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Un lettore che ha recentemente partecipato a un incontro pubblico online della CCI ci ha posto delle domande circa la nostra posizione sui sindacati, sulla rivoluzione russa e su altre questioni vitali. Pubblichiamo qui una parte della corrispondenza relativa alla questione dei sindacati.
Lettera di R
“La giustificazione storica dei comunisti di sinistra che non partecipano ai sindacati si basa esclusivamente sulle condizioni della Germania di allora. La SPD e i sindacati avevano iniziato a diventare reazionari e a sostenere lo status quo. Tuttavia, teorici come Pannekoek non sostenevano che non dovessimo partecipare ai sindacati, uno dei migliori strumenti che il proletariato ha per ottenere guadagni economici a breve termine, ma non possiamo fare affidamento su di essi come organizzazione socialista. Non capisco perché nelle 'posizioni di base' che sostenete non dovremmo partecipare ai sindacati”.
Risposta della CCI
Caro compagno, la posizione della Sinistra comunista sui sindacati non è limitata a un tempo e a un luogo particolari, come tu sostieni, ma si basa sul passaggio storico del capitalismo mondiale dal periodo ascendente a quello decadente, chiaramente segnato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Gli opportunisti della socialdemocrazia, seguiti dalla maggior parte dei sindacati, hanno chiarito la loro fedeltà al campo capitalista aiutando a reclutare la classe operaia per la guerra, un fenomeno che non era affatto limitato alla Germania. La graduale burocratizzazione dei sindacati, già in atto da decenni, passò a una fase qualitativamente nuova, in cui i sindacati cessarono di essere strumenti di difesa della classe e divennero organi statali incaricati di controllare la classe operaia. Pannekoek, in Rivoluzione mondiale e tattica comunista (1920), diceva che la classe operaia avrebbe dovuto distruggere i sindacati insieme allo Stato capitalista nel suo complesso; e, ancora una volta, non parlava solo della Germania, ma delle esigenze della rivoluzione mondiale: “Ciò che Marx e Lenin hanno più volte detto a proposito dello stato, cioè che la sua modalità di funzionamento, nonostante l’esistenza di una formale democrazia, non consente di utilizzarlo come uno strumento della rivoluzione proletaria, si può quindi estendere allo stesso modo ai sindacati. Il loro potere controrivoluzionario non sarà annientato né tanto meno intaccato da un cambiamento di dirigenti, o dalla sostituzione dei capi reazionari con uomini di sinistra o ‘rivoluzionari’. È proprio la forma dell’organizzazione stessa che induce le masse all’impotenza o quasi e che impedisce loro di farne lo strumento della propria volontà. La rivoluzione non può trionfare se questa forma di organizzazione non è abbattuta o, meglio, riplasmata da cima a fondo, in modo da diventare una cosa totalmente diversa”[1].
Una posizione che non abbandonò mai. In un testo scritto nel 1936 definisce i sindacati come strumenti della classe dominante, sergenti reclutatori per la guerra e fondamentalmente contrari al comunismo: “Eppure il sindacalismo, in periodo di guerra, non può che trovarsi a fianco del capitalismo. Ciò perché i suoi interessi sono legati a quelli del capitalismo. Non può che sperare nella vittoria di quest’ultimo. Si dedica dunque a risvegliare gli istinti nazionalisti e il campanilismo. Aiuta la classe dirigente a trascinare i lavoratori nella guerra ed a reprimere ogni resistenza.
Il sindacalismo ha in orrore il comunismo, che rappresenta una minaccia permanente alla propria esistenza. In un regime comunista, non ci sono padroni né, di conseguenza, sindacati. Certo, nei paesi dove esiste un potente movimento socialista, e dove la grande maggioranza dei lavoratori sono socialisti, i dirigenti del movimento operaio devono anch’essi essere socialisti. Ma si tratta di socialisti di destra che si limitano a desiderare una repubblica nella quale onesti dirigenti sindacali, verrebbero a sostituire i capitalisti assetati di profitti, nella conduzione della produzione. II sindacalismo ha in orrore la rivoluzione che sconvolge i rapporti fra padroni e operai. Nel corso di scontri violenti, la rivoluzione spazza via regolamenti e convenzioni che reggono il lavoro; davanti all’enorme spiegamento di forza, i modesti talenti da negoziatori dei dirigenti sindacali, vengono superati. Ecco perché il sindacalismo mobilita tutte le sue forze per opporsi alla rivoluzione e al comunismo”[2].
La funzione capitalistica dei sindacati non si manifesta solo nei momenti di guerra e di rivoluzione. Dopo essere nati come organizzazioni per la lotta quotidiana contro lo sfruttamento, nel nuovo periodo diventano strumenti della classe dominante per sabotare le lotte dei lavoratori e imporre gli attacchi della borghesia al tenore di vita della classe operaia: “Il sindacalismo aveva il compito e la funzione di sollevare i lavoratori dalla loro impotente miseria e di conquistare per loro un posto riconosciuto nella società capitalista. Doveva difendere i lavoratori dal crescente sfruttamento del capitale. Ora che il grande capitale si consolida più che mai in un potere monopolistico di banche e imprese industriali, questa antica funzione del sindacalismo è finita. Il suo potere è inferiore rispetto a quello formidabile del capitale. I sindacati sono ora organizzazioni gigantesche, con un posto riconosciuto nella società; la loro posizione è regolata dalla legge, e i loro accordi tariffari hanno valore legale per l'intera industria. I loro leader aspirano a far parte del potere che governa le condizioni industriali. Sono l'apparato attraverso il quale il capitale monopolistico impone le sue condizioni all'intera classe operaia. Per questo capitale ormai onnipotente è normalmente molto più preferibile mascherare il proprio dominio in forme democratiche e costituzionali che mostrarlo nella nuda brutalità della dittatura. Le condizioni di lavoro che ritiene adatte ai lavoratori saranno accettate e rispettate molto più facilmente sotto forma di accordi stipulati dai sindacati che non sotto forma di imposizioni arroganti. In primo luogo, perché ai lavoratori viene lasciata l'illusione di essere padroni dei propri interessi. In secondo luogo, perché tutti i legami di attaccamento, che come loro stessa creazione, creazione dei loro sacrifici, della loro lotta, della loro euforia, rendono i sindacati cari ai lavoratori, ora sono asserviti ai padroni. Così, nelle condizioni moderne, i sindacati si trasformano più che mai in organi del dominio del capitale monopolista sulla classe operaia”[3]. Questo passaggio è tratto dall'opuscolo del 1947, Consigli dei lavoratori, in cui Pannekoek sviluppa un tema che aveva già iniziato a elaborare prima della Prima guerra mondiale: la necessità per la classe operaia di creare nuovi organi per la lotta contro il capitale, sia nella fase difensiva che in quella offensiva. Organi come le assemblee di massa e i comitati di sciopero eletti e revocabili, precursori dei consigli. A nostro avviso, il ruolo dei rivoluzionari in ogni lotta è quello di spingere i lavoratori a prendere il controllo del loro movimento e a diffonderlo ad altri lavoratori, al di fuori e contro l'apparato sindacale che li divide in una miriade di categorie e settori, e li sottopone alle leggi repressive della classe dominante (votazioni di sciopero per scrutinio piuttosto che assemblee di massa, limiti al numero di picchetti, divieto di picchetti secondari, ecc.), esattamente come stiamo vedendo nelle attuali lotte nel Regno Unito. Come dimostriamo nel nostro recente volantino internazionale[4], queste lotte sono estremamente importanti nonostante siano generalmente controllate dai sindacati; ma i rivoluzionari devono difendere una prospettiva di lotta per andare avanti, e questo può solo significare uno scontro con i sindacati sui loro tentativi di limitare e dividere il movimento di classe. Non pensiamo che proporre una prospettiva di questo tipo sia compatibile con il lavoro all'interno dei sindacati (ad esempio, accettando il ruolo dei delegati sindacali, facendo campagna per una leadership più radicale, ecc.)
La nostra posizione generale sui sindacati è spiegata nel nostro opuscolo, disponibile in versione cartacea ma anche online[5].
Fraternamente, Afl per la CCI.