Le menzogne diffuse in abbondanza
all’epoca del crollo dei regimi stalinisti, tra la fine degli anni 80 e
l’inizio degli anni 90, a proposito del “fallimento definitivo del marxismo”
non sono affatto nuove. Esattamente un secolo fa, la sinistra della II Internazionale,
con alla sua testa Rosa Luxemburg, aveva dovuto combattere le tesi revisioniste
che affermavano che Marx si era notevolmente sbagliato quando annunciava che il
capitalismo andava verso il crollo. I decenni seguenti, con la prima guerra
mondiale, poi la grande depressione degli anni 30 che seguiva ad un breve
periodo di ricostruzione, hanno lasciato poco margine alla borghesia per
continuare a battere su questo chiodo. Di contro i due decenni di “prosperità”
del secondo dopoguerra hanno consentito un nuovo fiorire, anche negli ambienti
“radicali”, di “teorie” che seppellivano “definitivamente” il marxismo e le sue
previsioni di crollo del capitalismo. Questi cori di autosoddisfazione sono
stati evidentemente messi in difficoltà dal ritorno della crisi aperta del
capitalismo alla fine degli anni 60; ma il ritmo lento di quest’ultima, con
periodi di “ripresa” come quella che conosce oggi il capitale americano e
britannico, ha permesso alla propaganda borghese di camuffare agli occhi della
gran parte dei proletari la realtà e l’ampiezza del vicolo cieco in cui si
trova oggi il modo di produzione capitalista. E’ per questa ragione che spetta
ai rivoluzionari, ai marxisti, denunciare continuamente le menzogne borghesi
sulle pretese possibilità del capitalismo di “uscire dalla crisi” ed, in
particolare, di fare giustizia degli “argomenti” che sono di volta in volta
utilizzati per tentare di “dimostrare” tali possibilità.