tensioni "non significa che stiamo andando verso la formazione di blocchi stabili e una guerra mondiale generalizzata" (punto 12). Peraltro, non stiamo vivendo "in un'era di più grande sicurezza rispetto all'epoca della guerra fredda [...]. Al contrario, se la fase di decomposizione è marcata da una perdita di controllo crescente da parte della borghesia, questo riguarda anche gli enormi mezzi di distruzione – nucleari, convenzionali, biologici e chimici – che sono stati accumulati dalla classe dirigente [...]” (punto 13).
Lo scoppio della guerra in Ucraina e il conseguente inasprimento delle tensioni imperialiste sono pienamente in linea con il quadro di riferimento adottato dal 24° Congresso Internazionale. Tuttavia, rappresentano indubbiamente uno sviluppo qualitativo nello scivolamento della società verso la barbarie, evidenziando il ruolo trainante del militarismo nell'interrelazione delle varie crisi (sanitaria, economica, politica, ecologica, ecc.) che attualmente affliggono il capitalismo.
Dopo due anni di pandemia, lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022 ha rappresentato un passo avanti qualitativo nella discesa della società verso la barbarie. Dal 1989, gli Stati Uniti hanno cercato il confronto in diverse occasioni (con l'Iraq, l'Iran, la Corea del Nord e l'Afghanistan), ma questi scontri non avevano mai coinvolto un'altra grande potenza imperialista o avuto un impatto sull'intero pianeta. Questa guerra è molto diversa:
“- è il primo confronto militare di questa portata tra Stati che si svolge alle porte dell'Europa dal 1940-45 [...], così che il cuore dell'Europa sta diventando il teatro centrale del confronto imperialista;
- questa guerra coinvolge direttamente i due maggiori Paesi europei, uno dei quali possiede armi nucleari o altre armi di distruzione di massa e l'altro è sostenuto finanziariamente e militarmente dalla NATO. Questo confronto Russia-NATO tende a far rivivere il ricordo del confronto tra i blocchi dagli anni '50 agli anni '80 e del terrore nucleare che ne è derivato [...];
- la portata dei combattimenti, le decine di migliaia di morti, la distruzione sistematica di intere città, l'esecuzione di civili, il bombardamento irresponsabile di centrali atomiche, le considerevoli conseguenze economiche per l'intero pianeta, sottolineano sia la barbarie che la crescente irrazionalità dei conflitti che possono portare a una catastrofe per l'umanità”[3].
A quindici mesi dallo scoppio della guerra, è importante stabilire le principali lezioni del conflitto in termini di relazioni imperialiste, ma anche in termini di quadro di riferimento proposto dalla CCI.
Il tributo materiale e umano di un anno di guerra è spaventoso: la perdita di vite umane e la distruzione materiale sono gigantesche, e milioni di persone sono state sfollate. Decine di miliardi sono stati assorbiti da entrambe le parti (nel 2022, 45 miliardi di euro dagli Stati Uniti, 52 miliardi dall'UE, 77 miliardi dalla Russia, cioè il 25% del suo PIL). Attualmente la Russia sta impegnando circa il 50% del suo bilancio statale nella guerra, mentre l'ipotetica ricostruzione dell'Ucraina richiederebbe più di 700 miliardi di dollari. Questa guerra sta avendo anche un notevole impatto sull'intensificazione delle tensioni imperialiste.
Di fronte al declino della propria egemonia, a partire dagli anni '90 gli Stati Uniti hanno perseguito una politica aggressiva volta a difendere i propri interessi, in particolare nei confronti dell'ex leader del blocco rivale, la Russia. Nonostante l'impegno preso dopo la dissoluzione dell'URSS di non allargare la NATO, gli americani hanno fatto entrare nell'alleanza tutti i Paesi dell'ex Patto di Varsavia, compresi Paesi come gli Stati baltici che facevano parte dell'ex URSS stessa, e stavano progettando di fare lo stesso con la Georgia e l'Ucraina nel 2008. La "rivoluzione arancione" in Ucraina nel 2014 ha sostituito il regime filorusso con un governo filooccidentale e le diffuse proteste in Bielorussia hanno minacciato il regime filorusso di Lukashenko. Di fronte a questa strategia di accerchiamento, il regime di Putin ha cercato di reagire utilizzando la sua potenza militare, un residuo del suo passato di capo di un blocco (Georgia nel 2008, Crimea e Donbass nel 2014, ecc.) Di fronte ai sussulti imperialisti della Russia, gli Stati Uniti hanno iniziato ad armare l'Ucraina e ad addestrare il suo esercito all'uso di armi più sofisticate. Quando la Russia ha schierato il suo esercito in Bielorussia e all'est dell'Ucraina, gli Stati Uniti hanno stretto la trappola sostenendo che Putin avrebbe invaso l'Ucraina, ma assicurando che loro non sarebbero intervenuti sul terreno.
In breve, se la guerra è stata effettivamente iniziata dalla Russia, essa è la conseguenza della strategia degli Stati Uniti di accerchiarla e soffocarla. In questo modo, gli Stati Uniti sono riusciti a intensificare la loro politica aggressiva, che ha un obiettivo molto più ambizioso del semplice porre fine alle ambizioni della Russia:
- immediatamente, la trappola fatale che hanno teso alla Russia sta portando a un significativo indebolimento della potenza militare residua di quest'ultima e a un radicale ridimensionamento delle sue ambizioni imperialiste. La guerra ha anche dimostrato l'assoluta superiorità della tecnologia militare americana, che è alla base del "miracolo" della "piccola Ucraina" che sta respingendo l'"orso russo";
- in secondo luogo, hanno stretto i bulloni all'interno della NATO, costringendo i Paesi europei ad allinearsi sotto la bandiera dell'Alleanza, soprattutto Francia e Germania, che tendevano a sviluppare una propria politica nei confronti della Russia e a ignorare la NATO, che fino a pochi mesi fa il presidente francese Macron aveva definito "cerebralmente morta";
- al di là della batosta inflitta alla Russia, l'obiettivo principale degli americani era senza dubbio un avvertimento inequivocabile al loro principale sfidante, la Cina ("ecco cosa vi aspetta se tentate di invadere Taiwan"). Negli ultimi dieci anni circa, la difesa della leadership americana si è concentrata sull'ascesa di questo serio rivale. Sotto l'amministrazione Trump, questo desiderio di confrontarsi con la Cina ha assunto principalmente la forma di una guerra commerciale aperta. Ma anche l'amministrazione Biden ha intensificato la pressione militare (tensioni intorno a Taiwan). La guerra ha indebolito l'unico partner importante per la Cina, la Russia, che potrebbe in particolare fornirle un contributo militare. Ha inoltre messo a dura prova il progetto della Nuova Via della Seta, un cui asse doveva passare attraverso l'Ucraina.
1.2. La cocente sconfitta dell'imperialismo russo
L'obiettivo iniziale della Russia era in primo luogo quello di raggiungere rapidamente Kiev attraverso un'audace operazione combinata delle sue truppe d'élite per eliminare la fazione di Zelensky e insediare un governo filorusso, e in secondo luogo quello di tagliare l'accesso al Mar Nero prendendo Odessa. Sottovalutando la capacità di resistenza dell'esercito ucraino, sostenuto finanziariamente e militarmente dagli Stati Uniti, e sopravvalutando le proprie capacità militari, ha subito una cocente sconfitta. L'obiettivo successivo, più modesto, era quello di occupare il nord-est del Paese, ma l'esercito russo subì ancora una volta pesanti perdite e dovette ritirarsi a Charkiv e abbandonare Kherson. I programmi di arruolamento di nuove reclute hanno visto centinaia di migliaia di giovani russi fuggire all'estero e l'esercito russo è stato costretto ad affidarsi ai mercenari del gruppo Wagner, che ha reclutato un gran numero di prigionieri comuni, per tenere la linea del fronte. Ora sta usando tutti i mezzi a sua disposizione per tenere il territorio che collega il Donbass alla Crimea. A tal fine, sta bombardando massicciamente tutte le città, le centrali elettriche e i ponti, per far pagare cara la vittoria all'Ucraina e costringere Zelensky ad accettare le condizioni russe. Inoltre, data la sua precaria situazione militare, non si può escludere che la Russia finisca per usare armi nucleari tattiche.
Qualunque sia l'esito finale, è già chiaro che la Russia è stata gravemente indebolita da questa avventura bellica. È stata dissanguata militarmente, avendo perso circa centomila soldati, in particolare tra le sue unità d'élite più esperte, e un gran numero di carri armati, aerei ed elicotteri più moderni ed efficienti; è stata gravemente indebolita economicamente dagli enormi costi della guerra (25% del PIL di quest'anno), nonché dal crollo dell'economia causato dallo sforzo bellico e dalle sanzioni imposte dai Paesi occidentali. Infine, la sua immagine di potenza imperialista ha risentito molto degli eventi che hanno dimostrato i limiti militari ed economici del suo potere.
1.3 L'imperialismo europeo e cinese sotto pressione
Le borghesie europee, in particolare Francia e Germania, avevano cercato urgentemente di convincere Putin a non lanciare questa guerra, o addirittura a lanciare un attacco limitato nella scala e nel tempo. Indiscrezioni di Boris Johnson hanno rivelato che la Germania stava addirittura pensando di avallare di fatto una "guerra lampo" russa di pochi giorni per eliminare l'attuale regime. Tuttavia, di fronte al fallimento delle forze russe e all'inaspettata resistenza dell'esercito ucraino, Macron e Scholz hanno dovuto adottare a malincuore la posizione della NATO dettata dagli Stati Uniti. Tuttavia, rimangono in disparte per quanto riguarda il loro impegno militare in Ucraina e si sono tirati indietro dal tagliare tutti i legami economici con la Russia. Allo stesso tempo, hanno aumentato drasticamente i loro bilanci militari, con l'obiettivo di riarmare massicciamente le loro forze armate (la Germania ha addirittura raddoppiato il suo budget a 107 miliardi di euro). Le recenti visite a Pechino del Cancelliere Scholz e del Presidente Macron hanno confermato la determinazione di Germania e Francia a non piegarsi ai disegni degli Stati Uniti e a mantenere forti legami economici con la Cina.
La Cina, di fronte alle difficoltà dell'"alleato" russo e alle minacce indirette ma insistenti degli Stati Uniti, ha assunto una posizione molto cauta sul conflitto ucraino: ha chiesto la cessazione delle ostilità e, pur non avendo aderito formalmente alle sanzioni contro la Russia, non ha fornito a quest'ultima armi o equipaggiamenti militari. Xi ha persino espresso apertamente la sua preoccupazione a Putin e ha invitato la Russia a cercare un negoziato. Per la borghesia cinese la lezione è amara: la guerra in Ucraina ha dimostrato che qualsiasi ambizione imperialista globale è illusoria in assenza di una potenza militare ed economica in grado di competere con la superpotenza americana. Oggi, però, la Cina non ha né forze armate all'altezza del compito, né una struttura economica in grado di sostenere tali ambizioni imperialiste globali. Tutta la sua espansione economica e commerciale è vulnerabile al caos della guerra e alle pressioni del potere americano. Naturalmente la Cina non rinuncia alle sue ambizioni imperialiste, in particolare alla riconquista di Taiwan, come ci ha ricordato Xi Jinping al congresso del PCC, ma può fare progressi solo nel lungo periodo, evitando di cedere alle provocazioni americane.
Su un piano più generale, il conflitto in Ucraina non solo ha rappresentato un approfondimento qualitativo estremamente significativo del militarismo, ma è anche il motore dell'intensificarsi, su scala globale, delle difficoltà economiche (inflazione e recessione), dei problemi sanitari (rimbalzi di Covid), dell'afflusso di rifugiati e dell'incapacità del sistema di affrontare la crisi ecologica (sfruttamento intensivo del gas di scisto, riattivazione delle centrali nucleari e persino di quelle a carbone), che caratterizzano l'attuale sprofondamento nella decomposizione.
L'iniziale negazione da parte della CCI dell'imminenza di un'invasione massiccia dell'Ucraina da parte della Russia, nonostante gli espliciti avvertimenti degli Stati Uniti, non era affatto espressione dell'inadeguatezza del nostro quadro analitico, ma era piuttosto la manifestazione di una mancata padronanza di quest'ultimo, e più precisamente di una dimenticanza degli orientamenti proposti nel testo "Militarismo e decomposizione [22] " (1990). La CCI ha quindi adottato un documento integrativo che aggiorna il testo dell'ottobre 1990 ("Militarismo e decomposizione, maggio 2022 [117] "[4], in cui si sottolineano in particolare i seguenti apporti, rese ancora più evidenti da un anno di guerra in Ucraina:
2.1. La necessità di un approccio materialista dialettico all'attualità
La questione del metodo è cruciale nella comprensione degli eventi attuali: il materialismo dialettico deve essere concepito come semplice determinismo economico o piuttosto, come Engels ci ricordava già nel 1890 in una lettera a Bloch, come un metodo dialettico che tiene conto delle interazioni tra i diversi aspetti della realtà, in particolare del rapporto tra base economica e sovrastruttura, anche se "il fattore determinante della storia è, in ultima istanza, la produzione e la riproduzione della vita reale"[5]? Questo approccio contraddice tutte le analisi materialiste volgari, che sono la maggioranza negli ambienti politici proletari, e che spiegano ogni guerra solo sulla base dell'interesse economico immediato, senza differenziare le situazioni nelle diverse fasi del capitalismo. Tuttavia, come sottolinea in modo eloquente la Gauche Communiste de France (Sinistra Comunista Francese), "la decadenza della società capitalista trova la sua espressione più evidente nel fatto che le guerre in vista dello sviluppo economico (periodo ascendente) sono state sostituite da un'attività economica essenzialmente limitata alla guerra (periodo decadente). Questo non significa che la guerra sia diventata l'obiettivo della produzione capitalistica, che per il capitalismo rimane sempre la produzione di plusvalore, ma significa che la guerra, assumendo un carattere di permanenza, è diventata lo stile di vita del capitalismo decadente"[6].
2.2. L'irrazionalità del militarismo è accentuata nella decomposizione
La fase di decomposizione accentua uno degli aspetti più perniciosi della guerra in decadenza: la sua irrazionalità. Gli effetti del militarismo diventano sempre più imprevedibili e disastrosi. I nostri materialisti volgari non comprendono questo aspetto e obiettano che le guerre sono sempre motivate economicamente, e quindi razionali. Non vedono che le guerre di oggi non hanno fondamentalmente motivazioni economiche, ma geostrategiche, e che addirittura non raggiungono più i loro obiettivi originari, ma portano al risultato opposto:
- Gli Stati Uniti hanno condotto le due guerre del Golfo, come la guerra in Afghanistan, per mantenere la loro leadership sul pianeta, ma sia in Iraq che in Afghanistan il risultato è stato un'esplosione di caos e instabilità, che ha provocato un'ondata di rifugiati che hanno bussato alle porte dei Paesi industrializzati.
- A prescindere dagli obiettivi dei molti avvoltoi imperialisti (russi, turchi, iraniani, israeliani, americani o europei) che sono intervenuti nelle orribili guerre civili siriane o libiche, hanno ereditato un Paese in rovina, frammentato e diviso in clan, con milioni di rifugiati che si sono riversati nei Paesi vicini o sono fuggiti verso i Paesi industrializzati.
La guerra in Ucraina ne è una conferma esemplare: quali che siano gli obiettivi geostrategici dell'imperialismo russo o americano, il risultato sarà un Paese in rovina (Ucraina), un Paese rovinato economicamente e militarmente (Russia), una situazione imperialista ancora più tesa e caotica dall'Europa all'Asia centrale e, infine, milioni di rifugiati in Europa.
2.3 L'accentuazione del caos e delle tensioni imperialiste ostacola in larga misura il percorso verso la formazione di blocchi.
L'aumento del militarismo e dell'irrazionalità della guerra comporta una terrificante espansione della barbarie bellica. Tuttavia, non porta al raggruppamento degli imperialismi in blocchi e quindi a una guerra generalizzata in tutto il pianeta. Questa analisi è supportata da una serie di fattori:
- La guerra in Ucraina non ha mostrato un allineamento forte e stabile degli imperialismi dietro i leader dei potenziali blocchi: grandi potenze imperialiste come l'India, il Brasile e persino l'Arabia Saudita mantengono chiaramente la loro autonomia dai protagonisti, il legame tra Cina e Russia non si è rafforzato, anzi, e mentre gli Stati Uniti hanno usato la guerra per imporre le loro posizioni all'interno della NATO, Paesi membri come la Turchia e l'Ungheria vanno apertamente avanti da soli, e Germania e Francia fanno del loro meglio per sviluppare le proprie politiche.
- Un leader di un blocco deve essere in grado di generare la fiducia dei suoi Paesi membri e garantire la sicurezza dei suoi alleati, mentre la Cina è stata molto cauta nel sostenere l'alleato russo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'"America first" di Trump è stata una doccia fredda per gli "alleati" che pensavano di poter contare sugli Stati Uniti, e Biden sta sostanzialmente perseguendo la stessa politica: ha deciso senza consultare i suoi alleati di ritirare le truppe da Kabul e sta facendo pagare loro un prezzo elevato in termini di energia per boicottare l'economia russa, mentre gli Stati Uniti sono autosufficienti in questo senso.
- L'assenza di un proletariato sconfitto, condizione essenziale per coinvolgere un Paese in una guerra mondiale. Le recenti lotte in vari Paesi occidentali dimostrano che il proletariato non è pronto ad accettare l'austerità imposta dalla crisi economica, né tantomeno i sacrifici legati a una guerra generalizzata. Anche in Russia, dove il proletariato è debole e soggetto a forti richiami nazionalisti, la maggioranza della popolazione non sostiene la guerra. Infine, manca anche un'arma ideologica forte, capace di mobilitare il proletariato, come nel caso del fascismo e dell'antifascismo negli anni 1930.
La formazione di blocchi non deve essere confusa con alleanze ad hoc formate per obiettivi particolari. Ad esempio, la Turchia, membro della NATO, sta adottando una politica di neutralità nei confronti della Russia in Ucraina, sperando di approfittarne per allearsi con la Russia in Siria contro le milizie curde sostenute dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, si confronta con la Russia in Libia e in Asia centrale, dove fornisce sostegno militare all'Azerbaigian contro l'Armenia, membro dell'alleanza guidata dalla Russia.
2.4. La polarizzazione delle tensioni è il prodotto dell'offensiva statunitense.
Se, dalla metà del secondo decennio del XXI secolo, si è manifestata in modo sempre più evidente una polarizzazione delle tensioni imperialiste tra Stati Uniti e Cina, ciò non va assolutamente visto come l'inizio di una dinamica verso la costituzione di blocchi. A differenza di questa, la polarizzazione non è il prodotto della pressione dello sfidante (Germania, URSS in passato) ma, al contrario, di una politica sistematica perseguita dalla potenza imperialista dominante, gli Stati Uniti, nel tentativo di arrestare il declino irreversibile della propria leadership. Inizialmente, si è concentrata sulla neutralizzazione delle aspirazioni degli ex alleati del blocco occidentale, in particolare della Germania. Poi si è concentrata sulla polarizzazione dell'"asse del male" (Iraq, Iran, Corea del Nord) nel tentativo di radunare gli altri imperialisti dietro il poliziotto planetario. Più recentemente, il suo obiettivo è stato proprio quello di impedire l'emergere di qualsiasi sfidante.
Trent'anni di questa politica da parte degli Stati Uniti non hanno affatto portato maggiore disciplina e ordine nelle relazioni imperialiste, ma al contrario hanno esacerbato il caos e la barbarie. Oggi gli Stati Uniti sono uno dei principali vettori della terrificante espansione degli scontri bellici.
2.5. La guerra non facilita lo sviluppo della lotta proletaria.
Certamente, su un piano generale, la guerra in Ucraina dimostra la bancarotta di questo sistema (soprattutto perché è ovviamente un prodotto volontario della classe dominante) e può in questo senso costituire una fonte di consapevolezza di questa bancarotta, anche se oggi è limitata a minoranze della classe. Fondamentalmente, però, conferma l'analisi della CCI secondo cui la guerra e i sentimenti di impotenza e orrore che essa provoca non favoriscono lo sviluppo della lotta operaia. Al contrario, essa provoca un netto peggioramento della crisi economica e degli attacchi ai lavoratori, spingendoli ad opporsi ad essa in difesa delle loro condizioni di vita[7].
Nel periodo attuale, la guerra in Ucraina non può essere considerata un fenomeno isolato. Mentre entriamo negli anni 2020 del XXI secolo, diversi tipi di crisi si accumulano e interagiscono (crisi sanitaria, crisi economica, crisi climatica e alimentare, tensioni tra imperialismi) ma, soprattutto, sono tutti colpiti dagli effetti di questo conflitto, che è un vero e proprio moltiplicatore e intensificatore della barbarie e del caos distruttivo. Questa guerra è il fattore centrale che determina l'intensificazione degli altri aspetti: " Per quanto riguarda questa aggregazione di fenomeni distruttivi e il suo "effetto vortice", dobbiamo sottolineare il ruolo motore della guerra in quanto azione voluta e pianificata dagli Stati capitalisti, diventando il fattore più potente e grave del caos e della distruzione. Nei fatti, la guerra in Ucraina ha avuto un effetto moltiplicatore dei fattori di barbarie e di distruzione, implicando:
• Un rischio sempre presente di bombardamento di centrali nucleari, come si vede in particolare intorno a quella di Zaporižžja.
• Il pericolo di utilizzazione di armi chimiche e nucleari.
• La violenta crescita del militarismo con le sue conseguenze sull’ambiente e sul clima.
• L’impatto diretto della guerra sulla crisi energetica e la crisi alimentare."[8].
In breve, qualunque sia lo scenario dei prossimi mesi, le ripercussioni globali del conflitto in Ucraina si manifesteranno attraverso:
- l'espansione delle zone di tensione imperialista in tutto il mondo e la destabilizzazione delle strutture politiche di molti Stati;
- l'esacerbazione degli scontri tra i principali protagonisti del conflitto, nonché all'interno delle diverse borghesie (compresa quella ucraina) di questi Paesi.
Le conseguenze del conflitto in Ucraina non stanno affatto portando a una "razionalizzazione" delle tensioni attraverso un allineamento "bipolare" degli imperialismi dietro due "sponsor" dominanti, ma al contrario all'esplosione di una molteplicità di ambizioni imperialiste, non limitate a quelle dei principali imperialismi, esaminate nella prossima sezione, o all'Europa orientale e all'Asia centrale, cosa che accentua il carattere caotico e irrazionale degli scontri.
1.1 Moltiplicazione dei punti di confronto imperialista nel mondo
- In Europa, l'emergere a Est di un'Ucraina pesantemente armata dagli Stati Uniti alimenterà la lotta tra l'imperialismo americano e quello tedesco per il suo controllo.[9] La sua posizione centrale genererà anche tensioni con altri Paesi dell'Europa orientale, come la Romania, l'Ungheria (molto riluttante a sostenere l'Ucraina) e soprattutto la Polonia, che hanno minoranze in varie regioni dell'Ucraina. In Occidente, le pressioni sulla Germania hanno portato a spaccature con la Francia, mentre si sono riaccesi i conflitti in Bosnia e tra serbi e kosovari (ad opera di mercenari russi del gruppo Wagner). Infine, l'UE ha reagito con rabbia all'“Inflation Reduction Act” promulgato dall'amministrazione Biden, che considera una vera e propria dichiarazione di guerra alle esportazioni europee verso gli Stati Uniti.
- In Asia centrale, l'arretramento della potenza russa va di pari passo con la rapida espansione della presenza di altre potenze imperialiste, come Cina, Turchia, Iran e, naturalmente, Stati Uniti nelle repubbliche dell'ex URSS. In Estremo Oriente persiste il rischio di conflitto tra la Cina da un lato e l'India (con regolari scontri di frontiera) o il Giappone (che si sta massicciamente riarmando) dall'altro, senza dimenticare le tensioni tra India e Pakistan e quelle ricorrenti tra le due Coree, in cui gli Stati Uniti sono pienamente coinvolti. Vale la pena menzionare la specifica posizione imperialista dell'India: mentre le sue relazioni con la Cina sono conflittuali in termini politici, militari ed economici, sono più ambigue in relazione agli Stati Uniti (l'India è membro del QUAD ma non dell'AUKUS) o alla Russia (importanti contratti militari), un'illustrazione lampante dell'ognuno per sé e della fragilità del riavvicinamento tra potenze imperialiste.
- In Medio Oriente, l'indebolimento della Russia, la destabilizzazione interna di grandi avvoltoi come l'Iran (rivolte popolari, lotte tra fazioni e pressioni imperialiste) e la Turchia (situazione economica disastrosa) avranno un forte impatto sulle relazioni imperialiste, anche se questi tre Paesi tendono a riavvicinarsi in vista di un'azione militare in Siria e in Iraq contro varie fazioni curde sostenute dagli Stati Uniti. Infine, l'atteggiamento dell'Arabia Saudita, impantanata nella guerra civile in Yemen, che si oppone agli Stati Uniti e si avvicina alla Russia, alla Cina e persino all'Iran, così come la formazione di un governo di estrema destra in Israele, sono anch'essi espressione dell'aggravarsi del caos bellico e dell'ognuno per sé.
- In Africa, mentre la crisi energetica e alimentare e le tensioni belliche imperversano in varie regioni (guerra civile tra il governo centrale etiope e la provincia insorta del Tigray, in cui sono coinvolti anche l'Eritrea e il Sudan, guerra civile in Libia, intense tensioni tra Nord e Sud Sudan e anche tra Algeria e Marocco), l'aggressività delle potenze imperialiste stimola la destabilizzazione e il caos. Tra il 2016 e il 2020, la Cina ha investito l'equivalente di tutti gli investimenti occidentali nello stesso periodo (70 miliardi di dollari) e ha rinunciato al rimborso di 23 prestiti senza interessi per 17 Paesi africani nel 2021. Nel 2018 l'India ha superato la Francia come primo partner commerciale del continente (dopo Cina e Stati Uniti). Il commercio della Turchia con l'Africa è passato da 5 a 25 miliardi di dollari in vent'anni. La Russia, dal canto suo, continua a destabilizzare il Mali e la Repubblica Centrafricana con i mercenari del gruppo Wagner, pur rimanendo un importante partner commerciale nel settore delle armi e dell'agricoltura (cereali e fertilizzanti) per Paesi africani come Egitto, Etiopia e Sudafrica. Francia e Gran Bretagna, che stanno perdendo terreno, vogliono recuperare quote di mercato e promettono investimenti. L'imperialismo americano, per contrastare l'influenza dell'imperialismo russo e cinese in Africa, ha organizzato un importante vertice americano-africano il 13 dicembre 1922 a Washington, dove ha promesso 55 milioni di dollari per l'Africa in tre anni.
1.2 La crescente destabilizzazione dell'apparato politico della borghesia in molti Stati
Il peso crescente della decomposizione tende anche ad accentuare la perdita di controllo sull'apparato politico borghese, rafforzando la lotta tra frazioni e la pressione delle tendenze populiste[10]. Questa maggiore instabilità politica avrà un impatto crescente sull'imprevedibilità del posizionamento imperialista, come ha dimostrato la presidenza Trump.
I Paesi europei, che sono sottoposti a forti pressioni statunitensi e a forti tensioni all'interno dell'UE, si trovano ad affrontare movimenti populisti e lotte tra frazioni della borghesia, che destabilizzano fortemente l'apparato politico della borghesia e possono portare a cambiamenti negli orientamenti imperialisti. Questo è già avvenuto non solo in Gran Bretagna, ma anche in Italia con diversi governi populisti. Questa crescente destabilizzazione tende a rafforzarsi anche in Francia, dove "Les Républicains" di Ciotti sono pronti a governare con i populisti, e persino in Germania[11].
Le turbolenze imperialiste possono anche esacerbare le tensioni all'interno delle borghesie, come nel caso di Russia e Cina, e alla fine portare a riorientamenti imperialisti. In Iran, ad esempio, gli scontri tra fazioni all'interno della borghesia iraniana, alimentati dall'ingerenza straniera e sfruttando le rivolte e le espressioni di disperazione della popolazione, possono modificare le politiche imperialiste[12].
Infine, in molti Stati dell'Africa (Sudan, Etiopia), dell'Asia (Pakistan, Afghanistan) o dell'America Latina (Perù, Ecuador, Bolivia, Cile), il moltiplicarsi di rivolte popolari o di massacri interetnici segna la destabilizzazione della struttura statale e queste diverse situazioni accentueranno l'instabilità delle relazioni imperialiste e l'imprevedibilità dei conflitti.
Un anno di guerra ha provocato grandi turbolenze negli orientamenti dei principali imperialismi coinvolti, ma anche nelle tensioni all'interno delle diverse borghesie di questi Paesi.
2.1. L’offensiva americana è sempre più un fattore centrale di accentuazione delle tensioni e del caos
2.1.1. Il successo iniziale dell’attuale offensiva americana è basata su una caratteristica già messa in evidenza nel Testo di orientamento “Militarismo-e-decomposizione [22]” (1990): la superpotenza economica e soprattutto militare degli Stati Uniti che supera la somma delle potenze potenzialmente concorrenti. Gli Stati Uniti sfruttano a fondo questo vantaggio nella loro politica di polarizzazione. Questa politica non ha mai portato a un maggior ordine e disciplina nei rapporti imperialisti, ma ha, al contrario, moltiplicato gli scontri guerrieri, esacerbato il ciascuno per sé, seminato la barbarie e il caos in numerose regioni (Medio oriente, Afganistan…) intensificato il terrorismo, provocato un’enorme ondata di rifugiati e accentuato le ambizioni dei piccoli e grandi pescecani ai quattro angoli del pianeta.
La questione che si pongono oggi gli USA rispetto alla guerra in Ucraina è la seguente: bisogna offrire una via di uscita alla Russia, che ormai dopo questa guerra non può più pretendere di avere un ruolo imperialista importante a livello mondiale, o puntare piuttosto a una umiliazione totale, che potrebbe provocare una reazione disperata e incontrollata della borghesia russa e implicare anche il rischio di una disintegrazione della Russia peggiore del 1990, e di conseguenza una destabilizzazione di tutta questa parte del pianeta? Le frazioni dominanti della borghesia americana (in particolare i democratici) sono coscienti di questi pericoli, anche se ci tengono a raggiungere i propri obiettivi, già in buona parte raggiunti, a livello dell’indebolimento definitivo della Russia e soprattutto dell’accentuazione della pressione sulla Cina al fine di bloccarne l’espansione. Di conseguenza gli Stati Uniti dosano con cura le capacità militari dell’esercito ucraino, fanno pressione su Zelensky perché questi aumenti il controllo sulla sua amministrazione e il suo esercito e indicano che “in una maniera o in un’altra, questa guerra dovrà finire intorno a un tavolo di negoziati” (M. Milley, capo di stato maggiore degli Stati Uniti). Tuttavia questo orientamento può essere contrastato da:
• una possibile strategia dei dirigenti russi di puntare su una stanchezza dell’Occidente prolungando la guerra nel tempo, nonché una pressione della frazione oltranzista per una guerra totale (vedi dopo);
• le tensioni in seno all’apparato statale e militare ucraino, con frazioni che spingono per proseguire l’offensiva fino alla vittoria totale contro la Russia, ivi compresa la riconquista del Donbass e della Crimea;
• uno sbandamento irrazionale, legato al caos e alla barbarie ambientale, come per esempio un missile che colpisca la Polonia, la Bielorussia o una centrale nucleare.
Quale che sia la conclusione di questo conflitto, l’attuale politica di confronto dell’amministrazione Biden lungi dal calmare le tensioni o di imporre una disciplina tra i contendenti imperialisti,
• accentuerà ancora le tensioni economiche e militari con l’imperialismo cinese;
• aumenterà le contraddizioni tra gli imperialismi, per esempio in Europa Centrale dove l’indebolimento della Russia e l’armamento massiccio dell’Ucraina acuirà i contrasti tra i paesi della zona, come la Polonia, l’Ungheria, la Romania e, sicuramente, la Germania. In Asia Centrale, oltre agli Stati Uniti, gli imperialismi cinese, turco, o iraniano fanno già a gara a chi deve prendere il posto della Russia;
• intensificherà i contrasti interni alle diverse borghesie, negli Stati Uniti, in Russia e in Ucraina certamente, ma anche in Germania o in Cina, come vedremo più avanti.
Contrariamente ai discorsi dei suoi dirigenti, la politica aggressiva e brutale degli Stati Uniti è quindi alla punta della barbarie e delle distruzioni della decomposizione.
2.1.2. La strategia degli Stati Uniti per contrastare il loro declino ha anche rivelato dei dissensi in seno alla borghesia americana. Se c’è un accordo chiaro per quanto riguarda la politica da seguire nei confronti della Cina, i disaccordi riguardano oggi la maniera di “neutralizzare” la Russia nel contesto della neutralizzazione del “nemico principale” che è la Cina. La fazione Trump propendeva per un’alleanza con la Russia contro la Cina, ma questo orientamento si è scontrato con l’opposizione di grandi parti della borghesia americana e con una resistenza della maggior parte delle strutture dello Stato. La strategia delle frazioni dominanti della borghesia americana, rappresentata oggi dall’amministrazione Biden, punta invece a portare dei colpi decisivi alla Russia, in maniera che essa non possa più costituire una minaccia potenziale per gli Stati Uniti: “Noi vogliamo indebolire la Russia in maniera tale che essa non possa più fare cose come invadere l’Ucraina”[13] lanciando allo stesso tempo un chiaro avvertimento alla Cina.
Le elezioni di metà mandato hanno confermato che le fratture sono sempre profonde e esacerbate tra democratici e repubblicani, così come i contrasti all’interno di ciascuno dei due campi[14], e allo stesso tempo il peso del populismo e delle ideologie più retrograde, caratterizzate dal rifiuto di un pensiero razionale e coerente, non sufficientemente contrastate dalle campagne per fare fuori Trump[15], non smette di farsi sentire sempre più profondamente e durevolmente sulla società americana. Queste tensioni in seno alla borghesia americana (che non può essere limitata all’irrazionalità dell’individuo Trump), accentuate dalla nuova maggioranza Repubblicana alla Camera dei rappresentanti e dalla nuova candidatura presidenziale di Trump, ancora sostenuto da più del 30% degli americani (cioè quasi i 2/3 degli elettori repubblicani) per le elezioni del 2024, fanno pesare una certa incertezza sulla politica americana di sostegno massiccio all’Ucraina e non spingono altri paesi a prendere per oro colato le promesse degli Stati Uniti.
Questa imprevedibilità della politica americana è di per sé stessa (in aggiunta alla sua politica di polarizzazione) un fattore di intensificazione del caos in futuro.
2.2. L’indebolimento della Russia acuisce gli appetiti di altri imperialismi e aumenta le tensioni interne
2.2.1. Il fallito intervento in Ucraina, già catastrofico oggi, avrà delle conseguenze ancora più pesanti nei prossimi mesi. L’esercito russo ha mostrato la sua inefficienza e ha perduto una gran parte dei soldati scelti e del suo materiale più moderno. La sua economia subisce dei colpi molto duri, soprattutto nei settori tecnologici di punta a causa dell’assenza di materie prime dovuto alle sanzioni e la fuga di gran parte dei tecnici migliori (un milione di persone sono fuggite all’estero). Nonostante il gigantesco sforzo finanziario (il 50% del bilancio statale è oggi consacrato allo sforzo bellico), il settore dell’industria militare, fondamentale per poter sostenere un impegno bellico di lunga durata, non arriva a sostenere il ritmo ed è significativo che la Russia deve chiedere l’aiuto della Corea del nord (per le munizioni) e dell’Iraq (droni) per colmare le lacune della sua economia di guerra.
Ma è soprattutto a livello dei rapporti imperialisti che Mosca subirà sempre più nettamente i contraccolpi della sua sconfitta. La Russia è isolata e anche paesi “amici” come la Cina o il Kazakistan prendono apertamente un po’ di distanza. Ancora, in Asia Centrale, i diversi paesi, ex membri dell’URSS, si sono opposti a che i loro cittadini residenti in Russia fossero mobilitati per la guerra e si mostrano sempre più critici nei confronti della Russia: il Kazakistan ha accolto 200.000 russi fuggiti per sottrarsi all’ordine di mobilitazione, disapprova espressamente l’invasione russa e fornisce un aiuto materiale all’Ucraina. La Kirghizia e il Tagikistan rimproverano apertamente alla Russia di essere incapace di intercedere nel loro conflitto interno. L’Armenia è furiosa perché la Russia non ha rispettato il patto di assistenza che le legava rispetto alla guerra con l’Azerbaijan. Anche Lukascenko, il tiranno della Bielorussia, cerca disperatamente di evitare di impegnarsi troppo a fianco di Putin. L’indebolimento dell’influenza russa nell’Europa dell’est e in Asia Centrale favorirà l’acuirsi delle tensioni tra le diverse borghesie di queste regioni e solleticherà gli appetiti dei grandi avvoltoi, con la conseguenza di accentuare la loro destabilizzazione. E, per coronare il tutto, la Russia dovrà accettare una Ucraina pesantemente armata dagli Stati Uniti a 500 chilometri da Mosca.
2.2.2. Sul piano interno le tensioni diventano sempre più forti e visibili fra le diverse fazioni interne alla borghesia russa. Possiamo individuare diverse tendenze:
• La frazione per la democrazia, che al momento è fortemente repressa;
• La frazione dietro Putin che a sua volta si divide in 3 frazioni: 1. La frazione dei “duri” capitanati dal leader ceceno Kadirov e la frazione Wagner; 2. Una frazione più ridotta che fa pressione perché Putin metta fine alla guerra in Ucraina; 3. Una frazione dietro Putin che cerca di mettere queste due frazioni l’una contro l’altra al fine di mantenere il suo controllo sullo Stato russo.
Apparentemente queste divisioni attraversano sia l’esercito che i servizi di sicurezza e l’entourage di Putin. Dalla sopravvivenza politica di Putin a quella della Federazione russa e allo statuto di potenza imperialista di questa, le conseguenze derivanti dalla sconfitta in Ucraina sono molto pesanti: man mano che la Russia sprofonda nei suoi problemi c’è il rischio di avere dei regolamenti di conti, se non degli scontri sanguinosi tra le frazioni rivali. Così, dei “signori della guerra”, come Kadirov e Prigojin (fondatore del gruppo Wagner) emergono e si oppongono sempre più apertamente allo stato maggiore, arrivando fino a criticare Putin. Inoltre, una buona parte dei soldati morti proviene più specificamente da certe repubbliche autonome povere, cosa che provoca numerose manifestazioni e sabotaggi in queste regioni, e che potrebbe portare a una frammentazione della Federazione della Russia. Queste contraddizioni lasciano prevedere un periodo di grande instabilità a livello dello Stato più grande del mondo e uno dei più armati, con il rischio di una perdita di controllo e di conseguenze imprevedibili per il mondo intero.
2.3. Lo sfidante cinese nella tormenta
Se qualcuno, sulla base di un approccio empirista, poteva immaginarsi due anni fa che la Cina sarebbe stata la grande vincitrice della crisi Covid, i dati recenti confermano che oggi su tutti i piani essa è al contrario confrontata a una destabilizzazione multipla e alla prospettiva di turbolenze maggiori.
Di fronte alla trappola tesa a “l’alleato” russo in Ucraina e alla flagrante sconfitta subita da questo, la Cina cerca di calmare la situazione con gli Stati Uniti, la cui politica di polarizzazione punta fondamentalmente, dietro alla Russia, alla Cina, come dimostrato dalle continue tensioni a proposito di Taiwan. Ciononostante la strategia della Cina differisce fondamentalmente da quella della Russia. Mentre la sola carta di quest’ultima era la sua potenza militare in quanto ex capo di blocco, la borghesia cinese capisce che lo sviluppo della sua forza è legata a una crescita della potenza economica la cui realizzazione richiede ancora del tempo.
Questo tempo le sarà concesso? Messa sotto pressione dallo sviluppo del caos guerriero e della polarizzazione imperialista, la Cina è confrontata allo stesso tempo a una destabilizzazione sanitaria, economica e sociale, che mette la borghesia cinese in una situazione particolarmente imbarazzante.
2.3.1. La Cina è fortemente destabilizzata su diversi piani:
• L’immensa difficoltà della Cina a gestire la crisi sanitaria, che essa subisce fin dal 2019, ha fortemente paralizzato la sua economia e penalizzato la sua popolazione. La conseguenza è stata di giganteschi e interminabili confinamenti, come ancora nel novembre del 2022, quando non meno di 412 milioni di cinesi erano rinchiusi in condizioni terribili in diverse regioni della Cina, spesso per parecchi mesi.
• L’economia cinese ha subito un forte rallentamento a causa dei confinamenti a ripetizione, dalla bolla immobiliare e dal blocco di diversi itinerari della via della seta a causa dei conflitti armati (Ucraina) o a causa del caos locale (Etiopia).
La crescita del PIL non dovrebbe superare il 3% nel 2022, cioè la crescita più debole dal 1976 (al di fuori dell’anno del Covid 2020). I giovani subiscono particolarmente il deterioramento della situazione, con un tasso di disoccupazione stimato al 20% tra gli studenti universitari alla ricerca di un impiego.
• La diminuzione spettacolare della sua demografia, che è sfociata per la prima volta dopo sessanta anni in un riflusso della popolazione della Cina e che potrebbe ridurre la popolazione a circa 600 milioni nel 2100, porta all’inversione progressiva della piramide delle età e alla perdita di competitività dell’industria cinese a causa dell’aumento del costo del lavoro di una mano d’opera che tende a rarefarsi, come a una pressione del sistema pensionistico, oggi quasi inesistente, e delle infrastrutture sociali e sanitarie per l’invecchiamento della popolazione.
• Più angosciante ancora per la borghesia cinese i problemi economici che, in unione con la crisi sanitaria, hanno casato dei movimenti di contestazione sociali importanti, mentre la politica dello Stato cinese è stata fin dal 1989 di evitare ad ogni costo ogni turbolenza sociale importante. I movimenti di investitori ingannati dalle difficoltà e dai fallimenti dei giganti del settore immobiliare, ma soprattutto le rivolte, gli scioperi, come quello dei 200.000 operai dell’immensa fabbrica taiwanese Foxconn che assembla gli iPhone della Apple, e le manifestazioni generalizzate in numerose città cinesi, come a Shangai al grido di “Xi Jinping dimissioni!” “PCC dimissioni!” hanno causato sudori freddi a Xi e ai suoi partigiani.
2.3.2. Le convulsioni di un modello neo-stalinista superato[16].
Di fronte alle difficoltà economiche e poi sanitarie, la politica di Xi Jinpig era stata, fin dall’inizio del suo mandato, di tornare alle ricette classiche dello stalinismo:
• Sul piano economico, dopo Deng Xiao Ping, la borghesia cinese aveva creato un meccanismo fragile e complesso per mantenere un quadro di partito unico onnipotente in coabitazione con una borghesia privata stimolata direttamente dallo Stato: “Alla fine del 2021, l’era delle riforme e dell’apertura di Deng Xiao Ping è in tutta evidenza rovesciata, e sostituita da una nuova ortodossia economica statalista”[17]. Di fatto, la fazione dominante di Xi Jinping aveva riorientato l’economia cinese verso un controllo assoluto da parte dello Stato, sul modello stalinista.
• Sul piano sociale, la politica “zero Covid” aveva permesso a Xi non solo di rafforzare un controllo statale impietoso sulla popolazione, ma anche di imporre questo controllo sulle autorità regionali e locali, che avevano mostrato la loro mancanza di affidabilità e di efficienza all’inizio dell’epidemia. Ancora ultimamente, in autunno, ha inviato unità di polizia dello Stato centrale a Shangai per richiamare all’ordine le autorità locali che avevano allentato le misure di controllo.
Ma come dimostrato dal punto precedente, questa politica delle autorità cinesi le ha mandato dirette contro un muro. Infatti, confrontato a una contestazione sociale esplosiva, il regime si è visto obbligato a tornare indietro in tutta fretta a tutti i livelli e abbandonare in pochi giorni la politica che manteneva da anni contro venti e maree.
•Ha abbandonato bruscamente la politica “zero Covid” senza proporre alcuna alternativa, in mancanza di una immunità acquisita, senza vaccini efficaci o scorte di medicinali sufficienti, senza una politica di vaccinazioni dei soggetti fragili, senza un sistema ospedaliero capace di assorbire lo choc, cosa che ha causato grossi problemi sanitari: i malati hanno fatto la fila per poter entrare in ospedali sovraffollati; le proiezioni prevedono da qui all’estate più di un milione di morti e decine di milioni di persone pesantemente toccate dalle conseguenze del virus. D’altra parte, decine di migliaia di lavoratori impegnati per organizzare i confinamenti o impiegati in fabbriche che producono test e altro materiale anti-Covid sono stati licenziati, cosa che ha provocato importanti convulsioni sociali.
• Ha parzialmente riconsiderato la sua politica di controllo assoluto dell’economia da parte dello Stato riducendo il controllo sull’accesso al credito nel settore immobiliare e sulle misure anti-monopoliste nel settore tecnologico. Ha promesso anche che le banche e le società di investimento straniere potranno diventare pienamente proprietarie di imprese in Cina. Ma tra le imprese straniere predomina ancora lo scetticismo e il movimento di ritiro dei capitali stranieri dalla Cina resta massiccio, mentre la pressione economica degli Stati Uniti si intensifica, in particolare con i due provvedimenti, “Inflation Reduction Act” e “Chips in USA Act”, che toccano direttamente le esportazioni delle aziende tecnologiche cinesi (come Huawei) verso gli Stati Uniti.
Questa politica altalenante rivela il vicolo cieco di un regime di tipo stalinista, in cui “la grande rigidità delle istituzioni, che non lasciano praticamente alcun posto per il possibile sorgere di forze politiche borghesi di opposizione capaci di giocare un ruolo di tampone”[18]. Se il capitalismo di Stato cinese ha saputo approfittare delle opportunità contenute nel suo cambiamento di blocco negli anni ’70, nonché di quelle conseguenti all’implosione del blocco sovietico e alla mondializzazione dell’economia spinta dagli Stati Uniti e dalle principali potenze del blocco occidentale, le debolezze congenite della sua struttura statale di tipo stalinista costituiscono oggi un handicap importante di fronte ai problemi economici, sanitari e sociali. Gli scossoni disperati del regime rivelano il fallimento della politica di Xi Jinping, rieletto per un terzo mandato dopo le trattative dietro le quinte tra le frazioni esistenti in seno al PCC, e prefiguranti conflitti tra queste frazioni in un apparato di Stato la cui incapacità di superare la rigidità politica rivela la pesante eredità del maoismo stalinista[19].
2.3.3. Una politica imperialista sotto pressione
Di fronte all’offensiva economico-militare degli Stati Uniti, da Taiwan all’Ucraina, la borghesia cinese sembra aver capito la lezione e orienta per il momento la sua politica verso una strategia tesa ad evitare le provocazioni, militari e non:
• la diplomazia nazionalista aggressiva dei “lupi guerrieri” lanciata a partire dal 2017 da Xi, viene abbandonata e il portavoce del ministero degli Affari Esteri che la personificava, Zhao Lijian, è stato retrocesso;
• la Cina cerca di contrastare la strategia che mira ad isolarla cercando nuovi partenariati in giro per il mondo: Xi ha incontrato in 3 mesi 25 capi di Stato stranieri allo scopo di rilanciare la sua economia e intrecciare legami diplomatici (per esempio con il Brasile, la Germania, la Francia, e più in generale in Europa);
• essa accentua il suo impegno sulla scena internazionale, come illustrato dal suo atteggiamento conciliante all’ultimo G20 in Indonesia, la sua forte implicazione durante la conferenza sui cambiamenti climatici di Montreal e soprattutto il suo ruolo di mediatore nello scontro fra l’Arabia Saudita e l’Iran e anche nel conflitto in Ucraina.
Tuttavia l’aggressività economica ma anche militare degli Stati Uniti si intensifica attraverso un armamento massiccio di Taiwan ma ugualmente con un aumento della pressione su qualche “partner” della Cina come l’Iran o il Pakistan. Con la crescita in potenza del militarismo giapponese come con le ambizioni sempre più esplicite dell’India, questa pressione imperialista accentuata in Medio Oriente e nella zona del Pacifico può provocare degli incidenti imprevisti. D’altra parte il turbinio degli sconvolgimenti e la destabilizzazione che colpisce la borghesia cinese produce anche una forte pressione sulla sua politica imperialista e induce un alto grado di imprevedibilità di questa. E deve essere chiaro che una destabilizzazione del capitalismo cinese avrebbe conseguenze imprevedibili per il capitalismo mondiale.
2.4. L’imperialismo tedesco confrontato a una destabilizzazione crescente
Anche la Germania è confrontata a una serie di segnali non ambigui: il suo statuto di nano militare l’ha obbligata a rientrare nei ranghi come membro della NATO; il blocco imposto agli europei dagli Stati Uniti riguardo al petrolio e al gas russo le crea grandi difficoltà economiche, tanto più che i citati provvedimenti americani (Inflation Reduction Act e Chips in USA Act) costituiscono anche un attacco diretto alle importazioni europee e quindi in particolare tedesche.
2.4.1. Al momento dell’implosione del blocco sovietico, la CCI metteva in evidenza che in un futuro prossimo “non esiste alcun paese in grado, in tempi relativamente brevi, di opporre a quello degli USA un potenziale militare che gli permetta di pretendere il posto guida di un blocco che possa rivaleggiare con quello diretto da questa potenza”[20]. Il solo paese imperialista potenzialmente adatto a diventare il nucleo centrale di un blocco antagonista agli Stati Uniti era, nella nostra analisi di allora, la Germania: “Quanto alla Germania, il solo paese che potrebbe eventualmente tener un ruolo che le è appartenuto già per il passato, la sua potenza militare attuale (non dispone neanche dell'arma atomica, il che è tutto dire) non le permette di pensare di rivaleggiare con gli Stati Uniti su questo terreno per molto tempo. E ciò tanto più che man mano che il capitalismo s'affossa nella sua decadenza, è sempre più indispensabile per il capo del blocco disporre di una superiorità militare massiccia sui suoi vassalli per poter mantenere il suo rango”[21].
Di fatto, la Germania si trovava in quel momento in una situazione particolarmente complessa: essa era confrontata alla gigantesca sfida economica, politica e sociale dell’integrazione della ex Repubblica Democratica Tedesca nel suo tessuto industriale, mentre truppe straniere (americane, ma anche di alti paesi della NATO) stazionavano sul suo territorio. Questo gigantesco sforzo finanziario per “unificare” il paese diviso aveva reso impossibile il necessario investimento per rimettere a nuovo le sue forze militari, essendo sia la divisione del paese che lo smantellamento della sua forza militare conseguenza della sua sconfitta nel 1945[22]. In questo contesto la borghesia tedesca ha sviluppato da vent’anni una politica di espansione economica e imperialista risolutamente rivolta verso l’est, trasformando numerosi paesi dell’Est in succursali per la sua industria e garantendosi allo stesso tempo un approvvigionamento energetico stabile e a buon mercato attraverso accordi con la Russia, cosa che le ha permesso di godere pienamente della mondializzazione dell’economia.
2.4.2. L’illusoria speranza di poter sviluppare la sua potenza imperialista senza uno sviluppo del militarismo e la costruzione di una forza militare conseguente è volata in pezzi con lo scoppio della guerra in Ucraina. La borghesia tedesca ha comunque fatto di tutto per mantenere il partenariato con la Russia nonostante il conflitto
• Ha creato delle società schermo per continuare il progetto comune con la Russia della costruzione dei gasdotti sotto il Mar Baltico (North Stream 1 e 2) nonostante le minacce di sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti;
• Ha sviluppato (come pure la Francia) una diplomazia intensiva verso Putin per cercare di evitare o contenere il conflitto;
• Ha considerato la possibilità di ratificare l’operazione russa contro la Russia nella prospettiva di una rapida vittoria che non avrebbe avuto di conseguenza un impatto sulle relazioni economiche (come dichiarato da Boris Johnson alla CNN).
La guerra intensiva, finanziata e mantenuta grazie alla massiccia fornitura di armi da parte degli Stati Uniti fa subire a Berlino una pressione particolarmente intollerabile, ma che si situa nel prolungamento dell’ostilità già netta dell’amministrazione Trump verso la politica autonoma dell’imperialismo tedesco, mettendo in evidenza la sua posizione di “nano” militare e ponendo sotto controllo le sue fonti di approvvigionamento di energia.
2.4.3. Di fronte a questi problemi la borghesia tedesca, messa alle strette, prende iniziative in tutte le direzioni per rafforzare la sua posizione militare, cercare nuovi partenariati economici e mantenere la sua presenza imperialista in Europa dell’est:
• Di fronte all’amara constatazione che in periodo di decomposizione è illusorio affermare delle ambizioni imperialiste senza accompagnarle da una potenza militare conseguente, la Germania ha raddoppiato le sue spese militari (ci vorranno otto anni per portare al livello richiesto l’esercito tedesco), e ha preso delle misure energetiche ed economiche draconiane per garantire il suo tessuto industriale;
• Ha iniziato una ricerca di nuove alleanze strategiche, in particolare con la Cina, come illustrato dalla visita a sorpresa solitaria del cancelliere Scholz a Xi il 4 novembre 2022, che si è concluso con l’acquisto del 25% delle azioni del porto di Amburgo da parte di Pechino: “Questa visita a Pechino del cancelliere tedesco offre uno spettacolo tanto più strano dal momento che nell’ottobre scorso, durante il loto ultimo summit, i Ventisette avevano discusso per tre ore sulla condotta da tenere rispetto a Pechino. Il tono europeo si era fatto decisamente duro e i paesi baltici […] avevano esortato l’Unione Europea a far prova della più grande prudenza rispetto alla Cina”[23];
• Ha annunciato di essere disposta a finanziare un gigantesco piano Marshall per la ricostruzione dell’Ucraina.
2.4.4. Queste reazioni della borghesia tedesca di fronte all’offensiva americana acuiscono non solo le tensioni e il ciascuno per sé verso gli Stati Uniti, ma nella stessa Europa. Così la decisione tedesca di comprare dei caccia… dagli Stati Uniti e di mettere in piedi uno scudo antimissile utilizzando la tecnologia tedesca e… israeliana congelando i programmi di armamenti sofisticati (aerei e carri armati) concordati con la Francia hanno provocato dei dissensi importanti tra la Francia e la Germania, la spina dorsale della UE.
L’imperialismo francese ha deciso di rimandare un incontro franco-tedesco e ha rifiutato di costruire un gasdotto di collegamento tra la Spagna e la Germania per trasportare il gas proveniente dall’Africa. L’ultimo colloquio comune franco-tedesco di gennaio 2023 non ha cambiato la situazione, nonostante le dichiarazioni ufficiali: “Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno abbondato in simboli, domenica a Parigi, per i 60 anni del trattato dell’Eliseo, ma non hanno formulato nessuna proposta forte sul sostegno all’Ucraina, sulla Difesa europea o la crisi energetica”[24]. Tuttavia la Germania non ha interesse a staccarsi troppo dalla Francia, che rappresenta la prima potenza militare d’Europa e costituisce un tassello centrale per mantenere una UE unita intorno alla Germania.
Il ciascuno per sé del governo tedesco a proposito delle misure economiche, le relazioni con la Cina o il futuro dell’Ucraina accrescono le tensioni con altri paesi della UE, in particolare con certi paesi dell’Europa dell’Est, come la Polonia o i Paesi Baltici, che appoggiano fortemente la politica americana.
Questa politica di Scholz suscita anche delle divisioni in seno alla borghesia tedesca (una parte dei Verdi al governo era contraria al viaggio di Scholz in Cina, per esempio) e contrariamente alla SPD, gli altri partiti al governo (FDP e Verdi) sono piuttosto a favore della politica americana rispetto alla Russia. Queste divergenze in seno alla borghesia tedesca rischiano di approfondirsi con l’aggravamento della crisi economica, con la pressione esercitata sull’economia tedesca e la posizione imperialista del paese, cosa che annuncia un’instabilità politica crescente, con il pericolo di un impatto più forte dei movimenti populisti[25] in conseguenza della degradazione della situazione sociale.
Conclusione
L’esplosione del militarismo è l’illustrazione maggiore dell’approfondimento qualitativo del periodo di decomposizione e allo stesso tempo annunciatrice di una ineluttabile accentuazione del caos e del ciascuno per sé.
• L’esplosione dei budget militari: oltre agli Stati Uniti, che continuano ad accrescere il loro budget militare che costituisce già l’8,3% del bilancio statale, la crescita delle spese militari si è manifestata già prima della guerra in Ucraina soprattutto in Asia a livello della Cina (5%del budget statale), dell’India (che è il terzo paese in termini di spese militari dopo i due “grandi”), del Pakistan e della Corea del Sud. Successivamente, come conseguenza diretta dell’invasione dell’Ucraina, la crescita è stata fenomenale, prima per quanto riguarda le potenze maggiori come il Giappone che impegnerà 330 miliardi di dollari nelle forze armate in cinque anni (il più grosso sforzo dal 1945), e soprattutto nell’Europa occidentale con la Germania che aumenta anch’essa il suo budget militare di 107 miliardi di euro, ma anche della Francia e della Gran Bretagna. Anche imperialismi più modesti, come la Turchia (che è già il secondo esercito della NATO) o l’Arabia Saudita e in Europa un paese come la Polonia (che ha l’ambizione di dotarsi dell’esercito più potente in Europa), si armano fino ai denti.
• L’estensione del militarismo nello spazio e nel rilancio del nucleare: la corsa agli armamenti coinvolge sempre più chiaramente la conquista dell’orbita terrestre e dello spazio; anche qui gli Stati Uniti, ma anche la Cina, danno l’esempio e le ultime espressioni di cooperazione tendono a sparire. Infine, “Tutti gli Stati dotati di armi nucleari aumentano o modernizzano i loro arsenali e la maggior parte di essi rinforza la retorica nucleare e il ruolo che giocano queste armi nella loro strategia militare. E’ una tendenza molto inquietante”[26].
• Il rafforzamento della messa in atto dell’economia di guerra: la guerra in Ucraina pone chiaramente ai “think tanks” della borghesia il problema del riorientamento degli investimenti finanziari, e soprattutto dell’adesione delle popolazioni: “Ecco perché la capacità di equipaggiare l'Ucraina con armi sufficienti per vincere la guerra è una preoccupazione crescente, si tratta in qualche maniera di passare a un’economia di guerra in tempo di pace, […] E i dirigenti occidentali dovranno parlare francamente alle loro popolazioni sui costi futuri della difesa e della sicurezza, è uno sforzo di tutta la nazione, in tutte le nazioni, perché non è solo il ministro della difesa che chiede più materiale all’industria. Si tratta di avere una discussione sulla maniera in cui noi possiamo aumentare la produzione. Gli anelli deboli della catena di produzione degli armamenti non riguardano più solo le debolezze delle spese pubbliche, ma anche gli atteggiamenti sociali e le reticenze delle istituzioni finanziarie a investire nelle fabbriche di armamenti”[27].
La CCI ha sottolineato che “L’aggregazione e l’interazione dei fenomeni distruttivi sbocca in un “effetto vortice” che concentra, catalizza e moltiplica ognuno degli effetti parziali, provocando dei danni ancora più disastrosi”[28]. In questo quadro, se la crisi economica è, in ultima istanza, la causa di fondo della tendenza alla guerra, questa provoca a sua volta un peggioramento della crisi economica. In effetti, lungi dal costituire uno stimolo per l’economia, la guerra, e il militarismo, costituiscono un aggravamento della crisi. Questa esplosione delle spese come conseguenza del conflitto in Ucraina aumenterà i debiti degli Stati, che, anche loro, costituiscono un altro peso sull’economia. Esse produrranno un’accelerazione della crescita dell’inflazione che è un’altra minaccia per la crescita economica, che per essere combattuta richiede una contrazione del credito che non può che condurre a una recessione aperta, e quindi ancora ad un aggravamento della crisi economica. Infine, la guerra in Ucraina ha provocato un aumento enorme dei costi dell’energia, che pesa sull’insieme della produzione industriale, nonché una penuria di prodotti agricoli e un rallentamento del commercio mondiale.
In breve, «Gli anni 20 del 21° secolo avranno, dunque, in questo contesto, un’importanza considerevole sull’evoluzione storica”[29]. Nel senso che l’alternativa “socialismo o barbarie” enunciata dall’Internazionale Comunista nel 2019, si concretizza sempre più come “socialismo o distruzione dell’umanità”.
CCI, aprile 2023
[1] La TCI utilizza a volte la nozione di decadenza, ma senza spiegare e precisarne le implicazioni, o, ancora, rinuncia a riconsiderare la nozione del disfattismo rivoluzionario in relazione alle caratteristiche del contesto attuale. Vedere in proposito la nostra critica dei comitati No War But the Class War (Non Guerra Ma Guerra di Classe: "Sulla storia dei gruppi NWBCW [118]”, Rivoluzione internazionale n. 189 e “Un-comitato-che-trascina-i-partecipanti-un-vicolo-cieco [102]” su CCI on line.
[2] Revue internationale n.167.
[3] Significato e impatto della guerra in Ucraina, https://fr.internationalism.org/content/10771/signification-et-impact-guerre-ukraine [119]
[4] Militarismo e decomposizione (maggio 2022) | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [117]
[5] Citato nel testo riportato in nota 4
[6] "Rapport à la Conférence de juillet 1945 de la Gauche Communiste de France".
[7] Vedi il Rapporto sulla lotta di classe del 25° Congresso della CCI, https://fr.internationalism.org/content/11035/rapport-lutte-classe-25e-congres-du-cci [120]
[8] L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità [114]
[9] Vedi i piani per la sua ricostruzione
[10] Vedi le recenti elezioni in Brasile
[11] Vedi il complotto dei "Reichsburger" che ha visto coinvolte parti non trascurabili dei servizi di sicurezza.
[12] Vedi il riavvicinamento alla Russia
[13] Dichiarazione del Segretario di Stato alla Difesa, Lloyd Austin, al momento della sua visita a Kiev del 25 febbraio. La frazione Biden voleva così far pagare alla Russia la sua ingerenza negli affari interni americani, per esempio i suoi tentativi di manipolare le ultime elezioni presidenziali.
[14] Vedi le difficoltà incontrate nell’elezione dello “speaker" Repubblicano alla camera dei rappresentanti.
[15] Vedi le minacce dei vari processi
[16] “La caratteristica più evidente, la più generalmente conosciuta dei paesi dell’est, quella su cui d’altra parte riposa il mito della loro natura “socialista”, sta nel grado estremo di statizzazione della loro economia (...). Il capitalismo di Stato non è un fenomeno proprio solo di questi paesi (…) Se la tendenza al capitalismo di Stato è dunque un dato storico universale essa non tocca tuttavia in maniera identica ogni paese […]. Nei paesi avanzati, dove esiste una vecchia borghesia industriale e finanziaria, questa tendenza si manifesta in generale attraverso un’intersecazione dei settori “privati” e dei settori statali. […] Questa tendenza al capitalismo di Stato “prende le sue forme più estreme dove il capitalismo conosce le contraddizioni più brutali, dove la borghesia classica è più debole. In questo senso, la presa in carico diretta da parte dello Stato dell’essenziale dei mezzi di produzione che caratterizza il blocco dell’Est (e in larga misura del “terzo mondo”) è in primo luogo una manifestazione dell’arretratezza e della fragilità della sua economia.” Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [8], Rivista Internazionale n. 13
[17] Affari Esteri, citato in Courrier International n.1674.
[18] Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [8], Rivista Internazionale n. 13
[19] “… un capitale nazionale sviluppato, detenuto in maniera “privata” dai differenti settori della borghesia, trova nella “democrazia” parlamentare il suo apparato politico più appropriato; alla statalizzazione quasi completa dei mezzi di produzione corrisponde il potere totalitario di un partito unico” (ibidem)
[20] Testo di orientamento “Militarismo e Decomposizione” (1990), Militarismo e decomposizione | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [22]
[21] Idem
[22] L’importante riduzione delle spese improduttive durante gli anni ’50 e ’60 è però alla base dell’impressionante sviluppo dell’economia tedesca.
[23] "Olaf Scholz da solo a Pechino", Asialyst (5 novembre 2022)
[24] "Tra la Francia e la Germania, un riavvicinamento ingannevole", Le Monde (23 gennaio 2023).
[25] Vedi il complotto dei "Reichsburger”
[26] Wilfred Wan, Direttore del programma Armi di distruzione di massa del SIPRI, Rapporto del SIPRI (5 dicembre 2022).
[27] Ammiraglio R. Bauer, capo del comitato militare della NATO in Defense One
[28] L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità [114]
[29] Ibidem
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/tag/1/22/rivista-internazionale
[2] https://it.internationalism.org/content/rapporto-sulla-struttura-e-sul-funzionamento-delle-organizzazioni-rivoluzionarie-conferenza
[3] https://fr.internationalism.org/rinte64/bc.htm
[4] https://fr.internationalism.org/rinte65/bc.htm
[5] https://fr.internationalism.org/french/rinte50/decadence.htm
[6] https://it.internationalism.org/rint/3_dibattito
[7] https://it.internationalism.org/cci/201603/1359/rapporto-sul-ruolo-della-cci-in-quanto-frazione
[8] https://it.internationalism.org/rivistainternazionale/200803/578/tesi-sulla-crisi-economica-e-politica-in-urss-e-nei-paesi-dellest
[9] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[10] https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia
[11] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[12] https://it.internationalism.org/rivistainternazionale/200803/579/delle-difficolta-accresciute-per-il-proletariato
[13] https://it.internationalism.org/content/1502/risoluzione-sul-rapporto-di-forza-tra-le-classi-2019
[14] https://it.internationalism.org/rint/28_tesi_studenti
[15] https://it.internationalism.org/content/movimento-degli-indignati-spagna-grecia-e-israele-dallindignazione-alla-preparazione-delle
[16] https://it.internationalism.org/content/1316/conferenza-internazionale-straordinaria-della-cci-la-notizia-della-nostra-scomparsa-e
[17] https://it.internationalism.org/rint/20_settarismo
[18] https://it.internationalism.org/content/1490/nuevo-curso-e-una-sinistra-comunista-spagnola-da-dove-viene-la-sinistra-comunista
[19] https://it.internationalism.org/content/1521/chi-ce-nuevo-curso
[20] https://it.internationalism.org/cci/201612/1372/sul-problema-del-populismo
[21] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[22] https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[23] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/risoluzioni-del-congresso
[24] https://fr.internationalism.org/content/9815/mouvement-des-gilets-jaunes-revolte-populaire-sans-perspective
[25] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/criticahegel.htm
[26] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/sacra-famiglia/4.htm
[27] https://en.internationalism.org/wr/304/chartism-1848
[28] https://it.internationalism.org/content/testo-di-orientamento-2001-la-fiducia-e-la-solidarieta-nella-lotta-del-proletariato-1a-parte
[29] https://it.internationalism.org/content/1410/risoluzione-sulla-lotta-di-classe-internazionale
[30] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1845/situazione/3.htm
[31] https://www.leftcom.org/en/articles/2016-02-21/post-capitalism-via-the-internet-according-to-paul-mason-
[32] https://en.internationalism.org/content/14136/deliveroo-ubereats-struggles-precarious-and-immigrant-workers
[33] https://www.bbc.com/news/business-45734662
[34] https://en.internationalism.org/icconline/201808/16494/iraq-marching-against-war-machine
[35] https://en.internationalism.org/content/16599/internationalist-voice-and-protests-middle-east
[36] https://en.internationalism.org/content/16684/response-internationalist-voice-strikes-iran
[37] https://it.internationalism.org/tag/2/40/coscienza-di-classe
[38] https://it.internationalism.org/cci/201602/1352/a-40-anni-dalla-fondazione-della-cci-quale-bilancio-e-quali-prospettive-per-la-nostr
[39] https://it.internationalism.org/manifesto-91
[40] https://en.internationalism.org/content/2736/historic-course
[41] https://en.internationalism.org/content/3204/after-collapse-eastern-bloc-destabilization-and-chaos
[42] https://it.internationalism.org/tag/3/44/corso-storico
[43] https://it.internationalism.org/content/1617/rapporto-su-pandemia-e-sviluppo-della-decomposizione
[44] https://it.internationalism.org/content/1642/rapporto-sulla-crisi-economica-del-24deg-congresso-della-cci
[45] https://it.internationalism.org/content/1627/rapporto-sulla-lotta-di-classe-internazionale
[46] https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021
[47] https://www.amnesty.org
[48] https://it.internationalism.org/content/1570/dibattito-interno-alla-cci-sulla-situazione-internazionale
[49] https://it.internationalism.org/rint/22_parassitismo
[50] https://fr.internationalism.org/rinte65/marc.htm
[51] https://fr.internationalism.org/rinte66/marc.htm
[52] https://fr.internationalism.org/rinte97/13congres.htm
[53] https://it.internationalism.org/content/1479/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2019-conflitti-imperialisti-vita-della
[54] https://fr.internationalism.org/content/10255/rapport-pandemie-covid-19-et-periode-decomposition-capitaliste-juillet-2020
[55] https://fr.internationalism.org/rint130/17_congr%C3%A8s_du_cci_resolution_sur_la_situation_internationale.html
[56] https://fr.wikipedia.org/wiki/The_New_York_Times
[57] https://fr.internationalism.org/rinte110/extreme.htm
[58] https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/05/14/origines-du-covid-19-la-divulgation-de-travaux-inedits-menes-depuis-2014-a-l-institut-de-virologie-de-wuhan-alimente-le-trouble_6080154_3244.html
[59] https://it.internationalism.org/tag/2/25/decadenza-del-capitalismo
[60] https://it.internationalism.org/content/1593/lirruzione-della-decomposizione-sul-terreno-economico-rapporto-luglio-2020
[61] https://www.banquemondiale.org/fr/news/press-release/2020/06/08/covid-19-to-plunge-global-economy-into-worst-recession-since-world-war-ii
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[63] https://www.aeutransmer.com/2020/03/02/el-80-de-las-multinacionales-tiene-planes-para-repatriar-su
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[73] https://aviacionline.com/2020/12/japon-aprueba-presupuesto-militar-record-para-el-2021/
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[78] https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/documents/briefingnote/wcms_767223.pdf
[79] https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/---publ/documents/publication/wcms_757159.pdf
[80] https://en.internationalism.org/forum/16901/internal-debate-icc-international-situation
[81] https://en.internationalism.org/content/16735/debate-balance-class-forces
[82] https://it.internationalism.org/cci/201405/1311/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-20%C2%B0-congresso-della-cci
[83] https://it.internationalism.org/content/1533/rapporto-sulla-lotta-di-classe-il-23deg-congresso-internazionale-della-cci-2019
[84] https://it.internationalism.org/content/proteste-israele-mubarak-assad-netanyahu-sono-tutti-uguali
[85] https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro
[86] https://en.internationalism.org/content/16907/protests-health-sector-putting-national-unity-question
[87] https://it.internationalism.org/content/1596/trentanni-fa-moriva-il-nostro-compagno-marc-chirik
[88] https://fr.internationalism.org/rinte43/polemique.htm
[89] https://it.internationalism.org/content/la-cultura-del-dibattito-unarma-della-lotta-di-classe
[90] https://markhayes9.wixsite.com/website/post/notes-on-the-bourgeois-counter-offensive-in-the-1980s
[91] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria
[92] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj90tPp7ZqAAxUMgP0HHdDeBq4QFnoECB4QAQ&url=https%3A%2F%2Fwww3.weforum.org%2Fdocs%2FWEF_Global_Risks_Report_2023.pdf&usg=AOvVaw1EADbQK9m2ctlAriPYg3eP&opi=89978449
[93] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwiVp4e77pqAAxUygf0HHcFvDZYQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.weforum.org%2F&usg=AOvVaw34tGl07or1r2aEqo5YENFx&opi=89978449
[94] https://it.internationalism.org/content/1694/unestate-di-rabbia-gran-bretagna-la-classe-dominante-chiede-altri-sacrifici-la-risposta
[95] https://en.internationalistvoice.org/
[96] https://www.istitutoonoratodamen.it/
[97] http://communistleft.jinbo.net/xe/
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[99] https://fr.internationalism.org/content/10940/revue-internationale-ndeg170
[100] https://en.internationalism.org/content/17377/update-theses-decomposition-2023
[101] https://fr.internationalism.org/content/11034/rapport-decomposition
[102] https://it.internationalism.org/content/1724/un-comitato-che-trascina-i-partecipanti-un-vicolo-cieco
[103] https://it.internationalism.org/content/1665/dichiarazione-congiunta-dei-gruppi-della-sinistra-comunista-internazionale-sulla-guerra
[104] https://en.internationalism.org/content/17360/resolution-international-situation-25th-icc-congress
[105] https://fr.internationalism.org/content/11019/resolution-situation-internationale
[106] https://it.internationalism.org/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/corrente-comunista-internazionale
[107] https://fr.internationalism.org/rinte20/edito.htm
[108] https://fr.wikipedia.org/wiki/Eurasie
[109] https://fr.internationalism.org/rinte23/proletariat.htm
[110] https://fr.internationalism.org/rinte35/reso.htm
[111] https://fr.internationalism.org/rinte37/debat.htm
[112] https://it.internationalism.org/content/1600/marc-70-anni-di-vita-e-di-lotta-la-classe-operaia
[113] https://it.internationalism.org/content/1719/il-capitalismo-porta-alla-distruzione-dellumanita-solo-la-rivoluzione-proletaria
[114] https://it.internationalism.org/content/1720/laccelerazione-della-decomposizione-capitalista-pone-apertamente-la-questione-della
[115] https://it.internationalism.org/rint29/risoluzioneinternazionale
[116] https://fr.internationalism.org/french/rint/107_cours_historique.html
[117] https://it.internationalism.org/content/1693/militarismo-e-decomposizione-maggio-2022
[118] https://it.internationalism.org/content/1695/sulla-storia-dei-gruppi-no-war-class-war
[119] https://fr.internationalism.org/content/10771/signification-et-impact-guerre-ukraine
[120] https://fr.internationalism.org/content/11035/rapport-lutte-classe-25e-congres-du-cci
[121] https://it.internationalism.org/tag/3/49/imperialismo