Risoluzione sulla lotta di Classe internazionale

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         1. L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, avvenuta poco dopo gli inattesi risultati del referendum nel Regno-Unito sull’Unione Europea (Brexit), oltre ad un'ondata di malessere e di timore ha creato anche una serie di interrogativi a livello mondiale. Come è stato possibile che i "nostri" dirigenti, quelli supposti di vegliare sull’ordine mondiale, abbiano consentito che si arrivasse a una tale situazione - una stortura che sembra andare contro gli interessi "razionali" della classe capitalista? Come è stato possibile che si sia permesso ad uno spaccone, uno sguaiato, un truffatore narcisista che dice tutto ed il contrario di tutto, di trovarsi alla testa dello Stato attualmente più potente del mondo? E, più importante: che cosa ci insegna tutto ciò sulla direzione verso cui attualmente va il mondo? Stiamo forse sprofondando in una crisi di civiltà, o della stessa umanità?

Su queste domande i rivoluzionari sono obbligati a dare delle risposte chiare e convincenti.

Un secolo di lotta di classe

         2. Secondo noi, la condizione reale della società umana può essere compresa da un solo punto di vista: la lotta di classe, della classe sfruttata di questa società, il proletariato, che non ha interesse a nascondere la verità e la cui lotta l’obbliga a superare tutte le mistificazioni del capitalismo in vista del suo rovesciamento. Non è nemmeno possibile comprendere gli "attuali" avvenimenti, immediati o locali, se non inscrivendoli in una cornice storica mondiale. E’ questa l’essenza metodologica marxista. Di conseguenza, siamo obbligati a fare un salto indietro di un secolo, non solo perché nel 2017 ricorre il centenario della rivoluzione in Russia, ma anche per meglio comprendere l'epoca storica in cui hanno avuto luogo i più recenti sviluppi della situazione mondiale: quella del declino o decadenza del modo di produzione capitalista.

La rivoluzione in Russia fu la risposta della classe operaia agli orrori della prima guerra imperialistica mondiale. Proprio come fu affermato dall'Internazionale Comunista nel 1919, questa guerra segnò l’inizio di una nuova epoca, la fine del periodo ascendente del capitalismo e della prima grande esplosione di "globalizzazione" capitalista perché quest’ultima entrava in collisione con gli ostacoli posti dalla divisione del mondo tra Stati nazionali rivali: "l'epoca di guerre e rivoluzioni". La capacità della classe operaia di rovesciare lo Stato borghese in un intero paese e di dotarsi di un partito politico capace di guidarla verso la "dittatura del proletariato" mostrava che la prospettiva di abolire la barbarie capitalista non solo era possibile ma anche storicamente necessaria.

Inoltre, il Partito bolscevico che, nel 1917, era all'avanguardia del movimento rivoluzionario, seppe comprendere che la presa del potere da parte dei consigli operai in Russia poteva mantenersi solamente se esso rappresentava l’inizio della nascente rivoluzione mondiale. La rivoluzionaria tedesca, Rosa Luxemburg, capì anche che se il proletariato mondiale non avesse risposto alla sfida posta dall'insurrezione di Ottobre, mettendo fine al sistema capitalista, l'umanità sarebbe sprofondata in un'epoca di barbarie crescente, in una spirale di guerre e di distruzione tale da mettere in pericolo la civiltà umana.

In vista della rivoluzione mondiale, e con la necessità di creare per il proletariato un polo di riferimento alternativo alla Socialdemocrazia controrivoluzionaria, il Partito bolscevico si fece promotore in prima persona della creazione dell'Internazionale Comunista il cui primo congresso si tenne a Mosca nel 1919. I nuovi partiti comunisti, particolarmente quelli in Germania ed in Italia, rappresentarono la punta più avanzata dell'estensione della rivoluzione proletaria verso l'Europa dell'ovest.

         3. La rivoluzione in Russia fu senza dubbio la scintilla di una serie di scioperi di massa a scala mondiale e di sommosse che costrinsero la borghesia a mettere fine al macello imperialista, ma la classe operaia internazionale non fu capace di prendere il potere in altri paesi, a parte alcuni tentativi limitati nel tempo come in Ungheria ed in alcune città tedesche. Tuttavia, scontrandosi con la grande minaccia del suo potenziale becchino, la classe dirigente fu capace di superare le sue più acute rivalità per unirsi contro la rivoluzione proletaria: isolò il potere dei soviet in Russia con il blocco, l'invasione ed il sostegno alla controrivoluzione armata, e poi si servì dei partiti operai socialdemocratici e dei sindacati, che avevano già dimostrato la loro lealtà al capitale partecipando allo sforzo bellico imperialista, per infiltrare o neutralizzare i consigli operai in Germania e deviarli verso un accomodamento col nuovo regime borghese "democratico". Ma la sconfitta della rivoluzione non solamente dimostrò la capacità a governare di una nuova classe dirigente reazionaria che intanto era riuscita a mantenersi, ma anche una certa immaturità della classe operaia, che fu costretta a compiere una transizione veloce. Infatti, dalle sue lotte per le riforme dovette passare alla lotta rivoluzionaria, nel mentre che in lei sussistevano ancora molte illusioni profonde sulla possibilità di migliorare il regime capitalista grazie al voto democratico, alla nazionalizzazione delle industrie chiave e alla gratuità dei servizi sociali per gli strati più poveri della società. Inoltre, la classe operaia gravemente traumatizzata dagli orrori della guerra nella quale il fior fiore della gioventù era stato decimato, ne uscì con profonde divisioni tra operai delle nazioni "vittoriose" e "vinte".

In Russia, il partito bolscevico, confrontato all'isolamento, alla guerra civile, ed al crollo economico, ed inoltre, implicato nell'apparato dello Stato sovietico, commise una serie di disastrosi errori che lo condussero a conflitti sempre più violenti con la classe operaia. In particolare la politica del "terrore rosso" che impose la soppressione delle manifestazioni e delle organizzazioni politiche, culminò con lo schiacciamento della rivolta di Kronstadt nel 1921, quando quest’ultima chiedeva la restaurazione del potere autentico dei soviet esistito nel 1917. A livello internazionale, l’Internazionale Comunista, sempre più legata ai bisogni dello Stato sovietico piuttosto che a quelli della rivoluzione mondiale, cominciò a ricorrere a politiche opportuniste, come la tattica del fronte unico adottata nel 1922, che cominciarono ad inquinare la sua chiarezza originaria. Questa degenerazione produsse, soprattutto nel partito tedesco ed italiano, la nascita di un'importante opposizione di Sinistra. Ed è a partire da quest’ultima che la Frazione italiana fu capace, alla fine degli anni 1920, di trarre e delineare le lezioni della sconfitta finale della rivoluzione.

         4. La sconfitta dell'ondata rivoluzionaria mondiale avrebbe dunque confermato la messa in guardia dei rivoluzionari del 1917-18 a proposito delle conseguenze di un tale insuccesso: un nuovo sprofondamento nella barbarie. La dittatura del proletariato in Russia, non solo degenerò, ma si trasformò anche in dittatura capitalista contro il proletariato (un processo di sola conferma, dal momento che esso era già cominciato prima). Ed esso culminò con la vittoria dell'apparato stalinista con la sua dottrina del "socialismo in un solo paese". La "pace" firmata per stoppare la minaccia della rivoluzione condusse velocemente a nuovi conflitti imperialistici che furono accelerati ed intensificati dallo scoppio della crisi di sovrapproduzione nel 1929, un ulteriore segno che l'espansione del capitale era entrata in collisione con i suoi limiti. La classe operaia nei paesi centrali del sistema, specialmente negli Stati Uniti ed in Germania, subì in pieno i colpi della depressione economica, ed avendo un decennio prima tentato di fare la rivoluzione, fallendola, fondamentalmente risultò una classe sconfitta, malgrado alcune reali espressioni di resistenza di classe, come negli Stati Uniti ed in Spagna. Essa pertanto fu incapace di opporsi ad una nuova marcia verso la guerra mondiale.

         5. Il forcone della contro-rivoluzione aveva tre denti principali: lo stalinismo, il fascismo, la democrazia, e ciascuno di questi lasciò profonde cicatrici nella psiche della classe operaia.

La controrivoluzione raggiunse la sua massima espressione nei paesi in cui la fiamma rivoluzionaria era stata più alta. Ma ovunque, confrontato alla necessità di esorcizzare lo spettro proletario, per fare fronte alla più grande crisi economica della sua storia, e per preparare la guerra, il capitalismo cominciò ad assumere in maniera crescente una forma totalitaria, che avrebbe penetrato tutti i pori della vita sociale ed economica. Il regime stalinista ne intonò la prima nota: una completa economia di guerra, la repressione di tutti i dissidenti, tassi di sfruttamento mostruosi, un vasto campo di concentramento. Ma la peggiore eredità dello stalinismo – sia da vivo che decenni dopo il suo crollo - è che esso si mascherò da vero erede della rivoluzione di Ottobre. La centralizzazione del capitale nelle mani dello Stato fu venduta al mondo come socialismo, l'espansione imperialistica come internazionalismo proletario. Negli anni in cui la rivoluzione di Ottobre era ancora un ricordo vivo, molti operai continuavano a credere al mito della madrepatria socialista, intanto però altrettanti si erano allontanati da ogni idea di rivoluzione a causa delle successive rivelazioni della vera natura del regime stalinista. I danni che ha fatto lo stalinismo alla prospettiva del comunismo, alla speranza che la rivoluzione della classe operaia possa inaugurare una forma superiore di organizzazione sociale, sono incalcolabili, e non perché lo stalinismo sia caduto dal cielo sul proletariato: fu possibile realizzarlo, infatti, grazie alla sconfitta internazionale del movimento di classe e soprattutto alla degenerazione del suo partito politico. Dopo il traumatizzante tradimento dei partiti socialdemocratici nel 1914, per la seconda volta, nello spazio di meno 20 anni, le organizzazioni che la classe operaia aveva potentemente lavorato a creare e difendere tradirono e divennero il suo peggiore nemico. Poteva cadere una mazzata più grande sulla fiducia in sé del proletariato, sulla sua convinzione nella possibilità di portare l'umanità ad un livello di vita sociale più elevato?

Il fascismo, inizialmente un movimento di esclusi dalle classi dominanti e medie, ed anche di rinnegati del movimento operaio, fu poi adottato dalle fazioni più potenti del capitale tedesco ed italiano perché coincideva con i loro bisogni: portare a termine lo schiacciamento del proletariato e la mobilitazione per la guerra. Si era specializzato nell'utilizzazione di tecniche "moderne" per scatenare le oscure forze dell'irrazionalità che troviamo sotto la superficie della società borghese. Il nazismo, in particolare, prodotto da una sconfitta molto più devastante della classe operaia in Germania, raggiunse nuovi livelli d'irrazionalità, statalizzando ed industrializzando il pogrom medievale e conducendo le masse demoralizzate in una marcia folle verso la loro autodistruzione. La classe operaia, nel suo insieme, non cedette a nessuna credenza positiva nel fascismo – ma essa risultò molto più vulnerabile all'illusione dell'antifascismo che era il principale grido di adesione per la futura guerra. Ma l'orrore senza precedente dei campi di morte nazisti non fu da meno del gulag stalinista, un colpo portato alla fiducia nel futuro dell'umanità - e dunque alla prospettiva del comunismo.

La democrazia, la forma dominante del potere borghese nei paesi industriali avanzati, si presentò come opposizione a queste formazioni "totalitarie" – ma ciò non le impedì di sostenere il fascismo quando quest’ultimo doveva terminare lo sterminio del movimento operaio rivoluzionario, o di allearsi col regime stalinista nella guerra contro la Germania di Hitler. Ma la democrazia si rivelava essere una forma molto più intelligente e duratura di totalitarismo rispetto al fascismo che crollò nelle rovine della guerra, o dello stalinismo che (ad eccezione della Cina e del regime atipico della Corea del Nord) crollò sotto il peso della crisi economica e della sua incapacità ad essere competitivo sul mercato mondiale del quale aveva tentato di aggirare le leggi per decreto di Stato.

Costretti dalla crisi del sistema, i gestori del capitalismo democratico dovettero utilizzare lo Stato ed il potere del credito per piegare le forze del mercato, ma essi non furono obbligati ad adottare la forma estrema di centralizzazione dei regimi del blocco dell'Est, che si era imposta loro a causa di una situazione di debolezza materiale e strategica. La democrazia è sopravvissuta ai suoi rivali ed è diventata la sola opzione nei paesi centrali capitalisti d’occidente.  Ancora oggi risulta scioccante rimettere in discussione il fatto che durante la 2a guerra mondiale sostenere le democrazie contro il fascismo sia stata per l’umanità intera una necessità vitale, e coloro che dicono che dietro la facciata democratica c'è la dittatura della classe dominante sono additati come teorici del complotto. Già durante gli anni 1920 e 1930 lo sviluppo dei media nelle democrazie costituiva un modello per la diffusione della propaganda ufficiale, tanto da fare invidia ad un Goebbels, nel mentre la penetrazione dei rapporti commerciali nelle sfere del tempo libero e della vita di famiglia, introdotta dal capitalismo americano, forniva un canale più subdolo al dominio totalitario del capitale rispetto al semplice ricorso agli spioni ed al terrore aperto.

         6. Contrariamente alle speranze della minoranza rivoluzionaria, estremamente ridotta ma che seppe mantenere posizioni internazionaliste durante gli anni ‘30 e ‘40, la fine della guerra non provocò una nuova manifestazione rivoluzionaria. Al contrario, fu la borghesia, con Churchill all'avanguardia, a trarre le lezioni dal 1917 e a distruggere sul nascere ogni possibilità di rivolta proletaria, con il suo bombardamento a tappeto sulle città tedesche e la sua politica di "lasciare gli italiani cuocere nel loro brodo", durante lo scoppio nel 1943 di scioperi massicci nel nord Italia. La fine della guerra dunque avrebbe aggravato la sconfitta della classe operaia. E, contrariamente alle attese di molti rivoluzionari, la guerra non fu seguita da una nuova depressione economica e da una nuova marcia alla guerra mondiale, anche se gli antagonismi imperialisti tra i "blocchi vittoriosi" rimasero una pesante e permanente minaccia sull'umanità. Il periodo post-bellico, invece, conobbe una fase di reale espansione dei rapporti capitalisti sotto la leadership americana, anche se una parte del mercato mondiale, blocco russo e Cina, cercava di chiudersi ad ogni penetrazione di capitale occidentale. Il proseguimento dell'austerità e della repressione nel blocco dell'Est provocò importanti rivolte operaie, Germania dell'Est, 1953; Polonia e Ungheria, 1956; ma ad ovest, dopo alcune espressioni di malcontento, come gli scioperi del 1947 in Francia, ci fu un'attenuazione graduale della lotta di classe, ad un punto tale che i sociologi potettero teorizzare "l'imborghesimento" della classe operaia, conseguenza dell'espansione del consumismo e dello sviluppo dello Stato assistenziale. Del resto, dal 1945, questi due aspetti del capitalismo avrebbero costituito un importante peso in più nell’ostacolare maggiormente la classe operaia a ricostituirsi in forza rivoluzionaria: il consumismo atomizzava la classe operaia, e diffondeva l'illusione che ciascuno poteva raggiungere il paradiso della proprietà individuale; l'assistenzialismo statale - che spesso veniva introdotto dai partiti di sinistra e presentato come una conquista della classe operaia, rappresentava uno strumento ancora più significativo del controllo capitalista. Esso sabotava la fiducia della classe operaia in sé stessa e la rendeva dipendente della benevolenza dello Stato; in seguito, in una fase di massiccia immigrazione, la sua organizzazione in Stato-nazione significò che la questione dell'accesso alle cure, all'alloggio, e ad altre prestazioni sarebbe diventata un potente fattore di isolamento degli immigrati e di divisioni nella classe operaia. Infine, con l’apparente scomparsa della lotta di classe negli anni 1’50 e ‘60, il movimento politico rivoluzionario conobbe il maggiore isolamento della sua storia.

         7. Alcuni rivoluzionari, che mantennero una certa attività durante questo periodo nero, cominciarono a dire che il capitalismo aveva, grazie ad una gestione burocratica statale, imparato a controllare le contraddizioni economiche analizzate da Marx. Ma altri, più chiaroveggenti, come il gruppo Internacionalismo in Venezuela, riconoscevano che i vecchi problemi - i limiti del mercato, la tendenza alla caduta del saggio di profitto - non potevano essere scongiurati, e che le difficoltà finanziarie sopraggiunte alla fine degli anni 1960, segnavano una nuova fase di crisi economica aperta. Essi salutarono così una nuova generazione di proletari che cominciava a rispondere alla crisi attraverso la riconferma della lotta di classe - una predizione ampiamente confermata dal formidabile movimento di maggio 1968 in Francia, dall'ondata di lotte internazionali che seguirono e che dimostrarono che i decenni di controrivoluzione stavano per finire, e pertanto la lotta del proletariato diventava un ostacolo all'apertura per la nuova crisi di un corso alla guerra mondiale.

         8. La ricomparsa proletaria alla fine degli anni ‘60 ed all'inizio degli anni ‘70, fu preceduta da un fermento politico crescente in seno a larghi strati della popolazione nei paesi capitalisti avanzati e, in particolare, tra i giovani. Negli Stati Uniti, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e la segregazione razziale, in Germania i movimenti degli studenti che manifestavano un interesse per un approccio più teorico dell'analisi del capitalismo contemporaneo; in Francia, l'agitazione degli studenti contro la guerra in Vietnam ed il regime repressivo nelle università; in Italia, gli "operaisti" o tendenze autonome che riaffermavano l'inevitabilità della lotta di classe quando i saggi sociologi proclamavano la sua obsolescenza. Ovunque, un'insoddisfazione crescente nei confronti della vita disumanizzata presentata come il frutto delizioso della prosperità economica di dopoguerra. Una piccola minoranza, attirata in Francia ed in altri paesi industriali dall'apparizione delle lotte, poté partecipare alla formazione di un'avanguardia politica cosciente, internazionalista, anche perché una minoranza nel suo seno aveva cominciato a riscoprire il contributo della Sinistra Comunista.

         9. Come purtroppo sappiamo, durante i movimenti della fine degli anni ‘60 ed inizio ‘70 l'appuntamento tra la minoranza ed i movimenti più ampi di classe non ebbe luogo se non episodicamente. Ciò in parte dipese dal fatto che la minoranza politicizzata era pesantemente dominata da una piccola borghesia scontenta: il movimento studentesco, in particolare, non aveva allora una forte componente proletaria che sarebbe apparsa solo alcuni decenni dopo a causa dei cambiamenti strutturali del capitalismo. Però, malgrado potenti movimenti di classe nel mondo, e seri scontri tra gli operai e le forze di controllo al loro interno - sindacati e partiti di sinistra - la maggioranza delle lotte di classe rimaneva su di un piano difensivo, solo raramente poneva direttamente questioni politiche. In più, la classe operaia, come classe mondiale, doveva confrontarsi con importanti divisioni nei suoi ranghi: la "cortina di ferro" tra l'Est e l'Ovest, le divisioni tra i lavoratori sedicenti "privilegiati" dei centri del capitale e le masse diseredate nelle vecchie zone coloniali. In tutto questo la maturazione di un'avanguardia politica veniva frenata da una visione immediatista della rivoluzione, e da pratiche attiviste, tipiche dell'impazienza piccolo-borghese, che non riusciva a comprendere la necessità del carattere a lungo termine del lavoro rivoluzionario ed il livello gigantesco dei compiti teorici a cui doveva far fronte la minoranza politicizzata. La predominanza dell'attivismo rese grandi parti della minoranza rivoluzionaria vulnerabile al recupero dei gruppi extraparlamentari o, quando le lotte si indebolirono, alla demoralizzazione. Intanto, coloro che rigettavano l'estremismo piccolo-borghese venivano spesso influenzati da concezioni consiliariste che a loro volta rigettavano l'insieme del problema della costruzione dell'organizzazione. Tuttavia, una piccola minoranza fu capace di superare questi ostacoli e di riappropriarsi della tradizione della Sinistra comunista, iniziando una dinamica di crescita e di raggruppamento che si mantenne durante gli anni ‘70, ma che conobbe la sua fine all'inizio degli anni ‘80, contrassegnata simbolicamente dall'arresto delle Conferenze Internazionali. L'insuccesso delle lotte di questo periodo a raggiungere un livello politico più alto, a gettare i semi di ciò che, nelle strade e le riunioni del 1968, aveva posto il problema della sostituzione del capitalismo all'Est ed all’Ovest con una nuova società, avrebbe avuto conseguenze molto significative nel decennio seguente.

Tuttavia, questa enorme spinta di energia proletaria "non rappresentò l'ultimo respiro", e per deviarla, farla deragliare e reprimerla la classe dominante dovette ricorrere ad uno sforzo concertato. Fondamentalmente, quest’ultimo si sviluppò a livello politico, utilizzando al massimo le forze della sinistra capitalista ed i sindacati che avevano avuto un'influenza considerevole nella classe operaia. Che sia con la promessa di eleggere governi di sinistra, o con una successiva strategia di "sinistra nell'opposizione" associata allo sviluppo del sindacalismo radicale durante i due decenni post sessantotto, la strumentalizzazione degli organi che gli operai vedevano in una certa misura come loro fu indispensabile all'inquadramento delle lotte della classe. Allo stesso tempo, la borghesia tirava tutti i vantaggi che poteva dai cambiamenti strutturali imposti dalla crisi mondiale: da una parte, l'introduzione di cambiamenti tecnologici, che andavano a sostituire la mano d'opera qualificata e non, nelle imprese come le banchine portuali, l'automobile e la tipografia; dall'altra, il movimento verso la "mondializzazione" del processo di produzione che decimava intere reti industriali nei vecchi centri del capitale e spostava la produzione verso le regioni periferiche dove la mano d'opera risultava incomparabilmente meno cara ed i profitti molto più importanti. Questi cambiamenti nella composizione della classe operaia nel cuore del capitalismo che colpiva spesso settori che erano stati al centro della lotta negli anni 70 ed all'inizio degli anni 80, diventarono fattori supplementari nell'atomizzazione della classe e nella distruzione della sua identità di classe.

         10. Malgrado qualche eccezione, la dinamica di lotta scoppiata nel 1968 si mantenne durante gli anni ‘70. Il punto culminante nella maturazione della capacità del proletariato di auto-organizzarsi e di estendere la sua lotta fu raggiunto negli scioperi di massa in Polonia nel 1980. Tuttavia, questo zenit avrebbe contrassegnato l'inizio di un declino. Sebbene gli scioperi in Polonia rivelavano l'interazione classica tra rivendicazioni economiche e politiche, mai gli operai in Polonia hanno avanzato la questione di una nuova società. Sotto questo aspetto, gli scioperi furono "al di sotto" del movimento del 68, quando l'auto-organizzazione era ancora alquanto embrionale, ma che forniva un contesto ad un dibattito molto più radicale sulla necessità della rivoluzione sociale. Il movimento in Polonia, con qualche eccezione molto limitata, considerava "l'occidente libero" come la società alternativa desiderata, l'ideale di governi democratici, "sindacati liberi", e tutto il resto. Nello stesso Occidente, vi furono alcune espressioni di solidarietà con gli scioperi in Polonia, ed a partire dal 1983, di fronte ad una crisi economica che si approfondiva velocemente, si sviluppò un'ondata di lotte che risultarono sempre più simultanee e globali nella loro ampiezza; in un gran numero di caso, esse mostravano un conflitto crescente tra lavoratori e sindacati. Ma la giustapposizione delle lotte nel mondo non significò automaticamente che c’era una consapevolezza della necessità dell'internazionalizzazione cosciente della lotta, né che il confronto con i sindacati, che fanno ben parte dello Stato, implicava una politicizzazione del movimento nel senso di una presa di coscienza che lo Stato deve essere rovesciato, né una capacità crescente di mettere avanti una prospettiva per l'umanità. Ancora più che negli anni ‘70, le lotte degli anni ‘80 nei paesi avanzati rimasero nel campo delle rivendicazioni settoriali, ed in questo senso, risultavano vulnerabili al sabotaggio da parte delle forme radicali di sindacalismo. Certamente, l'aggravamento delle tensioni imperialistiche tra i due blocchi durante questo periodo fece nascere una preoccupazione crescente verso la minaccia di guerra, ma essa fu deviato largamente verso i movimenti pacifisti che impedivano, di fatto, lo sviluppo di una connessione cosciente tra resistenza economica e pericoli di guerra. Per ciò che riguarda i piccoli gruppi di rivoluzionari che mantenevano un'attività organizzativa durante questo periodo, anche se intervenivano più direttamente in certe iniziative della classe operaia, andavano, ad un livello più profondo, controcorrente di fronte alla diffidenza della "politica" che prevaleva nella classe operaia nel suo insieme - e questo stesso fossato crescente tra le classi e la minoranza politica rappresentava un fattore supplementare dell'incapacità della classe a sviluppare la sua prospettiva.

L'impatto della decomposizione

         11. La lotta in Polonia, e la sua sconfitta, avrebbero fornito una sintesi del rapporto di forza globale tra le classi. Gli scioperi indicavano chiaramente che gli operai dell’Est Europa non erano pronti a combattere una guerra in nome dell'impero russo, e tuttavia, non erano capaci di offrire un'alternativa rivoluzionaria alla crisi del sistema che si approfondiva. Del resto, lo schiacciamento fisico degli operai polacchi ebbe delle conseguenze politiche estremamente negative in tutta questa regione. Soprattutto per la classe operaia assente (in quanto classe) nei sollevamenti iniziali della fine dei regimi stalinisti, e per questa ragione vulnerabile ad un'ondata di sinistra propaganda nazionalista che oggi è personificata nei regimi autoritari che regnano in Russia, Ungheria e Polonia. La classe dominante stalinista, incapace di trattare la crisi e la lotta di classe senza repressione brutale, dimostrò che essa mancava di duttilità politica per adattarsi alle circostanze storiche mutevoli. Così, nel 1980-1981, lo scenario per il crollo del blocco dell'Est nel suo insieme già era preparato, segnando in tal modo una nuova fase nel declino storico del capitalismo. Ma questa nuova fase, che definiamo come quella della decomposizione del capitalismo, trovò le sue origini in una situazione di blocco tra le classi molto più ampio. I movimenti di classe che erano sorti nei paesi avanzati dopo il 1968 segnarono la fine della controrivoluzione, e la resistenza mantenuta della classe operaia avrebbe costituito un ostacolo alla "soluzione" della borghesia alla crisi economica: la guerra mondiale. C’erano tutte le premesse per definire questo periodo come un "corso a scontri di classe di massa", e di insistere sul fatto che un corso alla guerra non poteva aprirsi senza una sconfitta diretta di una classe operaia insorta. In questa nuova fase, la disintegrazione dei due blocchi imperialistici eliminò la guerra mondiale dall'ordine del giorno indipendentemente dal livello della lotta di classe. Ma ciò significò che la questione del corso storico non poteva più essere posta negli stessi termini. L'incapacità del capitalismo a superare le sue contraddizioni significa sempre che non può offrire all'umanità che un futuro di barbarie di cui si possono prefigurare già i contorni in una combinazione infernale di guerre locali e regionali, di disastri ecologici, di persecuzioni e di violenza sociale fratricida. Ma a differenza della guerra mondiale che richiede una sconfitta fisica diretta nonché ideologica della classe operaia, questa "nuova" discesa nella barbarie opera in modo più lento, più insidioso, imbrigliando gradatamente la classe operaia fino a renderla incapace di ricostituirsi in quanto classe. Il criterio per valutare l'evoluzione del rapporto di forza tra le classi non può essere più quello legato all’impedimento dello scoppio della guerra mondiale, e per questo, in generale, è diventato più difficile da prevedere.

         12. Nella fase iniziale della rinascita del movimento comunista dopo il 1968, la tesi della decadenza del capitalismo guadagnò numerosi adepti, fornendo la base programmatica di una sinistra comunista ravvivata. Oggi, non è più così: la maggioranza dei nuovi elementi che cercano nel comunismo una risposta ai problemi ai quali è confrontata l'umanità trova ogni tipo di ragioni per opporsi al concetto di decadenza. E quando si arriva alla nozione di decomposizione, che noi difendiamo, come fase finale del declino del capitalismo, la CCI sembra essere alquanto sola. Altri gruppi accettano l'esistenza delle principali manifestazioni del nuovo periodo - la generalizzazione della lotta inter-imperialistica, il ritorno di ideologie profondamente reazionarie come il fondamentalismo religioso, ed il nazionalismo strisciante, la crisi nei rapporti tra l'uomo ed il mondo naturale - ma solo alcuni tra loro traggono la conclusione che questa situazione deriva da una impasse nel rapporto di forza tra le classi; e solo pochi tra questi sono anche d'accordo che tutti questi fenomeni sono espressione di un cambiamento qualitativo nella decadenza del capitalismo, di tutta una fase o periodo che può essere rovesciato solo con la rivoluzione proletaria. Questa opposizione al concetto di decomposizione prende spesso forma di diatribe contro le tendenze "apocalittiche" della CCI, poiché noi ne parliamo come fase terminale del capitalismo; o contro il nostro "idealismo" poiché, pur vedendo le conseguenze a lungo termine della crisi economica come fattore chiave della decomposizione, non vediamo i semplici fattori economici come elemento decisivo nell'entrata in questa nuova fase. Dietro queste obiezioni, c'è una incapacità a comprendere che il capitalismo, come ultima società di classe nella storia, è destinato ad entrare in questa specie di vicolo cieco storico. E ciò in quanto, a differenza della decadenza delle società di classe precedenti, dove era possibile lo sviluppo di un sistema sociale superiore (almeno da un punto di vista economico), il capitalismo non può dare nascita nel suo seno ad un nuovo modo di produzione più dinamico, dal momento che la sola via verso una forma superiore di vita sociale deve essere costruita, non sul prodotto automatico di leggi economiche, ma su un movimento cosciente dell'immensa maggioranza dell'umanità, e questo per definizione resta il compito più difficile mai intrapreso nella storia.

         12. La decomposizione è stata il prodotto di un blocco nella lotta tra le due principali classi. Ma si è anche rivelata come un fattore attivo nelle crescenti difficoltà della classe operaia dal 1989. Le campagne molto ben orchestrate sulla morte del comunismo che hanno corredato la caduta del blocco russo - mostrando la capacità della classe dominante di utilizzare le stesse manifestazioni della sua decomposizione contro gli sfruttati - sono state un elemento molto importante nel lavoro di sabotaggio della fiducia in sé della classe e della sua capacità a riaffermare la sua missione storica. Il comunismo, il marxismo, la lotta di classe sono stati così dichiarati superati, niente più che storia morta. Ma gli effetti negativi, enormi e duraturi, degli avvenimenti del 1989 sulla coscienza, la combattività e l'identità di classe del proletariato non sono solamente il risultato della gigantesca campagna anti-comunista. L'efficacia di questa campagna deve essere spiegata. Essa può essere compresa solamente nel contesto dello sviluppo specifico della rivoluzione e della controrivoluzione dal 1917. Con l'insuccesso della controrivoluzione militare contro la stessa URSS neonata e, allo stesso tempo, la sconfitta della rivoluzione mondiale, è emersa una situazione completamente inattesa, senza precedenti: una controrivoluzione che viene dall'interno di un bastione proletario, ed un'economia capitalista in Unione sovietica senza nessuna classe capitalista storicamente evoluta. E ciò che risulta non è per niente l'espressione di una necessità storica più elevata, ma una sua aberrazione: la direzione di un'economia capitalista da parte di una burocrazia di Stato borghese controrivoluzionario, una burocrazia totalmente non qualificata e non adatta ad un tale compito. Sebbene l'economia a direzione stalinista si sia mostrata efficace per l'URSS nella prova della seconda guerra mondiale, essa è fallita completamente, sul lungo termine, nel generare un capitale nazionale competitivo.

Sebbene i regimi stalinisti siano stati forme particolarmente reazionarie della società borghese decadente, e non una ricaduta in un qualsiasi tipo di regime feudale o dispotico, essi non sono stati in nessuno senso delle economie capitaliste "normali". Col suo crollo, lo stalinismo ha fatto un ultimo favore alla classe dominante. Innanzitutto, le campagne sulla morte del comunismo sembrano aver trovato una conferma nella stessa realtà. Poi, le deviazioni dello stalinismo rispetto ad un capitalismo funzionante erano così gravi da apparire effettivamente “non capitaliste” agli occhi della popolazione. Soprattutto, e per tutto il tempo che si è mantenuto, il regime stalinista sembrava dimostrare che le alternative al capitalismo fossero possibili. Anche se questa particolare alternativa al capitalismo era tutto tranne che attraente per la maggioranza degli operai, la sua esistenza, tuttavia lasciava una breccia potenziale nell'armamento ideologico della classe dominante. Il riemergere della lotta di classe negli anni ‘60 fu capace di trarre profitto da questa breccia per sviluppare la visione di una rivoluzione che sarebbe dovuta essere al tempo stesso anticapitalista ed antistalinista e basata non su una burocrazia di Stato o su una partito Stato, ma sui consigli operai. Se, durante gli anni ‘60 e ‘70, la rivoluzione mondiale era vista da molti come un'utopia irrealizzabile, un vano sogno, ciò era dovuto all’immenso potere della classe dominante o a quella che veniva considerata come un marchio egoista e distruttivo insito nella nostra specie.

Tuttavia, tali sentimenti di disperazione potevano trovare, e talvolta lo trovavano, un contrappeso nelle lotte massicce e nella solidarietà del proletariato. Dopo il 1989, con il crollo dei regimi "socialisti", sorse un nuovo fattore qualitativo: l'impressione dell'impossibilità di una società moderna non basata su dei principi capitalisti. In queste circostanze, era assai più difficile per il proletariato sviluppare, non solo la sua coscienza e la sua identità di classe, ma anche le sue lotte economiche difensive, nella misura in cui la logica dei bisogni dell'economia capitalista pesa molto più se essa non sembra avere nessuna alternativa.

In questo senso, sebbene non sia certamente necessario che tutta la classe operaia diventi marxista, o sviluppi una chiara visione del comunismo per fare una rivoluzione proletaria, la situazione immediata della lotta di classe cominciava a risultare notevolmente alterata, dipendente dal fatto se larghi settori della classe vedono o non il capitalismo come un sistema da rimettere in discussione.

         13. Ma, agendo in modo più subdolo, l'avanzamento della decomposizione in generale e "in sé stessa" ha eroso nella classe operaia la sua identità di classe e la sua coscienza di classe. Ciò è stato particolarmente evidente tra i disoccupati di lunga durata o tra i lavoratori impiegati a tempo parziale bistrattati dai cambiamenti strutturali introdotti negli anni ‘80: mentre nel passato i disoccupati erano stati all'avanguardia delle lotte operaie, in questo periodo, essi sono molto più vulnerabili alla sotto-proletarizzazione, al gangsterismo ed alla diffusione di ideologie come il jihadismo o il neofascismo. Come la CCI aveva previsto immediatamente nel periodo dopo gli avvenimenti del 1989, la classe si accingeva ad entrare in un lungo periodo di riflusso. Ma la lunghezza e la profondità di questo riflusso si sono rivelate anche peggio di ciò che avevamo previsto. Successivamente, importanti movimenti di una nuova generazione della classe operaia nel 2006 (il movimento anti-CPE in Francia) e tra il 2009 e il 2013 in numerosi paesi attraverso il mondo (Tunisia, Egitto, Israele, Grecia, Stati Uniti, Spagna…), nello stesso momento in cui emergeva un certo interesse per le idee comuniste in particolari settori proletari, ci hanno fatto pensare che la lotta di classe andava di nuovo ad occupare il centro della scena, e che si stava aprendo una nuova fase dello sviluppo del movimento rivoluzionario. Ma i diversi avvenimenti avutisi durante l'ultimo decennio hanno giustamente mostrato fino a che punto si sarebbero approfondite le difficoltà con cui la classe operaia e la sua avanguardia si dovevano confrontare.

         14. Le lotte intorno al 2011 erano legate esplicitamente agli effetti della crisi economica che si approfondiva; i loro protagonisti spesso mettevano al centro la precarietà del lavoro e la mancanza di opportunità per i giovani, anche dopo parecchi anni di studi universitari. Ma non c'è legame automatico tra gli aggravamenti della crisi economica e lo sviluppo qualitativo della lotta di classe - una lezione essenziale degli anni ‘30, quando la Grande Depressione portò alla demoralizzazione, una classe che era già sconfitta. E, considerando i lunghi anni di riflusso e di disorientamento che l'hanno preceduto, il terremoto finanziario del 2007-2008, avrebbe avuto un impatto largamente negativo sulla coscienza del proletariato.

Un elemento importante a tale riguardo è stata la proliferazione dello stesso sistema di credito che era stato al centro dell'espansione economica degli anni ‘90 e 2000, ma le cui contraddizioni intrinseche ora ne acceleravano il crollo. Questo processo di "finanziarizzazione" operava allora non solo a livello delle grandi istituzioni finanziarie ma anche della vita di milioni di lavoratori. Per questo motivo, la situazione è molto differente da quella degli anni ‘20 e ‘30, quando la maggiore parte delle sedicenti classi medie (piccoli proprietari, liberi professionisti, ecc., ma non gli operai), avevano dei risparmi da perdere; e quando la protezione dello Stato bastava appena ad impedire ai proletari di morire di fame. Se, da un lato, la situazione materiale immediata di molti lavoratori in tali paesi è dunque sempre meno drammatica in rapporto a 8 o nove decenni fa, dall’altro, milioni di lavoratori, proprio in tali paesi, si ritrovano in un impiccio che negli anni ‘30 esisteva molto poco: sono diventati dei debitori, spesso ad un livello importante. Durante il diciannovesimo secolo, ed ancora in grande misura prima del 1945, i soli che facevano credito ai lavoratori erano i bar locali, i caffè e la drogheria. I lavoratori dovevano far ricorso alla loro solidarietà di classe nei momenti di particolari difficoltà. Il credito concesso ai proletari è cominciato su grande scala con i crediti per l'abitazione e per la costruzione, ed è esploso poi negli ultimi decenni con lo sviluppo del credito al consumismo delle masse. Lo sviluppo sempre più raffinato, astuto e perfido di questa economia del credito per gran parte della classe operaia, ha avuto delle conseguenze estremamente negative per la coscienza di classe proletaria. L'espropriazione del reddito della classe operaia da parte della borghesia è nascosta ed appare incomprensibile quando prende la forma di una svalutazione del risparmio, del fallimento delle banche o delle compagnie di assicurazione, o della confisca della proprietà della casa. La precarietà crescente dell’assistenza dello "Stato Sociale" e del loro finanziamento, facilita la divisione dei lavoratori tra coloro che pagano per questi sistemi pubblici, e quelli che ne beneficiano senza avere pagato l'equivalente. Ed il fatto che milioni di lavoratori siano caduti nell'indebitamento, è un mezzo nuovo, supplementare e potente per disciplinare il proletariato.

Anche se il risultato del crash è stato per lo più l'austerità ed un trasferimento ancora più sfrontato di ricchezza a profitto di una piccola minoranza, in senso generale esso non ha acuito e sviluppato una comprensione del funzionamento del sistema capitalista: il risentimento contro la disuguaglianza crescente è stato in grande misura diretto contro "l'élite urbana corrotta", un tema che è diventato il cavallo di battaglia del populismo di destra. E anche quando la reazione alla crisi ed alle ingiustizie che a queste ultime sono legate ha fatto nascere forme più proletarie di lotta, come il movimento Occupy negli Stati Uniti, queste ultime erano in grande misura bloccate da una tendenza a far cadere la colpa alla cupidigia dei banchieri o anche a società segrete che hanno deliberatamente pianificato il crash per rinforzare il loro controllo sulla società.

         15. L'ondata rivoluzionaria del 1917-1923, come i movimenti insurrezionali precedenti della classe operaia, (1871, 1905), erano stati scatenati da una guerra imperialista, conducendo i rivoluzionari dell'epoca a considerare che la guerra determinasse le condizioni più favorevoli alla rivoluzione proletaria. In realtà, la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria ha mostrato che la guerra poteva creare delle divisioni profonde nella classe, in particolare tra i proletari delle nazioni "vittoriose" e quelli delle nazioni "vinte". In più, come hanno dimostrato gli avvenimenti alla fine della 2a Guerra Mondiale, la borghesia ha tratto le lezioni necessarie da ciò che è avvenuto nel 1917, e ha mostrato la sua capacità a limitare le possibilità di reazioni proletarie alla guerra imperialistica, in particolare sviluppando delle strategie e delle forme di tecnologia militare che rendono la fraternizzazione tra eserciti contrapposti sempre più difficili.

Contrariamente alle promesse della classe dominante occidentale dopo la caduta del blocco imperialista russo, la nuova fase storica che si apriva non era in nessuno modo un'epoca di pace e di stabilità ma una propagazione del caos militare, di guerre sempre più insolubili che hanno devastato lembi interi dell'Africa e del Medio Oriente e hanno colpito anche le frontiere d'Europa. Ma mentre la barbarie che si estendeva in Iraq, Afghanistan, Ruanda ed adesso Yemen e Siria, ha suscitato certamente l'orrore e l'indignazione di sezioni notevoli del proletariato mondiale - ivi compreso nei centri capitalisti dove la borghesia è stata implicata direttamente in queste guerre - le guerre della decomposizione solo raramente hanno dato nascita a forme proletarie di opposizione. Nei paesi colpiti direttamente, la classe operaia è stata troppo debole per organizzarsi contro i gangster militari locali ed i loro sponsor imperialistici. Ciò è flagrante nell’attuale guerra in Siria che ha visto non solo una carneficina ininterrotta della popolazione da parte di bombardamenti aerei, anche e soprattutto da parte delle forze ufficiali dello Stato, ma anche la deviazione di un malcontento sociale iniziale attraverso la creazione di fronti militari ed il reclutamento degli oppositori al regime in una miriade di gang armate, ciascuna più brutale dell'altra. Nei centri capitalisti, tali scenari spaventosi hanno generato soprattutto sentimenti di disperazione e di impotenza – e ciò perché sembra che ogni tentativo di ribellarsi contro il sistema attuale possa finire solamente in una situazione ancora peggiore. La triste sorte della "primavera araba" è stata facilmente utilizzata contro una possibile rivoluzione. Ma lo smembramento selvaggio di interi paesi alla periferia dell'Europa ha, durante gli ultimi anni, cominciato ad avere un effetto boomerang sulla classe operaia al centro del sistema. Ciò può essere riassunto in due questioni: da un lato, lo sviluppo sempre più caotico a scala mondiale di una crisi dei profughi che è veramente planetaria e, dell'altro, lo sviluppo del terrorismo.

         16. Il momento scatenante della crisi dei profughi in Europa, è stato l'apertura delle frontiere della Germania e dell'Austria ai profughi della "strada dei Balcani" nell'estate 2015. I motivi di questa decisione della cancelliera Merkel erano doppi. Innanzitutto, la situazione economica e demografica in Germania (un'industria fiorente confrontata alla prospettiva di una penuria di mano d'opera qualificata e "motivata"). Secondariamente, il pericolo del crollo dell'ordine pubblico del Sud-est Europa a causa della concentrazione di centinaia di migliaia di profughi in paesi incapaci di gestirli.

Tuttavia, la borghesia tedesca aveva calcolato male le conseguenze della sua decisione unilaterale sul resto del mondo, in particolare in Europa. In Medio Oriente ed in Africa, milioni di profughi e di altre vittime della miseria capitalista hanno cominciato a fare dei piani per raggiungere l'Europa, in particolare la Germania. In Europa, le regole dell'UE, come "Schengen" o il "Patto di Dublino per i profughi" ha fatto del problema della Germania quello dell'Europa nel suo insieme. Perciò, uno dei primi risultati di questa situazione è stata una crisi dell'Unione Europea - che sembrerebbe la più grave della sua storia.

L'arrivo di tanti profughi in Europa ha incontrato in principio un'ondata spontanea di simpatia presso vasti settori della popolazione - uno slancio che è ancora forte in paesi come l'Italia o la Germania. Ma questo slancio è stato soffocato molto rapidamente da una reazione xenofoba in Europa orchestrata non solo dai populisti ma anche dalle forze di sicurezza e dai difensori professionisti della legge e dell'ordine borghese allarmati dall'afflusso improvviso ed incontrollato di persone non identificate. La paura di un arrivo di agenti terroristici è andata di pari passo col timore che l'arrivo di tanti musulmani rafforzi lo sviluppo delle sotto-comunità di immigrati in seno all'Europa, che non si identificano alla Stato-nazione del paese dove vivono. Queste paure si sono rinforzate ulteriormente con l'incremento di attacchi terroristici in Francia, Belgio e Germania. Nella stessa Germania c'è stato un netto incremento di attacchi terroristici di destra contro i profughi. In alcune zone della vecchia RDT, una vera atmosfera di pogrom si è sviluppata. Nell’Europa dell'ovest nel suo insieme, dopo la crisi economica, la "crisi dei profughi", con l’aggiunta dell’aumento del terrorismo fondamentalista, è diventata il secondo fattore che ha alimentato le fiamme del populismo di destra.

Se la crisi economica dopo 2008 creò gravi divisioni in seno alla borghesia sul modo migliore di gestire l'economia mondiale, l'estate 2015 ha segnato l'inizio della fine del suo consenso sull'immigrazione. La base di questa politica fino ad ora era stata il principio della frontiera semi-permeabile. Il muro contro il Messico, che Donald Trump vuole costruire esiste già, proprio come quello che cinge l'Europa, anche se qui sotto forma di imbarcazioni militari di pattuglia e di prigioni negli aeroporti. Ma lo scopo dei muri attuali è di rallentare e regolamentare l'immigrazione, non di impedirla. Fare entrare illegalmente degli immigrati espone quest'ultimi ad azione penale, obbligandoli così a lavorare per un salario di miseria nelle condizioni abominevoli senza nessuno diritto ai servizi sociali. Inoltre, obbligando le persone a rischiare la loro vita per ottenere l'ammissione, il regime di frontiera diventa una specie di meccanismo selettivo barbarico, che consente il passaggio soli ai più audaci, determinati e dinamici.

L'estate 2015 segna, in effetti, l'inizio del crollo del sistema di immigrazione esistente. Lo squilibrio tra il numero continuamente crescente di quelli che cercano di arrivare da un lato e l'indebolimento dall'altro della domanda di forza lavoro nel paese dove essi entrano (la Germania costituisce un'eccezione) è diventato insostenibile. E come al solito i populisti hanno a portata di mano una soluzione facile: la frontiera semi-permeabile deve essere resa impermeabile, qualunque sia il livello di violenza richiesto. Qua, di nuovo, ciò che propongono sembra molto plausibile dal punto di vista borghese. Non equivale a nient’altro che all'applicazione della logica delle "comunità chiuse" a livello di paesi interi.

Qua, di nuovo, gli effetti di questa situazione per la coscienza della classe operaia sono, per il momento, molto negativi. La caduta del blocco dell'est venne presentata come il trionfo estremo del capitalismo democratico occidentale. Di fronte a ciò, c'era la speranza, dal punto di vista del proletariato, che la crisi della società capitalista, a tutti i livelli ed ad un livello globale, alla fine avrebbe contribuito ad offuscare questa immagine del capitalismo come il migliore sistema possibile. Ma oggi - e malgrado lo sviluppo della crisi - il fatto che milioni di persone, non solamente profughi, siano pronti a rischiare la loro vita per avere accesso ai vecchi centri capitalisti, quali sono l'Europa ed il Nordamerica, può solo rinforzare l'impressione che queste zone sono (almeno comparativamente) se non proprio un paradiso, almeno delle isolette di prosperità e di relativa stabilità.

A differenza con l'epoca della Grande Depressione degli anni ‘30, quando il crollo dell'economia mondiale si focalizzò sugli Stati Uniti e la Germania, oggi, grazie ad una gestione globale capitalista di Stato, i paesi centrali capitalisti verosimilmente sembrano gli ultimi a crollare. In questo contesto, si è determinata una situazione che somiglia a quella di una fortezza assediata, in particolare (ma non solamente) in Europa ed negli Stati Uniti. In queste zone, è reale il pericolo che la classe operaia, anche se non è mobilitata attivamente dietro l'ideologia della classe dominante, cerchi la protezione dei suoi "propri" sfruttatori ("l'identificazione con l'aggressore" per utilizzare un termine psicologico) contro ciò che è percepito come un pericolo comune che viene dall'esterno.

         17. Il "contraccolpo" degli attacchi terroristici risultanti dalle guerre in Medio Oriente è cominciato molto prima dell'attuale crisi dei profughi. Gli attacchi di Al-Qaïda contro le Twin Towers nel 2001, seguiti da altre atrocità nei trasporti a Madrid ed a Londra, mostravano già che i principali Stati capitalisti cominciavano a raccogliere ciò che avevano seminato in Afghanistan ed Iraq. Ma la serie più recente di omicidi attribuiti allo Stato Islamico in Germania, Francia, Belgio, Turchia, negli Stati Uniti, ed altrove, sebbene aventi spesso apparentemente un carattere più dilettantesco ed anche casuale, in cui diventa sempre più difficile distinguere un "soldato" terrorista vero ed integrato da un individuo isolato e perturbato, e che si produce contemporaneamente con la crisi dei profughi, ha ulteriormente intensificato i sentimenti di diffidenza e di paranoia nella popolazione, portandola ad orientarsi verso lo Stato per chiedere la sua protezione nei confronti di un "nemico interno" informe ed imprevedibile. Nello stesso tempo, l'ideologia nichilista dello Stato Islamico e dei suoi emuli offre un breve momento di gloria ai giovani immigrati ribelli che non vedono un loro futuro nei semi-ghetti delle grandi città occidentali. Il terrorismo che, nella fase di decomposizione, è diventato più uno strumento mezzo di guerra tra Stati e proto-Stati, rende molto più difficile l'espressione dell'internazionalismo.

         18. L'attuale ascesa del populismo è stata dunque alimentata da questi differenti fattori - la crisi economica del 2008, l'impatto della guerra, il terrorismo, e la crisi dei profughi - ed appare come un'espressione concentrata della decomposizione del sistema, dell'incapacità dell'una o dell'altra delle principali classi della società ad offrire una prospettiva per il futuro all'umanità. Dal punto di vista della classe dominante, ciò significa l'esaurimento del consenso "neoliberista" che aveva permesso al capitalismo di mantenersi ed anche di allargare l'accumulazione dall'inizio della crisi economica aperta negli anni 1970, ed in particolare, l’esaurimento delle politiche keynesiane che avevano predominato nel boom del dopoguerra. Nella scia del crash del 2008 che già aveva allargato l'immenso divario di prosperità tra una minoranza molto ricca e la grande maggioranza, la dérégulation e la globalizzazione, come la "libera circolazione" del capitale e del lavoro in un quadro inventato dagli Stati più potenti del mondo, sono stati rimessi in discussione da una parte crescente della borghesia di cui la destra populista è tipica, anche se mescola simultaneamente neo-liberismo e neo-keynesianismo negli stessi discorsi in campagna elettorale. L'essenza della politica populista è la formalizzazione politica, amministrativa e giudiziaria della disuguaglianza della società borghese. Ciò che la crisi del 2008 ha, in particolare, contribuito ad evidenziare, è che questa uguaglianza formale è il vero fondamento di una disuguaglianza sociale più chiara che mai. In una situazione in cui il proletariato è incapace di porre la sua soluzione rivoluzionaria - l'instaurazione di una società senza classe - la reazione populista è di volere sostituire la pseudo-uguaglianza ipocrita esistente con un sistema "onesto" ed aperto di discriminazione legale. È il crogiolo della "rivoluzione conservatrice" difesa dal consigliere capo del presidente Trump, Steve Bannon.

Una prima indicazione di ciò che vogliono dire slogan come "l'America innanzitutto" è data dal programma elettorale "la Francia innanzitutto" del Fronte Nazionale. Propone di privilegiare i cittadini francesi, a livello di impieghi, tasse e servizi sociali, rispetto ai cittadini di altri paesi dell'Unione Europea residenti all'estero che, a loro volta, sarebbero prioritari rispetto agli altri stranieri. Un dibattito simile esiste in Gran Bretagna sulla questione di sapere se, dopo la Brexit, i cittadini dell'UE potranno beneficiare di uno statuto intermedio tra i nazionali e gli altri stranieri. Nel Regno Unito, l'argomento principale emesso in favore della Brexit non era un'obiezione alla politica commerciale dell'UE o un qualsiasi slancio protezionistico britannico al riguardo dell'Europa continentale, ma la volontà politica di "riconquistare la sovranità nazionale" rispetto all'immigrazione ed al mercato nazionale di mano d'opera. La logica di questa argomentazione è che, in assenza di una prospettiva di crescita a lungo termine per l'economia nazionale, le condizioni di vita degli autoctoni possono essere più o meno stabilizzate solo da una discriminazione contro tutti gli altri.

         18. Invece di essere un antidoto al riflusso lungo e profondo della coscienza di classe, dell'identità di classe e della combattività dopo il 1989, la pretesa crisi finanziaria e dell'Euro ha avuto l'effetto opposto. In particolare, sono notevolmente aumentati gli effetti perniciosi della perdita di solidarietà nelle fila del proletariato. Ed in più, vediamo l'ascesa del fenomeno della ricerca del capro espiatorio, un modo di pensare secondo il quale si accusano le persone - su cui si proietta tutto il male del mondo - di tutto ciò che va male nella società. Tali idee aprono la porta al pogrom. Oggi, il populismo è la manifestazione più sorprendente, ma non l'unica, di questo problema che tende ad impregnare tutti i rapporti sociali. Al lavoro e nella vita quotidiana della classe operaia, in modo crescente, indebolisce la cooperazione e rafforza l'atomizzazione e lo sviluppo della diffidenza reciproca e del mobbing.

Il movimento operaio marxista ha difeso da lungo tempo le visioni teoriche che contribuiscono a fare da contrappeso a questa tendenza. Le due visioni più essenziali erano: a) che nel capitalismo, lo sfruttamento è diventato impersonale, poiché funziona secondo le "leggi" del mercato (legge del valore), gli stessi capitalisti sono obbligati a sottoporsi a queste leggi; b) malgrado questo carattere meccanico, il capitalismo resta un rapporto sociale tra classi, poiché questo "sistema" è basato e mantenuto da un atto di volontà dello Stato borghese (la creazione ed il rafforzamento della proprietà privata capitalista); la lotta di classe non è dunque personale ma politica. Al posto di combattere delle persone, si lotta contro un sistema e la classe che l'incarna per trasformare i rapporti sociali. Queste visioni tuttavia pur non potendo immunizzare il proletariato, anche i suoi strati più coscienti, contro la visione del capro espiatorio lo rendono di fatto più resiliente. Ciò spiega in parte perché, anche nello stesso centro della controrivoluzione, ivi compreso in Germania, il proletariato, rispetto ad altre parti della società, ha più resistito e per molto tempo all'esplosione di antisemitismo. Queste tradizioni proletarie hanno continuato ad avere effetti positivi, anche quando gli operai non si sono identificati più in modo cosciente al socialismo. La classe operaia, dunque, resta l'unica vera barriera all'estensione di questo tipo di veleno anche se alcune sue parti ne sono state colpite seriamente.

         19. Tutto ciò ha determinato un cambiamento nella disposizione politica della società borghese nel suo insieme, ma essa, tuttavia, per il momento non gioca per niente a favore del proletariato. Nei paesi come gli Stati Uniti o la Polonia, dove attualmente i populisti sono al governo, importanti manifestazioni di piazza hanno difeso soprattutto la democrazia capitalista esistente e la sua regolamentazione "liberale". Un'altra questione che mobilita le masse è la lotta contro la corruzione, in Brasile, in Corea del Sud, in Romania o in Russia. Il movimento delle "5 stelle" in Italia è animato principalmente dalla stessa questione. La corruzione, endemica nel capitalismo, raggiunge proporzioni epidemiche nella sua fase terminale. Nella misura in cui questa nuoce alla produttività e alla competitività, quelli che lottano contro di essa sono i migliori difensori degli interessi del capitale nazionale. La quantità di bandiere nazionali brandite durante tali manifestazioni non sono il frutto del caso. C'è anche un rinnovo d'interesse per il processo elettorale borghese. Certe parti della classe operaia sono cadute nella trappola del populismo esprimendo il loro voto in favore di quest'ultimo, influenzati dal riflusso della solidarietà, o come una protesta contro la classe politica al potere. Oggi, uno degli ostacoli allo sviluppo dell'emancipazione è l'impressione che hanno questi lavoratori che possono meglio scuotere e fare pressione sulla classe dominante attraverso un voto a favore dei populisti piuttosto che attraverso la lotta proletaria. Ma forse il pericolo maggiore è che i settori più moderni e globalizzati della classe, al centro del processo di produzione, possano, per indignazione contro la meschina espulsione esaltata dal populismo, o a partire da una comprensione più o meno chiara che questa corrente mette in pericolo la stabilità dell'ordine esistente, cadere nella trappola della difesa del regime capitalista democratico dominante.

         20. L'ascesa del populismo e dell'anti-populismo presenta certe somiglianze con gli anni ‘30, quando la classe operaia è stata presa nel circolo vizioso del fascismo e dell'antifascismo. Ma malgrado queste somiglianze, la situazione storica attuale non è la stessa degli anni ’30, periodo in cui il proletariato in Unione Sovietica ed in Germania aveva subito non solo uno scacco politico ma anche una sconfitta fisica. Oggi invece, la situazione non è controrivoluzionaria. Per questa ragione, la probabilità che la classe dominante tenda ad imporre una sconfitta fisica al proletariato per ora è molto debole. C'è un'altra differenza con gli anni ‘30: oggi l'adesione ideologica dei proletari al populismo o all'anti-populismo non è per niente definitiva. Molti operai che, oggi, votano per un candidato populista possono, dall'oggi al domani, ritrovarsi in lotta al fianco dei loro fratelli di classe, e la stessa cosa vale per gli operai coinvolti nelle manifestazioni antipopuliste. La classe operaia oggi, soprattutto nei vecchi centri del capitalismo, non è pronta a sacrificare la sua vita per gli interessi della nazione, malgrado l'influenza crescente del nazionalismo su certi settori della classe, e nemmeno ha perso la possibilità di combattere per i suoi interessi e questo potenziale continua ad affiorare, anche se ciò è molto più dispersivo ed effimero rispetto al periodo 68-69 e quello tra il 2006 ed il 2013. Allo stesso tempo, un processo di riflessione e di maturazione in seno ad una minoranza del proletariato prosegue a dispetto delle difficoltà e dei riflussi, e ciò riflette un processo più sotterraneo che ha luogo in seno a strati più larghi del proletariato.

In queste condizioni, il tentativo di terrorizzare la classe sarebbe potenzialmente pericoloso e probabilmente molto controproducente. Potrebbe erodere sensibilmente le illusioni che gli operai hanno sul capitalismo democratico, che costituisce uno dei più importanti vantaggi ideologici degli sfruttatori. 

Per tutte queste ragioni, è molto più nell'interesse della classe capitalista utilizzare contro la classe operaia gli effetti negativi della decomposizione.

1917, 2017 e la prospettiva del comunismo.

         21. Una delle principali linee d’attacco della borghesia "liberale" contro la rivoluzione di Ottobre 1917 sono stati, e continueranno ad essere, i pretesi contrasti tra le speranze democratiche del sollevamento di febbraio, ed il "colpo di Stato" di Ottobre dei Bolscevichi, che hanno fatto sprofondare la Russia nel disastro e nella tirannide. Ma la chiave per comprendere la rivoluzione di Ottobre è basata sulla necessità di rompere il fronte di guerra imperialista che era sostenuto e voluto da tutte le fazioni della borghesia ed in particolare dalla sua ala "democratica", e dunque dare il primo input alla rivoluzione mondiale. Era la prima risposta chiara del proletariato mondiale all'entrata del capitalismo nella sua epoca di declino, e ed è a questo livello che Ottobre 1917, lungi dal costituire una reliquia dei tempi passati, è l’indicatore del futuro dell'umanità.

Oggi, dopo tutti i contraccolpi che ha subito da parte della borghesia mondiale, la classe operaia sembra molto lontana dalla riconquista del suo progetto rivoluzionario. E, tuttavia, " oggi, in un certo senso, la domanda del comunismo è al centro stesso della difficile situazione dell'umanità. Essa domina la situazione mondiale attraverso il vuoto che ha creato con la sua assenza". (Rapporto sulla situazione mondiale). I molteplici atti di barbarie del 20mo e 21mo secolo, da Hiroshima, Auschwitz, a Fukushima ed Aleppo, sono i pesanti prezzi che l'umanità ha pagato per l'insuccesso della rivoluzione comunista durante tutti questi decenni; e se, in questo tempo di decadenza della civiltà borghese le speranze di trasformazione rivoluzionaria fossero definitivamente rotte, le conseguenze per la sopravvivenza della società sarebbero ancora più gravi. E tuttavia, siamo convinti che queste speranze sono sempre vive e fondate sempre su delle possibilità reali.

Da un lato, sono fondate sulla possibilità e la necessità oggettiva del comunismo, che è contenuto nel contrasto che si accentua tra le forze di produzione ed i rapporti di produzione. Questo contrasto è diventato precisamente più acuto perché il capitalismo decadente in decomposizione, contrariamente alle società di classe precedenti che hanno subito tutto un periodo di stagnazione, non ha mai fermato la sua espansione globale e la sua penetrazione in tutti i pori della vita sociale. Ciò si può vedere a parecchi livelli:

         - Nella contraddizione tra il potenziale contenuto nella tecnologia moderna e la sua utilizzazione attuale nel capitalismo: lo sviluppo della tecnologia dell'informazione e dell'intelligenza artificiale che potrebbe essere utilizzata per contribuire a liberare l'umanità dai lavori noiosi ed accorciare enormemente la giornata di lavoro, ha condotto da un lato alla soppressione di posti di lavoro, e dall'altro ha prolungato la giornata di lavoro.

         - Nella contraddizione tra il carattere associato a scala mondiale della produzione capitalista e la proprietà privata che, da un lato, mette in luce la partecipazione di milioni di proletari nella produzione della ricchezza sociale e, dall'altro, la sua appropriazione da parte di una piccola minoranza la cui arroganza e spreco diventano un affronto alle condizioni di vita che stentano o tendono decisamente all'impoverimento che vive la grande maggioranza. Il carattere obiettivamente globale dell'associazione del lavoro è aumentato in modo spettacolare negli ultimi decenni, in particolare, con l'industrializzazione della Cina e di altri paesi dell'Asia. Questi nuovi battaglioni proletari, che si sono mostrati spesso estremamente combattivi, costituiscono potenzialmente una nuova e forte grande fonte per la lotta di classe globale, anche se il proletariato dell'Europa occidentale resta la chiave della maturazione politica della classe operaia di fronte ad uno scontro rivoluzionario col capitale.

         - Nella contraddizione tra il valore d’ uso ed il valore di scambio che si esprime soprattutto nella crisi di sovrapproduzione ed in tutti i mezzi che utilizza il capitalismo per superarla, in particolare, il ricorso massiccio al debito. La sovrapproduzione, questa assurdità intrinseca al capitalismo, mette in evidenza allo stesso tempo la possibilità dell'abbondanza e l'impossibilità di arrivarvi con il capitalismo. Un esempio di sviluppo tecnologico mette ulteriormente in evidenza questa assurdità: Internet ha reso possibile distribuire gratuitamente ogni tipo di beni (musica, libri, film, ecc.) e tuttavia, il capitalismo, a causa del bisogno di mantenere il sistema di profitto, ha dovuto creare un'enorme burocrazia per assicurarsi che una tale libera distribuzione rimanga ristretta o che operi principalmente solo come un forum che fa pubblicità per le merci. In più, la crisi di sovrapproduzione si manifesta negli attacchi continui contro il livello di vita della classe operaia e l'impoverimento della massa dell'umanità.

         - Nella contraddizione tra l'espansione globale del capitale, e l'impossibilità di andare al di là dello Stato-nazione. Il livello della globalizzazione raggiunto negli anni ‘80, ci ha più che mai avvicinato al punto predetto da Marx nei Grundrisse: "l'universalità verso la quale esso tende irresistibilmente incontra delle barriere nella sua stessa natura che, ad una certa tappa del suo sviluppo, gli permetteranno di essere riconosciuto esso stesso come la più grande barriera a questa tendenza, e a partire da là lo condurrà dunque al suo superamento"[1]. Certamente, questa contraddizione fu già percepita dai rivoluzionari al tempo della prima guerra mondiale, poiché questa era la prima espressione chiara che finché lo Stato-nazione sopravviveva a sé stesso, il capitalismo non poteva realmente andare oltre. Ed oggi sappiamo che la scomparsa - in effetti la caduta - del capitale non prenderà una forma puramente economica: più si avvicina ad un'impasse economica, più grande sarà la sua deriva verso "la sopravvivenza" a scapito degli altri attraverso i mezzi militari. La belligeranza apertamente nazionalista di Trump, Putin, ed altri significa che la globalizzazione capitalista, lungi dall'unificare l'umanità, ci spinge sempre più vicino all'autodistruzione, anche se la discesa agli inferi non prenderà più necessariamente la forma di una guerra mondiale.

         - Nella contraddizione tra la produzione capitalista e la natura, considerata come un "dono gratuito" agli inizi del capitalismo (Adam Smith), e che ha raggiunto livelli senza precedenti nella fase di decomposizione. Ciò si esprime in modo evidente nel vandalismo aperto di coloro che negano il cambiamento climatico e che sono al governo negli Stati Uniti e nell'ascesa del loro nemico giurato, la Cina, dove la ricerca frenetica di crescita ad ogni costo ha fatto sorgere città dove l'aria non è respirabile, e ancora nel pericolo di crescita del riscaldamento globale, e - in una combinazione bizzarra di superstizione antica e di capitalismo moderno gangster - nella accelerata distruzione completa in Africa ed altrove di specie animali, stimate per le virtù curative magiche delle loro corna o delle loro pelli. Il capitalismo non può esistere senza questa mania di crescita ma è incompatibile con la salute dell'ambiente naturale in cui vive e respira l'umanità. La perpetuazione stessa del capitale minaccia dunque l'esistenza della specie umana, e non solamente a livello militare ma anche a livello dei suoi rapporti con la natura.

L'acuirsi insopportabile delle contraddizioni sopra citate conduce ad una sola soluzione: la produzione mondiale associata per l'uso e non per il profitto, un'associazione non solamente tra esseri umani ma un'associazione tra esseri umani e natura. Può anche essere che oggi la maggiore espressione di questo potenziale - per questa trasformazione – si trovi nella nuova generazione dei settori centrali del proletariato mondiale che, sempre più cosciente della gravità della situazione storica, non cada più nella disperazione del "no futuro" dei decenni precedenti. Questa fiducia è fondata sul riconoscimento della produttività associata di ciascuno: sul potenziale rappresentato dal progresso scientifico e tecnico, su "l'accumulazione" di conoscenze e dei mezzi per accedervi, e sulla crescita di una comprensione più profonda e più critica dell'interazione tra l'umanità e la restante natura.

Allo stesso tempo, questa parte del proletariato - come abbiamo visto nei movimenti in Europa occidentale nel 2011, che nel loro punto culminante hanno gridato lo slogan di "rivoluzione mondiale" - è molto più cosciente del carattere internazionale dell'associazione del lavoro oggi, e dunque più capace di afferrare le possibilità dell'unificazione internazionale delle lotte.

Ma l'unificazione globale del proletariato è una soluzione che il capitale deve evitare ad ogni costo, anche quando deve adottare dei mezzi che mostrano i limiti insiti nella produzione per lo scambio. Lo sviluppo del capitalismo di Stato nell'epoca di decadenza è, in un certo senso, un modo di ricerca disperata per mantenere una società unita attraverso mezzi totalitari, un tentativo della classe dominante di esercitare il suo controllo sulla vita economica in un periodo in cui lo sviluppo delle "leggi naturali" del sistema lo spinge verso il proprio crollo.

         22. Se il capitalismo non può scongiurare la necessità del comunismo, è anche vero che il nuovo modo di produzione non può nascere automaticamente, ma richiede l'intervento cosciente della classe rivoluzionaria, il proletariato. A dispetto delle difficoltà estreme alle quali è confrontato la classe oggi, della sua incapacità apparente a fare risorgere la sua "proprietà" del progetto comunista, noi abbiamo sottolineato già le nostre ragioni insistendo sul fatto che questo rinnovo, questa ricostituzione del proletariato in classe per il comunismo, oggi è ancora possibile. E ciò perché se il capitalismo non può scongiurare la necessità obiettiva del comunismo, esso neanche può sopprimere interamente le aspirazioni soggettive ad una nuova società, o alla ricerca della comprensione di come arrivarci, in seno alla classe associata, il proletariato.

La memoria di ciò che significava realmente l'Ottobre rosso e la rivoluzione tedesca e l'ondata rivoluzionaria mondiale scatenata dall’Ottobre non possono sparire interamente. Ciò è stato, per così dire, represso, ma tutti i ricordi repressi sono destinati a riapparire quando le condizioni sono mature.  E c'è sempre, in seno alla classe operaia, una minoranza che ha mantenuto ed elaborato la storia reale e le sue lezioni ad un livello cosciente, pronta a fertilizzare la riflessione della classe quando riscoprirà la necessità di dare un senso alla propria storia.

La classe non può raggiungere questo livello di ricerca ad una scala di massa senza passare attraverso la dura scuola delle lotte pratiche. Queste lotte, in risposta agli attacchi crescenti del capitale, sono la base granitica dello sviluppo della fiducia in sé e della solidarietà senza limite generate dalla realtà del lavoro associato.

Ma l'impasse raggiunto nelle battaglie economiche, puramente difensive, del proletariato dal 1968 richiede anche una lotta teorica, una ricerca per comprendere il suo passato "in profondità" ed il suo possibile futuro, una ricerca che può condurre solamente alla necessità per il movimento di classe di passare dal locale e dal nazionale all'universale, dall'economico al politico, dalla difensiva all'offensiva. Mentre la lotta immediata della classe è più o meno una costante nella vita del capitalismo, non c'è nessuna garanzia che questo ulteriore, vitale passo sia fatto. Ma essa si manifesta, poco importa fino a che punto con le sue limitazioni e confusioni, attraverso le lotte della generazione attuale di proletari, soprattutto nei movimenti come quello degli Indignados in Spagna che, del resto, era un'espressione di indignazione autentica contro l'intero sistema, - un sistema "obsoleto" come lo proclamavano i manifestanti sulle loro bandiere - di un desiderio di comprendere come funziona questo sistema, e con che cosa si potrebbe sostituire, ed allo stesso tempo, di scoprire gli strumenti organizzativi che devono essere adoperati per uscire dalle istituzioni dell'ordine esistente. Questi mezzi essenzialmente non erano nuovi: la generalizzazione delle assemblee di massa, l'elezione di delegati eletti, un'eco molto chiara dell'epoca dei soviet nel 1917. Era una chiara dimostrazione del lavoro in profondità della "vecchia talpa" nelle fondamenta della vita sociale.

Ciò dava anche una prima apertura potenziale per uno sviluppo di quella che si può chiamare la dimensione politico-morale della lotta proletaria: l'emersione di un profondo rigetto da parte di larghi settori della classe dello stile di vita e del comportamento dominanti. L'evoluzione di questo momento è al tempo stesso un fattore molto importante nella preparazione e nella maturazione di lotte massicce su un terreno di classe e di una prospettiva rivoluzionaria.

Allo stesso tempo, l'insuccesso del movimento degli Indignados a realizzare una reale identità di classe sottolinea la necessità di legare questa politicizzazione nascente nelle strade e sui posti di lavoro alla lotta economica, al movimento sui posti di lavoro, dove la connotazione di classe operaia è più evidenta. Il futuro rivoluzionario non si basa su una "negazione" della lotta economica come proclamano i modernisti, ma su una vera sintesi delle dimensioni politiche ed economiche del movimento di classe, come è osservato e difeso nell’opuscolo Sciopero di massa di Rosa Luxemburg.

         23. Nello sviluppo di questa capacità di vedere il legame tra le dimensioni politiche ed economiche delle lotte, le organizzazioni politiche comuniste hanno un ruolo indispensabile da giocare, e ciò in quanto la borghesia farà di tutto per screditare il ruolo del partito bolscevico nel 1917, presentando la sua azione come una cospirazione di fanatici e di intellettuali interessati ad impossessarsi solo del potere. Il compito della minoranza comunista non è di provocare le lotte o di organizzarle in anticipo, ma di intervenire al loro interno per chiarire i metodi e gli scopi del movimento.

La difesa dell'Ottobre rosso esige anche una energica dimostrazione che lo stalinismo, lungi dal rappresentare una qualsiasi continuità con quest’ultimo, è stato invece una controrivoluzione borghese contro di lui. Questo compito è tanto più necessario oggi di fronte al peso delle idee secondo le quali il crollo dello stalinismo avrebbe dimostrato l’inattuabilità economica del comunismo. Gli effetti negativi di questo peso sulle minoranze politiche in ricerca - il campo instabile tra la sinistra comunista e le sinistre del capitale (gauscismo) - è considerevole. Mentre prima del 1989, idee confuse ma manifestamente anticapitaliste, per esempio delle compagini consiliariste o autonome, erano relativamente influenti in tali circoli, dopo c'è stata un'avanzata importante delle concezioni basate sulla formazione di circoli di scambio reciproco a livello locale, sulla preservazione e l'estensione di aree di economie di sussistenza o sulle “comuni” ancora esistenti. L'avanzata di tali idee indica che anche i settori più politicizzati del proletariato sono oggi spesso incapaci di immaginare una società al di là del capitalismo. In queste circostanze, uno dei fattori necessari che prepara l'uscita di una futura generazione di rivoluzionari è che le esistenti minoranze rivoluzionarie espongano oggi nel modo più profondo e convincente (senza cadere nella concezione utopistica) perché il comunismo è oggi non solo una necessità, ma anche una possibilità estremamente reale e fattibile.

Data la natura ridotta e dispersa della sinistra comunista oggi, e le difficoltà enormi alle quali è confrontato un più largo campo di elementi alla ricerca di chiarezza politica, è evidente che una distanza enorme dovrà essere percorsa tra il piccolo movimento rivoluzionario attuale ed ogni capacità futura di agire come un'avanguardia autentica nei movimenti di classe di massa. I rivoluzionari e le minoranze politicizzate non sono dei semplici prodotti passivi di questa situazione, visto che le loro confusioni contribuiscono ad aggravare ancora più la disunione ed il disorientamento. Fondamentalmente, la debolezza della minoranza rivoluzionaria è un'espressione della debolezza della classe nel suo insieme, e non ci sono ricette organizzative o parole d’ordine attiviste in grado di porvi un rimedio.

Viviamo tempi che non favoriscono la classe operaia, ed essa non può essere più veloce della sua ombra. Sicuramente è costretta a ricuperare molto di quello che ha perso non solamente dal 1917, ma anche dalle lotte del 1968-89. Per i rivoluzionari, ciò esige un lavoro paziente, a lungo termine, di analisi del movimento reale della classe e delle prospettive rivelate dalla crisi del modo di produzione capitalista; e sulla base di questo sforzo teorico, fornire delle risposte alle domande poste da quegli elementi che si avvicinano alle posizioni comuniste. L'aspetto più importante di questo lavoro è che deve essere visto come una parte della preparazione politica ed organizzativa del futuro partito, quando le condizioni obiettive e soggettive verranno a porre di nuovo i problemi della rivoluzione. In altri termini, oggi, i compiti dell'organizzazione rivoluzionaria sono simili a quelli di una frazione comunista, come è stata elaborata lucidamente dalla frazione italiana della sinistra Comunista negli anni ’30.

 

[1] Cahier IV, Il capitolo sul capitale.

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