Il governo Meloni: una ulteriore espressione delle crescenti difficoltà della borghesia italiana

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La caduta del governo Draghi

In piena crisi Covid, lo scorso anno, la borghesia italiana deve fare i conti ancora una volta con le forze centrifughe operanti nel suo apparato politico che determinano la caduta del governo Conte bis. Riesce tuttavia a farvi fronte con la formazione del governo Draghi che coinvolge tutti i partiti, tranne Fratelli d’Italia, impegnandoli nella necessaria assunzione di responsabilità rispetto alla situazione estremamene difficile per le ripercussioni sul piano economico, sanitario e sociale della pandemia. Tuttavia, come abbiamo detto all’epoca “… il fatto che Mattarella sia riuscito a trovare la soluzione rispetto ad una specifica situazione non significa aver sanato il problema una volta per tutte. L’attuale relativa stabilità che la borghesia ha trovato con il governo Draghi è effimera perché, se nell’immediato funziona, nasconde una serie di problemi a livello sanitario, di instabilità politica, a livello di crisi economica e naturalmente a livello sociale. Il governo Draghi non è eterno e l’effetto narcotico sulle intemperanze dei partiti ha dei tempi limitati… Questa turbolenza politica dei partiti della borghesia non tarderà a manifestarsi in un prossimo futuro in forme più radicali, mettendo sempre più in discussione gli interessi del paese, anche quelli strettamente borghesi, …”[1]. Ed ecco che a metà luglio scorso cade il governo Draghi, in una situazione resa ancora più difficile dallo scoppio della guerra in Ucraina e le pressioni degli USA sulla EU a cui l’Italia non può sottrarsi e i cui effetti si aggiungono e aggravano quelli dovuti alla pandemia. Nonostante il governo Draghi stesse portando avanti una politica adeguata agli interessi nazionali della borghesia sul piano economico e nelle relazioni internazionali, non ha però potuto arginare quella che è una dinamica tipica di questa fase del capitalismo, cioè la tendenza alla perdita di coesione dello Stato e delle sue forze politiche. Una tendenza al prevalere degli interessi immediati e di cappella dei partiti, in particolare dei partiti populisti, a scapito dell’assunzione di responsabilità degli interessi più generali del capitale nazionale, con una conseguente sempre minore capacità della borghesia come classe dominante di controllare e disporre del proprio apparato politico secondo queste esigenze. Lo abbiamo visto con il governo Trump negli USA[2], con la Brexit e l’attuale caos politico in Gran Bretagna e in Italia con le convulsioni nell’apparato politico che hanno dato vita al governo Conte prima e Conte bis in seguito[3].

Di nuovo, vicini alla scadenza per le nuove elezioni politiche e di fronte alla perdita di consensi da parte del proprio elettorato, il M5S, la Lega e Forza Italia, fortemente penalizzati dall’aver partecipato alle misure del governo Draghi di peggioramento delle condizioni di vita, hanno cercato di recuperare terreno. Conte, cercando di recuperare la vecchia immagine di “movimento contro” dell’M5S, Lega e Forza Italia sperando di poter trovare più spazio in una coalizione di destra con un partito come Fratelli d’Italia che invece guadagnava sempre più terreno elettorale essendo stato sempre all’opposizione e potendo quindi vantare una propria coerenza politica di lunga data.

Di cosa è espressione il risultato elettorale?

Nella campagna elettorale dell’estate scorsa c’è stata tutta una focalizzazione da parte dei media e delle forze di sinistra sul “pericolo” per le istituzioni e i diritti democratici che avrebbe costituito la vittoria della destra, in particolare di Fratelli d’Italia, fino a paventare il pericolo di un ritorno del fascismo. Una campagna che ha avuto un certo peso nell’ambiente medio-piccolo borghese di sinistra spaventati della “svolta a destra” della società. Ma, se il voto espresso nel chiuso di un’urna non è mai stato un indicatore reale del sentire politico, in particolare dei proletari, da diversi anni esso non esprime neanche più un orientamento seppur momentaneo verso una precisa proposta politica programmatica, ma piuttosto il tentare “il meno peggio” e vedere come va.

Innanzitutto, un dato elettorale importante è stato l’astensione che si può dire corrisponde al primo partito italiano. Il “partito” dell’astensione infatti è arrivato al 36.1% degli aventi diritto al voto, con un crollo in soli 4 anni di 9 punti percentuali, confermando un trend al ribasso che si sta manifestando dalla fine degli anni ’80 e che ha fatto perdere da allora 12 milioni di voti. Il che è sintomo della crescente perdita di fiducia nel voto come strumento di cambiamento. Inoltre alla riduzione del numero di votanti si accompagna un altro fenomeno che è quello della crescente volatilità del voto, per cui si assiste, elezione dopo elezione, ad una sempre più massiccia migrazione di voti verso quale sia stato il partito che promette di più e che è stato più decisamente all’opposizione, visto che chi sta al governo non può che garantire sacrifici, povertà e mancanza di prospettive. Questa volatilità si accompagna naturalmente a una perdita di fedeltà ai partiti che a loro volta hanno sempre meno una propria identità storica e di principi e sono sempre più raccolti intorno alla figura di un leader carismatico. Così nella misura in cui nel precedente governo Draghi erano impegnati tutti i partiti tranne che Fratelli d’Italia, quest’ultimo risulta il vincitore assoluto mentre tutti gli altri perdono punti, e in maniera vistosa. Negli stessi partiti della coalizione vincente di destra, i due partiti partner perdono essi stessi a favore del partito della Meloni, che strappa quasi 2 milioni e mezzo di voti alla Lega e 900.000 a Forza Italia, una sorta di cannibalismo politico.

Sul fronte opposto in realtà solo il PD riesce a tenere, mantenendo sostanzialmente la stessa percentuale del 2018. Mentre, per esempio, il M5S ha ottenuto la metà dei voti rispetto alle elezioni precedenti riuscendo a recuperare nella fase finale rispetto ai sondaggi che lo davano al 10% solo grazie alla rottura dell’ultimo minuto con il governo Draghi e la politica di distinguo sugli aiuti all’Ucraina e la politica verso la Russia. Non è un caso che il gruppo di Di Maio, che si era staccato dal M5S facendo un proprio gruppo politico ma rimanendo fedele al governo Draghi, sia stato letteralmente cancellato in queste elezioni e che lui stesso, ex-ministro degli Esteri, non sia riuscito a farsi rieleggere. Allo stesso tempo un gruppo come quello di Calenda, sorto dal nulla, guadagna l'8% e nella fase pre-elettorale diventa l’elemento decisivo per la formazione o meno di una coalizione di sinistra capace di scalzare quella di destra, mentre adesso nicchia alla Meloni pronto a sostenerla nel caso sia necessario.

Il nuovo governo Meloni risponde alle esigenze della borghesia italiana?

La caduta del governo Draghi e la formazione del nuovo governo sono avvenuti in un momento di forte accelerazione della crisi economica, della guerra in Ucraina che investe tutte le potenze imperialiste e i rapporti di forza tra gli Stati a livello della NATO e dell’Unione Europea, con ripercussioni per ogni Stato anche a livello di politica economica interna e quindi con problemi sul piano sociale. Per far fronte a tutto questo ogni borghesia nazionale avrebbe bisogno di un governo solido e autorevole.

Riguardo all’Italia, in passato abbiamo messo in evidenza come, dal punto di vista borghese, la Lega fosse un partito poco affidabile per il suo carattere populista, la mancanza di coerenza e le simpatie per la Russia di Putin. Ugualmente abbiamo mostrato come Forza Italia fosse una creatura di Berlusconi, altro amico di Putin, una struttura a uso e consumo di un gruppo di potenti. Per quanto riguarda il terzo partito di governo, quello della Meloni, non è una forza populista ma ha delle radici storiche nell’estrema destra[4] e pertanto ha una sua visione della gestione del capitalismo e orientamenti non del tutto in linea con quelli finora portati avanti in Italia ed in Europa, ad esempio rispetto al problema dell’immigrazione o anche sulla stessa UE sulla quale mantiene una visione più federalista che di unità europea. I suoi riferimenti in Europa sono ai sovranisti di Orban, Vox, Le Pen e oltreoceano Trump.

La vittoria di una tale coalizione poneva quindi delle preoccupazioni alla borghesia italiana e alla stessa UE, da qui tutte le insistenze pre-elettorali di Draghi, Mattarella e Von der Leyen sul fatto che qualsiasi nuovo governo non avrebbe potuto distaccarsi dalla politica economica e di politica internazionale del governo Draghi. L’atteggiamento deciso e senza ambiguità della Meloni in campagna elettorale rispetto alle deviazioni e ai distinguo di Salvini e Berlusconi sul ruolo dell’Italia nella guerra in Ucraina, sulla Russia, l’attestazione di fedeltà alla NATO e all’UE, ha dato una certa assicurazione più di quanto, ad esempio, avesse dato in passato il governo populista M5S-Lega. Resta comunque un governo sotto sorveglianza speciale.

Lo si è visto sul divieto, a firma del nuovo ministro della difesa Crosetto e di Salvini di far sbarcare in Italia 179 profughi salvati in mare dalla Humanity, così come per la Ocean Viking, che ha creato frizioni tra l’Italia e l’UE, in particolare con la Francia. Caso sul quale è stato necessario un incontro tra i due presidenti, Mattarella e Macron, per appianare la situazione attraverso un comunicato congiunto dove si ribadiva “la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell'Unione Europea”. La questione dell’immigrazione resta un cavallo di battaglia della coalizione di governo che tende a essere usato per mostrare al proprio elettorato che comunque si è capaci di fare la voce grossa in Europa per far intendere le “proprie ragioni”.

Sul piano di politica economica invece, dopo gli effetti devastanti della pandemia, le ripercussioni dell’impegno militare nella guerra in Ucraina, delle sanzioni contro la Russia e il necessario aumento delle spese militari che l’acuirsi delle tensioni imperialiste impone, non lasciano molti margini di manovra al nuovo governo. Il disegno di legge di bilancio per il 2023 presentato in questi giorni segue in sostanza le direttive del precedente governo Draghi. Anche rispetto alle promesse elettorali fatte dai suoi alleati di coalizione, Salvini e Berlusconi, la Meloni ha tenuto a dire chiaramente che “ogni passo va ragionato e accompagnato dalla sostenibilità dei conti”, “è una questione di serietà” perché non ci sono fondi e bisogna rinunciare, almeno nell’immediato, a molte delle promesse fatte in campagna elettorale. Le misure previste tendono essenzialmente a far fronte al caro energia e al mantenimento di sostegni alle fasce più deboli nel, disperato, tentativo di arginare l’impoverimento crescente della popolazione perché questo ha un effetto nefasto non solo a livello sociale, ma anche a livello di entrate per lo Stato e per le aziende, che a loro volta non riuscendo a realizzare utili non possono che chiudere, aumentando la povertà in un circolo infernale.

Cosa possono aspettarsi i proletari dal governo Meloni?

Sul piano economico e delle condizioni di vita, nient’altro che un peggioramento. I sussidi per le famiglie povere, la riduzione dell’IVA al 5% sui pannolini per i bambini e gli assorbenti e altre misure simili, a fronte di un’inflazione all’11,8%, non serviranno a evitare un ulteriore impoverimento delle famiglie così come una flat tax al 15% per le partite IVA non cambierà la situazione della massa di lavoratori che sono solo nominalmente autonomi o che, per il lavoro che fanno, vengono pagati poco e in tempi lunghissimi. Così come il reddito di cittadinanza, se ha dato un minimo di sospiro, non è certo servito a vivere dignitosamente o a uscire dalla precarietà e la miseria. E la sua riduzione ricadrà non sulle migliaia di truffatori e malviventi finora beneficiari, ma su quelli che veramente ne avevano bisogno per sopravvivere facendo al contempo altri lavoretti al nero.

In un intervento all’assemblea di Confcommercio Campania, il presidente di Confcommercio Sangalli ha dichiarato che nel primo trimestre 2023 “almeno 120mila piccole imprese potrebbero cessare l’attività con la perdita di oltre 370mila posti di lavoro” entro il prossimo anno. Questo perché, come spiegato, le situazioni di emergenza che si stanno sviluppando su più fronti – economico, geopolitico etc. – si sommano alla “debolezza strutturale della crescita e dei consumi …”. La Whirlpool ha fermato la produzione nello stabilimento di Napoli da oltre 8 mesi e il 15 luglio ha avviato la procedura di licenziamento collettivo dei circa 350 lavoratori. Il gruppo siderurgico ArcelorMittal, ex Ilva di Taranto ha messo in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane 4 mila addetti a Taranto e quasi mille in Liguria. Nel solo mese di luglio: 422 dipendenti della Gkn Italia hanno saputo della chiusura totale dello stabilimento e la procedura di licenziamento così come i 106 lavoratori della Timken di Villa Carcina in provincia di Brescia e i 152 lavoratori della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, in provincia di Monza e Brianza, Mentre alla Blutec di Termini Imerese (Palermo) ci sono 635 dipendenti in cassa integrazione a rischio licenziamento.

Il governo Meloni come qualsiasi altro governo, non può trovare soluzione a tutto questo, perché le cause di fondo stanno nella crisi economica strutturale del capitalismo che la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno aggravato ulteriormente.

Così come non può far fronte ai disastri ambientali, alle ondate di fango, alle alluvioni, agli incendi, alla distruzione della produzione agricola per il troppo calore, eventi che ormai ogni anno mietono vittime, distruggono abitazioni e il tessuto economico di interi territori, e impoveriscono migliaia di persone. Anche questi infatti sono il prodotto del modo di produzione capitalista.

La nuova legge di bilancio, così come tutte quelle precedenti, non è fatta per migliorare la condizione dei lavoratori ma solo per permettere allo Stato italiano di preservare la sua capacità concorrenziale rispetto agli altri Stati. Per rendersene conto basta considerare che a fronte di una spesa militare di 28,8 miliardi per il 2022 e degli altri 38 miliardi che saranno necessari per raggiungere il famoso obiettivo del 2% del PIL entro qualche anno[5], la spesa sanitaria prevista per il 2023 è di soli 1,5 miliardi, per gli aiuti alle famiglie 1 miliardo, per la riduzione del cuneo fiscale 5 miliardi, per le pensioni 800 milioni.

Come sempre, le spese dell’ulteriore inevitabile peggioramento economico, imperialista e ambientale ricadranno principalmente sui proletari italiani e di tutto il mondo.

Un’altra conseguenza importante che peserà sui proletari sarà sul piano della mistificazione.

L’avvento della Meloni, se non si verificano incidenti di percorso, può anche fare gioco alla borghesia. Infatti questo governo ha una maggioranza abbastanza solida che gli permette di governare indisturbato, portare gli attacchi più forti contro i lavoratori e usare la mano pesante se necessario. Inoltre, scaricare sulla destra una serie di scelte difficili sul piano sociale ed economico potrà permettere alle forze della sinistra del capitale di ridarsi una facciata di radicalità in difesa dei proletari. In particolare per il PD, che si è notevolmente screditato nel periodo precedente dovendo assumere in prima persona la responsabilità di tutte le misure più impopolari, come quelle prese durante la pandemia.

In Spagna, il fatto che la sinistra sia al potere, crea una situazione scomoda tanto che una parte del PSOE si trova a dover dare orientamenti di opposizione al sindacato anche se è al governo. Il fatto che in Italia la sinistra sia libera di non dover attaccare essendo all’opposizione, può permetterle ad esempio di riproporre battaglie antifasciste contro Fratelli d’Italia per deviare il malcontento e la rabbia e impedire che la classe operaia possa muoversi sul suo terreno di classe. In effetti, lo spauracchio del “pericolo fascista” sventolato nella campagna elettorale è servito essenzialmente per spingere gli esitanti alle urne, per arginare il dilagare della comprensione che, elezione dopo elezione, le condizioni di vita non hanno fatto che peggiorare, sotto qualsiasi governo, di qualsiasi colore. Non a caso l’allerta per la difesa della democrazia è restata in piedi anche dopo le elezioni, con manifestazioni e scontri di piazza salutate e sostenute dal PD, da Sinistra Italiana e Europa Verde, Radicali e via dicendo. E sicuramente sarà una carta da utilizzare ancora nel loro attuale ruolo di opposizione al governo.

Del resto, i segnali di una forte rabbia nella classe operaia internazionale e la ripresa delle lotte in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Spagna, in Belgio[6], contro lo stesso aumento dell’inflazione, lo stesso aumento dei prezzi, lo stesso peggioramento che subiscono qui i proletari, non possono che suonare un campanello d’allarme sulla necessità per la borghesia di avere una copertura a sinistra che possa prevenire o per lo meno arginare delle risposte più ampie anche in Italia. Dei primi toni più “combattivi” già si mostrano da parte del PD rispetto al governo di destra, ma ancora di più questo inizio di radicalismo lo si avverte in tutte quelle situazioni di lotta che abbiamo citato prima, all’ex-Ilva, alla Whirlpool, ecc. dove l’azione dei sindacati ufficiali, ma soprattutto dei vari sindacati e comitati di base, è molto attiva nel settorializzare la lotta, nell’indicare in questa o quella multinazionale o nella delocalizzazione il nemico e soprattutto nel fare appello allo Stato perché si faccia difensore non dei lavoratori in quanto tali, ma in quanto lavoratori di una azienda che potrebbe essere redditizia ma che l’incapacità gestionale o l’ingordigia dei proprietari porta alla chiusura.

I proletari in Italia, come i proletari di ogni paese non possono farsi illusioni sui cambi di governo, su questo o quel partito della classe dominante. L’unica forza che può cambiare lo stato di cose presente sta nelle mani del proletariato, nella lotta di difesa delle sue condizioni di vita, nell’unità delle sue lotte al di là di ogni logica sindacale.

Eva, 12 dicembre 2022

 

[4] Movimento Sociale Italiano di Almirante, divenuto in seguito Alleanza Nazionale con Fini, fino al 2008 quando insieme a Berlusconi fu fondato il nuovo partito Il Popolo della Libertà. Fratelli d’Italia viene fondato nel 2012 da La Russa, Crosetto e Meloni che lo presiede dal 2014.

[5] https://www.geopolitica.info/spese-militari-nuovo-corso-italia/, la corsa agli armamenti è un obiettivo di tutti gli Stati: la Germania prevede uno stanziamento di circa 100 miliardi entro il 2024, il budget per la difesa della Francia nel 2023 sarebbe di 43,9 miliardi di euro, con un aumento di 3 miliardi di euro rispetto al 2022, ben oltre il 2% del PIL deciso dalla NATO.

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