Inviato da RivistaInternaz... il
Lo stalinismo ha costituito la punta di lancia della più terribile controrivoluzione subita dal proletariato nel corso della sua storia. Una controrivoluzione che ha permesso la più grande carneficina di tutti i tempi, la seconda guerra mondiale, e l’affossamento di tutta la società in una barbarie senza precedenti. Oggi, col crollo economico e politico dei cosiddetti paesi socialisti, con la scomparsa di fatto del blocco imperialista dominato dall’URSS, lo stalinismo, come forma di organizzazione politico-economica del capitale e come ideologia, è in agonia. Va a scomparire quindi uno dei peggiori nemici della classe operaia. Ma la sua scomparsa non facilita certo il compito alla classe. Anzi, come vedremo in questo articolo, anche mentre sta morendo, lo stalinismo rende un ultimo servizio al capitalismo.
In tutta la storia umana lo stalinismo costituisce il fenomeno certamente più tragico e odioso che sia mai esistito. E non solo perché è responsabile del massacro di dozzine di milioni di esseri umani o perché ha instaurato per decenni un terrore implacabile su circa un terzo dell’umanità, ma soprattutto perché ha dimostrato di essere il peggior nemico della rivoluzione comunista, cioè dell’unica condizione per l’emancipazione della specie umana dalle catene dello sfruttamento e dell’oppressione, e proprio in nome di questa stessa rivoluzione comunista.
IL RUOLO DELLO STALINISMO NELLA CONTRORIVOLUZIONE
Da quando ha stabilito il proprio dominio politico sulla società, la borghesia ha sempre visto nel proletariato il suo peggior nemico. Per esempio, nel corso stesso della rivoluzione borghese della fine del 18° secolo la borghesia ha subito capito il carattere sovversivo delle idee di un Babeuf. E per questo lo ha spedito sul patibolo anche se all’epoca il suo movimento non poteva costituire una reale minaccia per lo stato capitalista (1). Tutta la storia della dominazione borghese è marcata dai massacri di operai perpetrati allo scopo di difendere questa dominazione: massacro dei canuti di Lione nel 1831, dei tessitori della Slesia nel 1844, degli operai parigini nel giugno 1848, dei comunardi nel 1871, degli insorti del 1905 in tutto l’impero russo. Per questo tipo di necessità la borghesia ha sempre potuto trovare nelle sue formazioni politiche classiche gli uomini di polso di cui aveva bisogno. Ma quando la rivoluzione proletaria si è posta all’ordine del giorno della storia, la borghesia non si è più contentata di fare appello a queste sole formazioni per preservare il suo potere. La responsabilità di spalleggiare i partiti borghesi tradizionali o anche di prendere la testa dell’offensiva antiproletaria, passa a quei partiti traditori che erano stati in passato organizzazioni proletarie. Il ruolo preciso di queste nuove reclute della borghesia, la funzione per la quale erano indispensabili ed insostituibili, consisteva nella loro capacità, derivante proprio dalla loro origine e dal loro nome, di esercitare un controllo ideologico sul proletariato per distruggerne la presa di coscienza ed imbrigliarlo sul terreno della classe nemica. La maggiore gloria, infatti, della Socialdemocrazia in quanto partito borghese, non sta tanto nei massacri perpetrati in prima persona a partire dal gennaio del 1919 a Berlino (dove, come ministro delle forze armate, il socialdemocratico Noske ha assunto appieno la sua responsabilità di “cane sanguinario”, come lui stesso si definiva), ma piuttosto come sergente-reclutatore per la prima guerra mondiale e, in seguito, come agente di mistificazione della classe operaia, di divisione e di dispersione delle sue forze, di fronte all’ondata rivoluzionaria che ha messo fine all’olocausto imperialista. In effetti solo il tradimento dell’ala opportunista che dominava la maggior parte dei partiti della II Internazionale, solo il suo passaggio armi e bagagli nel campo della borghesia ha reso possibile, in nome della “difesa della civilizzazione”, l’‘imbrigliamento del proletariato europeo dietro la “difesa nazionale” e lo scatenamento di questa carneficina. Inoltre, la politica di questi partiti, che pretendevano di essere ancora socialisti e per questo continuavano ad avere una notevole influenza sul proletariato, ha giocato un ruolo importante nel mantenimento delle illusioni riformiste e democratiche nel proletariato che lo hanno disarmato impedendogli di seguire l’esempio dato dagli operai russi nel 1917.
In questo periodo, gli elementi e le frazioni che si erano contrapposte a questo tradimento, che avevano mantenuta alta la bandiera dell’internazionalismo e della rivoluzione proletaria, si erano raggruppati nei partiti comunisti, sezioni della III Internazionale. Ma questi stessi partiti, in seguito, giocheranno un ruolo analogo a quello dei partiti socialisti. Logorati dall’opportunismo che si era rafforzato in conseguenza del mancato sviluppo della rivoluzione mondiale, fedeli esecutori della direzione di una “Internazionale” che si trasformava sempre più in un semplice strumento della diplomazia dello stato russo alla ricerca della sua integrazione nel mondo borghese, i partiti comunisti hanno seguito lo stesso cammino dei loro predecessori. Come questi, hanno finito per integrarsi completamente nell’apparato politico del capitale nazionale dei rispettivi paesi. Ma, di passaggio, hanno anche partecipato alla sconfitta degli ultimi soprassalti dell’ondata rivoluzionaria del dopoguerra, come in Cina nel 1927-28, e soprattutto hanno contribuito in maniera decisiva alla trasformazione della sconfitta della rivoluzione mondiale in una terribile controrivoluzione.
In effetti, dopo una tale sconfitta, la demoralizzazione e lo scombussolamento del proletariato erano inevitabili. Tuttavia, la f orna che ha preso la controrivoluzione nella stessa URSS - non il rovesciamento del potere uscito dalla rivoluzione d’ottobre 1917, ma la degenerazione di questo potere e del partito che lo deteneva - le ha dato una estensione ed una profondità enormemente più grande che se la rivoluzione fosse morta sotto i colpi delle armi bianche. Il partito comunista dell’unione sovietica (PCUS), che aveva costituito l’avanguardia incontestabile del proletariato mondiale sia nella rivoluzione del ‘17 che nella fondazione dell’Internazionale comunista nel ‘19, diventa, in seguito alla sua immedesimazione con lo stato post-rivoluzionario, il principale agente della controrivoluzione in URSS, il vero carnefice della classe operaia (2). E sfruttando il suo glorioso passato ha continuato a mietere illusioni nella maggioranza degli altri partiti comunisti e dei loro militanti, come nelle grandi masse del proletariato mondiale. E’ grazie a tale prestigio che questi militanti e queste masse potranno tollerare tutti i tradimenti fatti dallo stalinismo in questo periodo. In particolare l’abbandono dell’internazionalismo proletario sotto la copertura della “costruzione del socialismo in un solo paese”, l’identificazione al “socialismo” del capitalismo che si è ricostituito in Russia nelle forme più barbare, la sottomissione delle lotte del proletariato mondiale agli imperativi della difesa della “patria socialista” e infine la difesa della democrazia contro il fascismo. Tutte queste menzogne e mistificazioni hanno potuto, in gran parte, avere una presa sulle masse operaie proprio perché venivano veicolate da partiti che continuavano a presentarsi come gli eredi “legittimi” della rivoluzione d’Ottobre. E’ proprio questa falsa identificazione tra stalinismo e comunismo, utilizzata da tutti i settori della borghesia mondiale (3), che ha permesso alla controrivoluzione di paralizzare più generazioni operaie consegnandole mani e piedi legati alla seconda carneficina imperialista, di averla vinta sulle frazioni comuniste che avevano lottato contro la degenerazione dell’Internazionale comunista e dei suoi partiti o comunque di ridurle a livello di piccoli nuclei completamente isolati.
Sono stati in particolare i partiti stalinisti, negli anni ‘30, a deviare su di un terreno borghese la collera e la combattività degli operai colpiti brutalmente dalla crisi economica mondiale. Questa crisi, per la sua ampiezza e profondità, era il segno indiscutibile del fallimento storico del modo di produzione capitalistico e avrebbe potuto, a questo titolo ed in altre circostanze, costituire la leva per una nuova ondata rivoluzionaria. Ma la maggioranza degli operai che si orientavano verso questa prospettiva sono rimasti prigionieri nelle maglie dello stalinismo che pretendeva di rappresentare la tradizione della rivoluzione mondiale. In nome della difesa della “patria socialista” ed in nome dell’antifascismo, i partiti stalinisti hanno sistematicamente svuotato di ogni contenuto di classe le lotte proletarie di questo periodo e le hanno trasformate in forze di appoggio della democrazia borghese, quando non in preparativi della guerra imperialista. Questo fu il caso, in particolare, dei “fronti popolari” in Francia e in Spagna, dove un’enorme combattività operaia fu deviata ed annientata attraverso l’antifascismo, portato avanti principalmente dagli stalinisti, e fatto passare come una pratica proletaria. In quest’ultimo caso i partiti stalinisti hanno dimostrato che, anche al di fuori dell’URSS dove già da molti anni giocavano il ruolo di carnefici, erano ben più capaci dei loro maestri socialdemocratici nel compito di massacratori del proletariato (vedi in particolare il loro ruolo nella repressione del sollevamento proletario a Barcellona nel maggio 1937 descritto nell’articolo di “Bilan” “Piombo, mitraglia, prigioni …“ nella Rivista Internazionale n. 1, novembre ‘76). Come numero di vittime di cui porta la diretta responsabilità a livello mondiale, lo stalinismo non ha nulla da invidiare al fascismo, altra manifestazione della controrivoluzione. Ma il suo ruolo antioperaio sarà molto più importante perché lo assicurerà in nome della rivoluzione comunista e del proletariato, provocando in quest’ultimo un riflusso della sua coscienza di classe senza uguali nella storia.
Infatti, mentre alla fine e dopo la prima guerra imperialista, nel momento in cui si sviluppava l’ondata rivoluzionaria mondiale, l’impatto dei partiti comunisti era direttamente in rapporto con la combattività e soprattutto la coscienza nell’insieme del proletariato, l’evoluzione della loro influenza, a partire dagli anni 30, è in proporzione inversa alla coscienza nella classe. Alla loro fondazione, la forza dei partiti comunisti costituiva, in qualche modo, un termometro della potenza della rivoluzione; dopo esser passati alla borghesia, la loro forza diventa una misura della profondità della controrivoluzione.
E’ per questo che lo stalinismo non è mai stato così potente come dopo la seconda guerra mondiale. Questo periodo, infatti, costituisce il punto culminante della controrivoluzione. Grazie ai partiti stalinisti, per mezzo dei quali la borghesia ha potuto scatenare un’altra carneficina imperialista, e che sono stati tra i migliori sergenti-reclutatori del proletariato nei movimenti di “resistenza”, questa carneficina, contrariamente alla prima, non ha portato ad un sollevamento rivoluzionario del proletariato. L’occupazione di una buona parte dell’Europa da parte dell’“Armata rossa” (4) da una parte, la partecipazione dei partiti stalinisti ai governi della “Liberazione” dall’altra, hanno messo a tacere ogni velleità di lotta del proletariato sul proprio terreno di classe, attraverso il terrore o la mistificazione, ciò che lo ha spinto in un disorientamento ancora più profondo di quello che esisteva alla vigilia della guerra. Nella guerra, la vittoria degli alleati, alla quale lo stalinismo ha dato tutto il suo contributo, lungi dallo sgombrare il terreno per la classe operaia (come pretendevano i trotzkisti per giustificare la loro partecipazione alla “Resistenza”), non ha fatto altro che rafforzarne la sottomissione all’ideologia borghese. Questa vittoria, presentata come quella della “Democrazia” e della “Civilizzazione” sulla barbarie fascista, ha permesso alla borghesia di ridare splendore al blasone delle illusioni democratiche e della visione di un capitalismo “umano” e “civilizzato”, prolungando così di vari decenni la notte della controrivoluzione.
Non è affatto un caso se la fine della controrivoluzione, la ripresa storica delle lotte di classe a partire da 1968, coincide con un indebolimento importante, nell’insieme del proletariato mondiale, della presa dello stalinismo, del peso delle illusioni sulla natura dell’URSS e delle mistificazioni antifasciste. Ciò è particolarmente evidente nei due paesi occidentali dove esistevano i partiti “comunisti” più forti e dove si sono avute le lotte più significative di questa ripresa: la Francia nel 1968 e l’Italia nel 1969.
COME LA BORGHESIA UTILIZZA IL CROLLO DELLO STALINISMO
Questo indebolimento della presa ideologica dello stalinismo sulla classe operaia risulta in buona parte dalla scoperta da parte degli operai della vera natura dei regimi cosiddetti socialisti. Nei paesi dominati da questi regimi è evidente che gli operai hanno potuto constatare subito che lo stalinismo era uno dei loro peggiori nemici. Già dal 1953 in Germania orientale, e dal 1956 in Polonia ed Ungheria, le rivolte operaie e la loro repressioni nel sangue hanno dimostrato che, in questi paesi, gli operai non si facevano illusioni sullo stalinismo. Questi avvenimenti (così come l’intervento armato del patto di Varsavia in Cecoslovacchia nel 1968) hanno inoltre contributo ad aprire gli occhi ad un certo numero di operai in Occidente (5), anche se molto di più sono servite a tal scopo le lotte del 1970, 76 e 80 in Polonia che, proprio perché si situavano molto più direttamente su di un terreno di classe ed in un momento di ripresa mondiale delle lotte operaie, hanno potuto dimostrare in maniera molto più chiara al proletariato dei paesi occidentali la natura antioperaia dei regimi stalinisti. E’ per questo infatti che i partiti stalinisti occidentali hanno preso le distanze dalla repressione scatenata dagli stati “socialisti”.
Un altro elemento che ha favorito l’usura delle mistificazioni staliniste è stato la messa in evidenza, da parte di queste lotte, del fallimento dell’economia “socialista”. Tuttavia, man mano che si confermava questo fallimento e che di conseguenza si indebolivano le mistificazioni staliniste, la borghesia occidentale ne approfittava per sviluppare le sue campagne sulla “superiorità del capitalismo rispetto al socialismo”. Così le illusioni democratiche e sindacaliste che gli operai polacchi subivano sono state sfruttate, in particolare a partire dall’80, con la formazione del sindacato “Solidarnosc”, per essere ripresentate riverniciate a nuovo agli operai in Occidente. E’ infatti il rafforzamento di queste illusioni, accentuato dalla repressione del dicembre ‘81 e la messa fuori legge di “Solidarnosc”, che permette di comprendere il disorientamento ed il riflusso della classe operaia agli inizi degli anni ‘80.
L’emergere, a partire dall’autunno 1983, di una nuova ondata di ampie lotte nella maggior parte dei paesi sviluppati occidentali, ed in particolare in Europa occidentale, la simultaneità stessa di queste lotte a livello internazionale, dimostravano che la classe operaia stava liberandosi dalla presa delle illusioni e delle mistificazioni che l’avevano paralizzata nel periodo precedente. In particolare lo scavalcamento dei sindacati ed il loro rigetto, manifestatisi soprattutto nello sciopero dei ferrovieri in Francia alla fine dell’86 o nel movimento della scuola in Italia nell’87, la costituzione da parte dei gruppi di estrema “sinistra”, in questi ed in altri paesi, di “coordinamenti” che presentandosi come strutture “non sindacali” servivano nei fatti all’inquadramento dei lavoratori, sono tutte manifestazioni dell’indebolimento delle mistificazioni sindacaliste. Nello stesso periodo si indebolivano anche le mistificazioni elettorali con una crescita delle astensioni, in particolare nelle circoscrizioni operaie. Ma oggi, grazie al crollo dei regimi stalinisti e a tutte le campagne che ne derivano, la borghesia è riuscita a rovesciare la tendenza che si era manifestata in questi anni 80.
In effetti, se le trappole sindacaliste e democratiche che la borghesia era riuscita a tendere a ridosso delle lotte operaie dell’agosto ‘80 in Polonia, e grazie alle quali aveva potuto scatenare la repressione del dicembre 81, avevano permesso di provocare un sensibile disorientamento nel proletariato dei paesi più avanzati, il crollo generale e storico dello stalinismo di oggi non può che portare ad un disorientamento ancora maggiore.
Ciò perché gli avvenimenti attuali si situano ad un livello ben diverso da quello della Polonia 80. Innanzitutto non vi è implicata un’unica nazione ma tutte quelle del blocco, a cominciare dal capofila, l’URSS. La propaganda stalinista poteva presentare le difficoltà del regime polacco come il risultato degli “errori” di Gierek. Ha oggi nessuno, neanche i nuovi dirigenti di questi paesi, si sognano di accollare ai loro predecessori la responsabilità totale delle difficoltà dei loro regimi. A detta di molti di questi dirigenti, soprattutto quelli ungheresi, è in discussione l’insieme della struttura dell’economia e delle pratiche politiche aberranti che hanno marcato i regimi stalinisti fin dalla loro origine. Un tale riconoscimento del fallimento di questi regimi da parte di chi ne è alla testa chiaramente è pane per i denti della borghesia occidentale.
La seconda ragione per la quale la borghesia riesce ad utilizzare appieno ed efficacemente il crollo dello stalinismo e del blocco che dominava, sta nel fatto che questo crollo non deriva dall’azione della lotta di classe ma da un fallimento completo dell’economia di questi paesi. Negli attuali avvenimenti dei paesi dell’Est, il proletariato, in quanto classe, in quanto portatore di una politica antagonista al capitalismo, è purtroppo assente. In particolare, gli scioperi operai dell’estate scorsa nelle miniere dell’URSS sono piuttosto un’eccezione e denotano, per il peso delle mistificazioni che hanno gravato su di loro, la debolezza politica del proletariato di questi paesi. Questi scioperi erano essenzialmente una conseguenza dello sfacelo dello stalinismo e non un fattore attivo in questo sfacelo. D’altra parte, la maggior parte degli scioperi che si sono avuti in questi ultimi tempi in questo paese, contrariamente a quello dei minatori, non avevano come scopo la difesa degli interessi operai ma si situavano su di un terreno nazionalista (paesi baltici, Armenia, Azerbaijan, ecc.), e dunque completamente borghese. Nelle numerose manifestazioni di massa che scuotono attualmente i paesi dell’Europa dell’est, in particolare la Repubblica Democratica Tedesca, la Cecoslovacchia e la Bulgaria, non si vede neanche l’ombra di una sola rivendicazione operaia. Queste manifestazioni sono completamente dominate da rivendicazioni tipicamente ed esclusivamente democratico-borghesi: “elezioni libere”, “libertà”, “dimissioni dei PC al potere”, ecc. In questo senso, se l’impatto delle campagne democratiche sviluppatesi in seguito agli avvenimenti della Polonia 80-81 erano state limitate dal fatto che scaturivano da una situazione di lotta, l’assenza di una lotta di classe significativa nei paesi dell’est, oggi, non può che rafforzare gli effetti devastanti delle attuali campagne della borghesia.
Ad un livello più generale, il crollo di un intero blocco imperialista, le cui conseguenze saranno enormi, il fatto che questo avvenimento storico sia avvenuto indipendentemente dalla presenza del proletariato, non può che generare in quest’ultimo un sentimento di impotenza, anche se tutto questo è potuto avvenire, come dimostrano le tesi pubblicate in questo numero, solo a causa dell’incapacità della borghesia di imbrigliare a livello mondiale, fino ad oggi, la classe operaia in un terzo olocausto imperialista. E’ stata la lotta di classe, dopo aver rovesciato lo zarismo e poi la borghesia, in Russia, a porre fine alla prima guerra mondiale, provocando il crollo della Germania imperiale. E’ in gran parte per questa ragione che ha potuto svilupparsi a livello mondiale la prima ondata rivoluzionaria. Al contrario, il fatto che la lotta di classe non era stato che un fattore secondario nel crollo dei paesi dell’“Asse” e nella fine della seconda guerra mondiale, ha giocato un ruolo importante nella paralisi ed il disorientamento del proletariato all’indomani di questa. Oggi, non è indifferente che il blocco dell’est sia crollato sotto i colpi della crisi economica piuttosto che sotto i colpi della lotta di classe. Se fosse prevalsa questa seconda alternativa, piuttosto che indebolirsi come sta avvenendo oggi, la fiducia del proletariato nelle proprie capacità si sarebbe potuta rafforzare. Inoltre, nella misura in cui il crollo del blocco dell’est fa seguito ad un periodo di “guerra fredda” con il blocco occidentale, in cui quest’ultimo appare come il “vincitore” senza colpo ferire, si genera nelle popolazioni occidentali, e anche tra i proletari, un sentimento di euforia e di fiducia verso i propri governi, simile (facendo le debite proporzioni) a quello che pesò sui proletari dei paesi “vincitori” nelle due guerre mondiali e che fu una delle cause della sconfitta dell’ondata rivoluzionaria seguita alla prima guerra.
Una tale euforia, catastrofica per la coscienza del proletariato, sarà evidentemente molto più limitata dato che oggi non stiamo uscendo da una carneficina imperialista. Tuttavia quella che oggi si manifesta in alcuni paesi dell’est ha certamente un impatto in occidente e non potrà che accentuare gli effetti nefasti della situazione attuale. Infatti quando è caduto il muro di Berlino, simbolo del terrore imposto dallo stalinismo, la stampa ed alcuni esponenti borghesi hanno paragonato l’atmosfera che regnava in questa città a quella della “Liberazione”. Non è un caso: i sentimenti provati dalla popolazione della Germania dell’est nel momento in cui si abbatteva questo simbolo erano paragonabili a quelli delle popolazioni che avevano subito per anni l’occupazione ed in terrore della Germania nazista. Ma, come ci ha dimostrato la storia, questo tipo di sentimenti sono tra i peggiori ostacoli per la presa di coscienza del proletariato. La soddisfazione provata dagli abitanti dei paesi dell’est davanti al crollo dello stalinismo e soprattutto il rafforzamento delle illusioni democratiche che questo comporta, si ripercuoteranno fortemente, e si ripercuotono già sul proletariato dei paesi occidentali e particolarmente su quello tedesco che riveste una particolare importanza all’interno del proletariato mondiale nella prospettiva della rivoluzione proletaria. Inoltre il proletariato di questo paese dovrà affrontare, nel prossimo periodo, il peso delle mistificazioni nazionaliste che saranno rafforzate dalla prospettiva di una riunificazione della Germania, anche se questa non è ancora all’ordine del giorno.
Queste mistificazioni sono già oggi particolarmente forti tra gli operai della maggior parte dei paesi dell’est. Non solo nelle differenti repubbliche che costituiscono l’URSS, ma anche nelle “democrazie popolari” per il modo particolarmente brutale in cui il “Grande Fratello” ha esercitato la sua dominazione imperialista. Gli interventi sanguinosi dei carri armati russi nella RDT nel 1953, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968, cosi come la costante rapina subita dall’economia dei paesi “satelliti” per dei decenni, hanno potuto solo alimentare tali mistificazioni. A fianco alle illusioni democratiche e sindacali, esse hanno contribuito non poco, nel 1980-81, allo scombussolamento degli operai polacchi che ha poi aperto la porta alla repressione del dicembre 1981. Con lo sfaldamento del blocco dell’est al quale assistiamo oggi queste mistificazioni acquisteranno nuovo vigore rendendo ancora più difficile la presa di coscienza degli operai di questi paesi. Queste mistificazioni nazionaliste peseranno anche sugli operai dell’occidente non necessariamente (tranne il caso della Germania) con un rafforzamento diretto del nazionalismo, ma attraverso il discredito e l’alterazione che subirà nella loro coscienza l’idea stessa di internazionalismo proletario. In effetti, questa idea è stata completamente snaturata dallo stalinismo e, sulle sue orme, dall’insieme delle forze borghesi che l’hanno identificato con la dominazione imperialista dell’URSS sul suo blocco. Per questo l’intervento dei carri armati del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia, nel ‘68, è stato fatto in nome dell’“internazionalismo proletario”. La caduta ed il rigetto dell’internazionalismo di stile stalinista da parte delle popolazioni dei paesi dell’est non potrà che pesare negativamente sulla coscienza degli operai d’occidente e ciò tanto più in quanto la borghesia occidentale non perderà occasione per opporre al vero internazionalismo proletario la propria “solidarietà internazionale”, intesa come sostegno alle economie dell’est in rovina (quando non si giungerà a veri appelli alla carità) o alle “rivendicazioni democratiche” delle loro popolazioni quando queste si scontreranno con la repressione statale (ricordiamoci delle campagne a proposito della Polonia nell’81, o recentemente della Cina).
Nei fatti, ed è questo il perno delle campagne scatenate attualmente dalla borghesia, il crollo dello stalinismo investe la prospettiva stessa della rivoluzione comunista mondiale. L’internazionalismo non è che un elemento di questa prospettiva. La tiritera che i mass media ci ripetono fino alla nausea: “il comunismo è morto, è fallito”, riassume molto bene il messaggio fondamentale che le borghesie di tutti i paesi vogliono ficcare nelle teste degli operai che sfruttano. E la menzogna sulla quale si erano unite tutte le forze borghesi in passato, nei momenti più bui della controrivoluzione, cioè l’identificazione tra il comunismo e lo stalinismo, raccoglie oggi la stessa unanimità. Questa identificazione aveva permesso alla borghesia negli anni 30 di imbrigliare la classe operaia dietro di sé al fine di completarne la sconfitta. Oggi, quando lo stalinismo è completamente screditato agli occhi di tutti gli operai, questa menzogna serve a distoglierlo dalla prospettiva del comunismo.
Il proletariato dei paesi dell’est subisce già da parecchio tempo questo disorientamento: quando “dittatura del proletariato” è sinonimo di terrore poliziesco, “potere della classe operaia” significa potere cinico dei burocrati, “socialismo” denota sfruttamento brutale, miseria, penuria e malgoverno, quando a scuola bisogna imparare a memoria delle citazioni di Marx o di Lenin, ci si può solo allontanare da tutto ciò, cioè rigettare ciò che costituisce il fondamento stesso della prospettiva storica del proletariato, rifiutarsi categoricamente di studiare i testi di base del movimento operaio, rigettare gli stessi termini di “movimento operaio” e di “classe operaia” che sono considerati delle oscenità. In un tale contesto, l’idea stessa di una rivoluzione del proletariato è completamente screditata. “A che servirebbe un nuovo Ottobre ‘17 se, alla fin dei conti, il risultato ultimo è la barbarie stalinista?” Questo pensano oggi praticamente tutti gli operai dei paesi dell’est e la borghesia occidentale, aiutata dall’evidente e spettacolare fallimento di questo sistema, cerca oggi di disseminare lo stesso scombussolamento tra gli operai d’occidente.
Pertanto, l’insieme degli avvenimenti che scuotono i paesi dell’est e che si ripercuotono sul mondo intero, peseranno negativamente per tutto un periodo sulla presa di coscienza della classe operaia. In un primo tempo, l’apertura della “cortina di ferro” che separa in due il proletariato mondiale non permetterà agli operai dell’occidente di mettere a disposizione dei loro fratelli di classe dei paesi dell’est l’esperienza acquisita nelle lotte di fronte alle trappole ed alle mistificazioni sviluppate dalla borghesia più forte del mondo. Al contrario, sono le illusioni democratiche particolarmente forti tra gli operai dell’est, la loro convinzione sulla “superiorità del capitalismo sui socialismo”, che si rovesceranno sull’occidente indebolendo nell’immediato le acquisizioni delle esperienze del proletariato di questa parte del mondo. E’ per questo che l’agonia di questo strumento della controrivoluzione, lo stalinismo, viene oggi rivoltata contro la classe operaia.
LE PROSPETTIVE PER LA LOTTA DI CLASSE
Il crollo dei regimi stalinisti, derivante essenzialmente dal fallimento totale dell’economia, non potrà, in un contesto mondiale di approfondimento della crisi capitalista, che aggravare questo fallimento. Per la classe operaia di questi paesi significa attacchi alle sue condizioni di vita, miseria e fame senza precedenti. Una tale situazione provocherà necessariamente delle esplosioni di collera. Ma il contesto politico ed ideologico nei paesi dell’est è tale che la combattività operaia non potrà, per tutto un periodo, sfociare in un reale sviluppo della coscienza (vedi la presentazione delle tesi). Il caos e le convulsioni che si sviluppano sul piano economico e politico, la barbarie e l’imputridimento dell’insieme della società capitalista che essi esprimono in modo concentrato e caricaturale non potranno sfociare nella comprensione della necessità di rovesciare questo sistema finché una tale comprensione non si sarà sviluppata nei battaglioni decisivi del proletariato delle grandi concentrazioni operaie dell’occidente e particolarmente nell’Europa (6).
Attualmente, come abbiamo visto, questi settori subiscono essi stessi lo scatenamento delle campagne borghesi e sono colpiti da un riflusso della loro coscienza. Questo non vuoi dire che non saranno capaci di lottare contro gli attacchi economici del capitalismo la cui crisi è irreversibile. Significa soprattutto che, per un certo tempo, queste lotte saranno, molto più che negli scorsi anni, prigioniere degli organi di inquadramento della classe operaia e in primo luogo dei sindacati, come si può già constatarlo nelle lotte più recenti. In particolare i sindacati beneficeranno del rafforzamento generale delle illusioni democratiche e troveranno un terreno più propizio alle loro manovre con lo sviluppo dell’ideologia riformista che deriva dalle illusioni sulla “superiorità del capitalismo” rispetto ad ogni altra forma di società.
Tuttavia, il proletariato oggi non è quello degli anni ‘30. Non sta uscendo da una sconfitta come quella subita dopo l’ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra. La crisi mondiale del capitalismo è insanabile. Essa potrà solo aggravarsi (vedi rapporto sulla situazione internazionale, in questo numero): dopo il crollo del “Terzo mondo” alla fine degli anni 70, dopo l’attuale implosione delle economie dette “socialiste”, il prossimo settore del capitale mondiale della lista è quello dei paesi più sviluppati che avevano potuto, in parte, scamparla fino ad oggi scaricando la maggior parte delle convulsioni del sistema verso la periferia. La messa in evidenza inevitabile del fallimento completo, non di un settore particolare del capitalismo, ma dell’insieme di questo modo di produzione, non potrà che minare le basi stesse delle campagne della borghesia occidentale sulla “superiorità del capitalismo”.
Alla fine, lo sviluppo della sua combattività dovrà sfociare in un nuovo sviluppo della coscienza, sviluppo interrotto ed ostacolato oggi dalla caduta dello stalinismo. Spetta alle organizzazioni rivoluzionarie contribuire in maniera decisa a questo sviluppo, non cercando di consolare oggi gli operai, ma mettendo chiaramente in evidenza che, malgrado la difficoltà del cammino, non esiste altra via per il proletariato se non quella che porta alla rivoluzione comunista.
25/11/89 F. M.
1) E’ significativo che la “rivoluzionaria” e “democratica” borghesia francese non ha esitato a schernire la “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo” che aveva appena adottato (e alla quale si fa molto riferimento oggi) vietando ogni associazione operaia (legge Chapelier del 14 giugno 1791). Questo divieto sarà abrogato solo un secolo più tardi, nel 1884.
2) La degenerazione ed il tradimento di questo ha incontrato una forte resistenza. In particolare, una gran parte dei militanti e la quasi totalità dei dirigenti del partito dell’Ottobre 1917 sono stati sterminati dallo stalinismo. Su questa questione vedi in particolare “La degenerazione della rivoluzione russa” e “La sinistra comunista in Russia” sulla Rivista Internazionale n°2, novembre 1977.
3) Nella seconda metà degli anni 20 e per tutti gli anni 30, la “democratica” borghesia occidentale si è ben guardata dal manifestare, di fronte allo stalinismo “barbaro” e “totalitario”, quella ripugnanza che invece comincia a sbandierare a partire dalla “guerra fredda”, e ripresa oggi nelle varie campagne. Essa ha invece sostenuto pienamente Stalin nella persecuzione da questo scatenata contro l’“Opposizione di sinistra” e il suo principale dirigente, Trotskij. Per quest’ultimo, dopo la sua espulsione dalla Russia nel ‘28, il mondo è diventato un “pianeta senza lasciapassare”. Nei suoi confronti tutti i “democratici” del mondo, e in prima linea i socialdemocratici, che erano al governo in Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Belgio o Francia, hanno nuovamente dato prova della loro ripugnante ipocrisia mandando a quel paese i “virtuosi principi” quali il “diritto d’asilo”. Questo bel mondo non ha trovato niente da ridire quando Stalin, con i processi di Mosca, ha liquidato la vecchia guardia del partito bolscevico accusandola di “hitlero-trotzkismo”. Queste “anime candide” hanno perfino lasciato capire che “non c’è fumo senza fuoco”.
4) Un’ulteriore prova, ammesso che ce ne sia ancora bisogno, del fatto che i regimi che si formano nell’Europa dell’est dopo la seconda guerra mondiale (oltre chiaramente al regime che già esisteva in Russia) non hanno niente a che vedere col regime instauratosi in Russia nel 1917, sta nel rapporto tra le loro origini e la guerra imperialista. La natura operaia della Rivoluzione d’Ottobre è dimostrata dal fatto che questa sorge CONTRO la guerra imperialista. La natura antioperaia e capitalista delle “democrazie popolari” è contrassegnata dal fatto che esse si sono instaurate GRAZIE alla guerra imperialista.
5) Chiaramente questo non è il solo fattore che permette di spiegare l’usura dell’impatto dello stalinismo - così come dell’insieme delle mistificazioni borghesi - nella classe operaia tra la fine della guerra e la ripresa storica del proletariato alla fine degli anni 60. D’altra parte, in molti paesi (in particolare quelli dell’Europa del nord), lo stalinismo dalla seconda guerra mondiale giocava solo un ruolo molto secondario rispetto a quello della socialdemocrazia nell’inquadramento degli operai. L’indebolimento delle mistificazioni antifasciste, per l’inesistenza nella maggioranza dei paesi di uno spauracchio “fascista”, così come l’usura dell’influenza dei sindacati (siano essi stalinisti o socialdemocratici) già ampiamente utilizzati negli anni 60 per sabotare le lotte, possono anch’essi spiegare l’indebolimento dell’impatto dello stalinismo, come di quello della socialdemocrazia, sul proletariato, ciò che ha permesso a quest’ultimo di ritornare sulla scena storica fin dai primi attacchi della crisi aperta.
6) Vedi la nostra analisi su questa questione nell’articolo “Il proletariato d’Europa occidentale al centro della generalizzazione della lotta di classe” pubblicato nella Rivista Internazionale n.7.