Inviato da RivoluzioneInte... il
Nella sua fase di declino finale, la società capitalista ha dato vita a diversi tipi di “crisi di identità”. L'atomizzazione di questo sistema di produzione generalizzata di merci ha raggiunto nuovi livelli, tanto per la vita sociale nel suo insieme, quanto per le reazioni contro la miseria dilagante e l'oppressione generata da questo sistema. Da un lato, gruppi o individui che patiscono particolari oppressioni sono portati a mobilitarsi in quanto gruppi specifici per contrastarle – in quanto donne, omosessuali, transessuali, minoranze etniche e altro - e talvolta competono tra loro, come si può osservare dall’attuale scontro tra attivisti transessuali e alcuni rami del femminismo. Contemporaneamente, queste manifestazioni di “politica identitaria” vengono fatte proprie dall'ala sinistra della borghesia, almeno dai suoi settori politici più distinti accademicamente e più potenti (come il Partito Democratico negli Stati Uniti).
Allo stesso tempo, l'ala destra della borghesia, mentre si lamenta dell'emergere di queste politiche identitarie difende le sue proprie forme di ricerca dell’identità: la ricerca del Vero Uomo minacciata dallo spettro del femminismo, la nostalgia per l'Uomo Bianco che sarebbe sostituito dalle orde straniere.
La ricerca di queste identità e comunità, quantomeno parziali e spesso del tutto fittizie, è solo un’espressione del carattere di estraneità dell'umanità verso se stessa in un momento in cui una vera comunità umana universale è allo stesso tempo possibile e indispensabile per la sopravvivenza della specie.
E soprattutto, come altre manifestazioni di decomposizione sociale, è il prodotto della perdita dell'unica identità la cui affermazione può portare alla creazione di una tale comunità, che si chiama comunismo: l’identità di classe del proletariato. Il recente movimento dei Gilets gialli in Francia ci fa capire quali pericoli potrebbero derivare da una tale perdita di identità: un gran numero di lavoratori, giustamente infuriati dai continui attacchi contro le loro condizioni di vita, mobilitati non per i propri interessi, ma dietro le rivendicazioni e le azioni di altre classi sociali - in questo caso la piccola borghesia e parte della stessa borghesia[1]
L'identità di classe del proletariato è per natura rivoluzionaria
Lo sfruttamento della classe operaia è la pietra angolare dell'intero edificio capitalista. Non è, come i sostenitori della politica identitaria apertamente o ipocritamente difendono, una semplice oppressione degli uni verso gli altri. Perché, nonostante tutti i cambiamenti in atto da due secoli, il capitalismo continua a dominare il mondo e ciò che Karl Marx scrisse nel 1844 sulla natura rivoluzionaria del proletariato rimane più attuale che mai. È una classe la cui lotta contro il capitalismo contiene la soluzione a tutti i “problemi particolari” causati da questa società:
Dobbiamo formare una classe con cambiamenti radicali, una classe della società borghese che non sia una classe della società borghese, una classe che sia lo scioglimento di tutte le classi, una sfera che abbia un carattere universale per le sue sofferenze universali e che non rivendichi alcun diritto particolare, perché non le è stato fatto un particolare torto, ma un torto in sé, una sfera che non può più riguardare un titolo storico, ma semplicemente un titolo umano, una sfera che non sia in una particolare opposizione con le conseguenze, ma in una generale opposizione con tutte le ipotesi del sistema politico tedesco, una sfera che alla fine non può emanciparsi senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società e senza di conseguenza, emanciparle tutte, che è, in una parola, la perdita completa dell'uomo, e che può quindi conquistare se stessa solo con il completo rinnovamento dell'uomo. La decomposizione della società come classe speciale è il proletariato[2]
Ne La sacra famiglia, scritta nello stesso periodo, Marx ha spiegato che la classe operaia è per sua natura una classe rivoluzionaria, anche se non ne è consapevole:
Se gli autori socialisti attribuiscono al proletariato questo ruolo storico, ciò non è sufficiente, come la critica cerca di farci credere, perché considerano i proletari come dei. Piuttosto è l’inverso. Nel proletariato pienamente sviluppato si ritrova praticamente l'astrazione di tutta l'umanità, persino l'apparenza dell'umanità, nelle condizioni di vita del proletariato sono condensate tutte le condizioni di vita della società attuale in ciò che possono avere di più inumano. Nel proletariato infatti, l'uomo ha perso se stesso, ma allo stesso tempo ha acquisito la consapevolezza teorica di questa perdita e la miseria che non può più evitare o ritardare, la miseria che inevitabilmente si impone - espressione pratica della necessità - lo costringe direttamente a ribellarsi contro tale disumanità, motivo per cui il proletariato può, e deve necessariamente, liberarsi. E non può liberare se stesso senza abolire le proprie condizioni di vita.
Non può abolire le sue condizioni di vita senza abolire tutte le condizioni di vita disumane della società di oggi, che riassume la sua situazione. Non è inutile che attraversi la dura ma fortificante scuola del lavoro. Non si tratta di sapere quale obiettivo uno o altro proletario, o persino l'intero proletariato, persegua momentaneamente. Si tratta di sapere cos'è il proletariato e cosa sarà storicamente obbligato a fare, in conformità con questo essere[3].
L'identità di classe è quindi una base oggettiva che rimane inalterabile finché esiste il capitalismo, ma la coscienza soggettiva di “ciò che è il proletariato” è stata a lungo tenuta in secondo piano dal lato negativo della condizione proletaria: il fatto che “nel proletariato, l'uomo si è perso”, che è una classe che sopporta tutto il peso dell'alienazione umana. Nelle opere successive, Marx spiegherà che le particolari forme assunte dall'alienazione nella società capitalista - il processo chiamato “reificazione”, il velo di mistificazione inerente allo scambio universale di merci - rende particolarmente difficile per gli sfruttati comprendere la vera natura del loro sfruttamento e la vera identità dei loro sfruttatori. Ed è per questo che deve esserci una “coscienza teorica di questa perdita” e il socialismo deve diventare scientifico nei suoi metodi. Ma questa coscienza teorica non è in alcun modo separata dalle reali condizioni del lavoro e dalla sua rivolta contro la disumanità dello sfruttamento capitalistico.
Quando Marx scrive che la classe operaia “non può emanciparsi senza abolire le condizioni della propria esistenza”, coloro che sostengono quella che viene chiamata corrente “comunizzatrice”, ne approfittano per affermare che qualsiasi affermazione dell'identità di classe può essere solo reazionaria, poiché si tratta di un'esaltazione di ciò che il proletariato è nella società capitalista, mentre la rivoluzione comunista richiede l'immediata negazione di sé della classe operaia. Ma così si perde di vista la realtà dialettica della classe operaia come una classe che è sia nella società capitalista che fuori, una classe sfruttata e rivoluzionaria allo stesso tempo. Come Marx, dobbiamo insistere sul fatto che il proletariato, affermando se stesso sia a livello di lotte economiche e politiche sia come candidato alla direzione politica della società, potrà aprire la via per la vera dissoluzione di tutte le classi e per la “completa riconquista” dell'umanità. Questo è il motivo per cui questo rapporto si concentrerà in particolare sul problema dell'identità di classe: dal suo sviluppo iniziale nella fase ascendente del capitalismo alla sua successiva perdita e alla riappropriazione futura.
Formazione dell'identità di classe
Per definizione, il proletariato è la classe dell'espropriazione. Inizialmente si formò attraverso l'espropriazione della piccola proprietà contadina, degli strumenti di produzione dell'artigiano e fu raggruppata in baraccopoli infestate da malattie della nascente società industriale. In La situazione della classe operaia in Inghilterra, Engels descrisse ampiamente gli effetti demoralizzanti di questo processo, che portava molti proletari all'ubriachezza e al crimine, sottoponendoli alla competizione più brutale tra loro. Ma Engels respinse qualsiasi condanna morale delle reazioni puramente individuali alla loro condizione e avanzò l'alternativa che poi prese forma: la lotta collettiva dei lavoratori per il miglioramento della loro condizione attraverso la formazione di sindacati, associazioni culturali e educative e partiti politici come i Cartisti - tutto ciò in definitiva ispirato dalla visione di una forma superiore di società. La concentrazione di lavoratori nelle città e nelle fabbriche era la premessa oggettiva di questa lotta. È una delle dimensioni del lavoro associato che supera il relativo isolamento dell'artigiano e dell'agricoltore; ma aldilà di costituire un processo puramente “sociologico”, il meccanismo dell'inizio dell'industrializzazione era così brutale e traumatico da portare alla produzione di una massa di poveri indifferenti e persino all'estinzione del proletariato a causa di carestia e malattie. È il riconoscimento di un interesse comune di classe, opposto a quello della borghesia, che è stata la vera base dell'identità di classe iniziale del proletariato. La “costituzione del proletariato in classe”, come afferma il Manifesto comunista, era quindi inseparabile dallo sviluppo della coscienza di classe e dell'organizzazione e “di conseguenza in partito politico”, come si legge successivamente. La classe lavoratrice non è solo una classe associata in sé, non lo è solo obiettivamente: l'associazione come premessa di una nuova forma superiore di organizzazione sociale può solo prendere forma dal momento in cui la dimensione soggettiva, l'autoorganizzazione e l'unificazione della lotta di classe contro lo sfruttamento sono riusciti a concretizzarsi all'interno della relazione sociale capitalista.
Ma il proletariato rimane la classe dell'espropriazione e ciò si applica alla fine agli stessi strumenti che ha creato per la propria difesa. I primi sindacati e partiti politici motivati dalla comprensione che il proletariato non era ancora una classe della società civile, rispetto al suo progetto di dissoluzione dell'ordine esistente, erano quindi vincolati anche dalla necessità della classe di migliorare le proprie condizioni all'interno del sistema.
E contrariamente alle aspettative iniziali dei fondatori del marxismo, questo sistema era ancora lontano da qualsiasi “crisi finale” o dal suo periodo di declino e più il proletariato ha forgiato le sue organizzazioni in modo esteso e per periodi sempre più lunghi più il pericolo era che queste diventassero “parte della società civile”, istituzionalizzandosi. Come notò Engels nel 1892: a un certo livello, “i sindacati, finora considerati come un'invenzione del diavolo, sono ora apprezzati e considerati istituzioni perfettamente legittime e come mezzi utili per diffondere buone dottrine economiche tra i lavoratori”[4].
Analizzando un’amara esperienza politica, sappiamo che il percorso verso la rivoluzione non passa attraverso la graduale costruzione di organizzazioni di massa proletarie all'interno del sistema. Al contrario, quando la vera prova ebbe luogo con l'inizio della decadenza, queste organizzazioni, che lentamente ma sicuramente erano state corrotte dalla società dominante e dalla sua ideologia, furono definitivamente recuperate dalla classe dominante per aiutarla a scatenare una guerra imperialista e combattere la minaccia della rivoluzione.
Non è stato un processo lineare. Al proletariato è stato costantemente ricordato che si tratta essenzialmente di una classe illegale, una forza per la rivoluzione. I suoi primi sforzi per costruire le più semplici associazioni per l'autodifesa furono brutalmente spazzati via dalla borghesia, che impiegò molto tempo a capire che avrebbe potuto utilizzare le organizzazioni dei lavoratori contro loro stessi. Inoltre, le condizioni politiche della metà del XIX secolo in Europa portarono il proletariato a lotte apertamente insurrezionali contro la classe dominante in Europa, almeno in due momenti chiave: il 1848 e il 1871. In Francia, già la patria della rivoluzione dopo l'esperienza del 1789/93, la classe operaia prese le armi contro lo Stato e, in particolare nel 1871, si pose concretamente il problema della sua distruzione sostituendolo con la dittatura del proletariato. Ma questi movimenti di classe che aprirono la strada per un futuro rivoluzionario non si limitarono alla Francia: in Inghilterra, paese di “riforme graduali”, il movimento di sciopero del 1842 aveva già mostrato le caratteristiche di uno sciopero di massa che sarà la modalità di lotta tipica del periodo successivo[5].
Lo stesso movimento cartista aveva ritenuto che la rivendicazione di suffragio universale fosse utile alla classe operaia per impadronirsi del potere politico e non si limitò a petizioni verso la borghesia: creò un settore per lo “scontro fisico” che, durante l'insurrezione di Newport nel 1839, non esitò a scontrarsi contro il regime[6].
La formazione della Prima Internazionale nel 1864, anche se nacque dalla necessità di coordinare a livello internazionale per lotte difensive, fu un ulteriore indicatore del fatto che per la classe operaia, che si opponeva frontalmente alla società borghese, la vera identità cosciente di classe non avrebbe potuto inserirsi nel quadro dello Stato-nazione.
La paura che l'Internazionale e la Comune di Parigi hanno ispirato all’interno della borghesia, nonché le condizioni oggettive dell'espansione capitalista globale nell'ultima parte del XIX secolo, hanno fornito le basi per una possibile integrazione delle organizzazioni operaie di massa nella società borghese e infine all'interno dello stesso apparato statale. A questi fattori si possono aggiungere le confusioni e le concessioni opportunistiche emerse all'interno del movimento proletario, in particolare l'identificazione del proletariato con l'interesse nazionale che la Seconda Internazionale, con la sua struttura federale e le sue difficoltà per capire l'evoluzione della questione nazionale, non è mai stato in grado di superare.
Ma il senso di identità di classe emerso durante questo lungo periodo di socialdemocrazia, un periodo in cui il movimento operaio organizzato offriva a un’intera generazione di lavoratori, non solo organi di difesa economica e di attività politica, ma un'intera vita sociale e culturale, non è affatto scomparso con l'apertura del periodo di decadenza del capitalismo. Al contrario, si è trasformato in una mistificazione ostile al proletariato, cominciando a “pesare come un incubo sul cervello dei vivi”, la socialdemocrazia e lo stalinismo l'avevano particolarmente utilizzato per perpetuare il loro controllo sulla classe operaia: L'identità di classe è il riconoscimento da parte del proletariato che esso costituisce una classe diversa e contraria alla borghesia e che ha un ruolo attivo nella società, ma ciò non significa meccanicamente che si riconosca come la classe rivoluzionaria. Per molti anni, l'identità di classe ruotava attorno al concetto di una classe della società capitalista che aspirava a un tenore di vita dignitoso e godeva di riconoscimento e potere sociale. Tale identità è stata costruita dalla controrivoluzione e soprattutto dai sindacati e dallo stalinismo, basandosi su alcune debolezze risalenti al periodo della Seconda Internazionale: un operaio, combattivo, interessato ai suoi diritti nella società, riconosciuto da essa, legato a grandi aziende e quartieri della classe operaia, orgoglioso del suo status di “cittadino lavoratore della società” e chiuso nel mondo di una “grande famiglia della classe operaia”.
Tale identità era legata a un periodo molto preciso dell'apogeo del Capitalismo (1870-1914), ma il suo mantenimento nel periodo di decadenza, in cui si conferma la profonda esclusione del proletariato dalla società borghese annunciato da Marx, è diventato una grande mistificazione perché rappresenta una falsa identità, molto pericolosa, piena di illusioni di integrazione nella società capitalista, di accomodamento e distruzione della vera identità e coscienza di classe. L'unica possibile identità per il proletariato è quella di una classe esclusa da questa società e che porta al suo interno la prospettiva comunista[7].
Le fasi principali dell'espropriazione dell'identità di classe nell’epoca della decadenza
Il testo sul rapporto di forza tra le classi adottato dal nostro organo centrale internazionale nell'aprile 2018, che fa riferimento al nostro Testo di orientamento (TO) sulla fiducia e la solidarietà[8], evidenzia due fasi nella storia del movimento operaio dopo il 1848. Si concentra sullo sviluppo e sulla perdita di fiducia in se stessi da parte della classe lavoratrice, ma questa questione è strettamente legata al problema dell'identità di classe: la classe lavoratrice può fidarsi solo se è consapevole della propria esistenza e dei propri interessi:
“Durante la prima fase, dall'inizio della sua autoaffermazione come classe autonoma sino all'ondata rivoluzionaria del 1917-23, la classe operaia fu in grado, nonostante una serie di sconfitte spesso sanguinose, di sviluppare in modo più o meno continuo la fiducia in se stessa e la sua unità politica e sociale.
Le manifestazioni più importanti di questa capacità sono state, oltre alle lotte dei lavoratori stessi, lo sviluppo di una visione socialista, di una capacità teorica, di una organizzazione politica rivoluzionaria.
Questo processo di accumulazione, opera di decenni di generazioni, è stato interrotto e persino invertito dalla controrivoluzione. Solo piccole minoranze rivoluzionarie sono state in grado di mantenere la loro fiducia nel proletariato nel corso dei decenni. La rinascita storica della classe operaia nel 1968, che pose fine alla controrivoluzione, ha iniziato a rovesciare questa tendenza. Tuttavia, le nuove espressioni di autostima e solidarietà di classe mostrate da questa nuova generazione proletaria non sconfitta, sono rimaste per lo più radicate nelle lotte immediate. Non si sono fondate, come nel periodo precedente alla controrivoluzione, su una visione socialista e una formazione politica, su una teoria di classe e sulla trasmissione di esperienze accumulate e sulla comprensione da un generazione all'altra.
In altre parole, la fiducia in se stessi storica del proletariato e la sua tradizione di unità attiva e di lotta collettiva appartengono agli aspetti della sua lotta che hanno risentito maggiormente della rottura della continuità organica. Allo stesso modo, sono tra gli aspetti più difficili da ripristinare, poiché dipendono più di altri da una continuità politica e sociale vivente. Ciò a sua volta provoca una particolare vulnerabilità delle nuove generazioni della classe e delle sue minoranze rivoluzionarie.”
Possiamo aggiungere che anche prima del colpo di grazia della sconfitta della prima ondata rivoluzionaria, il grande tradimento del 1914/18 aveva significato per la classe la perdita di decenni di lavoro paziente nella costruzione dei suoi sindacati e partiti politici, una perdita che era particolarmente complicato accettare e comprendere per la classe operaia: anche tra i rivoluzionari che si opponevano a questo tradimento, solo una minoranza fu in grado di capire che queste organizzazioni erano state irrimediabilmente perse per la classe. Successivamente, con l'emergere dello Stalinismo, non ci fu solo una difficoltà di comprensione, ma la base per la costruzione della falsa identità menzionata nel “rapporto sulle prospettive” (vedi nota 7).
Ma mentre questo terribile fardello ereditato dal passato non poteva che avere un impatto disastroso sul progresso dell'ondata rivoluzionaria - che è stato espresso in particolare attraverso la teoria e la pratica del Fronte unico - questo periodo in particolare ha messo in luce la nuova forma di identità di classe rappresentata dallo sciopero di massa, dalla formazione dei consigli e dalla fondazione della Terza Internazionale.
Come aveva già detto Marx, il proletariato o è rivoluzionario o non è: questa riscoperta dell'identità di classe non era davvero “nuova”, ma ha semplicemente espresso “ciò che è il proletariato” nell’epoca di guerre e rivoluzioni; la classe può recuperare la sua identità solo organizzandosi al di fuori di qualsiasi istituzione esistente e in diretta antitesi con la società capitalista.
I decenni di controrivoluzione che seguirono approfondirono questo processo di espropriazione. Negli anni ‘30 il proletariato si trovò di fronte alla più importante crisi economica nella storia del capitalismo, la prima vera crisi economica della decadenza. Ma i partiti comunisti creati per opporsi al tradimento del 1914 abbandonarono l'internazionalismo a favore della famigerata teoria del socialismo in un solo paese e, attraverso i Fronti popolari, cercarono di dissolvere politicamente la classe operaia nel concetto di nazione e quindi prepararla per la guerra. Perfino i sindacati anarchici, che avevano conservato un certo carattere operaio in Spagna, cedettero a questo nuovo tradimento. Lo scoppio della guerra nel 1939 non significò, contrariamente a quanto sostenuto da Vercesi, la “scomparsa sociale del proletariato” e quindi l'inutilità di qualsiasi attività politica organizzata per i rivoluzionari. Finché sopravvive il capitalismo, la scomparsa sociale del proletariato è impossibile e la formazione di minoranze rivoluzionarie obbedisce a un bisogno permanente all'interno della classe. Ma questo certamente significava un ulteriore passo avanti nella sua confusione politica, non solo a causa del terrore fascista e stalinista, ma, più insidiosamente, a causa della sua integrazione nel progetto di difesa della democrazia. E questo include anche la rapida integrazione dell'opposizione trotzkista nello sforzo bellico e la dispersione delle sue fazioni di sinistra. Il proletariato si manifestò alla fine della guerra in alcuni paesi, in particolare in Italia nel 1943, ma contrariamente alle aspettative di gran parte della Sinistra comunista italiana (incluso Vercesi), ciò non significò un'inversione della controrivoluzione.
La controrivoluzione, che prese forme sempre più totalitarie, continuò durante il periodo della prosperità post-bellica, perché il Capitale scoprì nuovi modi per sabotare la coscienza che il proletariato ha di se stesso. Fu durante questo periodo “che i sociologi potettero teorizzare "l'imborghesimento" della classe operaia, conseguenza dell'espansione del consumismo e dello sviluppo dello Stato assistenziale. Del resto, dal 1945, questi due aspetti del capitalismo avrebbero costituito un importante peso in più nell’ostacolare maggiormente la classe operaia a ricostituirsi in forza rivoluzionaria: il consumismo atomizzava la classe operaia, e diffondeva l'illusione che ciascuno poteva raggiungere il paradiso della proprietà individuale; l'assistenzialismo statale - che spesso veniva introdotto dai partiti di sinistra e presentato come una conquista della classe operaia, rappresentava uno strumento ancora più significativo del controllo capitalista. Esso sabotava la fiducia della classe operaia in se stessa e la rendeva dipendente della benevolenza dello Stato; in seguito, in una fase di massiccia immigrazione, la sua organizzazione in Stato nazionale significò che la questione dell'accesso alle cure, all'alloggio, e ad altre prestazioni sarebbe diventata un potente fattore di isolamento degli immigrati e di divisioni nella classe operaia.”[9].
Il ritorno della lotta di classe dopo il 1968, che raggiunse il punto più alto durante lo sciopero di massa polacco nel 1980, confutò l'idea che la classe operaia fosse stata integrata nel capitalismo e ci diede una nuova visione della sua identità, una forza cioè che si esprime solo rompendo le proprie catene istituzionali. Gli scioperi selvaggi al di fuori dei sindacati, le assemblee generali e i comitati di sciopero revocabili, la forte tendenza all’estensione della lotta - embrioni o manifestazioni correnti dello sciopero di massa – tornarono con la prospettiva dei consigli operai. Allo stesso tempo, ciò fornì il terreno fertile per un rilancio ancora piccolo ma importante del movimento comunista che stava per scomparire negli anni '50 - prerequisito fondamentale per la formazione di un nuovo partito mondiale.
E oggi il passaggio sopra citato del TO sulla fiducia e la solidarietà, mostra come il maggio 68 e i movimenti che ne seguirono, portarono la questione di una nuova società a un livello teorico, anche se la lotta di classe è rimasta su un terreno economico e non è stata in grado di crescere fino a un confronto politico con il capitalismo. I limiti del rinnovamento proletario sono legati alla nuova fase di decomposizione, che ha visto il proletariato molto vicino a perdere completamente la sua identità di classe.
L’identità di classe nel periodo di decomposizione
Per capire come, dalla fine degli anni '80, la consapevolezza che il proletariato ha di se stesso come forza sociale stia diminuendo, è necessario esaminare le sue diverse dimensioni separatamente, al fine di capire come operano insieme.
Tanto per cominciare, una società capitalista le cui premesse tendono a sgretolarsi, una società in aperta disintegrazione, che ha decenni di declino ed è bloccata nella sua evoluzione, tende più o meno automaticamente ad aggravare l'atomizzazione sociale che è stata una delle caratteristiche di questa società sin dalle sue origini, come già notato da Engels in La condizione della classe operaia in Inghilterra:
E anche se sappiamo che questo isolamento dell'individuo, questo egoismo limitato è ovunque il principio fondamentale della società attuale, essi non appaiono da nessuna parte con una chiarezza così grande che, precisamente, nella moltitudine della grande città. La disintegrazione dell'umanità in monadi, ognuna delle quali ha un particolare principio di vita e un fine particolare, questa atomizzazione del mondo è spinta qui all'estremo[10]. Nella fase finale di questa società, la guerra di tutti contro tutti si intensifica a tutti i livelli: aumentano le distanze tra gli individui, la violenta competizione tra bande di strada, del quartiere o del vicinato, la frenetica lotta tra imprese per l'accesso a un mercato limitato, dal crescente caos della concorrenza militare tra Stati e proto-Stati a livello internazionale. Questa tendenza è quindi alla base della ricerca di una comunità basata sulla ridotta identità a cui prima ci riferivamo - una reazione contro l'atomizzazione che serve solo a rafforzarla ad un altro livello. Questa disgregazione del tessuto sociale opera continuamente e in modo insidioso all'esatto opposto del potenziale di unificazione del proletariato intorno ai propri interessi comuni - in altre parole, alla ricostruzione dell'identità di classe proletaria.
Certo, anche la borghesia è direttamente interessata dallo stesso processo - come abbiamo notato in relazione alla sua diminuita capacità di controllare il suo apparato politico e alle sue crescenti difficoltà nel mantenere alleanze nelle relazioni statali. Ma a differenza della classe operaia, la borghesia può in qualche modo utilizzare gli effetti della decomposizione a proprio vantaggio e persino rafforzarli.
Il crollo del blocco dell’Est, ad esempio, è stato il primo esempio del processo “oggettivo” di decomposizione, creato dalla natura più profonda e irrisolvibile della crisi economica. Ma a causa delle particolari circostanze storiche implicate nella formazione di questo blocco - il risultato della sconfitta di una rivoluzione proletaria che ha permesso l'emergere di un sistema apparentemente diverso dal capitalismo occidentale - la borghesia è riuscita da questi eventi a sferrare un attacco ideologico al proletariato, alla sua coscienza di classe, che ha avuto un ruolo significativo nel riflusso delle lotte negli anni 1990. Di fronte a una classe operaia che, già durante le ondate di lotte post-68 ha affrontato notevoli difficoltà nello sviluppare una prospettiva per la sua resistenza, la campagna sulla “morte del comunismo” ha attaccato un aspetto essenziale della coscienza di classe: la sua capacità di guardare avanti e trovare un orientamento per il futuro. Ma queste campagne non si sono fermate a questo punto: hanno portato avanti l’idea non solo della fine di qualsiasi alternativa al capitalismo, ma anche quella della lotta di classe e della stessa classe operaia. In tal modo, la stessa borghesia ha mostrato la sua capacità a sabotare l’identità di classe, strumento per combattere la minaccia di una rivoluzione proletaria.
Un terzo aspetto dell'indebolimento dell'identità di classe nel periodo di decomposizione è collegato a questo. In effetti, l'insistenza sul fatto che la classe operaia sia in pericolo o una specie estinta è profondamente legata ai cambiamenti strutturali che la classe dominante è stata costretta a introdurre in risposta alla crisi economica del suo sistema, afferenti tutti al neoliberismo e globalizzazione fuorvianti, ma soprattutto il processo di “deindustrializzazione” dei più antichi centri capitalisti. Questo processo è stato ovviamente determinato dalla necessità di abbandonare le industrie non redditizie e di spostare il capitale in aree del globo dove gli stessi beni possono essere prodotti in modo molto più economico. Ma c'è sempre stato un elemento di classe direttamente antioperaio in questo processo: la borghesia era perfettamente consapevole, ad esempio, che occupandosi dei minatori chiudendo le miniere non solo l’avrebbe liberata da un settore non redditizio economicamente, ma le avrebbe permesso di dare un duro colpo in un settore molto combattivo della classe avversa. Naturalmente, delocalizzando intere industrie in Estremo Oriente e altrove, la borghesia ha creato nuove schiere di operai ingaggiati nella lotta di classe, ma resta il fatto che la classe lavoratrice industriale dei principali centri capitalisti rappresentava un pericolo particolare. La classe operaia non si limita al proletariato industriale, anche se questo settore è sempre stato al centro del movimento operaio e in particolare delle grandi lotte rivoluzionarie del passato, come dimostrato ad esempio dalla fabbrica Putilov durante la Rivoluzione russa, dagli operai della Ruhr durante la Rivoluzione tedesca, dagli operai della Renault durante lo sciopero di massa del maggio 1968 o quelli dei cantieri navali in Polonia nel 1980.
Con la chiusura di molte di queste vecchie industrie, il capitalismo ha tentato di creare un nuovo modello di classe operaia, in particolare nei settori dei servizi che, nei vecchi paesi capitalisti come la Gran Bretagna, si sono allontanati dai centri della vita economica. Questo modello si chiama “gig economy” e i suoi dipendenti sono spinti a non considerarsi lavoratori, ma come singoli imprenditori che, se lavorano duramente, possono diventare abbastanza grandi da negoziare i loro salari e le loro condizioni di lavoro con le aziende che li impiegano. Ancora una volta, questi cambiamenti sono stati alla fine dettati dalla ricerca del profitto, ma sono stati anche messi in atto dalla borghesia per impedire ai lavoratori di concepirsi come tali e come una parte di classe sfruttata.
Populismo e anti-populismo
Dal nostro ultimo Congresso nell'aprile 2017, la spinta populista è continuata, nonostante gli sforzi delle frazioni più centrali della borghesia per arginare questo fenomeno, come abbiamo visto con l'elezione di Macron in Francia e la “resistenza” organizzata dal Partito Democratico e parte dei servizi di sicurezza contro Trump negli Stati Uniti. La credibilità della Germania come barriera contro la diffusione del populismo è stata gravemente indebolita dall’incremento elettorale dell'AfD e da quello dei movimenti pogromisti come abbiamo visto a Chemnitz. Le divisioni e la quasi paralisi della borghesia inglese sulla Brexit si sono intensificate. L’instaurazione in Italia di un governo populista, in connessione con la crescente opposizione dei governi populisti nell'Europa orientale, pone seri problemi per il futuro dell'UE. La minaccia del separatismo catalano e di altri nazionalismi sull'unità dello Stato spagnolo non è stata superata.
In Brasile, la vittoria di Bolsonaro è un altro passo avanti nell'emergere di “leader forti” che difendono apertamente il terrore di Stato contro qualsiasi opposizione al loro potere. Infine, il fenomeno dei “Gilets gialli” in Francia e altrove mostra la capacità dei populisti, non solo di affermarsi in campo elettorale, ma anche in strada, nel corso di manifestazioni di grande ampiezza che potrebbero sembrare riprendere alcune delle preoccupazioni e persino metodi della classe operaia, pur avendo l'effetto di rendere ancora più confuso il significato dell'identità di classe.
Il populismo, con il suo linguaggio aggressivamente nazionalista e xenofobo, il suo disprezzo per l'evidenza e la ricerca scientifica, le sue manipolazioni cospirative e la relazione a malapena nascosta con la cruda violenza delle bande fasciste, è senza dubbio un puro prodotto di decomposizione, il segno che la classe capitalista, anche con le sue stesse parole, sta facendo marcia indietro di fronte al blocco storico tra le classi. Ma poiché emerge come un prodotto della decadenza sociale e tende a minare il controllo della borghesia su tutto il suo apparato economico e politico, la classe dominante può di nuovo usare i problemi generati dal populismo nella sua lotta permanente contro la coscienza di classe.
Ciò è evidente nel caso di quelle frazioni del proletariato che, a causa della mancanza di qualsiasi prospettiva di resistenza di classe contro il capitalismo e degli effetti della sua crisi, si sono rivolte direttamente al populismo e sono cadute in una nuova versione del “socialismo degli imbecilli”; l'idea che la loro miseria sia causata dalla crescente ondata di migranti e rifugiati, che sono a loro volta le truppe d'assalto delle sinistre élite che cercano di minare la cultura cristiana, bianca o nazionale. Queste illusioni si combinano con il loro sostegno incondizionato ai partiti populisti e ai demagoghi che si presentano come forze “anticasta”, come portavoce di “persone reali”. La presa di queste idee, che può anche condurre una minoranza significativa a compiere pogrom e azioni terroristiche, lavora chiaramente contro quei settori che trovano la loro vera identità come parte di una classe sfruttata, come sezioni della classe che è stata “abbandonata” non dalle trame di menti antinazionali, bensì dal peso spietato della crisi capitalista mondiale.
Ma, nel ricordare il famoso detto di Bordiga secondo cui “l'antifascismo è il peggior prodotto del fascismo”, dobbiamo sottolineare che l'opposizione borghese al populismo svolge un ruolo altrettanto importante nella truffa ideologica volta a impedire al proletariato di riconoscere che i suoi interessi di classe sono indipendenti da tutte le fazioni borghesi e antagonisti ai propri. Descrivendo all'inizio della sua Brochure di Junius l'atmosfera di pogrom che aveva invaso la Germania all'inizio della prima guerra mondiale, Rosa Luxemburg notò questo “clima di criminalità rituale, un'atmosfera di pogrom, dove l'unico rappresentante della dignità umana era l'agente di polizia dietro l'angolo”. Negli Stati Uniti, la stessa situazione è creata dalle dichiarazioni e dalle pratiche flagranti di un Trump, che si traduce nel fatto che sono i democratici, i repubblicani liberali, i giudici della Corte suprema e persino l'FBI e la CIA che sembrano essere i “buoni”. In Gran Bretagna, l'apparente dominio della vita politica da parte di una piccola banda di “Brextremists”, a sua volta legata a denaro sporco e persino manipolazioni dell'imperialismo russo, stimola lo sviluppo di una massiccia opposizione alla Brexit, che, sotto l'incoraggiamento pubblico di una parte dei media, può mobilitare fino a 750.000 persone per le strade di Londra per chiedere un secondo referendum. Sebbene spesso derisi come un movimento della classe media, tali mobilitazioni attraggono senza dubbio un gran numero di proletari urbani istruiti che sono infastiditi dalle bugie populiste, ma che non sono ancora in grado di staccarsi dalle fazioni di sinistra e liberali della borghesia.
In breve: l'intero dibattito politico tende a essere monopolizzato da questioni pro e anti-Trump, pro e anti-Brexit, ecc., un dibattito interamente circoscritto all'ideologia patriottica e democratica. L'opposizione borghese a Trump si presenta anch’essa come la Vera America di Trump e dei suoi sostenitori e condanna l'attuale amministrazione principalmente per le sue violazioni delle regole democratiche; allo stesso modo in Inghilterra, il dibattito ruota sempre intorno ai veri interessi del “nostro paese” e entrambe le parti si presentano essenzialmente come preoccupate della democrazia e della volontà popolare. Possiamo osservare la stessa polarizzazione nella “guerra culturale” che ha alimentato lo sviluppo del populismo: come abbiamo già sottolineato, il populismo è una forma di identità politica, che si presenta come il difensore esclusivo degli interessi di questa o quella nazione o gruppo etnico e intensifica così il reciproco scontro con tutte le altre forme di identità politica, siano le bande islamiste che servono a deviare l'ira di una classe di proletari particolarmente emarginati presenti nel ghetti urbani o campagne della sinistra relative a questioni di razza o di genere. Questa polarizzazione è la vera espressione di una società in disgregazione e sempre più divisa ma, di fronte al proletariato, il capitalismo decadente mostra il suo carattere totalitario, nella misura in cui questa vera polarizzazione occupa il terreno politico e sociale e tende a bloccare la nascita di un dibattito o di un'azione sul terreno del proletariato.
Il pericolo del nichilismo e il potenziale per la riconquista dell'identità di classe
Il mondo capitalista in decomposizione genera necessariamente un clima di apocalisse. Non ha un futuro da offrire all'umanità e il suo potenziale di distruzione è sempre più evidente per gran parte della popolazione mondiale. Le manifestazioni più estreme di questa sensazione che il mondo in cui viviamo è senza futuro si esprimono nelle contorte mitologie del jihadismo islamista o dell'estremo survivalismo cristiano di destra, ma anche in un clima molto più generale. I rapporti sempre più allarmanti di gruppi scientifici sul cambiamento climatico, la distruzione di specie e l'inquinamento tossico di ogni tipo si aggiungono a questa percezione di apocalisse: se gli scienziati ci dicessero che abbiamo 12 anni per prevenire un disastro ambientale è già chiaro a tutti che i governi e le aziende di tutto il mondo faranno poco o nulla per prendere le misure adatte, per paura di indebolire i vantaggi competitivi delle loro economie nazionali. Inoltre, con l'avvento dei governi populisti, la negazione del cambiamento climatico è diventata sempre più isterica di fronte ai pericoli reali che affliggono il mondo e si trasforma in puro vandalismo, il ritiro degli accordi internazionali e l’abolizione di qualsiasi limite allo sfruttamento della natura, come nel caso di Trump negli Stati Uniti o di Bolsonaro in Brasile.
Aggiunto al fatto che la guerra imperialista è diventata più caotica e imprevedibile perché un numero crescente di Stati ha ora accesso alle armi nucleari - e quindi non sorprende che il nichilismo e la disperazione siano molto più diffusi oggi di quanto non fossero nella seconda guerra mondiale – malgrado la prossimità dell’ombra d’Auschwitz e di Hiroshima e la minaccia di una guerra nucleare tra i due blocchi imperialisti.
Il nichilismo e la disperazione derivano da un sentimento di impotenza, una perdita di convinzione che esista un'alternativa all'incubo che prepara il capitalismo. Tendono a paralizzare il pensiero e la volontà di agire. E se l'unica forza sociale in grado di porre questa alternativa è praticamente inconsapevole della propria esistenza, ciò significa che i giochi sono fatti, che il punto di non ritorno è già stato superato? Siamo consapevoli che più il capitalismo si decompone, più mina le basi di una società più umana. Ciò è ancora più chiaramente illustrato dalla distruzione dell'ambiente, che sta accelerando la tendenza verso un collasso completo della società, condizione che non favorisce in alcun modo l'auto-organizzazione e la fiducia nel futuro, necessari per guidare una rivoluzione; e anche se il proletariato arrivasse al potere su scala mondiale, dovrebbe affrontare un lavoro gigantesco, non solo per ripulire il mercato che avrebbe lasciato l’accumulazione capitalista, ma anche per invertire la spirale di distruzione che ha già messo in moto.
Ma sappiamo anche che la disperazione distorce la realtà, genera il panico da un lato, la negazione dall'altro e non ci consente di pensare chiaramente alle possibilità che ci rimangono aperte. In una serie di documenti recenti presentati ai congressi e alle riunioni del suo organo centrale, la CCI ha esaminato tutta una serie di sviluppi oggettivi che si sono verificati (e continuano ad esistere) negli ultimi decenni e che potrebbero agire a favore del proletariato. I più importanti di questi sviluppi sono:
- Lo sviluppo del proletariato su scala globale, che non c’era in passato, guidato dallo straordinario sviluppo industriale della Cina e di altri paesi del sud-est asiatico e del Pacifico. L'idea avanzata da alcuni sociologi secondo cui vivremmo in una società “postindustriale” è completamente confutata quando vediamo che oggi più che mai la società capitalista si presenta come “un immenso accumulo di beni”; e che il cuore di tutto ciò, costruzioni, produzione e distribuzioni frenetiche, sono sempre un prodotto degli esseri umani, nonostante la rapida estensione della robotizzazione. Il capitalismo senza proletariato è pura finzione. Allo stesso tempo, abbiamo assistito alla crescente proletarizzazione di innumerevoli lavori “professionali” e non industriali.
- Questa crescita economica, per quanto fragile, proprio a causa delle sue connessioni con le moderne tecnologie di comunicazione, è diventata enormemente globalizzata, è diventata una catena internazionale che corteggia costantemente con i limiti dei confini nazionali e costringe il capitalismo a organizzarsi su scala internazionale. L'attuale tendenza verso il protezionismo nazionalista cerca di aggirare questa linea di fondo, ma è significativo che la maggior parte dei suoi avversari non sia effettivamente in grado di tagliare il filo con il Capitale globale “mondializzato”. In Gran Bretagna, ad esempio, i finanzieri che hanno condotto alla Brexit (come Aaron Banks, i cui fondi offshore sono ora oggetto di un'indagine giudiziaria) sono tutti speculatori internazionali, e lo stesso vale per Trump e la maggior parte dei membri del suo comitato di supporto. E queste tendenze hanno creato una classe lavoratrice sempre più internazionale nella sua forma e nelle attività quotidiane: l'uso di Internet per coordinare i canali di produzione globali, la “mobilità del lavoro” attraverso i confini che accompagna necessariamente i movimenti di capitali, e così via. Vi è una frazione della classe altamente qualificata, spesso approdata all'università, che rappresenta quindi la migliore protezione “naturale” contro il populismo e il razzismo.
- Questi sviluppi nella forma assunta dal proletariato includono anche una maggiore integrazione delle donne nel lavoro associato, nel settore sanitario in Occidente, nelle comunicazioni in India ad esempio o nella produzione industriale in Bangladesh e in Cina. Ciò fornisce la base oggettiva per superare la divisione di genere nella classe e per capire che l'oppressione sessuale delle donne e altre forme di oppressione sessuale sono alla radice di un problema di classe, un ostacolo pernicioso alla sua unificazione. Allo stesso tempo, la partecipazione delle donne proletarie alla lotta di classe è sempre stata un elemento potente nello sviluppo della sua dimensione morale.
- Gli sviluppi tecnologici - in termini marxisti, lo sviluppo delle forze produttive - sono anche potenzialmente un fattore nel riconoscere l'obsolescenza del modo di produzione capitalistico. Nel processo di produzione, il crescente posto di computer e robot nel capitalismo genera da un lato la disoccupazione, dall'altro il superlavoro, ma il loro uso potenziale per alleviare l'umanità dal duro lavoro è sempre più ovvio. Allo stesso tempo, l'uso delle tecnologie digitali nelle aree di distribuzione, pagamento e finanza suggerisce la possibilità che la forma delle merci sia essa stessa in dissesto, che la tecnologia possa essere utilizzata semplicemente per misurare la distribuzione sul mercato sulla base dei bisogni. Tutto ciò ha dato origine a varie teorie utopiche “post-capitaliste” che si illudono nel pensare che tali sviluppi possano automaticamente derivare dall'uso di queste tecnologie in sé[11], che tuttavia esprime solo una realtà sempre più evidente prevista da Marx: “Il capitale sopravvive a se stesso”.
- L'obsolescenza della forma mercato, della produzione di valore, si esprime soprattutto in quello che è forse il “fattore obiettivo” più cruciale di tutti: la crisi economica. È l'incapacità del Capitale di andare più lontano di se stesso, che è il fattore alla base dell'attuale crisi di civiltà; e quando le contraddizioni derivanti da questo fatto storico diventano più aperte, tendono a rivelare alla classe sfruttata la necessità di un nuovo modo di produzione. La crisi del 2008, anche se la forma che ha assunto (un crollo del credito che ha colpito i proletari più come risparmiatori individuali che come classe collettiva) e i mezzi utilizzati per combatterla (in primo luogo un'iniezione ad alte dosi dello stesso veleno che lo ha provocato) non ha favorito uno sviluppo massiccio e generale della coscienza di classe, rimane una prova della vulnerabilità e dell'invecchiamento di questo sistema, che ci porta direttamente a convulsioni ancora maggiori per il futuro. Le nuvole che si addensano sull'economia mondiale saranno esaminate in un altro rapporto, ma non vi è dubbio che la crescente incapacità della classe dominante di controllare le contraddizioni economiche del suo sistema, e quindi la necessità sempre più grande di attaccare frontalmente le condizioni di vita e di lavoro, rimane un potenziale fattore chiave per il riavvio della lotta di classe e di una autocoscienza proletaria più ampia.
- La necessità di uno sviluppo a livello soggettivo. Dobbiamo tenere presente che questi fattori oggettivi, poiché sono necessari per il recupero dell'identità e della coscienza di classe, non sono di per sé sufficienti e che vi sono altri fattori che si contrappongono al realizzare il potenziale che posseggono. Pertanto, le nuove generazioni di lavoratori industriali in Asia mostrano spesso un alto livello militante (ad esempio gli scioperi massicci nell'industria tessile del Bangladesh), ma mancano della tradizione politica di lunga data del proletariato occidentale, anche se quest’ultimo è stato ampiamente oscurato. L'integrazione delle donne nel lavoro, quando la coscienza di classe è debole, è stata spesso accompagnata da un aumento delle molestie. E abbiamo già visto (certamente negli anni '30, ma in una certa misura dopo il 2008) che la crisi economica in determinate circostanze diventa un fattore di demoralizzazione e atomizzazione individuale piuttosto che di mobilitazione collettiva.
La classe operaia è la classe della coscienza. A differenza delle rivoluzioni borghesi, la sua rivoluzione non si basa su un accumulo regolare di ricchezza e potere economico. Può solo accumulare esperienza, tradizione di lotta, metodi di organizzazione e così via. In effetti, l'elemento soggettivo è cruciale perché si conquisti e realizzi un obiettivo potenziale.
Questo potenziale soggettivo non può essere misurato in termini immediati. La lotta per il potere delle classi esiste storicamente e possiamo dire che, anche se il tempo non è dalla nostra parte, anche se la decomposizione sta diventando una minaccia crescente e la classe operaia si confronta con notevoli differenze al suo interno per emergere dal suo attuale declino, a livello globale la classe non è stata sconfitta dal 1968 e ciò rappresenta quindi un ostacolo alla caduta completa nella barbarie; ha ancora il potenziale per superare questo sistema. Ma possiamo continuare ad affermarlo solo esaminando attentamente le espressioni più immediate di ribellione contro l'ordine sociale, che non mancano.
Per quanto riguarda le lotte aperte della classe, esamineremo due esempi recenti:
1. In Gran Bretagna negli ultimi due anni, abbiamo visto piccoli ma significativi scioperi dei lavoratori della gig economy[12], come riportato in questo articolo di World Revolution:
“Una delle paure per i lavoratori che hanno un lavoro occasionale molto precario, con una grande percentuale di immigrati tra loro, è che non sono in grado di combattere, e che c'è solo tra loro una pressione competitiva per abbassare i salari. Ad aziende come Uber e Deliveroo piace dire che i loro dipendenti sono lavoratori autonomi (e quindi non possono ottenere il salario minimo, ferie retribuite o malattia). Il recente sciopero a Deliveroo, che si è esteso ai fattorini di UberEats, ha risposto ad entrambe le questioni, essi fanno sicuramente parte della classe operaia e sono in grado di combattere per difendersi. Minacciati con un nuovo contratto che al salario orario più un bonus per ogni consegna (£ 7 e £ 1) avrebbe sostituito una retribuzione solo per ogni consegna, nonostante il loro apparente isolamento reciproco e le loro condizioni precarie, i dipendenti Deliveroo hanno organizzato un’assemblea generale (AG) per lanciare la lotta, una manifestazione con ciclomotori e biciclette per le strade di Londra e uno sciopero di 6 giorni. Hanno chiesto una contrattazione collettiva contro l‘“offerta” della dirigenza per discutere con loro individualmente. Alla fine, la minaccia di licenziarli se non avessero firmato il nuovo contratto è stata rimossa, ma quest’ultimo è stata messo alla prova per coloro che lo hanno scelto. Una vittoria parziale. Un certo numero di fattorini ha partecipato alle AG di Deliveroo. Si sono confrontati con le stesse condizioni, che danno loro uno status ipocrita di imprenditori autonomi; lo stipendio è crollato, tant’è che ora si ritrovano a reddito minimo, senza alcuna garanzia sulla paga, ricevendo solo £ 3,30 per consegna. In seguito ad uno sciopero selvaggio, un dipendente è stato licenziato (o “disabilitato” dal momento che non è protetto da alcuna legislazione sul lavoro), e qui si vuole sottolineare il coraggio di questi lavoratori nel lottare in tali precarie attività ...”[13].
Più di recente, a ottobre, i lavoratori di una serie di fast-food in diverse città del Regno Unito (McDonalds, TGI Fridays e JD Witherspoon) hanno scioperato contemporaneamente ai fattorini di UberEats e si sono uniti ai loro picchetti e manifestazioni. Come scrive l'articolo di WR, queste azioni si basavano sulla consapevolezza dei lavoratori di queste società di far parte dello stesso corpo sociale collettivo e non di essere individui isolati. È stato significativo che questi scioperi abbiano coinvolto molti lavoratori immigrati insieme a quelli nati in Gran Bretagna, mentre molte di queste azioni sono state coordinate con i lavoratori delle stesse aziende in Europa. Allo stesso tempo, secondo la BBC, gli scioperi coincidono con le azioni dei lavoratori dei fast-food in Cile, Colombia, Stati Uniti, Belgio, Italia, Germania, Filippine e Giappone…[14]
La nozione di “precariato” applicata a questi impiegati avrebbe potuto significare che fanno parte di un’altra classe, ma l'occupazione precaria ha sempre fatto parte delle condizioni della classe lavoratrice. In un certo senso, i metodi dell’”economia dei gig”, con sempre più lavoratori impiegati nel breve periodo e su una base precaria, ci riportano al periodo in cui gli operai edili o dei porti facevano la coda per farsi assumere giornalmente.
I tentativi da parte di lavoratori di diverse aziende e paesi di agire di concerto sono un'affermazione di un'identità di classe contro il “nuovo modello” accennato prima, e mostrano che nessuna parte della classe, anche se dispersa e oppressa, è incapace di combattere per i propri interessi. Allo stesso tempo, il fatto che questi lavoratori siano in gran parte ignorati dai sindacati tradizionali ha aperto le porte a forme più radicali di sindacalismo: in Gran Bretagna, organizzazioni semi-sindacali come l'IWW, la Independent Workers Union of Great Britain, o la United Voices of the World ne hanno approfittato rapidamente diventando la principale forza che “organizza” i lavoratori. Ciò è probabilmente inevitabile in una situazione in cui non esiste un movimento di classe generale, ma l'influenza di questi sindacati radicali testimonia la necessità di controllare una vera radicalizzazione all'interno di una minoranza di lavoratori.
2. Lotta contro l'economia di guerra in Medio Oriente
Gli scioperi e le manifestazioni scoppiate a luglio in diversi luoghi in Giordania, Iraq e Iran, descritti in diversi articoli del nostro sito[15], sono stati una risposta diretta dei proletari di queste regioni alla miseria inflitta alla popolazione dall'economia di guerra. Le richieste erano molto focalizzate sui problemi economici di base: riduzione dell'approvvigionamento idrico e accesso alle medicine, salari di miseria e conti non pagati, disoccupazione, testimonianza che questi movimenti sono iniziati su un terreno di classe. Ci sono stati anche molti slogan politici tendenti ad affermare gli interessi proletari contro quelli della classe dominante e della guerra: in Iran, ad esempio, le fazioni “fondamentaliste” e quelle dei “riformatori” della teocrazia sono state messe insieme e le rivendicazioni imperialiste del regime iraniano sono state spesso ridicolizzate; in Iraq, i manifestanti hanno proclamato a gran voce che non erano né sunniti né sciiti; e non solo il governo e gli edifici municipali sono stati attaccati dai manifestanti, ma anche le istituzioni sciite hanno proclamato ipocritamente il loro “sostegno” alle ondate di protesta. La delegazione del populista “radicale” Al-Sadr per incontrare i manifestanti è stata attaccata ed è fuggita, il tutto trasmesso in un video sui social network[16].
Ancora più importante, nell'autunno del 2018, ci sono stati numerosi scioperi da parte dei lavoratori molto combattivi nell'industria iraniana, con alcune evidenti dimostrazioni di solidarietà tra le diverse società, come nel caso dei lavoratori siderurgici di Foolad e dello zucchero a Haft Tappeh. Quest'ultima lotta è diventata famosa anche a livello internazionale grazie ad assemblee generali e le dichiarazioni di Ismail Bakhshi, un leader chiave dello sciopero, sul loro comitato di sciopero come embrione del sovietismo.
Ciò è stato ripreso da vari elementi del milieu lasciando capire che i consigli dei lavoratori erano all'ordine del giorno in Iran, quando per noi non era lontanamente il caso. Le altre dichiarazioni di Bakhshi mostrano che esiste una grave confusione sull'autogestione anche tra i lavoratori più avanzati[17]. È anche vero che alcuni degli slogan delle prime manifestazioni di strada avevano un carattere nazionalista e persino monarchico. Nonostante queste profonde debolezze, riteniamo ancora che questa ondata di lotta in Iran sia un’espressione importante del potenziale intatto della lotta di classe. Mentre la guerra diventa una realtà permanente per frazioni sempre più numerose della classe operaia, questi movimenti ci ricordano non solo il completo antagonismo tra proletariato e qualsiasi conflitto imperialista, ma anche la presa di coscienza di questo antagonismo, che si esprime sia attraverso gli slogan proposti sia attraverso la simultaneità internazionale delle rivolte in Iran, Iraq e Giordania.
L'estensione dell'indignazione sociale
Non presentiamo questi esempi come prove di una ripresa mondiale della lotta di classe o addirittura della fine del riflusso, che richiederebbe l'emergere di importanti movimenti di classe nei paesi centrali del capitalismo. In questi paesi, la situazione sociale è sempre caratterizzata da un'assenza di grandi lotte sul terreno proletario. D'altra parte, abbiamo visto una serie di movimenti che mostrano una crescente indignazione contro la brutalità e il carattere distruttore della società capitalista. Negli Stati Uniti in particolare, abbiamo assistito ad azioni dirette negli aeroporti contro la detenzione e l'espulsione di viaggiatori dei paesi musulmani, dimostrazioni gigantesche contro l'uccisione di giovani neri in diverse città: Charlotte, Saint Louis, New York, Sacramento… e la massiccia mobilitazione giovanile che ha seguito la sparatoria della High School Marjory Stoneman Douglas a Parkland, in Florida. I cambiamenti climatici e la distruzione ambientale sono anche fattori scatenanti di movimenti di protesta, tra cui gli scioperi scolastici in molti paesi sotto l'egida di “Venerdì per il futuro” o le proteste di “Extinction Rebellion” a Londra. Nella stessa direzione, l’indignazione per i comportamenti condiscendenti e violenti nei confronti delle donne, non solo nei paesi “meno sviluppati” come l'India, ma anche nelle cosiddette “democrazie liberali” si esprimeva per strada senza limitarsi ai forum su Internet.
Tuttavia, data la perdita generale dell'identità di classe, è molto difficile impedire che tali proteste cadano nelle trappole della borghesia, nelle mistificazioni che circondano la “politica identitaria” e il riformismo, nonché a dirigere manipolazioni da parte della sinistra e di varie fazioni democratiche borghesi. Il fenomeno dei “Gilet gialli” mostra il pericolo che la classe continui a perdersi nei movimenti interclassisti dominati da un'ideologia populista e nazionalista.
È solo riacquistando la consapevolezza di se stessa come classe, con lo sviluppo della lotta sul proprio terreno, che tutta questa energia e questa rabbia legittima che oggi vengono dirottate in direzioni sterili e impotenti, domani potranno essere “recuperate” dal proletariato. La dinamica del movimento degli Indignados nel 2011 mostra che questo è più che un vago desiderio. Motivato dai problemi “classici” della classe lavoratrice, ovvero disoccupazione, insicurezza del lavoro, impatto della crisi del 2008 sulle condizioni di vita, questo movimento ha messo in luce delle questioni sul futuro dell'umanità in un sistema che molti partecipanti consideravano “obsoleto”. Ha organizzato ogni tipo di discussione sulla moralità, la scienza, l'ambiente, le questioni relative al sesso e al genere, ecc., e in questo senso ha chiaramente ravvivato lo spirito del Maggio ’68, ponendo la richiesta di alternativa alla società capitalista. È stato l’espressione di un movimento proletario che aveva iniziato a capire che stava rispondendo ad “attacchi sia particolari che generali”. Ha dimostrato che la lotta di classe deve estendersi non solo ai settori più ampi dell'economia capitalista, ma anche ai campi della politica e della cultura.
Tuttavia, rimane il problema che, anche se gli Indignados erano essenzialmente un movimento del proletariato, in gran parte composto da impiegati, semi-disoccupati e disoccupati, studenti delle scuole superiori e dell'università, la maggior parte dei suoi partecipanti si vedevano soprattutto come cittadini, e quindi erano molto vulnerabili all'intera ideologia di “Democracy Now” (Democrazia Adesso) e ad altri gruppi di sinistra che cercavano di portare il movimento delle assemblee al corporativismo per riformare il sistema parlamentare. Naturalmente nel movimento esisteva una sostanziale ala proletaria (in senso politico piuttosto che sociologico) che vedeva le cose in modo diverso ma rimaneva una minoranza e sembra aver dato alla luce una minoranza ancora molto più piccola di elementi che si sono evoluti verso posizioni rivoluzionarie. Il “problema identitario” del movimento degli Indignados è stato messo in evidenza anche nel 2017, quando molti che erano stati davvero indignati dal futuro offerto dal capitalismo caddero nella trappola del nazionalismo, in particolare nella sua versione catalana.
Una delle debolezze fondamentali del movimento è stata la mancanza di connessione tra movimento di strada, piazze e lotte sul posto di lavoro, e questo divario dovrà essere colmato da future lotte. Ne abbiamo avuto un esempio nei recenti movimenti in Medio Oriente, e forse più esplicitamente con gli scioperi dei metallurgici di Vigo nel 2006. Poiché per essere presenti in strada è essenziale stare insieme, lavoratori di diversi settori e disoccupati, il movimento sul posto di lavoro è la chiave per ricordare a tutti quelli che sono nella strada che fanno parte di una classe costretta a vendere la propria forza lavoro al Capitale.
Questa unione è anche importante per risolvere il problema dell'organizzazione unitaria dei futuri movimenti di massa, è il problema dei consigli operai. Nei movimenti rivoluzionari del passato, i consigli operai tendevano a emergere dalla centralizzazione delle Assemblee Generali di grandi unità industriali. Questo è senza dubbio un fattore importante nelle aree in cui tali unità esistono ancora (Germania, per esempio) o si sono recentemente sviluppate (Cina, subcontinente indiano, ecc.). Ma visto che i vecchi centri di lotta di classe, specialmente in Europa, hanno attraversato un lungo processo di deindustrializzazione, è possibile che i consigli emergano da una serie di assemblee tenute in luoghi di lavoro centrali come ospedali, università, magazzini, ecc. e che assemblee di massa si svolgano nelle strade e nelle piazze dove lavoratori provenienti da posti dispersi, i disoccupati e i lavoratori precari possano unire le loro lotte.
Il fatto che la maggior parte della popolazione sia stata proletarizzata dall'impatto combinato della crisi e dai cambiamenti nella “pelle” della classe operaia, implica che le assemblee create su base territoriale piuttosto che sulla base di unità di produzione avranno un carattere di classe proletaria, anche se esiste in tali forme di organizzazione un evidente pericolo di influenza della piccola borghesia e di altri strati. Tali dilemmi ci portano alla questione dell'autonomia di classe e della sua relazione con lo Stato di transizione in una rivoluzione futura, poiché la classe operaia, dopo aver riguadagnato la sua identità di forza sociale rivoluzionaria, dovrà mantenere la sua autonomia, politicamente e organizzativamente durante il periodo di transizione, fino a quando tutti sono diventati proletari e non ci siano altri che non lo siano.
È anche probabile che questa nuova identità rivoluzionaria assumerà una forma più direttamente politica in futuro: in altre parole, che la classe sarà definita attraverso una crescente aderenza alla prospettiva comunista, anche perché la profondità della crisi sociale e la volontà economica distrugge ogni illusione su un possibile “ritorno alla normalità” nel capitalismo in decomposizione. Ne abbiamo avuto un'indicazione con l'apparizione di un'ala rivoluzionaria nel movimento degli Indignados: il suo carattere proletario non si basava tanto sulla sua composizione sociologica quanto sulla sua lotta per difendere l'autonomia delle assemblee e una prospettiva globale di trasformazione sociale contro i diversi recuperatori di estrema sinistra (gauchisti). Il Partito del futuro potrebbe emergere da un'interazione tra tali grandi minoranze proletarie e organizzazioni politiche comuniste. Naturalmente la fragilità dell'attuale contesto politico della Sinistra comunista significa che non vi è alcuna garanzia che questo incontro abbia luogo. Ma possiamo dire che l'apparizione di nuovi elementi che ora ruotano attorno alla Sinistra comunista, alcuni dei quali molto giovani, è un segno che il processo di maturazione sotterranea è una realtà e che continua nonostante le ovvie difficoltà della lotta di classe. Anche se comprendiamo che il Partito del futuro non sarà un'organizzazione di massa che cercherà di abbracciare l'intera classe, questa dimensione della politicizzazione della lotta ci mostra quanto rimane profondamente vera la frase classica del marxismo: “la costituzione del proletariato in classe, e di conseguenza in partito politico”.
28 dicembre 2018
[3] La critica critica come serenità della coscienza, ovvero la Critica critica come signor Edgardo (…IV: Proudhon) di Karl Marx.
[4] Introduzione all’edizione inglese di La condizione della classe operaia in Inghilterra.
[5] Leggi il nostro articolo in inglese Storia del movimento operaio in Gran Bretagna
[6] Questo movimento fu preceduto nel 1831 dalla rivolta di Merthyr, che, si può dire, era meglio organizzato e di maggior successo, anche se gli operai potevano solo prendere il potere in una città e per un breve momento. È tuttavia il primo episodio noto in cui i lavoratori hanno camminato dietro la bandiera rossa.
[7] Estratto da un rapporto sulle prospettive della lotta di classe, dicembre 2015.
[8] Rivista Internazionale n. 33. Testo di orientamento, 2001: la fiducia e la solidarietà nella lotta del proletariato 1a parte
[9] Risoluzione sulla lotta di classe, 22 ° Congresso della CCI
[10] La situazione della classe operaia in Inghilterra capitolo Le Grandi città.
[11] Ad esempio, si può leggere il libro Post Capitalism di Paul Mason, una guida al nostro futuro e le sue critiche in inglese da parte della CWO
[12] Caratterizzato dalla predominanza di contratti a breve termine o di lavoro autonomo rispetto ai lavori a tempo indeterminato.
[13] Leggi il nostro articolo in inglese: Deliveroo, UberEats: lotte di precari e lavoratori immigrati
[14] Leggi il nostro articolo in inglese I lavoratori di McDonald's, UberEats e Wetherspoon sono in sciopero
[15] Leggi i nostri articoli in inglese Iraq: marcia contro la macchina da guerra ; Voce e proteste internazionaliste in Medio Oriente ;
[16] Leggi il nostro articolo in inglese Iraq: marcia contro la macchina da guerra
[17] Leggi il nostro articolo in inglese: Risposta a Internationalist Voice sugli scioperi in Iran