Decade 2020-2029
Giugno 2020
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Pubblichiamo di seguito questa dichiarazione internazionale della CCI sull’attuale crisi di Covid-19. Lo facciamo nella forma di un “volantino digitale” poiché, nelle attuali condizioni di confinamento della popolazione, una distribuzione massiccia di una versione stampata non è possibile. Chiediamo quindi a tutti i nostri lettori di utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione - social network, forum su Internet e altri - per disseminare questo testo e di scriverci per inviarci qualsiasi reazione o discussione che possa sorgere e, naturalmente, la sua opinione su questo volantino. Oggi è più che mai necessario che tutti quelli che lottano per la rivoluzione proletaria esprimano la loro reciproca solidarietà e rimangano connessi. Anche se dobbiamo rimanere fisicamente isolati per un po’, possiamo tuttavia stare assieme politicamente!
Un massacro! Migliaia di morti ogni giorno, ospedali in ginocchio, un’odiosa “cernita” tra malati giovani e anziani per valutare chi valga la pena di curare, medici e infermieri allo stremo delle loro forze, infetti e che a volte muoiono. Ovunque mancano le attrezzature mediche. I governi che si lanciano in una terribile competizione in nome della “guerra al virus” e degli “interessi economici nazionale”. Dei mercati finanziari in caduta libera, scene di rapina surrealiste in cui gli Stati si rubano gli uni con gli altri carichi di mascherine. Decine di milioni di lavoratori gettati nell'inferno della disoccupazione, un fiume di menzogne pronunciate dagli Stati e dai loro media ... Questo è lo spettacolo spaventoso che il mondo ci offre oggi! La pandemia COVID-19 rappresenta la catastrofe sanitaria globale più grave dopo l’influenza spagnola del 1918-19 quando, da allora, la scienza ha fatto progressi straordinari. Perché un tale disastro? Come siamo arrivati a tanto?
Ci dicono che questo virus è diverso, che è molto più contagioso degli altri, che i suoi effetti sono molto più dannosi e mortali. Tutto ciò è probabilmente vero, ma non spiega l’entità della catastrofe. Il responsabile fondamentale di questo caos planetario, delle centinaia di migliaia di morti, è lo stesso capitalismo. La produzione per il profitto e non per i bisogni umani, la ricerca permanente della massima redditività a scapito del feroce sfruttamento della classe operaia, gli attacchi sempre più violenti alle condizioni di vita degli sfruttati, la frenetica competizione tra aziende e tra Stati, sono tutte queste caratteristiche proprie del sistema capitalista che si sono combinate per portare all’attuale disastro.
L’incuria criminale del capitalismo
Quelli che dirigono la società, la classe borghese con i suoi Stati e i suoi media, ci dicono costernati che l’epidemia era “imprevedibile”. Questa è una pura menzogna degna di quelle pronunciate dagli “scettici climatici”. Da tempo gli scienziati hanno preso in considerazione la minaccia di una pandemia come quella da COVID-19. Ma i governi hanno rifiutato di ascoltarli. Si sono persino rifiutati di ascoltare un rapporto della CIA del 2009 (“Come sarà il mondo domani”) che descrive, con una precisione sbalorditiva le caratteristiche dell'attuale pandemia. Nulla è stato fatto per anticipare una simile minaccia. Perché una tale cecità da parte degli Stati e della classe borghese? Per una ragione molto semplice: occorre che gli investimenti generino profitti, e il più rapidamente possibile. Investire sul futuro dell’umanità non porta nulla, non fa salire i titoli di Borsa. Occorre anche che gli investimenti contribuiscano a rafforzare le posizioni di ciascuna borghesia nazionale rispetto alle altre sull’arena imperialista. Se le cifre folli investite nella ricerca militare fossero state dedicate alla salute e al benessere delle popolazioni, tal epidemia non avrebbe mai potuto svilupparsi. Ma, invece di prendere delle misure di fronte a questa catastrofe sanitaria annunciata, i governi hanno continuato a mettere sotto attacco i sistemi sanitari, sia in termini di ricerca che di risorse tecniche e umane.
Se le persone muoiono e cadono oggi come mosche, anche nel cuore dei paesi più sviluppati, questo è principalmente perché, dappertutto, i governi hanno tagliato i budget per la ricerca su nuove malattie! Ad esempio, nel maggio 2018, Donald Trump ha abolito un’unità speciale del Consiglio di sicurezza nazionale, composta di eminenti esperti, responsabili della lotta contro le pandemie. Ma l’atteggiamento di Trump è solo una caricatura di quello adottato da tutti i leader. Infatti, gli studi scientifici sui coronavirus sono stati ovunque abbandonati circa quindici anni fa, perché lo sviluppo del vaccino era considerato ... “non redditizio”!
Allo stesso modo, è del tutto disgustoso vedere dirigenti e politici borghesi, di destra e di sinistra, lamentarsi della congestione degli ospedali e delle condizioni catastrofiche in cui gli operatori sanitari sono costretti a lavorare, quando si sa che gli Stati hanno perseguito una politica metodica di “redditività” del sistema sanitario nel corso degli ultimi cinquant’anni, in particolare dalla grande recessione del 2008. Dappertutto è stato limitato l’accesso delle persone ai servizi sanitari, ridotto il numero di letti d’ospedale e aumentato il carico di lavoro e di sfruttamento del personale infermieristico! Che pensare della penuria generalizzata di mascherine e di altri mezzi di protezione, di gel disinfettante, di reagenti per tamponi? In questi ultimi anni, la maggior parte degli Stati non provvedono più a fare scorte di questi prodotti vitali per risparmiare denaro. Negli ultimi mesi, non hanno previsto nulla di fronte all’aumento della diffusione del COVID-19, individuato tuttavia fin dal novembre 2019, e alcuni di loro, per nascondere la loro irresponsabilità criminale, si sono spinti fino a ripetere per settimane che le mascherine erano inutili per quelli che non erano infetti.
E che dire delle regioni del mondo cronicamente bisognose, come il continente africano o l’America Latina? A Kinshasa, Repubblica democratica del Congo, i 10 milioni di abitanti dovranno contare su 50 respiratori! Nell’Africa centrale sono stati distribuiti dei volantini che suggeriscono come lavarsi le mani quando la popolazione non ha neanche acqua da bere! Dappertutto sorge lo stesso grido di angoscia: “Ci manca tutto di fronte alla pandemia!”.
Il capitalismo è la guerra di ognuno contro tutti
La forte concorrenza che esiste tra gli Stati nell’arena globale rende impossibile anche il minimo di cooperazione per arginare la pandemia. Quando questa è iniziata, è stato più importante per la borghesia cinese fare di tutto per nascondere la gravità della situazione, proteggere la sua economia e la sua reputazione. Lo stato non ha esitato, infatti, a perseguitare e poi lasciare morire il primo medico che aveva suonato l’allarme! Perfino la parvenza di regolamento internazionale che la borghesia si era data per gestire la carenza è completamente fallita, per l’incapacità dell’OMS a imporre delle direttive fino all’incapacità dell’Unione Europea a mettere in atto delle misure concertate. Questa divisione peggiora considerevolmente il caos causando una perdita totale di controllo sull’evoluzione della pandemia. La dinamica del ciascuno per sé e l’esasperazione della concorrenza generalizzata sono chiaramente diventate le caratteristiche dominanti delle reazioni della borghesia.
“La guerra delle mascherine”, come la chiamano i media, è un esempio edificante della competizione cinica e sfrenata in cui tutti gli Stati sono impegnati. Oggi, ogni Stato si accaparra come può di questo materiale di sopravvivenza attraverso una guerra delle offerte e persino il furto puro e semplice! Gli Stati Uniti si sono appropriati del carico di mascherine cinesi promesse alla Francia. La Francia ha confiscato il carico di mascherine dirette dalla Svezia alla Spagna e che transitavano per i suoi aeroporti. La Repubblica Ceca ha confiscato ai suoi confini i respiratori e le maschere destinate all’Italia. La Germania ha fatto sparire le mascherine destinate al Canada. Si può persino vedere questa competizione tra diverse regioni dello stesso paese, come in Germania o negli Stati Uniti. Questo è il vero volto delle “grandi democrazie”: la legge fondamentale del capitalismo, la concorrenza, la guerra di ognuno contro tutti, ha prodotto una classe di filibustieri e criminali della peggior specie!
Degli attacchi senza precedenti contro gli sfruttati
Per la borghesia, “i profitti valgono più delle nostre vite”, hanno gridato gli scioperanti del settore automobilistico in Italia. Ovunque, in tutti i paesi, ha ritardato il più possibile la messa in opera delle misure di contenimento e di protezione della popolazione per preservare, a tutti i costi, la produzione nazionale. Non è stata la minaccia di un mucchio di morti che alla fine l’ha indotta a dichiarare l’isolamento della popolazione. I molteplici massacri imperialisti che si svolgono da oltre un secolo, in nome di questo stesso interesse nazionale, hanno definitivamente dimostrato il disprezzo della classe dirigente per le vite degli sfruttati. No, non le importa nulla delle nostre vite! Tanto più che questo virus ha “il vantaggio”, per la borghesia, di falciare soprattutto gli anziani e i malati, quelli che ai suoi occhi sono “improduttivi”! Lasciare che il virus si diffonda e faccia il suo lavoro “naturale”, in nome della “immunità collettiva”, è stata la scelta iniziale di Boris Johnson e di altri leader. Ciò che ha spinto la borghesia a prendere delle misure di contenimento generalizzato in ogni paese, è stata la paura della disorganizzazione dell’economia e, in alcuni paesi, del disordine sociale, del montare della rabbia a fronte della noncuranza e della crescita dell’ecatombe. Inoltre, sebbene riguardino metà dell’umanità, le misure di isolamento sociale sono molto spesso una pura mascherata: milioni di persone sono state costrette ad affollare ogni giorno treni, metropolitane e autobus, officine e supermercati! E già, ovunque, la borghesia sta cercando di porre fine a questa misura il più rapidamente possibile, proprio mentre la pandemia colpisce più duramente, cercando di trovare il modo di provocare il minor malcontento possibile rimandando i lavoratori al lavoro settore per settore, impresa per impresa.
La borghesia perpetua e prepara nuovi attacchi, delle condizioni di sfruttamento ancora più brutali. La pandemia ha già fatto perdere il lavoro a milioni di lavoratori: dieci milioni in tre settimane solo negli Stati Uniti. Molti di loro, a causa di lavori irregolari, precari o temporanei, sono stati privati di qualsiasi tipo di reddito. Altri, che hanno solo scarsi sussidi o assistenza sociale per sopravvivere, rischiano di non poter più pagare l’affitto e di essere privati dell’accesso all’assistenza sanitaria. La devastazione economica è già iniziata grazie alla recessione globale che si profila: esplosione dei prezzi dei prodotti alimentari, licenziamenti di massa, riduzione dei salari, crescita della precarietà del lavoro, ecc. Tutti gli Stati stanno adottando misure di “flessibilità” incredibilmente violente, facendo appello per accettare questi sacrifici all’“unità nazionale nella guerra contro il virus”.
L’interesse nazionale che la borghesia invoca oggi non ci appartiene! È questa stessa difesa dell’economia nazionale e questa stessa concorrenza generalizzata che le sono servite, in passato, per attuare i tagli di bilancio e gli attacchi alle condizioni di vita degli sfruttati. Domani, ci servirà le stesse bugie quando, dopo le devastazioni economiche causate dalla pandemia, chiederà che gli sfruttati stringano ancora più le cinture e accettino ulteriore sfruttamento e miseria!
Questa pandemia è l’espressione della natura decadente del modo di produzione capitalistico, una delle numerose manifestazioni del grado di disintegrazione e di deliquescenza della società odierna, come la distruzione dell’ambiente e l’inquinamento della natura, i cambiamenti climatici, la moltiplicazione dei focolai di guerra e i massacri imperialisti, l’inesorabile sprofondamento nella miseria di una parte crescente dell’umanità, la portata assunta oggi dalle migrazioni dei rifugiati, l’ascesa dell’ideologia populista e dei fanatismi religiosi, ecc. (vedi le “Tesi sulla decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [3]” sul nostro sito Web). È indicativa del vicolo cieco in cui si trova il capitalismo e della direzione in cui questo sistema e la sua perpetuazione minacciano di affondare e trascinare tutta l’umanità: il caos, la miseria, la barbarie, la distruzione e la morte.
Solo il proletariato può trasformare il mondo
Alcuni governi e media borghesi sostengono che il mondo non sarà mai più com’era prima della pandemia, che si farà tesoro delle lezioni apprese dal disastro, che infine gli Stati si orienteranno verso un capitalismo più umano e meglio gestito. Avevamo ascoltato lo stesso discorso durante la recessione del 2008: con le mani sul cuore, Stati e leader mondiali hanno dichiarato “guerra alla finanza”, promettendo che i sacrifici richiesti per uscire dalla crisi sarebbero stati premiati. Basta guardare alla crescente disuguaglianza nel mondo per constatare che queste promesse di “rigenerazione” del capitalismo erano solo pure bugie per farci ingoiare l’ennesima degradazione delle nostre condizioni di vita.
La classe sfruttatrice non può cambiare il mondo per mettere la vita e i bisogni sociali dell’umanità davanti alle leggi spietate della sua economia: il capitalismo è un sistema di sfruttamento, con una minoranza che domina e trae i suoi profitti e i suoi privilegi dal lavoro della maggioranza. La chiave per il futuro, la promessa di un altro mondo, veramente umano, senza nazioni e senza sfruttamento, risiede solo nell’unità e nella solidarietà internazionale dei lavoratori nella lotta!
L’ondata di solidarietà spontanea che si manifesta nella nostra classe in risposta all’intollerabile situazione inflitta agli operatori sanitari viene dispersa volutamente dai governi e dai politici di tutto il mondo promuovendo gli applausi dalle finestre e i balconi. Naturalmente gli applausi riscaldano il cuore di questi lavoratori che, con coraggio e dedizione, in condizioni di lavoro drammatiche, si prendono cura dei malati e salvano vite umane. Ma la solidarietà della nostra classe, quella degli sfruttati, non può essere ridotta a una somma di applausi per cinque minuti. Essa consiste, anzitutto, nel denunciare l’incuria dei governi di tutti i paesi, qualunque sia il loro colore politico! Essa significa richiedere mascherine e tutti i mezzi di protezione necessari! Significa, quando possibile, mettersi in sciopero affermando che finché i lavoratori della sanità non avranno le attrezzature necessarie, finché saranno precipitati verso la morte a viso scoperto, gli sfruttati che non sono negli ospedali non lavoreranno più!
Oggi che siamo confinati, non possiamo condurre delle grandi lotte contro questo sistema omicida. Non ci possiamo raggruppare, esprimere assieme la nostra rabbia e mostrare la nostra solidarietà sul nostro terreno di classe, attraverso delle lotte di massa, scioperi, manifestazioni e assemblee. A causa del distanziamento sociale, ma non solo. Anche perché la nostra classe deve riappropriarsi della sua reale forza che ha già manifestato tante volte nella storia ma che ha comunque dimenticato: la forza che deriva dall’unirsi nella lotta, per sviluppare movimenti di massa contro la classe dominante e il suo mostruoso sistema.
Gli scioperi scoppiati nel settore automobilistico in Italia o nella grande distribuzione in Francia, di fronte agli ospedali di New York o nel nord della Francia, come l’enorme indignazione dei lavoratori che si rifiutano di servire come “carne da virus”, ammassati insieme senza maschere, guanti o sapone, per il solo vantaggio dei loro sfruttatori, oggi possono essere solo reazioni disperse perché tagliate fuori dalla forza di un’intera classe unita. Tuttavia, essi dimostrano che i proletari non si rassegnano ad accettare come una fatalità l’irresponsabilità criminale di coloro che li sfruttano!
È questa prospettiva di lotta di classe che dobbiamo preparare. Perché dopo il Covid-19, ci sarà la crisi economica mondiale, una massiccia disoccupazione e nuove “riforme” che saranno solo dei nuovi “sacrifici”. Perciò, prepariamoci fin d’ora alle nostre lotte future. Come? Discutendo, scambiando esperienze e idee nella misura del possibile tramite internet, i forum, il telefono. Comprendendo che il più grande flagello non è Covid-19, ma il capitalismo, che la soluzione non è quella di unirsi dietro lo Stato assassino, ma al contrario di combattere contro lo Stato; che la speranza non risiede nelle promesse di questo o quel leader politico, ma nello sviluppo della solidarietà dei lavoratori nella lotta, che l’unica alternativa alla barbarie capitalista è la rivoluzione mondiale!
L’AVVENIRE APPARTIENE ALLA LOTTA DI CLASSE!
Corrente comunista internazionale (10 aprile 2020)
Accanto alle armi di distruzione di massa la borghesia possiede quelle di distrazione di massa, e a queste fa sempre ricorso per nascondere le sue responsabilità di fronte ai disastri cui è sottoposta l’umanità.
Di fronte alla pandemia ci sono almeno due argomenti che appartengono a questo tentativo di diversione: tutte le discussioni, o le prese di posizione, sulla natura di questo virus (come se fosse la sua natura che ha comportato le conseguenze che noi tutti stiamo vivendo), e l’affermazione che l’epidemia non era prevedibile.
Che ci fosse il rischio della diffusione di nuovi virus è qualcosa che in molti avevano previsto, anche Bill Gates! Il problema è che nonostante questo le borghesie del mondo intero non si sono preparate. C’era anche una raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità di costituire scorte strategiche di dispositivi di protezione (mascherine, tute, ecc.), ma non è stato fatto!
E’ stata questa impreparazione, l’inadeguatezza delle risposte, che hanno fatto di questa pandemia la tragedia che è sotto gli occhi di tutti.
Innanzitutto lo smantellamento del sistema sanitario: la riduzione dei posti letto, la riduzione delle terapie intensive, il taglio del personale medico e infermieristico, la mancanza di mezzi di protezione per questo personale e per la popolazione in generale, di cui sono responsabili tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 25 anni[1].
Storicamente qualsiasi paese, anche il più pacifico, sa che deve avere un esercito preparato a rispondere a un attacco, e per questo esistono le cosiddette “riserve strategiche” di armi, viveri, munizioni, ecc.
Ma di fronte all’attacco di un virus, niente mascherine, niente respiratori, niente camici, ecc.
E’ questo che ha creato il problema.
E nemmeno è vero che il governo non era informato del pericolo: la Cina, dopo aver inizialmente, colpevolmente, taciuto sulla diffusione dell’epidemia, alla fine di gennaio aveva informato il mondo sulla pericolosità del virus e sui mezzi della sua diffusione, tant’è vero che il 31 gennaio il governo italiano ha approvato un decreto legge che promulgava lo stato di emergenza, cioè quella situazione di pericolo generale che richiede e consente misure straordinarie. Ma nonostante questo, non è stato fatto niente. Anzi, si è cercato di minimizzare e di mentire sull’incapacità ad affrontare la situazione: per esempio, poiché in Italia non si producevano più mascherine, si è cominciato a dire che la loro utilità era dubbia (menzogna avallata dall’OMS).
A questo punto, di fronte a un’incapacità strutturale ad affrontare l’epidemia, la borghesia italiana ha fatto ricorso all’unico strumento possibile per ridurre il contagio, il confinamento sociale. Ma anche questo con enorme ritardo: il 4 marzo sono state chiuse le scuole, ma non i servizi e le industrie non indispensabili; l’11 marzo i bar e i ristoranti, e solo il 23 marzo le attività produttive non indispensabili. Ma nemmeno tutte: per esempio l’industria della Difesa non è stata fermata (quando la guerra in corso era sanitaria e non militare). Ci sono voluti gli scioperi spontanei in molte fabbriche di tutta Italia per spingere il governo a decretare la chiusura di tutti gli insediamenti produttivi non indispensabili. Soprattutto l’ha dovuto fare perché gli operai sono scesi in sciopero al grido di “non siamo carne da macello!”, “la nostra salute non viene dopo il vostro profitto!” e continuare a pretendere che lavorassero anche gli operai delle fabbriche non indispensabili avrebbe potuto far crescere non solo la collera, ma anche la coscienza dei lavoratori sul loro stato di merce al servizio del profitto capitalista.
E se il lockdown ha ridotto le conseguenze dell’epidemia, esso sancisce anche l’incapacità della borghesia a salvaguardare la salute della popolazione con quelli che sono i mezzi normali contro le malattie: la prevenzione, le cure e le medicine.
Ma la borghesia ha dimostrato in più occasioni la sua capacità di rivoltare a proprio favore anche le situazioni in cui si dimostra la sua incapacità ad assicurare agli sfruttati una vita sicura e decente. Così, anche in questa occasione, è scattata tutta una campagna tesa a creare una sorta di unione nazionale, un orgoglio nazionalista basato sulla menzogna che “siamo tutti nella stessa barca”, “solo uniti ce la faremo”. I tricolori ai balconi, l’inno nazionale cantato dalle finestre, e questo, come al solito, con l’appoggio dei mezzi di informazione che si sono messi al servizio di questa campagna mistificatoria: una mattina di marzo, alla stessa ora, tutte le radio “libere” hanno trasmesso contemporaneamente l’inno nazionale.
Ma le campagne mistificatorie fanno poi a pugni con la realtà, e l’ha dovuto denunciare anche un’intellettuale borghese, la sociologa Chiara Saraceno che, su Repubblica del 4 maggio 2020, scrive:
“Non è vero che siamo tutti uguali di fronte al Covid 19. Non lo siamo rispetto al rischio di contagio, perché alcune professioni e condizioni di vita espongono più alcuni di altri. Riguarda, ovviamente, le professioni sanitarie, ma riguarda anche le commesse, gli addetti alle pulizie delle strade, alla raccolta dei rifiuti, i trasportatori, tutti coloro, con professioni non prestigiose e pagate relativamente poco, che nelle settimane della chiusura hanno dovuto lavorare in ‘presenza’. Non siamo uguali neppure di fronte all’esperienza del ‘restiamo a casa’, non solo perché qualcuno la casa non ce l’ha, ma anche perché la ’casa’ si declina molto diversamente e per qualcuno significa vivere stretti, talvolta in situazioni precarie. (…) Non siamo uguali neppure di fronte alla perdita di reddito e al rischio di povertà provocati dalla chiusura di gran parte delle attività produttive. Qui le disuguaglianze sono molteplici. I più a rischio sono i giovani, vuoi perché avevano più spesso contratti temporanei o precari, vuoi perché stavano per entrare nel mercato del lavoro quando tutto si è chiuso. (…)”. Non avremmo saputo dirlo meglio.
La borghesia non è solo una classe sfruttatrice, è anche una classe cinica e indifferente alla vita e alle sofferenze umane. La vita dei proletari per la borghesia è importante solo se e quando riesce a trasformarsi in lavoro produttivo, in produzione di plusvalore, che è la base del profitto capitalista. Una conferma si è avuta in questa occasione non solo con l’insistenza a voler tenere aperti i siti produttivi anche in mancanza di misure di sicurezza, ma anche nel trattamento riservato agli anziani. Nonostante che fin dall’inizio si è detto che le persone anziane erano le più a rischio se infettate, nessuna precauzione aggiuntiva è stata presa per la salvaguardia della salute di questa fetta di popolazione. Anzi, non solo è stato detto (nel pieno del contagio) che i sanitari dovevano “scegliere” chi salvare (dando la precedenza ai giovani), ma nemmeno si sono allertate le Residenze per anziani perché prendessero il massimo di precauzione per evitare i contagi. Se in queste Residenze c’è stata una vera e propria ecatombe non è un caso, né semplicemente il comportamento criminale di qualche responsabile (anche se in qualche caso è stato così), ma proprio la mancanza di considerazione per la vita di chi ormai non produce più plusvalore.
Quello che stiamo denunciando non è una specificità del governo e della borghesia italiana. I comportamenti che abbiamo descritto hanno caratterizzato tutti i paesi del mondo, a conferma che non si è trattato di mancanza di esperienza o capacità, ma di una situazione che ha alla sua base un sistema sociale in cui la vita umana viene dopo il profitto, perché la classe dominante, di fronte alla scelta se salvaguardare il proprio profitto o la salute e la vita dei proletari, non ha dubbi: sceglie il primo.
Del resto, anche le “riaperture” che si stanno effettuando in quasi tutti i paesi del mondo avvengono quando ancora il contagio non è finito, il vaccino non è pronto, né si sono testati farmaci sicuramente efficaci per la cura. Ancora una volta la parola d’ordine è “continuare a produrre” anche a costo di avere altri infettati, altri morti.
Ora il governo sta prendendo una serie di misure per far fronte al disastro economico che sta accompagnando il disastro sanitario, e qualcuno potrebbe scambiare questo come preoccupazione dello Stato per la popolazione. Non è così. Innanzitutto la principale preoccupazione del governo è sostenere l’economia, cioè il capitale nazionale (quante risorse sono destinate direttamente alle imprese, piccole o grandi che siano?). Poi è evidente che lo Stato non può non cercare di assicurare almeno un minimo di sopravvivenza sia a quei ceti a rischio povertà, per evitare che si rivoltino, sia soprattutto ai proletari che possono continuare a produrre profitto solo se sopravvivono.
Ma questo intervento economico non è né un rilancio dell’economia, né la scoperta di nuove risorse. Tutte le risorse messe a disposizione provengono da un aumento del debito statale (o da crediti dell’Europa, che si traducono comunque in debiti da restituire): il deficit per quest’anno dovrebbe schizzare al 10% del PIL (altro che il 3% di Maastricht!), portando il debito al 150% del PIL.
Naturalmente il governo dice che questo sostegno all’economia non serve solo ad evitare chiusure di fabbriche, fallimenti, licenziamenti e morti per fame, ma anche a rilanciare l’economia. Come a dire: non vi preoccupate, con questi provvedimenti ci sarà una ripresa e tutti staremo meglio anche economicamente. Chiacchiere. Doveva essere così anche con le ultime finanziarie e invece, anche prima del coronavirus la crescita è stata zero. La realtà è che l’Italia già non aveva recuperato i livelli economici di prima della crisi del 2007, e adesso non potrà che accumulare ulteriori ritardi rispetto ai suoi principali concorrenti.
Del resto il debito, l’unica risorsa a cui tutti i governi del mondo stanno ricorrendo per dare ossigeno all’economia, ha un problema: prima o poi bisogna pagarlo e per l’Italia, i cui tassi di interesse sono già più alti di quelli di altri paesi, questo diventa sempre più difficile.
Perciò non bisogna farsi illudere da queste risorse sparse a pioggia (comunque assolutamente insufficienti). Il prossimo anno, o comunque quando sarà finita l’epidemia, lo Stato tornerà a varare politiche di austerità per far fronte a quella recessione che si annuncia, peggiore di quella del 1929.
E quando si parla di austerità, parliamo dei salari dei proletari, delle spese sociali, delle pensioni, ecc., cioè delle condizioni di vita degli sfruttati.
E’ questo che bisogna aspettarsi, è a questo che bisogna prepararsi: i sacrifici fatti in questi mesi di epidemia, in termini economici ma anche di salute, non impediranno allo Stato borghese di chiederne altri, per “salvare il paese”, per “dare un futuro ai giovani”.
E se la borghesia è pronta a presentare il conto della crisi ai proletari, questi devono loro cominciare a presentare alla borghesia il conto di tutti i sacrifici fatti negli ultimi decenni.
Questi mesi di pandemia hanno dimostrato ancora una volta e in maniera lampante (e tragica) che questa in cui viviamo é una società divisa in due classi principali e dagli interessi opposti: la borghesia, la classe che ha il potere economico e politico, ma che dimostra di non poter più assicurare non solo una vita decente ai proletari, ma addirittura la salute e la vita stessa; ed il proletariato, la classe dei lavoratori che non solo produce la gran parte della ricchezza di questa società (ricevendo in cambio solo il minimo per la propria sopravvivenza) , ma che è stato, con il suo lavoro, rischiando la propria salute, sacrificando a volte anche la propria vita, il solo a garantire che una nazione intera potesse continuare a nutrirsi e a svolgere una vita normale e l’unico vero argine alla diffusione del virus. Bisogna che i proletari ne prendano coscienza e che si preparino a porre fine a questa barbarie per offrire una nuova prospettiva all’umanità.
Helios, 04/06/2020
[1] Gli ospedali sono passati dai 1381 del 1998 (dato già in calo rispetto agli anni precedenti) a 1197 del 2007, per arrivare a 1000 nel 2017 (con una diminuzione percentuale di quelli pubblici rispetto a quelli privati convenzionati); i posti letto dai 311.000 del 1998 (5,8 posti ogni 1000 abitanti) ai 191.000 del 2017 (3,8 posti ogni 1000 abitanti).
C’è una crisi economica storica alla base del fatto che la diffusione di un virus abbia prodotto una pandemia che si è trasformata in una vera tragedia per le popolazioni del mondo intero. Ma a questa realtà, che è sotto gli occhi di tutti, anche se non tutti ne percepiscono le reali dimensioni, si aggiunge un altro elemento che è l’irresponsabilità completa con cui i vari organi di governo, istituzioni e partiti, hanno fatto fronte alla situazione, esprimendo un’incapacità completa a mettersi d’accordo sulle cose da fare e ad agire assieme per ottimizzare gli interventi. Così la crisi di pandemia da Covid 19, che ha già fatto una strage enorme di morti, di posti di lavoro e una caterva di nuovi poveri che si vanno a sommare a quelli già esistenti, si è ulteriormente aggravata per la forte disunione della borghesia, espressione di quel fenomeno più generale che abbiamo definito decomposizione del capitalismo[1]. Lo si è visto a livello internazionale, con episodi come la guerra delle mascherine[2], con la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, con gli attacchi di questi ultimi all’OMS, una delle istituzioni create proprio per unire le forze contro le malattie.
Per non parlare dell’incapacità della UE di mostrarsi unita per affrontare in maniera coordinata la pandemia, visto, peraltro, che si trattava di qualcosa che colpiva tutti i paesi: ogni paese ha pensato a sé stesso (a cominciare dal rubarsi le mascherine), a chiudere le frontiere con i paesi più colpiti dalla pandemia (alla faccia degli accordi di Schengen), fino ad arrivare al fatto che alcuni paesi si sono opposti anche a mettere in campo delle misure economiche per far fronte alla minaccia di recessione che la pandemia ha reso più grave (ed anche qui si tratta di qualcosa che toccherà, chi più, chi meno, tutti i paesi). Alla fine è stata proprio la coscienza di quale disastro si profila per l’economia che ha spinto le istituzioni europee a varare delle misure di sostegno all’economia ed evitare il tracollo.
Ma lo si vede anche all'interno dei singoli paesi, e in Italia in maniera addirittura paradossale.
Se è naturale che le forze politiche all’opposizione siano critiche verso la maggioranza al governo, questo è in genere attenuato nei periodi di emergenza, quelli in cui si fa appello all’unità nazionale. In particolare, ci sembra veramente paradossale che la borghesia, dopo aver dichiarato dall’inizio della pandemia che eravamo in guerra, una guerra non contro una nazione ma contro un virus, e che occorreva la massima coesione, abbia dato una tale dimostrazione di sfilacciamento non solo tra maggioranza e opposizione, ma addirittura nella stessa compagine governativa e finanche tra i vari organi dello Stato (governo, regioni, comuni, …).
Infatti le forze di opposizione hanno assunto una posizione di contrarietà ad ogni azione governativa, un’opposizione “a prescindere”, che poco tiene conto del merito delle questioni, ma che è stata fatta solo per difendere i propri interessi di partito. Lo si è visto all’inizio della pandemia, quando Salvini ogni giorno cambiava idea e posizione sull’opportunità o meno di chiudere le frontiere e i passaggi fra le regioni, ma anche per esempio rispetto al rapporto con la UE e le misure che questa propone contro il disastro economico. Particolarmente significativa l’opposizione all’uso da parte dell’Italia dei fondi messi a disposizione con il cosiddetto fondo salvastati (MES). A quanto se ne sa l’Italia potrebbe avere più di 30 miliardi di prestito ad interessi più bassi di quelli che gravano sui propri titoli di Stato offerti periodicamente sul mercato, e questo alla sola condizione che i soldi siano spesi per la sanità. Insomma, l’Italia potrebbe recuperare una forte liquidità pagando meno interessi del solito, ma Salvini e la Meloni si oppongono in nome di non si sa quale trappola ci sarebbe sotto l’utilizzo di questi fondi.
Ma quello che forse è ancora più grave sono le divisioni all’interno della maggioranza, divisioni che a volte paralizzano l’azione di governo (e questo in una fase in cui la rapidità delle misure da prendere è una parte importante nell’efficacia di queste misure).
Lo si è visto per esempio sul cosiddetto decreto “aprile” che doveva mettere in campo risorse sia per il sostegno ad imprese e famiglie che per sostenere in generale l’economia. Questo decreto doveva essere pronto entro aprile (da qui il suo nome), ma è stato varato solo il 18 maggio, e questo solo perché i partiti di governo non riuscivano a mettersi d’accordo su come utilizzare i 55 miliardi (di debito, naturalmente) che si era deciso di mettere in campo.
Lo si è visto anche sullo stesso MES ricordato prima, su cui il governo non ha ancora deciso niente perché i 5S sono contrari al suo utilizzo. Ed anche qui l’unico motivo per cui si oppongono è che questo fa parte della loro tradizione, cioè per difendere una loro bandiera e non per argomenti nel merito della cosa.
Lo si è visto ancora sul decreto scuola, quello che doveva decidere sia sull’assunzione di nuovi insegnanti, sia sulle modalità di ripresa delle lezioni a settembre, dopo che la chiusura delle scuole ha reso un disastro (nonostante i sacrifici e gli sforzi degli insegnanti) questo anno scolastico. Anche questo decreto ha visto un enorme ritardo perché i partiti della maggioranza non riuscivano a mettersi d’accordo sulle modalità del concorso per l’assunzione dei precari, quando poi il vero problema è che il numero di assunzioni previste è assolutamente insufficiente per fare fronte anche solo all’esigenza di sostituire i docenti andati in pensione. Non parliamo poi della confusione che resta su come si potrà iniziare il nuovo anno scolastico in sicurezza.
Ancora è il caso di ricordare i contrasti verificatisi fra lo Stato centrale e le Regioni (nonché tra i sindaci e i presidenti di regione), contrasti e prese di posizione che niente avevano di efficacia sulle misure da prendere, ma solo con gli interessi elettorali di ognuna di queste forze. A cominciare dal governatore della Lombardia, Fontana, che prima ha criticato le decisioni di chiudere i trasferimenti tra le regioni e la sospensione delle attività produttive non essenziali, poi, di fronte al vero e proprio disastro che si è avuto nella sua regione, ha finito per criticare la fine del lockdown. Per non parlare del governatore della Campania De Luca, che cogliendo l’occasione della pandemia per mostrarsi il vero difensore della “sua popolazione” (e assicurarsi una rielezione che prima della pandemia non era affatto scontata) ha criticato tutte le decisioni sulle “aperture”, arrivando a varare ordinanze più restrittive rispetto a quelle del governo, scontrandosi poi con quell’altro demagogo del sindaco di Napoli De Magistris, che, a sua volta, varava altre ordinanze in contrasto con quelle di De Luca. Insomma una bailamme capace solo di generare confusione, incertezza, quando in una situazione come quella della pandemia ci vorrebbe solo chiarezza, sicurezza e rapidità delle decisioni.
Dopo più o meno trecento anni di sistema capitalista, la classe operaia ha ben preso coscienza che si tratta di un sistema di sfruttamento, ma deve ancora prendere coscienza del fatto che questa classe dominante non è più capace di offrire una prospettiva all’umanità.
Helios, 07/06/2020
[1] Vedi a tale proposito i due rapporti del 22° e 23° Congresso della CCI: Rapporto sull’impatto della decomposizione sulla vita politica della borghesia [8], https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia [8] e Rapporto sulla decomposizione oggi (22° Congresso della CCI, maggio 2017) [9], https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017 [9].
Il quadro è terrificante. Centinaia di persone sono morte, il fetore di cadaveri appesta molte parti della città, intere famiglie sono morte così come molti operatori sanitari. Finora, lo Stato ecuadoriano ha riconosciuto solo 369 morti dovute a Covid-19, senza specificare quanti di loro provengano dalla città di Guayaquil. Ma secondo tutti i testimoni diretti di questa enorme tragedia (medici, giornalisti e ospiti stranieri)[1] , solo a Guayaquil, il numero di morti dovute al coronavirus è scandalosamente sottostimato.
Da parte sua, lo Stato, incapace di rispondere all'emergenza sanitaria, cerca di nascondere il più possibile il numero di corpi trovati per le strade e le arterie della città. Corpi che, in risposta alle lamentele e alle proteste di molti abitanti, vengono gradualmente rimossi e conservati in tre ospedali. Inoltre, gli obitori sono pieni di cadaveri non identificati. Di fronte a questa situazione, centinaia di famiglie vivono ogni giorno il dramma di dover reclamare i resti dei loro cari per avere una sepoltura dignitosa. Questo spettacolo dell'orrore è la diretta conseguenza della mancanza di ospedali e letti, senza personale medico sufficiente, senza medicine, con incessanti tagli al budget. Questo rivela chiaramente che la borghesia non è affatto interessata a soddisfare le esigenze sanitarie di base della popolazione. Il cinismo e le menzogne della borghesia rivelano il suo atteggiamento criminale.
Al momento, la città di Guayaquil, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, provocando l'indignazione e la solidarietà di molti lavoratori, è ancora immersa nell'isteria e nella paura. La stessa situazione e le stesse reazioni si stanno verificando in molte parti del mondo dove gli Stati sono incapaci di prendersi cura di centinaia di migliaia di persone infettate da un'epidemia di cui la borghesia conosce da anni i rischi senza aver preso mai alcuna misura per proteggere le popolazioni che sarebbero state esposte.
I media descrivono la portata del disastro, ma nessun paese ha dimostrato di essere pronto per un'emergenza di questa portata. Al contrario, lo Stato ha dimostrato ovunque la stessa negligenza con il deterioramento dei sistemi sanitari che sono crollati in Cina, negli Stati Uniti, in Spagna, in Italia e persino in paesi che vengono presentati come modelli di eccellenza dell'amministrazione borghese, come la Danimarca. Il comportamento della borghesia in tutti i paesi è stato simile: prima ha minimizzato l'impatto della pandemia, poi ha cambiato il suo atteggiamento nell'imporre misure draconiane di contenimento. Tuttavia, tutto questo si è rivelato vano di fronte allo stato deplorevole del sistema sanitario globale. Di conseguenza, gli Stati non sono oggi in grado di rispondere all'emergenza Covid-19.
In realtà, come ha detto il vicepresidente americano all'inizio di marzo 2020, il comportamento ipocrita della classe dirigente copre una sola e stessa logica: il "salvataggio dell'economia" a scapito della vita delle persone. In altre parole, si tratta di continuare ad accumulare capitale a spese dei lavoratori e della popolazione in generale.
Nell'ambito del deterioramento del sistema sanitario globale, lo Stato ecuadoriano, come è avvenuto in altri Paesi, solo nel 2019 ha licenziato 2.500 lavoratori, tra medici, infermieri e personale di servizio. Mentre nel 2019 il budget sanitario era di 3.097 milioni di dollari, la Assemblea Nazionale ha approvato una riduzione di 81 milioni di dollari per il 2020 rispetto all'anno precedente. Il confronto di questo bilancio con il pagamento del debito estero per lo stesso anno (che era di 8.107 milioni), dimostra che lo Stato ecuadoriano ha deliberatamente sacrificato le esigenze sanitarie della popolazione (e le altre esigenze) a favore delle leggi del mercato capitalista e della concorrenza tra le nazioni.
L'impatto che Covid-19 ha causato a Guayaquil è quindi dovuto a una borghesia che non ha alcun interesse per la salute della popolazione, né per gli investimenti in infrastrutture sanitarie, tanto meno per gli operatori sanitari. Così, dal 16 marzo, quando la pandemia è stata ufficialmente dichiarata in Ecuador, il ministro dell'Economia Richard Martinez ha dichiarato la sua intenzione di pagare 325 milioni di dollari ai possessori di titoli di Stato, pagamento diventato effettivo il 21 marzo, nel bel mezzo di una crisi sanitaria, quando i decessi si stavano già moltiplicando ovunque. Questo atto ha portato anche alle dimissioni del ministro della Salute, Catalina Andramuño, che ha accusato il governo Moreno di non averle fornito le risorse necessarie per affrontare la pandemia. Nel frattempo, il sindaco di destra di Guayaquil, Cintya Viteri, oltre alla sua indifferenza per la drammatica situazione della popolazione, si è affrettata a scaricare il problema trasferendo la responsabilità dei servizi funebri al governo centrale di Moreno. Da parte sua, dal 16 marzo, il vicepresidente Otto Sonnenholzner è apparso come un eroe nella resistenza alla pandemia, quando in realtà si trattava per lui di una sordida campagna promozionale in vista delle prossime elezioni presidenziali. Questo panorama da solo riassume il grado di decomposizione della borghesia in Ecuador, che, come in molti paesi del mondo, è afflitta dalle lotte delle cricche al suo interno e incapace di agire se non "di volta in volta".
La tragedia che la città di Guayaquil sta vivendo è probabilmente una delle più terribili e drammatiche finora conosciute. Né il virus né la popolazione, contro cui la borghesia e i media stanno puntando il dito per la sua presunta "indisciplina", ne sono responsabili. Ma è il sistema capitalista, incapace di soddisfare i bisogni dell'umanità, ad essere veramente responsabile del disastro sanitario. La portata di questo disastro era già stata annunciata in uno dei nostri articoli: "Una realtà che sarà ancora peggiore quando questa epidemia colpirà l'America Latina, l'Africa e altre regioni del mondo dove i sistemi sanitari sono ancora più precari o del tutto inesistenti". Si è trattato di un disastro annunciato, proprio a causa delle contraddizioni del capitalismo a livello globale.
Le conseguenze che la borghesia ha provocato nella gestione della crisi pandemica di Guayaquil sono diverse:
- Tenere un parente morto come vittima della pandemia all'interno della casa per lunghi giorni senza alcuna risposta da parte dello Stato, e quindi permanentemente esposto agli effetti della decomposizione di un cadavere, ovviamente non solo avrà conseguenze psicologiche, ma aumenterà notevolmente il rischio di contaminazione tra i propri cari.
- Di fronte a questa situazione, l'Ecuador, come altri Stati, ha decretato il contenimento obbligatorio a livello nazionale. Per rispettare questa disposizione, lo Stato ha mobilitato l'esercito e la polizia, che agiscono brutalmente di fronte a una popolazione ridotta alla disoccupazione, molti dei quali non possono restare a casa perché costretti a sopravvivere fuori e alla giornata. Lo Stato non può nemmeno garantire il cibo per la loro quarantena, quindi il caos può diventare ancora più drammatico di quanto non sia oggi.
- La crisi sanitaria ha suscitato lamentele e proteste da parte di medici e infermieri oberati di lavoro ed esausti per le deplorevoli condizioni in cui sono costretti a lavorare, ma a poco a poco sono stati messi a tacere.
- Lo Stato mostra il suo vero volto repressivo nei confronti della popolazione, ma non dice nulla, così come tutta la borghesia, ad esempio, sulle migliaia di licenziamenti avvenuti durante il confinamento.
Nella manifestazione di questa impasse del capitalismo, è chiaro che:
1. La società borghese non ha in serbo altro che desolazione e morte, come dimostra l'attuale pandemia globale.
2. Nel mezzo di una situazione di angoscia e disperazione della popolazione, gli Stati hanno usato la forza per mettere a tacere coloro che protestavano contro l'incapacità dello Stato capitalista di soddisfare i bisogni fondamentali come l'accesso al cibo, all'assistenza sanitaria, alle medicine e il necessario contenimento che la maggior parte degli scienziati raccomandano per evitare un aumento del contagio.
3. È stato dimostrato che per la borghesia e il suo Stato la priorità non è il popolo, tanto meno i lavoratori, ma la difesa e il perseguimento dei propri interessi di classe sfruttatrice, e per questo motivo, senza alcun rispetto per la morale o per principi di alcun tipo, essi ricorrono alla menzogna, nascondendo il numero di morti che si accumulano senza poter dare loro una degna sepoltura, come sta accadendo in Ecuador.
La crisi sanitaria di Covid-19 ha dimostrato chiaramente il disprezzo che la borghesia ha sempre avuto per i bisogni umani. In questa società caotica, dove conta solo il ciascuno per sé e la ricerca del profitto e non la soddisfazione dei bisogni umani, lo sviluppo delle forze produttive a disposizione dell'umanità è il prodotto del lavoro della classe operaia internazionale che viene sfruttata al servizio esclusivo della borghesia. Saranno dunque questi stessi lavoratori gli unici che potranno realizzare la rivoluzione mondiale capace di cambiare il destino dell'umanità, trasformandola in un'unica comunità umana mondiale.
Contro il virus mortale della società capitalista in decomposizione, proletari di tutti i paesi, unitevi!
Da Internacionalismo, sezione CCI in Ecuador, 20 aprile 2020
[1] Oltre alle insopportabili immagini di persone che crollano per strada, corpi sparsi sui marciapiedi, a volte per giorni, coperti frettolosamente con un lenzuolo o una coperta, camioncini e camion carichi di cadaveri in sacchi della spazzatura e poi sepolti o inceneriti ovunque, scatole di cartone come bare improvvisate, e persino avvoltoi, attratti dall'odore di carogne, che volano intorno a un ospedale. È tutto l'orrore di cui il capitalismo è capace che viene allo scoperto!
"Ognuno di noi deve partecipare a questo enorme sforzo per preservare la sicurezza globale", ha detto il direttore dell'OMS in un comunicato stampa del 16 marzo. Il 27 marzo, il presidente francese Macron ha dichiarato: "Non supereremo questa crisi senza una forte solidarietà europea, sia in termini di salute che di bilancio". E la cancelliera tedesca, Merkel, chiede, di fronte alla crisi sanitaria: "più Europa, un'Europa più forte e un'Europa che funzioni bene"! I politici esortano la popolazione a mostrare solidarietà, senso civico e unità per combattere il "nemico invisibile". In un momento in cui il bisogno di mascherine e attrezzature medicali è immenso a causa di una scandalosa carenza, tutti, politici e media, hanno denunciato furti da ospedali, farmacie e persino dalle auto degli operatori sanitari. La borghesia punta il dito e pubblicizza ampiamente il comportamento egoista di questi "infami e vili" delinquenti, in un momento in cui il mondo intero è "in guerra" e si suppone unito contro la pandemia del COVID-19.
In realtà, quando da un lato la borghesia mostra la sua indignazione e il suo disprezzo per i furti, dall'altro applica con freddezza gli stessi metodi dei briganti sulla scena internazionale: appropriazione indebita e "requisizione" di ordini provenienti da altri paesi, offerta e riacquisto di attrezzature mediche direttamente sulle piste d’atterraggio degli aeroporti. È così che la borghesia esprime la sua "solidarietà" "per preservare la sicurezza mondiale"! Infatti, all'inizio dell'epidemia in Europa, la Cina ha inviato diplomaticamente, in modo molto interessato, alcune mascherine e respiratori in Italia, ma questi sono stati subito dirottati dalla Repubblica Ceca. Con un'ipocrisia sconcertante, quest'ultima ha negato qualsiasi furto e ha denunciato uno sfortunato "malinteso"! All'inizio di marzo è stata la Francia a "requisire" sul suo territorio le mascherine svedesi sotto il naso della Spagna e dell'Italia, paesi che sono duramente colpiti dall'epidemia. Solo dopo l'intervento del governo svedese il governo francese ha accettato, sotto pressione, di tenere "solo" la metà della merce rubata. Un mese dopo, mentre la vicenda cresceva di dimensioni (si trattava, ovviamente, di un "malinteso"), Macron invocava una maggiore "coerenza" e restituiva, suo malgrado, tutte le mascherine ai destinatari. Anche gli Stati Uniti sono accusati di aver dirottato attrezzature mediche dirette verso la Germania, il Canada e la Francia. Trump, a differenza dei suoi omologhi stranieri più civilizzati, ha comunque mostrato le sue intenzioni in modo chiaro e schietto: "abbiamo bisogno di queste mascherine, non vogliamo che altre persone le prendano"!
In Africa, un epidemiologo ha recentemente messo in guardia sulla situazione molto preoccupante nel continente: gli ospedali non possono avere forniture per i test. La priorità è data ai pezzi grossi, ai grandi padrini: gli Stati Uniti o l'Europa. Le "grandi democrazie" si accaparrano gli strumenti per i test, una merce tristemente rara, per il loro proprio conto! Non c'è da stupirsi che l'Africa sembri essere poco colpita dal COVID-19!
La lista dei cinici atti di pirateria degli Stati borghesi è ancora lunga![1] Anche a livello nazionale la borghesia fatica a non cedere alla guerra di tutti contro tutti. Proprio come gli Stati si affannano ai piedi degli aeroplani per accaparrarsi le forniture mediche, anche gli Stati federali, le regioni e persino le città si fanno la otta per proteggere i "loro" abitanti. In Spagna, dove il regionalismo ha un forte peso, è scoppiata una polemica quando il governo ha deciso di requisire e centralizzare le scorte di mascherine. Ma l'incompetenza delle autorità spagnole ha portato ogni governo regionale a cercare le proprie forniture in concorrenza con le altre. Lo Stato centrale è stato accusato di alimentare tensioni e persino di "invasione" da parte di Torra, il presidente della Generalitat di Catalogna. Tutto è un pretesto per affermare meschini interessi "regionali" dove si è i padroni di casa! Anche in Messico, il governatore di Jalisco sta esercitando pressioni sul governo federale per far cessare i test a favore della regione di Città del Messico.
La borghesia si adorna di bei discorsi moraleggianti, chiede solidarietà internazionale, esorta le sue "truppe" a serrare i ranghi intorno allo Stato protettore. Quante bugie! La "solidarietà" che la borghesia chiede non è altro che l'espressione del ciascuno per sé, un rafforzamento del caos e della barbarie capitalistica su scala planetaria!
Di fronte alla crisi, lasciare che lo Stato nazionale strappi le mascherine agli "stranieri" non fa che aggravare il male. Il capitalismo, cinico e mortale, non ha altra prospettiva da offrire all'umanità se non ciò che questo deplorevole spettacolo di saccheggi illustra oggi: miseria e distruzione! L'unica forza sociale portatrice di un progetto storico capace di porre fine alla guerra di tutti contro tutti è la classe operaia, quella che non ha una Patria da difendere, quella i cui interessi sono i bisogni di tutta l'umanità e non quelli della "nazione" (o la sua versione "regionale")! È la classe operaia, attraverso il personale sanitario, che oggi salva la vita a rischio della propria. Sebbene il contesto della pandemia impedisca attualmente qualsiasi mobilitazione massiccia e limiti le espressioni di solidarietà nella lotta, è la classe operaia che cerca, in molti settori e in diversi paesi, di resistere alla negligenza della borghesia e all'anarchia del capitalismo. La nostra classe è portatrice di una società senza frontiere e senza concorrenza, dove i lavoratori ospedalieri non saranno più costretti a fare un'abominevole distinzione tra malati "produttivi" e "improduttivi" (pensionati o portatori di handicap), dove il valore di una vita non sarà più misurato in linee di bilancio!
Olive, 7 aprile 2020
[1] Ma a differenza degli scrocconi di un tempo, che rubavano oro e beni preziosi, questi teppisti si contendono anche la merce tipica del capitalismo, prodotti di fascia bassa: camici che cadono a brandelli appena si tolgono dalle scatole, maschere ammuffite, ventilatori di rianimazione con prese inadeguate, …!
Pubblichiamo qui di seguito estratti di una lettera che abbiamo ricevuto da una compagna a seguito del nostro intervento e dei nostri incontri pubblici sul movimento contro la "riforma" delle pensioni in Francia. Accogliamo con grande favore questa iniziativa che esprime un'esigenza vitale per la classe operaia, quella di discutere e approfondire francamente e fraternamente le lezioni delle esperienze del proletariato. Questa lettera esprime visibilmente sentimenti contrastanti nei confronti di questa lunga e combattiva lotta. Vogliamo esprimere il nostro punto di vista proprio sui sentimenti espressi e sulla loro natura nel tentativo di spingere più in profondità le riflessioni dei nostri lettori circa l’approccio ed il significato da dare alla lotta della classe operaia.
(...) Sono rimasta entusiasmata dalla buona accoglienza che abbiamo ricevuto nell'ambito della lotta contro la riforma delle pensioni.
Ho constatato io stessa che le persone erano contente di lottare, di ritrovarsi in strada, di stare insieme.
Ammetto di essere stata delusa all'ultima manifestazione nel vedere che il movimento non andava oltre, che si stava sfilacciando, che c'erano sempre meno persone in piazza; sono stata delusa nel vedere che il movimento non ha avuto la forza di chiedere assemblee generali aperte a tutti come nel 2006, durante le lotte contro il CPE (Contratto di primo impiego).
Ciò di cui forse non tengo abbastanza conto è la natura della coscienza della classe operaia: una coscienza concreta, che si esprime in azioni. (...)
Se tuttavia gli assembramenti non hanno portato ad appelli alle AG (Assemblee generali) aperte a tutti, come nel 2006, ciò non significa che dovremmo arrenderci. Inoltre, a questo proposito, vediamo come i vari sindacati e altri "rappresentanti" degli studenti abbiano recuperato questo movimento per far credere in seguito, che l’avevano iniziato loro. (...)
Aspetto che ci siano di nuovo migliaia di persone per strada, contente di essere là, di ritrovarsi a combattere sul loro terreno. So che la borghesia sta affilando le armi contro le minoranze rivoluzionarie, so che dobbiamo tenere presente come funziona la coscienza di classe; la riforma delle pensioni può essere approvata mediante l'applicazione dell'articolo 49.3 e ciò significherebbe un indebolimento per l'attuale governo, ma non porterebbe a un rafforzamento della classe operaia.
Il prossimo passo che la classe operaia può compiere è quello di prendere l'iniziativa per organizzare la sua lotta, in opposizione alle direttive sindacali.
Fraternamente, L., 26 febbraio 2020
È naturale che qualsiasi proletario sinceramente legato alla lotta della nostra classe provi un certo entusiasmo quando la classe operaia rialza la testa con dignità per portare avanti la sua lotta, come è avvenuto recentemente nelle manifestazioni contro la "riforma" delle pensioni e come espresso dalla lettera della nostra lettrice. E ciò perché è da un decennio che non vedevamo espressioni di spirito combattivo e solidarietà come queste. Questo sentimento legittimo è stato ampiamente condiviso all'interno dei cortei dall'insieme dei manifestanti.
Tuttavia, quando un movimento è in fase di riflusso, la situazione diventa più difficile da capire. Esiste quindi il rischio di arrendersi lungo la strada e di perdere lo spirito combattivo o, al contrario, in reazione, di voler combattere a tutti i costi con il pericolo di ritrovarsi imbarcati in percorsi senza uscita, in avventure minoritarie e oltranziste. Questi due simmetrici vicoli ciechi portano effettivamente all'isolamento e alla stessa sensazione di frustrazione.
È questo che ha mostrato la recente lotta, così come molti altri movimenti precedenti: mentre i manifestanti diminuivano di settimana in settimana, i sindacati cercavano di spingere quelli ancora in lotta ad "azioni" completamente sterili (blocco, affissione di manifesti negli uffici dei deputati, ecc.). Il prolungamento della lotta in alcuni settori isolati non è stato un vantaggio ma ha rappresentato piuttosto, nonostante il coraggio e la volontà esemplare di combattere, un pericolo che rischiava di sfiancare e disgustare i lavoratori più coinvolti, coloro che hanno la sensazione di avere "pagato il costo più elevato", come i lavoratori delle ferrovie o della RATP (trasporto pubblico).
Il fatto di "tenere" a tutti i costi si è quindi rivelato essere solo un vicolo cieco di fronte alla necessità diripiegare trovando i mezzi per perseguire la lotta in modo diverso e in modo più appropriato. Il ricorso ai "comitati di lotta", ad esempio, come strumenti per riunire i lavoratori più combattivi è una delle soluzioni adatte, come sperimentata dal proletariato negli anni '80. Tali organi permettono di approfondire ed allargare la riflessione e trarre le lezioni essenziali dalla sconfitta per preparare al meglio le condizioni politiche e pratiche per le inevitabili future lotte, inevitabili visto gli attacchi che il capitalismo in crisi continuerà a fare piovere.
Tutto ciò richiede un approccio, una preoccupazione in grado di inscriversi in un percorso a lungo termine. Questa lettera evidenzia, al contrario, una tendenza (che non è specifica della compagna) a partire dai fatti immediati, a comprendere la realtà secondo una visione fenomenologica, fotografica e frammentata, giustapponendo la situazione del 2006 a quella di oggi, senza vedere la realtà di un processo e quella dei cambiamenti che sono avvenuti da allora. La lotta di classe e la coscienza non si esprimono in modo puramente cumulativo o secondo uno schema prestabilito e riproducibile tal quale nella situazione attuale, come ad esempio quello della lotta contro il CPE del 2006. Dobbiamo sempre tenere conto delle dinamiche del movimento reale della lotta di classe, vedere che questa dinamica emana innanzitutto da un processo storico che va oltre non solo gli individui in lotta e le loro stesse aspirazioni, ma anche le generazioni proletarie, come ha sottolineato Karl Marx e molti altri rivoluzionari.
Se la coscienza del proletariato è effettivamente "concreta" e se essa si esprime "nelle azioni", ciò non significa affatto che la coscienza sia un semplice prodotto o un semplice riflesso meccanico delle lotte passate o delle azioni immediate della classe operaia. Aspettarsi le stesse caratteristiche e la stessa continuità delle lotte contro il CPE del 2006, senza tener conto delle condizioni della fase di decomposizione del capitalismo e delle evoluzioni legate ai cambiamenti avvenuti nella società, è un errore.
Ovviamente, tenere conto delle leggi della storia è un esercizio difficile e complesso che richiede molta energia e rigore, anche alle organizzazioni rivoluzionarie più sperimentate. In realtà, la questione che si pone qui è proprio capire che, se esiste un processo cosciente del proletariato, questo si esprime soprattutto in modo sotterraneo e non lineare[1]. La maturazione sotterranea dipende da tutta una serie di fattori materiali, da un processo vivente che mescola esperienza concreta, vita politica e memoria storica. Pertanto, la profondità e l'azione del proletariato nella lotta immediata non possono essere l'unico criterio per valutare le dinamiche o comprendere un movimento di classe. Senza un solido quadro teorico, è impossibile cogliere correttamente la realtà di un rapporto di forza tra le classi.
Effettivamente, uno dei punti deboli del movimento contro la riforma delle pensioni è stata l'incapacità del proletariato ad assumere il controllo della sua lotta, come ad esempio durante la lotta contro il CPE attraverso Assemblee Generali sovrane, ed a confrontarsi seriamente con i sindacati estendendo il movimento, come in alcune lotte degli anni '80.
Tuttavia, la lotta dell'inverno 2019-2020 è stata in grado di esprimere una forza e un potenziale significativi. In effetti il sentimento di solidarietà, la necessità, seppur embrionale ma molto reale, di unità di fronte agli attacchi, di trovarsi "tutti insieme", tutto ciò esprime una forza nuova e essenziale per una classe sociale che avverte e rifiuta più nettamente la realtà dello sfruttamento capitalista. Questa ripresa della combattività operaia pone come minimo le prime condizioni affinché gli sfruttati inizino a sentirsi progressivamente appartenenti alla stessa classe, al fine di orientare e impegnare più profondamente la riflessione verso il futuro. In altre parole, la chiusura delle manifestazioni e il montare di un forte spirito combattivo, in un contesto di riflessione, sono state una leva formidabile per ritrovare un'identità di classe, anche se la strada è ancora lunga, incerta e tortuosa. Ciò, dopo decenni di propaganda sulla cosiddetta "scomparsa della classe operaia" e mentre pesa ancora su quest'ultima l'incapacità di riconoscersi come una forza sociale unita, con gli stessi interessi storici, mentre pesa persino la vergogna di se stessa e l'oblio del proprio passato, delle proprie esperienze di lotta. Certo, siamo solo all'inizio di questo processo che resta ancora fragile. Ma i semi sparsi germineranno se le condizioni lo consentiranno: la continuazione degli attacchi massicci legati alla crisi del sistema capitalista rimane uno stimolo per alimentare la riflessione e rafforzare la coscienza di classe all'interno del proletariato.
Coloro che combattono per la rivoluzione proletaria pongono le loro "speranze" nel futuro, su scala storica, non su un particolare movimento di lotta. Quindi, al di là dell'entusiasmo o della delusione nei confronti di questa o quella lotta, è la profonda comprensione del movimento che dobbiamo raggiungere, vedere che la caratteristica della lotta del proletariato, come classe sfruttata, è quella di avanzare passando di sconfitta in sconfitta. E’ basandosi su un tale approccio storico e sulla fiducia nel futuro che Rosa Luxemburg ha potuto scrivere, nel pieno della repressione della "Comune di Berlino" nel gennaio 1919: "le masse sono state all'altezza della situazione. Esse hanno fatto di questa "sconfitta" un anello di quella catena di sconfitte storiche, che sono l'orgoglio e la forza del socialismo internazionale. E perciò da questa “sconfitta” sboccerà la futura vittoria”[2]. In effetti, nella decadenza del capitalismo, il proletariato non può più ottenere riforme durature ed è chiaro che le sue lotte si limitano ora a difendersi da attacchi sempre più brutali e generalizzati. In questo contesto, l'unica "vittoria", l'unico "guadagno" possibile è quello dell'esperienza della lotta stessa attraverso la "sconfitta". Nei fatti, solo la rivoluzione mondiale alla fine può essere considerata una "vittoria". Finché dura il capitalismo, lo sfruttamento può solo generare sempre più sofferenza e miseria. Rifiutarsi di subire attacchi è già, in un certo senso, una prima "vittoria" che viene paradossalmente da questa "sconfitta". Bisogna essere in grado di vedere cosa significa questa per il futuro, essere in grado di vedere il potenziale di una lotta che è tanto più difficile da realizzare perché ogni espressione di lotta è una grande sfida di fronte agli ostacoli che la borghesia pone, di fronte a quelli legati al peso di ideologie estranee al proletariato e ai fenomeni legati alla fase di decomposizione. Il proletariato, in effetti, "non si sta arrendendo" e comincia ad intraprendere la strada di un futuro potenzialmente promettente.
Alla fine della sua lettera, la compagna cerca di mettere in prospettiva i passi in avanti che la classe operaia dovrà o sarà costretta a compiere. Ma sembra esprimerlo in modo un po’ come speranza , come ideale. Bisogna invece notare che “la base scientifica del socialismo infatti si appoggia notoriamente su tre risultati dello sviluppo capitalistico: innanzitutto sulla crescente anarchia dell'economia capitalista che porta inevitabilmente alla sua scomparsa; in secondo luogo, sulla progressiva socializzazione del processo produttivo che crea le condizioni positive del futuro ordine sociale; e in terzo luogo, sulla crescente organizzazione e coscienza di classe del proletariato che costituisce il fattore attivo del rivolgimento immanente”[3]. In assenza di una riflessione più ancorata a un approccio storico, si rischia di "aspettare" ancora per trovarsi inevitabilmente di fronte a nuove delusioni e, infine, allo scoraggiamento.
Naturalmente, con questa lettera, la compagna dimostra che sta cercando di lottare, di comprendere e di spingere oltre la sua riflessione. Non possiamo che incoraggiare lei e tutti i nostri lettori a continuare a proseguire in questa direzione.
RI, 3 marzo 2020
[1] Leggi, per esempio, Seule la lutte massive et unie peut faire reculer le gouvernement! [11] Révolution Internationale n°480 (gennaio-febbraio 2020
[2] Rosa Luxemburg, L'ordine regna a Berlino (1919)
[3] Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione? (1898)
Dopo la lotta contro la riforma delle pensioni in Francia e la crisi da Covid-19, la borghesia e i suoi mezzi di comunicazione sembrano “riscoprire” che esiste una classe operaia. Da un reportage all’altro, si elogia il ruolo degli infermieri, degli operatori sanitari, del personale di manutenzione, dei cassieri dei supermercati, degli addetti alle consegne, degli spazzini, ecc. Diventano tutti nuove “vedette” televisive. Dopo le enormi menzogne che seguirono il crollo dell’URSS nel 1989 con il preteso “fallimento del comunismo” e la “scomparsa della classe operaia”, diventa difficile oggi nascondere il fatto che la produzione capitalista moderna venga assicurata da un proletariato ben presente e la cui collera cresce sempre più. La classe operaia, i cui componenti sono chiamati “invisibili” dai media e che i ricchi che abitano nei quartieri altolocati ignorano, è improvvisamente balzata in primo piano, elogiata dai borghesi che vogliono trasformarla in “eroi della nazione” e farne “carne da virus” per trarre profitto!
Qui di seguito pubblichiamo degli estratti del Programma socialista o Programma di Erfurt[1] di Karl Kautsky, in cui sono riaffermate le caratteristiche proprie di questo proletariato che era considerato, fin dalla sua apparizione nel XIX secolo nella grande industria, come una classe rivoluzionaria, una “classe pericolosa”. Questi “eroi” sono in realtà i “seppellitori” del capitalismo (secondo i termini di Marx del Manifesto Comunista). Mentre, dopo anni d’inerzia, le incessanti campagne di propaganda hanno fatto sì che il proletariato dubitasse della sua forza e della sua stessa esistenza, al punto da rigettare la propria esperienza di lotta assimilata fraudolentemente allo stalinismo, la sua collera e la sua determinazione contro la riforma delle pensioni in Francia hanno permesso di far riemergere le basi di un’identità di classe cancellata dalla memoria. Anche se la terribile situazione della pandemia e le condizioni di confinamento che ne sono derivate non sono le più favorevoli per esprimere la rabbia e l’indignazione, non per questo il sentimento di solidarietà, benché deviato e sfruttato vergognosamente dalla borghesia, non rimane sempre presente come fattore attivo e determinante, caratteristica di una classe che lavora in modo associato, tra gli sfruttati. Anche se, temporaneamente, la borghesia riesce a usare la situazione a proprio favore, la maturazione e la riflessione iniziate con la dura e lunga lotta di questo inverno 2019-2020 continuano all’interno del proletariato.
Con questi estratti del testo scritto da Kautsky nel 1892, in un’epoca in cui lui era ancora un divulgatore del metodo marxista e un difensore della causa rivoluzionaria del proletariato, vogliamo contribuire a questa riflessione in corso tornando ai fondamenti politici di questa necessaria identità di classe. Anche se il testo sembra datato su alcuni aspetti sociologici, il contenuto politico resta pienamente valido oggi. Tra gli elementi fondamentali, le condizioni economiche di sfruttamento del lavoro salariato rimangono essenziali. Gli altri due elementi fondamentali riguardano la coscienza di classe e la solidarietà. La coscienza di classe non può essere confusa con l’“odio” sterile, sostenuto, ad esempio, durante il movimento dei gilet gialli, da alcuni anarchici e dai black blocs, che venerano l’azione violenta e cieca come strumento della pretesa lotta rivoluzionaria. La coscienza è, al contrario, un’espressione di razionalità e di organizzazione al centro dell’identità della classe operaia e della sua lotta. La solidarietà, da non confondere con il mutuo soccorso, ne è un corollario vitale che consente ai proletari di rafforzare anche la loro unità. Questo è in gran parte ciò che abbiamo potuto vedere durante le lotte di questo inverno[2], quando la solidarietà è servita da collante per queste lotte. Ed è anche ciò che questi estratti mostrano, con delle indicazioni valide per la nostra lotta presente e futura.
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Il moderno proletariato al lavoro è un fenomeno tutto particolare, sconosciuto nella storia precedente. [...]
Tra il sottoproletariato e il proletario operaio della produzione capitalistica sussiste innanzi tutto la differenza enorme fondamentale, che quello è un parassita, questo invece una delle radici della società e anzi una radice che si rivela sempre più non solo la più importante ma infine anche l’unica da cui la società attinge la propria forza. Il proletario operaio è nullatenente ma non accetta elemosina. Non solo non viene mantenuto dalla società ma anzi la mantiene con il suo lavoro. Agli inizi della produzione capitalistica certamente il proletario operaio si considera ancora come un povero; nel capitalista da cui è sfruttato egli vede il proprio benefattore che gli dà lavoro e con ciò anche pane, il suo datore di lavoro. Questo rapporto “patriarcale” è naturalmente assai gradito ai capitalisti. Essi ancora oggi non solo richiedono per il salario che pagano ai loro operai le prestazioni di lavoro pattuite ma anche sottomissione e gratitudine.
Ma la produzione capitalista non può sussistere a lungo ín nessun luogo senza che scompaiano questi piacevoli rapporti patriarcali degli inizi. Per quanto servili e insensibili possano anche essere gli operai, prima o poi si accorgono che sono essi che sostentano il capitalista, e non il contrario. Mentre essi rimangono poveri e se è possibile diventano ancor più poveri, il capitalista diviene sempre più ricco. E se essi chiedono più pane al fabbricante, a questo presunto patriarca, questi risponde picche. […] I proletari vivono in miseri tuguri e costruiscono palazzi per i loro sfruttatori; fanno la fame e preparano per essi dei ricchi pasti. Sgobbano fino a crollare esausti per fornire al capitalista e ai suoi famigliari i mezzi per ammazzare il tempo.
Questa è una contrapposizione assai diversa da quella tra il ricco e il “piccolo uomo”, il povero dell’epoca precapitalistica. Questo ultimo invidia il ricco, guarda a lui con ammirazione, ne fa il suo modello, il suo ideale. Vorrebbe essere al suo posto, uno sfruttatore come lui. Non gli viene in mente di eliminare questo sfruttamento. Il proletario operaio non invidia il ricco, non desidera essere al suo posto, lo odia e lo disprezza. Lo odia come uno sfruttatore e lo disprezza come un fannullone. Dapprima odia soltanto quel capitalista col quale ha direttamente a che fare, poi riconosce assai presto, che nel complesso tutti si comportano con lui allo stesso modo, e il suo personale odio iniziale si sviluppa in una ostilità cosciente contro l'intera classe capitalista.
Questa ostilità contro gli sfruttatori è uno dei primi segni distintivi del proletariato operaio. L’odio di classe non è affatto un risultato della propaganda socialista — esso si era fatto sentire già assai prima della sua azione tra la classe operaia. Tra i servitori e la servitù feudale e i garzoni artigiani un tale intenso odio di classe non è possibile. Un tale odio renderebbe loro impossibile ogni attività proficua a causa degli intimi rapporti personali dei membri di questi mestieri con i loro “padroni”. In questi mestieri vi sono abbastanza lotte dei lavoratori salariati con i dirigenti dell'impresa; ma finiscono sempre per riconciliarsi. Nel modo di produzione capitalistico gli operai, possono nutrire la ostilità più accanita contro gli imprenditori senza che ne venga disturbata la produzione, addirittura senza che questi ne siano consapevoli.
Questo odio si esprime inizialmente in modo ancora timido e isolato. Se occorre un certo tempo prima che i proletari si accorgano che il fabbricante è spinto ad assumerli da tutt'altre ragioni che dalla generosità, ci vuole ancor più tempo perché trovino il coraggio di porsi in conflitto aperto con il “padrone”.
Il sottoproletariato è vile e sottomesso perché si sente inutile ed è privato di ogni sostegno materiale. Analoghe caratteristiche sono tipiche all’inizio anche del proletariato operaio finché viene reclutato soprattutto dal sottoproletariato[3] e da strati ad esso vicini. Certamente percepisce i maltrattamenti che gli vengono inflitti ma protesta solo di nascosto. Cova il suo rancore in segreto, mentre lo sdegno di temperamenti particolarmente attivi e passionali trova sfogo in delitti segreti.
Negli strati dei lavoratori salariati di cui stiamo parlando, la coscienza della propria forza e lo spirito di resistenza si sviluppano solo quando essi raggiungono la coscienza della propria comunanza di interessi, della solidarietà, che domina tra i loro membri. Con il risveglio del senso di solidarietà incomincia la rinascita morale del proletariato, l'elevazione del proletariato operaio dalla palude del sottoproletariato.
Le condizioni di lavoro della produzione capitalistica indicano da sole ai proletari la necessità di una forte coesione, di una sottomissione dei singoli alla comunità. Mentre nell'artigianato nella sua forma classica ogni singola persona formava per sé sola un tutto, l'industria capitalistica si basa sul lavoro in comune, sulla cooperazione. Il singolo operaio non può far nulla senza i suoi compagni. Se essi affrontano il lavoro uniti e in modo pianificato, il rendimento di ogni singolo si raddoppia e si triplica. In questo modo il lavoro li rende coscienti della potenza dell'unione, in questo modo il lavoro si trasforma in una disciplina volontaria e piacevole, che costituisce la premessa di una produzione collettiva, socialista, ma costituisce anche una premessa di ogni lotta vittoriosa del proletariato contro lo sfruttamento della produzione capitalistica. In questo modo quest'ultima educa il proletariato a provocare il suo crollo ed a lavorare per la società socialista.
Forse ancor più della cooperazione, l'uguaglianza delle condizioni di lavoro contribuisce a risvegliare il senso di solidarietà nel proletariato. In una fabbrica non vi è in genere tra gli operai quasi alcuna differenza di grado, non vi è gerarchia. I posti più alti sono di regola inaccessibili ai proletari, e sempre tanto scarsi che non sono in gioco per la massa degli operai. Solo pochi possono essere corrotti con questi posti di favore. Per la grande maggioranza vigono medesime condizioni di lavoro, e il singolo non ha alcuna possibilità di migliorarle solo per se stesso; può elevare la propria situazione solo se si eleva quella dell'insieme di tutti i suoi compagni. Certamente i fabbricanti cercano di seminare discordia tra gli operai con l'introduzione artificiosa di ineguaglianze nelle condizioni di lavoro. Ma l'effetto livellatore della grande industria moderna è troppo forte perché simili espedienti — lavoro parcellizzato, premi ecc. — possano alla lunga cancellare la coscienza della solidarietà d'interessi tra gli operai. Quanto più a lungo dura la produzione capitalistica, tanto più potentemente si sviluppa la solidarietà proletaria, tanto più profondamente essa si radica nel proletariato, tanto più diviene sua caratteristica dominante.
Basta richiamare ciò che abbiamo detto prima sulla servitù per dimostrare quanto il proletariato operaio si distingua da essa su questo punto. Ma anche la servitù economica è più arretrata rispetto al proletariato della produzione capitalistica, addirittura anche i garzoni dell'artigianato.
La solidarietà dei garzoni artigiani si è arrestata ad un punto che è stato superato dalla solidarietà dei proletari. La solidarietà degli uni come degli altri non si limita ai lavoratori della stessa impresa. Come i proletari anche i garzoni artigiani sono giunti alla fine a riconoscere che i lavoratori si scontrano dappertutto con gli stessi nemici, e hanno ovunque gli stessi interessi. I garzoni artigiani formarono organizzazioni nazionali, estese all'intero ambito della nazione, già in un'epoca in cui la borghesia era ancora profondamente immischiata in piccole contese cittadine e locali. Il proletariato di oggi è completamente internazionale nel proprio sentire ed agire; nel bel mezzo delle più acerrime lotte nazionali, della più accanita preparazione militare delle classi dominanti í proletari di tutti i paesi si sono uniti.
Troviamo inizi di organizzazioni internazionali già presso i garzoni artigiani; essi si sono dimostrati in grado di superare le restrizioni nazionali. Ma non sono stati in grado di elevarsi oltre un preciso limite; il mestiere. Il cappellaio o il calderaio tedesco poteva trovare ospitalità nei suoi vagabondaggi presso colleghi in Svizzera o in Svezia; invece nella sua stessa patria era del tutto estraneo al calzolaio o al falegname del suo paese. Nell'artigianato i mestieri erano rigidamente separati. L’apprendista doveva lavorare per lunghi anni prima di diventare garzone e per tutta la sua vita rimaneva fedele alla propria arte. Il rigoglio e il potere di questa erano anche suoi propri. Se il garzone si trovava in contrasto col maestro della propria arte non lo era meno tanto con i maestri che con i garzoni delle altre arti. Nell'epoca di fioritura dell'artigianato troviamo i garzoni delle diverse arti invischiati in dure lotte ed inimicizie.
La produzione capitalistica invece mescola tra loro i diversi mestieri. In un'impresa capitalistica in genere operai di diversi mestieri lavorano l'uno accanto ed insieme all'altro per raggiungere uno scopo comune. D'altra parte la produzione capitalistica ha la tendenza ad eliminare del tutto il concetto di mestiere dalla produzione. La macchina riduce il tempo di apprendistato dell'operaio, una volta assai lungo, ad un tirocinio di poche settimane, spesso di giorni. Rende possibile al singolo operaio di passare senza grandi difficoltà da una lavorazione all'altra, spesso ve lo costringe rendendo inutile la sua attività precedente, gettandolo così sul lastrico e costringendolo a cercare un'altra attività. La libertà di scelta del lavoro, che i filistei temono di perdere nello “Stato del futuro”, ha già oggi perso ogni significato per l’operaio.
In queste condizioni gli è facile superare il limite dinnanzi a cui si sono arrestati i garzoni artigiani. Il senso di solidarietà del moderno proletario è non solo internazionale ma si estende all'intera classe operaia.
Già nell'antichità e nel medioevo erano presenti diverse forme di lavoro salariato. Anche le lotte tra gli operai salariati e i loro sfruttatori non sono nulla di nuovo. Ma solo con il predominio della grande industria capitalistica vediamo sorgere una classe omogenea di operai salariati, che non solo sono pienamente coscienti della comunanza dei loro interessi ma che subordinano non solo i loro interessi personali ma anche quelli locali — e fin dove ancora sussistono — i loro interessi professionali particolari al grande interesse complessivo della classe. Solo nel nostro secolo le lotte dei lavoratori salariati contro lo sfruttamento assumono il carattere di una lotta di classe. E solo con questo è possibile che tali lotte abbiano una meta più alta dell’eliminazione di abusi momentanei, che il movimento operaio diventi un movimento rivoluzionario.
Il concetto di classe operaia diviene però sempre più ampio. Qui vale in primo luogo ciò che abbiamo detto del proletariato operaio della grande industria. Ma come il capitale industriale diviene sempre più determinante per l'intero capitale, anzi per tutte le imprese economiche nell'ambito delle nazioni capitalistiche, così il pensiero e i sentimenti del proletariato che opera nella grande industria divengono sempre più determinanti per il pensiero e i sentimenti dei lavoratori salariati in generale. La coscienza della generale comunanza di interessi tocca anche i lavoratori della manifattura capitalistica e dell'artigianato e li tocca tanto più quanto più l'artigianato perde il suo carattere primitivo e si avvicina alla manifattura o decade nell'industria domestica sfruttata dal capitale.
Ad essi si uniscono man mano i lavoratori delle attività cittadine non industriali, del commercio, dei trasporti, delle attività “alberghiere e di ristoro”, come viene detto nella statistica professionale tedesca. Anche i lavoratori della campagna diventano gradualmente coscienti della comunanza di interessi con gli altri lavoratori salariati non appena la produzione capitalistica dissolve l'antica impresa agricola patriarcale e la trasforma in un'industria che produce con proletari salariati, non più con la servitù che appartiene alla famiglia dell'agricoltore. E infine il senso di solidarietà incomincia a conquistare anche i meno abbienti tra gli artigiani indipendenti e in certe condizioni a contagiare anche i contadini: così le classi lavoratrici si saldano sempre più in un’unica classe lavoratrice omogenea, animata dallo spirito del proletariato della grande industria, che aumenta di numero e d'importanza economica. Sempre più si diffonde in essa il senso della coesione cameratesca, tipico del proletariato della grande industria, della disciplina collettiva, dell’ostilità al capitale; nelle sue fila si diffonde anche quell'inesauribile desiderio di sapere tipico del proletariato, di cui abbiamo parlato alla fine del capitolo precedente.
Così dal proletariato disprezzato, maltrattato ed abbrutito sorge un nuovo potere mondiale dinanzi a cui incominciano a tremare le vecchie potenze: sorge una nuova classe con una nuova morale e una nuova filosofia, che giornalmente aumenta di numero, compattezza, insostituibilità economica, autocoscienza, perspicacia. [...]
E nella misura in cui il proletariato esercita un’influenza più considerevole sulle classi che gli sono vicine, agendo in modo più efficace sulle loro idee e sui loro sentimenti, queste tendono sempre più ad entrare nel movimento socialista. Lo scopo naturale della lotta di classe condotta dal proletariato è la produzione socialista. Questa lotta non può finire prima di raggiungere questo obiettivo. [...]
Non bisogna naturalmente attendersi che questo riconoscimento si diffonda troppo rapidamente tra di loro. E tuttavia è già iniziata la diserzione di contadini e di piccoli borghesi dalle fila dei partiti borghesi, una diserzione di tipo assai particolare, perché sono proprio i più attivi. I più combattivi, i primi ad abbandonare il campo, non per sfuggire alla mischia, ma per sfuggire alla meschina lotta per una esistenza miserevole verso la grandiosa lotta universale per l’edificazione di nuova società, che renda partecipi tutti i propri membri delle grandi conquiste della civiltà moderna, verso la lotta per la liberazione di tutta l’umanità civile, anzi dell’umanità intera, dalla condanna di una società che minaccia di schiacciarla.
Quanto più insopportabile diviene il modo di produzione esistente, quanto più chiaramente corre incontro alla propria bancarotta, e quanto più i partiti dominanti incapaci si dimostrano di eliminare le disfunzioni sociali in pauroso aumento, quanto più inconsistenti e senza principi divengono questi partiti, e si riducono sempre più a cricche di politici con interessi personali, tanto più numerosi affluiranno alla socialdemocrazia i membri delle classi non proletarie e seguiranno a fianco del proletariato che avanza irresistibile la sua bandiera fino alla vittoria ed al trionfo.
Karl Kautsky, 1892
[1] Il Programma di Erfurt è stato pubblicato in italiano nel 1971 da Samonà e Savelli.
[2] Vedi sul nostro sito gli articoli Lotte in Francia: Governo e sindacati mano nella mano per far passare la riforma [13], https://it.internationalism.org/content/1525/lotte-francia-governo-e-sindacati-mano-nella-mano-far-passare-la-riforma [13] e Contro gli attacchi del governo, la lotta massiccia e unita di tutti gli sfruttati! Volantino della CCI in Francia [14], https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati [14].
[3] Da lumpenproletariat, letteralmente “proletariato straccione” o “sottoproletariato”, termine usato da Marx ed Engels per designare “i rifiuti umani lasciati indietro da tutte le classi sociali” e utilizzati nel corso della storia dalla borghesia per spezzare le lotte della classe operaia.
Da diverse settimane il numero di persone contagiate da Covid-19 è aumentato notevolmente in diverse regioni del mondo e soprattutto in Europa, che sembra essere di nuovo uno degli epicentri della pandemia. La “possibile seconda ondata” annunciata diversi mesi fa dagli epidemiologi è ormai una realtà ed è certo che sarà molto più virulenta della precedente.
Di fronte alla gravità e al rapido deterioramento della situazione, gli Stati nazionali non hanno altra soluzione che improvvisare coprifuoco o semi-confini locali o nazionali per tenere a bada la popolazione nel luogo in cui risiede … ovviamente, al di fuori dell'orario di lavoro.
In questi ultimi mesi i media di molti paesi hanno continuato a riportare i discorsi meschini e falsi delle autorità che non hanno esitato a mettere all’indice i “giovani irresponsabili ed egoisti” che si sono radunati “per organizzare feste clandestine", o vacanzieri che approfittano delle ultime belle giornate estive per bere qualcosa sulla terrazza di un caffè togliendosi le mascherine (dopo che i governi della sponda mediterranea li avevano fortemente incoraggiati al fine di “salvare il settore turistico in pericolo”!). Questa grande campagna che prende di mira quotidianamente “l'irresponsabilità dei cittadini” è solo la foglia di fico che tenta di mascherare l’eclatante incuria e la mancanza di prevenzione di cui la classe dirigente è colpevole da molti anni[1] proprio come in questi ultimi mesi dopo il relativo riflusso della “prima ondata”.
Sebbene i governi fossero pienamente consapevoli che non esisteva alcuna cura efficace, che la messa a punto di un vaccino era ben lontana e che il virus non sarebbe stato necessariamente stagionale, non è stata adottata nessuna misura per prevenire una potenziale "seconda ondata". Il numero del personale ospedaliero non ha visto alcun aumento dallo scorso marzo, così come il numero di posti letto nelle unità di terapia intensiva. Le politiche di smantellamento dei sistemi sanitari sono persino proseguite in diversi paesi. Tutti i governi hanno quindi esortato la società a tornare al "mondo di prima", celebrando il ritorno dei "giorni felici" con un solo e stesso slogan: "Dobbiamo salvare l'economia nazionale!"
Oggi, con lo stesso slogan le borghesie europee costringono gli sfruttati a chiudersi e a zittirsi nuovamente in casa, esortandoli però a recarsi sul posto di lavoro, ignorando il conseguente aumento di contatti tra le persone favorevole alla proliferazione del virus (soprattutto nelle grandi aree metropoli) e in assenza di misure sanitarie sufficienti per garantire la sicurezza sul posto di lavoro e nelle scuole!
L'incuria e l'irresponsabilità che la classe dominante ha dimostrato in questi mesi la rende ancora una volta incapace di tenere sotto controllo la pandemia. Pertanto, la stragrande maggioranza degli Stati europei tende chiaramente a perdere il controllo della situazione procurando malessere, per chi è costretto ad andare a lavorare con l’angoscia e paura di contaminarsi e di contaminare i propri cari.
Contrariamente a quanto afferma, non c'è dubbio che l'obiettivo della classe dominante non è quello di salvare vite umane ma di limitare il più possibile gli effetti catastrofici della pandemia sulla vita del capitalismo, evitando al tempo stesso di accentuare la tendenza al caos sociale.
A questo scopo il funzionamento della macchina capitalista deve essere garantito a tutti i costi. In particolare è essenziale consentire alle aziende di generare un profitto. Senza lavoratori salariati sui luoghi di produzione, nessun lavoro è possibile, quindi nessun profitto da realizzare. Un rischio che la borghesia vuole evitare a tutti i costi. La produzione, il commercio, il turismo e i servizi pubblici devono essere garantiti il più possibile; le conseguenze sulla vita di centinaia di migliaia o addirittura milioni di esseri umani non contano. La classe dominante non ha altra alternativa per garantire la sopravvivenza del proprio sistema di sfruttamento.
Qualunque cosa faccia, oramai non è più in grado di fermare l'inesorabile sprofondare del capitalismo nella sua crisi storica. Questo declino irreversibile la spinge quindi a mostrarsi così com'è, totalmente insensibile al valore della vita umana. Pronta a tutto pur di preservare il proprio dominio, compreso far morire decine di migliaia di persone, a cominciare dai pensionati, considerati “inutili” agli occhi del capitale. La pandemia mette in luce l'inconciliabile sopravvivenza di un capitalismo in decomposizione e quella dell'umanità!
Gli sfruttati quindi non hanno nulla da aspettarsi dagli Stati e dai loro governi che, qualunque sia il loro colore politico, fanno parte della classe dominante e rimangono al suo servizio. Gli sfruttati non hanno nulla da guadagnare accettando senza batter ciglio i “sacrifici” loro imposti per “salvare l'economia”.
Prima o poi, la borghesia sarà in grado di disperdere i danni sanitari causati da questo virus sviluppando un vaccino efficace. Ma le condizioni di decomposizione sociale che hanno portato a questa pandemia non scompariranno. Tenuto conto della guerra che gli Stati stanno conducendo nella loro folle "corsa al vaccino", la sua distribuzione si annuncia già altamente problematica. Alla stessa stregua dei disastri industriali o ambientali, è più che probabile che in futuro l'umanità affronterà sempre più pandemie globali, probabilmente anche più mortali.
Di fronte alla catastrofe economica aggravata dalla pandemia, l'esplosione della disoccupazione, la crescente miseria e l'aumento e delle pressioni dei ritmi lavorativi, la classe operaia non avrà altra scelta che lottare per difendere le proprie condizioni di vita. La rabbia sta già crescendo ovunque e la borghesia sta cercando di attenuarla momentaneamente promettendo a tutte le famiglie operaie che le feste di fine anno si potranno fare (anche se i grandi raduni dovranno essere limitati). Ma questa “pausa” del confinamento per le festività non cambierà nulla nella sostanza. Il 2021 non sarà migliore del 2020, con o senza vaccino. Prima o poi dovremo riprendere la lotta, una volta superato lo shock di questa pandemia.
Solo riprendendo il cammino della lotta contro gli attacchi della borghesia, del suo Stato e dei padroni, la classe operaia potrà sviluppare la sua unità e solidarietà. Solo la sua lotta di classe, rompendo la sacra unione con i suoi sfruttatori, alla fine potrà aprire una prospettiva per tutta l'umanità minacciata di scomparire sotto un marcio sistema di sfruttamento. Il caos capitalista può solo continuare a peggiorare, con sempre più disastri e nuove pandemie. Il futuro è quindi nelle mani del proletariato. Lui solo ha i mezzi per salvare il pianeta e rovesciare il capitalismo per costruire una nuova società.
Vincent, 11 novembre 2020
[1] Vedi sul nostro sito www.internationalism.org [18] i numerosi articoli pubblicati in diverse lingue che denunciano lo smantellamento del sistema sanitario a livello mondiale.
Ogni giorno – e ormai da mesi - moltissimi italiani consultano i dati dei nuovi contagiati da Coronavirus, dei morti e della tendenza del contagio, se in aumento o in decrescita. Leggere che ogni giorno si trovano 30-40 mila nuovi contagiati (tra quelli controllati) e 700-800 morti è come leggere un bollettino di guerra. Al 23 dicembre il totale dei contagiati arriva ai due milioni, con circa 70 mila morti e ancora più di 600 mila persone attualmente positive[1]. Questa malattia non è un raffreddore o una influenza, chi è contagiato e non è asintomatico soffre le pene dell'inferno. Inoltre la procedura per accedere alle terapie non è semplice, le macchine per la terapia intensiva sono insufficienti, ne servirebbero il doppio rispetto a quelle attuali (in data 27 ottobre il numero è di 6960 e prima del Covid erano 5179[2], quando in Italia esiste una delle poche aziende produttrici a livello mondiale[3]. Mancano inoltre 9 mila medici e anestesisti. E le stesse notizie non sono una prerogativa dell'Italia ma di tutto il mondo.
La pandemia frutto di un complotto?
Di fronte a questa tragica situazione, le varie borghesie, impotenti e smarrite, hanno prima cercato di minimizzare il problema riducendolo a quello di una normale influenza – vedi atteggiamenti di Trump, Johnson, Salvini, Meloni, … per poi attribuirne la responsabilità a qualcun altro, come ha fatto Trump & consociati con la Cina, dando credito all’ipotesi che il virus abbia origini artificiali e sia nato in laboratorio[4], seminando così irresponsabilmente dubbio e confusione tra la popolazione. Perché mai questa disinformazione? Perché ancora una volta la verità fa male al potere!
Già nel lontano passato, e particolarmente durante il più grave episodio di pandemia dovuto alla peste nera che, tra il 1348 e il 1351, ridusse di un terzo la popolazione di tutta l’Europa, numerosi ebrei vennero accusati di diffondere la peste e per questo giustiziati, spesso col fuoco purificatore del rogo, in Spagna, Germania, Paesi Bassi e altri ancora. Ma all’epoca, per lo meno, si poteva addurre come giustificazione di tanto orrore il fatto che nell’antichità era quasi impossibile scoprire la natura delle epidemie perché non c’era una comprensione scientifica dell’origine e della trasmissione delle pestilenze, e l’ignoranza dell’epoca poteva dare un minimo di ragionevolezza alla caccia agli untori e alla proliferazione di spiegazioni irrazionali. Ma oggi le teorie complottiste sono del tutto assurde e costituiscono non solo una falsa interpretazione del mondo, ma anche un blocco contro lo sviluppo della coscienza necessaria per cambiarlo. Ed è appunto per questo che vengono alimentate dallo stesso potere.
La pandemia colpa degli animali che ce l’hanno trasmessa?
Ma oggi, in un'epoca in cui da 50 anni l’uomo ha dimostrato che andare sulla Luna non è più solo un sogno e si progetta addirittura un viaggio su Marte, quando la robotica e l’informatica ci permettono di controllare ogni cosa e lo sviluppo della conoscenza scientifica sembra non incontrare più limiti in nessun settore, come possiamo spiegarci che l’umanità, per far fronte al Coronavirus, è dovuta ricorrere agli stessi metodi usati ai tempi della peste nera del ‘300, fermandosi per quasi un anno e che, nonostante tutto questo, non ne è venuta ancora fuori? Un’altra bufala che gira e che sembra più verosimile perché più vicina alla realtà è che è tutta colpa di questa o quella specie di animali che avrebbe trasmesso il virus all’uomo. Per cui dagli addosso all’animale di turno. Ma ancora una volta questa è una falsa verità: “Gli animali selvatici non hanno nulla a che fare con questo. Nonostante gli articoli che fotograficamente indicano la fauna selvatica come il punto di partenza di epidemie devastanti, è un malinteso che la fauna selvatica sia particolarmente infestata da agenti patogeni mortali che sono pronti a contagiarci. In realtà, la maggior parte dei loro microbi vive in loro senza far loro del male. Il problema sta altrove: con la dilagante deforestazione, l'urbanizzazione e l'industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per raggiungere il corpo umano e adattarsi. […] La distruzione degli habitat minaccia l'estinzione di molte specie […] Il risultato è una maggiore probabilità di contatto stretto e ripetuto con l'uomo, che permette ai microbi di passare nel nostro corpo, dove passano dall’essere benigni ad agenti patogeni mortali. […] Lo stesso vale per le malattie trasmesse dalle zanzare, poiché è stato stabilito un legame tra l'insorgenza di epidemie e la deforestazione […] Secondo uno studio condotto in 12 paesi, le specie di zanzare che trasportano agenti patogeni umani sono due volte più numerose nelle aree disboscate che nelle foreste intatte.”[5]
Tutte le responsabilità della borghesia
Ma c’è di più. Se siamo arrivati a tanto è ancora perché scontiamo anni di ristrutturazioni del settore sanitario, vale a dire di riduzione progressiva dei fondi per la sanità per far fronte alla crisi, con chiusura di ospedali o di interi reparti, la mancata prevenzione e assunzione di medici e personale infermieristico.
Ad esempio, sul giornale on-line quotidianosanità.it del 19 marzo 2020 si legge: “In 10 anni tagliati 200 ospedali, 45 mila letti, 10 mila medici e 11 mila infermieri. In Terapia intensiva un leggero aumento ma i posti letto sono poco più di 5.200. Tra chiusura di strutture, riduzioni di personale, privato in crescita e finanziamenti inadeguati anche negli anni '10 del nuovo millennio il Servizio sanitario ha proseguito la sua opera di dimagrimento. E proprio oggi in piena emergenza il Coronavirus ci sta presentando il conto, con il paradosso che il prezzo più alto lo stanno pagando i più fragili e gli operatori sanitari che proprio questa dieta per anni hanno denunciato”[6]. Ancora una volta tutto è avvenuto in perfetto parallelismo, anche se con intensità diversificate, con i vari paesi del mondo. Ad esempio il governo degli Stati Uniti, giusto due mesi prima dell’inizio di questa pandemia, ha deciso di tagliare i finanziamenti a Predict, un programma lanciato nel 2009 negli Stati Uniti dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) per aiutare gli scienziati in Cina e in altri Paesi a formarsi sulla minacce di nuovi virus e, all'inizio di febbraio 2020, ha annunciato l'intenzione di ridurre del 53% il suo contributo al bilancio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Quello che è però veramente nauseante è il fatto che, dopo aver fatto credere di essere stata presa di sorpresa dall’espansione del virus e dopo un primo relativo successo nel contenere la pandemia con il lockdown, la borghesia, piuttosto che tirare la lezione, ha continuato come se fosse stato definitivamente risolto un problema che invece stava ancora lì tutto intero. Ad esempio, dicevamo all’inizio che manca un numero adeguato di macchine per la terapia intensiva. Allora ci chiediamo: queste non potevano essere comprate in estate? Ciò non è stato fatto, sperando in un calo dei contagi, pur di risparmiare. Anzi si è incentivata la dismissione dei reparti a terapia intensiva per ritornare alla gestione dei tempi normali. Confidando in un calo dei contagi e non ascoltando gli esperti che ne prevedevano un forte e preoccupante ritorno in autunno, non è stato fatto nulla per evitare una ripresa vigorosa del virus durante l'estate, lasciando andare tutti dappertutto, in massa nelle località di vacanza, Spagna, Grecia, Sardegna, in massa nelle discoteche, etc.. e tutto senza controlli, quarantene. Poi, durante l’estate, c’è stata tutta una campagna governativa che ha insistito sul ritorno a scuola a tutti i costi come obiettivo prioritario perché tenere i figli a casa significa un problema per i genitori che devono produrre, ma il problema dei trasporti, ad esempio, non è stato minimamente preso in considerazione. Ecco quello che pensa il fisico Roberto Battiston, già presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana: “L’aumento dei contagiati ha iniziato dai primi di ottobre una crescita esponenziale. […] che non si è più fermata raggiungendo in tre settimane valori molto più alti della prima ondata, superando oggi i 19.000 nuovi casi di contagi al giorno e portando alla saturazione delle terapie intensive. […] Per cambiare da un giorno all’altro l’andamento dell’epidemia è necessario un evento che abbia improvvisamente mutato i comportamenti sociali di milioni di persone. Un evento che sia accaduto circa una settimana prima del primo ottobre, un evento che abbia coinvolto tutta l’Italia. […] di fatto la scuola è ripartita a pieno ritmo intorno al 24 settembre mettendo improvvisamente in movimento quasi otto milioni di studenti: esattamente quello che serve per spiegare i dati. […] Nella settimana seguente la situazione cambia drasticamente: il ritmo di crescita degli infetti tra gli studenti è 2,65 volte (+265%) più alto che per il resto della popolazione, quello del personale docente è esattamente il doppio (+200%), quello del personale non docente è 1,67 volte (+167%) più alto del resto della popolazione italiana!”[7]
La storia del piano pandemico nazionale
Per chiudere sul tema non possiamo non riportare la ridicola e sconcertante storia del piano pandemico nazionale, cioè delle linee guida che avrebbero dovuto suggerire tutte le misure da prendere in caso di pandemia ma che, come si è poi scoperto, è rimasto inalterato dal lontano 2006 laddove, con l’evoluzione delle malattie infettive nel mondo, per definizione dovrebbe essere aggiornato ogni anno[8]. Il servizio di Report RAI 3, La consapevole foglia di fico [19] del 30 novembre scorso riporta ancora che un rapporto redatto da un team veneziano dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), è letteralmente scomparso pochi giorni dopo dal sito dell’ente che l’aveva pubblicato, quello dell’OMS Europa[9]. Tale rapporto faceva riferimento non solo al mancato aggiornamento del piano, ma anche ad uno scomodo articolo[10] di Filippo Curtale, Direttore UOC Rapporti internazionali, INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà), in cui si ricorda che già “nel 2005 la minaccia mortale di una pandemia era un argomento che occupava le copertine della stampa internazionale. La cover story di TIME, del 17 ottobre 2005, riportava l’allarme degli esperti di sanità sulla pandemia (di influenza aviaria) che stava arrivando, e che avrebbe ucciso milioni di persone, devastato l’economia mondiale e causato la chiusura (shut down) di tutto il mondo industrializzato e non.” Non sembra strano dunque che la mail di censura di questo rapporto, attribuita a Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’OMS, si rivolga al team veneziano ingiungendo di “correggere subito nel testo” alterando la data da 2006 a 2016 al piano pandemico e aggiungendo “Non fatemi casino su questo. Ed eliminate il riferimento a quello scemo di Curtale. Stasera andiamo sui denti di Report e non possiamo essere suicidi. Ti avevo pregato di farmi rileggere il draft prima della stampa … accidenti… Adesso blocco tutto con Soumya. Fammi avere la versione rivista appena puoi. Così non può uscire.”
Che lezioni possiamo trarre?
Oggi, a fine anno 2020, la borghesia italiana e mondiale si trova completamente impreparata a fare alcunché e cerca disperatamente di riparare promettendo la salvezza dell’umanità con i vaccini appena preparati. Vaccini preparati in qualche mese laddove sono di norma richiesti anni di studio e di sperimentazione. Cosa ne verrà fuori? Per il momento possiamo solo sperare che questa macrosperimentazione sulla pelle dell’umanità non procuri troppi danni.
In realtà questa pandemia, con il carico di morti e le tragiche conseguenze sull’economia e sulle condizioni di vita di miliardi di persone, esprime un elemento di aggravamento dell’agonia del capitalismo, quella che abbiamo definito di decomposizione. Il capitalismo è incapace di gestire la società e questo lo si vede dappertutto, vedi le lacerazioni all'interno degli Stati Uniti tra Trump e Biden e all'interno dei loro stessi partiti; vedi in Italia i conflitti tra stato e regioni, tra regioni e comuni!! Vedi gli scontri verbali tra Sala, sindaco di Milano, e Fontana, presidente della Lombardia, e in Campania tra De Magistris e De Luca. Lo stesso governo non è immune da forti contrasti tra i partiti che lo compongono, all’interno dei quali esistono peraltro anime contrapposte. Ciò che dicono oggi può essere stravolto l'indomani. Non esiste un programma unificante, l'improvvisazione è di casa e questo in piena catastrofe sociale! Gli stessi partiti di opposizione ne pensano una e ne dicono un'altra, presi dalla preoccupazione non della salute pubblica ma di guadagnare simpatie attaccando il governo Come fa d’altra parte la stessa Italia Viva di Renzi che richiede una verifica di governo sul Mes e sulla Task force in piena pandemia!
In tutto questo quelli che pagano il conto sono i lavoratori, e particolarmente quelli che per il tipo di lavoro svolto non sono potuti ricorrere allo smartworking, come quelli del settore sanità, obbligati a lavorare senza protezioni individuali, in quanto anche reperire mascherine e disinfettanti era arduo! Inoltre il sopraggiungere dell'emergenza sanitaria e le misure restrittive introdotte nel periodo del lockdown hanno provocato forti perturbazioni nel mercato del lavoro: “il massacro di posti di lavoro dei giovani precari e autonomi: con il Covid persi 841 mila occupati, la metà ha meno di 35 anni. Gli occupati sotto i 35 anni sono calati dell’8% nei primi sei mesi del 2020. A pagare sono stati i lavoratori con un contratto a termine e gli autonomi, non tutelati dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione. Nel dettaglio, i contratti a termine sono diminuiti di 677 mila unità, mentre le partite Iva sono calate di 219 mila unità”[11].
La chiusura di esercizi commerciali, ristoranti, alberghi, negozi vari, palestre e quant'altro ha prodotto una improvvisa marea di disoccupati ufficiali anche in questo settore, ma ci sono anche centinaia di migliaia di lavoratori in nero che non esistono per lo Stato. Questi lavoratori, e soprattutto gli immigrati che non sono regolarizzati, perdendo il lavoro, non hanno diritto ad alcun ristoro, nei fatti non esistono. E non esistendo, è anche difficile far sentire la propria voce in un periodo in cui la classe operaia ha una crisi di identità e fa fatica a battersi.
Se a tutto questo aggiungiamo che “quella di Covid-19 non sarà l'ultima pandemia”[12] possiamo capire che, al di là dello sfruttamento sempre più intenso della manodopera dei lavoratori, quando si riesce a essere sfruttati, questa società non riesce a garantire neanche più la stessa sopravvivenza della specie umana. La realtà è che la società capitalista non ha nulla più da offrire se non guerre, miseria e pandemie; è incapace di dare una risposta globale alle necessità dell’umanità, non ha alcun futuro! E questo quando nella stessa società esistono risorse tecnologiche e capacità umane che potrebbero risolvere in poco tempo tutti i maggiori problemi di cui soffre oggi l’umanità. Questa contraddizione tra le enormi capacità produttive, di sviluppo scientifico e organizzative acquisite dall’umanità e l’incapacità crescente da parte dei detentori del potere a gestirle è il punto critico su cui si deve innestare l’azione del proletariato, la classe che ha nelle mani le chiavi della futura società.
Oblomov & Ezechiele 27 dicembre 2020
[4] Vedi i commenti sul cosiddetto “Yan Report”, uno studio realizzato da una virologa cinese Li-Meng Yan e reso pubblico il 14 settembre 2020 su: Li-Meng Yan: “Covid-19 creato in laboratorio?” [23] e Coronavirus. Il Sars-Cov-2 creato in laboratorio? [24]
[5] Sonia Shah, Contre les pandémies, l’écologie [25], Le Monde diplomatique, marzo 2020.
[7] Scuola e covid [27].
[8] In verità, se andiamo a leggere l’elenco dei piani pandemici pubblicati nel sito dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), l’Italia è in buona compagnia visto che pochi paesi, come la Germania e la Svezia hanno aggiornato i loro documenti al 2015 e 2016 mentre gli altri riportano date anche precedenti al 2006. Vedi Il servizio di Report e il Pdf del Piano pandemico mai aggiornato dal 2006 [28].
[10] "C’era una volta il piano pandemico".
Gli Stati Uniti, il paese più potente del pianeta, sono diventati la vetrina della decomposizione progressiva dell'ordine mondiale capitalista. La corsa alle elezioni presidenziali ha gettato una luce sinistra su un paese dilaniato da divisioni razziali, da conflitti sempre più brutali all'interno della classe dirigente, da una scioccante incapacità di affrontare la pandemia Covid-19 che ha causato quasi un quarto di milione di morti, dall'impatto devastante della crisi economica ed ecologica, dalla diffusione di ideologie irrazionali e apocalittiche. Eppure queste ideologie, paradossalmente, riflettono una verità di fondo: che stiamo vivendo gli “ultimi giorni” di un sistema capitalista che pure regna su tutto il paese.
Ma anche in questa fase finale del suo declino storico, mentre la classe dominante dimostra sempre più la sua perdita di controllo sul proprio sistema, il capitalismo sa ancora ritorcere il suo marciume contro il suo vero nemico, contro la classe operaia e il pericolo che essa rappresenta nel momento in cui diventa cosciente dei suoi veri interessi. L'affluenza record in queste elezioni, le proteste così come i festeggiamenti chiassosi di entrambi i campi rappresentano un potente rafforzamento dell'illusione democratica, della falsa idea che cambiare un presidente o un governo possa fermare lo scivolamento del capitalismo nell'abisso, che il voto possa permette al “popolo” di prendere nelle proprie mani il suo destino.
Oggi questa ideologia è alimentata dalla convinzione che Joe Biden e Kamala Harris “salveranno” la democrazia americana dal bullismo e dal gioco sporco autoritario di Trump, che guariranno le ferite della nazione, che restaureranno la razionalità e l'affidabilità nel rapporto degli Stati Uniti con le altre potenze mondiali. E queste idee trovano eco in una gigantesca campagna internazionale che saluta il rinnovamento della democrazia e il rinculo dell’assalto populista contro i valori liberali.
Ma noi proletari dobbiamo stare allerta: se Trump e il suo "America First" si sono schierati apertamente per inasprire il conflitto economico e persino militare con altri Stati capitalisti -la Cina in particolare- anche Biden e Harris perseguiranno la politica di dominio imperialista dell’America, forse con metodi e retorica leggermente diversi. Se Trump era favorevole ai tagli delle tasse per i ricchi e il suo regno si è concluso con un enorme aumento della disoccupazione, un'amministrazione Biden, di fronte a una crisi economica mondiale che la pandemia ha severamente aggravato, non avrà altra scelta che far pagare la crisi alla classe sfruttata attraverso crescenti attacchi alle sue condizioni di vita e di lavoro. Se i lavoratori immigrati e “illegali” pensano che saranno più al sicuro sotto un'amministrazione Biden, ricordino che sotto il presidente Obama e il vicepresidente Biden milioni di lavoratori “illegali” sono stati espulsi dagli Stati Uniti.
Senza dubbio gran parte dell'attuale sostegno a Biden arriva in reazione ai veri orrori del Trumpismo: le bugie sfacciate, i messaggi razzisti subliminali, la dura repressione delle proteste, la totale irresponsabilità di fronte al Covid-19 e al cambiamento climatico. Non c'è dubbio che Trump sia un chiaro riflesso di un sistema sociale in putrefazione. Ma Trump pretende anche di parlare in nome del “popolo”, di agire come un outsider in contrapposizione alle “élite” incomprensibili. E anche quando mina apertamente le "regole" della democrazia capitalista, rafforza ulteriormente la contro-argomentazione che dovremmo, più che mai, schierarci in difesa di queste "regole". In questo senso, Biden e Trump sono le due facce della stessa medaglia, quella della truffa democratica.
Ciò non significa che questi due rivali lavoreranno insieme pacificamente. Anche se Trump viene rimosso dalla carica di presidente, il trumpismo non scomparirà. Trump ha normalizzato le milizie armate di estrema destra che marciano per le strade e ha portato sette cospirazioniste come QAnon nella corrente ideologica. In reazione, tutto questo ha alimentato la crescita di squadre antifasciste e di milizie pro-black power pronte ad opporsi armi alla mano ai sostenitori della supremazia dei bianchi. E dietro a tutto ciò, l'intera classe borghese e la sua macchina statale sono lacerate da interessi contrastanti di politica economica ed estera che non possono essere eliminati dai discorsi di “guarigione” di Biden. E’ molto probabile che questi conflitti diventino più intensi e più violenti nel periodo a venire.
La classe operaia non ha alcun interesse ad essere coinvolta in questo tipo di "guerra civile", a dare la sua energia e perfino il suo sangue alla battaglia tra fazioni populiste e anti-populiste della borghesia.
Queste due fazioni non esitano a propagandare una visione tronca della "classe operaia". Trump si presenta come il paladino dei caschi blu i cui posti di lavoro sono stati messi in pericolo o distrutti dalla concorrenza straniera “sleale”. Anche i Democratici, in particolare figure di sinistra come Sanders o Ocasio-Ortez, affermano di parlare a nome degli sfruttati e degli oppressi.
Ma la classe operaia ha i suoi interessi che non coincidono con nessuno dei partiti della borghesia, repubblicano o democratico che sia. Né coincidono con gli interessi de “l’America”, del “popolo”, o della “nazione” questo luogo mitico dove sfruttati e sfruttatori vivono in armonia (anche se in spietata competizione con altre nazioni). I lavoratori non hanno nazione. Fanno parte di una classe internazionale che in tutti i paesi è sfruttata dal capitale e oppressa dai suoi governi, compresi quelli che osano definirsi socialisti, come la Cina o Cuba solo perché hanno nazionalizzato il rapporto tra il capitale e i loro schiavi salariati. Questa forma di capitalismo di Stato è l'opzione preferita dell'ala sinistra del Partito Democratico, nella quale tuttavia, come ha detto Engels, "gli operai restano dei salariati, dei proletari. Il rapporto capitalista non è soppresso, ma al contrario portato al suo culmine”[1].
Il vero socialismo è una comunità umana mondiale in cui sono state abolite le classi, la schiavitù salariale e lo Stato. Sarà la prima società nella storia in cui gli esseri umani avranno un reale controllo sul prodotto attraverso le loro mani e le loro menti. Ma per fare il primo passo verso una tale società è necessario che la classe operaia si riconosca come una classe contrapposta al capitale. Una tale consapevolezza può svilupparsi solo se i lavoratori combattono con le unghie e con i denti per difendere le proprie condizioni di vita contro gli sforzi della borghesia e del suo Stato di abbassare i salari, tagliare i posti di lavoro e allungare la giornata lavorativa. E non c’è dubbio che la depressione globale che si sta delineando sulla scia della pandemia renderà tali attacchi il programma inevitabile di tutte le parti della classe capitalista. Di fronte a questi attacchi, i lavoratori dovranno entrare massicciamente in lotta per la difesa del loro tenore di vita. Non può esserci spazio per l'illusione: Biden, come ogni altro governante capitalista, non esiterà a ordinare una brutale repressione della classe operaia se questa minaccerà il loro ordine.
La lotta dei lavoratori per le proprie rivendicazioni di classe è una necessità non solo per contrastare gli attacchi economici lanciati dalla borghesia, ma soprattutto come base per superare le proprie illusioni in questo o quel partito o leader borghese, e per sviluppare la propria prospettiva, la propria alternativa a questa società in declino.
Nel corso delle sue lotte, la classe operaia sarà obbligata a sviluppare le proprie forme di organizzazione attraverso assemblee generali e comitati di sciopero eletti e revocabili, forme embrionali dei consigli operai che, in passati momenti rivoluzionari, si sono rivelati esseri gli strumenti attraverso i quali la classe operaia può prendere il potere nelle proprie mani e iniziare la costruzione di una nuova società. In questo processo, un autentico partito politico proletario avrà un ruolo vitale da svolgere: non nel chiedere ai lavoratori di portarlo al potere, ma nel difendere i principi proletari ereditati dalle lotte del passato e nell'indicare la via verso il futuro rivoluzionario. Come dice l’Internazionale[2] “Non ci sono supremi salvatori. Né Dio, né Cesare, né tribuno”. Nessun Trump, nessun Biden, niente falsi messia: la classe operaia può emanciparsi solo contando su sé stessa e, così facendo, liberare tutta l'umanità dalle catene del capitale.
Amos
Lo scopo di questa polemica è provocare un dibattito all'interno dell'ambiente politico proletario. Ci auguriamo che le critiche che rivolgiamo agli altri gruppi porteranno a delle risposte, perché la Sinistra comunista può essere rafforzata solo da un confronto aperto delle nostre divergenze.
Di fronte a grandi sconvolgimenti sociali, il primo dovere dei comunisti è quello di difendere i propri principi con la massima chiarezza, offrendo agli operai i mezzi per capire dove risiedono i loro interessi di classe. I gruppi della Sinistra Comunista si sono distinti soprattutto per la loro lealtà all'internazionalismo durante le guerre tra cricche, alleanze e Stati borghesi. Nonostante differenze di analisi sul periodo storico in cui viviamo, i gruppi esistenti della Sinistra Comunista - la CCI, la TCI (Tendenza Comunista Internazionalista), le differenti organizzazioni bordighiste - sono state generalmente in grado di denunciare tutte le guerre tra Stati come imperialiste e invitare la classe operaia a rifiutare ogni sostegno ai suoi protagonisti. Questo li distingue molto chiaramente dagli pseudo-rivoluzionari come i trotskisti, che invariabilmente applicano una versione totalmente falsificata del marxismo per giustificare il sostegno a questa o quella fazione borghese.
Il compito di difendere gli interessi della classe proletaria si pone naturalmente anche durante lo scoppio di grandi conflitti sociali - non solo per movimenti che sono chiaramente espressioni della lotta proletaria, ma anche per importanti mobilitazioni che coinvolgono grandi numeri di persone che manifestano per strada e che spesso si oppongono alle forze di sicurezza borghesi. In quest'ultimo caso, la presenza di operai in tali movimenti, e anche di rivendicazioni legate ai bisogni della classe operaia, può rendere molto difficile una lucida analisi della loro natura di classe. Tutti questi elementi erano presenti, ad esempio, durante il movimento dei "gilet gialli" in Francia, e alcuni (come il gruppo Guerra di Classe) hanno concluso che si trattava di una nuova forma di lotta di classe proletaria[1]. D'altra parte, molti gruppi della Sinistra Comunista hanno potuto constatare che si trattava di un movimento interclassista, in cui i lavoratori partecipavano principalmente come individui dietro gli slogan della piccola borghesia e persino dietro rivendicazioni e simboli apertamente borghesi (democrazia cittadina, bandiera tricolore, razzismo anti-immigrati, ecc.)[2]. Ma ciò non significa che le loro analisi siano prive di notevoli punti di confusione. La volontà di vedere, nonostante tutto, qualche potenziale della classe operaia in un movimento che era chiaramente iniziato e poi proseguito su un terreno reazionario si poteva ancora scorgere in alcuni gruppi, come vedremo più avanti.
Le manifestazioni del Black Lives Matter (BLM) (Le vite dei neri contano) rappresentano una sfida ancora più grande per i gruppi rivoluzionari: è innegabile che esse siano nate da un'autentica ondata di rabbia di fronte ad un'espressione particolarmente disgustosa della brutalità e del razzismo poliziesco. Inoltre, la rabbia non si limitava alla popolazione nera ed è andata ben oltre i confini degli Stati Uniti. Ma gli scoppi di rabbia, l'indignazione e l'opposizione al razzismo non portano automaticamente alla lotta di classe. In assenza di una vera alternativa proletaria, possono essere facilmente strumentalizzate dalla borghesia e dal suo Stato. A nostro avviso, è ciò che è capitato con le attuali proteste del BLM. I comunisti si trovano quindi di fronte alla necessità di mostrare esattamente come un'intera panoplia di forze borghesi - dal BLM sul campo al Partito Democratico negli Stati Uniti, a certi rami dell'industria, ai capi militari e anche alla polizia - è stata presente fin dal primo giorno per farsi carico della rabbia legittima e usarla per i propri interessi.
Come hanno quindi reagito i comunisti? Non tratteremo qui di quegli anarchici che pensano che i meschini atti di vandalismo dei Black Blocs in tali proteste siano un'espressione della violenza di classe, né di quei "comunizzatori" che pensano che il saccheggio sia una forma di "esproprio proletario", o un colpo assestato alla forma mercantile. Possiamo tornare su questi argomenti in articoli futuri. Ci limiteremo alle dichiarazioni rese dai gruppi della Sinistra Comunista sulla scia dei primi disordini e manifestazioni che hanno fatto seguito all'assassinio di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis.
Tre di questi gruppi appartengono alla corrente bordighista e ciascuno ha il nome di "Partito Comunista Internazionale". Li differenzieremo quindi grazie alle loro pubblicazioni: Il comunista/Le Prolétaire; Il Partito Comunista; Il Programma Comunista/Cahiers Internationalistes. Il quarto gruppo è la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI).
Tutte le posizioni espresse da questi gruppi contengono elementi con i quali possiamo essere d'accordo: ad esempio, la denuncia senza compromessi della violenza della polizia, il riconoscimento che tale violenza, come il razzismo in generale, è il prodotto del capitalismo e che può scomparire solo attraverso la distruzione di questo modo di produzione. La posizione di Le Prolétaire è molto chiara su questo argomento:
“Per eliminare il razzismo, che ha le sue radici nella struttura economica e sociale della società borghese, è necessario eliminare il modo di produzione su cui si sviluppa, a partire non dalla cultura e dalla 'coscienza', che sono solo riflessi della struttura economica e sociale capitalista, ma dalla lotta di classe proletaria in cui l'elemento decisivo è costituito dalla condizione comune dei salariati, qualunque sia il loro colore della pelle, razza o paese di origine. L'unico modo per superare ogni forma di razzismo è combattere contro la classe dirigente borghese, qualunque sia il suo colore della pelle, razza o paese di origine, perché essa è la beneficiaria di tutte le oppressioni, di tutti i razzismi, di tutte le forme di schiavitù"[3].
Gli slogan de Il Partito sono sulla stessa linea: "Operai! La vostra sola difesa è nell'organizzazione e nella lotta come classe. La risposta al razzismo è la rivoluzione comunista!"[4].
Tuttavia, quando si arriva alla domanda più difficile per i rivoluzionari, tutti questi gruppi commettono, chi più chi meno, lo stesso errore fondamentale: per loro, le rivolte che hanno seguito le uccisioni e le proteste del Black Lives Matter fanno parte del movimento della classe operaia. Cahiers Internationalistes (Quaderni internazionalisti) scrive:
“Oggi i proletari americani sono costretti a rispondere con la forza agli abusi dei poliziotti, e fanno bene a rispondere colpo su colpo agli attacchi, così come fanno bene a rispondere alla marmaglia del “suprematismo bianco”, dimostrando nella pratica della difesa comune che il proletariato è una classe: chi tocca un proletario, li tocca tutti"[5].
Il Partito:
“La gravità dei crimini commessi dai rappresentanti dello Stato borghese nelle ultime settimane e la vigorosa reazione del proletariato a questi crimini richiedono certamente la ricerca di confronti storici. Vengono subito alla mente le proteste e le rivolte che seguirono l'assassinio di Martin Luther King Jr. nel 1968, così come quelle che seguirono l'assoluzione degli agenti di polizia che picchiarono Rodney King nel 1992".
La TCI:
“Gli eventi di Minneapolis sono un’emergenza dello stesso problema storico e sistemico. Oltre a soffrire di un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello dei suoi coetanei bianchi (dato consistente dagli anni Cinquanta), il proletariato nero rimane sproporzionatamente colpito dalla violenza della polizia, senza alcun segno reale di un freno al numero delle vittime. Nonostante tutto, la classe operaia ha dimostrato ancora una volta di essere combattiva in questi tempi difficili. Le operaie e gli operai neri negli Stati Uniti, e il resto del proletariato solidale con loro, sono scesi in piazza e hanno resistito alla repressione statale. Niente è cambiato. Nel 1965 come nel 2020, la polizia uccide e la classe operaia risponde sfidando il famigerato ordine sociale per il quale essa viene assassinata. La lotta continua"[6].
Naturalmente, tutti i gruppi aggiungono che il movimento "non va abbastanza lontano":
Cahiers Internationalistes:
“Ma queste ribellioni (che i media, organi di espressione della borghesia, persistono a ridurre come 'proteste contro il razzismo e le disuguaglianze', condannando così ogni forma che vada al di là delle lamentele e dei gemiti dei poveri diavoli) deve permettere ai proletari di tutto il mondo di ricordare che il nodo da tagliare è quello del potere: non basta ribellarsi, incendiare le stazioni di polizia, riprendere le merci dai negozi e il denaro dai banchi dei pegni".
Il Partito :
“L'attuale movimento antirazzista sta commettendo un grave errore nel prendere le distanze dalla base di classe quando si tratta di razzismo, perseguendo la sua azione politica esclusivamente su linee razziali nella speranza di fare appello allo Stato borghese. È lungi dall'aver riconosciuto apertamente il ruolo delle forze dell'ordine e dell'esercito nel mantenimento dello Stato capitalista e nel dominio politico della borghesia. Per le persone di colore, e per il proletariato nel suo insieme, la soluzione sta nella conquista del potere politico lontano dallo Stato, e non nell'appello ad esso".
La TCI:
“Sebbene siamo entusiasti nel vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di rivolte tendono a svanire dopo una settimana, seguite da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture oppressive".
Criticare un movimento perché non va abbastanza lontano ha senso solo se va prima nella giusta direzione. In altre parole, questo si applica ai movimenti che si trovano sul terreno di classe. Dal nostro punto di vista, non sono state tali le manifestazioni che si sono avute per l'assassinio di George Floyd.
Non c'è dubbio che molti partecipanti alle manifestazioni, neri, bianchi o "altri", erano e sono operai. Così come non c'è dubbio che fossero, e giustamente, indignati per il feroce razzismo dei poliziotti. Ma questo non basta a conferire un carattere proletario a queste manifestazioni.
Questa osservazione è valida sia che le manifestazioni hanno assunto la forma di sommosse o di marce per la pace. La sommossa non è un metodo di lotta proletaria, che richiede necessariamente una forma organizzata e collettiva. Una sommossa - e soprattutto il saccheggio - è una risposta disorganizzata di una massa di individui distinti, pura espressione di rabbia e disperazione che espone non solo i saccheggiatori stessi, ma anche tutti coloro che partecipano alle manifestazioni di strada all'aumento della repressione da parte delle forze di polizia, militarizzate e molto più organizzate di loro.
Molti manifestanti hanno constatato l'inutilità delle sommosse, spesso provocate deliberatamente da brutali assalti della polizia dando inoltre libero sfogo a ulteriori provocazioni da parte di elementi loschi mischiati nella folla. Ma l'alternativa sostenuta dal BLM, immediatamente ripresa dai media e dall'apparato politico esistente, in particolare il Partito Democratico, era l'organizzazione di marce pacifiche con vaghe richieste di "giustizia" e "uguaglianza", oppure quelle più specifiche come “smettete di finanziare la polizia”. Tutte richieste politiche borghesi.
Certo, un vero movimento proletario può contenere ogni tipo di rivendicazioni confuse, ma è soprattutto motivato dalla necessità di difendere gli interessi materiali della classe ed è quindi più spesso concentrato - inizialmente - su rivendicazioni economiche volte ad attenuare l'impatto dello sfruttamento capitalista. Come Rosa Luxemburg ha mostrato nel suo opuscolo sullo sciopero di massa, scritto dopo le storiche lotte proletarie del 1905 in Russia, può esserci effettivamente una costante interazione tra rivendicazioni economiche e politiche, e la lotta contro la repressione della polizia può infatti far parte di quest'ultima. Ma c'è una grande differenza tra un movimento della classe operaia che esige, ad esempio, il ritiro della polizia dal luogo di lavoro o il rilascio di scioperanti incarcerati, e uno sfogo generale di rabbia che non ha alcun legame con la resistenza dei lavoratori in quanto operai e che viene subito fatto proprio dalle forze politiche di “opposizione” della classe dirigente.
Ancora più importante, il fatto che queste proteste riguardino principalmente la razza significa che non possono servire come mezzo per unificare la classe operaia. Indipendentemente dal fatto che alle proteste sin dall'inizio si siano uniti molti bianchi, inclusi operai o studenti, la maggior parte dei quali giovani, le proteste sono definite dal BLM e da altri organizzatori come un movimento di neri, che altri possono supportare se lo desiderano. Mentre una lotta della classe operaia ha un bisogno organico di superare tutte le divisioni, siano esse razziali, sessuali o nazionali, in caso contrario essa verrà sconfitta. Possiamo ancora citare esempi in cui la classe operaia si è mobilitata contro gli attacchi razzisti usando i propri metodi: in Russia nel 1905, consapevole che i pogrom contro gli ebrei venivano usati dal regime in vigore per minare il movimento rivoluzionario nel suo insieme, i soviet inviarono guardie armate per difendere i quartieri ebraici contro i pogromisti. Anche in un periodo di sconfitta e di guerra imperialista, questa esperienza non è andata perduta: nel 1941, i lavoratori portuali dell'Olanda occupata scioperarono contro la deportazione degli ebrei.
Non è un caso che le principali fazioni della classe dirigente siano state così ansiose di identificarsi con le manifestazioni del BLM. Quando la pandemia del Covid-19 ha iniziato a colpire l'America, abbiamo assistito a molte reazioni della classe operaia di fronte all'irresponsabilità criminale della borghesia, di fronte alle sue manovre per costringere interi settori della classe ad andare a lavorare senza adeguate misure di sicurezza e protezione. Allora c’è stata una reazione mondiale della classe operaia[7]. E se è vero che, dietro le proteste scatenate dall'omicidio di George Floyd, uno dei motivi di questa rabbia è stato il numero sproporzionato di neri vittime del virus, questo è soprattutto il risultato della posizione dei neri e di altre minoranze negli strati più poveri della classe operaia - in altre parole, della loro posizione di classe nella società. L'impatto della pandemia del Covid-19 offre la possibilità di mettere in luce la centralità della questione di classe, e la borghesia si è mostrata fin troppo disposta a relegarla in secondo piano.
Di fronte allo sviluppo di un movimento della classe operaia, i rivoluzionari possono infatti intervenire con la prospettiva di invitare quest'ultima ad “andare oltre” (attraverso lo sviluppo di forme autonome di auto-organizzazione, estensione ad altri settori della classe, ecc.). Ma cosa succede se molte persone si mobilitano su un terreno interclassista o borghese? In questo caso è ancora necessario intervenire, ma i rivoluzionari devono poi accettare il fatto che il loro intervento sarà fatto "controcorrente", principalmente con l'obiettivo di influenzare le minoranze che mettono in discussione gli obiettivi fondamentali e le modalità del movimento.
I gruppi bordighisti, forse sorprendentemente, non hanno molto parlato del ruolo del partito in relazione a questi avvenimenti, anche se Cahiers Internationalistes ha avuto ragione – in astratto – nello scrivere:
“La rivoluzione è una necessità che richiede organizzazione, programma, idee chiare e pratica del lavoro collettivo: in termini semplici e precisi, la rivoluzione ha bisogno di un partito che la diriga".
Il problema rimane: come può un tale partito sorgere e formarsi? Come passare dall'attuale ambiente disperso di piccoli gruppi comunisti a un vero partito, un organismo internazionale in grado di fornire una direzione politica alla lotta di classe?
Questa domanda rimane senza risposta per Cahiers Internationalistes, che poi rivela la profondità della sua incomprensione sul ruolo del partito:
“Il proletariato in lotta, il proletariato in rivolta deve organizzarsi con e nel Partito Comunista!"
Semplicemente dichiarando che il suo gruppo è il partito non è sufficiente, soprattutto quando ci sono almeno due altri gruppi ciascuno dei quali sostiene di essere il vero partito comunista internazionale. Né è logico affermare che tutto il proletariato può organizzarsi "nel partito comunista". Tali formulazioni esprimono un totale fraintendimento della distinzione tra l'organizzazione politica rivoluzionaria - che riunisce necessariamente solo una minoranza della classe - e gli organi che riuniscono l'intera classe come i consigli operai. Entrambi sono strumenti essenziali della rivoluzione proletaria. Su questo punto Il Partito è almeno più cosciente sul fatto che la strada per la rivoluzione dipende dall'emergere di organi indipendenti che raggruppano l’insieme della classe in quanto si appella a delle assemblee operaie, anche se indebolisce la sua argomentazione con l’appello “su ogni posto di lavoro e all'interno di ogni sindacato esistente” - come se le vere assemblee dei lavoratori non fossero essenzialmente antagoniste alla forma stessa del sindacato. Ma il Partito omette di fare un'osservazione ancor più cruciale: non c'è stata la minima tendenza allo sviluppo di vere assemblee operaie all'interno delle manifestazioni del BLM.
La TCI rifiuta di definirsi Partito. Dice che è per il partito ma che essa non è il partito[8]. Tuttavia, non ha mai criticato profondamente gli errori che sono alla base del sostituzionismo bordighista - l'errore, commesso nel 1943-45, di dichiarare la formazione del Partito Comunista Internazionalista in un solo paese, l'Italia, nelle profondità della controrivoluzione. Sia i bordighisti che la TCI trovano la loro origine nel PCInt del 1943, ed entrambi teorizzano nella stessa maniera questo stesso errore: i bordighisti con la distinzione metafisica tra partito “storico” e partito “formale”, la TCI con la sua idea di “bisogno permanente del partito”. Queste concezioni dissociano la tendenza all'emergere del partito dal movimento reale di classe e l'effettivo rapporto di forza tra la borghesia e il proletariato. Entrambe implicano l'abbandono della vitale distinzione operata dalla Sinistra Comunista Italiana tra frazione e partito, che mirava proprio a mostrare che il partito non può esistere in ogni momento, e quindi a definire il ruolo reale della organizzazione rivoluzionaria quando la formazione immediata del partito non è ancora all'ordine del giorno.
L'ultima parte del volantino della TCI evidenzia chiaramente questo malinteso.
Il sottotitolo di questa sezione del volantino dà il tono: “7. La ribellione urbana deve trasformarsi in rivoluzione internazionale”.
E continua:
“Sebbene siamo entusiasti di vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di sommosse tendono a svanire dopo una settimana, seguita da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture repressive. Affinché il potere dei capitalisti e dei loro mercenari sia concretamente sfidato e abolito, abbiamo bisogno di un partito rivoluzionario internazionale. Questo partito sarebbe uno strumento indispensabile nelle mani della classe operaia per organizzarsi e indirizzare il suo risentimento non solo verso la distruzione dello Stato razzista, ma anche verso la costruzione del potere operaio e del comunismo”.
Questo singolo paragrafo contiene tutta una raccolta di errori, a cominciare dal sottotitolo: la rivolta in corso può avanzare in linea retta verso la rivoluzione mondiale, ma per questo ci vuole il partito mondiale; questo partito sarà il mezzo di organizzazione e lo strumento per trasformare il piombo in oro, i movimenti non proletari in rivoluzioni proletarie. Questo passaggio rivela fino a che punto la TCI vede il partito come una sorta di deus ex machina, un potere che viene da chissà dove, non solo per permettere alla classe di organizzare e distruggere lo Stato capitalista, ma che ha la capacità ancor più soprannaturale di trasformare rivolte o manifestazioni cadute nelle mani della borghesia,
Questo errore non è nuovo. In passato, avevamo già criticato l’illusione del PCInt nel 1943-1945 sul fatto che i gruppi partigiani in Italia - pienamente allineati con gli alleati nella guerra imperialista – avrebbero potuto essere in qualche modo guadagnati alla rivoluzione proletaria attraverso la presenza del PCInt nelle loro fila[9]. Abbiamo visto nel 1989 quando Battaglia Comunista non solo ha preso le forze di sicurezza golpiste che avevano destituito Ceausescu in Romania per una "rivolta popolare", ma ha anche sostenuto che mancava solo il partito per guidare quest'ultima sulla via della rivoluzione proletaria[10].
Lo stesso problema è apparso l'anno scorso con i "gilet gialli". Anche se la TCI descrive il movimento come "interclassista", ci dice che:
“Serve un altro organo. È uno strumento che permette di unificare l'effervescenza della classe, permettendole di fare un salto di qualità, cioè politico, per darle una strategia, e tattiche anticapitaliste, per dirigere le energie emanate dal conflitto di classe verso un assalto al sistema borghese; non c'è altra via. Insomma, è necessaria la presenza attiva del Partito Comunista, Internazionale e Internazionalista. Altrimenti la rabbia del proletariato e della piccola borghesia declassata sarà schiacciata e dispersa; o brutalmente, se necessario, o con false promesse”[11].
Anche qui il partito è invocato come panacea, pietra filosofale antistorica. Ciò che manca in questo scenario è lo sviluppo del movimento di classe nel suo complesso, la necessità per la classe operaia di ritrovare il senso della propria esistenza come classe e di ribaltare l'equilibrio di forza esistente attraverso enormi lotte. L'esperienza storica ha dimostrato che non solo tali cambiamenti storici sono necessari per consentire alle minoranze comuniste esistenti di sviluppare una reale influenza all'interno della classe operaia: ma sono anche l'unico punto di partenza possibile per trasformare il carattere di classe delle rivolte sociali e offrire una prospettiva all'intera popolazione oppressa dal capitale. Un esempio lampante è stato l’entrata massiccia degli operai francesi nelle lotte di maggio-giugno 1968: lanciando un enorme movimento di sciopero in risposta alla repressione poliziesca esercitata sulle manifestazioni studentesche, la classe operaia ha cambiato anche la natura delle manifestazioni, integrandole in un generale risveglio del proletariato mondiale.
Oggi le possibilità di tali trasformazioni sembrano lontane e, in assenza di un sentimento esteso d’identità di classe, la borghesia ha più o meno mano libera per recuperare lo sdegno provocato dal declino avanzato del suo sistema. Ma abbiamo visto segni, piccoli ma significativi, di un nuovo stato d'animo nella classe operaia, di un nuovo senso di sé come classe, e i rivoluzionari hanno il dovere di coltivare questi giovani segni al meglio delle loro capacità. Ma questo significa resistere alla pressione ambientale che spinge a piegarsi agli ipocriti appelli della borghesia per la giustizia, l'uguaglianza e la democrazia all’interno delle frontiere della società capitalista
Amos, luglio 2020
[1] Gruppo francese, http://guerredeclasse.fr/ [34] : il gruppo sembra essere una sorta di fusione tra anarchismo e bordighismo, più nello stile del GCI (www.gci-icg.org [35]), ma senza le sue pratiche più dubbie (minacce contro i gruppi della Sinistra Comunista, un sottile sostegno alle azioni di cricche nazionaliste e islamiste, ecc.).
[2]Vedere sul nostro sito in francese Prise de position dans le camp révolutionnaire : Gilets jaunes : La nécessité de “réarmer le prolétariat” [36] (Prese di posizione nel campo rivoluzionario: Gilet gialli: la necessità di “riarmare il proletariato”)
[3] Vedere l'articolo su Le prolétaire n. 537: "Stati Uniti: rivolte urbane dopo l'omicidio della polizia di Minneapolis dell'afroamericano George Floyd". https://www.pcint.org/03_LP/537/537_george-floyd.htm [37]
[4] Vedi l'articolo in inglese de Il Partito, “Racism Protects the Capitalist System, Only the Working Class can Eradicate it” ("Il razzismo protegge il sistema capitalista, solo la classe operaia può sradicarlo") (giugno 2020).
[5] Articolo di Cahiers Internationalistes: Après Minneapolis. Que la révolte des prolétaires américains soit un exemple pour les prolétaires de toutes les métropoles [38], “Dopo Minneapolis. Che la rivolta dei proletari americani possa essere un esempio per i proletari di tutte le metropoli "(28/05/2020).
[6] Articolo della TCI, https://www.leftcom.org/it/articles/2020-05-31/minneapolis-brutalit%C3%A0-della-polizia-e-lotta-di-classe [39] (31/05/2020)
[7] Vedi sul nostro sito l'articolo “https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro [40]” , di cui ecco un estratto: "Forse la cosa più importante di tutte, anche perché mette in discussione l'immagine di una classe operaia americana che si è allineata acriticamente alla demagogia di Donald Trump, ci sono state lotte diffuse negli Stati Uniti Uniti: scioperi negli stabilimenti FIAT-Chrysler a Tripton nell'Indiana, nello stabilimento di produzione di camion Warren alla periferia di Detroit, tra autisti di autobus a Detroit e Birmingham (Alabama), nei porti, ristoranti, nella distribuzione alimentare, nel settore delle pulizie e costruzione; si sono verificati scioperi ad Amazon (che è stata comunque interessata da scioperi in diversi altri paesi), Whole Foods, Instacart, Walmart, FedEx, ecc."
[8] Anche se, come abbiamo più volte sottolineato, la chiarezza su questo punto non è facilitata dal fatto che la sua affiliata italiana (che pubblica Battaglia Comunista) insiste ancora a portare il nome di Partito Comunista Internazionalista.
[9] Vedi l'articolo su Rivoluzione Internazionale n.7: "Le ambiguità sulla natura di classe della “resistenza” nella costituzione di Partito Comunista Internazionalista in Italia”, e sul sito in francese in Révue Internationale n°8.
[10] Vedi sul nostro sito i nostri articoli Polemic: The wind from the East and the response of revolutionaries [41](Polemica: Il vento dell'est e la risposta dei rivoluzionari), International Review n.61 e Polemic: Faced with the convulsions in the East [42](Polemica: Di fronte agli sconvolgimenti dell'Est, un'avanguardia in ritardo)", International Review n.62.
[11] Vedere l'articolo in inglese della TCI: https://www.leftcom.org/en/articles/2019-01-18/some-further-thoughts-on-the-yellow-vests-movement [43] (08/01/2019).
"Quaranta anni fa, durante l’estate 1980, la classe operaia in Polonia metteva il mondo in ansia. Un gigantesco movimento di sciopero si estendeva nel paese: parecchie centinaia di migliaia di operai entravano in sciopero selvaggio in diverse città, facendo tremare la classe dominante in Polonia e in altri paesi"[1]. Ciò accadeva quarant'anni fa, ma quel "gigantesco movimento di sciopero" puntava il dito al futuro. Per la classe operaia, per le inevitabili battaglie che dovrà intraprendere, le lezioni da trarre da questa grande esperienza sono effettivamente innumerevoli e preziose: presa in mano delle lotte, auto-organizzazione, rappresentanti eletti revocabili, estensione del movimento, solidarietà operaia, assemblee generali, ritrasmissione dei dibattiti con altoparlanti, ... ecco ciò che è stata la lotta operaia in Polonia. Una lotta contro gli attacchi alle loro condizioni di vita, contro l'aumento del prezzo della carne e per la rivalutazione dei salari. L'organizzazione di questo movimento di protesta mostra di cosa è capace la classe operaia. La Polonia 1980 è una delle grandi esperienze del movimento operaio che indica alla nostra classe che può e deve avere fiducia in sé stessa, che quando è unita ed organizzata è forte.
Questo movimento mostra anche di cosa è capace la classe dominante, quali trappole sofisticate può tendere contro coloro che sfrutta, fino a che punto le borghesie di tutti i livelli sono pronte a unire le forze per schiacciare la classe operaia. La gestione di questa lotta di classe è una nuova dimostrazione della forza e del machiavellismo degli apparati borghesi. Sia all'Est che ad Ovest, tutte le forze possibili sono state utilizzate per estinguere questo pericoloso incendio e impedirne la diffusione, specialmente nella Germania dell'Est.
Il movimento del 1980 non apparve come un fulmine a ciel sereno, anzi. Dal Maggio 1968 in Francia, il contesto internazionale fu segnato dalla ripresa delle lotte. Anche se la presenza della cortina di ferro limitava l'influenza reciproca tra le lotte della classe operaia ad Ovest e ad Est, la stessa dinamica era all'opera. Pertanto, gli anni '70 in Polonia furono caratterizzati da un profondo processo di sviluppo della combattività e della riflessione.
Negli anni '70, spinto dalla crisi economica e dalla debolezza del suo capitalismo di Stato, il governo polacco attaccò le condizioni di vita della classe: spaventosi aumenti del prezzo del cibo accompagnavano la penuria alimentare, mentre la Polonia continuava ad esportare patate in Francia. "Nell'inverno 1970-71, i lavoratori dei cantieri navali del Baltico scesero in sciopero contro l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità. All'inizio, il regime stalinista reagì alle manifestazioni con una feroce repressione uccidendo diverse centinaia di persone, soprattutto a Danzica. Tuttavia, gli scioperi non cessarono. Alla fine, il leader del partito, Gomulka, fu destituito e sostituito da un personaggio più "amichevole", Gierek. Quest'ultimo dovette parlare per 8 ore con gli operai dei cantieri navali di Stettino prima di convincerli a riprendere il lavoro. Evidentemente, ha rapidamente tradito le promesse che aveva fatto loro in quel momento. Nel 1976, ulteriori brutali attacchi economici scatenarono scioperi in diverse città, in particolare a Radom e Ursus. La repressione provocò diverse decine di morti".
Fu in questo contesto e di fronte all'aggravarsi della crisi economica che la borghesia polacca decise di aumentare il prezzo della carne di quasi il 60% nel luglio 1980. L'attacco fu frontale, senza il travestimento ideologico di cui, ad esempio, sono capaci le borghesie occidentali. Caratteristiche dei brutali metodi stalinisti che sono assolutamente inadatti di fronte a un proletariato combattivo, le decisioni della borghesia polacca non poterono che generare una risposta operaia. Forti della loro esperienza degli anni '70, "gli operai della Tczew vicino Danzica e dell’Ursus nella periferia di Varsavia entrano in sciopero. Alla Ursus si tengono assemblee generali, viene eletto un comitato di sciopero e sono stabilite rivendicazioni comuni. Nei giorni seguenti gli scioperi continuano ad estendersi: Varsavia, Lodz, Danzica, ecc. Il governo cerca di impedire una estensione maggiore del movimento facendo rapide concessioni, tra cui aumenti salariali. A metà luglio gli operai di Lublino, un importante crocevia ferroviario, entrano in sciopero. Lublino è situata sulla linea ferroviaria che collega la Russia alla Germania dell’est. Nel 1980 costituiva una linea vitale per il vettovagliamento delle truppe russe nella Germania dell’est. Le rivendicazioni degli operai sono le seguenti: nessuna repressione contro gli operai in sciopero, ritiro della polizia dalle fabbriche, aumenti salariali e libere elezioni dei sindacati". Il movimento si estese, i tentativi di fermarlo e di dividerlo fallirono: lo sciopero di massa era in corso. In due mesi la Polonia rimase paralizzata. Il governo non poteva reprimere, la situazione era diventata troppo esplosiva. Inoltre, il pericolo non si limitava ai soli confini polacchi. Nella regione mineraria di Ostrava in Cecoslovacchia, e nelle regioni minerarie rumene, in Russia a Togliattigrad, minatori e lavoratori percorrevano le stesse orme. "Nei paesi dell'Europa occidentale, se non ci sono scioperi in diretta solidarietà con le lotte dei lavoratori polacchi, tuttavia operai di molti paesi riprendono gli slogan dei loro fratelli di classe in Polonia. A Torino, nel settembre 1980, si sentono gli operai scandire: “Danzica ci indica il cammino”.
Di fronte a quel pericolo di estensione, le borghesie cominciarono a lavorare insieme per schiacciare il movimento. Era necessario da un lato isolarlo e dall'altro snaturarlo. I confini con la Germania dell'Est, la Cecoslovacchia e l'Unione Sovietica vennero rapidamente chiusi. Le borghesie internazionali lavoreranno mano nella mano per racchiudere e isolare il movimento: il governo polacco finse la radicalizzazione nei confronti dell'URSS, i sovietici conciarono a minacciare gli operai con i loro carri armati al confine. L'Europa occidentale finanzierà e consiglierà il sindacato "libero e indipendente" Solidarnosc, la propaganda internazionale metterà in luce l'eroico Solidarnosc e la necessità di un "vero" sindacato democratico libero e indipendente.
Questa alleanza delle differenti borghesie occidentali con la borghesia polacca sarà fatale per il movimento di massa polacco. Ed è per tale motivo che, contrariamente alla teoria dell'anello debole, la rivoluzione non può che partire dai paesi centrali: "Finché gli importanti movimenti di classe toccheranno solo paesi alla periferia del capitalismo (come è avvenuto in Polonia) ed anche se la borghesia locale è completamente sopraffatta, la Santa Alleanza di tutte le borghesie del mondo, con alla testa le più potenti, sarà in grado di attuare un cordone sanitario economico, politico, ideologico e perfino militare attorno ai settori proletari interessati. Solo quando la lotta proletaria toccherà il cuore economico e politico del sistema capitalista:
• quando l'attuazione di un cordone sanitario economico diventerà impossibile, perché saranno le economie più ricche ad esserne state colpite,
• quando l'attuazione di un cordone sanitario politico non avrà più alcun effetto perché sarà il proletariato più sviluppato che affronterà la borghesia più potente, è solo allora che questa lotta darà il segnale per la conflagrazione rivoluzionaria mondiale"[2].
L'arma principale della borghesia sarà quindi lo stesso sindacato Solidarnosc. Chiamato a svolgere il ruolo di 'sinistra' del capitale, che continuerà ad assumere anche nella 'clandestinità' dal 1982, non cesserà di deviare la lotta sul terreno nazionalista, di portare gli operai alla sconfitta e consegnarli alla repressione. Questo sindacato, emerso dalla linea di pensiero KOR (comitato di difesa degli operai, costituito da intellettuali dell'opposizione democratica, nato dopo le repressioni del 1976 e militante per la legalizzazione del sindacalismo indipendente), sarà rappresentato attraverso 15 dei suoi membri al presidium del MKS (comitato di sciopero interaziendale).
Mentre all'inizio del movimento dell'estate 1980 "non c’era influenza sindacale, i membri dei “sindacati liberi” si misero ad ostacolare la lotta. Mentre all’inizio i negoziati erano condotti in maniera pubblica, si avanzò, dopo un certo tempo, la pretesa che necessitavano degli “esperti” per mettere a punto i dettagli dei negoziati con il governo. Progressivamente gli operai non potettero più seguire i negoziati, e ancor meno parteciparvi, perché gli altoparlanti che dovevano trasmetterli 'non funzionavano più a causa di problemi tecnici'”. Il lavoro di sabotaggio era iniziato. Le rivendicazioni all'origine di natura politica ed economica (tra l'altro, la rivalutazione dei salari) si concentrarono sugli interessi dei sindacati più che su quelli degli operai: veniva proposto il riconoscimento dei sindacati indipendenti. Il 31 agosto gli accordi di Danzica, sfruttando le illusioni democratiche e sindacali, segnarono la fine dello sciopero di massa. "Poiché gli operai erano stati chiari sul fatto che i sindacati ufficiali camminavano con lo Stato, la maggior parte di essi pensava ora che il sindacato Solidarnosc, appena fondato e forte di dieci milioni di operai, non fosse corrotto e avrebbe difeso i loro interessi. Essi non avevano vissuto l’esperienza degli operai occidentali che si sono confrontati per decenni con i sindacati “liberi”.
Solidarnosc assunse perfettamente il suo ruolo di pompiere del capitalismo per estinguere la combattività operaia. "Sono state queste illusioni democratiche a costituire il terreno su cui la borghesia e il suo sindacato Solidarnosc hanno potuto condurre la loro politica antioperaia e scatenare la repressione. [...] Nell'autunno del 1980, quando i lavoratori ritornarono in sciopero per protestare contro gli accordi di Danzica, avendo constatato che anche con un sindacato 'libero' al loro fianco, la loro situazione materiale era peggiorata, Solidarnosc cominciava già a mostrare il suo vero volto. Già alla fine degli scioperi di massa Walesa girava di qua e di là con un elicottero dell’esercito per fare appello agli operai perché terminassero gli scioperi con urgenza. 'Non abbiamo bisogno d'altri scioperi perché stanno spingendo il nostro paese verso il baratro, dobbiamo calmarci'". [...] Ogni volta che è possibile, si impadronisce dell'iniziativa degli operai, impedendo loro di lanciare nuovi scioperi". Per un anno Solidarnosc sabota e prepara il terreno alla repressione.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1981, il governo polacco ristabilirà "l'ordine" e istituirà uno "stato di guerra": interruzioni di tutte le comunicazioni, arresti di massa, carri armati a Varsavia, occupazione militare del paese. "Mentre durante l'estate del 1980 nessun lavoratore era stato colpito o ucciso grazie all'auto-organizzazione e all'estensione delle lotte, e perché non c'era un sindacato per inquadrare i lavoratori, nel dicembre 1981 più di 1200 lavoratori vennero assassinati, decine di migliaia furono messi in prigione o cacciati in esilio". Le condizioni di vita che seguirono furono peggiori di quelle imposte all'inizio di luglio 1980. Durante il 1982 la combattività non era scomparsa, ma terminerà sotto i colpi di una feroce repressione unita all'incessante sabotaggio di Solidarnosc, lasciando impoverita la classe operaia polacca, costretta all'esilio per vendere la propria forza lavoro.
Nonostante questa sconfitta, l'esperienza di questo movimento operaio è inestimabile. È stato il punto più alto di un'ondata internazionale di lotte. Ha fornito un esempio del fatto che la lotta di classe è l'unica forza che può costringere la borghesia a mettere da parte le sue rivalità imperialiste dal momento che l'esistenza di un proletariato imbattuto nel blocco dell'Est era stata un freno allo sforzo bellico dell'URSS in Afghanistan, che aveva invaso nel 1979. Ma non solo. Ha dimostrato dal vivo quale è la forza della classe operaia. Ed è di questa che dobbiamo appropriarci:
"Nell'estate del 1980, gli operai presero direttamente l'iniziativa della lotta. Non aspettandosi istruzioni dall'alto, marciarono insieme, tennero assemblee per decidere da soli il luogo e l'ora delle loro lotte. Vennero avanzate rivendicazioni comuni nelle assemblee di massa. Fu formato un comitato di sciopero. All'inizio, le rivendicazioni economiche erano in primo piano. I lavoratori erano determinati. Non volevano che si ripetesse il sanguinoso schiacciamento della lotta come nel 1970 e nel 1976. Nel centro industriale di Danzica-Gdynia-Sopot, fu istituito un comitato di sciopero interfabbrica (MKS), composto da 400 membri (due delegati per azienda). Nella seconda metà di agosto si incontrarono dagli 800 ai 1000 delegati. Ogni giorno si tenevano assemblee generali nei cantieri navali Lenin. Vennero installati altoparlanti per consentire a tutti di seguire le discussioni dei comitati di sciopero e le trattative con i rappresentanti del governo. Poi, i microfoni furono installati anche all'esterno della sala riunioni dell'MKS, in modo che gli operai presenti nelle assemblee generali potessero intervenire direttamente nelle discussioni dell'MKS. La sera, i delegati - la maggior parte con cassette con le registrazioni degli atti - rientravano ai loro posti di lavoro e presentavano le discussioni e la situazione nella 'loro' assemblea generale di fabbrica, rendendo il loro mandato. Tali erano i mezzi con cui il maggior numero di lavoratori poteva partecipare alla lotta. I delegati dovevano restituire il loro mandato, erano revocabili in qualsiasi momento e le assemblee generali rimanevano sempre sovrane. Tutte queste pratiche sono in totale opposizione alla pratica sindacale. Nel frattempo, dopo l'unione degli operai di Danzica-Gdynia-Sopot, il movimento si allargò ad altre città. Per sabotare la comunicazione tra i lavoratori, il 16 agosto il governo tagliò le linee telefoniche. Immediatamente, i lavoratori minacciarono di estendere ulteriormente il loro movimento se il governo non le avesse immediatamente ripristinate. Quest'ultimo fece marcia indietro. L'assemblea generale decise quindi di costituire una milizia operaia. Poiché il consumo di alcol era largamente diffuso, si decise collettivamente di vietarlo. I lavoratori sapevano che dovevano essere lucidi nel confronto con il governo. Quando il governo minacciò di reprimere a Danzica, i ferrovieri di Lublino dissero: 'Se gli operai di Danzica vengono attaccati fisicamente e se solo uno di loro viene colpito, paralizzeremo la linea ferroviaria strategicamente più importante tra la Russia e la Germania dell'Est'. In quasi tutte le principali città gli operai si mobilitarono. Più di mezzo milione di loro capirono di essere la sola forza decisiva nel Paese in grado di opporsi al governo. Essi sentivano cosa stava dando loro quella forza:
• la rapida estensione del movimento invece del suo esaurimento in scontri violenti come nel 1970 e nel 1976;
• la loro auto-organizzazione, cioè la loro capacità di prendere l'iniziativa da soli invece di fare affidamento sui sindacati;
• la tenuta di assemblee generali in cui possono unire le forze, esercitare il controllo sul movimento, consentire la massima partecipazione di massa possibile e negoziare con il governo davanti a tutti.
E, in effetti, l'estensione del movimento fu la migliore arma di solidarietà; gli operai non si erano accontentati di fare dichiarazioni, loro stessi presero l'iniziativa nelle lotte. Questa dinamica rese possibile lo sviluppo di un diverso rapporto di forza. Finché i lavoratori avessero lottato in modo così massiccio e unito, il governo non avrebbe potuto attuare alcuna repressione".
La Polonia 1980 è una delle grandi esperienze storiche del movimento operaio, un'esperienza di cui il proletariato deve riappropriarsi per preparare le sue lotte future, per avere fiducia nella sua forza, nelle sue capacità, per sapere come organizzarsi, come dare vita alla sua solidarietà, ma anche aver coscienza delle trappole che la borghesia è capace di tendere, a cominciare dai suoi sindacati.
È per partecipare a questo processo di riappropriazione da parte della classe operaia della propria storia che indichiamo di seguito numerosi articoli della CCI, scritti per la maggior parte all'epoca dei fatti.
1. Le prime lotte degli anni '70
Per affrontare la crisi economica e, costretto dalla debolezza del suo capitalismo di Stato, il governo polacco attacca ferocemente le condizioni di vita della classe, chiedendo sempre più sacrifici ai lavoratori. "All'Est la quasi assenza di prodotti di prima necessità (carne, zucchero, …) manifestano la crisi del capitale; all'Ovest, è una disoccupazione sempre più massiccia e una crescente inflazione. Sia all'Est che all'Ovest, la crisi del capitalismo significa per gli operai la generalizzazione della miseria"[3]. Gli anni '70 in Polonia furono caratterizzati da aumenti dei prezzi incessanti e indecenti, da carenza di cibo, disoccupazione mascherata da recessione ecc. In risposta, la classe operaia non smetterà di lottare, principalmente nel 1970 e nel 1976.
Sulla situazione precisa in Polonia nel 1976:
• Paesi dell'Est - Sovrapproduzione, penuria e classe operaia [45] - Révolution Internationale n°23 (marzo 1976) (in francese)
• Polonia - Il capitalismo di Stato affronta la crisi e la classe operaia [46] - Révolution International n°28 (agosto 1976) (in francese)
Sull'evoluzione della maturazione all'interno della classe operaia in Polonia negli anni '70:
Sulla situazione nei paesi dell'Europa dell'Est (compresa la Polonia) negli anni '70 e '80:
• La crisi capitalista nei paesi dell'Est [48] - Revue Internationale n°23 (4° trimestre 1980) (in francese)
• Lotta di classe nell'Europa dell'Est (1970- 1980) [49] (parte I) - Revue Internationale n°28 (1° trimestre 1982) (in francese)
• Lotta di classe nell'Europa dell'Est (1970-1980) [50] (parte II) – Revue Internationale n°29 (2° trimestre 1982) (in francese)
2. Gli anni '80 e il 1981: lotte massicce e repressione
Nell'estate del 1980, il governo polacco decise di nuovo un aumento brutale del prezzo della carne, provocando un'esplosione di rabbia. Dal luglio all'agosto 1980 ci fu lo sciopero di massa: estensione del movimento, costituzione di comitati di lotta, rappresentanti eletti e revocabili, discussioni ritrasmesse in diretta dagli altoparlanti, solidarietà di classe, auto-organizzazione dei lavoratori... A fine agosto 1980, gli accordi di Danzica segnarono la fine dello sciopero di massa e l'indebolimento della classe operaia nei suoi rapporti di forza con la borghesia. Nonostante tutto, la combattività e la rabbia dureranno fino alla feroce repressione del dicembre 1981. Molto presto, le borghesie si renderanno conto del pericolo di questo movimento. E occorreranno gli sforzi congiunti del POUP (governo polacco), del KOR e di Solidarnosc (che svolgono il ruolo di opposizione "di sinistra"), nonché del prezioso aiuto delle borghesie di tutti i tipi, dell'Est e dell'Ovest, per venire a capo di questo movimento e portare i lavoratori alla sconfitta.
Estate 1980 e le prime lezioni da imparare:
• Sciopero di massa in Polonia 1980: aperta una nuova breccia [51] - Revue Internationale n °23 (4° trimestre 1980)
Dall'estate del 1980 alla repressione del dicembre 1981: le azioni di Solidarnosc e di tutte le borghesie:
• Polonia: nonostante i sindacati, la classe operaia non molla [52] - Révolution International n°80 (dicembre 1980) (in francese)
• Polonia - Rompere l'isolamento nazionale e l'inquadramento sindacale [53] - Révolution Internationale n°82 (febbraio 1981) (in francese)
• Dietro Jaruzelski c’è la borghesia mondiale [54] Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982) (in francese)
1982: stato di guerra e repressione
• Per fuorviare il proletariato, Solidarnosc è ancora lì [55] - Révolution Internationale n°98 (giugno 1982) (in francese)
• Il proletariato in Polonia paga il prezzo del suo isolamento [56] - Révolution Internationale n°102 (ottobre 1982) (in francese)
• Polonia - Jaruzelski-Walesa, stessa lotta – Revolution International n°105 (gennaio 1983)
3. Comprendere meglio ciò che è stato il fenomeno dello sciopero di massa in Polonia
Le lotte in Polonia non sono "un esempio isolato del fenomeno dello sciopero di massa, ma piuttosto la massima espressione di una tendenza internazionale generale nella lotta di classe proletaria"[4]. "Lo sciopero di massa è un fenomeno in movimento e non segue uno schema rigido e vuoto. Non è un mezzo inventato per rafforzare l'effetto della lotta proletaria, ma è il movimento stesso della massa proletaria in condizioni storiche determinate. È un movimento spontaneo che, per la sua estensione, la sua auto-organizzazione, i suoi avanzamenti, i suoi riflussi, conoscerà un'evoluzione, acquisisce un'ampiezza [...] Una delle sue caratteristiche è il concatenarsi di rivendicazioni economiche e politiche"[5].
Che cos'è lo sciopero di massa e come il movimento polacco dell'estate 1980 ne è stato uno:
• Note sullo sciopero di massa [57] - Rivista Internazionale n°6 (1982) (in italiano)
• Sciopero di massa [58] - Révolution International n°81 (gennaio 1981) (in francese)
4. Lezioni dal movimento di lotta in Polonia
Nel 1968, il proletariato riprendeva il cammino della lotta. Nel 1980, il movimento in Polonia, attraverso la sua longevità e il suo sciopero di massa, costituirà la manifestazione più importante di questa tendenza verso la ripresa internazionale della lotta di classe. Tracciare il bilancio di queste lotte, trarne gli insegnamenti, riappropriarsi dei loro punti di forza e di debolezza, capire come gli operai si sono organizzati concretamente, analizzare le manovre delle borghesie, smascherare i sindacati, la sinistra, ecc. È tutto questo che il movimento polacco apporta alla classe operaia.
Sulle lezioni e sul bilancio del movimento di lotta in Polonia:
• Un anno di lotte operaie in Polonia [59] – Revue Internationale n°27 (4° trimestre 1981) (in francese)
• Stato di guerra in Polonia: la classe operaia contro la borghesia - supplemento Revue Internationale n°28 (1° trimestre 1982) (in francese)
• Dopo la repressione in Polonia: prospettive delle lotte di classe mondiale [60] - Rivista Internazionale n°6 (1982) (in italiano)
• La dimensione internazionale delle lotte operaie in Polonia [61] – Revue Internationale n°24 (1° trimestre 1981) (in francese)
• Polonia dicembre 1981: quale sconfitta? - Révolution Internationale n°95 (marzo 1982)
• L'internazionalizzazione delle lotte, unica risposta alle trappole della borghesia - Révolution Internationale n°103 (novembre 1982)
5. Il sindacalismo in decadenza, arma per la difesa degli interessi del capitale: l'esempio di Solidarnosc
Basandosi sulle illusioni democratiche della classe operaia, la borghesia polacca farà sorgere nell'estate del 1980 il sindacato libero Solidarnosc. Proprio quello che metterà al primo posto la rivendicazione del diritto ad un sindacato libero piuttosto che agli aumenti salariali. Quello che firmerà gli accordi di Danzica, che saboterà le ritrasmissioni dei negoziati attraverso gli altoparlanti, che non smetterà mai di fermare le lotte fino a quando non verranno condotte alla repressione. Solidarnosc sarà IL mezzo, in opposizione ai consigli operai, per mistificare la classe operaia, facendo credere a una rinascita del sindacalismo: un sindacalismo indipendente, libero, autogestito, e assumendo il ruolo di "sinistra". Nonostante tutto, Solidarnosc farà fatica ad imporsi completamente e le lotte in Polonia dureranno fino al 1981, quando il sindacato più "solidale" del mondo condurrà i lavoratori verso la repressione. Dal 1982 Solidarnosc, passato alla clandestinità, continuerà a servire gli interessi del capitale nel suo ruolo di opposizione di sinistra.
1980, il vero volto di Solidarnosc:
• Gli operai pongono la vera domanda: soviet o sindacati? - estratti dal giornale World Revolution n°33 (ottobre 1980)
• Solidarietà con lo Stato capitalista [62] - Révolution Internationale n°81 (gennaio 1981) (in francese)
1981, come Solidarnosc ha isolato per portare alla sconfitta e preparare il terreno per deviare la combattività in tutto il blocco dell'Est:
• Solidarnosc - Una difesa aperta del capitale nazionale"- Révolution Internationale n°85 (maggio 1981)
• Polonia - Il sindacato Solidarnosc ha preparato la repressione"- Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982)
• 1982, il 'clandestino' Solidarnosc continua il suo ruolo di opposizione di sinistra:
• Polonia - Solidarnosc al servizio dello Stato - Révolution Internationale n°109 (maggio 1983)
6. Isolamento nazionale: quando TUTTE le borghesie lavorano per lo stesso obiettivo: schiacciare la classe operaia
L'estensione geografica delle lotte operaie a tutta la Polonia durante l'estate del 1980 è stata uno dei punti di forza del movimento. Estensione, organizzazione e solidarietà proletaria. E sarà questo isolamento nazionale ad aver ragione su questo movimento durante l'anno 1981.
Coscienti del pericolo rappresentato dal movimento e dall'influenza che esso poteva avere a livello internazionale sulla classe operaia, tutte le borghesie, dall'Est all'Ovest, lavorarono per il suo confinamento e il suo schiacciamento all'interno della nazione polacca. Tutte le borghesie unite per attuare tutte le strategie conosciute per deviare i lavoratori dalla strada intrapresa: chiusura delle frontiere, sindacalismo 'libero', costituzione di un'opposizione di sinistra, radicalizzazione contro l'URSS, minaccia di intervento sovietico, propaganda.
Sul lavoro delle borghesie, dell'Est e dell'Ovest:
• Polonia - POUP-Solidarnosc-Washington-Mosca: La borghesia unita per attaccare il proletariato - Révolution Internationale n°84 (aprile 1981)
• Lotte di classe nel mondo: Polonia - Révolution Internationale n°87 (luglio 1981)
Sul confinamento nazionale e l'isolamento per settori:
• Polonia – La morsa nazionale - Révolution Internationale n°90 (ottobre 1981)
• Polonia - la borghesia è forte nell'isolamento degli operai - Révolution Internationale n°91 (novembre 1981)
Sulle manovre borghesi attorno a un'opposizione di sinistra:
• "KOR: una 'opposizione' al servizio della capitale polacco" [63] - Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
7. Intervento della CCI nella lotta
Nel bel mezzo degli eventi, la CCI ha distribuito 3 volantini internazionali, di cui 2 tradotti in polacco:
• Il primo, pubblicato il 6 settembre 1980, descrive la situazione della lotta di massa dell'estate del 1980, evidenziando la forza del movimento (generalizzazione e auto-organizzazione), denunciando il sindacalismo e dimostrando che i proletari non hanno patria. Questo volantino è stato distribuito a livello internazionale, in una decina di paesi, ovunque la CCI poteva arrivare.
• Il secondo volantino, pubblicato il 10 marzo 1981, tradotto in polacco e distribuito in Polonia con i limitati mezzi disponibili[6], denuncia la pretesa natura "socialista" dei paesi dell'Est, propone l'internazionalismo, denuncia le azioni delle borghesie e dei sindacati. Questo volantino è stato ampiamente distribuito a livello internazionale.
• Il terzo volantino è stato pubblicato il giorno dopo la dichiarazione di stato di guerra (13 dicembre 1981). Denuncia la feroce repressione, porta la sua solidarietà agli operai polacchi e fa valere la necessità della solidarietà internazionale operaia, denunciando tutti i vicoli ciechi e le piste false proposte dalle borghesie di ogni tipo. Oltre alla sua massiccia distribuzione internazionale, essendo stato tradotto questo volantino in polacco, i compagni hanno potuto distribuirlo a Parigi e New York alla comunità polacca e a New York ai marinai polacchi in scalo.
La nostra organizzazione ha anche condotto la lotta pubblicando numerosi articoli che denunciano le trappole tese (principalmente il sabotaggio sindacale e l'isolamento), invocando solidarietà e facendo vivere le lezioni dello sciopero di massa e polemizzando con gli altri gruppi rivoluzionari:
I manifesti della CCI:
• Polonia: all'Est come all'Ovest, una stessa lotta operaia contro lo sfruttamento capitalista! [64] - Volantino internazionale della CCI (6/09/1980)
• Agli operai della Polonia!"- Volantino internazionale della CCI, tradotto anche in polacco, (10/03/1981)
• Polonia: una sola solidarietà - Lo sviluppo internazionale delle lotte operaie" [65] - Volantino internazionale della CCI, tradotto anche in polacco, (18/12/1981) (in francese)
Sul ruolo dei rivoluzionari:
• Alla luce degli eventi in Polonia, il ruolo dei rivoluzionari [66] - Revue Internationale n°24 (1 trimestre 1981)
Sulla propaganda gauchista (estrema sinistra borghese):
• I falsi amici degli operai- Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
• Contro le menzogne trotzkiste - Anche in Polonia il capitalismo deve essere distrutto - Révolution Internationale n°79 (novembre 1980)
• Per quanto riguarda le riunioni sui paesi dell'Europa dell'Est - Quale solidarietà? - Révolution Internationale n°82 (febbraio 1981)
Sull'appello alla solidarietà e a fare vivere le lezioni della lotta:
• Scioperi nella Polonia capitalista - Generalizziamo il "cattivo esempio" degli operai polacchi! - Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
• La lotta degli operai polacchi è la nostra lotta! - Révolution Internationale n°83 (marzo 1981)
• A Est e ad Ovest - Contro la stessa crisi, la stessa lotta di classe - Révolution Internationale n°85 (maggio 1981)
• Nessuna lotta operaia dovrebbe rimanere isolata - Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982)
Sulla denuncia dell'isolamento nazionale:
• Polonia: la necessità della lotta in altri paesi - Révolution Internationale n°89 (settembre 1981)
• Polonia - Solo la lotta internazionale del proletariato può frenare il braccio della repressione - Révolution Internationale n°81 (gennaio 1981)
Sulle convergenze e divergenze con i gruppi del campo politico proletario:
• Polemica - I rivoluzionari e la lotta di classe in Polonia - Révolution Internationale n°80 (dicembre 1980)
• A proposito di alcuni volantini sulla situazione in Polonia - Révolution Internationale n°102 (ottobre 1982)
[1] Tutte le citazioni provengono dall'articolo: Pologne (août 1980): Il y a 40 ans, le prolétariat mondial refaisait l’expérience de la grève de masse [67] - Révolution Internationale n°483 (luglio-agosto 2020)
[2] The proletariat of Western Europe at the centre of the generalization of the class struggle [68] International Review n.31 (4° trimestre 1984), disponibile anche in spagnolo e francese alle rispettive pagine web
[3] Introduzione al nostro opuscolo di raccolta di testi sulla Polonia 80, che può essere richiesto al nostro indirizzo
[4] Vedi nota 3
[5] Sciopero di massa - Révolution International n°81 (gennaio 1981).
[6] Una delegazione della CCI si era recata in un'altra occasione in Polonia. Le sue conclusioni, a seguito delle discussioni in loco, hanno portato alla luce un livello molto alto di illusioni all'interno del proletariato di questo paese, che contribuivano a creare notevoli difficoltà nell'affrontare la situazione con la quale si doveva scontrare. E questo mentre il campo proletario in Occidente sopravvalutava molto le possibilità della classe operaia della Polonia, in particolare la CWO con il suo "Revolution now!" ("Rivoluzione ora!")
Annata 2021
Ottobre 2021
La pandemia globale di Covid-19 continua, di fronte all’incapacità di tutti gli Stati di coordinare i loro sforzi, a devastare ogni continente. E i principali eventi degli ultimi due mesi confermano la dinamica mortale in cui il capitalismo sta precipitando la civiltà.
Cataclismi climatici a ripetizione
Sul piano climatico, l’estate del 2021, la più calda mai registrata, è stata punteggiata dal moltiplicarsi e dall’accumularsi di catastrofi ai quattro angoli del pianeta: immensi incendi in aumento in diverse regioni del globo, piogge torrenziali in Cina e in India, inondazioni nell’Europa nord-occidentale, smottamenti in Giappone, uragani e inondazioni anche mortali, ondate di calore e siccità estrema negli Stati Uniti, una cupola di calore in Canada...
La scala, la frequenza e la simultaneità degli effetti estremi del riscaldamento globale hanno raggiunto livelli senza precedenti negli ultimi mesi, devastando letteralmente intere aree, causando nella maggior parte dei casi centinaia di morti (anche in paesi sviluppati come Stati Uniti, Germania e Belgio) e precipitando milioni di persone nel caos e nella desolazione. In mezzo a questo scenario da cataclisma, il nuovo rapporto dell’IPCC, pubblicato all'inizio di agosto 2021, che mette ancora una volta in guardia rispetto all’accelerazione dello sconvolgimento del clima e all’aumento senza precedenti degli eventi meteorologici estremi, arriva come una evidenza di quello che accade.
Anche se i media hanno ampiamente riportato le spaventose conclusioni dell’IPCC, si sono subito affrettati a minimizzarle, indicando che la situazione non era disperata, poiché la presunta salvezza del pianeta stava, secondo il rapporto, nella messa in atto di una “economia verde” e nella generalizzazione di comportamenti individuali “eco-responsabili”. Tutte bugie che mirano a una sola cosa: mascherare le responsabilità del modo di produzione capitalista nella carneficina ambientale e l’incapacità della borghesia di affrontare la situazione, visto che “gli Stati e i servizi di emergenza, sotto il peso di decenni di tagli di bilancio, sono sempre più disorganizzati e fallimentari”[1].
Ma la catena di disastri delle ultime settimane è solo un piccolo assaggio di ciò che attende l’umanità negli anni e nei decenni a venire se non si ferma la spirale negativa in cui il capitalismo in decadenza sta facendo precipitare l’umanità. Tanto più che altri eventi, anch’essi aggravanti questo caos senza fine, si sono aggiunti.
Il caos afgano
La partenza disorganizzata dell’esercito americano dall’Afghanistan dopo 20 anni e il ritorno al potere dei talebani è un ulteriore segno dell’incapacità delle grandi potenze a garantire la stabilità mondiale, in particolare nelle zone in cui imperversano tensioni e rivalità tra Stati. Come possiamo già vedere, il ritorno di una fazione reazionaria e delirante come i talebani al potere in Afghanistan non fa che aggravare il disordine mondiale e l’instabilità a tutti i livelli. Di nuovo, i media hanno concentrato l’attenzione sul cosiddetto ritorno al potere dei sanguinari talebani. Tuttavia, la crudeltà e il terrore che questa cricca, con le sue idee medievali e oscurantiste, eserciterà sulla popolazione, rivaleggia ampiamente con i crimini di cui i paesi “democratici” e i loro alleati sono colpevoli da decenni, in Afghanistan e altrove.
La miseria si diffonde ulteriormente
Oltre a queste due grandi manifestazioni della putrefazione della società capitalista, c’è naturalmente l’aggravamento significativo della crisi economica, soprattutto da quando la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto importante in questo ambito: “gli effetti della decomposizione, l’accentuazione del ciascuno per sé e la perdita di controllo, che fino ad ora avevano colpito principalmente la sovrastruttura del sistema capitalista, ora tendono a colpire direttamente la base economica del sistema, la sua capacità di gestire gli shock economici nell’affondamento della sua crisi storica.”[2] Dietro i falsi annunci di una “fiorente ripresa economica”, milioni di persone vengono licenziate, sfrattate dalle loro case e restano incapaci di “sbarcare il lunario”. Le giovani generazioni della classe operaia sono sempre più vittime di una precarietà abissale, con molti di loro costretti a fare la fila per degli aiuti alimentari. La carestia è esplosa soprattutto in Africa, ma ora anche negli Stati Uniti, dove un numero record di americani soffre la fame...
Chi può offrire una prospettiva all’umanità?
La barbarie della guerra, il disastro ecologico, le epidemie e le molteplici calamità economiche e sociali non sono semplici fenomeni indipendenti l’uno dall’altro. Essi formano, con la loro accumulazione, la loro simultaneità, la loro compenetrazione e la loro ampiezza, un insieme significativo dello “sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione”.[3]
Mentre la borghesia continua a sfruttare tutte le atrocità e gli abomini di questo periodo, mirando a terrorizzare e paralizzare la classe operaia minando la sua fiducia in un futuro diverso, non si deve concludere che ormai non ci sono più speranze. Certamente, la classe operaia non ha finito di superare il profondo rinculo subito dalla sua coscienza per quasi tre decenni. Essa rimane infatti oggettivamente l’unica classe rivoluzionaria all’interno della società capitalista. In altre parole, l’unica forza sociale capace di guidare l’umanità su un cammino diverso da quello dell’inferno capitalista. Durante questi tre decenni, il proletariato ha mostrato ripetutamente la sua capacità di affrontare lo Stato borghese, rifiutando la degradazione delle sue condizioni di lavoro e di vita. Anche se queste lotte hanno avuto uno sviluppo limitato, sono comunque un’esperienza preziosa per il futuro. La rivoluzione proletaria non è una bella idea che cadrà dal cielo per opera dello Spirito Santo. Al contrario, è una lotta concreta, lunga e tortuosa attraverso la quale la classe operaia prende coscienza del suo potenziale rivoluzionario attraverso l’esperienza e le lezioni delle sue sconfitte.
In effetti, le lotte contro gli attacchi alle condizioni di lavoro costituiscono il terreno privilegiato attraverso il quale la classe operaia può organizzarsi con i suoi propri metodi e sviluppare così la sua solidarietà internazionale. Nel capitalismo morente, più che mai, il futuro appartiene alla classe operaia!
Vincent, 2 settembre 2021
[1] Vedi il nostro precedente articolo Inondazioni, siccità, incendi... Il capitalismo sta portando l’umanità verso un cataclisma planetario! [72] (luglio 2021).
[2] Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione [73], (luglio 2021).
[3] La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [3], Rivista Internazionale n°14.
In poche settimane, in tutto il pianeta, le catastrofi climatiche si sono susseguite a un ritmo spaventoso. Negli Stati Uniti, in Pakistan, in Spagna o in Canada, le temperature si aggiravano intorno ai 50°C, nel nord dell'India il caldo ha causato diverse migliaia di morti. 800.000 ettari di foreste siberiane, in una delle regioni più fredde del mondo, sono già andati in fumo. Nel Nord America l’ormai tradizionale stagione degli incendi delle foreste giganti è già iniziata: nella sola Columbia Britannica sono già bruciati più di 150.000 ettari! Nel sud del Madagascar una siccità senza precedenti ha fatto precipitare 1,5 milioni di persone nella carestia. Centinaia di migliaia di bambini muoiono perché non hanno né da mangiare né da bere, nella pressoché totale indifferenza! Il Kenya e molti altri paesi africani stanno vivendo la stessa drammatica situazione.
Ma, mentre una parte del mondo soffoca, piogge torrenziali hanno colpito Giappone, Cina ed Europa causando inondazioni senza precedenti e frane mortali. In Europa occidentale, in particolare in Germania e Belgio, le inondazioni, hanno causato la morte di più di 200 persone e migliaia di feriti. Migliaia di case, interi villaggi, paesi, strade sono stati spazzati via dall’acqua. Nell'ovest della Germania la rete stradale, le linee elettriche, le condutture del gas, le reti di telecomunicazioni e le ferrovie sono state devastate. Molti ponti ferroviari e stradali sono crollati. Mai prima d’ora questa regione era stata colpita da inondazioni di tale portata.
In Cina, nella città di Zhengzhou, capitale della provincia centrale dell’Henan e popolata da 10 milioni di abitanti, è caduto in tre giorni l'equivalente di un anno di precipitazioni! Strade trasformate in torrenti impetuosi, con scene allucinanti di devastazione e caos: strade crollate, asfalto frantumato, veicoli spazzati via... Migliaia di utenti della metropolitana si sono trovati bloccati nelle stazioni, nei convogli o nei tunnel, spesso con l'acqua fino al collo. Almeno 33 sono stati i morti e molti i feriti. 200.000 persone sono state evacuate. La fornitura di acqua, elettricità e cibo è stata improvvisamente interrotta. Nessuno era stato avvertito. I danni all’agricoltura ammontano a milioni. Nel sud dell’Henan, la diga del bacino idrico di Guojiaju ha ceduto e altre due rischiano di crollare da un momento all’altro.
Le spaventose conclusioni della relazione preliminare dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) “trapelate” sulla stampa bastano a farci gelare il sangue: “La vita sulla Terra può riprendersi dai grandi cambiamenti climatici evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi. L’umanità non può”. Per decenni, gli scienziati hanno messo in guardia sui pericoli del cambiamento climatico. Ci siamo arrivati! Non si tratta più solo di scomparsa di specie o di disastri localizzati; i cataclismi sono ormai permanenti... e il peggio deve ancora venire!
La negligenza della borghesia di fronte alle catastrofi
Da molti anni si sono moltiplicati ondate di calore, incendi, uragani e immagini di distruzione. Ma se le carenze e le incompetenze degli Stati più poveri nella gestione dei disastri purtroppo non sorprendono più nessuno, la crescente incapacità delle grandi potenze di farvi fronte è particolarmente significativa del livello di crisi in cui sta sprofondando il capitalismo. Non solo i fenomeni climatici sono sempre più devastanti, numerosi e incontrollabili, ma gli Stati e i soccorsi, sotto il peso di decenni di tagli di bilancio, sono sempre più disorganizzati e carenti.
La situazione in Germania è una chiara espressione di questa tendenza. Mentre il Sistema europeo di allarme alluvioni (Efas), istituito dopo le alluvioni del 2002, ha diramato in anticipo l’avviso delle piene del 14 e 15 luglio, come ha affermato l’idrologa Hannah Cloke, “gli avvertimenti non sono stati presi sul serio e i preparativi sono stati insufficienti”[1]. Lo Stato centrale si è infatti sbarazzato dei sistemi di allerta affidandoli agli Stati federali, o addirittura ai Comuni, senza procedure standardizzate né validi strumenti di intervento. Risultato: mentre le reti elettriche e telefoniche erano crollate, impedendo l’allerta e l’evacuazione della popolazione, la protezione civile ha potuto solo suonare le sirene ... dove ancora funzionavano! Prima della riunificazione, la Germania occidentale e quella orientale avevano circa 80.000 sirene; solo 15.000 sono ora funzionanti[2]. Per mancanza di mezzi di comunicazione e coordinamento, anche le operazioni delle forze di soccorso si sono svolte nel più grande disordine. In altre parole, i tagli e l'incompetenza burocratica hanno largamente contribuito a questo fiasco!
Ma la responsabilità della borghesia non si esaurisce con i fallimenti dei sistemi di sicurezza. In queste regioni urbanizzate e densamente popolate la permeabilità del suolo è notevolmente ridotta, aumentando il rischio di inondazioni. Per decenni, per concentrare meglio la forza lavoro per incrementare la redditività delle aziende, le autorità non hanno mai esitato ad autorizzare la costruzione di numerose abitazioni in aree soggette a inondazioni!
La borghesia impotente di fronte alle sfide del cambiamento climatico
Ovviamente una parte importante della borghesia ha dovuto ammettere il legame tra il riscaldamento globale e il moltiplicarsi dei disastri. Tra le macerie, la Cancelliera tedesca ha dichiarato solennemente: “Dobbiamo sbrigarci. Dobbiamo andare più veloci nella lotta ai cambiamenti climatici”[3]. Una vera ipocrisia! Dagli anni '70, quasi ogni anno si sono svolti vertici internazionali e altre conferenze con una serie di promesse, obiettivi, impegni. Ogni volta, gli “accordi storici” si sono rivelati un pio desiderio, poiché le emissioni di gas serra continuano ad aumentare anno dopo anno.
In passato la borghesia ha saputo mobilitarsi su temi specifici nell’ottica di salvaguardare la sua economia, come la drastica riduzione dei clorofluorocarburi responsabili del “buco” nello strato di ozono. Questi gas sono stati utilizzati in particolare nei condizionatori d’aria, nei frigoriferi e nelle bombolette spray. Uno sforzo certamente importante di fronte ai rischi ancora posti dalla degradazione dello strato di ozono, ma che non ha mai comportato un drastico sconvolgimento dell’apparato produttivo capitalistico. Le emissioni di anidride carbonica, CO2, e di altri gas ad effetto serra rappresentano un problema molto più grande in questo senso!
I gas serra vengono prodotti dai veicoli che trasportano lavoratori e merci, nei processi di produzione dell’energia necessaria per far funzionare le fabbriche, ma c’è da mettere in conto anche la dispersione in atmosfera di metano, un gas con una capacità di trattenere calore 23 volte superiore all’anidride carbonica, e la distruzione delle foreste indotta dall'agricoltura intensiva, che invece blocca il naturale sequestro di CO2 dall’atmosfera operato dalla vegetazione. In breve, le emissioni di gas serra toccano il cuore della produzione capitalistica: la concentrazione della manodopera in una sola grande metropoli, l’anarchia che domina la produzione, lo scambio di merci su scala planetaria, l’industria pesante… Ecco perché la borghesia non riesce a trovare soluzioni reali alla crisi climatica. La ricerca del profitto, la massiccia sovrapproduzione di beni, così come il saccheggio delle risorse naturali, non sono un’“opzione” per il capitalismo: sono la conditio sine qua non della sua esistenza. La borghesia può promuovere solo l’aumento della produzione in vista dell’espansione dell’accumulazione del suo capitale, altrimenti mette a repentaglio i propri interessi e profitti di fronte a un’esasperata concorrenza mondiale. Base vergognosa di questa logica è “dopo di me il diluvio”! Gli eventi meteorologici estremi non riguardano più solo le popolazioni dei paesi più poveri, ma perturbano direttamente il funzionamento dell’apparato produttivo industriale e agricolo nei paesi centrali. La borghesia è così presa nella morsa delle sue contraddizioni insolubili!
Nessuno Stato può rinnovare radicalmente il proprio apparato produttivo in senso “ecologico” senza subire un brusco arretramento di fronte alla concorrenza di altri paesi. La cancelliera Merkel può benissimo affermare che bisogna “andare più veloci”, resta il fatto che il governo tedesco non ha mai voluto sentire parlare di normative ambientali troppo rigide per tutelare settori strategici come quello siderurgico, chimico o automobilistico. La Merkel è riuscita anche a rimandare per anni l’abbandono (per quanto molto graduale) del carbone: l’estrazione a cielo aperto del carbone della Renania e della Germania dell’Est rimane una delle maggiori fonti di inquinamento in Europa. In altre parole, il prezzo della forte competitività dell’economia tedesca è la spudorata distruzione dell’ambiente! La stessa logica implacabile vale per i quattro angoli del pianeta: smettere di emettere CO2 nell’atmosfera o di distruggere foreste sarebbe per la Cina, “laboratorio del mondo”, come per tutti i paesi industrializzati, scavarsi la fossa.
La “green economy”, una mistificazione ideologica
Di fronte a questa evidente espressione dell’impasse del capitalismo, la borghesia strumentalizza le catastrofi per difendere meglio il suo sistema. In Germania, dove la campagna per le elezioni federali di settembre è in pieno svolgimento, i candidati competono con proposte per combattere il cambiamento climatico. Ma tutto questo è fumo negli occhi! La “green economy”, che dovrebbe creare milioni di posti di lavoro e promuovere la cosiddetta “crescita verde”, non rappresenta in nessun modo una soluzione per il capitale, né sul piano economico né su quello ecologico. Agli occhi della borghesia, la “green economy” ha soprattutto un valore ideologico, fingere che ci sia la possibilità di riformare il capitalismo. Se emergono nuovi settori green, come la produzione di pannelli fotovoltaici, biocarburanti o veicoli elettrici, questi non solo non potranno mai fungere da vera locomotiva per l’intera economia, visti i limiti dei mercati solvibili, ma in più e contrariamente a quanto vogliono farci credere, hanno un impatto catastrofico sull’ambiente: massiccia distruzione di foreste per estrarre terre rare, deplorevole riciclaggio di batterie, agricoltura intensiva di colza, ecc.
La “green economy” è anche un’arma scelta contro la classe operaia, giustificando chiusure di impianti e licenziamenti[4], come dimostrano le parole di Baerbock, il candidato ambientalista alle elezioni tedesche: “Non potremo eliminare gradualmente i combustibili fossili [e i lavoratori del settore] se non avendo il cento per cento di energie rinnovabili”([5]). Va detto che in tema di licenziamenti e sfruttamento della forza lavoro, i Verdi ne sanno molto, loro che, da sette anni, hanno contribuito attivamente alle ignobili riforme del governo Schröder!
L’impotenza della borghesia di fronte agli effetti sempre più devastanti sul piano umano, sociale ed economico del cambiamento climatico non è, tuttavia, una fatalità. Poiché è presa nella morsa delle contraddizioni del proprio sistema, la borghesia non può che condurre l’umanità al disastro. Ma la classe operaia, attraverso la sua lotta contro lo sfruttamento per il rovesciamento del capitalismo, è la risposta a questa evidente contraddizione tra, da un lato, l’obsolescenza dei metodi di produzione del capitalismo, la sua completa anarchia, la sovrapproduzione generalizzata, l’insensato saccheggio delle risorse naturali e, dall’altro, la pressante necessità di razionalizzare la produzione e la logistica per far fronte ai bisogni umani urgenti e non a quelli del mercato. Liberando l’umanità dal profitto e dallo sfruttamento capitalista, il proletariato avrà infatti la possibilità materiale di realizzare un programma radicale di protezione ambientale. Sebbene la strada da percorrere sia ancora lunga, il comunismo è necessario più che mai per la sopravvivenza dell’umanità.
EG, 23 luglio 2021
[1] “Germania: dopo le alluvioni, primi tentativi di spiegazione [77]”, Liberation.fr (17 luglio 2021). in francese
[2] “Perché le sirene non hanno suonato ovunque prima dell’alluvione? [78]”, N-TV.de (19 luglio 2021) in tedesco
[3] “Sconvolta dai danni “surreali”, Angela Merkel promette di ricostruire [78]”, LeMonde.fr (18 luglio 2021) in francese
[4] Vedi il caso dell’Italsider di Taranto in Italia.
[5] “La protezione del clima non cade dal cielo, bisogna anche farla [79]” Welt.de (22 luglio 2021) in tedesco.
Da diversi mesi i disastri climatici si stanno verificando a un ritmo frenetico in tutto il mondo: siccità, enormi incendi, piogge torrenziali, smottamenti, inondazioni... Mentre le vittime della crisi ambientale si contano a milioni ogni anno e anche gli Stati più potenti si dimostrano sempre più incapaci di affrontare i disastri, l'ultimo rapporto dell'IPCC (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) ha confermato che il cambiamento climatico raggiungerà proporzioni incontrollabili nel prossimo decennio.
Nella nostra stampa, abbiamo regolarmente sottolineato che le radici del riscaldamento globale si trovano nel funzionamento stesso del capitalismo. Non solo i disastri climatici sono sempre più devastanti, numerosi e incontrollabili, ma gli Stati, sotto il peso di decenni di tagli al bilancio, sono sempre più disorganizzati e non riescono a proteggere la popolazione, come abbiamo visto recentemente in Germania, Stati Uniti e Cina, per esempio. La borghesia non può più negare la portata della catastrofe, ma continua a dirci, soprattutto attraverso i suoi partiti ambientalisti, che i governi dovrebbero finalmente prendere misure forti per l'ambiente. Tutte le fazioni della borghesia hanno la loro piccola soluzione: green economy, decrescita, produzione locale, ecc. Tutte queste cosiddette soluzioni hanno un punto in comune: il capitalismo potrebbe essere "riformato". Ma la corsa al profitto, il saccheggio delle risorse naturali, la sovrapproduzione delirante di merci non sono "opzioni" per il capitalismo, sono le condizioni sine qua non della sua esistenza!
Di fronte alla catastrofe prevista, l'indignazione e la preoccupazione sono immense, come dimostrano le "marce per il clima" del 2019 che hanno riunito milioni di giovani di molti paesi. All'epoca, però, abbiamo fatto notare che queste marce si svolgevano su un terreno totalmente borghese: i "cittadini" erano, infatti, chiamati a fare "pressione" sullo Stato borghese, quella macchina mostruosa la cui ragion d'essere è difendere gli interessi capitalistici all'origine del deterioramento senza precedenti dell'ambiente. In realtà, il problema del clima può essere risolto solo su scala globale, e il capitalismo, dove le nazioni si scontrano senza pietà, è incapace di fornire una risposta che sia all'altezza della posta in gioco: le grandi conferenze sull'ambiente, dove ogni Stato cerca cinicamente di proteggere i propri sordidi interessi con la scusa di difendere l'ambiente, ne sono un esempio lampante. L'unica classe che può affermare un vero internazionalismo e porre fine all'anarchia della produzione è la classe operaia e la società contenuta nelle sua stessa essenza: il comunismo!
Dopo l'estate del 2021, che annuncia disastri futuri, i partiti ambientalisti e della sinistra del capitale (trotzkisti, stalinisti, anarchici, socialdemocratici, ecc.) cercheranno di riportare in primo piano le marce climatiche. Questo è un altro tentativo della borghesia di incanalare la rabbia negli stessi vicoli ciechi politici che abbiamo denunciato nel 2019: la diluizione della classe operaia nel "popolo", le illusioni sulla capacità dello stato "democratico" di "cambiare le cose". Per questo invitiamo i nostri lettori a leggere o rileggere il volantino internazionale che abbiamo distribuito durante le prime marce del 2019 e che conserva oggi tutta la sua validità.
Volantino internazionale della CCI
Dopo la Francia, anche l’Italia manifesta contro il green-pass. Queste manifestazioni sono il prodotto di oltre un anno di sofferenze e di privazioni patite dalla popolazione e cristallizzano assieme, attorno a rivendicazioni multiformi, la sfiducia nello Stato e per larghi versi nei confronti della scienza, con gli appelli alla difesa delle “libertà individuali”. Tutto questo in nome della difesa della “libertà di scelta”, vale a dire sul terreno del diritto borghese che costituisce un vero e proprio veleno per la classe operaia e la sua prospettiva rivoluzionaria, finendo così per essere una manna caduta dal cielo per i media.
È pienamente comprensibile che una parte della popolazione abbia paura per le conseguenze sanitarie dopo quasi due anni di bugie quotidiane delle autorità. È assolutamente vergognoso che il governo stesso rivendichi una visione razionale e scientifica quando in più occasioni ha ignorato le insistenze degli scienziati durante le prime ondate della pandemia, dando spazio mediatico a quelli con posizionamenti più opportunisti, giustificando l’ingiustificabile per l’uso di mascherine, delle protezioni sanitarie sul lavoro, nei trasporti, relativizzando la propria incuria e responsabilità in ipocriti confronti con situazioni più catastrofiche. Tutte queste bugie e le innumerevoli mezze verità e giustificazioni inadeguate del governo hanno ovviamente creato un clima di sospetto nella popolazione.
Ma al di là dei dubbi e dei pregiudizi, la pandemia è stata l'occasione per un proliferare di teorie nebulose e affermazioni deliranti, non solo sui social media, dove i complottisti sono più attivi, ma anche da parte dei media e degli stessi politici.
Il Covid-19 ha ucciso più di 4 milioni e mezzo di persone nel mondo, non certo i vaccini! E il virus continua a mutare, infettare e uccidere, in particolare in quelle parti del mondo senza una campagna vaccinale su vasta scala. Continua inoltre a infettare e indebolire una popolazione sempre più giovane e non vaccinata nei paesi centrali.
Oggi, le dinamiche del processo di decomposizione ideologica della società capitalista, il sentimento di impotenza di fronte alla crisi, il caos in atto, impattano sulla popolazione e non fanno che deteriorare ogni capacità di ragionamento logico, scientifico e politico in un magma di concezioni e visioni reazionarie a volte deliranti.
È in questo contesto di confusione e di smarrimento che si sono svolte le manifestazioni del 9 ottobre a Roma e a Milano, che ci danno dei segnali importanti da leggere adeguatamente. Intanto, in continuità con quanto già riportato sopra, è presente in questa popolazione di no-vax e no-green-pass un sentimento di abbandono da parte dello Stato. Le invettive contro il governo (“governo terrorista”, “Draghi vaffa…”) si accompagnavano a slogan che rivendicavano il proprio ruolo nella società (“noi siamo il popolo italiano”) e allo sventolare di molte bandiere tricolore. Certamente questo sentirsi esclusi che si è manifestato a Roma e a Milano è frutto del malcontento macerato per tutto il periodo di pandemia e che ha finito per produrre la più bassa percentuale di votanti alle ultime elezioni amministrative, con una percentuale a livello nazionale che ha raggiunto il record negativo del 54,69% di votanti e con 5 capoluoghi di regione su 6 in cui si è votato per le comunali con una percentuale al di sotto del 50%, cioè neanche 1 su 2[1]. È in questo stato d’animo, in una situazione in cui la gente non vede prospettive, non vede un chiaro futuro davanti a sé, che prendono corpo e si autoalimentano le fantasie complottiste le più inverosimili. Non c’è da meravigliarsi dunque se queste masse ondeggianti di popolazione possano essere facile preda di mascalzoni trascina-popolo, di destra o di sinistra. La manifestazione di Roma ne è stato un esempio. Lo stato maggiore di Forza nuova, formazione neo-fascista romana da tempo sotto il mirino della stampa e che continua imperterrita la sua propaganda, è stato praticamente alla testa del corteo di Roma e ne ha guidato una parte all’assalto alla sede nazionale della CGIL, il maggiore sindacato italiano, devastandolo da cima a fondo. I commenti di Landini, segretario generale della CGIL, fatti il giorno dopo durante la trasmissione “1/2 ora in più” secondo cui era il mondo del lavoro sotto attacco sono solo una fuga dalla realtà. Le grida “venduti, venduti”, “giù le mani dal lavoro”, “sciopero, sciopero” e le invettive come “sono quelli che hanno firmato l’accordo sui green-pass” che si sono sentite sotto la sede della CGIL, indicano inequivocabilmente che il sindacato è stato riconosciuto non come espressione del mondo del lavoro, ma giustamente come parte del potere.
Un’ultima considerazione va fatta a proposito dei commenti che sono seguiti a questo attacco, che è stato paragonato a quello del partito fascista alle Camere del lavoro, Case del popolo, cooperative e leghe negli anni 1921-22. Chiaramente l’accostamento ha due funzioni precise:
- far credere che ci sia un reale pericolo di ritorno di un regime fascista e dunque polarizzare l’attenzione della popolazione su questo, e in particolare dei proletari, distraendoli dai problemi che sono alla base, anche se inespressi, dei vari malcontenti.
- chiamare i proletari alla difesa dello Stato che sta lavorando per sconfiggere la pandemia e far riprendere l’economia nazionale, e delle sue istituzioni. In questo caso la CGIL viene presentata come una conquista dei lavoratori, loro rappresentanti e difensori dei loro diritti!
Tutto questo è possibile perché manca purtroppo al momento la voce e la presenza della classe operaia sulla scena sociale.
Il rischio in questa situazione è che si creino, all’interno della popolazione, settori schierati l’uno contro l’altro su questioni del tutto futili come quella del vaccino o del green-pass. Infatti, con la sua propaganda, la borghesia cerca di far passare più o meno apertamente tutti gli individui che dubitano o hanno paura dei vaccini per dei complottisti “no-vax” totalmente deliranti, nonché quelli che si oppongono ai vaccini come i responsabili delle nuove ondate di contagi, sdoganando il capitalismo, lo Stato, della loro irresponsabilità che ha portato alla drammatica situazione di oggi. Dall’altro lato i no-vax tendono a vedere quelli che si vaccinano come le “pecore” servili che subiscono le leggi “liberticide” della vaccinazione forzata. Queste divisioni fanno parte di una logica di scontro disastrosa in cui le vere questioni in gioco per porre fine al caos capitalista scompaiono sotto un guazzabuglio di confusione e impotenza.
Perciò queste manifestazioni di malcontento non possono portare nessun vantaggio di alcun tipo ai lavoratori né tantomeno produrre una presa di coscienza del proletariato, alla comprensione del declino crescente e dell'impasse irrimediabile di questo sistema capitalista, nella misura in cui questa opposizione, questo rifiuto si cristallizza in modo epidermico, senza valutazione né riflessione, in una rabbia impotente contro un governo e uno Stato che sono visti e percepiti come i cattivi gestori, incompetenti e inefficienti, di questo sistema, anziché come organismi di un sistema economico e sociale che ne è il primo responsabile.
Il terreno di classe non è quello della difesa dello Stato, della difesa dell'economia nazionale e del tricolore. Né quello della difesa della democrazia e della “Libertà”. La sola libertà che i lavoratori hanno nel capitalismo “democratico” o dittatoriale che sia, è quello di vendere la propria forza lavoro alle condizioni imposte dal mercato, e quando questa merce non serve più, viene gettata via e lasciata a marcire.
La sua autonomia di classe per l’affermazione della sua lotta, l’organizzazione delle sue lotte, dovrà difenderla contro tutte le forze attive dello Stato, al potere o meno, indipendentemente dai movimenti interclassisti o dai falsi amici, generalmente di sinistra, che cercheranno di deviare la sua rabbia. Il proletariato ha bisogno di lucidità e fiducia nelle proprie forze per sventare tutte queste trappole e questo è un bisogno già nell’immediato.
Ezechiele, 15 ottobre 2021
1. Le difficoltà della borghesia italiana di fronte alla pandemia e alla decomposizione
La pandemia da Covid-19, nonostante tutte le notizie rassicuranti dei media secondo cui ne saremmo praticamente fuori, continua a mietere morti in Italia e nel mondo, costituendo una delle più grandi sciagure dei tempi moderni per il genere umano, con quasi 5 milioni di morti di solo Covid - a parte tutti gli altri per le mancate cure di altre patologie dovute alla situazione di emergenza Coronavirus – e un aggravamento della crisi economica senza precedenti. Se si tiene conto del fatto che già la crisi cosiddetta finanziaria del 2008 aveva fatto arretrare la produzione mondiale e dell’Italia in particolare di diversi punti, tanto che il nostro paese all’inizio del 2020 non aveva ancora recuperato la situazione di pre-2008, si capirà come questa seconda botta sia stata il colpo fatale su un sistema che fa acqua da tutte le parti. Peraltro la borghesia italiana si è trovata ad affrontare la crisi pandemica e tutte le sue conseguenze con un governo piuttosto debole, il Conte bis, governo che era stato recuperato dopo la rottura tra i vecchi alleati M5S e Lega mettendo assieme forze che in passato avevano giurato di non voler stare assieme, M5S e PD. Non c’è dunque da meravigliarsi se il governo Conte bis, che ha dovuto gestire la fase più calda e difficile della crisi sanitaria, economica e sociale determinata dal Covid 19, di fatto dalla sua formazione fino al febbraio del 2021, abbia subito tutte le fibrillazioni di un quadro politico privo di unità, ma soprattutto incapace di avere un minimo di coerenza. Così, mentre il presidente della Repubblica, Mattarella, nel discorso di fine anno parlava di responsabilità, Renzi, ritirando i suoi ministri dal governo e creando la crisi di governo di inizio 2021 dopo un lungo periodo di erosione, ha mostrato la piena irresponsabilità dei politici che pretendono di governarci. Il quadro che si è così creato è stato uno dei più pericolosi per la borghesia italiana, ovvero una legislatura interrotta senza speranze di riconciliazione possibile ad opera della “politica”, con un quadro sanitario, economico e sociale completamente fuori controllo e senza nessuna via di uscita percepibile. Che fare?
2. Il governo Draghi e il ruolo dei settori “responsabili” della borghesia
Una soluzione dal punto di vista tecnico naturalmente ci stava, soluzione che le destre hanno invocato già alla caduta del primo governo Conte, cioè ricorrere a nuove elezioni. Ma chiamare la popolazione a votare per rinnovare il parlamento in una situazione di grande crisi, con una forte difficoltà da parte della borghesia ad orientare il voto e con il rischio per questa che i risultati potessero portare al potere delle forze ancora più irresponsabili[1] - dal punto di vista della gestione degli interessi borghesi, beninteso - ha creato un grande imbarazzo e ha richiesto un grande sforzo per mettere le cose a posto. Come è andata a finire lo sappiamo, ma è importante capirne fino in fondo il significato. La scelta di Mattarella non è stata casuale, né il governo da lui auspicato voleva essere un governo tecnico di ripiego. Al contrario, di fronte all’incapacità del mondo della politica di dare un governo all’azienda Italia, il capo dello Stato ha preso lui la decisione di proporre un nome a cui nessuno, o quasi, poteva dire di no, quello di Mario Draghi, il super-Mario della politica economica internazionale, una figura importante al di sopra delle parti, un elemento delle istituzioni italiane ed europee.
Il 13 febbraio 2021 si è così insediato il nuovo governo presieduto da Mario Draghi, ex presidente della BCE. E tutti sono rimasti zitti, nessuno ha fiatato, eccetto Fratelli d'Italia della Meloni, fiero di portare la bandiera dell'opposizione. Unico requisito richiesto ai partiti della maggioranza bulgara è stato appoggiare il governo, composto da un nucleo di ministri tecnici nei ministeri più importanti e lasciando gli altri ai vari partiti. Questa capacità della Presidenza della Repubblica nel gestire la vita politica della Nazione nei momenti decisivi non è una prerogativa di Mattarella, è una caratteristica della componente della borghesia italiana che ha radici storiche e che, nei momenti di maggiore difficoltà, ha saputo dare le risposte adeguate anche sacrificando parte degli interessi personali o di partito[2]. Come abbiamo detto più volte quella che la società attraversa in questo periodo, a livello mondiale, è non solo una fase di forte declino, di crisi permanente e completa decadenza economica, sociale e politica, ma in più questa decadenza si è talmente incancrenita da portare a un vero e proprio disfacimento della società, quello che noi definiamo fase di decomposizione, i cui effetti si fanno risentire sia sulla borghesia che sul proletariato. Per quanto riguarda la borghesia, uno dei segni più significativi è proprio la perdita di controllo sulla situazione politica del proprio paese e internazionale, l’irrazionalità nelle scelte politiche, la perdita di coerenza delle formazioni politiche. Il populismo, che caratterizza particolarmente i partiti di destra, è un’espressione di questa perdita di coerenza e personaggi come Trump negli USA, Johnson in Gran Bretagna o di Salvini in Italia ne sono importanti rappresentanti. È contro questa dinamica incoerente, distruttiva per gli stessi piani della borghesia, che si manifestano spesso in maniera discreta settori della borghesia più responsabili e consapevoli della necessità di sacrificare degli interessi particolari a favore degli interessi della propria classe. In particolare in Italia questi settori sono tradizionalmente ancorati a istituzioni come la presidenza della repubblica o a partiti moderati di sinistra e di centro.
3. Ma i problemi di fondo restano
Naturalmente il fatto che Mattarella sia riuscito a trovare la soluzione rispetto ad una specifica situazione non significa aver sanato il problema una volta per tutte. L’attuale relativa stabilità che la borghesia ha trovato con il governo Draghi è effimera perché, se nell’immediato funziona, nasconde una serie di problemi a livello sanitario, di instabilità politica, a livello di crisi economica e naturalmente a livello sociale. Il governo Draghi non è eterno e l’effetto narcotico sulle intemperanze dei partiti ha dei tempi limitati; già adesso si avvertono rumori di guerra con Salvini che copre sempre più un ruolo di governo e di opposizione in una logica di eterna campagna elettorale, rincorrendo l’alleata-concorrente Meloni che, come dimostrano le ultime elezioni amministrative, drena sempre più voti dalla Lega. Questa turbolenza politica dei partiti della borghesia non tarderà a manifestarsi in un prossimo futuro in forme più radicali, mettendo sempre più in discussione gli interessi del paese, anche quelli strettamente borghesi, con conseguenze disastrose per tutta la popolazione e la classe proletaria in particolare.
3.1 La pandemia è sempre sulla scena
D’altra parte la pandemia non è ancora finita, con i quasi 8000 morti al giorno a livello mondiale, di cui 2000 nella sola Europa, e non abbiamo nessuna garanzia che non riprenda un’ennesima volta a mietere decine di migliaia di morti al giorno, come ha fatto in varie fasi da oltre un anno e mezzo a questa parte. Infatti, nonostante tutti i discorsi di vittoria che si fanno sulle percentuali di dosi di vaccino somministrate in Italia, il problema è che solo un terzo della popolazione mondiale risulta vaccinata, con la conseguenza che la pandemia resta attiva nella maggior parte del pianeta e potrà tornare nei paesi, come l’Italia, dove si presumeva di aver raggiunto l’immunità di gregge, ma che dopo qualche tempo perderanno questa immunità per scadenza dell’efficacia del vaccino. È per questo che già si parla di terza dose … e poi di una quarta dose?... Rispetto a questa realtà, i mass-media del potere non solo trasmettono di continuo false rassicurazioni accompagnate da dati riferiti al giorno precedente e alla sola Italia, che non danno un’idea della dinamica di sviluppo globale della pandemia, ma soprattutto tacciono sul fatto che lo scoppio della pandemia è dovuto da una parte al degrado in cui versa la sanità nazionale e internazionale e dall’altra allo sfruttamento senza limiti della natura che viene letteralmente brutalizzata dal capitalismo decadente di questo periodo[3]. I 130 mila morti in Italia a causa della pandemia non sono dunque morti per caso, ma sono una diretta responsabilità di questo sistema fatiscente. Ma la pandemia non ha prodotto solo morte e danni permanenti a chi è sopravvissuto. L’isolamento sociale - e l’uomo è un animale sociale - è qualcosa che produce danni al cervello, ai rapporti umani, alla capacità di reagire, rafforzando la tendenza al ripiegamento su sé stessi, alla ricerca di un minimo di sicurezza per sé e chi gli sta intorno in un mondo che va a rotoli. A tutto questo bisogna aggiungere, prima di ogni cosa, la situazione disperata di chi faceva lavori marginali, artigianali o in nero, di chi non aveva una famiglia intorno e non è entrato nel circuito di assistenza sociale. Secondo l'osservatorio suicidi, dal primo gennaio di quest'anno se ne contano 413, mentre i tentati suicidi sono 348. “Al di là dei singoli casi, infatti, gli studi scientifici dimostrano che ogni qual volta siamo vittime di epidemie, crisi economiche, emergenze internazionali e cataclismi, assistiamo anche ad un incremento dei disturbi di natura mentale che possono portare, nei casi più estremi, a idee di auto-soppressione”[4].
3.2 La crisi non è scomparsa
Il lavoro di mistificazione svolto a proposito della pandemia continua sul piano dell’economia, dove le notizie trasmesse non smettono di parlare di incrementi vertiginosi della produzione e dei posti di lavoro rispetto ai mesi precedenti e all’anno precedente. La questione è che il miglioramento di cui si vantano è solo un’attenuazione del peggioramento che si è prodotto l’anno precedente. Infatti:
“La Banca mondiale stima che la pandemia da Covid-19 ha dato vita ad una delle peggiori recessioni economiche dal 1870, portando con sé un drammatico aumento dei livelli di povertà. (…) La perdita cumulata per l’economia mondiale, rispetto alle previsioni di crescita se non ci fosse stata la pandemia, ammonta a 11mila miliardi di dollari nel biennio 2020-21 e raggiungerà la somma di 28mila miliardi nel periodo 2020-25. (…) Secondo il Fondo Monetario Internazionale, quasi 90 milioni di persone potrebbero scendere sotto la soglia di deprivazione estrema quest’anno, cancellando tutti i progressi fatti negli anni precedenti per ridurre le disuguaglianze e la povertà.”[5].
In Italia “la crisi del coronavirus è costata 1,2 milioni di posti di lavoro persi nell’anno più duro delle restrizioni sanitarie e del lockdown. Basandosi sui dati al 30 giugno 2021 sappiamo che di quei posti se ne sono riguadagnati rispetto a 12 mesi prima ben 523 mila e ne mancano all’appello ancora 678 mila (di cui 336 mila al Nord). (…) Hanno perso il lavoro soprattutto i precari del terziario low cost (…), i giovani con contratto a termine, le donne e gli stranieri. Se torniamo ai 678 mila posti ancora da recuperare 570 mila infatti erano di donne e giovani (rispettivamente 370 e 200 mila)”.[6]
D’altra parte, a partire dalla revoca del blocco dei licenziamenti intervenuta il 1 luglio scorso, stiamo assistendo ad una falcidia di posti di lavoro. Le fabbriche chiuse e in lotta per rivendicare di che sopravvivere non si contano: citiamo solo i 150 licenziamenti alla Henkel di Lomazzo, i 350 alla Whirlpool di Napoli, i 422 alla GKN di Campi Bisenzio, il fallimento di Alitalia con 11000 esuberi, di cui Ita, la nuova compagnia, ne assume solo 2200 dimezzando gli stipendi. Almaviva di Palermo, call center di Alitalia, rischia di mandare a casa 570 lavoratori. A maggio Unioncamere e Svimez parlavano del rischio di chiusura di 73200 aziende, soprattutto nel mezzogiorno.
È chiaro che il peggio viene solo ora. Finiti i ristori di vario ordine e grado, è venuto il momento della verità. Lo Stato italiano, come quelli di tutto il mondo, non può continuare a sostenere finanziariamente la nazione come ha fatto finora, pena una procedura di fallimento, (default). Così adesso viene il momento di far ripartire la nazione applicando uno sfruttamento ancora più intenso sulla classe operaia, e se per qualche azienda è più conveniente sfruttare proletari “più docili” in altra parte del mondo, non c’è problema perché si può di nuovo licenziare tranquillamente. In questo i sindacati continuano a svolgere il loro sporco gioco, tenendo soffocata la lotta all’interno della fabbrica o comunque del settore. Ad esempio i lavoratori della Whirlpool sono stati portati a bloccare l'autostrada, poi ad occupare la fabbrica, infine a manifestare a Roma, ma senza mai cercare di allargare la lotta ad altre fabbriche. La CGIL si è spinta a invitare a formare delegazioni per andare a parlare in altre officine, ma solo della stessa azienda, il che, gestito dal sindacato, può significare chiedere di ripartire assieme l’onere dei licenziamenti con i famigerati contratti di solidarietà o cose simili.
3.3 Si accentua la tendenza alla perdita di controllo, da parte della borghesia delle dinamiche sociali
La forte astensione alle recenti elezioni amministrative (meno del 50% in diverse gradi città come Napoli, Torino e Milano) è in generale un segno importante della crescente perdita di fiducia e del malcontento crescente nella popolazione verso lo Stato e i suoi partiti.
Questo abbassamento della partecipazione al voto è anche una conseguenza del fatto che i due partiti populisti (Lega e M5S), che avevano attirato una certa attenzione dei disillusi dai partiti storici della borghesia, tutti e due stanno al governo e uno dei due, il M5S, ha perso, almeno nell’immediato, buona parte dei tratti del suo carattere populista, mentre l’altro, la Lega, è costretto necessariamente a contenerli. Questo scollegamento tra il malcontento rabbioso di certi strati di popolazione e i partiti che si erano posti come riferimento di questo ribellismo ha in un certo senso liberato ancora di più il malcontento della “folla indistinta” e tende a esprimersi in manifestazioni populiste come appunto quella del 9 ottobre a Roma con l’assalto alla sede nazionale della CGIL (vedi l’articolo “Manifestazioni contro il green pass e assalto alla CGIL a Roma” in questo stesso numero). E se le forze populiste sono un problema per la stessa borghesia[7], gestire una situazione sociale di questo tipo lo è altrettanto.
Inoltre, l’introduzione del green pass obbligatorio sui posti di lavoro, pena la sospensione dal lavoro e dal pagamento dello stipendio, rischia di aggravare la situazione e questo direttamente nel mondo del lavoro. I portuali di Trieste (dove sembra che la percentuale dei non vaccinati sia del 40%) hanno indetto uno sciopero No-Green Pass e la stessa protesta si prospetta per i porti di Genova e Gioia Tauro, nonostante il Viminale abbia chiesto alle imprese portuali di mettere a disposizione tamponi gratuiti derogando alla normativa nazionale proprio per scongiurare il blocco dei porti. Una situazione difficile si profila anche per il trasporto delle merci su ruota. Secondo le associazioni di categoria si rischia un blocco dei rifornimenti perché il 30% degli autotrasportatori non è munito di green pass e ben l'80% degli autisti stranieri che portano le materie prime in Italia non è vaccinato oppure ha avuto un vaccino non riconosciuto in Italia. Intanto sulle piattaforme social c’è tutto un proliferare di appelli a rifiutarsi di andare al lavoro.
Questo quadro di difficoltà crescente per la borghesia italiana a gestire gli effetti devastanti della pandemia che accrescono ed accelerano tutti gli aspetti di degrado del sistema capitalistico, non può che ripercuotersi pesantemente sul proletariato. La crisi economica non ha alcuna soluzione reale e porterà a sofferenze e privazioni enormi per la classe operaia. Sul piano politico tutto questo marasma sociale rende ancora più difficile per la classe restare ben salda sul proprio terreno di lotta, ma la situazione contiene oggettivamente tutti gli elementi per una presa di coscienza della crisi profonda del sistema e per una risposta di classe adeguata.
Rivoluzione Internazionale, 15 ottobre 2021
[1] Nuove elezioni avrebbero potuto dare il governo in mano alla Lega e a Fratelli d'Italia che, con il loro populismo, non avrebbero garantito una stabilità governativa, danneggiando pure i rapporti con l'Europa.
[2] Lo abbiamo visto già con lo stesso Mattarella quando col primo governo Conte si è rifiutato di accettare un ministro dell’economia, il prof. Savona, che aveva professato una fede anti-europeista, e prima ancora con Giorgio Napolitano che, alla fine della sua legislatura (semestre bianco) quando al presidente non è più concesso di sciogliere le camere e con un parlamento politicamente bloccato, si è dimesso in anticipo per poi farsi rieleggere ed agire con pieni poteri il tempo necessario per sistemare le cose, per poi dimissionare di nuovo in via definitiva.
[3] Vedi a tale proposito “Pandemia, assalto al Campidoglio a Washington: due espressioni dell’intensificazione della decomposizione capitalista” [82].
[5] https://www.fatebenefratelli.it/blog/crisi-economica-coronavirus-effetti-lavoratori-imprenditori-italiani [84].
In occasione del 20° “anniversario” degli attentati dell’11 settembre a New York, vogliamo ricordare ai nostri lettori il nostro articolo principale sul tema, A New York e dovunque nel mondo il capitalismo semina la morte, pubblicato su Rivoluzione Internazionale n. 122[1]. L’articolo denuncia il massacro di migliaia di civili, soprattutto proletari, come un atto di guerra imperialista, ma allo stesso tempo denuncia le lacrime ipocrite versate dalla classe dominante. Come viene riportato nell’articolo, “l’attacco di New York non era un 'attacco contro la civiltà', ma era l’espressione della 'civiltà' borghese”. I terroristi che hanno distrutto le Torri Gemelle sono dei piccoli assassini insignificanti se paragonati al gigantesco numero di morti che tutti gli Stati legalmente riconosciuti hanno inflitto al pianeta negli ultimi cento anni, in due guerre mondiali e innumerevoli conflitti locali e regionali dal 1945.
In questo senso, l’11 settembre è stato la continuazione dei bombardamenti di Guernica, Coventry, Dresda, Hiroshima e Nagasaki negli anni ‘30 e ‘40, del Vietnam e della Cambogia negli anni ‘60 e ‘70. Ma è stato anche un chiaro segno che il capitalismo decadente era entrato in una nuova fase terminale, quella del vero “disfacimento interno” prevista dall’Internazionale Comunista nel 1919. L’apertura di questa nuova fase fu segnata dal crollo del blocco imperialista russo nel 1989 e dalla conseguente frammentazione del blocco statunitense, e vide l’inevitabile tendenza del capitalismo alla guerra assumere forme nuove e caotiche. Il fatto che l’attacco sia stato condotto da Al Qaida, una fazione islamista che era stata ampiamente sostenuta dagli Stati Uniti nei suoi sforzi per porre fine all’occupazione russa dell’Afghanistan, ma che si è girata per mordere la mano che l’ha nutrita, è una specifica espressione di questo periodo (anche se il coinvolgimento di Al Qaida non era certo al momento in cui l’articolo è stato scritto). Il “nuovo ordine mondiale” proclamato da George Bush padre dopo la caduta dell’URSS si è presto rivelato un mondo sempre più disordinato, dove gli ex alleati e subordinati degli USA, dagli Stati sviluppati d’Europa alle potenze di secondo e terzo ordine come l’Iran e la Turchia, fino ai piccoli signori della guerra come Bin Laden, erano sempre più determinati a perseguire i propri obiettivi imperialisti.
L’articolo mostra quindi come gli Stati Uniti siano stati in grado di usare gli attentati non solo per fomentare il nazionalismo in patria (accompagnato, come divenne presto chiaro, da un brutale rafforzamento della sorveglianza e della repressione statale, incarnato dal Patriot Act approvato il 26 ottobre 2001[2]), ma anche per lanciare il suo attacco all’Afghanistan, i cui primi passi erano già evidenti al momento in cui scrivevamo l’articolo (3 ottobre 2001). Naturalmente, l’Afghanistan occupa da tempo un posto strategico sullo scacchiere imperialista mondiale, e gli Stati Uniti avevano ragioni specifiche per voler rovesciare il regime talebano, che aveva stretti legami con al-Qaeda. Ma l’obiettivo globale dell’invasione degli Stati Uniti (seguita due anni dopo dall’invasione dell’Iraq e dal rovesciamento di Saddam Hussein) era quello di andare verso ciò che i “neo-conservatori” dell’amministrazione Bush Junior chiamavano “Dominio a tutto campo”. In altre parole, si trattava di assicurare che gli Stati Uniti rimanessero l’unica “superpotenza” ponendo fine al crescente caos nelle relazioni imperialiste e impedendo l’emergere di qualunque serio concorrente a livello mondiale. La “guerra al terrorismo” doveva essere il pretesto ideologico di questa offensiva.
20 anni dopo, possiamo constatare che il piano non ha funzionato molto bene. Le ultime truppe americane hanno dovuto lasciare l’Afghanistan e stanno per lasciare l’Iraq. I talebani sono tornati al potere. Lungi dall’arginare la marea del caos imperialista, le invasioni statunitensi ne sono diventate un fattore di accelerazione. In Afghanistan, la vittoria precoce contro i talebani non ha portato a nulla, poiché gli islamisti si sono riorganizzati e, con l’aiuto di altri Stati imperialisti, hanno fatto sì che l’Afghanistan rimanga in uno stato permanente di guerra civile, caratterizzato da atrocità sanguinose da entrambe le parti. In Iraq, lo smantellamento del regime di Saddam ha portato sia all’ascesa dello Stato Islamico che al rafforzamento delle ambizioni iraniane nella regione, alimentando le guerre apparentemente senza fine in Siria e Yemen. L’avanzata della decomposizione a livello planetario è stata il terreno fertile per il ritorno dell’imperialismo russo, e soprattutto per l’ascesa della Cina come principale rivale imperialista degli USA. Le varie strategie per “rendere l’America di nuovo grande”, (« Make America great again »), dai “neo-conservatori” di Bush ai populisti di Trump, non sono state in grado di invertire l’inesorabile declino del potere americano, e Biden, pur sostenendo che “l’America è tornata”, ha dovuto assistere alla più grande umiliazione dell’America dall'11 settembre.
Analizzando come gli Stati Uniti hanno cercato di “trarre profitto dal crimine” dell’11 settembre, l’articolo mostra le somiglianze tra l’11 settembre e il bombardamento giapponese di Pearl Harbour, che fu usato anch’esso dallo Stato americano per mobilitare la popolazione, comprese le sezioni riluttanti della classe dirigente, a favore dell’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale. Esso cita prove ben documentate secondo cui lo Stato americano “permise” all’esercito giapponese di lanciare l’attacco, e ipotizza provvisoriamente che lo Stato americano, a qualche livello, abbia avuto la stessa politica di “lasciar fare” nel periodo precedente l’azione di Al Qaeda, anche se potrebbe non essere stato pienamente consapevole della portata della distruzione che avrebbe comportato. Questo confronto è sviluppato nell’articolo pubblicato in Rivoluzione Internazionale n°124: “Pearl Harbour, le Torri Gemelle e il machiavellismo della borghesia”[3]. Torneremo su questo tema in un altro articolo, dove discuteremo la differenza tra il riconoscimento marxista della borghesia come la classe più machiavellica della storia (naturalmente respinto dalla borghesia stessa come una forma di “teoria del complotto”) e l’attuale pletora di “teorie del complotto” populiste che spesso prendono come articolo di fede l’idea che l’11 settembre sia stato un “lavoro dall’interno” organizzato dagli stessi americani.
WR, sezione della CCI nel Regno Unito (11 settembre 2021)
[1] Si tratta di un articolo della Rivista Internazionale n°107 che si può pertanto leggere anche in lingua inglese In New York and the world over: capitalism sows death [89], francese, A New York comme ailleurs: le capitalisme sème la mort [90], e spagnola, En Nueva York como por todas partes el capitalismo siembra la muerte [91].
[3] Anche questo un articolo della Rivista Internazionale n°108 leggibile nelle tre lingue inglese, Pearl Harbor 1941, Twin Towers 2001: Machiavellianism of the US bourgeoisie [93], francese, Pearl Harbor 1941, Twin Towers 2001 : Le machiavélisme de la bourgeoisie [94], e spagnola, Pearl Harbor 1941, 'Torres Gemelas' 2001: El maquiavelismo de la burguesía [95].
La frettolosa ritirata delle forze statunitensi e di altre forze occidentali dall'Afghanistan è una chiara manifestazione dell'incapacità del capitalismo di offrire qualcosa di diverso dalla crescente barbarie. L'estate del 2021 ha già visto un'accelerazione di eventi interconnessi che dimostrano che il pianeta è già in fiamme: lo scoppio di ondate di calore e di incendi incontrollabili dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla Siberia, inondazioni, le continue devastazioni della pandemia Covid-19 e la tempesta economica che ha causato. Tutto questo è "una rivelazione del livello di putrefazione raggiunto negli ultimi 30 anni"[1]. Come marxisti, il nostro ruolo non è solo quello di commentare questo caos crescente, ma di analizzare le sue radici, che si trovano nella crisi storica del capitalismo, e di mostrare le prospettive per la classe operaia e l'intera umanità.
I talebani sono presentati come i nemici della civiltà, un pericolo per i diritti umani e i diritti delle donne in particolare. Sono certamente brutali e sono guidati da una visione che si rifà ai peggiori aspetti del Medioevo. Tuttavia, non sono una rara eccezione nei tempi che stiamo vivendo. Sono il prodotto di un sistema sociale reazionario: il capitalismo decadente. In particolare la loro ascesa è una manifestazione della decomposizione, lo stadio finale della decadenza del capitalismo.
La seconda metà degli anni '70 vide un'escalation della guerra fredda tra il blocco imperialista statunitense e quello russo, con gli Stati Uniti che piazzavano missili da crociera in Europa occidentale e costringevano l'URSS a impegnarsi in una corsa agli armamenti che poteva permettersi sempre meno. Tuttavia, nel 1979 uno dei pilastri del blocco occidentale in Medio Oriente, l'Iran, crollò nel caos. Tutti i tentativi delle frazioni intelligenti della borghesia di imporre l'ordine fallirono e gli elementi più arretrati del clero approfittarono di questo caos per andare al potere. Il nuovo regime ruppe con il blocco occidentale ma rifiutò anche di unirsi al blocco russo. L'Iran ha una frontiera estesa con la Russia e aveva quindi agito come un attore chiave nella strategia occidentale di accerchiamento dell'URSS. Ora era diventato una mina vagante nella regione. Questo nuovo disordine incoraggiò l'URSS a invadere l'Afghanistan quando l'Occidente cercò di rovesciare il regime filorusso che l’URSS era riuscito a installare a Kabul nel 1978. Invadendo l'Afghanistan, la Russia sperava che in una fase successiva sarebbe stata in grado di ottenere anche l'accesso all'Oceano Indiano.
L’ Afghanistan divenne il teatro di una terribile esplosione di barbarie militare. L’URSS scatenò tutta la potenza del suo arsenale sui Mujahidin ("combattenti per la libertà") e sulla popolazione in generale. Dall'altra parte il blocco degli Stati Uniti armò, finanziò e addestrò i Mujahidin e i signori della guerra afgani che si opponevano ai russi. Questi includevano molti fondamentalisti islamici e anche un crescente afflusso di jihadisti da tutto il mondo. A questi "combattenti per la libertà" furono insegnate tutte le arti del terrore e della guerra dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Questa guerra per la "libertà" uccise tra 500.000 e 2 milioni di persone e lasciò il paese devastato. Fu anche il luogo di nascita di una forma più globale di terrorismo islamico, caratterizzata dall'ascesa di Bin Laden e Al-Qaeda.
Allo stesso tempo gli Stati Uniti spinsero l'Iraq in una guerra di otto anni contro l'Iran, in cui furono massacrati circa 1,4 milioni di persone. Mentre la Russia si esauriva in Afghanistan, cosa che contribuì fortemente al crollo del blocco russo nel 1989, e l'Iran e l'Iraq venivano trascinati nella spirale della guerra, la dinamica nella regione mostrava che il punto di partenza, la trasformazione dell'Iran in uno stato "canaglia", fu una delle prime indicazioni del fatto che le profonde contraddizioni del capitalismo cominciavano a minare la capacità delle grandi potenze di imporre la loro autorità in diverse regioni del pianeta. Dietro questa tendenza c'era qualcosa di più profondo: l'incapacità della classe dominante di imporre la sua soluzione alla crisi del sistema - un'altra guerra mondiale - a una classe operaia mondiale che aveva mostrato la sua riluttanza a sacrificarsi in nome del capitalismo in una serie di lotte tra il 1968 e la fine degli anni '80, senza tuttavia essere in grado di proporre un'alternativa rivoluzionaria al sistema. In breve, un'impasse tra le due grandi classi ha determinato l'entrata del capitalismo nella sua fase finale, la fase della decomposizione, caratterizzata, a livello imperialista, dalla fine del sistema dei due blocchi e dall'accelerazione dell’ “ognuno per sé".
Negli anni '90, dopo la partenza dei russi dall'Afghanistan, i signori della guerra vittoriosi si rivoltarono l'uno contro l'altro, usando tutte le armi e le conoscenze di guerra date loro dall'Occidente, per disputarsi il controllo delle rovine. Il massacro all'ingrosso, la distruzione e lo stupro di massa distrussero quel poco di coesione sociale che la guerra aveva lasciato.
L'impatto sociale di questa guerra non si è limitato all'Afghanistan. La piaga della dipendenza dall'eroina che esplose a partire dagli anni '80, portando miseria e morte in tutto il mondo, fu una delle conseguenze dirette della guerra. L'Occidente aveva incoraggiato le forze di opposizione ai talebani a coltivare l'oppio per finanziare i combattimenti.
Lo spietato fanatismo religioso dei Talebani è quindi il prodotto di decenni di barbarie. Sono stati anche manipolati dal Pakistan, desideroso di imporre una qualche forma di ordine alle sue porte.
L'invasione degli Stati Uniti nel 2001, lanciata con la scusa di sbarazzarsi di Al-Qaida e dei Talebani, insieme all'invasione dell'Iraq nel 2003, furono tentativi dell'imperialismo statunitense di imporre la sua autorità di fronte alle conseguenze del suo declino. Essi cercarono di convincere le altre potenze, specialmente gli europei, ad agire in risposta all'attacco contro uno dei suoi membri. A parte il Regno Unito, tutte le altre potenze furono tiepide. In effetti, la Germania aveva già tracciato un nuovo percorso "indipendente" nei primi anni '90, sostenendo la secessione della Croazia che a sua volta provocò l'orribile massacro nei Balcani. Nei due decenni successivi, i rivali dell'America si sono ulteriormente incoraggiati mentre guardavano gli Stati Uniti invischiati in guerre senza possibilità di vittoria in Afghanistan, Iraq e Siria. Il tentativo degli Stati Uniti di affermare il proprio dominio come unica superpotenza rimasta avrebbe rivelato sempre di più il vero e proprio declino della "leadership" imperialista americana; e lungi dal riuscire a imporre un ordine monolitico al resto del pianeta, gli Stati Uniti erano ormai diventati il principale vettore del caos e dell'instabilità che segna la fase di decomposizione capitalista.
La politica di ritiro dall'Afghanistan è un chiaro esempio di realpolitik. Gli Stati Uniti devono liberarsi di queste guerre costose e debilitanti per concentrare le loro risorse nel rafforzare i loro sforzi per contenere e minare la Cina e la Russia. L'amministrazione Biden si è dimostrata non meno cinica di Trump nel perseguire le ambizioni statunitensi.
Allo stesso tempo, le condizioni del ritiro degli Stati Uniti hanno significato che il messaggio dell'amministrazione Biden, "L'America è tornata" - che l'America è un alleato affidabile - ha subito un duro colpo. A lungo termine l'amministrazione sta probabilmente facendo affidamento sulla paura della Cina per costringere paesi come il Giappone, la Corea del Sud e l'Australia a cooperare con gli USA come "puntello a est", finalizzato a contenere la Cina nel Mar Cinese Meridionale e altrove nella regione.
Sarebbe un errore concludere da questo che gli Stati Uniti hanno semplicemente abbandonato il Medio Oriente e l'Asia centrale. Biden ha chiarito che gli Stati Uniti perseguiranno una politica "Over the Horizon" in relazione alle minacce terroristiche (in altre parole, attraverso attacchi aerei). Questo significa che userà le sue basi militari in tutto il mondo, la sua marina e la sua forza aerea per infliggere distruzione agli Stati di queste regioni se mettono in pericolo gli Stati Uniti. Questa minaccia è anche legata alla situazione sempre più caotica in Africa, dove Stati falliti come la Somalia potrebbero essere raggiunti dall'Etiopia, devastata dalla guerra civile e con i suoi vicini a sostegno dell'una o dell'altra parte. Questa lista si allungherà man mano che i gruppi terroristici islamici in Nigeria, Ciad e altrove si sentiranno incoraggiati dalla vittoria dei talebani a intensificare le loro campagne.
Se il ritiro dall'Afghanistan è motivato dalla necessità di concentrarsi sul pericolo rappresentato dall'ascesa della Cina e dalla rinascita della Russia come potenze mondiali, i suoi limiti sembrano evidenti, offrendo persino all'imperialismo cinese e russo una via d'accesso allo stesso Afghanistan. La Cina ha già investito massicciamente nel suo progetto della Nuova Via della Seta in Afghanistan ed entrambi gli Stati hanno avviato relazioni diplomatiche con i talebani. Ma nessuno di questi Stati può sentirsi al di sopra di un disordine mondiale sempre più contraddittorio. L'ondata di instabilità che si diffonde in Africa, in Medio Oriente (il crollo dell'economia libanese è il più recente), in Asia centrale e in Estremo Oriente (Myanmar in particolare) è un pericolo per la Cina e la Russia tanto quanto gli Stati Uniti. Cina e Russia sono pienamente consapevoli che l'Afghanistan non ha un vero Stato funzionante e che i talebani non saranno in grado di costruirne uno. La minaccia al nuovo governo da parte dei signori della guerra è ben nota. Parti dell'Alleanza del Nord hanno già detto che non accetteranno il governo, e l'ISIS, che è stato anche coinvolto in Afghanistan, considera i Talebani degli apostati perché sono pronti a fare accordi con l'Occidente infedele. Parti della vecchia classe dirigente dell'Afghanistan possono cercare di lavorare con i Talebani, e molti governi stranieri stanno aprendo dei canali, ma questo perché sono terrorizzati dal fatto che il paese diventi di nuovo preda dei signori della guerra e del caos che si riverserà in tutta la regione.
La vittoria dei talebani può solo incoraggiare i terroristi islamici uiguri che sono attivi in Cina, anche se i talebani non li hanno sostenuti. L'imperialismo russo conosce il costo amaro dell'ingarbugliamento in Afghanistan e può temere che la vittoria dei talebani darà un nuovo impulso ai gruppi fondamentalisti in Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan, Stati che formano un cuscinetto tra i due paesi. Approfitterà di questa minaccia per rafforzare la sua influenza militare su questi Stati e altrove, ma ha sperimentato che anche la potenza della macchina da guerra degli Stati Uniti non riesce a schiacciare una tale insurrezione se questa ottiene abbastanza sostegno da altri Stati.
Gli Stati Uniti non sono stati in grado di sconfiggere i Talebani e stabilire uno Stato coeso. Si sono ritirati sapendo che, mentre hanno dovuto subire una vera umiliazione, hanno lasciato una bomba a orologeria di instabilità nella loro scia. La Russia e la Cina devono ora cercare di contenere questo caos. Qualsiasi idea che il capitalismo possa portare stabilità e qualche forma di futuro a questa regione è una pura illusione.
Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e tutte le altre potenze hanno usato lo spauracchio dei Talebani per nascondere il terrore e la distruzione che hanno inflitto alla popolazione dell'Afghanistan negli ultimi 40 anni. I mujahidin sostenuti dagli USA hanno massacrato, stuprato, torturato e saccheggiato tanto quanto i russi. Come i Talebani, hanno condotto campagne di terrore nei centri urbani controllati dai russi. Tuttavia, questo è stato accuratamente nascosto dall'Occidente. È stato lo stesso negli ultimi 20 anni. La terribile brutalità dei Talebani è stata evidenziata dai media occidentali, mentre le notizie delle vittime, delle uccisioni, degli stupri e delle torture inflitte dal governo "democratico" e dai suoi sostenitori sono state cinicamente nascoste. In qualche modo l'esplosione di giovani e vecchi, donne e uomini, da parte delle granate, bombe e proiettili del governo sostenuto dai "democratici", amanti dei "diritti umani", Stati occidentali, non sono degni di menzione. In effetti, anche l'intera portata del terrore che i Talebani hanno inflitto non è stata riportata. È visto come non "degno di notizia", a meno che non possa aiutare a giustificare la guerra.
I parlamenti d'Europa hanno fatto eco ai politici statunitensi e britannici nel lamentare il terribile destino delle donne e degli altri in Afghanistan sotto i Talebani. Gli stessi politici hanno imposto leggi sull'immigrazione che hanno portato migliaia di rifugiati disperati, tra cui molti afgani, a rischiare la vita per cercare di attraversare il Mediterraneo o la Manica. Dov'è il loro pianto per le migliaia di persone che sono annegate nel Mediterraneo negli ultimi anni? Che preoccupazione mostrano per quei rifugiati costretti a vivere in campi che sono poco meglio dei campi di concentramento in Turchia o in Giordania (finanziati dall'UE e dalla Gran Bretagna) o venduti nei mercati di schiavi della Libia? Questi portavoce borghesi che condannano i talebani per la loro disumanità incoraggiano la costruzione di un muro di acciaio e cemento intorno all'Europa dell'Est per fermare il movimento dei rifugiati. Il fetore dell'ipocrisia è quasi opprimente.
Il panorama della guerra, della pandemia, della crisi economica e del cambiamento climatico è davvero spaventoso. È per questo che la classe dominante ne riempie i suoi media. Vuole che il proletariato sia sottomesso, che si rannicchi nella paura di fronte alla triste realtà di questo sistema sociale in decomposizione. Vogliono che siamo come bambini aggrappati alle gonne della classe dominante e del suo Stato. Le grandi difficoltà che il proletariato ha avuto nella lotta per difendere i suoi interessi negli ultimi 30 anni permettono a questa paura di prendere più piede. L'idea che il proletariato sia l'unica forza capace di offrire un futuro, una società completamente nuova, può sembrare assurda. Ma il proletariato è la classe rivoluzionaria e tre decenni di riflusso non lo hanno cancellato, anche se la lunghezza e la profondità di questo riflusso rendono più difficile per la classe operaia internazionale recuperare la fiducia nella sua capacità di resistere ai crescenti attacchi alle sue condizioni economiche. Ma è solo attraverso queste lotte che la classe operaia può sviluppare di nuovo la sua forza. Come disse Rosa Luxemburg, il proletariato è l'unica classe che sviluppa la sua coscienza attraverso l'esperienza delle sconfitte. Non c'è garanzia che il proletariato possa essere all'altezza della sua responsabilità storica di offrire un futuro al resto dell'umanità. Questo certamente non avverrà se il proletariato e le sue minoranze rivoluzionarie soccomberanno alla schiacciante atmosfera di disperazione e senza speranza promossa dal nostro nemico di classe. Il proletariato può svolgere il suo ruolo rivoluzionario solo guardando in faccia la triste realtà del capitalismo in decomposizione e rifiutando di accettare gli attacchi alle sue condizioni economiche e sociali, sostituendo l'isolamento e l'impotenza con la solidarietà, l'organizzazione e la crescente coscienza di classe.
CCI 22-08-2021
[1] 24° Congresso della CCI: Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione, https://it.internationalism.org/content/1617/rapporto-su-pandemia-e-sviluppo-della-decomposizione [73]
Non è la prima volta che Hamas o altri gruppi jihadisti fanno piovere razzi sui civili nelle città israeliane, uccidendo indiscriminatamente. Tra le prime vittime vi sono un padre arabo e sua figlia, residenti nella città israeliana di Lod, polverizzati nella loro auto. Né è la prima volta che le forze armate israeliane rispondono con devastanti attacchi aerei e fuoco di artiglieria, prendendo di mira i dirigenti di Hamas e i depositi di armi, ma che causano anche la morte tra i civili negli edifici e nelle affollate strade di Gaza, con un numero di vittime decine di volte maggiori ai "danni" dei razzi di Hamas. Non è nemmeno la prima volta che Israele è sul punto di un'invasione militare della Striscia di Gaza, che sicuramente provocherà ulteriori morti, senzatetto e traumi per le famiglie palestinesi. Abbiamo già visto le stesse scene nel 2009 e nel 2014.
Ma è la prima volta che uno sforzo militare così massiccio è stato accompagnato in varie città israeliane da un'ondata di violenti scontri tra ebrei e arabi israeliani. Si tratta essenzialmente di pogrom: bande di estrema destra che brandendo la stella di David e gridando "morte agli arabi", danno la caccia agli arabi, li picchiano e li uccidono. Allo stesso tempo, sono aumentati gli attacchi contro gli ebrei e le sinagoghe bruciate da folle "ispirate" dall'islamismo e dal nazionalismo palestinese. Tutto fa venire in mente i cupi ricordi dei Centoneri della Russia zarista o della Notte dei cristalli in Germania nel 1938!
Il governo israeliano di Netanyahu ha, in larga misura, gettato i semi di questa nefasta dinamica: attraverso nuove leggi che rafforzano la definizione di Israele come Stato ebraico e attraverso la politica di annessione dell'intera Gerusalemme come sua capitale. Quest'ultima è una chiara affermazione che la "soluzione dei due Stati" è morta e sepolta e che l'occupazione militare della Cisgiordania è oramai una realtà permanente. La scintilla immediata delle rivolte arabe palestinesi a Gerusalemme (la minaccia di espellere i residenti arabi da Gerusalemme e sostituirli con coloni ebrei) deriva da questa strategia di occupazione militare e di pulizia etnica.
Le "democrazie" dell'Europa e degli Stati Uniti stanno versando le loro solite lacrime di coccodrillo di fronte all'escalation dei conflitti militari e dei disordini civili (persino Netanyahu ha chiesto la fine della violenza di strada tra ebrei e arabi). Ma gli Stati Uniti sotto la presidenza di Trump avevano precedentemente approvato le politiche apertamente annessioniste di Israele che fanno parte di un più ampio progetto imperialista per riunire Israele, Arabia Saudita e altri stati arabi in un'alleanza contro l'Iran (oltre che contro grandi potenze come la Russia e Cina). Se ad esempio, Biden ha preso le distanze dal sostegno acritico di Trump al regime saudita, la sua prima preoccupazione nell'attuale crisi è stata quella di insistere sul fatto che "Israele ha il diritto di difendersi", perché lo Stato sionista, nonostante tutte le sue aspirazioni a portare avanti il proprio gioco in Medio Oriente, rimane un elemento chiave della strategia degli Stati Uniti nella regione.
Ma lo Stato israeliano non è il solo ad agire in modo provocatorio. Hamas ha risposto alla repressione delle sommosse di Gerusalemme lanciando una raffica ininterrotta di razzi contro i civili in Israele, ben sapendo che ciò avrebbe determinato una pioggia di ferro e fuoco sulla popolazione indifesa di Gaza. Ha anche fatto tutto il possibile per incoraggiare la violenza etnica in Israele. È una caratteristica della guerra, nell'era della decadenza del capitalismo, che le prime vittime siano le popolazioni civili, soprattutto la classe operaia e gli oppressi. Sia Israele che Hamas operano nella logica barbara della guerra imperialista. Di fronte alla guerra imperialista, i rivoluzionari hanno sempre fatto appello alla solidarietà internazionale degli sfruttati contro tutti gli Stati e proto-Stati capitalisti. La solidarietà è l'unico baluardo possibile contro lo sprofondamento della società nella guerra e nella barbarie.
Ma le classi dominanti in Medio Oriente, con i loro più potenti sostenitori imperialisti, hanno alimentato da tempo le fiamme della divisione e dell'odio. Ci furono pogrom contro i coloni ebrei in Palestina nel 1936, alimentati da una leadership politica palestinese che cercò di allearsi con la Germania nazista contro il potere dominante della regione, la Gran Bretagna. Ma questi eventi sono stati oscurati dalla massiccia pulizia etnica della popolazione araba che ha accompagnato la "guerra di indipendenza" del 1948, creando l'insolubile problema dei profughi palestinesi che è stato sistematicamente strumentalizzato dai regimi arabi. Una successione di guerre tra Israele e gli Stati arabi circostanti, le incursioni israeliane contro Hamas e Hezbollah, la trasformazione di Gaza in una vasta prigione ... Tutto questo ha approfondito l'odio tra arabi ed ebrei al punto di apparire come niente più che “buon senso” da entrambi i lati della barricata. In questo contesto, gli esempi di solidarietà tra lavoratori arabi ed ebrei in lotta sono estremamente rari, mentre le espressioni politiche organizzate dell'internazionalismo sono state quasi inesistenti.
Le azioni provocatorie dello Stato israeliano sono anche il prodotto di altri elementi contingenti. Netanyahu, il primo ministro ad interim, non è stato in grado di formare un governo dopo una serie inconcludente di elezioni generali e deve ancora affrontare una serie di accuse di corruzione. Potrebbe certamente trarre vantaggio dal suo ruolo di uomo forte in questa nuova crisi nazionale. Ma sono in atto tendenze più profonde che potrebbero sfuggire al controllo di chi cerca di trarre vantaggio dalla situazione attuale.
Le grandi guerre arabo-israeliane degli anni '60 e '70 furono combattute sullo sfondo del dominio del pianeta da parte di due blocchi imperialisti: Israele sostenuto dagli Stati Uniti, gli Stati arabi sostenuti dall'URSS. Ma dal crollo del sistema dei blocchi alla fine degli anni '80, la tendenza innata alla guerra imperialista nel capitalismo decadente ha assunto una forma molto più caotica e potenzialmente incontrollata. Il Medio Oriente, in particolare, è diventato il terreno di gioco di una serie di potenze regionali i cui interessi non coincidono necessariamente con i piani delle grandi potenze mondiali: Israele, Turchia, Iran, Arabia Saudita ... Queste potenze sono già pesantemente coinvolte nei sanguinosi conflitti che stanno devastando la regione: l'Iran sta usando la sua pedina, Hezbollah, nel multiforme conflitto in Siria, e l'Arabia Saudita è profondamente coinvolta nella guerra in Yemen contro gli alleati Houthi dell'Iran. La Turchia ha esteso la sua guerra contro i Peshmerga curdi di Siria e dell'Iraq (mantenendo l'intervento militare nella Libia dilaniata dalla guerra). Oltre a ridurre interi paesi alla rovina e alla fame, queste guerre comportano il rischio reale di andare fuori controllo e di propagare la distruzione in tutto il Medio Oriente
Questo caos crescente a livello militare è un'espressione della decomposizione globale del sistema capitalista. Così, un altro elemento strettamente correlato si sta giocando a livello sociale e politico, attraverso l'intensificarsi degli scontri tra fazioni politiche borghesi, tensioni tra gruppi etnici e religiosi, pogrom contro le minoranze. Si tratta di una tendenza globale caratterizzata, ad esempio, dal genocidio in Ruanda nel 1994, dalla persecuzione dei musulmani in Myanmar e in Cina, dall'aggravarsi del divario razziale negli Stati Uniti. Come abbiamo visto, le divisioni etniche in Israele e Palestina hanno una lunga storia, ma sono aggravate dall'atmosfera di disperazione e impotenza generata dall'apparentemente insolubile “problema palestinese”. E mentre i pogrom sono spesso scatenati come strumenti della politica degli Stati, nelle condizioni attuali possono intensificarsi oltre gli obiettivi degli organismi statali e accelerare uno slittamento generale verso il collasso sociale. Il fatto che ciò stia cominciando ad accadere in uno Stato altamente militarizzato come Israele è un segno che i tentativi del capitalismo di Stato totalitario di frenare il processo di disintegrazione sociale potrebbero finire per peggiorare ulteriormente le cose.
Guerre e pogrom sono il futuro che il capitalismo ha in serbo per noi ovunque se la classe operaia internazionale non ritrova i propri interessi e la propria prospettiva: la rivoluzione comunista. Se i proletari del Medio Oriente sono, per il momento, troppo sopraffatti da massacri e divisioni etniche, spetta alle frazioni centrali del proletariato mondiale riprendere la via della lotta, l'unica via che conduce fuori dall'incubo di questo ordinamento sociale putrefatto.
Amos, 14 maggio 2021
Nei recenti articoli[1], abbiamo mostrato come il movimento Black Lives Matter (BLM) si situa su un terreno completamente borghese, con vaghe rivendicazioni come "la parità dei diritti", "trattamento equo" o alcune più specifiche come "non finanziare la polizia". In nessuna maniera, neanche minimamente, questo movimento di protesta è stato capace di mettere in discussione i rapporti di produzione capitalistici che stabiliscono la subordinazione e l'oppressione della classe operaia come uno dei pilastri del dominio capitalista.
Ma questo significa forse che la classe operaia non può offrire alcuna alternativa ad altri strati non sfruttatori o a minoranze discriminate nella società capitalista che sono soggette a forme di oppressione particolarmente violente? Al contrario, nel corso della sua storia, la classe operaia, negli Stati Uniti come in altre parti del mondo, ha dimostrato la sua capacità di compiere passi significativi per superare le barriere della divisione etnica, a condizione che essa lotti sul proprio terreno di classe e con le proprie prospettive proletarie.
Una delle prime manifestazioni di vera solidarietà operaia con una minoranza etnica si ebbe nel 1892 a New Orleans, quando tre sindacati chiesero migliori condizioni di lavoro. Il "Bureau del commercio di New Orleans" tentò di dividere i lavoratori sulla base di criteri razziali invitando a negoziare i due sindacati a maggioranza bianca, respingendo invece quello a maggioranza nera. In risposta a questa manovra del Bureau, i tre sindacati lanciarono un appello allo sciopero comune che fu seguito all'unanimità.
Un altro momento importante fu la difesa organizzata della classe operaia in Russia contro i pogrom antisemiti nell'ottobre 1905, durante l'anno della prima rivoluzione in Russia. Durante quel mese, i cosiddetti Cento Neri, bande organizzate sostenute dalla polizia segreta dello Zar, uccisero migliaia di persone e mutilarono altre decine di migliaia in circa 100 città in tutto il paese. In risposta a questi massacri, il Soviet di Pietrogrado lanciò un appello agli operai di tutto il paese a imbracciare le armi per difendere i distretti operai contro i successivi pogrom.
Un altro eroico esempio di solidarietà proletaria avvenne nel febbraio 1941 nei Paesi Bassi, 80 anni fa. La causa immediata fu l'arresto di 425 ebrei ad Amsterdam e la loro deportazione in un campo di concentramento in Germania. Questo primo raid nei Paesi Bassi su una frangia della popolazione perseguitata e terrorizzata provocò una forte indignazione tra gli operai di Amsterdam e delle città vicine. L'attacco agli ebrei fu vissuto come un attacco all'intera popolazione proletaria di Amsterdam. L'indignazione superò la paura. La risposta fu: "Scendiamo in sciopero!"
Nei Paesi Bassi gli ebrei non erano visti come stranieri. In particolare ad Amsterdam, dove viveva la stragrande maggioranza della popolazione ebraica, erano visti come parte integrante della popolazione. Inoltre, Amsterdam aveva il più grande proletariato ebraico dell'Europa occidentale, paragonabile solo a quello di Londra dopo i pogrom russi. L'orientamento di una parte significativa di questo proletariato ebraico era verso il movimento operaio e all'inizio del secolo molti di loro abbracciarono il socialismo. Nella prima metà del ventesimo secolo, molti di questi proletari svolsero un ruolo importante nelle organizzazioni operaie olandesi. Come indichiamo nel libro La Gauche hollandaise (La sinistra olandese)[2], nelle settimane che precedettero lo sciopero, un gruppo internazionalista, il Fronte Marx-Lénine-Luxemburg (MLL-Front) aveva già chiaramente espresso le sue posizioni in merito alle atrocità commesse dalle bande fasciste e chiamato i lavoratori a difendersi. “In tutti i quartieri operai dovranno essere formate milizie di autodifesa. La difesa contro la brutalità dei banditi nazionalsocialisti deve essere organizzata. Ma gli operai dovranno usare le loro armi anche sul terreno economico. Agli atti scandalosi dei fascisti si deve rispondere con scioperi di massa”. (Spartacus n.2, metà febbraio 1941; citato da Max Perthus, Henk Sneevliet)
Lo sciopero che scoppiò il martedì 25 febbraio fu una manifestazione esemplare di solidarietà con gli ebrei perseguitati. Avvenne sotto il completo controllo degli operai e la borghesia non aveva alcuna possibilità di usarlo per i suoi scopi bellici, come fece con lo sciopero dei ferrovieri nel 1944. Lo sciopero non era diretto alla liberazione del popolo olandese dall'occupazione tedesca. La posizione del MLL-Front non era che lo sciopero fosse orientato al sabotaggio della macchina da guerra tedesca o all'allineamento con la Resistenza Nazionale. Doveva essere una dichiarazione della classe operaia, una dimostrazione della sua forza e per questo di tempo limitato. Dopo due giorni, gli operai decisero all'unanimità di porre fine allo sciopero.
In mezzo alla barbarie della seconda guerra mondiale e in un contesto di sconfitta storica della classe operaia, lo sciopero non poteva portare a una mobilitazione generale della classe operaia in Olanda o a reazioni proletarie nel resto d'Europa, ma nonostante ciò ebbe un significato politico internazionale, andando ben oltre i confini dei Paesi Bassi. La resistenza degli operai nel febbraio 1941 contro la deportazione degli ebrei nei campi di concentramento ci mostra che il proletariato non è in alcun modo impotente o condannato all'inazione quando particolari gruppi etnici vengono presi come capri espiatori e diventano di conseguenza vittime di pogrom e persino di genocidi.
L’MLL-Front comprese pienamente questo. Pertanto, salutò calorosamente lo sciopero come espressione di autentica indignazione proletaria contro la persecuzione di ebrei, uomini, donne e bambini. Per l’MLL-Front, lo sciopero contro la brutalità antiebraica era incondizionatamente legato alla lotta generale contro l'intero sistema capitalista. Lo sciopero olandese del febbraio 1941 dimostrò che per difendere i gruppi etnici perseguitati la classe operaia deve rimanere sul proprio terreno e non può permettersi di essere trascinata nel terreno borghese, come è accaduto ad esempio con il movimento BLM. Il terreno della classe operaia è quello in cui la solidarietà non è limitata dalle divisioni che il capitalismo ha imposto alla società ma quello dove essa diventa veramente universale. La solidarietà proletaria è per definizione l'espressione della classe la cui lotta autonoma è destinata a sviluppare un'alternativa fondamentale al capitalismo.
Nella misura in cui annuncia la natura della società per la quale lotta, è capace di abbracciare e integrare la solidarietà di tutta l'umanità. È questo che oggi rende per noi così importante la solidarietà proletaria e lo sciopero del febbraio 1941 nei Paesi Bassi.
CCI, aprile 2021
[1] I gruppi della sinistra comunista di fronte al movimento Black Lives Matter: l'incapacità di identificare il terreno della classe operaia [100]
[2] La Sinistra Olandese, “Capitolo X: Scomparsa e rinascita del comunismo dei consigli - Dal “Fronte Marx-Lenin-Luxemburg” al “Comunistenbond Spartacus” (1939-1942)”, pagine 246-249. Questo opuscolo, disponibile in inglese e francese può essere acquistato scrivendo al seguente indirizzo: [email protected] [101]
° Editoriale: Di fronte all'accelerazione della barbarie capitalista, una sola risposta: la lotta di classe! [105]
° Il governo Meloni: una ulteriore espressione delle crescenti difficoltà della borghesia italiana [106]
° L'economia mondiale nel vortice della decomposizione del capitalismo [107]
° L'imperialismo americano, un fattore primario del caos capitalista [108]
° Il significato dell'estate di rabbia in Gran Bretagna: Il ritorno della combattività del proletariato mondiale [109]
° Smascherato il mito della neutralità e del non allineamento [110]
Tutti i sindacati sono contro la lotta della classe operaia [111]
È bastata una notte perché il tuono delle armi e l'urlo delle bombe risuonassero di nuovo in Ucraina, alle porte della culla storica del capitalismo in decomposizione. Nel giro di poche settimane, questa guerra di una portata e brutalità senza precedenti, ha devastato intere città, gettato milioni di donne, bambini e vecchi per le strade ghiacciate d’inverno, sacrificato innumerevoli vite umane sull’altare della Patria. Kharkiv, Sumy o Irpin sono ora campi di rovine. Nel porto industriale di Mariupol, che è stato completamente raso al suolo, il conflitto è costato la vita a non meno di 5.000 persone, probabilmente di più. La devastazione e gli orrori di questa guerra ricordano le immagini terrificanti delle devastazioni di Grozny, Fallujah o Aleppo. Ma, mentre sono occorsi mesi, a volte anni, per produrre tali devastazioni, in Ucraina non c'è stata nessuna “escalation omicida”: in appena un mese, i belligeranti hanno gettato tutte le loro forze nella carneficina e devastato uno dei più grandi paesi d’Europa!
La guerra è un terrificante momento di verità per il capitalismo decadente: esibendo le sue macchine di morte, la borghesia toglie improvvisamente la maschera ipocrita di civiltà, di pace e compassione che finge di indossare con l’insopportabile arroganza delle classi dominanti divenute anacronistiche. Eccola qui, che si dibatte in un torrente furioso di propaganda per meglio nascondere il suo turpe volto di assassino. Come non essere colti dall’orrore alla vista di questi poveri ragazzi russi, chiamati alle armi all’età di 19 o 20 anni, con i loro volti da adolescenti trasformati in assassini, come a Boutcha e in altre località recentemente abbandonate? Come non indignarsi quando Zelensky, il “servitore del popolo”, prende spudoratamente in ostaggio un’intera popolazione decretando la “mobilitazione generale” di tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni, con il divieto a tutti loro di lasciare il paese? Come si può non essere inorriditi dagli ospedali bombardati, dai civili terrorizzati e affamati, dalle esecuzioni sommarie, dai cadaveri sepolti negli asili e dal pianto straziante degli orfani?
La guerra in Ucraina è una manifestazione odiosa del vertiginoso precipitare del capitalismo nel caos e nella barbarie. Un quadro sinistro sta emergendo davanti ai nostri occhi: da due anni, la pandemia di Covid ha notevolmente accelerato questo processo di cui è essa stessa è il prodotto mostruoso[1]. L'IPCC prevede cataclismi e cambiamenti climatici irreversibili, minacciando ulteriormente l’umanità e la biodiversità su scala planetaria. Le grandi crisi politiche si moltiplicano, come abbiamo visto dopo la sconfitta di Trump negli Stati Uniti, lo spettro del terrorismo incombe sulla società, così come il rischio nucleare che la guerra ha riportato alla ribalta. I continui massacri e il caos bellico, gli inesorabili attacchi economici, l’esplosione della miseria sociale, le catastrofi climatiche su larga scala... la simultaneità e l’accumulazione di tutti questi fenomeni non è una sfortunata coincidenza; al contrario, testimonia la condanna del capitalismo assassino davanti al tribunale della storia.
Se l'esercito russo ha attraversato il confine, non è certo per difendere il “popolo russo” “assediato dall’Occidente”, né per “aiutare” gli ucraini di lingua russa che sarebbero vittime della “nazificazione” del governo di Kiev. Né la pioggia di bombe che si abbatte sull’Ucraina è il prodotto del “delirio” di un “autocrate pazzo”, come la stampa ripete in tutte le tonalità ogni volta che è necessario giustificare un massacro[2] e nascondere il fatto che questo conflitto, come tutti gli altri, è prima di tutto la manifestazione di una società borghese decadente e militarizzata che non ha più nulla da offrire all'umanità se non la propria distruzione!
“Aggressori” e “aggrediti”, tutti briganti imperialisti
Non ci si preoccupa della morte e della distruzione, del caos e dell’instabilità ai propri confini: per Putin e la sua cricca, era necessario difendere gli interessi del capitale russo e il suo posto nel mondo, entrambi indeboliti dal crescente slittamento dei paesi tradizionalmente sotto la propria sfera d’influenza verso l’Occidente. La borghesia russa può presentarsi come “vittima” della NATO, ma Putin non ha mai esitato, di fronte al fallimento della sua offensiva, a condurre una terribile campagna di terra bruciata e di massacri, sterminando tutto ciò che gli capitava a tiro, comprese le popolazioni russofone che era venuto a proteggere!
Né c’è nulla da aspettarsi neanche da Zelensky e dal suo entourage di politici e oligarchi corrotti. Questo ex comico gioca ora alla perfezione il ruolo di adulatore senza scrupoli degli interessi della borghesia ucraina. Attraverso un’intensa campagna nazionalista, è riuscito ad armare la popolazione, a volte con la forza, e a reclutare un intero branco di mercenari e maniaci armati elevati al rango di “eroi della nazione”. Zelensky sta facendo il giro delle capitali occidentali, rivolgendosi a tutti i parlamenti, per implorare la consegna di sempre più armi e munizioni. Quanto alla “eroica resistenza ucraina”, sta facendo quello che fanno tutti gli eserciti del mondo: spara nel mucchio, massacra, saccheggia e non risparmia di picchiare o addirittura giustiziare i prigionieri!
Tutte le potenze democratiche fingono di indignarsi per i “crimini di guerra” perpetrati dall’esercito russo. Che ipocrisia! Nel corso della storia, non hanno mai smesso di ammassare cadaveri e rovine ai quattro angoli del mondo. Mentre si piange sulla sorte della popolazione vittima dall’“orco russo”, le potenze occidentali consegnano quantità astronomiche di armi da guerra, assicurano l’addestramento e forniscono tutte le informazioni necessarie per gli attacchi e i bombardamenti dell’esercito ucraino, compreso il reggimento neonazista Azov[3]!
Soprattutto, moltiplicando le sue provocazioni, la borghesia americana ha fatto tutto il possibile per spingere Mosca in una guerra che è persa in anticipo. Per gli Stati Uniti, la cosa principale è dissanguare la Russia e avere mano libera per rompere le pretese egemoniche della Cina, il principale obiettivo del potere statunitense. Questa guerra permette anche agli Stati Uniti di contenere e contrastare il grande progetto imperialista cinese delle “Vie della Seta”. Per raggiungere i suoi fini, la “grande democrazia americana” non ha esitato a incoraggiare un’avventura militare totalmente irrazionale e barbara, aumentando la destabilizzazione globale e il caos nelle vicinanze dell’Europa occidentale.
Il proletariato non deve scegliere una parte contro l'altra! Non ha nessuna patria da difendere e deve combattere il nazionalismo e l’isteria sciovinista della borghesia ovunque! Deve combattere con le proprie armi e i propri mezzi contro la guerra!
Per lottare contro la guerra, bisogna lottare contro il capitalismo
Oggi il proletariato in Ucraina, schiacciato da più di 60 anni di stalinismo, ha subito una grande sconfitta e si è lasciato ammaliare dalle sirene del nazionalismo. In Russia, anche se il proletariato si è mostrato un po’ più reticente, la sua incapacità di frenare gli impulsi bellicosi della propria borghesia spiega perché la cricca al potere ha potuto inviare 200.000 soldati al fronte senza temere le reazioni dei lavoratori. Nelle principali potenze capitaliste, in Europa occidentale e negli Stati Uniti, il proletariato non ha oggi né la forza né la capacità politica di opporsi direttamente a questo conflitto attraverso la solidarietà internazionale e la lotta contro la borghesia in tutti i paesi. Per il momento non è in grado di fraternizzare ed entrare in lotta massicciamente per fermare il massacro.
Tuttavia, anche se i pericoli della propaganda e delle manifestazioni di ogni tipo rischiano di trascinarlo nel vicolo cieco della difesa del nazionalismo filo-ucraino o nella falsa alternativa del pacifismo, il vecchio proletariato dei paesi occidentali, con la sua esperienza di lotte di classe e dei trucchi della borghesia, rimane ancora il principale antidoto di fronte all’ingranaggio distruttivo e alla spirale di morte del sistema capitalista. D’altra parte la borghesia occidentale è stata ben attenta a non intervenire direttamente in Ucraina perché sa che la classe operaia non accetterà il sacrificio quotidiano di migliaia di soldati arruolati in scontri bellici.
Anche se disorientata e ancora indebolita da questa guerra, la classe operaia dei paesi occidentali mantiene intatte le sue potenzialità e la sua capacità di sviluppare le sue lotte sul terreno della resistenza ai nuovi sacrifici generati dalle sanzioni contro l’economia russa e dall’aumento colossale dei bilanci militari: l’inflazione galoppante, l’aumento della maggior parte dei prodotti della vita quotidiana che induce e l’accelerazione degli attacchi contro le sue condizioni di vita e di sfruttamento.
I proletari possono e devono opporsi a tutti i sacrifici che la borghesia esige. È attraverso le sue lotte che il proletariato potrà creare un rapporto di forza con la classe dominante per trattenere il suo braccio assassino! Perché la classe operaia, produttrice di tutta le ricchezze, è alla lunga l’unica forza della società capace di porre fine alla guerra impegnandosi sulla via del rovesciamento del capitalismo.
Questo è, d’altronde, ciò che la storia ci ha mostrato quando il proletariato è insorto in Russia nel 1917 e in Germania l’anno seguente, mettendo fine alla guerra con un’enorme rivolta rivoluzionaria! Mentre la guerra mondiale infuriava, i rivoluzionari tenevano la rotta difendendo intransigentemente il principio elementare dell’internazionalismo proletario. Ora è responsabilità dei rivoluzionari trasmettere l’esperienza del movimento operaio. Di fronte alla guerra, la loro prima responsabilità è di parlare con una sola voce per sventolare fermamente la bandiera dell’internazionalismo, l’unica che può far tremare di nuovo la borghesia!
CCI, 4 aprile 2022
[1] In Cina, la pandemia sta facendo un forte ritorno (riconfinamento a Shanghai, in particolare). Inoltre, è lungi dall'essere sotto controllo nel resto del mondo.
[2] Da Hitler ad Assad, passando per Hussein, Milosevic, Gheddafi o Kim Jong-un... il nemico sorprendentemente soffre sempre di gravi disturbi psicologici.
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Le organizzazioni della sinistra comunista devono difendere in modo unitario il loro patrimonio comune di adesione ai principi dell'internazionalismo proletario soprattutto in un momento di grande pericolo per la classe operaia mondiale. Il ritorno della carneficina imperialista in Europa nella guerra in Ucraina è un tale momento. Per questo pubblichiamo qui di seguito, con altri firmatari provenienti dalla tradizione della sinistra comunista (e un gruppo con una traiettoria diversa che sostiene pienamente la dichiarazione), una dichiarazione comune sulle prospettive fondamentali per la classe operaia di fronte alla guerra imperialista.
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La guerra che si svolge in Ucraina non viene combattuta negli interessi della classe operaia, che è una classe di unità internazionale, ma secondo gli interessi contrapposti di tutte le diverse potenze imperialiste, grandi e piccole. È una guerra su territori strategici, per il dominio militare ed economico, combattuta, apertamente e non, dai guerrafondai a capo delle macchine statali degli USA, della Russia e dell'Europa occidentale, con la classe dirigente ucraina che agisce come una pedina, per nulla innocente, sullo scacchiere imperialistico mondiale.
La classe operaia, non lo Stato ucraino, è la vera vittima di questa guerra, sia in quanto donne e bambini indifesi massacrati, rifugiati affamati e carne da cannone arruolata in entrambi gli eserciti, sia nella crescente indigenza che gli effetti della guerra porteranno ai lavoratori in tutti i Paesi.
La classe capitalista e il suo modo di produzione borghese non possono superare le sue conflittuali divisioni nazionali, che portano alla guerra imperialista. Il sistema capitalista non può evitare di sprofondare in una maggiore barbarie.
Da parte sua, la classe operaia mondiale non può evitare di sviluppare la sua lotta contro il deterioramento dei salari e degli standard di vita. Quest’ultima guerra, la più grande in Europa dal 1945, annuncia il futuro del capitalismo a livello mondiale se la lotta della classe operaia non porta al rovesciamento della borghesia e alla sua sostituzione con il potere politico della classe operaia, la dittatura del proletariato.
L'imperialismo russo vuole invertire l'enorme battuta d'arresto che ha ricevuto nel 1989 e diventare di nuovo una potenza mondiale. Gli Stati Uniti vogliono preservare il loro status di superpotenza e la loro leadership mondiale. Le potenze europee temono l'avanzata russa ma anche il dominio schiacciante degli USA. L'Ucraina sta cercando di allearsi con l’uomo forte, l’imperialismo più forte.
Ammettiamolo, gli Stati Uniti e le potenze occidentali usano le menzogne più convincenti e il più grande sistema mediatico della menzogna per giustificare i loro veri obiettivi in questa guerra. Si fa credere infatti che stiano reagendo all'aggressione russa contro piccoli Stati sovrani, difendendo la democrazia contro l'autocrazia del Cremlino, sostenendo i diritti umani di fronte alla brutalità di Putin.
I gangster imperialisti più forti di solito dispongono della migliore propaganda di guerra, della menzogna più grande, perché possono provocare e manovrare i loro nemici a sparare per primi. Ricordiamo i tanto pacifici interventi recenti di queste potenze in Medio Oriente, in Siria, Iraq e Afghanistan e come la potenza aerea degli Stati Uniti ha recentemente spianato la città di Mosul, come le forze della coalizione hanno messo a ferro e fuoco la popolazione irachena con il falso pretesto che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa. Sono ancora da ricordare, andando più indietro nel tempo, gli innumerevoli crimini di queste democrazie contro i civili durante il secolo scorso, negli anni Sessanta in Vietnam, negli anni Cinquanta in Corea, durante la Seconda guerra mondiale a Hiroshima, Dresda o Amburgo. Gli oltraggi russi contro la popolazione ucraina sono essenzialmente tratti dallo stesso manuale imperialista.
Il capitalismo ha catapultato l'umanità nell’era della guerra imperialista permanente. È un’illusione chiedergli di 'fermare' la guerra. La 'pace' può essere solo una parentesi nel capitalismo guerriero.
Più sprofonda in una crisi insolubile, più grande sarà la distruzione militare che il capitalismo porterà insieme alle sue crescenti catastrofi di inquinamento ed epidemie. Il capitalismo è marcio e maturo per un cambiamento rivoluzionario.
Il sistema capitalistico, sempre più un sistema di guerra e di orrori, non trova nessuna opposizione di classe significativa al suo dominio, tanto che il proletariato subisce l'aggravarsi dello sfruttamento della sua forza-lavoro, e gli estremi sacrifici che l'imperialismo gli chiede di fare sul campo di battaglia.
Lo sviluppo della difesa dei suoi interessi di classe, così come la sua coscienza di classe, stimolata attraverso il ruolo indispensabile dell'avanguardia rivoluzionaria, nascondono un potenziale ancora più grande della classe operaia, la capacità di unirsi come classe per rovesciare l'intero apparato politico della borghesia, come fece in Russia nel 1917 e minacciò di fare in Germania e altrove in quel periodo. Ovvero, rovesciare il sistema che porta alla guerra. Infatti la Rivoluzione d’Ottobre e le insurrezioni che essa ha suscitato nelle altre potenze imperialiste sono un esempio luminoso non solo di opposizione alla guerra ma anche di attacco al potere della borghesia.
Oggi siamo ancora lontani da un tale periodo rivoluzionario. Allo stesso modo, le condizioni della lotta del proletariato sono diverse da quelle che esistevano all'epoca del primo massacro imperialista. D'altra parte, ciò che rimane uguale, di fronte alla guerra imperialista, sono i principi fondamentali dell'internazionalismo proletario e il dovere delle organizzazioni rivoluzionarie di difendere questi principi con le unghie e con i denti, contro corrente quando è necessario, in seno al proletariato
I villaggi di Zimmerwald e Kienthal, in Svizzera, divennero famosi come i luoghi di incontro dei socialisti di entrambi gli schieramenti nella prima guerra mondiale, per iniziare una lotta internazionale, per porre fine al macello e denunciare i leader patriottici dei partiti socialdemocratici. Fu in queste riunioni che i bolscevichi, appoggiati dalla Sinistra di Brema e dalla Sinistra olandese, portarono avanti i principi essenziali dell'internazionalismo contro la guerra imperialista, che sono validi ancora oggi: nessun appoggio a nessuno dei due campi imperialisti; rifiuto di ogni illusione pacifista; e riconoscimento che solo la classe operaia e la sua lotta rivoluzionaria possono mettere fine al sistema che si basa sullo sfruttamento della forza lavoro e genera permanentemente la guerra imperialista.
Negli anni ’30 e ’40 fu solo la corrente politica oggi chiamata Sinistra Comunista a tenere fede ai principi internazionalisti sviluppati dai bolscevichi nella Prima Guerra Mondiale. La Sinistra italiana e la Sinistra olandese si opposero attivamente a entrambi gli schieramenti nella Seconda Guerra Mondiale imperialista, rifiutando sia le giustificazioni del massacro fasciste che quelle antifasciste - a differenza delle altre correnti che si appellavano alla rivoluzione proletaria, compreso il trotskismo. Così facendo, queste Sinistre comuniste rifiutarono qualsiasi sostegno all'imperialismo della Russia stalinista nel conflitto.
Oggi, di fronte all'accelerazione del conflitto imperialista in Europa, le organizzazioni politiche basate sull'eredità della sinistra comunista continuano a tenere alta la bandiera di un coerente internazionalismo proletario, e costituiscono un punto di riferimento per chi difende i principi della classe operaia.
Ecco perché le organizzazioni e i gruppi della sinistra comunista di oggi, piccoli di numero e poco conosciuti, hanno deciso di pubblicare questa dichiarazione comune, e diffondere il più possibile i principi internazionalisti che sono stati forgiati contro la barbarie di due guerre mondiali.
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Corrente Comunista Internazionale (it.internationalism.org [117])
Istituto Onorato Damen (http://www.istitutoonoratodamen.it [118])
Internationalist Voice (en.internationalistvoice.org) [119]
International Communist Perspective (Korea - http://communistleft.jinbo.net/xe/ [120]), sostiene totalmente la dichiarazione congiunta
6 aprile 2022
La società borghese, marcia fino all’osso, malata di se stessa, sta ancora una volta vomitando il suo turpe torrente di ferro e fuoco. Ogni giorno la carneficina ucraina diffonde la sua processione di bombardamenti massicci, imboscate, assedi e colonne di rifugiati che fuggono a milioni dal fuoco continuo dei belligeranti. In mezzo al diluvio di propaganda riversata dai governi di tutti i paesi, spiccano due menzogne: la prima presenta Putin come un “folle autocrate” pronto a tutto pur di diventare il nuovo zar di un ricostituito impero e fare man bassa sulle “ricchezze” dell’Ucraina; l’altra attribuisce la responsabilità essenziale del conflitto agli “sterminatori” delle popolazioni russofone del Donbass che gli “eroici” soldati russi hanno dovuto proteggere a rischio della loro vita. La borghesia si è sempre preoccupata di nascondere le vere cause della guerra avvolgendole nel velo ideologico della “civilizzazione”, della “democrazia”, dei “diritti umani” e del “diritto internazionale”. Ma la vera causa della guerra è il capitalismo!
Da quando Putin è salito al potere nel 2000, la Russia ha fatto grandi sforzi per costruire un esercito più moderno e riguadagnare influenza in Medio Oriente, soprattutto in Siria, ma anche in Africa inviando mercenari in Libia, Africa centrale e Mali, seminando sempre più caos. Negli ultimi anni, non ha esitato a lanciare offensive dirette, in Georgia nel 2008 e poi occupando la Crimea e il Donbass nel 2014 nel tentativo di fermare il declino della sua sfera d’influenza, con il rischio di creare una grande instabilità ai suoi stessi confini. Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, la Russia ha creduto di poter approfittare dell’indebolimento degli Stati Uniti per cercare di riportare l’Ucraina nella sua sfera d’influenza, un territorio essenziale per la sua posizione in Europa e nel mondo, soprattutto perché Kiev minacciava di entrare nella NATO.
Dal crollo del blocco orientale, non è certo la prima volta che la guerra infuria sul continente europeo. Le guerre nei Balcani negli anni '90 e il conflitto nel Donbass nel 2014 avevano già portato miseria e desolazione nel continente. Ma la guerra in Ucraina ha già oggi implicazioni ben più gravi rispetto ai conflitti precedenti, e mostra come il caos si stia avvicinando sempre più ai principali centri del capitalismo.
La Russia, una delle principali potenze militari, è direttamente e massicciamente coinvolta nell’invasione di un paese che occupa una posizione strategica in Europa, ai confini dell’Unione Europea. Al momento in cui scriviamo, si dice che la Russia abbia perso più di 10.000 soldati e molti altri feriti o disertori. Intere città sono state bombardate. Il numero di vittime civili è probabilmente considerevole. E tutto questo in appena un mese di guerra![1]. La regione vede già ora un’enorme concentrazione di truppe ed equipaggiamenti militari avanzati, non solo in Ucraina, con armi, soldati e mercenari che arrivano da ogni parte, ma anche in tutta l’Europa orientale con il dispiegamento di migliaia di truppe della NATO e la mobilitazione del solo alleato di Putin, la Bielorussia. Diversi Stati europei hanno anche deciso di aumentare considerevolmente i loro sforzi in termini di armamenti, in primo luogo i paesi baltici, ma anche la Germania, che ha recentemente annunciato il raddoppio del budget per la sua “difesa”.
La Russia, da parte sua, minaccia regolarmente il mondo intero di rappresaglie militari e brandisce senza vergogna il suo arsenale nucleare. Il ministro della Difesa francese è arrivato a ricordare a Putin che aveva di fronte delle “potenze nucleari”, prima di calmarsi a favore di un tono più “diplomatico”. Senza parlare di un conflitto nucleare, il rischio di un grave incidente industriale è ancora da temere. Già ci sono stati combattimenti feroci nei siti nucleari di Chernobyl e Zaporizhia, dove dei locali (fortunatamente uffici) hanno preso fuoco dopo un bombardamento.
A questo si aggiunge una grande crisi migratoria nella stessa Europa. Milioni di ucraini stanno fuggendo nei paesi vicini per scappare dalla guerra e dal reclutamento forzato nell’esercito di Zelensky. Ma dato il peso del populismo in Europa e la volontà talvolta esplicita di diversi Stati di strumentalizzare cinicamente i migranti per fini imperialistici (come abbiamo visto recentemente alla frontiera bielorussa o attraverso le regolari minacce della Turchia all’Unione Europea), a lungo termine questo esodo di massa potrebbe creare gravi tensioni e instabilità. In sintesi, la guerra in Ucraina comporta un grande rischio di caos, destabilizzazione e distruzione su scala internazionale. Se questo conflitto non porta esso stesso a una conflagrazione ancora più mortale, comunque aumenta considerevolmente tali pericoli, con tensioni e rischi di “escalation” incontrollate che potrebbero portare a conseguenze inimmaginabili.
Se la borghesia russa ha aperto le ostilità per difendere i suoi sordidi interessi imperialisti, la propaganda che presenta l’Ucraina e i paesi occidentali come vittime di un “folle dittatore” non è che una farsa ipocrita. Per mesi il governo degli Stati Uniti ha avvertito provocatoriamente di un imminente attacco russo mentre proclamava che non avrebbe messo piede sul suolo ucraino. Dalla dissoluzione dell’URSS, la Russia è stata continuamente minacciata ai suoi confini, sia nell’Europa orientale che nel Caucaso e nell’Asia centrale. Gli Stati Uniti e le potenze europee hanno metodicamente respinto la sfera d’influenza russa integrando molti paesi dell’Est nell’Unione Europea e nella NATO. Questo è anche il significato della cacciata dell’ex presidente georgiano Shevardnadze nel 2003 durante la “rivoluzione delle rose” che ha portato al potere una cricca pro-USA, così come la “rivoluzione arancione” del 2004 in Ucraina e tutti i conflitti che ne sono seguiti tra le diverse fazioni della borghesia locale. Il sostegno attivo delle potenze occidentali all’opposizione filoeuropea in Bielorussia, la guerra in Nagorno-Karabakh sotto la pressione della Turchia (un membro della NATO) e il regolamento di conti al più alto livello dello Stato kazako hanno solo accentuato il sentimento di urgenza all’interno della borghesia russa. Sia per la Russia zarista che per quella “sovietica”, l’Ucraina ha sempre rappresentato una questione centrale nella politica estera. Infatti l’Ucraina è per Mosca l’unica e ultima via d’accesso diretta al Mediterraneo. L’annessione della Crimea nel 2014 obbediva già a questo imperativo dell’imperialismo russo direttamente minacciato dall’accerchiamento da parte di regimi prevalentemente filoamericani. Il desiderio dichiarato degli Stati Uniti di legare Kiev all’Occidente è dunque vissuto da Putin e dalla sua cricca come una vera e propria provocazione. In questo senso, anche se l’offensiva dell’esercito russo sembra totalmente irrazionale e destinata a fallire fin dall’inizio, per Mosca è un disperato “colpo di forza” destinato a mantenere il suo rango di potenza mondiale. La borghesia americana, anche se divisa sulla questione, è perfettamente consapevole della situazione della Russia e non ha mancato di spingere Putin all’azione aumentando le provocazioni. Quando Biden ha esplicitamente assicurato che non sarebbe intervenuto direttamente in Ucraina, ha deliberatamente lasciato un vuoto che la Russia ha immediatamente utilizzato nella speranza di frenare il suo declino sulla scena internazionale. Non è la prima volta che gli Stati Uniti ricorrono al freddo machiavellismo per raggiungere i loro fini: già nel 1990, Bush senior spinse Saddam Hussein in una trappola fingendo di non voler intervenire per difendere il Kuwait. Sappiamo cosa è successo dopo…
È ancora troppo presto per prevedere la durata e la portata delle distruzioni, già notevoli, in Ucraina, ma dagli anni '90 abbiamo visto i massacri di Srebrenica, Grozny, Sarajevo, Fallujah e Aleppo. Chiunque inizi una guerra è spesso destinato a rimanere impantanato. Negli anni '80, la Russia ha pagato un prezzo elevato per l’invasione dell’Afghanistan che ha portato all’implosione dell’URSS. Gli Stati Uniti hanno avuto i loro fiaschi, indebolendoli sia militarmente che economicamente. Tutte queste avventure nonostante le apparenti vittorie iniziali, sono finite in amare battute d’arresto e hanno indebolito notevolmente i belligeranti. La Russia di Putin, anche nel caso in cui non dovrà direttamente ritirarsi dopo un’umiliante sconfitta, resterà comunque impantanata in una situazione di stallo, anche se riuscisse a prendere le principali città ucraine.
“Un nuovo imperialismo minaccia la pace mondiale”[2], “Gli ucraini hanno combattuto l’imperialismo russo per centinaia di anni”...[3]. “L'imperialismo russo”, la borghesia non dice altro, come se la Russia fosse la quintessenza dell’imperialismo di fronte al “pulcino indifeso” ucraino. In realtà, da quando il capitalismo è entrato nel suo periodo di decadenza, la guerra e il militarismo sono diventati caratteristiche fondamentali di questo sistema. Tutti gli Stati, grandi o piccoli, sono imperialisti; tutte le guerre, sia che pretendano di essere “umanitarie”, “liberatrici” o “democratiche”, sono guerre imperialiste. I rivoluzionari lo hanno detto chiaramente già durante la Prima Guerra mondiale: all’inizio del XX secolo, il mercato mondiale era interamente diviso in zone di caccia tra le principali nazioni capitaliste. Di fronte all’aumento della concorrenza e all’impossibilità di allentare la morsa delle contraddizioni del capitalismo attraverso nuove conquiste coloniali o commerciali, gli Stati costruirono giganteschi arsenali e sottoposero tutta la vita economica e sociale agli imperativi della guerra. Fu in questo contesto che scoppiò la Guerra mondiale nell’agosto 1914, un massacro senza pari nella storia dell’umanità, espressione eclatante di una nuova “era di guerre e rivoluzioni”.
Di fronte alla concorrenza feroce e all’onnipresenza della guerra, in ogni nazione, grande o piccola, si svilupparono due fenomeni che costituiscono le caratteristiche principali del periodo della decadenza: il capitalismo di Stato e i blocchi imperialisti. “Il capitalismo di Stato [...] risponde alla necessità per ogni paese, in vista del confronto con le altre nazioni, di ottenere al proprio interno la massima disciplina dai diversi settori della società, di ridurre al massimo gli scontri tra le classi ma anche tra le frazioni rivali della classe dominante, al fine, in particolare, di mobilitare e controllare tutto il suo potenziale economico. Allo stesso modo, la costituzione dei blocchi imperialisti corrisponde alla necessità di imporre una disciplina simile tra le diverse borghesie nazionali per limitare i loro antagonismi reciproci e riunirle per lo scontro supremo tra i due campi militari”[4]. Il mondo capitalista fu così diviso per tutto il XX secolo in blocchi rivali: Gli Alleati contro le potenze dell’Asse, il blocco occidentale contro blocco orientale. Ma con il crollo dell’URSS alla fine degli anni '80, inizia la fase finale della decadenza del capitalismo: il periodo della sua decomposizione generalizzata[5], segnato dalla scomparsa, per più di 30 anni, dei blocchi imperialisti. La retrocessione del “gendarme” russo e, de facto, la dislocazione del blocco americano, aprono la strada a tutta una serie di rivalità e conflitti locali che erano stati soffocati dalla disciplina ferrea dei blocchi. Questa tendenza all’ognuno per sé e all’aumento del caos è stata pienamente confermata in seguito.
L’America, unica “superpotenza”, tenta dal 1990 di portare un minimo di ordine nel mondo e di frenare l’inevitabile declino della propria leadership... ricorrendo alla guerra. Dal momento che il mondo non era più diviso in due campi imperialisti disciplinati, un paese come l’Iraq pensava di poter conquistare un ex alleato dello stesso blocco, il Kuwait. Gli Stati Uniti, alla testa di una coalizione di 35 paesi, hanno lanciato un’offensiva cruenta che doveva scoraggiare qualsiasi tentazione futura di emulare le azioni di Saddam Hussein.
Ma l’operazione non poteva mettere fine al ciascuno per sé sul piano imperialista, una tipica manifestazione del processo di decomposizione della società. Nelle guerre balcaniche, si mostravano già chiaramente le peggiori rivalità tra le potenze dell’ex blocco occidentale, specialmente Francia, Regno Unito e Germania che, in aggiunta ai micidiali interventi americani e russi, si facevano praticamente la guerra tra loro attraverso i vari belligeranti nell’ex-Jugoslavia. L’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 segnò un ulteriore passo significativo nel caos, colpendo il cuore del capitalismo globale. Al contrario di quanto asserito dalle teorie della sinistra del capitale sui presunti appetiti petroliferi americani, smentite dal costo abissale della guerra, è stato fondamentalmente in questo contesto che gli Stati Uniti hanno dovuto abbandonare l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e quella dell’Iraq, di nuovo, nel 2003, in nome della “guerra al terrorismo”. L’America era lanciata in una vera fuga in avanti: nella seconda guerra del Golfo, la Germania, la Francia e la Russia non si sono limitati a trascinare i piedi dietro lo zio Sam, ma si sono rifiutati di impegnare i loro soldati. Soprattutto, ognuna di queste operazioni non fece che generare un tale caos e instabilità che gli Stati Uniti finirono per impantanarsi, al punto di dover abbandonare in modo umiliante l’Afghanistan 20 anni dopo, lasciandosi dietro un campo di rovine nelle mani dei talebani che erano venuti a combattere, così come avevano già dovuto abbandonare l’Iraq, in preda a un’immensa anarchia, destabilizzando l’intera regione, soprattutto la vicina Siria. Per difendere la sua posizione di prima potenza mondiale, gli Stati Uniti sono così diventati il principale propagatore del caos nel periodo di decomposizione.
Oggi gli Stati Uniti hanno innegabilmente segnato punti a loro favore sul piano imperialista, senza nemmeno dover intervenire direttamente. La Russia, un avversario di lunga data, è impegnata in una guerra impossibile da vincere che si tradurrà per lei, qualunque sia il risultato, in un grande indebolimento militare ed economico. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno già annunciato come andrà a finire: secondo il capo della diplomazia europea, si tratta di “devastare l’economia russa”... e tanto peggio per il proletariato russo che pagherà tutte queste misure di ritorsione, come per il proletariato ucraino che è la prima vittima e ostaggio dello scatenamento della barbarie bellica!
Gli americani hanno pure ripreso in mano la NATO, che il presidente francese riteneva essere “cerebralmente morta”, rafforzando notevolmente la loro presenza a est e costringendo le principali potenze europee (Germania, Francia e Regno Unito) ad assumersi maggiormente l’onere economico del militarismo per la difesa dei confini orientali dell’Europa. Una politica questa che gli Stati Uniti stanno cercando di attuare da diversi anni, soprattutto sotto la presidenza di Trump e continuata poi da Biden, per concentrare la loro forza contro il nemico principale, la Cina. Per gli europei la situazione rappresenta una sconfitta diplomatica di prim’ordine e una notevole perdita di influenza. Il conflitto alimentato dagli Stati Uniti non è stato voluto da Francia e Germania che, a causa della loro dipendenza dal gas russo e dal mercato che questo paese rappresenta per le loro merci, non hanno assolutamente nulla da guadagnare da questo conflitto. Al contrario, l’Europa subirà un’ulteriore accelerazione della crisi economica sotto l’impatto della guerra e delle sanzioni imposte. Gli europei hanno quindi dovuto ripiegare dietro lo scudo americano, mentre l’indebolimento diplomatico causato dalla disinvoltura di Trump aveva fatto sperare in un forte ritorno del vecchio continente sulla scena internazionale.
Il fatto che le principali potenze europee siano costrette a schierarsi dietro gli Stati Uniti costituisce l’inizio della formazione di un nuovo blocco imperialista? Il periodo di decomposizione non preclude di per sé la formazione di nuovi blocchi, anche se il peso del ciascuno per sé ostacola notevolmente questa possibilità. Tuttavia, in questa situazione, la volontà irrazionale di ogni Stato di difendere i propri interessi imperialisti viene ampiamente rafforzata. La Germania ha attuato le sanzioni con riluttanza e agisce con prudenza per evitare di sanzionare le esportazioni di gas russo da cui è fortemente dipendente. D’altra parte la Germania, insieme alla Francia, è intervenuta costantemente per offrire alla Russia un’uscita diplomatica, che Washington sta ovviamente cercando di ritardare. Anche la Turchia e Israele stanno cercando di offrire i loro “servizi” come intermediari. A lungo termine, con l’aumento delle spese militari, le grandi potenze europee potrebbero anche cercare di emanciparsi dalla tutela americana, un’ambizione che Macron difende regolarmente attraverso il suo progetto di “difesa europea”. Gli Stati Uniti hanno innegabilmente guadagnato punti nell’immediato, ogni paese cerca quindi di giocare le proprie carte, compromettendo la costituzione di un blocco, tanto più che la Cina, da parte sua, non è in grado di raccogliere dietro di sé nessuna grande potenza e si trova addirittura rallentata e indebolita nella difesa dei propri obiettivi.
Tuttavia, con questa manovra la borghesia statunitense non mirava solo e principalmente alla Russia. Il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina determina il rapporto imperialista globale oggi. Creando una situazione di caos in Ucraina, Washington ha cercato soprattutto di ostacolare l’avanzata della Cina verso l’Europa bloccando, per un periodo ancora indeterminato, le “vie della seta” che dovevano passare attraverso i paesi dell’Europa orientale. Dopo aver minacciato le vie marittime della Cina nella regione indopacifica con, tra l’altro, la creazione dell’alleanza AUKUS nel 2021[6], Biden sta creando un enorme fossato in Europa impedendo alla Cina il transito delle sue merci via terra. Gli Stati Uniti sono anche riusciti a mostrare l’impotenza della Cina a giocare un ruolo di partner affidabile sulla scena internazionale, dal momento che non ha altra scelta che dare alla Russia un sostegno molto morbido. In questo senso, l’offensiva americana a cui stiamo assistendo fa parte di una strategia più globale per contenere la Cina.
Dopo le guerre nell’ex-Jugoslavia, in Afghanistan e in Medio Oriente, gli Stati Uniti sono diventati, come abbiamo visto, il principale fattore di caos nel mondo. Finora questa tendenza ha riguardato soprattutto i paesi periferici del capitalismo, sebbene anche i paesi centrali ne abbiano sofferto le conseguenze (terrorismo, crisi migratorie, ecc.). Ma oggi, la prima potenza mondiale sta creando il caos alle porte di uno dei principali centri del capitalismo. Questa strategia criminale è guidata dal “democratico” e “moderato” Joe Biden. Il suo predecessore, Donald Trump, aveva una meritata reputazione di testa calda, ma è ormai chiaro che per neutralizzare la Cina cambia solo la strategia: Trump voleva negoziare accordi con la Russia, Biden e la maggioranza della borghesia americana vogliono dissanguarla. Putin e la sua cricca di assassini non sono migliori, proprio come Zelensky che non esita a prendere in ostaggio un’intera popolazione e a sacrificarla come carne da cannone in nome della difesa della patria. E che dire delle ipocrite democrazie europee che, mentre piangono lacrime di coccodrillo sulle vittime della guerra, consegnano quantità fenomenali di attrezzature militari? Di sinistra o di destra, democratici o dittatoriali, tutti i paesi, tutte le borghesie ci portano verso il caos e la barbarie a marcia forzata! Più che mai, ‘'unica alternativa offerta all’umanità è: socialismo o barbarie!
EG 21 marzo 2022
[1] A titolo di paragone, l’URSS perse 25.000 soldati durante i 9 anni della terribile guerra che devastò l’Afghanistan negli anni '80.
[2] “Contro l’imperialismo russo, per un’impennata internazionalista”, Mediapart (2 marzo 2022). Questo articolo dal titolo evocativo rasenta la farsa, soprattutto da parte del suo autore, Edwy Plenel, un guerrafondaio patentato e grande difensore dell’imperialismo francese.
[3] “Per capire il conflitto Ucraina-Russia, guardare al colonialismo”, The Washington Post (24 febbraio 2022).
[4] Militarismo e decomposizione [121], Rivista Internazionale n.15 (1990)
[5] La decomposizione, fase ultima della decadenza capitalista [3], Rivista Internazionale n.14 (1990)
[6] Alleanza militare AUKUS: l’esacerbazione caotica delle rivalità imperialiste [122], CCI online 2021
Stiamo vivendo la più intensa campagna di propaganda di guerra dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi, non solo in Russia e Ucraina, ma in tutto il mondo. È dunque essenziale che tutti coloro che cercano di difendere l’internazionalismo proletario di fronte ai tamburi di guerra colgano ogni occasione di riunirsi per discutere e chiarire, per sostenere e solidarizzare, e per definire meglio il metodo dei rivoluzionari contro la campagna militarista della borghesia. Per questo la CCI ha organizzato una serie di incontri pubblici online e fisici in diverse lingue (inglese, francese, spagnolo, olandese, italiano, tedesco, portoghese e turco) e continuerà ad organizzarne altri nel prossimo futuro.
Nello spazio di questo breve articolo non possiamo riassumere tutte le discussioni che hanno avuto luogo, discussioni caratterizzate da un’atmosfera seria e fraterna, da un vero desiderio di capire cosa sta succedendo. Vorremmo invece concentrarci su alcune delle questioni e dei temi principali che sono emersi. Pubblicheremo anche sul nostro sito web i contributi dei simpatizzanti che portano la loro visione delle discussioni e della loro dinamica.
Il primo e probabilmente più vitale tema è stato un ampio accordo sul fatto che i principi fondamentali dell’internazionalismo (nessun sostegno a nessuno dei due campi imperialisti, rifiuto di tutte le illusioni pacifiste, affermazione della lotta di classe internazionale come unica forza che può davvero opporsi alla guerra) rimangono validi come sempre, nonostante l’enorme pressione ideologica, soprattutto nei paesi occidentali, per schierarsi in difesa della “piccola coraggiosa Ucraina” contro l’orso russo. Qualcuno potrebbe rispondere che queste sono solo banali generalizzazioni, ma non dovrebbero essere sempre prese per oro colato, e certamente non è facile proporle nel clima attuale dove si vedono scarsi segni di un’opposizione di classe alla guerra. Gli internazionalisti devono riconoscere che, per il momento, nuotano controcorrente. In questo senso, si trovano in una situazione simile a quella dei rivoluzionari che, nel 1914, ebbero il compito di mantenere saldi i loro principi di fronte all’isteria bellica che accompagnò i primi giorni e i primi mesi della guerra. Ma noi possiamo anche far riferimento alla successiva reazione della classe operaia alla guerra che trasformò gli slogan generali degli internazionalisti in una guida d’azione volta a rovesciare l’ordine mondiale capitalista.
Un secondo elemento chiave della discussione (e meno largamente condiviso) è stata la necessità di comprendere la gravità della guerra in corso che, dopo la pandemia Covid, fornisce un’ulteriore prova che il capitalismo nel suo periodo di decadenza è una minaccia crescente per la sopravvivenza stessa dell’umanità. Anche se la guerra in Ucraina non prepara il terreno per la formazione di nuovi blocchi imperialisti che trascinerebbero l’umanità in una terza (e probabilmente ultima) guerra mondiale, essa esprime comunque l’intensificazione e l’estensione della barbarie militare che, combinata con la distruzione della natura e altre manifestazioni di un sistema morente, avrebbe alla fine lo stesso risultato di una guerra mondiale. A nostro parere, la guerra attuale segna una tappa importante nell’accelerazione della decomposizione del capitalismo, un processo che contiene la minaccia di travolgere il proletariato prima che questo sia capace di raccogliere le sue forze per una lotta cosciente contro il capitale.
Non ci dilungheremo qui sul perché rifiutiamo l’argomento che stiamo assistendo alla ricostituzione di blocchi militari stabili. Diciamo solo che, nonostante le reali tendenze verso una “bipolarizzazione” degli antagonismi imperialisti, continuiamo a ritenere che queste sono controbilanciate dalla tendenza opposta di ogni potenza imperialista a difendere i propri interessi particolari e a resistere alla subordinazione a una particolare potenza mondiale. Ma quest’ultima tendenza significa una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante, uno slittamento sempre più irrazionale e imprevedibile nel caos, che per molti versi porta a una situazione più pericolosa di quella in cui il pianeta era “gestito” dai blocchi imperialisti rivali durante la “guerra fredda”.
Un certo numero di compagni durante le riunioni hanno posto delle questioni su questa analisi; e alcuni, per esempio i membri della Communist Workers’ Organisation, nelle riunioni di lingua inglese, erano chiaramente contrari al nostro quadro di analisi della decomposizione. Ma non c’è dubbio che la difesa di una posizione internazionalista coerente deve basarsi centralmente sulla capacità di sviluppare una seria analisi della situazione mondiale, altrimenti c’è il pericolo di essere disorientati dalla velocità e imprevedibilità degli eventi immediati. Contrariamente all’analisi della guerra fatta dai compagni dei Cahiers du Marxisme Vivant in una delle riunioni in Francia, noi non crediamo che le semplici spiegazioni economiche, la ricerca del profitto a breve termine, possano spiegare la vera origine e dinamica del conflitto imperialista in un’epoca storica in cui le motivazioni economiche sono sempre più dominate dagli imperativi militari e strategici. I costi rovinosi di questa guerra forniranno ulteriori prove di questa affermazione.
Se è importante capire l’origine e la direzione del conflitto imperialista, lo è altrettanto fare una lucida analisi della situazione della classe operaia mondiale e delle prospettive della lotta di classe. Anche se c’era un accordo generale sul fatto che la campagna di guerra stava infliggendo gravi colpi alla coscienza di una classe operaia che aveva già sofferto una profonda perdita di fiducia e di coscienza di sé, alcuni partecipanti alla riunione tendevano a pensare che la classe operaia non fosse più un ostacolo alla guerra. Abbiamo risposto che la classe operaia non può essere considerata come una massa omogenea. È ovvio che la classe operaia in Ucraina, che è stata effettivamente soffocata dalla mobilitazione per la “difesa della nazione”, ha subito una vera sconfitta. Ma è diverso in Russia dove c’è chiaramente un’opposizione diffusa alla guerra nonostante la brutale repressione di ogni dissenso, e dove nell’esercito russo dove ci sono segni di demoralizzazione e persino di ribellione. Ma soprattutto, non si può contare sul fatto che il proletariato dell’Europa occidentale si sacrifichi, né economicamente né militarmente. E’ da molto tempo che la classe dominante di questi paesi non può che contare solo su soldati di professione per le sue avventure militari. Sulla scia degli scioperi di massa in Polonia nel 1980, la CCI ha sviluppato una critica alla teoria di Lenin secondo cui la catena del capitalismo mondiale si sarebbe rotta nel suo “anello più debole”, cioè nei paesi meno sviluppati, seguendo il modello della Russia nel 1917. Al contrario, noi abbiamo insistito sul fatto che la classe operaia dell’Europa occidentale, più sperimentata politicamente, sarà la chiave per la generalizzazione della lotta di classe. In un prossimo articolo spiegheremo perché crediamo che questo punto di vista rimanga valido oggi, nonostante i cambiamenti nella composizione del proletariato mondiale che sono avvenuti in seguito[1].
I partecipanti alle riunioni hanno condiviso la legittima preoccupazione sulla responsabilità specifica dei rivoluzionari per questa guerra. Nelle riunioni francesi e spagnole questa questione è stata al centro della discussione, ma secondo noi, alcuni compagni erano orientati verso un approccio attivista, sopravvalutando la possibilità che i nostri slogan internazionalisti avessero un impatto immediato sul corso degli eventi. Per esempio rispetto all’appello alla fraternizzazione tra proletari in uniforme: benché questo resta perfettamente valido come prospettiva generale, senza lo sviluppo di un movimento di classe più generale come quello che abbiamo visto nelle fabbriche e nelle strade della Russia e della Germania nel 1917-18, ci sono poche possibilità che i combattenti di entrambe le parti della guerra attuale si vedano come compagni di classe. E sicuramente i veri internazionalisti sono oggi una minoranza così piccola che non possono aspettarsi di avere un impatto immediato sul corso della lotta di classe in generale.
Tuttavia noi non pensiamo che questo significhi che i rivoluzionari siano condannati ad essere una voce nel deserto. Ancora una volta dobbiamo ispirarci a figure come Lenin e Luxemburg nel 1914, che capirono la necessità di piantare la bandiera dell’internazionalismo anche quando erano isolati dalla massa della loro classe, di continuare a lottare per i principi di fronte al tradimento delle vecchie organizzazioni operaie e di sviluppare un’analisi profonda delle vere cause della guerra di fronte agli alibi della classe dominante. Così come dobbiamo seguire l’esempio della Conferenza di Zimmerwald e di altre conferenze che hanno espresso la determinazione degli internazionalisti a riunirsi e pubblicare un manifesto comune contro la guerra, nonostante avessero analisi e prospettive diverse.
In questo senso salutiamo la partecipazione di altre organizzazioni rivoluzionarie a questi incontri, il loro contributo al dibattito e la loro disponibilità a considerare la nostra proposta di una dichiarazione comune della Sinistra comunista contro la guerra. Non possiamo che deplorare la successiva decisione della CWO/TCI di rifiutare la nostra proposta, un problema sul quale dovremo tornare in un prossimo articolo.
E’ stato anche importante che, in risposta alle domande dei compagni su cosa si potesse fare a livello locale o nel proprio paese, la CCI abbia sottolineato come elemento prioritario la necessità di stabilire e sviluppare contatti e attività internazionali, di integrare le specificità locali e nazionali in un quadro di analisi più globale. Lavorare su scala internazionale fornisce ai rivoluzionari uno strumento per combattere l’isolamento e la demoralizzazione che ne può derivare.
Una guerra imperialista importante, come quella attuale, sottolinea nella realtà che l’attività rivoluzionaria ha senso solo nel quadro delle organizzazioni politiche rivoluzionarie. Come abbiamo scritto nel nostro rapporto sulla struttura e il funzionamento dell’organizzazione rivoluzionaria, “La classe operaia non fa nascere i militanti rivoluzionari ma le organizzazioni rivoluzionarie: non c’è un rapporto diretto tra i militanti e la classe”[2]. Questo evidenzia la responsabilità delle organizzazioni della Sinistra comunista nel fornire un quadro, un punto di riferimento militante attorno al quale i singoli compagni possono orientarsi. A loro volta, le organizzazioni possono essere rafforzate solo dai contributi e dal sostegno attivo che ricevono da questi compagni.
Amos, 8 aprile 2022
La lotta contro la guerra può essere intrapresa dalla classe operaia solo attraverso la lotta sul proprio terreno di classe e la sua unificazione internazionale. Le organizzazioni rivoluzionarie non possono aspettare una mobilitazione di massa della classe operaia contro la guerra: devono agire come una determinata punta di lancia nella difesa dell’'internazionalismo e sottolineare la necessità del rovesciamento del sistema. Questo richiede che la classe operaia e le sue organizzazioni rivoluzionarie si riapproprino delle lezioni e dell’impostazione delle lotte precedenti contro la guerra. L’esperienza della conferenza di Zimmerwald è illuminante a questo proposito.
Zimmerwald è una piccola città della Svizzera. Nel settembre 1915 ospitò una piccola conferenza: 38 delegati di 12 paesi - tutti internazionalisti arrivati lì “in due taxi”, come diceva scherzosamente Trotsky. E tra loro, solo una piccola minoranza aveva una posizione veramente rivoluzionaria contro la guerra. Solo i bolscevichi intorno a Lenin e pochi altri gruppi tedeschi difendevano metodi e obiettivi rivoluzionari: la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, la distruzione del capitalismo come fonte di tutte le guerre. Gli altri partecipanti avevano una posizione centrista o anche fortemente orientata a destra.
Il risultato degli accesi dibattiti di Zimmerwald fu un manifesto ai proletari del mondo che era per molti versi un compromesso tra la sinistra e il centro, poiché non riprendeva gli slogan rivoluzionari dei bolscevichi. Tuttavia, la sua clamorosa denuncia della guerra e il suo appello all’azione di classe contro di essa permisero di articolare e politicizzare i sentimenti contro la guerra che si stavano sviluppando nella massa della classe operaia.
La lotta per l’internazionalismo ha bisogno di un’organizzazione politica
L’esempio di Zimmerwald mostra che, per i rivoluzionari, la lotta contro la guerra si svolge su tre livelli distinti ma interconnessi:
- Propaganda e agitazione. I rivoluzionari non hanno aspettato che la classe si muovesse: hanno iniziato l’agitazione contro la guerra sin dal primo giorno delle ostilità, molto prima che la classe fosse in grado di reagire. Il raggruppamento dei rivoluzionari in organizzazioni politiche permise loro di sviluppare la propaganda e l’agitazione attraverso una stampa regolare e volantini prodotti in massa, e di parlare nelle assemblee e nei consigli operai (che sorsero più tardi), non come individui che rappresentavano solo se stessi ma in nome di una tendenza politica ben definita all’interno del movimento di classe.
- Organizzativo. Il tradimento della maggioranza dei vecchi partiti esigeva che la minoranza degli internazionalisti lavorasse come una frazione organizzata, per lavorare sia all’espulsione dei traditori, sia, quando ciò si rivelava impossibile, come avvenne nella maggioranza dei casi, per lottare per conquistare il maggior numero possibile di elementi sani e preparare il terreno per un nuovo partito, una nuova Internazionale. Questo richiedeva una lotta feroce contro il centrismo e l’opportunismo, contro l’influenza ideologica della borghesia e della piccola borghesia. Fu questa lotta che permise alla sinistra di Zimmerwald, in particolare, di diventare la forza trainante della formazione della Terza Internazionale nel 1919. In una situazione di guerra o rivoluzione imminente, l’eroismo di singoli militanti, come la Luxemburg, Liebknecht, John Mclean o Sylvia Pankhurst, era certamente vitale, ma non poteva essere sufficiente. Poteva assumere un reale significato solo nel contesto di un’organizzazione collettiva, intorno a un chiaro programma politico.
- Teorico. La necessità di comprendere le caratteristiche della nuova epoca richiede un paziente lavoro di elaborazione teorica, una capacità di prendere del récul e rivalutare l’intera situazione alla luce delle prospettive passate e future. Il lavoro di Lenin, Bukharin, Luxemburg, Pannekoek e altri permise al rinato movimento politico di classe di capire che si era aperta una nuova epoca, un’epoca in cui la lotta di classe avrebbe assunto nuove forme e nuovi metodi per raggiungere obiettivi direttamente rivoluzionari. C’erano notevoli divergenze su un certo numero di questioni, per esempio tra Lenin e Luxemburg sull’autodeterminazione nazionale, ma questo non ha impedito loro di adottare una posizione comune contro la guerra pur continuando a discutere con la stessa passione e intensità di prima.
Non possiamo entrare nei dettagli qui, ma incoraggiamo i nostri lettori a leggere i seguenti articoli:
- “Zimmerwald (1915-1917): dalla guerra alla rivoluzione”, Zimmerwald (1915-1917): From war to revolution [126], Rivista Internazionale, n. 44 (anche in spagnolo e francese sul nostro sito)
- Prima Guerra mondiale, conferenza di Zimmerwald: le correnti centriste nelle organizzazioni politiche del proletariato [127], ICC online, 2015
ICC, 7 aprile 2022
Di fronte alla barbarie della guerra, la borghesia ha sempre cercato di nascondere la sua responsabilità omicida e quella del suo sistema dietro ciniche bugie. La guerra in Ucraina non è sfuggita al torrente di propaganda e alla turpe strumentalizzazione della sofferenza che genera. Non passa giorno senza che l’esodo di massa e l’angoscia delle famiglie ucraine in fuga dai bombardamenti siano mostrati su tutti i canali televisivi e sulle prime pagine di tutti i giornali, che di solito sono così discreti sulle disgrazie che il capitalismo infligge all’umanità. I media hanno mostrato immagini di bambini ucraini traumatizzati e vittime della guerra.
Con lo sfruttamento propagandistico del legittimo shock provocato dalla trasmissione di immagini atroci di violenze, esodi, orrore e bombardamenti, la guerra in Ucraina ha permesso alla borghesia dei paesi democratici di recuperare uno slancio spontaneo di simpatia e di compassione per orchestrare una gigantesca campagna “umanitaria” intorno alle “iniziative dei cittadini” verso i rifugiati ucraini (e anche intorno alla feroce repressione dei manifestanti russi e degli oppositori alla guerra) e di strumentalizzare cinicamente l’angoscia e la disperazione delle vittime del più grande esodo di popolazioni dalla fine della seconda guerra mondiale. Dappertutto si organizzano “corridoi umanitari” e “reti di cittadini” per aiutare i rifugiati ucraini, per giustificare la fornitura di un enorme arsenale di armi destinate a “difendere un popolo martirizzato” da “l’orco russo”. Anche nei piccoli villaggi, raccolte, donazioni e ogni sorta di “iniziative” o spettacoli sono organizzati e incoraggiati dalle autorità in solidarietà con i rifugiati ucraini. Dietro i vibranti omaggi al martirio del “popolo ucraino”, c’è la sordida realtà di uno spudorato sfruttamento di slanci di generosità, sfruttati da Stati, tutti guerrafondai, che se ne fregano del tragico destino di una popolazione tenuta in ostaggio tra i bombardamenti russi e la forzata “mobilitazione generale” del governo Zelensky. Agli occhi della borghesia il “popolo ucraino” serve soprattutto come carne da cannone in una “lotta patriottica” contro “l’invasore”. Lo stesso cinismo spiega perché la borghesia occidentale ha steso un velo di segretezza sui massacri perpetrati dal governo ucraino, dal 2014, nelle regioni russofone di Lugansk e Donetsk, che hanno tuttavia lasciato quasi 14.000 morti in 8 anni.
Il cosiddetto umanesimo degli Stati europei è un’enorme bugia e una pura mistificazione. Lo sforzo di accogliere e aiutare i rifugiati è, per la maggior parte, dovuto all’iniziativa delle popolazioni e in nessun modo agli Stati. È innegabile che, dallo scoppio della guerra e dall’inizio dell’esodo delle famiglie, c’è stato un enorme slancio spontaneo di solidarietà. Questa reazione immediata e profondamente umana di portare sollievo, assistenza e aiuto a tutti, offrendo un riparo e fornendo pasti a coloro che sono improvvisamente sprofondati nell’angoscia e nella disperazione, è confortante. Ma questa solidarietà elementare non è sufficiente. Non è il prodotto di una mobilitazione collettiva dei proletari sul loro terreno di classe. Nasce da una somma di iniziative individuali che la borghesia non manca mai di recuperare, sfruttare e strumentalizzare a proprio vantaggio, come sta facendo oggi. Per di più queste reazioni sono state immediatamente deviate nel campo della propaganda borghese per giustificare la guerra, esaltare il veleno mortale del nazionalismo e cercare di ricreare un clima di sacra unione contro “l'infame invasore russo”. Le potenze democratiche dell’Europa occidentale non avevano altra scelta che aprire le loro frontiere ai rifugiati ucraini, a meno di non bloccarne con la forza centinaia di migliaia all’interno dei confini ucraini. In questo caso sarebbe crollata tutta la loro propaganda di guerra anti-russa. In realtà, se si dichiarano pronti ad accogliere gli ucraini, è per giustificare ideologicamente una mobilitazione e soprattutto la consegna di armi all’Ucraina contro le “mostruosità di Putin” e per difendere i propri interessi imperialisti nazionali.
Allo stesso tempo, queste campagne servono a nascondere il fatto che la responsabilità di questa situazione drammatica è di tutti gli Stati, della logica della competizione e delle rivalità imperialiste del sistema stesso, che genera il moltiplicarsi di zone di guerra, la generalizzazione della miseria, l’esodo massiccio delle popolazioni, il caos e la barbarie.
Ora tutti gli Stati avvoltoi versano lacrime di coccodrillo sui rifugiati ucraini che pretendono di accogliere a braccia aperte in nome del cosiddetto “diritto d’asilo”. Queste belle promesse di accogliere i rifugiati non sono altro che fumo negli occhi. Gli Stati dell’Europa occidentale hanno introdotto dappertutto quote di accoglienza per i migranti che fuggono dalla miseria, dal caos e dalla guerra. Questi rifugiati miseri, a piedi nudi non sono come la maggioranza degli ucraini, europei biondi e con gli occhi azzurri; non sono di fede cristiana, ma spesso musulmani. Questi rifugiati vengono smistati come bestiame tra “rifugiati economici”, che sono totalmente indesiderabili, e “rifugiati di guerra” o “rifugiati politici”. Bisognerebbe quindi fare la cernita tra i rifugiati “buoni” e quelli “cattivi” ... Tutto questo con la carta bianca dell’Unione Europea e delle sue grandi democrazie. Un tale smistamento, una tale differenza di trattamento è totalmente abietta. In Francia, per esempio, meno di due anni fa, il governo Macron ha mandato i poliziotti a sloggiare le famiglie di migranti che avevano piantato le tende in Place de la République a Parigi; i poliziotti hanno picchiato questi indesiderabili e tagliato le loro tende con coltelli. Solo poco fa, quando i rifugiati iracheni bussavano alla porta dell’Europa, usati come mezzo di pressione dallo stato bielorusso, si sono schiantati contro il filo spinato del confine polacco, affrontando i robocop armati dell’Unione Europea. Le “grandi democrazie” erano molto meno “accoglienti”, nonostante la sofferenza ben evidente di persone che morivano di freddo e di fame. Qual è la realtà dietro la geometria variabile di questa falsa compassione, questa cosiddetta solidarietà degli Stati? La borghesia si è preoccupata nella maggior parte dei paesi “ospitanti” di creare uno “status speciale” per gli ucraini, totalmente distinto da quello degli altri rifugiati, al fine di creare opposizioni e divisioni nella popolazione e nella classe operaia. In Belgio, per esempio, il governo ha deciso di dare agli ucraini uno status ben distinto dagli altri rifugiati di guerra. Mentre questi ultimi di solito devono prima sottoporsi a una severa selezione e controllo per ricevere un’eventuale autorizzazione a lavorare nel paese “ospitante”, i cittadini ucraini l’ottengono subito e ricevono anche un sussidio molto più alto degli altri. Anche l’importo della loro indennità è superiore al salario minimo dei dipendenti “locali” ... Questa sporca manovra al servizio della propaganda imperialista permette non solo al governo di creare l’antagonismo tra gli ucraini e gli altri rifugiati ma anche di suscitare un ulteriore fattore di divisione e un clima di concorrenza all’interno della classe operaia.
Una minoranza dei rifugiati ucraini, altamente qualificati, sarà integrata per la gioia della borghesia in certi paesi, come la Germania, che hanno una significativa carenza di questo tipo di manodopera. Per gli altri, la stragrande maggioranza, il loro afflusso massiccio porrà grandi problemi alla borghesia europea, incapace di assorbirli. Prima o poi, nel prossimo periodo, questi saranno comunque esposti, nella loro grande maggioranza, al fiato nauseabondo dell’ideologia populista, e serviranno da capro espiatorio per i problemi sociali ed economici che tutta la borghesia in quel momento avrà interesse a mettere in evidenza.
E’ prioritario per i proletari non cedere al canto delle sirene di queste campagne umanitarie e respingere le loro trappole ideologiche rifiutando categoricamente qualsiasi unione sacra con i loro sfruttatori di fronte alla guerra. Ma allo stesso tempo devono lottare per difendere i propri interessi di classe di fronte all’intensificarsi della crisi e degli attacchi bellici. Solo attraverso lo sviluppo internazionale di questa lotta, al di là delle frontiere e dei conflitti creati dalla classe dominante, potranno esprimere pienamente la loro solidarietà di classe con i rifugiati e con tutte le vittime della crescente barbarie del capitalismo, offrendo loro una prospettiva: quella di una società liberata dalla legge del profitto e dalle dinamiche letali del sistema.
Wim, 3 aprile 2022
Dopo il suo passaggio nel campo della borghesia, il trotskismo non ha mai perso un’occasione per attaccare la coscienza della classe operaia spingendo i proletari a prendere la difesa di un campo imperialista contro un altro nei vari conflitti che si sono succeduti dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il loro posizionamento di fronte al caos guerriero che devasta l’Ucraina lo conferma ancora una volta. Questi cani da guardia del capitalismo oscillano tra prese di posizione apertamente belliciste, con l’appello a schierarsi dietro uno dei campi in lotta, e altre, apparentemente più “sottili” e “radicali”, ma che comunque giustificano il proseguimento della barbarie guerriera. Le menzogne e le mistificazioni del trotskismo sono un vero veleno per la classe operaia, destinate a disorientarla attraverso la maschera di un marxismo che non ne ha che il nome!
La posizione del Nuovo Partito Anticapitalista (NPA) in Francia appartiene alla categoria dei bellicisti dichiarati: “No alla guerra! Solidarietà con la resistenza del popolo ucraino! (…) In situazioni come quella attuale in Ucraina, finché i bombardamenti continueranno e finché le truppe russe saranno in campo, ogni posizione ‘pacifista’ astratta del tipo appello alla ‘calma’, a ‘cessare le violenze’ o al ‘cessate il fuoco’, finisce di fatto con il mettere le parti sullo stesso piano ed equivale a una negazione dei diritti degli Ucraini a difendersi, anche militarmente.” Non si può essere più chiari! Questo covo borghese chiama apertamente i proletari a servire da martiri per la difesa della Patria. In altre parole per la difesa di quel capitale nazionale che vive del loro sfruttamento.
E’ con lo stesso cinismo, ma in maniera molto più sottile e con la perfidia del suo doppio linguaggio che un altro gruppo trotskista francese, Lutte Ouvrière (LO), fa finta, in nome della “difesa dell’internazionalismo”, di condannare una guerra che “si fa sulla pelle dei popoli”, per poi chiamare i proletari a servire da carne da cannone, in nome della “resistenza all’imperialismo” e del “diritto dei popoli all’autodeterminazione”… , dietro la propria borghesia nazionale. La sua candidata alle elezioni presidenziali francesi, Nathalie Artaud, non esita a spingere “i lavoratori” alla difesa del povero piccolo Stato ucraino contro la Russia “burocratica” e l’America “imperialista”: “Putin, Biden e gli altri dirigenti dei paesi della NATO si lanciano in una guerra sulla pelle dei popoli per i quali gli uni e gli altri condividono lo stesso disprezzo”. Come se Zelensky e la sua cricca di oligarchi corrotti non fossero a loro volta responsabili dello sfruttamento della popolazione ucraina e in particolare della classe operaia i cui uomini sono costretti a partire in guerra per degli interessi che non sono i loro.
Il Movimento Socialista dei lavoratori (MTS), membro sudamericano della cosiddetta IV Internazionale, a sua volta denuncia sia l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che l’ingerenza della NATO. Ma dietro questa presa di posizione apparentemente internazionalista si ritrova questa volta il riconoscimento del “diritto all’autodeterminazione del popolo del Donbass” che è esattamente l’alibi usato da Putin per invadere l’Ucraina!
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, la Tendenza Bolscevica Internazionalista (IBT) sviluppa una posizione ancora più sottile: in un articolo intitolato “Disfattismo rivoluzionario e internazionalismo proletario” dopo aver ricordato la posizione già ambigua di Lenin secondo cui “in tutti i paesi imperialisti, il proletariato deve ora augurarsi la sconfitta del proprio governo” (quello che lui chiama “doppio disfattismo”), la IBT aggiunge: “il doppio disfattismo non si applica quando un paese imperialista attacca un paese non imperialista in quella che è effettivamente una guerra di conquista. In tali casi i marxisti non si limitano ad augurarsi la sconfitta del loro proprio governo imperialista, ma favoriscono attivamente la vittoria militare dello Stato non imperialista” (tradotto dall’inglese ed evidenziato da noi). Basta quindi definire l’Ucraina come uno Stato non imperialista e la scelta è presto fatta per spingere i proletari al massacro!
E’ vero che la IBT sfrutta fino all’assurdo una debolezza della posizione di Lenin sull’imperialismo[1]. L’errore dei bolscevichi e dell’Internazionale Comunista, che vivevano direttamente il passaggio del capitalismo dal suo periodo ascendente a quello della sua decadenza senza averne tirato tutte le implicazioni, è comprensibile. Ma dopo un secolo di guerre di aggressione di ogni paese contro un altro (l’Iraq contro il Kuwait, l’Iran contro l’Iraq, ecc.) difendere la stessa posizione è pura mistificazione!
Tutta questa mistificazione è basata sulla parola d’ordine borghese del “diritto dei popoli all’autodeterminazione”, che considera l’imperialismo una lotta fra le sole “grandi potenze”. Ma, come affermava Rosa Luxemburg nel 1916 nel suo opuscolo “La crisi della socialdemocrazia” (Juniusbroshure), “La politica imperialista non è l’opera di uno o più Stati, è il prodotto di un determinato grado di maturità dello sviluppo mondiale del capitale, un fenomeno per sua natura internazionale, un tutto indivisibile, che è intelligibile solo nell’insieme dei suoi nessi e alla quale nessuno Stato può singolarmente sottrarsi”.
Le cosiddette lotte di difesa nazionale non possono più fare parte delle rivendicazioni della classe operaia e costituiscono, al contrario, un vero veleno per la sua lotta rivoluzionaria, una mistificazione finalizzata, dietro una verbosità rivoluzionaria, a irreggimentare i proletari dietro le bandiere dell’imperialismo, quale che sia il campo che essi scelgono di sostenere!
H., 27 marzo 2922
[1] Considerando l’imperialismo come la politica delle grandi potenze imperialiste, Lenin non è sempre chiaro sulla questione dell’imperialismo, a differenza di Rosa Luxemburg.
Lo scatenarsi della barbarie guerriera in Ucraina minaccia sempre di più il mondo intero con "danni" collaterali, tra cui in particolare una maggiore miseria nel mondo, un peggioramento considerevole degli attacchi economici contro la classe operaia: intensificazione dello sfruttamento, aumento della disoccupazione, inflazione.
Oltre alle minacce di possibili attacchi nucleari annunciati dalla Russia e al rischio che nubi radioattive fuoriescano dalle centrali nucleari ucraine danneggiate dai combattimenti, le misure adottate o previste da un certo numero di paesi per mettere in ginocchio l'economia russa comportano il rischio di destabilizzare l'economia mondiale. Peraltro, tragico esempio dell'attuale escalation bellica, la forte tendenza all'aumento dei bilanci militari (illustrata in particolare dall'improvvisa decisione di raddoppiarli in Germania) costituirà un ulteriore fattore di indebolimento della situazione economica dei paesi coinvolti.
Le misure di ritorsione economiche contro la Russia comporteranno penurie di materie prime in gran parte dei paesi europei e la perdita di mercati in Russia per alcuni di essi. I prezzi delle materie prime aumenteranno stabilmente e, di conseguenza, quelli di molte altre merci. La recessione si estenderà a tutto il mondo ed è su questa scala che aumenteranno la miseria e lo sfruttamento della classe operaia.
Siamo ben lungi dall'esagerare, come dimostrano queste dichiarazioni di esperti tedeschi destinate a un "pubblico informato" preoccupato di prevedere il futuro per difendere al meglio gli interessi della borghesia: "Si tratta quindi di una grave crisi economica in Germania e quindi in Europa". "Crolli di imprese e maggiore disoccupazione” si profilerebbero allora all'orizzonte e per molto tempo: "Non parliamo di tre giorni o tre settimane", ma di "tre anni"[1]. In questo contesto, i prezzi dell'energia costantemente aumentati a livelli storici avrebbero conseguenze che si estenderebbero ben oltre la Germania e l'Europa e colpirebbero in particolare i paesi poveri. In definitiva, un tale aumento dei prezzi dell'energia potrebbe, si diceva ieri, "portare al collasso interi stati dell'Asia, dell'Africa e del Sud America"[2].
L'ampiezza e la profondità delle misure adottate contro la Russia, nonostante la loro innegabile severità, non spiegano però da sole lo tsunami economico che colpirà il mondo. Qui dobbiamo sottolineare l'attuale livello di deterioramento dell'economia mondiale, che è il prodotto di un lungo processo di aggravamento della crisi mondiale del capitalismo. Ma su questa questione gli "esperti" tacciono sempre, per non dover ammettere che la causa dello smembramento del capitalismo mondiale risiede nella sua crisi storica e insormontabile, così come sono attenti a non identificare questa guerra, come tutte quelle dalla prima guerra mondiale, come prodotto del capitalismo decadente. Né menzionano alcune conseguenze di una nuova caduta in crisi dell'economia e dell'accentuazione della guerra commerciale che da essa è inseparabile: un nuovo inasprimento delle tensioni imperialiste e una nuova corsa a capofitto nella guerra delle armi[3]. Seguendo una simile linea di difesa del capitalismo, alcuni sono preoccupati per le conseguenze molto probabili di una grave carenza di generi alimentari di base prodotti finora in Ucraina, in particolare disordini sociali in un certo numero di paesi, senza visibilmente preoccuparsi per le sofferenze delle popolazioni affamate.
La pandemia di Covid ha già dimostrato la crescente vulnerabilità dell'economia di fronte alla convergenza di una serie di fattori peculiari al periodo della vita del capitalismo dal crollo del blocco dell'Est e dalla consecutiva dissoluzione dei blocchi.
Una visione sempre più corta ha, infatti, portato il capitalismo a sacrificare, sull'altare dell'esigenze della crisi e della concorrenza economica mondiale, un certo numero di necessità imperative di qualsiasi sistema di sfruttamento, come quella di mantenere i propri sfruttati in buona salute. È così che il capitalismo non ha fatto nulla per impedire lo scoppio della pandemia di Covid-19, che è essa stessa un puro prodotto sociale, per quanto riguarda la sua trasmissione dagli animali all'uomo e la sua diffusione nel globo, dal momento che gli scienziati avevano avvertito del suo pericolo. Inoltre, il deterioramento del sistema sanitario verificatosi negli ultimi trent'anni ha contribuito a rendere la pandemia molto più letale. Allo stesso modo, l'entità del disastro e le sue ripercussioni sull'economia sono state favorite dall'esacerbarsi del ciascuno per sé a tutti i livelli della vita sociale (una caratteristica dell'attuale fase di decomposizione del capitalismo) aggravando così le classiche manifestazioni della concorrenza, e dando luogo a episodi inverosimili come la guerra delle mascherine, dei respiratori, dei vaccini... tra paesi ma anche tra servizi statali o privati all'interno di uno stesso paese. Milioni di persone sono morte in tutto il mondo, e la parziale paralisi dell'attività economica e la sua disorganizzazione hanno generato nel 2020 la peggiore depressione dalla seconda guerra mondiale.
Colpendo l'economia dappertutto nel mondo, la pandemia ha anche rivelato nuovi ostacoli per la produzione capitalista, come la maggiore vulnerabilità delle svariate catene di approvvigionamento. Basta infatti che un singolo anello della filiera sia difettoso o non funzionante a causa di malattie, instabilità politica o disastri climatici, perché il prodotto finale subisca un ritardo talvolta molto significativo, incompatibile con le esigenze della commercializzazione. Così, in alcuni paesi, non è stato possibile commercializzare un numero considerevole di auto perché immobilizzate sulle catene di montaggio in attesa di pezzi mancanti, provenienti in particolare dalla Russia. Il capitalismo si trova così di fronte all'effetto boomerang dell'eccessiva "globalizzazione" dell'economia che la borghesia aveva progressivamente sviluppato a partire dagli anni '80 per migliorare la redditività del capitale attraverso l'esternalizzazione di parte della produzione svolta da manodopera molto più a buon mercato.
Inoltre, il capitalismo è sempre più confrontato con le catastrofi derivanti dagli effetti del riscaldamento globale (incendi mostruosi, fiumi che sfondano violentemente gli argini, inondazioni diffuse, ecc.) che colpiscono in modo sempre più significativo non solo il settore agricolo ma tutta la produzione. Il capitalismo paga così il prezzo dello sfruttamento e della distruzione implacabile della natura dal 1945 (e il cui impatto è diventato più ampiamente percepibile a partire dagli anni '70) da parte dei vari capitali in competizione tra loro nella ricerca di nuove e sempre più ristrette fonti di profitto.
Il quadro che abbiamo appena abbozzato non cade dal cielo, ma è il culmine di oltre cento anni di decadenza del capitalismo, iniziata dalla prima Guerra mondiale, durante la quale questo sistema ha dovuto confrontarsi costantemente con gli effetti della crisi da sovrapproduzione, che troviamo al centro di tutte le contraddizioni del capitalismo. L’abbiamo trovata all'origine di tutte le recessioni di questo periodo: la Grande Depressione degli anni '30 e, dopo una parvenza di ripresa economica nel periodo 1950/60, che alcuni hanno chiamato i "Trent'anni gloriosi", la crisi aperta del capitalismo è riapparsa a fine degli anni 60. Ciascuna delle sue espressioni si traduce in una recessione più grave della precedente: 1967, 1970, 1975, 1982, 1991, 2001, 2009. Ogni volta la macchina economica ha dovuto essere riavviata attraverso debiti che, in proporzione sempre maggiore, non potranno che essere ripagati se non da nuovi debiti, e così via ... Sebbene che ogni nuova manifestazione aperta della crisi sia più devastante, il mezzo messo in atto per affrontarla, l'indebitamento, costituisce una minaccia crescente per la stabilità economica.
Un rallentamento della crescita a dieci anni dal crollo finanziario del 2008 ha richiesto un nuovo rilancio dell'indebitamento mentre il calo produttivo verificatosi nel 2020, inteso come abbiamo visto a sostenere l'economia di fronte a un insieme di fattori "nuovi" (pandemia, riscaldamento globale, vulnerabilità delle catene di approvvigionamento...) ha comportato un nuovo record del debito globale che tende a scollegarlo ulteriormente dall'economia reale (è balzato al 256% del valore del PIL mondiale). E questa situazione non è banale, perché costituisce un fattore di svalutazione delle valute e quindi sviluppo dell'inflazione. Un aumento duraturo dei prezzi comporta il rischio di agitazioni sociali di vario genere (movimenti interclassisti, lotte di classe) e costituisce un ulteriore ostacolo al commercio mondiale. Per questo la borghesia sarà sempre più costretta a confrontarsi in un gioco di equilibri – che, sebbene a lei familiare, sta diventando sempre più pericoloso – nel farsi carico di due necessità antagoniste:
E tutto questo in un contesto tendente alla stagnazione economica che si coniuga con un'elevata inflazione.
Inoltre, una situazione del genere favorisce lo scoppio di bolle speculative che possono contribuire a destabilizzare l'attività e il commercio mondiale (come nel settore immobiliare negli Stati Uniti nel 2008, in Cina nel 2021).
Di fronte a ciascuna delle calamità di questo mondo, che provenga dalla guerra o dalle manifestazioni della crisi economica, la borghesia ha sempre a sua disposizione una panoplia di false spiegazioni che, nella loro grande diversità, hanno tutte in comune il fatto di non mettere mai in discussione il capitalismo di fronte ai mali che travolgono l'umanità.
Nel 1973 (un anno che è stato un momento dell'aggravarsi della crisi aperta, divenuta più o meno permanente) l'andamento della disoccupazione e dell'inflazione venne spiegato con l'aumento del prezzo del petrolio.
Ora, l'aumento del prezzo del petrolio è un incidente del commercio capitalista e non colpa di un'entità che sarebbe al di fuori di questo sistema[4].
La situazione attuale è un'ulteriore dimostrazione di questa regola. La guerra in Ucraina diventa colpa della Russia totalitaria e non del capitalismo in crisi, come se questo Paese non facesse parte a pieno titolo del capitalismo mondiale.
Di fronte alle prospettive di un notevole aggravamento della crisi economica, la borghesia prepara il terreno per far accettare ai proletari i terribili sacrifici che verranno loro imposti e presentati come conseguenza delle misure di rappresaglia contro la Russia. Il suo discorso è già il seguente: "la popolazione può ben accettare di riscaldarsi o di sfamarsi un po' meno in solidarietà con il popolo ucraino, perché questo è il costo dello sforzo necessario per indebolire la Russia".
Dal 1914 la classe operaia ha vissuto un inferno: come carne da cannone nelle due guerre mondiali e in conflitti regionali incessanti e mortali; come vittima della disoccupazione di massa durante la Grande Depressione degli anni '30; altre volte costretta a rimboccarsi le maniche per la ricostruzione di paesi ed economie sconvolti da due guerre mondiali; e dal ritorno della crisi economica globale alla fine degli anni '60 gettata anche nella precarietà o nella povertà ad ogni nuova recessione
Di fronte a un nuovo tonfo della crisi economica, di fronte a minacce di guerra sempre più pesanti, la classe operaia andrebbe in rovina se ascoltasse di sottoporsi ad ulteriori sacrifici richiesti dalla borghesia. Al contrario, essa deve sfruttare le contraddizioni del capitalismo espresse dalla guerra e dagli attacchi economici per spingere più avanti e in modo più cosciente possibile la sua lotta di classe per il rovesciamento del capitalismo.
Silvio, 26 marzo 2022
[1] - "Habeck: esaminare i mezzi per moderare i prezzi dell'energia", Sueddeutsche (8 marzo 2022)
[2] - "Gli Stati Uniti mettono in agenda l'embargo petrolifero", Frankfurter Allgemeine Zeitung (8 marzo 2022).
[3] - "Risoluzione sulla situazione internazionale [129]", Revue internationale n°63 (giugno 1990). (in francese)
[4] - Leggi il nostro articolo, L'aumento dei prezzi del petrolio: una conseguenza e non la causa della crisi, [130] Revue internationale n°19 (4° trimestre 1979) (in francese)
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VOLANTINO INTERNAZIONALE
L’Europa è entrata in guerra. Non è la prima volta dopo la seconda carneficina mondiale del 1939-45. All’inizio degli anni ‘90, la guerra aveva devastato l’ex Jugoslavia, provocando 140.000 morti con massacri di massa di civili, in nome della “pulizia etnica”, come a Srebrenica, nel luglio del 1995, dove 8.000 uomini e adolescenti furono assassinati a sangue freddo. La guerra appena scoppiata con l’offensiva delle armate russe contro l’Ucraina non è per il momento tanto mortale, ma nessuno può sapere quante vittime farà alla fine. Per ora, essa ha una portata ben più grande della guerra nella ex-Jugoslavia. Oggi, non sono le milizie o dei piccoli Stati che si combattono tra loro. La guerra attuale è tra i due Stati più estesi d’Europa, con 150 milioni e 45 milioni di abitanti e con imponenti eserciti di 700.000 uomini per la Russia e oltre 250.000 per l’Ucraina.
Inoltre, se le grandi potenze si erano già implicate negli scontri nell’ex Jugoslavia, questo era avvenuto in maniera indiretta o partecipando a “forze di interposizione”, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Oggi, non è solo l’Ucraina che la Russia affronta, ma l’insieme dei paesi occidentali raggruppati nella NATO che, anche se non partecipano in maniera diretta agli scontri, hanno preso delle sanzioni economiche significative contro questo paese mentre hanno iniziato al tempo stesso a inviare armi all’Ucraina.
Così, la guerra che è cominciata costituisce un evento drammatico della massima importanza, prima di tutto per l’Europa, ma anche per il mondo intero. Questa guerra ha già provocato migliaia di morti tra i soldati di entrambe le parti e tra i civili. Ha gettato per le strade centinaia di migliaia di profughi. E causerà ulteriori aumenti del prezzo dell’energia e del pane, sinonimi di freddo e fame, mentre nella maggior parte dei paesi del mondo, gli sfruttati, i più poveri, hanno già visto crollare le loro condizioni di vita di fronte all’inflazione. Come sempre, è la classe che produce la maggior parte della ricchezza sociale, la classe operaia, che pagherà il prezzo più alto per le azioni belliche dei padroni del mondo.
Questa tragedia della guerra non può essere separata da tutto ciò che è avvenuto nel mondo negli ultimi due anni: pandemia, aggravarsi della crisi economica, moltiplicarsi di catastrofi ecologiche. Tutto questo è una chiara manifestazione dello sprofondamento del mondo nella barbarie.
Le bugie della propaganda di guerra
Ogni guerra è accompagnata da massicce campagne di menzogne. Per far accettare alle popolazioni, e in particolare agli sfruttati, i terribili sacrifici che si chiedono loro, il sacrificio delle vite di coloro che vengono inviati al fronte, il lutto delle loro madri, dei loro compagni, dei loro figli, il terrore delle popolazioni civili, le privazioni e l’aggravamento dello sfruttamento, bisogna riempire loro la testa.
Le bugie di Putin sono grossolane e rispecchiano quelle del regime sovietico in cui ha avuto inizio la sua carriera come ufficiale del KGB, l’organizzazione di polizia politica e dei servizi di spionaggio. Egli pretende di far credere che sta conducendo una “operazione militare speciale” per venire in aiuto alle popolazioni del Donbass vittime di “genocidio” e proibisce ai media, sotto pena di sanzioni, di usare la parola “guerra”. A suo dire, vorrebbe liberare l’Ucraina dal “regime nazista” che la governa. È vero che le popolazioni russofone dell’est sono perseguitate dalle milizie nazionaliste ucraine, spesso nostalgiche del regime nazista, ma non si tratta di un genocidio.
Le bugie dei governi e dei media occidentali sono di solito più sottili, anche se non sempre: gli Stati Uniti e i loro alleati, tra cui il democraticissimo Regno Unito, la Spagna, l’Italia e ... l’Ucraina (!) avevano fatto passare l’intervento in Iraq del 2003 in nome della minaccia - totalmente inventata - delle “armi di distruzione di massa” nelle mani di Saddam Hussein. Un intervento che ha provocato diverse centinaia di migliaia di morti e due milioni di profughi tra la popolazione irachena, oltre a diverse decine di migliaia di morti tra i soldati della coalizione.
Oggi, i leader “democratici” e i media occidentali ci danno in pasto la favola della lotta tra “l’orco cattivo” Putin e il “piccolo cucciolo gentile” Zelensky. Che Putin sia un cinico criminale, lo sappiamo da tempo. Sembra averne anche le sembianze. Zelensky al contrario non ha la stessa fedina penale di Putin ed è stato, prima di entrare in politica, un popolare attore comico (disponendo per questo di una grande fortuna nei paradisi fiscali). Ma il suo talento comico gli ha permesso ora di entrare con brio nel suo nuovo ruolo di signore della guerra, di colui che proibisce agli uomini tra i 18 e i 60 anni di accompagnare le loro famiglie che vorrebbero rifugiarsi all’estero, di colui che invita gli ucraini a farsi uccidere per “la Patria”, cioè per gli interessi della borghesia e degli oligarchi ucraini. Perché qualunque sia il colore dei partiti di governo, qualunque sia il tono dei loro discorsi, tutti gli Stati nazionali sono anzitutto difensori degli interessi della classe sfruttatrice, della borghesia nazionale, di fronte agli sfruttati e di fronte alla concorrenza delle altre borghesie nazionali.
In ogni propaganda di guerra, ciascuno degli Stati si presenta come l’“aggredito” che deve difendersi dall’“aggressore”. Ma poiché tutti gli Stati sono in realtà dei briganti, è inutile chiedersi quale brigante abbia sparato per primo in un regolamento di conti. Oggi, Putin e la Russia hanno sparato per primi, ma in passato la NATO, sotto la tutela degli Stati Uniti, ha integrato nelle sue file molti paesi che, prima del crollo del blocco dell’est e dell’Unione Sovietica, erano dominati dalla Russia. Iniziando la guerra, il brigante Putin mira a recuperare parte del potere passato del suo paese, in particolare impedendo all’Ucraina di entrare nella NATO.
In realtà, dall’inizio del XX secolo, la guerra permanente, con tutte le terribili sofferenze che genera, è diventata inseparabile dal sistema capitalista, un sistema basato sulla concorrenza tra imprese e tra Stati, dove la guerra commerciale porta alla guerra delle armi, dove l’aggravarsi delle contraddizioni economiche, della crisi, suscita sempre più conflitti bellici. Un sistema basato sul profitto e lo sfruttamento feroce dei produttori, dove questi ultimi sono costretti a pagare con il loro sangue dopo aver pagato con il loro sudore.
Dal 2015, le spese militari mondiali sono in forte aumento. Questa guerra ha accelerato ancora più brutalmente questo processo. Come simbolo di questa spirale mortale ricordiamo: la Germania ha iniziato a consegnare armi all’Ucraina, una primizia storica dalla seconda guerra mondiale; ancora, per la prima volta, l’Unione Europea finanzia l’acquisto e la consegna di armi all’Ucraina; per finire il presidente russo Vladimir Putin minaccia di usare le armi nucleari per dimostrare la sua determinazione e capacità distruttiva.
Come mettere fine alla guerra?
Nessuno può prevedere esattamente come evolverà la guerra attuale, anche se la Russia dispone di un esercito molto più potente dell’Ucraina. Oggi, assistiamo nel mondo intero - ed anche in Russia - a numerose manifestazioni contro l’intervento di questo paese. Ma non sono queste manifestazioni che potranno mettere fine alle ostilità. La storia ha mostrato che la sola forza capace di mettere fine alla guerra capitalista è la classe sfruttata, il proletariato, il nemico diretto della classe borghese. Questo fu il caso quando gli operai della Russia rovesciarono lo Stato borghese nell’ottobre 1917 e quando gli operai e i soldati di Germania si rivoltarono nel novembre 1918, costringendo il loro governo a firmare l'armistizio. Se Putin ha potuto inviare centinaia di migliaia di soldati a farsi uccidere contro l’Ucraina, se molti ucraini oggi sono pronti a dare la vita per la “difesa della Patria”, è in gran parte perché in questa parte del mondo la classe operaia è particolarmente debole. Il crollo nel 1989 dei regimi che pretendevano di essere “socialisti” o “proletari” aveva inferto un colpo brutale alla classe operaia mondiale. Questo episodio aveva colpito i lavoratori che avevano condotto grandi lotte a partire dal 1968 e durante gli anni '70 in paesi come Francia, Italia e Regno Unito, ma molto più quelli dei paesi cosiddetti “socialisti”, come quelli della Polonia, che avevano combattuto in massa e con grande determinazione nell’agosto 1980, costringendo il governo a rinunciare alla repressione e a soddisfare le loro rivendicazioni.
Non è manifestando “per la pace”, non è scegliendo di sostenere un paese contro un altro che si può portare una vera solidarietà alle vittime della guerra, alle popolazioni civili e ai soldati di entrambe le parti, proletari in uniforme trasformati in carne da cannone. L’unica solidarietà consiste nel denunciare TUTTI gli Stati capitalisti, TUTTI i partiti che chiamano a raccolta dietro questa o quella bandiera nazionale, TUTTI coloro che ci adescano con l’illusione della pace e delle “buone relazioni” tra i popoli. L’unica solidarietà che può avere un impatto reale è lo sviluppo di lotte operaie massicce e coscienti ovunque nel mondo. E in particolare, consapevoli del fatto che costituiscono una preparazione al rovesciamento del sistema responsabile delle guerre e di tutta la barbarie che minaccia sempre più l’umanità, la barbarie del sistema capitalista.
Oggi, i vecchi slogan del movimento operaio apparsi nel Manifesto Comunista del 1848 sono più che mai all’ordine del giorno: “I proletari non hanno patria! Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
Per lo sviluppo della lotta di classe del proletariato internazionale!
Corrente Comunista Internazionale
28 febbraio 2022
Oggi la barbarie della guerra infuria nella Striscia di Gaza e continua in Ucraina. Continua anche la crisi ecologica, con nuovi record quest'anno in termini di consumo di combustibili fossili, nonostante tutti i discorsi di tutti gli Stati. Questi sono tutti sintomi e l'ennesima illustrazione della dinamica mortale in cui il capitalismo sta affondando la società e minacciando la vita di tutta l'umanità!
Lungi dal contrastare questa barbarie, la borghesia cerca dappertutto di farcela pagare. Cerca di imporci i suoi sforzi militari attraverso un'economia di guerra in cui l'attacco alle nostre condizioni di vita e di lavoro è all'ordine del giorno.
Dappertutto, la classe operaia sta alzando la testa di fronte a questa violenza della crisi, di fronte all'aumento vertiginoso dei prezzi, alla precarietà sistematica e alla disoccupazione di massa.
Negli ultimi anni, importanti lotte operaie sono esplose nei paesi centrali del capitalismo e in tutto il mondo e continuano ad emergere... Dal Regno Unito, durante l'estate del 2022, passando per le lotte in Francia, negli Stati Uniti ultimamente, in Spagna, Germania, Spagna, Corea, Grecia, Italia, Bangladesh oggi... Dappertutto, la classe operaia afferma che "quando è troppo è troppo" e si alza in piedi, non come cittadini che chiedono "diritti" e "giustizia", ma come sfruttati contro i propri sfruttatori. Da tre decenni, il mondo non vedeva una tale ondata di lotte simultanee in così tanti paesi o in un periodo di tempo così lungo.
Ma questa lista non indica solo il crescente livello di malcontento e di combattività della nostra classe. Rivela anche la più grande debolezza del nostro movimento oggi: nonostante la crescente solidarietà, le nostre lotte rimangono separate l'una dall'altra.
Sotto tutti gli aspetti, la situazione in Italia non fa eccezione...
Gli elettori che hanno votato per il partito di Meloni, Fratelli d'Italia, sperando in una politica diversa da quella di Draghi, con meno attacchi ai salari, alle pensioni, con meno tasse, con più investimenti nel sistema sanitario ecc. stanno pagando a loro spese questo anno di governo Meloni.
Era facile illudersi, immaginare una politica diversa visto il clamore mediatico: Fratelli d'Italia è stato l'unico partito a non appoggiare il governo Draghi! Meloni è una maestra del settore, un vero e proprio "camaleonte" come lo ha definito il quotidiano Politico Europe.
La realtà è diversa. Nel numero precedente del nostro giornale, nel sottotitolo "Cosa possono aspettarsi i proletari dal governo Meloni", abbiamo detto che "sul piano dell'economia e delle condizioni di vita, nient'altro che deterioramento. Qualche sussidio per le famiglie povere, una riduzione dell'Iva al 5% su alcuni prodotti non impediranno un ulteriore impoverimento delle famiglie a fronte di un'inflazione dell'11,8%! Così come la riduzione del reddito di cittadinanza, che già non ha fatto nulla per prevenire la precarietà e la miseria, è un'ulteriore provocazione per tante famiglie che si ritrovano senza assegno e senza reddito. "
Mentre il costo della vita è aumentato in modo sproporzionato, con un'inflazione all'8,1% l'anno scorso, e al 5,7% attualmente, i salari dei lavoratori italiani sono gli stessi di 20 anni fa!
In prospettiva, nel disegno di legge finanziaria 2024, si parla di ridurre le pensioni dei lavoratori del settore pubblico, soprattutto in ambito sanitario, di aumentare l'IVA dal 5 al 10% per i prodotti di base, al 22%, di aumentare la tassa sulle sigarette, per aumentare l'età e gli anni di servizio per andare in pensione mentre Salvini aveva promesso di abolire il Fornero.
Il quadro sociale italiano mostra un aumento spaventoso della povertà. Secondo il rapporto 2023 di Caritas Italiana sulla povertà e l'esclusione sociale (17/11/23), i dati confermano che – con oltre 5,6 milioni di poveri assoluti (il 9,7% della popolazione) – la povertà in Italia è un fenomeno strutturale e non più residuale come in passato. Una povertà che oggi presenta sempre più i connotati dell'"ereditarietà". L'Italia è il paese in Europa in cui la trasmissione intergenerazionale di condizioni di vita sfavorevoli è più intensa. E l'impennata dell'inflazione non fa che esacerbare questa situazione insostenibile per la maggior parte delle famiglie della classe operaia.
È sorprendente notare che quasi la metà delle famiglie in situazione di povertà assoluta ha un "capofamiglia" occupato! Questo significa che il lavoro non garantisce più una vita dignitosa e molti sono costretti ad accettare un secondo lavoro o a ridurre drasticamente le spese per cibo, alloggio, assistenza sanitaria o energia. È chiaro che i proletari devono fare delle scelte! E tutto questo contribuisce anche all'aumento dei conflitti familiari e sociali, portando a un degrado sociale dove i femminicidi si contano a decine.
La crisi energetica, nel contesto generale della crisi economica globale, ha spinto molte aziende a chiudere o ridurre la propria forza lavoro: 12.000 fallimenti o chiusure nel 2023. Anche se i licenziamenti sono "spettacolari" in grandi aziende come Alitalia, Electrolux, Whirpool, le aree e i settori più colpiti sono soprattutto le piccole e medie imprese. 12.000 aziende hanno chiuso o sono in crisi; Nell'acciaieria di Taranto c'è un alto rischio di chiusura, e lì si parla di 10.700 posti di lavoro diretti, più le decine di migliaia di piccole imprese dell’indotto.
Ma, sì, la classe operaia in Italia sta reagendo! La sua combattività diventa più visibile e le mobilitazioni di questi settori attraverso scioperi e manifestazioni sono permanenti. Questo vale anche per il settore sanitario, e per quanto riguarda i trasporti anche i ferrovieri sono in costante lotta a causa della mancanza di misure di sicurezza sul posto di lavoro e degli incidenti che continuano a verificarsi. Le loro reazioni al disastro ferroviario della fine di agosto, che ha ucciso cinque ferrovieri, hanno seguito reazioni analoghe in Grecia, dove gli operai hanno rifiutato le lamentele ipocrite di tutti i borghesi e hanno denunciato il deterioramento di tutte le condizioni di sicurezza sul lavoro! Nel trasporto aereo, la combattività si sta affermando sia per il personale di terra che per quello aereo.
I sindacati si vantano di difendere i lavoratori e sono in costante "conflitto" con i vari imprenditori e il governo. Partecipano a tavoli di mediazione, dialogano con i ministri, a volte si danno una postura radicale, un'immagine di difensori incondizionati della classe operaia, ma gli attacchi economici piovono sempre di più sulle nostre teste!! Il loro obiettivo è quindi quello di percepire lo stato d'animo della classe operaia, il suo livello di malcontento... Per dargli una prospettiva? No! Per deviare, sistematicamente... E quando la nostra rabbia ribolle, ci mobilitano uno dopo l'altro in uno sterile isolamento nel caso in cui ci siano tendenze all'unità. Sabotano costantemente il nostro bisogno di solidarietà, il bisogno di allargare questo spirito combattivo per essere più forti, per ritrovare la fiducia in noi stessi. E per rafforzare il loro ruolo di guardiani del sistema capitalista, di poliziotti sociali nelle aziende, si spingono fino a proporre ai padroni sistemi organizzativi migliori, come l'introduzione in Italia, sul modello britannico, della settimana corta di 4 giorni, a parità di retribuzione, per "ridistribuire i profitti e i guadagni di produttività della rivoluzione tecnologica (Landini, CGIL, febbraio 2023). È chiaro che i sindacati, in tutto il mondo, vogliono essere e sono organi attivi dello sfruttamento dei lavoratori!
La borghesia non può lasciare gli operai liberi di organizzarsi e difendersi dagli attacchi dei padroni, contro lo Stato. Crea costantemente nuove organizzazioni sindacali pronte a prendere il posto dei sindacati discreditati. USB, Cobas..., una serie di sindacati di "base" che si presentano come più radicali, ma la cui prima preoccupazione è quella di lasciare che ogni lotta rimanga isolata dalle altre.
Oltre ai sindacati, anche i partiti borghesi cercano di reagire a questo aumento della combattività operaia: il Partito Democratico, il Movimento 5 stelle e tutti i piccoli partiti contestano le varie leggi e progetti di legge che vengono presentati al parlamento, i vari decreti che dovrebbero sconvolgere la vita del paese, Queste misure sono infatti solo una continuazione delle scelte economiche dei governi precedenti. È vero che i Fratelli d'Italia della Meloni hanno votato contro le misure del governo Draghi, a differenza di tutti gli altri partiti, ma la Meloni non può fare altro che continuare le scelte economiche precedenti, e persino peggiorarle. A complicare la situazione c'è l'enorme debito pubblico, dell'ordine di 2850 miliardi, pari al 143% del PIL.
Questi partiti, PD, Movimento 5stelle, ecc. hanno adottato politiche simili a quella della Meloni e ora la criticano per una legge di bilancio che non dà soldi al sistema sanitario, alle scuole, ecc.
Per Rifondazione Comunista, la soluzione ai padroni e alla Meloni sarebbe quella di "imporre" allo Stato la difesa dei lavoratori con la proposta di nazionalizzare l'ex Ilva ad esempio: " Se non vogliono essere responsabili del disastro annunciato, i nostri sovranisti dovrebbero prendere rapidamente l'unica decisione conforme agli interessi del Paese che consentirebbe la conservazione della produzione strategica, la riconversione ecologica della produzione, il completo recupero del sito produttivo e l'occupazione di tutti i lavoratori: la nazionalizzazione delle Acciaierie d'Italia ". C’è tutto quì! Difesa della produzione nazionale, della strategia statale avvolta in una patina ecologica "nazionale" (Cercate l'errore!) da parte di uno Stato che dovrebbe rappresentare gli interessi dei lavoratori mentre ci attacca ogni giorno con una violenza inaudita! Non ci sono nemici peggiori di quelli che si presentano come nostri amici nel modo più spudorato! Fanno finta di non sapere che anche l’Alitalia è stata “salvata” (con decine di miliardi di euro) dallo Stato, con il risultato che oggi licenzia i poco pi di 2.000 lavoratori rimasti. Nel capitalismo il destino di un’azienda, e dei posti di lavoro, non è decisa da quale è la proprietà, pubblica o privata, ma dalle leggi del mercato: se non produce profitto chiude, punto e basta!
Un senso di solidarietà sta gradualmente crescendo nella classe operaia man mano che capiamo che siamo "tutti sulla stessa barca" di fronte agli implacabili attacchi economici. C'è anche un crescente rifiuto di stringere la cinghia in nome dell'economia di guerra. Invece di moltiplicare le lotte locali e corporative, isolate l'una dall'altra, abbiamo bisogno di riunirci in massa, discutere la prospettiva delle lotte. Anche se questa prospettiva è ancora fragile, è questa dinamica che è contenuta in tutte le lotte operaie di oggi.
Tutti gli scioperi, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, dimostrano che è in corso una vera e propria rottura nella dinamica della lotta operaia. Una rottura dopo decenni di apatia dell classe. Se non ci sono esplosioni spettacolari, sistematiche e simultanee lotte operaie, ovunque nel mondo è in atto tutta una maturazione della coscienza, in particolare in Europa, Italia compresa, una maturazione che si manifesta con la crescita della combattività, ma anche con un processo di riflessione più profondo, più sotterraneo, su come reagire a questa situazione di deterioramento delle condizioni di vita.
In Europa, fino ad ora, sono stati in gran parte i dipendenti del settore pubblico a mobilitarsi, la paura di perdere il lavoro è stata un ostacolo decisivo per i dipendenti delle aziende private. Ma, di fronte a condizioni di sfruttamento sempre più insostenibili, saremo tutti spinti alla lotta. La borghesia si sta preparando e noi dovremo affrontarla nella lotta, contro i sindacati.
I lavoratori devono contare sulla loro forza, sulla loro comune natura di classe sfruttata, sul prendere in mano le lotte, solo così potranno difendere i loro interessi.
Oblomov, dicembre 2023
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/tag/1/23/rivoluzione-internazionale
[2] https://it.internationalism.org/files/it/covid_volantino_internaz.pdf
[3] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[4] https://it.internationalism.org/
[5] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/interventi
[6] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[7] https://it.internationalism.org/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[8] https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia
[9] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[10] https://it.internationalism.org/content/1534/guerra-delle-mascherine-la-borghesia-e-una-classe-di-delinquenti
[11] https://fr.internationalism.org/content/10023/seule-lutte-massive-et-unie-peut-faire-reculer-gouvernement
[12] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria
[13] https://it.internationalism.org/content/1525/lotte-francia-governo-e-sindacati-mano-nella-mano-far-passare-la-riforma
[14] https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati
[15] https://it.internationalism.org/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[16] https://it.internationalism.org/tag/3/43/comunismo
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[18] https://world.internationalism.org
[19] https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-parafulmine-a7d91226-ac48-408b-bb43-35ef5992817b.html
[20] https://www.corriere.it/salute/20_dicembre_22/coronavirus-italia-bollettino-oggi-22-dicembre-13318-nuovi-casi-628-morti-6e2b9f86-444b-11eb-850e-8c688b971ab0.shtml
[21] https://www.ilsole24ore.com/art/terapie-intensive-occupate-20percento-mancano-9mila-medici-e-infermieri-ADt9EMy
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[78] https://www.n-tv.de/politik/Warum-warnten-nicht-ueberall-Sirenen-vor-der-Flut-article22692234.html
[79] https://www.welt.de/politik/deutschland/article232656933/Annalena-Baerbock-Klimaschutz-faellt-nicht-vom-Himmel.html
[80] https://it.internationalism.org/content/1461/il-capitalismo-minaccia-il-pianeta-e-la-sopravvivenza-dellumanita-solo-la-lotta
[81] http://www.lastampa.it/politica/2021/10/04/news/affluenza-elezioni-2021-alle-urne-il-54-69-degli-italiani-nelle-grandi-citta-record-negativo
[82] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwilqMyb1s7zAhUM16QKHYpeDpQQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fit.internationalism.org%2Fen%2Fnode%2F1584&usg=AOvVaw3c7FWG7pUjf0tM0iiXrV9g
[83] https://www.fondazionebrf.org/osservatorio-suicidi/
[84] https://www.fatebenefratelli.it/blog/crisi-economica-coronavirus-effetti-lavoratori-imprenditori-italiani
[85] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwidj_W31c7zAhWG66QKHeEXALYQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Feconomia%2Fopinioni%2F21_settembre_16%2Flavoro-covid-ha-cancellato-12-milioni-posti-ne-abbiamo-recuperati-per-ora-523-mila-095bfae4-1522-11ec-87fe-df13c0096efb.shtml&usg=AOvVaw3TipBH38DXFEjJzLgzKkk6
[86] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwips5uM187zAhWMM-wKHQn1Dn0QFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fit.internationalism.org%2Fcontent%2F1419%2Felezioni-italia-il-populismo-un-problema-la-borghesia-un-ostacolo-il-proletariato&usg=AOvVaw2hXD2oKOVF-8c48ZOvxPCy
[87] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj1za6f187zAhWMqqQKHZWEB0QQFnoECAMQAQ&url=https%3A%2F%2Fit.internationalism.org%2Fcontent%2F1492%2Fcome-si-e-arrivati-al-governo-conte-bis-ovvero-la-italiana-al-contrasto-del-populismo&usg=AOvVaw3mGE0a0UdddHLfZYVVTEwH
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[93] https://en.internationalism.org/ir/108_machiavel.htm
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[95] https://es.internationalism.org/revista-internacional/200510/233/pearl-harbor-1941-torres-gemelas-2001-el-maquiavelismo-de-la-burgue
[96] https://it.internationalism.org/tag/3/49/imperialismo
[97] https://it.internationalism.org/tag/3/54/terrorismo
[98] https://it.internationalism.org/tag/4/92/afganistan
[99] https://it.internationalism.org/tag/4/83/medio-oriente
[100] https://it.internationalism.org/content/1557/i-gruppi-della-sinistra-comunista-di-fronte-al-movimento-black-lives-matter-lincapacita
[101] mailto:[email protected]
[102] https://it.internationalism.org/tag/4/76/olanda
[103] https://it.internationalism.org/tag/3/50/internazionalismo
[104] https://it.internationalism.org/files/it/rivoluzione_internazionale_189.pdf
[105] https://it.internationalism.org/content/1704/di-fronte-allaccelerazione-della-barbarie-capitalista-una-sola-risposta-la-lotta-di
[106] https://it.internationalism.org/content/1713/il-governo-meloni-una-ulteriore-espressione-delle-crescenti-difficolta-della-borghesia
[107] https://it.internationalism.org/content/1705/leconomia-mondiale-nel-vortice-della-decomposizione-del-capitalismo
[108] https://it.internationalism.org/content/1701/limperialismo-americano-un-fattore-primario-del-caos-capitalista
[109] https://it.internationalism.org/content/1702/il-ritorno-della-combattivita-del-proletariato-mondiale
[110] https://it.internationalism.org/content/1709/smascherato-il-mito-della-neutralita-e-del-non-allineamento
[111] https://it.internationalism.org/content/1711/tutti-i-sindacati-sono-contro-la-lotta-della-classe-operaia
[112] https://it.internationalism.org/content/1682/un-bilancio-degli-incontri-pubblici-sulla-dichiarazione-congiunta-dei-gruppi-della
[113] https://it.internationalism.org/content/1695/sulla-storia-dei-gruppi-no-war-class-war
[114] https://it.internationalism.org/files/it/rivoluzione_internazionale_n_188.pdf
[115] https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglione_Azov
[116] https://it.internationalism.org/files/it/dichiarazione_comune_guerra_ucraina.pdf
[117] https://it.internationalism.org
[118] https://www.istitutoonoratodamen.it/
[119] https://en.internationalistvoice.org/
[120] http://communistleft.jinbo.net/xe/
[121] https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[122] https://it.internationalism.org/content/1628/esacerbazione-delle-tensioni-tra-le-grandi-potenze-e-instabilita-delle-alleanze
[123] https://it.internationalism.org/content/1614/il-proletariato-delleuropa-occidentale-al-centro-della-generalizzazione-della-lotta
[124] https://it.internationalism.org/content/rapporto-sulla-struttura-e-sul-funzionamento-delle-organizzazioni-rivoluzionarie-conferenza
[125] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[126] https://en.internationalism.org/content/3154/zimmerwald-1915-1917-war-revolution
[127] https://it.internationalism.org/cci/201512/1345/prima-guerra-mondiale-conferenza-di-zimmerwald-le-correnti-centriste-nelle-organizza
[128] https://it.internationalism.org/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/movimento-di-zimmerwald
[129] https://fr.internationalism.org/rinte63/reso.htm
[130] https://fr.internationalism.org/rinte19/crise.htm
[131] https://it.internationalism.org/files/it/volantino_vd_0.pdf
[132] https://it.internationalism.org/tag/4/91/russia-caucaso-asia-centrale
[133] https://it.internationalism.org/files/it/rz_189.pub_.pdf
[134] https://it.internationalism.org/files/it/rz_190.pdf
[135] https://it.internationalism.org/files/it/rz_191.pdf