Annata 2020
Il movimento contro la riforma delle pensioni è stato condotto dall'inizio alla fine sotto il controllo dei sindacati. Sono loro che hanno indetto lo sciopero, loro che hanno scelto e organizzato le giornate d’azione, loro che hanno guidato le rare assemblee generali. E sono loro che ci hanno portato volontariamente alla sconfitta. Non bisogna essere ingenui, il governo e i sindacati hanno lavorato insieme per 2 anni per prepararsi e riuscire a far passare questa riforma!
Il governo ha dovuto fare tutto il possibile perché questo attacco su larga scala, annunciato da Macron nel 2017 come un vero "big bang", non provocasse una risposta massiccia da parte dell'intera classe lavoratrice. Edouard Philippe, Primo Ministro francese, ha quindi fatto affidamento sulla collaborazione delle "parti sociali", i sindacati, per sabotare l'inevitabile esplosione di rabbia nell’insieme dei lavoratori.
Questo attacco generale contro l'intera classe operaia non poteva che innescare una reazione di indignazione e rabbia spontanea in un settore particolarmente combattivo, quello dei trasporti. Per i lavoratori delle ferrovie, "il troppo è troppo": dopo aver guidato diversi movimenti negli ultimi anni, in particolare lo "sciopero delle perle" del 2018, contro il deterioramento delle loro condizioni di lavoro, contro la rimessa in discussione del loro Statuto, e con cui non avevano ottenuto nulla, l'attacco al loro piano pensionistico non poteva che sfociare nella volontà di riprendere la lotta in modo ancora più determinato con la parola d'ordine: "Ora basta! Non ci arrenderemo!”.
Questo spirito combattivo nel settore dei trasporti ha rischiato di portare a un'esplosione incontrollabile con il pericolo di estendersi a macchia d’olio poiché l'attacco generale alle pensioni ha sollevato la rabbia generale dell'intera classe operaia.
La classe dirigente ha molteplici mezzi per "tastare il polso" del malcontento sociale (in un paese in cui Macron, il "Presidente dei ricchi", è diventato l'uomo più odiato nella maggioranza della popolazione): sondaggi di opinione, indagini di polizia per “misurare la temperatura" dei settori "a rischio", e prima di tutto della classe lavoratrice. Ma lo strumento più importante di questo "termometro sociale" è l’apparato sindacale, che è molto più efficiente dei sociologi degli istituti di sondaggio o dei funzionari di polizia. In effetti, questo dispositivo ha la funzione di strumento per eccellenza per il controllo degli sfruttati al servizio della difesa degli interessi del capitale. L'apparato sindacale dello Stato capitalista ha quasi un secolo di esperienza. È particolarmente attento all’umore dei lavoratori, alla loro volontà e alla loro capacità di impegnarsi nella lotta contro la borghesia. Le forze di controllo della classe operaia hanno il compito di avvertire costantemente i padroni e il governo del pericolo della lotta di classe. Questo è lo scopo delle riunioni periodiche e delle consultazioni tra leader sindacali e datori di lavoro o governo: lavorare insieme, mano nella mano, la migliore strategia che consente al governo e ai datori di lavoro di attaccare la classe lavoratrice con la massima efficienza.
I sindacati hanno capito perfettamente che la classe operaia francese non era più disposta a piegare di nuovo la testa e a sopportare i nuovi attacchi senza batter ciglio. La classe dirigente sa anche che il proletariato oggi non si fa più illusioni su una possibile "uscita dal tunnel": tutti i lavoratori sono ormai consapevoli che "andrà sempre peggio" e che non avranno altra scelta se non quella di combattere a testa alta tutti insieme per difendere le loro condizioni di vita e il futuro dei loro figli. Il livello di popolarità del movimento dei Gilet Gialli contro il carovita e la miseria, di appena un anno fa, è stato un buon indicatore della rabbia che ruggiva nelle viscere della società: l'80% della popolazione diceva di sostenere, comprendere o simpatizzare per questa ondata anti-Macron (anche se la classe operaia non si riconosceva nei metodi di contestazione di questo movimento interclassista[1] iniziato dai piccoli imprenditori asfissiati dalle tasse sui carburanti). La borghesia, quindi, aveva perfettamente percepito, negli ultimi due anni, un reale aumento dello spirito combattivo dei lavoratori. La tenacia dei medici di pronto soccorso o degli impiegati alle poste, in sciopero da mesi, ne era un indice. Un altro era il moltiplicarsi delle lotte nei settori della grande distribuzione, degli autisti di autobus e del trasporto aereo.
Di fronte al crescente malcontento degli sfruttati la borghesia francese doveva "accompagnare" l'applicazione della riforma pensionistica con un "paraurti" per incanalare, inquadrare, dividere, estenuare l'inevitabile risposta del proletariato.
Odiate oggi all'interno dei cortei di manifestanti per aver “pugnalato il movimento alle spalle", la CFDT (Confederazione francese democratica del lavoro) e l'UNSA (Unione nazionale dei sindacati autonomi) hanno svolto perfettamente il loro ruolo di "sindacati responsabili e riformisti". È stata una vera e propria messa in scena teatrale[2]:
- Atto 1: il CFDT per 2 anni tesse un testo con il governo affermando che vuole un regime universale "equo ed equilibrato" ma che rifiuta la nozione di "età cardine” (“âge pivot”, prevista a 64 anni). Una vera e propria provocazione il cui unico scopo è quello di focalizzare tutta la rabbia su di essa e quindi distogliere l'attenzione dal soggetto reale, l'attacco generale alle pensioni. Il governo riflette.
- Atto 2: l'11 dicembre il governo annuncia ufficialmente... con rullo di tamburi... che l'età pivot sarà presente nella riforma. La CFDT reagisce perché la "linea rossa" è stata oltrepassata e si unisce al "fronte sindacale". Tutto lo spazio mediatico è occupato da questo "dibattito": età pivot si o no. (Nel mondo teatrale questa è "la grande scena del II atto").
- Atto 3: a sorpresa, il venerdì 10 gennaio, a Matignon, il governo fa marcia indietro sull’ "età pivot"; la CFDT e l'UNSA gridano vittoria e abbandonano il movimento.
Gli spettatori se ne vanno con il "sistema pensionistico a punti" in tasca, ovvero anni di lavoro in più e una pensione ridotta.
Venticinque anni fa, il governo Juppé aveva usato più o meno la stessa strategia: un attacco generale alla classe (la riforma della previdenza sociale che ha significato una minore possibilità di accesso all'assistenza sanitaria) e un attacco specifico contro un settore particolare (la riforma del regime speciale per i lavoratori delle ferrovie, che imponeva loro di lavorare per altri 8 anni!). Dopo un mese di sciopero, con i combattivi lavoratori delle ferrovie in prima linea, Juppé fece marcia indietro e i sindacati gridarono alla vittoria... lo Statuto dei lavoratori delle ferrovie era stato salvato. Questo settore, "locomotiva" della protesta sociale riprese il lavoro ponendo così fine a tutto il movimento di lotta. Il governo poté quindi mantenere la sua riforma della previdenza sociale.
Oggi questa abusata manovra sembra funzionare meno bene. Nessuno rivendica la vittoria, tranne il CFDT e l'UNSA. Tutti denunciano questa trappola per quello che è: una finzione, uno stratagemma per far ingoiare la pillola. Anche per la stampa non è più un segreto. Se, nonostante la loro determinazione, le centinaia di migliaia di manifestanti oggi stanno gradualmente cessando la lotta senza che il governo abbia ritirato l'attacco generale alle pensioni, è perché la manovra è stata più ampia e complessa. Accanto ai sindacati "riformisti" quelli "radicali", la CGT, la FO e i Solidaires[3], hanno fatto la loro parte per isolare e sfiancare gli scioperanti. Dato il livello di rabbia e di combattività della nostra classe, questa usura programmata è stata semplicemente più lunga del previsto. C'è voluta anche tutta l'abilità di questi specialisti del sabotaggio delle lotte per raggiungere i loro obiettivi.
Settembre
A settembre viene ufficialmente lanciata la campagna sulla riforma delle pensioni. FO, Solidaires e CGT utilizzano ogni mezzo a loro disposizione. Come? Moltiplicando il numero di giorni di mobilitazione settoriale. Ogni settore ha il suo giorno di sciopero e le sue specifiche rivendicazioni. "Ognuno per sé, i sindacati per tutti". L'obiettivo è quello di logorare la volontà di lottare prima di lanciare un movimento più ampio e controllato.
Tuttavia questa frammentazione organizzata è molto criticata. Nelle manifestazioni i lavoratori che esprimono la loro insoddisfazione per questa divisione non sono pochi, vogliono che i sindacati si riuniscano perché "siamo tutti nella stessa barca, dobbiamo lottare tutti insieme". A questa spinta risponde l'annuncio del 20 settembre per la grande manifestazione unitaria del 5 dicembre. Ancora una volta niente è lasciato al caso: questa data è scelta perché è abbastanza lontana (più di due mesi) per poter continuare nel frattempo l’opera di frammentazione e sfinimento. Cade anche poco prima delle feste di fine anno e della famosa trêve des confiseurs (“tregua dei pasticcieri”, come i francesi chiamano questo periodo di festività dove tutto è sospeso) che rendono impopolare qualsiasi blocco dei trasporti e isolano i più combattivi.
Ottobre
Durante i mesi di ottobre e novembre, i sindacati "radicali" continuano a minare il movimento attraverso scioperi isolati e settoriali. Mentre la rabbia dei lavoratori è palpabile in molti settori, essi si guardano bene dal proporre Assemblee Generali di massa e aperte a tutti per unificare tra loro aziende e settori inviando delegazioni per discutere ed estendere lo sciopero. Niente di tutto questo! Solo scioperi e azioni isolate in attesa della promessa della grande manifestazione del 5 dicembre. Ma questa strategia di sfinimento e demoralizzazione è ancora una volta insufficiente. La classe operaia continua a premere e la combattività continua a crescere.
Il 16 ottobre i lavoratori delle ferrovie improvvisamente interrompono il lavoro a seguito di un incidente ferroviario nelle Ardenne. Spontaneamente, attraverso i cellulari si passano la voce e estendono lo sciopero a tutta una sezione della SNCF. Il personale dell'Île-de-France è particolarmente combattivo. Le linee RER sono bloccate. I sindacati colgono la palla al balzo e si pongono alla guida dello sciopero appellandosi al "diritto di sciopero". In altre parole, si aggrappano alla mobilitazione in corso. Alla borghesia non piacerà l'autonomia di questi lavoratori e questa dinamica di prendere nelle proprie mani le lotte ed estenderle, tanto che governo e padronato denunciano l'illegalità di questo "sciopero selvaggio" e minacciano sanzioni per gli scioperanti. Questo permetterà ai sindacati di riprendere il controllo della situazione una volta per tutte, ponendosi come protettori degli scioperanti e difensori del diritto di sciopero. Durante questo mese di ottobre, la SNCF subirà una serie di scioperi selvaggi, in particolare nel centro di manutenzione di Châtillon dove, senza aver consultato i sindacati, 200 lavoratori su 700 si riuniscono per protestare contro le misure che peggiorano le condizioni di lavoro, misure che vengono rapidamente ritirate per fermare immediatamente lo sciopero e impedire così che il movimento acquisti notorietà e spinga i lavoratori a riflettere[4].
Novembre
I sindacati sono quindi avvertiti, devono essere più combattivi e aderire al movimento per averne il pieno controllo. Il 9 novembre la CGT si unisce a UNSA-Ferroviaire[5] e Sud/Solidaires nell'appello per uno sciopero a oltranza del 5 dicembre. Annuncia che questa azione coinvolgerà anche la SNCF. In seguito anche il CFDT-Ferrovieri si unisce al movimento[6].
Ma dietro il "fronte sindacale" e la retorica dell'unità di tutti i settori, tutti continuano dietro le quinte la stessa opera di indebolimento e divisione. Il sabotaggio dell'unità del movimento nel settore ospedaliero è particolarmente significativo: da marzo i sindacati e i loro "collettivi inter-emergenza" svolgono azioni ultra-corporative separando la protesta dei medici di pronto soccorso da tutti gli altri servizi ospedalieri. Ma sotto la crescente pressione della volontà di "combattere tutti insieme" cambiano discorso e chiamano a due manifestazioni "unitarie", il 14 e il 30 novembre, unitarie alla... struttura ospedaliera! Questo per separare meglio questa lotta dal movimento generale contro la riforma delle pensioni in nome della "specificità degli ospedali" (e quindi, soprattutto, per dividere meglio). Questa decisione sindacale creerà una grande rabbia all'interno delle Assemblee generali del personale ospedaliero e molti si mobiliteranno comunque, al di là delle indicazioni dei sindacati, il 5 dicembre.
Dicembre
Durante le grandi manifestazioni di dicembre, il bisogno di solidarietà tra settori e generazioni, di lottare tutti insieme, trova eco negli slogan sparati dagli altoparlanti dei furgoni del sindacato. Per fare cosa? Niente. Basta ripetere questi slogan più e più volte in ogni giorno di mobilitazione. Ma in concreto ogni settore è chiamato a marciare nel suo orticello sindacale, a volte addirittura delimitato, rinchiuso, tagliato fuori dagli altri da una corda e da un "servizio d'ordine", l'ordine sindacale. Nessun grande raduno per discutere alla fine della manifestazione, anche se molti lavoratori vogliono farlo. I sindacati e i poliziotti disperdono la folla. Il tempo stringe: gli autobus devono partire.
A metà dicembre, i lavoratori delle ferrovie in sciopero della SNCF e della RATP sono consapevoli che se rimangono isolati il movimento è destinato alla sconfitta. Allora, cosa fanno i sindacati? Organizzano una parvenza di estensione: alcuni rappresentanti della CGT vanno ad incontrare altri rappresentanti della CGT di un'altra azienda.
Durante le manifestazioni del sabato, organizzate ufficialmente dai sindacati per permettere ai lavoratori del settore privato di partecipare al movimento, la CGT, la FO e Solidaires non fanno alcuno sforzo per mobilitare le fabbriche. Al contrario, tutti i loro discorsi si concentrano sul coraggio dei ferrovieri "che si battono per tutti noi", sulla forza di blocco di questo settore (il che implica che gli altri lavoratori sono impotenti) e sulla necessità di sostenerli... alimentando i fondi di solidarietà organizzati soprattutto dalla CGT invece della solidarietà attiva dei lavoratori nella lotta e nell'estensione del movimento (anche se era comprensibile che tutti sentissero la necessità di aiutare finanziariamente i ferrovieri per la perdita di un mese di stipendio!)
Per tutto il mese di dicembre i sindacati coltivano l’idea dello sciopero per procura!
In questo modo, da soli in uno sciopero “a oltranza”, i ferrovieri sono incoraggiati a resistere, "a qualsiasi costo" durante i 15 giorni di feste di fine anno con la parola d'ordine: nessuna “tregua dei pasticcieri”!
Gennaio
Ma ancora una volta, nonostante i media che denunciano "la presa in ostaggio di famiglie che vogliono semplicemente riunirsi per Natale", queste due settimane di "tregua" durante le quali i ferrovieri lottano da soli, non bastano a esaurire la rabbia e la combattività generale, né a rendere "impopolare" lo sciopero.
Il 9 gennaio, la nuova giornata di mobilitazione multisettoriale, vede di nuovo scendere in piazza centinaia di migliaia di manifestanti, sempre decisi a respingere la riforma.
Il 10 gennaio Philippe negozia con i sindacati e annuncia "un dialogo costruttivo e dei progressi", promettendo di chiedere il giorno dopo al presidente Macron se è possibile ritirare l'"âge pivot". Tutti i sindacati accolgono con favore questa vittoria, una grande vittoria per la CFDT e l'UNSA, un piccolo passo avanti per la CGT, FO e Solidaire, che avrebbe portato il governo a fare un passo indietro sotto la pressione della piazza e degli scioperanti nel settore dei trasporti.
Il giorno dopo una nuova manifestazione. Sabato 11 gennaio, a Marsiglia, i sindacati organizzano degli spettacoli al termine della manifestazione per rendere impossibile qualsiasi discussione. A Parigi lasciano campo libero alla polizia per usare di nuovo i lacrimogeni, disperdere e persino picchiare i manifestanti. Bisogna impedirgli di discutere. Ma soprattutto l'affluenza è in forte calo, i treni ricominciano a circolare, lo sfinimento si fa sentire e l'atmosfera nei cortei è meno imponente e meno combattiva.
Il colpo di grazia può essere dato. Phillipe annuncia il ritiro dell'"âge pivot"... ma temporaneamente. Il tempismo è perfetto.
Ora che il movimento si sta esaurendo, che i lavoratori delle ferrovie in sciopero non ne possono più e, dissanguati economicamente, stanno gradualmente tornando al lavoro, cosa fanno i sindacati "radicali"? Naturalmente chiedono l'estensione di un movimento che è in una dinamica di riflusso, arringando il settore privato a "prendere il testimone", denunciando la "vigliaccheria dello sciopero per procura"! Il 9 gennaio abbiamo dovuto sentire il signor Mélenchon dire su tutti i canali: “Lo sciopero per procura comincia a funzionare, ora tutti devono darsi da fare!”
Ora parlano solo di "assemblee generali sovrane" per far credere alla gente che loro sono solo i portavoce dei lavoratori e che se alcuni continuano a logorarsi in scioperi isolati, loro non possono farci niente, "è l’Assemblea Generale e la base che decidono se i ferrovieri vogliono perdere altri giorni di salario" (così il leader della CGT, Philippe Martinez in TV).
Adesso si danno da fare per dimostrare che i lavoratori non vogliono rafforzare e generalizzare la mobilitazione in modo da addossare a loro la colpa della sconfitta! In una settimana i sindacati chiamano ad almeno tre giorni di mobilitazione, il 14, 15 e 16 gennaio, anche se i ferrovieri stanno tornando gradualmente al lavoro.
Adesso il leader della CGT, Martinez, facendo eco al leader del partito La France Insoumise (La Francia non sottomessa) di Mélenchon è su ogni palco, su tutte le radio e in mezzo agli scioperanti per denunciare la violenza della polizia... che va avanti da mesi! Eppure i sindacati (CGT in testa) hanno finora permesso il pestaggio dei manifestanti, la dispersione dei capannelli alla fine delle manifestazioni con il lancio di lacrimogeni, senza battere ciglio e senza protestare. Mélenchon ha dovuto chiedere le dimissioni del prefetto di polizia di Parigi perché anche i sindacati cominciassero a gridare (a squarciagola) contro la repressione degli scioperanti.
Adesso tutti i sindacati stanno facendo il gioco della trattativa con il governo per " tenere conto delle difficoltà e dell’usura del lavoro", un nuovo passo per una frammentazione corporativista del movimento quando tutti lavorano sotto pressione e lo sfruttamento è doloroso per tutti! Questo "aspetto della trattativa" viene attentamente esaminato con un unico obiettivo: dividere o addirittura mettere in competizione i lavoratori in trattative destinate al fallimento, ramo per ramo, per determinare se un certo lavoro e più logorante di altri. Il "fronte del sindacato" farà senza dubbio una bella figura quando la CGT-Ferrovieri e la CFDT-Carrefour faranno a gara per sapere chi fa il lavoro più "duro"!
I sindacati avevano fatto la stessa cosa durante lo sciopero dei lavoratori delle ferrovie nell'inverno del 1986, chiedendo un prolungamento dello sciopero alla fine del movimento, quando i lavoratori delle ferrovie cominciavano a tornare al lavoro[7]. In realtà, questi pompieri sociali cercano solo l’estensione e il rafforzamento della sconfitta per tagliare l'erba sotto i piedi e cercare di spezzare le reni della classe operaia. L’obiettivo è dare tutte le garanzie al governo affinché questa riforma possa passare in Parlamento senza difficoltà (e quindi permettere al governo di far passare ulteriori attacchi)!
No, la classe operaia non deve lasciarsi colpevolizzare dai sindacati!
No, quelli che tornano al lavoro non sono crumiri!
No, ai settori che non sono tornati a lottare non è mancato il coraggio e la solidarietà!
Sono stati i sindacati, mano nella mano con il governo, a pianificare e orchestrare questa sconfitta!
Sono stati i sindacati, mano nella mano con il governo, a impedire ogni possibile unità, ogni reale estensione del movimento! La classe operaia, al contrario, deve essere consapevole del passo che ha compiuto. Dopo dieci anni di inerzia, in seguito al lungo, estenuante e impotente movimento del 2010 indetto da tutti i sindacati, i lavoratori hanno cominciato a raddrizzare la testa, a voler lottare insieme, a volersi unire, a volersi riconoscere come fratelli di classe. Gli ultimi mesi sono stati animati dallo sviluppo della solidarietà tra settori e tra generazioni!
Questa è la vittoria del movimento perché il vero guadagno della lotta è la lotta stessa dove tutte le categorie professionali, tutte le generazioni si sono finalmente ritrovate insieme nella stessa lotta di piazza contro una riforma che è un attacco a tutti gli sfruttati! Questo è ciò che il governo e i sindacati cercheranno di cancellare nelle settimane e nei mesi a venire.
Sta a noi riunirci per discutere, per trarre insegnamenti, per non dimenticare e per, nelle lotte di domani, essere ancora più numerosi e più forti man mano che iniziamo a capire e a contrastare i sindacati, i professionisti... della sconfitta. I sindacati saranno sempre gli ultimi bastioni dello Stato nelle fila dei lavoratori in difesa dell'ordine capitalista!
Léa, 14 gennaio 2020
[1] L'occupazione delle rotatorie, l'ostentato sventolio di simboli repubblicani e nazionalisti come le bandiere tricolori o la Marsigliese
[2] Vedi i nostri volantini dove annunciavamo la manovra già dall'inizio di dicembre Unifichiamo le nostre lotte contro gli attacchi dei nostri sfruttatori! [1]; Contro gli attacchi del governo, la lotta massiccia e unita di tutti gli sfruttati! Volantino della CCI in Francia [2]
[3] Rispettivamente Confederation Génerale du Travail, Force ouvrière, Unione sindacale Solidale
[4] La dichiarazione dei lavoratori di Châtillon è stata pubblicata in Révolution International n. 479. Ecco un brevissimo estratto: "Noi personale in sciopero delle attrezzature del centro tecnico di Châtillon, sulla rete TGV Atlantique, abbiamo smesso di lavorare in modo massiccio dalla sera di lunedì 21 ottobre, senza consultarci né essere guidati dai sindacati. (...) La nostra rabbia è reale e profonda, siamo determinati a batterci fino in fondo per le nostre rivendicazioni, per il rispetto e la dignità. (...) Stanchi di riorganizzazioni, di bassi salari, di tagli al personale e della carenza di personale! Chiediamo a tutti i lavoratori delle ferrovie di alzare la testa con noi, perché la situazione oggi a Châtillon è in realtà il riflesso di una politica nazionale".
[5] ... mentre l'UNSA (Unione nazionale sindacati autonomi) degli altri settori non chiede lo sciopero! Anche in questo caso, infatti, l'UNSA-ferrovie è costretta ad adattarsi alla combattività del settore per evitare di essere completamente screditata.
[6] ... mentre a livello nazionale la CFDT non richiede nemmeno uno sciopero!
[7] In Revolution Internationale n. 480, articolo in francese sulle lezioni dello sciopero del 1986: “I lavoratori possono lottare senza i sindacati”
https://fr.internationalism.org/files/fr/ri_4_80_bat.pdf [3]
Oggi le strade di Madrid saranno teatro di ambulanze, caos nei servizi sanitari e dolore come quello degli attentati di Atocha del 2004 (193 morti e più di 1400 feriti). Ma questa volta sarà un giorno in più di questa pandemia che ha già causato 2300 morti e quasi 35mila contagiati (ufficialmente) in Spagna, diffondendosi a una velocità superiore a quella raggiunta in Italia che, pochi giorni fa, ha battuto tutti i record in termini di morti giornaliere (651), e di impatto letale dell'epidemia (oltre 7000 decessi), in quella che è già considerata la peggiore catastrofe sanitaria di entrambi i Paesi dalla seconda guerra mondiale. E questi paesi sono un annuncio di ciò che probabilmente attende le popolazioni di metropoli come New York, Los Angeles, Londra, ecc. Una realtà che sembrerà rosea quando si faranno i conti con l'impatto dell’epidemia in America Latina, in Africa, dove i sistemi sanitari sono ancora più precari o completamente inesistenti.
Ma da settimane i governanti di questi Paesi - e anche della Francia, come mostra l'articolo della nostra pubblicazione in Francia[1], e senza dubbio di altre potenze capitalistiche - potevano immaginare il caos che questa epidemia avrebbe potuto causare. Eppure, come gli altri Stati capitalisti - e non solo il populista Johnson in Gran Bretagna o Trump negli Stati Uniti, ecc. – hanno deciso di anteporre le esigenze dell'economia capitalista alla salute della popolazione. Adesso, nei loro istrionici e ipocriti discorsi, questi stessi governanti affermano di essere disposti a fare qualsiasi cosa per proteggere la salute dei loro cittadini, e danno la colpa al "virus" al quale dichiarano "guerra". Ma il colpevole non può essere qualcosa che non è nemmeno detto che sia un essere vivente. La responsabilità della mortalità causata da questa pandemia è interamente attribuibile alle condizioni sociali, a un modo di produzione che, invece di sfruttare le forze produttive, le risorse naturali, il progresso della conoscenza per favorire la vita, immola la vita umana e la natura tutta sull'altare delle leggi capitalistiche dell'accumulazione e del profitto.
Ci dicono sempre che questa pandemia colpisce tutti senza distinguere tra ricchi e poveri. Divulgano i casi di alcune "celebrità" colpite o addirittura uccise da Covid-19. Ma questo serve a nascondere il fatto che sono le condizioni di sfruttamento dei lavoratori a spiegare l'aumento e la diffusione di questa pandemia.
In primo luogo, a causa delle condizioni di sovraffollamento in quartieri malsani in cui vivono spesso gli sfruttati, che sono un terreno fertile che favorisce il diffondersi di epidemie. Ciò è facilmente verificabile vedendo la maggiore incidenza di questa pandemia nelle regioni industriali ad alta concentrazione umana e soprattutto produttiva (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in Italia; Madrid, Catalogna e Paesi Baschi in Spagna), rispetto alle regioni più spopolate (Sicilia, Andalusia) per queste stesse esigenze di sfruttamento. L'aggravarsi del problema abitativo per i lavoratori accentua ulteriormente questa vulnerabilità. Nel caso di Madrid, gli ospedali che soffrono la maggiore saturazione e i cui servizi stanno crollando corrispondono essenzialmente a quelli che servono la popolazione delle città industriali del sud. Inoltre, in queste case al di sotto degli standard è più difficile sopportare la quarantena decretata dalle autorità sanitarie. Negli "chalet" di Somosierra o nella villa di Nizza dove Berlusconi si rifugia con i suoi figli, il confinamento è più sopportabile. Gli sfruttatori vogliono (che cinismo!) vantarsi di "civiltà".
E per non parlare delle ripercussioni su questa popolazione dal lavoro precario derivanti dal dover prendersi cura dei bambini piccoli o degli anziani ammassati in case malsane ed affollate Il caso degli anziani è particolarmente scandaloso, sfruttati per tutta una vita, ora sono costretti a vivere da soli, o dimenticati in strutture governate dalle stesse leggi del profitto capitalista. Con un assistente ogni 18 pazienti nei reparti di grave dipendenza, le case di riposo sono diventate una delle principali fonti di diffusione della pandemia, come si è visto in Spagna, ma anche in Italia, non solo tra i cosiddetti "ospiti", ma anche tra gli stessi lavoratori che con contratti a tempo determinato e salari da fame sono stati costretti a curare i pazienti a rischio, mancando, in molti casi, misure minime di autoprotezione[2]. Ma la stessa situazione si vede anche in Francia, fino a poco tempo fa presentata come il paradigma dello Stato sociale. In Spagna ci sono casi in cui i pazienti ricoverati devono rimanere isolati nelle loro stanze accanto ai corpi dei loro compagni perché i servizi funebri, che traboccano di lavoro o mancano di misure di autoprotezione, non riescono a raccogliere le salme. Allo stesso modo, si ritardano i ricoveri dei malati negli ospedali che sono in gran parte collassati e dove il futuro che li attende è spesso relegato a pazienti di terza o quarta categoria in base alle regole del "triage" che determinano l'utilizzo delle risorse materiali e del personale in base a criteri costi/benefici Criteri che costituiscono autentici attacchi alla dignità umana e alla vita, agli istinti sociali che hanno permesso all'umanità di arrivare ai giorni nostri e che oggi vengono attuate senza scrupolo dalle autorità italiane, spagnole[3], francesi, etc.
E questo si aggiunge al noto super sfruttamento e alla sovraesposizione degli operatori sanitari, che rappresentano tra l'8 e il 12% di tutte le infezioni. Solo in Spagna più di 5000. E queste statistiche sono piuttosto fuorvianti poiché buona parte di questi lavoratori non è stata ancora testata per l'infezione da coronavirus. Eppure sono costretti a lavorare senza i guanti, le maschere e gli abiti protettivi necessari, per essere stati considerati una spesa "sacrificabile" per la sanità e l'economia capitalista. Così come gli ospedali, i letti per terapia intensiva, i respiratori, la ricerca sui coronavirus e i possibili rimedi e vaccini - tutto questo è stato sacrificato in favore della redditività dello sfruttamento.
Oggi i piagnistei dei "media", soprattutto quelli di "sinistra", cercano di concentrare la rabbia della popolazione contro la "privatizzazione" dell'assistenza sanitaria. Ma chiunque sia il titolare dell'ospedale, il proprietario del laboratorio farmaceutico o della casa di cura, la verità è che la salute della popolazione è soggetta alla regola del profitto di una minoranza sfruttatrice dell'intera società.
Questa dittatura delle leggi del capitale sui bisogni umani è stata chiaramente dimostrata nell'attuazione delle quarantene in Italia, Spagna e Francia, che hanno imposto restrizioni draconiane sull’andare a fare la spesa, sulle visite agli anziani, sul confinamento di bambini o di pazienti disabili, ma che hanno avuto manica larga nel mantenere che si andasse a lavorare nei cantieri, per stivare navi con container di ogni tipo di materiale, per mantenere la produzione nelle fabbriche tessili, di elettrodomestici e di automobili. Per "assicurare" queste condizioni di sfruttamento, mentre si persegue quelli che vanno a “correre” o i lavoratori che prendono l'auto in piccoli gruppi per andare a lavorare (e risparmiare una parte delle spese di viaggio), viene permesso l'uso di metropolitane o treni pendolari per mantenere in marcia il “processo produttivo". Molti lavoratori sono indignati per questo cinismo criminale della borghesia ed esprimono la loro rabbia attraverso i social network, poiché nelle condizioni attuali è impossibile farlo insieme nelle strade, nelle assemblee, ecc. Così, di fronte alla campagna ideata dai principali "media" con lo slogan "Stai a casa", è stato lanciato un hastag altrettanto popolare #IoNonPossoRestareACasa in cui si esprimono i "riders" (Deliveroo, Uber), i badanti, i lavoratori del vasto settore dell'economia sommersa, ecc.
Sono scoppiate anche proteste, manifestazioni e scioperi contro il mantenimento del lavoro in queste condizioni a disprezzo della vita e della sicurezza dei lavoratori. Come si è gridato nelle proteste in Italia. "I vostri profitti valgono più delle nostre vite".
In Italia, dalla settimana del 10 marzo alla FIAT di Pomigliano, dove lavorano quotidianamente 5.000 lavoratori, sono in sciopero per protestare contro le condizioni di insicurezza in cui sono stati costretti a lavorare. In altre fabbriche del settore metalmeccanico, a Brescia, ad esempio, è stato dato un ultimatum alle aziende per adattare la produzione alle esigenze di tutela dei lavoratori o si sarebbe fatto sciopero. Alla fine le aziende hanno deciso di chiudere gli stabilimenti. E quando, più recentemente, il 23 marzo, un successivo decreto del presidente del Consiglio dei ministri Conte ha aperto le porte al proseguimento del lavoro in settori non essenziali, sono scoppiati nuovamente scioperi spontanei che hanno portato il sindacato Cgil a “fingere” di convocare uno "sciopero generale".
Anche in Spagna ci sono state delle reazioni. Inizialmente alla Mercedes di Vitoria, in seguito alla comparsa del contagio di un compagno gli operai hanno deciso di interrompere immediatamente il lavoro. La stessa cosa è successa alla fabbrica di elettrodomestici Balay a Saragozza (1000 lavoratori) e alla Renault di Valladolid. Va detto che, in molti casi, è stata la stessa azienda a chiudere i battenti (Airbus a Madrid, SEAT a Barcellona o FORD a Valencia, poi la PSA a Saragozza o Michelin a Vitoria) in modo che le casse dello Stato - in altre parole, il valore aggiunto estratto dalla classe operaia nel suo complesso – si facessero carico del pagamento di parte dei salari dei loro lavoratori, quando la realtà è che prima della pandemia c'erano già piani di licenziamento (alla FORD o alla Nissan a Barcellona).
Ma ci sono anche manifestazioni aperte di combattività di classe come lo sciopero selvaggio, cioè ai margini e contro i sindacati, che si è svolto negli autobus di Liegi (Belgio) contro l'irresponsabilità dell'azienda di far lavorare i propri dipendenti in condizioni completamente esposte al contagio, quando il Belgio era stato uno dei primi paesi a decretare la chiusura di un paese. Lo stesso vale, ad esempio, per l'approccio adottato dai lavoratori del panificio e del cantiere navale di Neuhauser a Nantes o della società SNF ad Andrézieux (Francia)[4]. In Francia ci sono state fortissime manifestazioni di protesta nei cantieri navali di Saint Nazare. Un operaio del cantiere ha detto alla televisione: “Mi costringono a lavorare in piccoli spazi con 2 o 3 colleghi in cabine di soli 9 metri quadrati e senza alcuna protezione. Poi devo tornare a casa mia, dove mia moglie e i miei figli sono confinati. E mi sono chiesto con grande preoccupazione se non rappresento un pericolo per loro. Non posso accettarlo”.
Mentre l'epidemia si diffonde e i suoi effetti nefasti sui lavoratori, seppure minoritari, sorgono focolai di protesta dei lavoratori contro l'imposizione della logica e delle esigenze dello sfruttamento capitalistico: lo abbiamo visto alla FIAT Chrysler negli stabilimenti di Tripton (Indiana/USA) che hanno protestato contro il fatto di dover andare a lavorare quando è proibito riunirsi fuori dalle fabbriche. Reazioni simili si sono avute anche negli stabilimenti della Lear a Hammond, sempre in Indiana, negli stabilimenti Fiat di Windsor (Ontario/Canada) o nella fabbrica di camion Warren alla periferia di Detroit. Anche gli autisti di autobus della città di Detroit hanno smesso di lavorare fino a quando l'azienda non ha assicurato loro un minimo di sicurezza nelle loro condizioni di lavoro. È molto significativo che, in queste lotte negli Stati Uniti, i lavoratori abbiano dovuto imporre la loro decisione di interrompere il lavoro contro la direttiva stabilita dal sindacato - in questo caso l'UAW - che li incoraggiava a continuare a lavorare per non danneggiare l'azienda.
E anche nel porto di Santos (Brasile) ci sono state proteste da parte dei lavoratori contro l’imposizione delle autorità di continuare il lavoro. E sempre qui cresce la preoccupazione tra i lavoratori delle fabbriche Volkswagen, Toyota, GM, ecc. contro la continuazione della produzione come se non ci fosse una pandemia.
Per quanto limitate siano state queste proteste, esse costituiscono una parte importante della risposta di classe del proletariato alla pandemia che ha un carattere indubbiamente di classe capitalista. Anche su un terreno puramente difensivo, gli sfruttati rifiutano di accettare di essere carne da cannone degli sfruttatori.
La stessa borghesia è consapevole del potenziale di sviluppo della combattività e della coscienza del proletariato contenuto in questo accumulo di inquietudini, indignazione e sacrifici richiesti ai lavoratori. Ora anche i principali protagonisti dell'"austericidio"[5] (come Merkel, Berlusconi, o lo spagnolo Luis de Guindos) si riempiono la bocca con promesse di benefici sociali. Ma le armi della classe sfruttatrice rimangono quelle tradizionali in tutta la storia della lotta di classe: l'inganno e la repressione.
L'ipocrisia delle campagne di elogi per gli operatori sanitari.
Naturalmente questi compagni di classe meritano tutto il riconoscimento e la solidarietà perché sono loro, in sostanza, che con il loro sforzo e il loro sostegno tengono a galla quel minimo di assistenza sanitaria. Lo fanno da anni contro i tagli al personale e il deterioramento delle risorse materiali. Ciò che è ripugnante è vedere il cinismo con cui le autorità che hanno favorito proprio queste condizioni di sovrasfruttamento e di impotenza di questi compagni di classe, vogliano unirsi a questa "solidarietà" con il fatto che siamo tutti sulla stessa barca, cantando l'inno nazionale ed esaltando i valori patriottici come rimedio (“uniti si vince”) contro il dilagare della pandemia. Il nazionalismo ripugnante di molte di queste "mobilitazioni" promosse dallo Stato stesso cerca di nascondere il fatto che non può esistere una comunità di interessi tra sfruttatori e sfruttati, tra i beneficiari e coloro che sono danneggiati dal degrado delle infrastrutture sanitarie, tra quelli che vogliono preservare la produzione e la competitività del capitale nazionale, e quelli che mettono la vita e i bisogni umani al primo posto. Per i lavoratori la patria è una trappola, sia che lo dicano Salvini e Vox, o che lo dicano Podemos, Macron o Conte.
Proprio invocando questa "solidarietà nazionale", i cittadini sono chiamati a denunciare coloro che presumibilmente "rompono" la quarantena, creando un clima di "caccia alle streghe" a volte pagate da madri con figli autistici, coppie di anziani che vanno a fare la spesa, o anche operatori sanitari che vanno in ospedale. È particolarmente cinico far ricadere la colpa della diffusione della pandemia, dei decessi da essa provocati, o dello stress subito dagli operatori sanitari su alcuni "trasgressori". Non c'è niente di più antisociale - cioè contrario alla comunità umana - dello Stato capitalista che difende gli interessi di classe della minoranza sfruttatrice, e questo è nascosto proprio dalla foglia di fico di questa presunta solidarietà. Ed è doppiamente ipocrita e criminale cercare di usare il disastro causato dalla negligenza dello Stato che difende gli interessi della classe nemica, come strumento per mettere alcuni lavoratori contro altri. Se gli operatori ospedalieri rifiutano di accettare un lavoro senza mezzi di protezione, vengono bollati come non solidali[6] e minacciati di sanzioni, come ha recentemente dimostrato il licenziamento del direttore medico dell'ospedale di Vigo (Galizia) per aver osato denunciare il "bla bla bla" dei politici borghesi riguardo alle misure di protezione. Il governo di Valencia (formato dagli stessi partiti della coalizione "progressista" che governa la Spagna) minaccia di censurare le immagini che mostrano lo stato terribile dell'assistenza sanitaria[7] in quella regione, invocando il diritto alla "privacy" dei pazienti quando questi stanno ammucchiati nei reparti di emergenza, ecc.
Se gli operai dell’Impresa Municipale di Trasporto Funebre si rifiutano di lavorare con i cadaveri di persone uccise dal Covid-19 senza protezione, sono accusati di impedire di piangerne la perdita alle famiglie, agli amici … Come nelle case al limite delle condizioni necessarie per vivere, come quando siamo stipati come animali sui mezzi pubblici verso i luoghi di lavoro, come nei luoghi di lavoro dove l'ergonomia è progettata in termini di produttività e non di necessità fisiologiche dei lavoratori, anche coloro che muoiono di coronavirus vengono ammassati in obitori come il Palazzo del Ghiaccio di Madrid.
Tutta questa brutalità disumana viene però presentata come la summa dell'unione di tutta la società. Non è un caso che nelle conferenze stampa del Governo spagnolo, che mente senza alcun rimorso (Quando arriveranno i test? E le maschere? E i respiratori? Risposta perenne del ministro della Salute: "nei prossimi giorni") compaiono i generali dell'Esercito, della Polizia, della Guardia Civile, con tutte le loro medaglie. Si tratta di impregnare la popolazione del noto spirito militare: "Obbedire senza lamentarsi". Si tratta anche di abituare la popolazione ad ogni sorta di restrizione delle proprie libertà civili a discrezione dell'Autorità, con l'effetto dell'applicazione di effetti molto discutibili ma che incoraggiano l'autodisciplina sociale e la denuncia, come abbiamo visto prima, spacciati come unica diga contro le malattie e il caos sociale. Non è un caso che la borghesia occidentale esprima oggi un'ammirazione non dissimulata per il controllo che certe tirannie, come quella del capitalismo cinese[8], esercitano sulla popolazione. Oggi lodano il successo della "via cinese" contro il coronavirus per mimetizzare la loro ammirazione per gli strumenti di questo controllo totalitario dello Stato (riconoscimento facciale, tracciamento e controllo dei movimenti e degli incontri delle persone, uso di queste informazioni per classificare la popolazione in categorie per il loro pericolo sociale?), e per poter presentare questa via di maggiore controllo totalitario dello Stato sfruttatore come la via per "proteggere la popolazione" dalle epidemie e da altre conseguenze dell'attuale caos capitalista.
Abbiamo mostrato come di fronte a una crisi sociale si manifesta l'esistenza di due classi antagoniste: il proletariato e la borghesia. Il primo è quello che sta guidando il meglio degli sforzi dell'umanità per cercare di fermare l'impatto di questa epidemia. È essenzialmente questo lavoro degli operatori sanitari, dei trasportatori, dei lavoratori dei supermercati e dell'industria alimentare che è stata l'ancora di salvezza a cui aggrapparsi nel bel mezzo della débâcle dello Stato. È stato dimostrato ancora una volta che il proletariato è, a livello mondiale, la classe che produce ricchezza sociale e che la borghesia è una classe parassita che approfitta di questa dimostrazione di tenacia, creatività e lavoro di squadra per ampliare il suo capitale. Ognuna di queste classi antagoniste offre una prospettiva completamente diversa al caos mondiale in cui il capitalismo ha fatto sprofondare l'umanità oggi: il regime di sfruttamento capitalistico fa sprofondare l'umanità in più guerre, epidemie, miserie, disastri ecologici; la prospettiva rivoluzionaria libera la specie umana dalla sottomissione alle leggi della sua appropriazione privata da parte di una minoranza sfruttatrice.
Ma gli sfruttati non possono sfuggire individualmente a questa dittatura. Non possono sfuggire attraverso azioni particolari alle caotiche direttive di uno Stato che agisce a beneficio di un modo di produzione che domina il mondo intero. Il sabotaggio o la disobbedienza individuale sono il sogno impossibile di classi che non hanno futuro da offrire all'insieme dell’umanità. La classe operaia non è una classe di vittime indifese. È una classe che porta con sé la possibilità di un nuovo mondo liberato proprio dallo sfruttamento, dalle divisioni tra classi e nazioni, dalla sottomissione dei bisogni umani alle leggi dell'accumulazione.
Un filosofo, (Buyng Chul Han) molto di moda per la sua descrizione del caos delle attuali relazioni sociali capitalistiche, ha recentemente affermato che "non possiamo lasciare la rivoluzione al virus”. E’ vero. Solo l'azione consapevole di una classe mondiale per sradicare coscientemente le radici della società di classe può costituire una vera rivoluzione.
Valerio 24 marzo 2020
[2] https://elpais.com/espana/madrid/2020-03-21/el-dano-del-coronavirus-en-las-residencias-de-mayores-sera-imposible-de-conocer.html [6]
[3] https://www.elespanol.com/espana/20200320/criterios-decidir-prioridad-falten-camas-uci/475954325_0.html [7]
[5] Omicidio tramite austerità: nome dato alle misure decretate dall'Unione Europea in risposta alla crisi del 2008, che ha comportato, tra l'altro, lo smantellamento delle strutture sanitarie
[6] https://www.elconfidencial.com/espana/2020-03-24/sanitarios-ramon-cajal-plante-mascarillas_2513959/ [8]
[8] E non certo comunismo: la Russia, la Cina, Cuba e le loro varianti non sono che l'espressione di una versione del capitalismo: il capitalismo di Stato.
Recentemente abbiamo subito la perdita di due compagni, due comunisti, due persone di grande spessore umano e intellettuale. Due persone diverse per il rispettivo percorso politico e per la diversa chiarezza politica: una militante dell’Istituto Onorato Damen, combattente comunista da giovanissima età; l’altra nostro compagno simpatizzante che stava compiendo ancora un percorso per definirsi in maniera compiuta rispetto al marxismo e alle nostre posizioni politiche. Ma in entrambe le figure emergeva un tratto comune, inconfondibile, cioè una profonda fiducia nell’azione delle minoranze rivoluzionarie e nella possibilità di cambiare questo mondo, di realizzare una società liberata dal capitalismo, senza classi e senza sfruttatori, finalmente a misura d’uomo. E’ questa fiducia, elemento così importante per l’azione della classe operaia oggi, che ha permesso a Gianfranco di militare per tutta una vita, con la buona o la cattiva sorte, in tempi di battaglie operaie e di crescita dell’organizzazione o di riflussi lunghi e scoraggianti come quello da cui ancora adesso stentiamo a uscire. E’ la stessa fiducia che ha permesso a Massimo di seguire l’invito di un suo amico a partecipare a delle prime riunioni pubbliche della CCI, e poi appassionarsi sempre di più fino a diventare uno dei soggetti più attivi di queste, pur reputandosi lui stesso come un principiante per il fatto di non avere delle esperienze pregresse.
Questa fiducia nel futuro della nostra classe e nelle minoranze che oggi, con tutte le loro difficoltà, lottano per aiutare il proletariato a ritrovare la sua identità e la sua coscienza, è un elemento prezioso che dobbiamo imparare a valorizzare e a trasmettere. E’ per questo che Gianfranco e Massimo ci mancheranno tanto. Ma se sappiamo recuperare e fare nostra questa fiducia che pervadeva i due compagni, la loro vita politica non sarà passata invano.
Per rendere più pieno e personalizzato il nostro omaggio a questi due compagni, pubblichiamo qui di seguito, per Gianfranco, il messaggio di solidarietà che abbiamo inviato ai compagni dell’Istituto Onorato Damen e, per Massimo, un testo scritto da un suo caro amico e una poesia dedicatagli da un altro compagno.
CCI
La CCI allo IOD
Cari compagni, con questo breve messaggio vogliamo partecipare con voi a rendere un doveroso omaggio al compagno Gianfranco, che ci ha lasciato all’alba del 14 novembre scorso dopo un travagliato periodo di sofferenze. Noi conserviamo solo un vago ricordo della figura fisica di Gianfranco, non ne ricordiamo il timbro della voce, forse perché nelle poche riunioni comuni cui ha partecipato a Napoli non è neanche intervenuto spesso. Ma nonostante questo non riusciamo a pensare a lui come a un estraneo, come qualcuno per il quale ostentare solo un interesse di circostanza, e questo per dei motivi che vogliamo qui di seguito sviluppare.
La prima cosa da dire è che Gianfranco è stato un militante internazionalista, un rivoluzionario, un compagno della sinistra comunista, vale a dire che Gianfranco, al di là del fatto che militasse in una organizzazione oggi diversa da quella di noi altri, combatteva la nostra stessa battaglia, aspirava allo stesso futuro. Questo è qualcosa che unisce molto più delle differenze di analisi o di programma che possono esistere tra lo IOD e la CCI o con altre formazioni dello stesso campo rivoluzionario. I rivoluzionari sono un patrimonio incredibilmente prezioso per la classe operaia e occorre che i singoli militanti, senza farsi prendere da stupide vanaglorie, assumano fino in fondo la consapevolezza della responsabilità che questo comporta. Riuscire a diventare un militante rivoluzionario, partecipare a portare avanti quell’opera magnifica di schiudere finalmente all’umanità l’alba di una società liberata da ogni rapporto di sfruttamento di una classe sull’altra, è il più grande privilegio che un uomo possa vivere. E noi avvertiamo, dalla descrizione che ce ne hanno fatto i compagni dello IOD, che Gianfranco era pienamente consapevole della responsabilità che la sua militanza comportava, onorandola fino alla fine dei suoi giorni. Il fatto che l’ultimo numero della rivista DMD’ contenga un articolo di Gianfranco mostra come il compagno sia stato attivo fino alla fine, senza perdere mai la fiducia nel futuro della classe operaia e senza mai pensare di “passare la mano” ad altri. I rivoluzionari non vanno in pensione, e anche Gianfranco, come altri nobili predecessori, non è mai andato in pensione ma è morto da rivoluzionario.
In un periodo difficile come quello che attraversiamo l’esempio di una vita intera spesa per la causa rivoluzionaria, per la classe operaia, è un elemento importante da mostrare alle nuove generazioni di giovani potenziali militanti che si affacciano alle posizioni della sinistra comunista. Non dobbiamo trascurare questi elementi di trasmissione del patrimonio non solo programmatico ma anche di valori etici, comportamentali, di concezione del senso della militanza e della stessa organizzazione, che sono così difficili da acquisire ma che sono così fondamentali nella vita politica di un’organizzazione rivoluzionaria. Per tutto questo noi consideriamo la perdita di Gianfranco non solo come una perdita dello IOD, ma anche nostra e di tutto il movimento operaio. Allo stesso modo noi prendiamo ispirazione dalla militanza di Gianfranco per continuare la nostra lotta con ancora più determinazione e coraggio.
Cari compagni, un grande abbraccio e un fraterno saluto a tutti voi dai vostri compagni della CCI.
Onore al compagno Gianfranco
Corrente Comunista Internazionale, 23 gennaio 2020
A Max
Erano gli anni 60, primi anni di liceo, e fu allora che incontrai Massimo per la prima volta. Un giovanottino, non protagonista, non irruente anzi abbastanza distaccato dal resto del branco, ma senza puzza sotto il naso. Sempre corretto verso gli altri, non ricordo mai uno screzio da parte sua nei confronti di altri né tanto meno di altri nei suoi confronti. Lui in classe era attento, responsabile e studioso, il suo rendimento scolastico era buono ma non risultava il primo della classe, non era per niente un secchione o un pavone che ostentava la sua bravura scolastica. Non si faceva mai coinvolgere dalle numerose goliardie di un gruppetto abbastanza vivace, del quale facevo parte anche io, e che in alcuni momenti riusciva irresponsabilmente persino ad organizzare nei confronti soprattutto di alcuni docenti certi “scherzi” che rasentavano la cattiveria. Erano bravate di cattivo gusto che si ripetevano di tanto in tanto e che unite al fatto che si studiava poco e male alla fine avrebbero danneggiato solo noi stessi. Infatti, alcuni appartenenti a quel gruppo, me compreso, quell’anno vennero bocciati. Con Massimo in quel periodo non ci furono legami particolari e così dopo quella mia bocciatura le nostre strade si divisero.
Molti, ma molti anni dopo, inizio anni 80, inserito in un ospedale da dipendente mi trovai un giorno ad essere donatore di sangue per la mamma di un collega e venni inviato nell’emoteca dello stesso ente per effettuare la donazione. Grande sorpresa, vi trovai Massimo, come medico infusore. Ricordo che fu un incontro molto cordiale e finita la trasfusione mi chiese se avevo bisogno di una certificazione che mi avrebbe consentito di usufruire di una giornata di riposo. Io rifiutai con garbo e dopo ci mettemmo un po’ a parlare raccontandoci brevemente come erano andate le nostre cose dopo che ci eravamo allontanati. Non so perché ma ebbi subito la sensazione che quello non sarebbe stato un incontro formale tra due persone destinate ad ignorarsi per il resto della vita. Ed ebbi ragione. I nostri incontri all’interno dell’azienda, della quale, ripeto, eravamo entrambi dipendenti, inizialmente fortuiti divennero pian piano sempre più cercati, vuoi per esigenze mediche personali (lui per aver avuto bisogno di alcune mie prestazioni e viceversa) e sia perché cominciavamo a stimarci reciprocamente, scoprendo di avere alcuni interessi comuni, come la pittura, la scultura ed anche la passione per alcune espressioni di artigianato regionale. E fu così che i nostri incontri diventarono programmatici e in questi incontri si parlava un po’ di tutto e chiaramente anche di politica. Scoprimmo così di essere entrambi ex sessantottini e di condividere ancora politicamente la stessa ideologia: entrambi i nostri cuori continuavano a pulsare a sinistra, ma non quella istituzionale. Lui mi disse di avermi trovato molto cambiato in meglio chiaramente rispetto a quello che avevo dimostrato di essere durante i primi anni di liceo, e questo apprezzamento mi fece molto piacere, ma mi confidò anche che io e gli altri del gruppo avevamo all’epoca, cito le sue parole, una bella testa di c. Quasi arrossendo per la vergogna mi difesi maldestramente dicendo che in quel periodo si rasentavano i quattordici anni di età ed a quell’età le stronzate erano all’ordine del giorno. Il fatto vero è che noi di quel gruppo ne facevamo troppe. Però, o perché si accorse del mio imbarazzo o perché veramente lo sentiva, o entrambe le cose, aggiunse che sotto sotto ci invidiava perché agivamo in piena libertà vivendo la nostra giovinezza con sfrontatezza e strafottendoci di tutti e soprattutto delle conseguenze. Ma questa cosa non servì a consolarmi ed ad autoassolvermi.
Tuttavia, questa sua rivelazione, vera al cento per cento o solo in parte, svelò un aspetto particolare del carattere di Massimo che poi frequentandoci ho riscontrato in più occasioni: una certa indole istintiva ed anarchicheggiante che, secondo me, lo ha caratterizzato fino alla fine. A conferma di ciò, faccio riferimento per esempio, tra altri che ho potuto constatare di persona, ad un episodio, da lui raccontatomi, vissuto un giorno uscendo dalla metropolitana. Lì nei pressi c’era un giovanotto che stava diffondendo giornali comunisti (identificati da me al momento del racconto come quelli di un gruppo sinistrorso, ma Massimo all’epoca non sapeva ancora la differenza tra la sinistra gauchista del capitale e la sinistra comunista del campo politico proletario). Proseguendo, mi disse che aveva di poco superato il giovanotto quando sentì un tizio, che gli era passato vicino, scagliarsi verbalmente ed animosamente verso il giovanotto con i giornali con parole offensive tipo “ancora con questo comunismo, ma buttatevi nel cesso voi comunisti”, e mentre continuava con improperi simili verso i comunisti si guardava attorno per raccogliere consenso tra i passanti tra cui il più vicino, risultava proprio lui, Massimo. Stizzito dal comportamento di questo individuo verso i comunisti ed il comunismo, Massimo disse che istintivamente, senza pensarci nemmeno un attimo, si rigirò e facendo alcuni passi indietro, comprò in maniera vistosa, senza però scomporsi più di tanto, il giornale dal giovanotto a mo’ di sfida a questo provocatore.
Dal punto di vista umano e professionale da bravo medico quale è stato criticava con una certa durezza l’organizzazione sanitaria e la stessa scienza medica ridotta a puro e brutale mercato, e a mistificazioni di ogni sorta che sebbene sostenute da un agire burocratico, come - diceva lui - vuole l’attuale legislazione sanitaria, risultavano sempre più pericolose per la salute umana. Nel suo ambito lavorativo non ha mai legato con nessuno di quella schiera di lecchini, suoi colleghi, che per avere un ruolo di comando erano disposti a vendere anche i propri genitori al migliore offerente. E manco a farla apposta parlando di alcune di queste persone ci trovavamo, ognuno per proprio conto, per vissute esperienze personali, sempre con le stesse valutazioni, chiaramente negative. Nonostante ciò per le sue elevate competenze e la sua serietà professionale la direzione generale (in carica in quel periodo) dell’azienda gli aveva offerto la nomina di dirigente medico di primo livello del settore in cui lavorava (una volta si diceva da primario). Per un certo periodo ha anche svolto tale ruolo, ma si rese subito conto che dietro quell’incarico così prestigioso si celavano alti costi che la sua morale, la sua etica, la sua professionalità e soprattutto la sua umanità avrebbero dovuto pagare a caro prezzo, e quindi preferì rinunciarvi. Mostrava anche un’elevata avversione verso i sindacati, lui diceva per i loro comportamenti da gangster e da piccoli padroncini. La qual cosa corrispondeva a verità.
Massimo si sentiva un comunista, anche se, come lui stesso ha ammesso più volte pubblicamente, era cosciente di essere pieno di lacune della storia del movimento operaio e delle sue avanguardie rivoluzionarie.
Alla fine, dopo una serie di discussioni politiche avute con me, che intanto già ero diventato simpatizzante della sinistra comunista e anche per delle letture più specifiche su quest’ultima che gli avevo proposto, ha avuto la necessità di avvicinarsi a tali posizioni ed in particolare a quelle della CCI (Corrente comunista internazionale). E tutti ricordiamo la sua attenta ed attiva partecipazione alle riunioni pubbliche, dalle quali raramente è mancato e dove spesso era solito invitare anche altre persone di sua conoscenza.
Max, purtroppo durante le prime ore di questo 9 febbraio del 2000 ci ha lasciato dopo una breve ed improvvisa malattia, le cui cause non sono state del tutto trovate, e forse in questo ha sperimentato sulla sua persona ciò che di solito affermava: la medicina nonostante sembri aver fatto passi avanti naviga ancora nell’oscurità.
Ciao Massimo ti piango come compagno, ma anche come un sincero e leale amico. Mi mancherai molto, R.
**********************
Ciao Massimo,
te ne sei andato così,
in un mattino di febbraio,
lasciandoci senza parole …
Tu, che con i tuoi dubbi, le tue domande,
la tua immensa curiosità per la ricerca di una strada
che porti a un mondo migliore,
hai suscitato in noi momenti di profonda riflessione
e fiumi di parole, fiumi di tentativi di risposte …
Oggi l’agghiacciante notizia
ci ha lasciati muti,
ci ha gelato il cuore,
e ci fa sentire un po’ più soli …
Ma noi continueremo, anche per te
e grazie anche al tuo grande contributo
fatto di partecipazione, di gentilezza e di grande umanità,
in quella ricerca che, siamo sicuri,
porterà l’umanità intera a trovare
quello che tu insieme a noi cercavi.
Stefano, Napoli 9 febbraio 2020
La pandemia di coronavirus sta causando migliaia di morti in tutto il mondo. Perché sta succedendo tutto questo? Perché la ricerca su questo tipo di virus, nota da tempo, è stata abbandonata perché considerata non redditizia! Perché quando è iniziata l'epidemia, agli occhi della borghesia cinese era più importante fare tutto il possibile per mascherare la gravità della situazione, per proteggere la sua economia e la sua reputazione, non esitando a mentire e far pressione sui medici che davano l'allarme! Perché in tutti i paesi le misure di contenimento sono state adottate troppo tardi, la preoccupazione principale degli Stati è stata "non bloccare l'economia", "non far soffrire le imprese"! Perché, ovunque, mancano maschere, gel disinfettanti, mezzi per individuare le malattie, letti d'ospedale, respiratori e luoghi per la terapia intensiva! Bisogna ricordare che in Francia i medici di pronto soccorso e gli stagisti sono in sciopero da più di un anno per denunciare la catastrofica mancanza di risorse umane e di materiali negli ospedali?[1] I dirigenti politici osano oggi parlare di proteggere i più indigenti dal virus, gli anziani, mentre gli stessi operatori delle case di cura (EHPAD), sono in sciopero da più di un anno, indignandosi per i maltrattamenti dei "residenti" a causa della mancanza di personale e quindi di tempo per prendersi cura di loro! In Francia, pur essendo la seconda potenza economica europea per dimensioni, è impossibile impossessarsi della minima maschera. Anche all'interno dei reparti di pneumologia, in prima linea nella pandemia, i medici devono accontentarsi di tre maschere al giorno! In Italia prevale la stessa vergognosa e indecorosa situazione. Molti dipendenti sono costretti ad andare a lavorare, spesso stipati a milioni sui mezzi pubblici, perché sono ufficialmente "indispensabili per la continuità economica del Paese"... come le fabbriche del settore automobilistico! Si ritrovano stipati in linee di produzione, senza precauzioni, senza maschere, senza sapone. Negli ultimi giorni sono scoppiati scioperi in questo paese. Ecco un breve estratto da una testimonianza che viene da Bologna: "I lavoratori non sono carne da macello". "Gli scioperi nelle catene di produzione si moltiplicano. Costretti a lavorare senza alcuna tutela per la loro salute, i lavoratori sono in rivolta: ‘Sono costretto a lavorare in un ambiente di lavoro che mette in pericolo la mia salute, quella dei miei parenti, dei miei colleghi, delle persone che incontro. (...) All'interno dei magazzini e delle fabbriche non valgono tutti i saggi precetti che ascoltiamo ogni giorno. In molti di questi luoghi vi è una quasi totale assenza delle condizioni minime necessarie per prevenire la proliferazione del virus:
- la presenza di lavoratori in numero significativo in spazi ridotti e pieni di merci non è mai stata messa in discussione;
- (...) c'è persino una mancanza di sapone nei bagni!
- guanti e maschere? Inutili pretese di chi non vuole lavorare dicono i capii. (…)
- Interventi pubblici per verificare il rispetto di queste piccole attenzioni? È da parte delle forze di polizia in caso di sciopero".
Il grido d'allarme di questi scioperi è: "I vostri profitti valgono più della nostra salute! Questa è di fatto la realtà sotto il capitalismo, questo decadente sistema di sfruttamento. Ma queste lotte dimostrano anche che c'è una speranza. La classe operaia è portatrice di solidarietà, dignità e unità. È portatrice di un mondo dove la ricerca del profitto non sarà più la regola, dove "l'internazionale sarà il genere umano".
Di fronte a questa pandemia, dobbiamo non solo sviluppare la solidarietà e prenderci cura dei più bisognosi, ma anche sviluppare la riflessione su cosa è il capitalismo, sul perché sta marcendo sulle proprie gambe, e discuterne ogni volta che è possibile, per alimentare la coscienza collettiva della necessità di rovesciarlo. L'articolo che segue vuole essere un contributo a questa riflessione.
Alla fine del nostro primo articolo sulla pandemia di Covid-19 dicevamo:
“Qualunque cosa accada con questo nuovo virus Covid-19, sia che diventi una nuova pandemia, o che si estingua come la SARS, o che si stabilisca come un nuovo virus respiratorio stagionale, questa nuova malattia è l'ennesimo avvertimento che il capitalismo è diventato un pericolo per l'umanità, e per la vita su questo pianeta. L'enorme capacità delle forze produttive, compresa la scienza medica, di proteggerci dalle malattie, si scontra con la ricerca assassina del profitto, l'ammassamento di una parte sempre più grande della popolazione in grandi città, con tutti i rischi di nuove epidemie. Il rischio del capitalismo non finisce qui, ci sono anche i rischi di inquinamento, di distruzione ecologica e di guerre imperialiste sempre più caotiche”
Adesso questa pandemia è diventata un problema di prima grandezza in tutto il mondo e ha causato un autentico “tsunami” economico dalle conseguenze disastrose. Per ragioni di spazio non tratteremo qui queste implicazioni per l’economia. Lo faremo in un prossimo articolo. In questo ci dedichiamo ad analizzare come questa epidemia rivela il disastroso stato di salute del capitalismo
Adesso si confermano tutti i presagi più cupi e l’OMS deve riconoscere che si tratta di una pandemia estesa a 117 paesi di tutti i continenti, che il numero di contagiati supera i 120mila, che i morti in queste prime settimane della pandemia sono più di 4.000, e così via. Quello che iniziò come un “problema” cinese, è diventato oggi una crisi sociale nelle principali potenze capitaliste del pianeta (Giappone, USA, Europa Occidentale, ecc.). Solo in Italia il numero di morti supera quelli causati in tutto il mondo dall’epidemia di Sars del 2002-2003.I mezzi di controllo draconiano sulla popolazione che un mese fa furono prese dalle “tiranniche” autorità cinesi, come l’isolamento di milioni di persone[2], e quelle proprie di un autentico “darwinismo sociale” consistente nella esclusione dai servizi ospedalieri di tutti quelli che non sono “prioritari” nella lotta per contenere l’epidemia, sono moneta corrente in molte delle principali città di tutti i paesi coinvolti in tutti i continenti.
I mezzi di informazione borghesi ci bombardano ad ogni ora con una serie di dati, raccomandazioni e “spiegazioni” su quello che cercano di presentare come una specie di piaga, una nuova catastrofe “naturale”. Ma questa catastrofe non ha nulla di “naturale”, è piuttosto il risultato dell’asfissiante dittatura del modo di produzione capitalista, senile e obsoleto, contro la natura e con questa contro la specie umana.
I rivoluzionari non hanno competenza per fare studi epidemiologici o pronostici sul corso delle malattie. Il nostro ruolo è spiegare, su una base materialista, le condizioni sociali che rendono possibile e inevitabile l’insorgere di questi eventi catastrofici. Così, abbiamo messo in evidenza che l’essenza del sistema capitalista è porre lo sfruttamento, il profitto e l’accumulazione prima dei bisogni umani. Che un altro capitalismo non è possibile. Ma anche che questi stessi rapporti di produzione capitalisti che, in una certa fase storica, favorirono un enorme avanzamento delle forze produttive, (della scienza, di un certo dominio della natura per ridurre le sofferenze che questa imponeva agli esseri umani,…) si sono trasformati oggi in un ostacolo per il suo sviluppo. Abbiamo spiegato anche come il prolungarsi per decenni di questa tappa della decadenza capitalista ha dato impulso, in mancanza di una soluzione rivoluzionaria, all’entrata in una nuova fase: quella della decomposizione sociale[3], in cui si concentrano sempre più queste tendenze distruttive portando a una moltiplicazione del caos, della barbarie, del progressivo disgregarsi delle proprie strutture sociali che garantivano un minimo di coesione sociale, arrivando a minacciare la stessa sopravvivenza della vita sul pianeta Terra.
Elucubrazioni di quattro marxisti sorpassati? Certo che no. Gli scienziati che si stanno esprimendo in maniera più rigorosa sull’attuale pandemia di Covid 19 affermano che la proliferazione di questo tipo di epidemie ha la sua causa, tra le altre, nell’accelerato deterioramento dell’ambiente naturale che porta ad un aumento dei contagi provenienti dagli animali (zoonosis), che si avvicinano alle concentrazioni umane per poter sopravvivere, e allo stesso tempo all’affollarsi di milioni di esseri umani in megalopoli che provocano curve di infezione veramente vertiginose. Come abbiamo già scritto nel nostro precedente articolo sul Covid 19[4], alcuni medici in Cina avevano provato, fin dal dicembre 2019, ad avvertire circa un nuovo rischio di epidemia per coronavirus SRAS, ma furono censurati e repressi dallo Stato, perché questo minacciava l’immagine di potenza mondiale di prima fila a cui il capitale cinese aspira.
Nè è la CCI la prima ad insistere sul fatto che uno dei principali fattori di impulso della propagazione di questa pandemia è il crescente scoordinamento delle politiche dei diversi paesi, che è una delle caratteristiche del capitalismo, ma che si è rafforzata sempre più per l’avanzare del “ciascuno per se” e il “ripiegamento” su se stessi che caratterizza gli Stati e i capitalisti nella fase di decomposizione di questo sistema e che tende ad impregnare tutte le relazioni sociali.
Non scoprivamo niente di nuovo quando segnalavamo che la pericolosità di questa malattia non sta tanto nel virus stesso, ma nel fatto che questa pandemia si verifica in un contesto di enorme deterioramento, per decenni e su scala mondiale, delle infrastrutture sanitarie. Che infatti è la gestione di queste strutture sempre più scarse e poco efficaci che spinge i vari Stati a cercare di diluire nel tempo l'emergere di nuovi casi, anche se questo significa prolungare l’effetto di questa pandemia nel tempo.
Questo degrado irresponsabile delle risorse - della conoscenza, della tecnologia, ecc. - accumulate in decenni di lavoro umano, l'assoluta mancanza di prospettiva, la totale mancanza di preoccupazione per il futuro che la specie umana può avere, non sono la caratteristica di una forma di organizzazione sociale - il capitalismo - in decomposizione?
Nella storia dell’umanità si sono avute altre epidemie estremamente letali. In questi giorni è facile ritrovare sui mezzi di informazione borghesi servizi o supplementi su come il vaiolo e il morbillo, il colera o la peste causarono milioni di morti. Quello che manca in questo tipo di affermazioni è spiegare che la causa di queste mortalità era essenzialmente la penuria che affliggeva l’umanità, sia dal punto di vista delle condizioni di vita che delle conoscenze sulla natura. Il capitalismo rappresenta proprio la possibilità storica di superare questa tappa della penuria materiale e, attraverso lo sviluppo delle forze produttive, porre le basi di un’abbondanza che potrà permettere un’autentica unificazione e liberazione dell’umanità in una società comunista. Se si guarda al 19° secolo, cioè al momento della massima espansione capitalista, si può vedere come la salute, e quindi la malattia, non sono più percepiti come una fatalità, in quanto c'è un progresso non solo nella ricerca ma anche nella comunicazione tra i diversi ricercatori, e un reale cambiamento verso un approccio più "scientifico" alla medicina[5]. E tutto questo si ripercuoteva sulla vita quotidiana della popolazione: dai mezzi per migliorare l’igiene pubblica ai vaccini, dalla formazione di medici esperti alla creazione di ospedali. La causa dell’aumento della popolazione (da mille a duemila milioni di persone) e soprattutto della speranza di vita (da 30 a 40 anni all’inizio del 19° secolo, fino ai 50-60 del 1900) è dovuta essenzialmente a questi miglioramenti della scienza e dell’igiene. Niente di questo fu fatto dai borghesi per uno spirito altruista o a favore delle necessità della popolazione. Il capitalismo nacque “grondando sangue e fango”, come diceva Marx. Però in mezzo a questo orrore, il suo interesse ad ottenere la massima redditività dalla forza lavoro, dalle conoscenze acquisite dai loro schiavi salariati in decenni di apprendimento di nuove procedure di produzione, di assicurare la stabilità del trasporto di forniture e merci, etc., hanno reso la classe sfruttatrice "interessata" - al minor costo, beninteso - a prolungare la vita attiva dei loro salariati, ad assicurare la riproduzione di questa merce che è la forza lavoro, aumentando il plusvalore relativo attraverso l’aumento della produttività della classe sfruttata.
Questa situazione si trasformò con il cambio del periodo storico tra la fase ascendente del capitalismo e la sua decadenza, che i rivoluzionari hanno situato, fin dalla Internazionale Comunista, nella Prima Guerra Mondiale[6].
Non è per niente un caso che intorno al 1918 si verificò una delle epidemie più mortifere della storia dell’umanità: l’influenza detta “spagnola” del 1918-19. In questa epidemia si può vedere che non è tanto la virulenza dell’agente patogeno ma le condizioni sociali caratteristiche della guerra imperialista nella decadenza capitalista (dimensione mondiale del conflitto, impatto della guerra sulla popolazione civile delle principali nazioni, ecc.) che spiega la grandezza della catastrofe: 50 milioni di morti, mentre la Prima Guerra Mondiale ne causò 10 milioni.
Questa guerra e questo orrore ebbero un secondo episodio ancora più terrificante nella 2^ Guerra Mondiale. Le atrocità della prima carneficina imperialista come l’utilizzazione dei gas asfissianti si rivelarono poca cosa rispetto alle barbarie della Guerra Mondiale del 1939-45 messe in campo da parte di tutte le potenze contendenti: utilizzazione di esseri umani per esperimenti da parte di tedeschi e giapponesi ma anche da parte delle potenze “democratiche” (i britannici sperimentarono l’antrax, i nordamericani iniziarono le prove con il napalm contro il Giappone e le anfetamine sui propri soldati) per arrivare al culmine con l’utilizzazione della bomba atomica ad Hiroshima e Nagasaki.
E con la successiva “pace”? Certamente le principali potenze capitaliste misero in piedi sistemi sanitari, con il modello dell’HNS britannico creato nel 1948 – e che viene considerato come una delle pietre miliari del cosiddetto Welfare State – per consentire un’assistenza sanitaria “universale” che aveva come obiettivo, tra l’altro, di evitare epidemie come l’influenza spagnola. Il capitalismo si era trasformato in umanitario? Si trattò di una conquista dei lavoratori? Certamente NO. Queste misure avevano per obiettivo la riparazione, al minor costo possibile, della forza lavoro (una merce divenuta scarsa dal momento che la guerra aveva sepolto importanti settori del proletariato) e assicurare il processo produttivo per la ricostruzione. Questo non significa che i “rimedi” impiegati non si convertirono in nuove fonti di disastri. Si può vedere l’esempio degli antibiotici usati per frenare le infezioni che, a causa delle necessità della produttività capitalista, si usano abusivamente per accorciare i periodi di incapacità lavorativa. Questo ha finito col causare un importante problema di resistenze batteriche – i cosiddetti “superbatteri” – che stanno riducendo l’arsenale terapeutico per aggredire le infezioni. Si vede anche con l’aumento di infermità come l’obesità o il diabete causati dal deterioramento dell’alimentazione della classe lavoratrice – vale a dire, lo sminuire della riproduzione della classe sfruttata - e degli strati più poveri della società nella misura in cui l'uso della tecnologia alimentare da parte del capitalismo produce l'obesità nella miseria. Si vede ugualmente come i farmaci dispensati per alleviare il crescente dolore che questo sistema di sfruttamento infligge alla popolazione lavoratrice hanno portato a fenomeni come la cosiddetta “epidemia degli oppiacei” che, fino all’arrivo del coronavirus, era per esempio il primo problema sanitario negli Stati Uniti, avendo causato più morti della guerra del Vietnam.
La pandemia del Covid-19 non può essere separata dal resto dei problemi che pesano sulla salute dell'umanità. Al contrario, essi dimostrano che la situazione può solo peggiorare se rimane assoggetta al sistema sanitario disumanizzato e commercializzato che è il sistema sanitario capitalista del XXI secolo. L'origine delle malattie oggi non è tanto la mancanza di conoscenza o tecnologia da parte dell'umanità. Allo stesso modo, le attuali conoscenze in epidemiologia dovrebbero consentire di contenere una nuova epidemia. Ad esempio: appena due settimane dopo la scoperta della malattia, i laboratori di ricerca erano già riusciti a sequenziare il virus all'origine del Covid-19. L'ostacolo che la popolazione deve superare è che la società è sottoposta a un modo di produzione che sfrutta una minoranza sociale e che è diventato un freno a questa lotta. Quello che possiamo vedere è che la corsa allo sviluppo di un vaccino, anziché essere uno sforzo collettivo e coordinato, è in realtà una guerra commerciale tra i laboratori. I veri bisogni umani sono subordinati alle leggi della giungla capitalista. La lotta accanita per essere i primi a guadagnare quote di mercato è l'unica cosa che conta per qualsiasi capitalista.
Al nostro recente 23 ° Congresso internazionale, abbiamo adottato una risoluzione sulla situazione internazionale, in cui abbiamo ripreso e rivendicato la validità di ciò che avevamo scritto nelle nostre tesi sulla decomposizione:
"Le tesi del maggio 1990 sulla decomposizione evidenziano tutta una serie di caratteristiche nell'evoluzione della società derivanti dall'ingresso del capitalismo in questa fase finale della sua esistenza. Il rapporto adottato al 22° congresso ha osservato il peggioramento di tutte queste caratteristiche, come ad esempio:
(Tesi sulla decomposizione, punto 7)
Ciò che possiamo vedere oggi, è che queste manifestazioni sono diventate il fattore decisivo dell'evoluzione della società capitalista, e che solo a partire da esse possiamo interpretare la nascita e lo sviluppo di eventi sociali su larga scala. Se guardiamo ciò che sta accadendo con la pandemia del Covid-19, possiamo vedere l'importanza dell'influenza di due elementi caratteristici di questa fase terminale del capitalismo:
Innanzitutto, la Cina non è solo il quadro geografico dell'origine delle più recenti epidemie (SARS nel 2002-2003 o Covid-19). Al di là di questo elemento circostanziale, è necessario comprendere le caratteristiche dello sviluppo del capitalismo cinese nella fase di decomposizione del capitalismo mondiale e la sua influenza sulla situazione attuale. La Cina è diventata in pochi anni la seconda potenza mondiale con un'enorme importanza nel commercio e nell'economia mondiale, grazie prima al sostegno che gli Stati Uniti le ha accordato dopo che la Cina aveva cambiato blocco imperialista (nel 1972) e poi, dopo la scomparsa di questi blocchi nel 1989, diventando il principale beneficiario della cosiddetta globalizzazione (che ha implicato la corsa di capitali occidentali in Cina). Ma, proprio per questo, "la potenza della Cina porta tutte le stigmate del capitalismo terminale: essa si basa sullo sfruttamento eccessivo della forza lavoro del proletariato, sullo sviluppo frenetico dell'economia di guerra del programma nazionale di "fusione militare-civile" ed è accompagnato dalla catastrofica distruzione dell'ambiente, mentre la "coesione nazionale" si basa sul controllo poliziesco delle masse sottoposte all'educazione politica del Partito unico (...) Infatti, la Cina è solo una gigantesca metastasi del cancro militarista generale dell'intero sistema capitalista: la sua produzione militare si sta sviluppando a un ritmo sfrenato, il suo bilancio della difesa è stato moltiplicato per sei in 20 anni e dal 2010 si colloca al secondo posto nella classifica mondiale"[7].
Questo sviluppo della Cina, che viene spesso proposto come dimostrazione della eternità della forza del capitalismo, è in effetti la principale manifestazione della sua decomposizione. La luce delle sue conquiste tecnologiche o della sua espansione in tutto il mondo grazie a iniziative spettacolari come la nuova "via della seta", non può farci perdere di vista le enormi condizioni di sfruttamento estremo (giornate lavorative estenuanti, stipendi di miseria, ecc.) in cui sopravvivono centinaia di milioni di lavoratori, in condizioni di alloggio, cibo, cultura, che sono enormemente arretrate e che, inoltre, si esauriscono sempre di più. Ad esempio, le scarse spese sanitarie pro capite sono già diminuite del 2,3%. Un altro esempio edificante: alimenti prodotti con pochissimi standard igienici o direttamente al di fuori di essi, come nel consumo di carne di animali selvatici dal mercato nero. Negli ultimi due anni, la peggiore epidemia nella storia dell'influenza suina africana si è diffusa in Cina, costringendo l'abbattimento del 30% di questi animali e causando un aumento del 70% del prezzo della carne suina.
Il secondo elemento che mostra il crescente impatto della decomposizione capitalista è l'erosione del minimo di coordinamento esistente tra i differenti capitali nazionali. È vero che, come analizzato dal marxismo, la massima unità alla quale il capitalismo può aspirare - anche con riluttanza - è lo stato nazionale, e quindi un super imperialismo non è possibile. Ciò non significa che, durante la divisione del mondo in blocchi imperialisti, non sia stata creata un'intera serie di strutture, dall'UNESCO all'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel tentativo di gestire un minimo di interessi comuni tra i differenti capitali nazionali. Ma questa tendenza verso un minimo di coordinamento è andata deteriorandosi con il progredire della fase di decomposizione capitalista. Come abbiamo anche analizzato nella summenzionata risoluzione sulla situazione internazionale del nostro 23° congresso: "Il peggioramento della crisi (così come le esigenze della rivalità imperialista) sta mettendo a dura prova le istituzioni e i meccanismi multilaterali" (Punto20).
Ciò è evidente, ad esempio, dal ruolo svolto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Il coordinamento internazionale in risposta all'epidemia di SARS nel 2002-2003, nonché la velocità di alcune scoperte[8] nei laboratori di tutto il mondo, spiegano la bassa incidenza di un virus generato da una famiglia molto simile a quella dell'attuale Covid-19. Questo ruolo, tuttavia, è stato messo in discussione dalla risposta sproporzionata dell'OMS all'epidemia di influenza A del 2009, in cui l'allarmismo dell'istituzione è stato utilizzato per causare vendite massicce dell'antivirale "Tamiflu" fabbricato da un laboratorio in cui l'ex segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld aveva un interesse diretto. Da allora, l'OMS è stata quasi relegata al ruolo di una ONG che pontifica "raccomandazioni" ma che non è in grado di imporre le sue direttive ai differenti capitali nazionali. Non sono nemmeno in grado di unificare i criteri statistici per il conteggio delle persone infette, il che apre la strada a ciascun capitale nazionale per cercare di nascondere il più a lungo possibile l'impatto dell'epidemia nei rispettivi paesi. Ciò è accaduto non solo in Cina, che ha cercato di nascondere i primi segni dell'epidemia, ma anche negli Stati Uniti, che tentano di nascondere sotto il tappeto il numero di persone colpite per non rivelare un sistema di salute basato su un'assicurazione privata, alla quale il 30% dei cittadini americani non ha praticamente accesso. L'eterogeneità dei criteri per l'applicazione dei test diagnostici, o le differenze tra i protocolli di azione nelle diverse fasi, hanno indubbiamente ripercussioni negative per contenere la diffusione di una pandemia globale. Peggio ancora, ogni capitale nazionale adotta misure per vietare l'esportazione di dispositivi di protezione e di igiene o di apparecchiature respiratorie, come ad esempio la Germania di Merkel o la Francia di Macron. Si tratta di misure che promuovono la difesa dell'interesse nazionale a detrimento di bisogni che possono essere più urgenti in altri paesi.
La propaganda dei media ci bombarda costantemente con appelli alla responsabilità individuale dei cittadini al fine di prevenire il collasso dei sistemi sanitari che, in molti paesi, mostrano segni di esaurimento (sfinimento dei lavoratori, mancanza di materiale e risorse tecniche, ecc.) La prima cosa da denunciare è che ci troviamo di fronte alla cronaca di un disastro annunciato. E non a causa dell’” irresponsabilità" dei "cittadini" ma a causa di decenni di tagli alla spesa sanitaria, del numero di operatori sanitari e dei budget per la manutenzione degli ospedali e della ricerca medica[9]. Così, ad esempio, in Spagna, uno dei paesi più vicini a questo "collasso" che noi siamo chiamati a evitare, la successione dei piani di riduzione ha portato la scomparsa di 8000 letti ospedalieri[10], con letti di terapia intensiva inferiore alla media europea e con attrezzature in cattivo stato di conservazione (il 67% dei dispositivi respiratori ha più di 10 anni). La situazione è molto simile in Italia e Francia. Nel Regno Unito, che, come abbiamo ricordato all’inizio, era stato presentato come modello di assistenza sanitaria universale, negli ultimi 50 anni si è verificato un continuo deterioramento della qualità dell'assistenza, con oltre 100.000 posti vacanti di personale sanitario. E tutto questo accadeva già molto prima della Brexit!
E sono questi stessi operatori sanitari che hanno visto sistematicamente peggiorare le loro condizioni di vita e di lavoro, sottoposti a una pressione crescente per fornire assistenza (più pazienti e più malattie) con degli effettivi sempre più ridotti, e che ora soffrono per un'ulteriore pressione dovuta al collasso dei servizi sanitari a seguito della pandemia; quelli che chiedono applausi per il coraggio e l'altruismo di questi impiegati del servizio pubblico, sono gli stessi che li stanno portando allo sfinimento eliminando le pause regolamentari, trasferendole forzatamente da un posto di lavoro a un altro, facendoli lavorare - di fronte ad una pandemia di cui non conosciamo l'evoluzione - senza dispositivi di protezione individuale sufficienti (maschere, vestiari, attrezzature usa e getta), né formazione adeguata. Far lavorare gli operatori sanitari in queste condizioni li rende ancora più vulnerabili all'impatto stesso dell'epidemia, come abbiamo visto in Italia dove almeno il 10% di loro è stato infettato dal virus.
E per costringere i lavoratori a obbedire a queste richieste, ricorrono all'arsenale repressivo dello "stato di emergenza" minacciando ogni tipo di sanzione, multe e azione penale contro coloro che si rifiutano di eseguirle. Questi ordini e questa politica delle autorità sono stati, in molti casi, la causa diretta di un tale caos.
Di fronte a questa situazione, che impone al personale sanitario il "fatto compiuto" del disastroso stato della sanità, i lavoratori di questo settore sono anche costretti a essere coloro che devono applicare metodi vicini all'eugenetica, scegliere di dedicare le scarse risorse disponibili ai pazienti con maggiori possibilità di sopravvivenza, come abbiamo visto con le linee guida sostenute dall'associazione di anestesisti e medici di emergenza italiani[11], che caratterizza la situazione come quella di "stato di guerra”. In effetti, questa è davvero una guerra ai bisogni umani condotta dalla logica del capitale, in cui i lavoratori in questo settore soffrono sempre più di ansia perché devono lavorare in funzione di queste leggi disumane. L'ansia espressa da molti di questi lavoratori è il risultato del fatto che non possono nemmeno ribellarsi a tali criteri, né rifiutare di lavorare in condizioni indegne, né rifiutare nemmeno i sacrifici delle loro condizioni di vita, perché farlo, ad esempio attraverso gli scioperi, danneggerebbe gravemente i loro fratelli e sorelle di classe, il resto degli sfruttati. Non possono nemmeno incontrarsi, riunirsi con altri compagni, esprimere fisicamente solidarietà tra i lavoratori perché ciò contravviene ai protocolli di "dispersione sociale" richiesti dal contenimento dell'epidemia.
I nostri compagni nel settore sanitario non possono combattere apertamente nella situazione attuale, ma il resto della classe operaia non può lasciarli soli. In Italia emergono notizie di fabbriche e luoghi di lavoro in cui i lavoratori smettono di lavorare esigendo di uscire dai luoghi di lavoro e tornare a casa visto che sono stati decretati i confinamenti. Ci sono anche state proteste per chiedere che le imprese forniscano loro mezzi di protezione (mascherine, guanti, ecc.) per continuare a lavorare. Tutti i lavoratori sono vittime di questo sistema e tutti i lavoratori finiranno per pagare, prima o poi, i costi di questa epidemia. O a causa di tagli sanitari "non prioritari" (sospensione delle operazioni chirurgiche, consultazioni mediche, ecc.) o a causa delle decine di migliaia di annullamenti di contratti temporanei, o addirittura per la riduzione dei salari dovuta ai congedi per malattia, etc ... E accettare ciò significherebbe dare il via libera ai nuovi attacchi anti-operai ancora più brutali in preparazione. Dobbiamo quindi continuare ad affilare con rabbia l'arma della solidarietà operaia, come abbiamo visto di recente nelle lotte in Francia contro la riforma delle pensioni.
L'esplosione delle insormontabili contraddizioni del capitalismo nel cuore del sistema sanitario sono sintomi inequivocabili che segnano la senilità nella sua fase terminale e il vicolo cieco del sistema capitalista. Proprio come i virus colpiscono gli organismi più malandati causando episodi più gravi di malattia, il sistema sanitario è irreversibilmente alterato da anni di austerità e "gestione" basati non sui bisogni delle persone ma sulle esigenze di un capitalismo in crisi e in pieno declino. Lo stesso vale per l'economia capitalista, sostenuta artificialmente dalle costanti manipolazioni delle leggi capitaliste sul valore e dalla fuga in avanti del debito, rendendola così fragile che un'epidemia la potrebbe sprofondare in una nuova recessione mondiale più brutale.
Ma il proletariato non è solo la vittima di questa catastrofe per l'umanità che è il capitalismo. È anche la classe che ha il potenziale e la capacità storica di sradicarla definitivamente dalla sua lotta, sviluppando la sua riflessione cosciente, la sua solidarietà di classe. Solo la sua rivoluzione comunista può e deve sostituire le relazioni umane basate sulla divisione e sulla competizione con quelle basate sulla solidarietà. Organizzando la produzione, il lavoro, le risorse dell'umanità e della natura sulla base dei bisogni umani e non sulla base delle leggi del profitto di una minoranza di sfruttatori.
Valerio (13 marzo 2020)
[1] Macron in Francia, Conte in Italia fanno hanno fatto discorsi odiosamente ipocriti sull'"eccellenza del sistema sanitario che sarebbe gratuito e accessibile a tutti, e hanno elogiato l'abnegazione degli operatori sanitari. La risposta in Francia è stata immediata: in tutte in rete sono apparse numerose foto di infermieri, assistenti sanitari e medici che brandiscono un cartello indirizzato al presidente Macron: "Voi potete contare su di noi! Il contrario non è ancora stato dimostrato!"
[2] E’ chiaro che impedire gli spostamenti o restare a casa sono mezzi che sono imposti dalla necessità di impedire la progressione dei contagi. Però la forma con cui vengono imposte (con quasi nessun aiuto per la cura dei bambini o degli anziani da parte dello Stato, e in forma selettiva - non toccano per esempio il lavoro nelle fabbriche - e sviluppando una vera e propria schedatura della popolazione da parte della polizia) porta il marchio del modus operandi del totalitarismo statale capitalista. Nei prossimi articoli torneremo anche sull'impatto di queste azioni sulla vita quotidiana degli sfruttati di tutto il mondo
[3] Vedi: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo, https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo [12] e il Rapporto sulla decomposizione oggi, del 22° Congresso della CCI, https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017 [13]
[5] Cercando cause oggettive alle infezioni e non religiose o fantastiche (i 4 umori, per esempio), cercando di avere un approccio materialista all’anatomia e alla fisiologia umane, ecc.
[6] Vedi l’articolo della nostra Rivista Internazionale sulla nascita dell’Internazionale Comunista: https://it.internationalism.org/content/1478/linternazionale-dellazione-rivoluzionaria-della-classe-operaia [16]
[7] [6] Risoluzione sulla situazione internazionale –crisi del 23° congresso della CCI, Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [17] (punto 11).
[8] Come per esempio il ruolo di trasmettitore intermedio delle civette, che portò all’eliminazione fulminea di questi animali in Cina, cosa che arrestò rapidamente la diffusione della malattia.
[9] In Francia, ad esempio, sono iniziate le ricerche sulla famiglia dei coronavirus a seguito dell'epidemia del 2002-2003, interrotta bruscamente nel 2005 a causa di tagli al bilancio.
[10] Questa tendenza è una dinamica che può essere vista in tutti i paesi e sotto i governi di tutti i colori politici, come si può vedere in questo grafico gráfico de Euroestat [18]
[11] Raccomandazioni UCI en Italia.
Da diversi mesi, la regione di Idlib, nel nord della Siria, è stata devastata dalle forze di Bashar El Assad e dall’esercito russo. Quasi tre milioni di civili (di cui un milione bambini) sono intrappolati in quest’ultimo avamposto della ribellione[1]. Come per Aleppo e per il Ghouta orientale, il regime di Assad sta cercando di riconquistare questa regione attraverso il terrore e la politica della terra bruciata. Gli aerei russi stanno bombardando indiscriminatamente condomini, edifici pubblici come scuole e ospedali, mercati e campi. Secondo le Nazioni Unite più di mille persone sono morte dalla fine di aprile 2018 e quasi un milione sta cercando di sfuggire al massacro, affamati, senza una casa, sottoposti alle temperature glaciali dell’inverno. In questo scenario di barbarie e caos, le popolazioni rassegnate hanno una sola via d’uscita: fuggire per salvare la pelle. Dirigersi verso il confine turco o cercare di raggiungere la frontiera greca, la porta più vicina per entrare in Europa.
Solo qui la frontiera tra Siria e Turchia è ora chiusa. Mentre dal 2015 lo stato turco svolge un servizio ben pagato per le democrazie europee accogliendo i flussi di rifugiati che gli europei si sono rifiutati di gestire, trattandoli come degli appestati, l’offensiva turca nel nord della Siria ha ora cambiato la situazione. I tre milioni di abitanti di Idlib sono ora diventati ostaggi, prigionieri delle potenze imperialiste della regione. Come abbiamo visto, la Turchia e la Russia e il loro vassallo, la Siria di Hassad, sono capaci di tutto, compreso il salasso d’intere regioni, terrorizzando le popolazioni e massacrandole per soddisfare i loro appetiti rapaci. Oggi la regione di Idlib è diventata un macabro gioco da tavolo per l’imperialismo, una regione che il capitalismo moribondo ha disseminato di miseria e morte.
I migranti, “merci” da vendere o da smaltire
Se Erdogan si rifiuta di accogliere i nuovi esiliati, egli vuole anche sbarazzarsi dei tre milioni e mezzo già presenti in Turchia. Per lui e il suo regime, queste persone non sono altro che oggetti venduti all’asta, degli ostaggi da usare come merce per soddisfare le loro ambizioni politiche. Sul piano interno, i migranti sono già oggetto di una disgustosa campagna di denigrazione volta a restituire popolarità dell’AKP all’interno della popolazione turca. Ma è soprattutto a livello imperialista che i rifugiati hanno il loro “valore”, dal momento che vengono utilizzati per ricattare le potenze dell’UE. Per mesi Erdogan ha minacciato di aprire i confini occidentali del paese per costringere le potenze europee a sostenere la sua campagna militare nel nord della Siria e a dargli un aiuto finanziario. Il 28 febbraio ha messo in atto le sue minacce e decine di migliaia di rifugiati hanno cercato, con enormi rischi, di entrare in Europa attraverso la Grecia, nonostante il rifiuto categorico delle autorità greche, sostenute in questa scelta dalle grandi democrazie dell'UE. Almeno 13.000 rifugiati si trovano ormai ammassati alla frontiera, in preda alla crudeltà di tutte le parti. Altri stanno cercando di raggiungere per mare le isole di Chios o Lesbo dove li attendono le stesse condizioni: ammassati, ammucchiati e isolati come animali, in mancanza di acqua, riscaldamento, cibo e igiene la più elementare. A Lesbo, nel campo di Moria, progettato per contenere 2.300 persone, ne sono ammassate 20.000 dietro il filo spinato. Il quotidiano la Repubblica ci fornisce questa abominevole descrizione: “I primi a soccombere sono i bambini. Qui non c’è nulla per loro, nemmeno letti, servizi igienici o luce. Qui c'è solo fango, freddo e l’attesa. Un purgatorio assurdo ed esasperante. Al punto che, giorno dopo giorno, via via che la speranza di raggiungere l’Europa si allontana all’orizzonte, non resta altro da fare ai più fragili che tentare il suicidio (...) ma poiché hanno paura, raramente riescono ad andare fino in fondo. Di tanto in tanto, un adulto bussa alla porta della clinica in fondo alla collina, portando tra le braccia un bambino con segni molto eloquenti sul suo corpo. Tutti sanno cosa è avvenuto. Tra qualche mese ci riproverà”. Dopo oltre tre quarti di secolo da Auschwitz si ripete la stessa spaventosa realtà per quelle popolazioni che il capitalismo giudica “indesiderabili”.
Quelli che cercano di raggiungere questo “Eldorado” vengono fermati con la massima violenza e brutalità dalle autorità greche. Si sono viste immagini insopportabili e rivoltanti della guardia costiera greca che cercava di affondare un gommone gonfiabile pieno di migranti e di allontanarli sparandogli addosso. Nella regione di Evros, la polizia e l’esercito pattugliano la zona e i 212 chilometri di frontiera sono invalicabili. I migranti che cercano di attraversarla si imbattono in gas lacrimogeni e persino in proiettili veri che, secondo informazioni interne alla Turchia, avrebbero provocato morti e feriti. Gli arrestati vengono picchiati, spogliati, umiliati e rispediti al punto di partenza. Pensando di essere a pochi metri dal “paradiso”, si trovano di fronte alla crudele realtà della fortezza Europa, per la quale essi sono solo dei rifiuti, degli animali randagi cui nessuno Stato vuole dare una mano. Con un cinismo incredibile e un’ipocrisia senza limiti, ogni Stato incolpa l’altro, ma tutti hanno lo stesso obiettivo: il rifiuto categorico di accogliere queste popolazioni vittime della barbarie provocata dalle potenze imperialiste[2].
L’ipocrisia delle democrazie di fronte all’ondata migratoria
Poco dopo che il regime turco aveva annunciato l’apertura delle porte ai migranti verso l’Europa, la reazione dei principali Stati dell’UE è stata chiara: tutti i rappresentanti della borghesia europea hanno gridato contro la politica “inaccettabile” di Erdogan (Angela Merkel). Il capo del governo austriaco Sebastian Kurz, eletto specificatamente sulla base della sua politica contraria alle immigrazioni, ha fatto finta di preoccuparsi per “questi esseri umani usati per fare pressione sull’UE”.
Le grandi democrazie europee possono anche usare le frasi più compassionevoli, possono attribuire tutta la responsabilità ai loro rivali russi e turchi, ma la realtà della politica migratoria europea rivela la loro ignobile ipocrisia. È la “madrepatria dei diritti dell’uomo” che ha meglio espresso le reali intenzioni degli Stati dell’UE: “L’Unione europea non si arrenderà a questo ricatto, le frontiere della Grecia e lo spazio di Schengen sono chiusi e faremo in modo che restino chiusi, che sia chiaro”, ha dichiarato categoricamente Jean-Yves Le Drian, il ministro francese per gli Affari esteri. Così, milioni di persone possono morire di fame e di freddo: gli Stati europei non faranno nulla per loro, se non rendere ancora più difficile la loro situazione rafforzando il sigillo ermetico sul confine greco. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha garantito che “tutto l’aiuto necessario” sarebbe stato fornito allo Stato greco. L’agenzia Frontex ha già inviato rinforzi di polizia e 700 milioni di euro a tal fine. L’intransigenza dei leader europei riflette anche il loro desiderio di tagliare l’erba sotto i piedi dei governi e dei movimenti populisti che non esiteranno a usare questo nuovo esodo a proprio beneficio.
Le potenze europee possono anche provare a farsi passare per vittime del malvagio manipolatore Erdogan e a versare lacrime di coccodrillo sulla sorte dei migranti, sostenendo che non possono far nulla, ma sono tutte responsabili di ciò così come lo sono per aver permesso che centinaia di migliaia di persone morissero sotto le bombe russe, ai proiettili greci o al cinismo turco.
Le loro vomitevoli tirate sui diritti dell’uomo e la loro falsa indignazione sono solo una cortina di fumo per nascondere le loro politiche anti-migranti. I respingimenti, la caccia agli immigrati e lo smantellamento di campi profughi, la costruzione di muri e di recinzioni di filo spinato, la militarizzazione delle frontiere e l’aumento delle misure amministrative e dei criteri d’accesso ai territori, tutte queste misure sono anzitutto istituite e messe in opera con il massimo rigore dagli Stati democratici[3], ovvero là dove la dittatura del capitale si esprime nella maniera più perversa e cinica. Le democrazie occidentali, di sinistra o di destra, non sono solo dei complici, ma fanno subire esattamente gli stessi maltrattamenti ignobili, degradanti e indegni dei “cattivi” della storia, come Erdogan, Putin e consorti, ma con una spolverata d’ipocrisia in più.
La barbarie e il caos sono tutto ciò che il capitalismo ha da offrire
Dopo che una trentina di soldati turchi sono stati uccisi in un attacco condotto dalle truppe di Assad, suscitando timori per un’escalation delle tensioni, Mosca e Ankara hanno firmato un cessate il fuoco il 5 marzo. Questa è una farsa cui nessuno può credere poiché le ambizioni di entrambi i poteri possono solo spingerli verso ulteriori scontri. Non esiste alcun segnale di stabilizzazione in Medio Oriente. Il continuo ritiro degli Stati Uniti e, di conseguenza, della Francia e della Germania, comporta una serie di pericoli di cui la popolazione civile, come sempre, sarà la prima vittima. È innegabile che Assad sia ben deciso a riconquistare l’intero territorio che possedeva prima del 2011. Per questo, non esiterà a versare il sangue di centinaia di migliaia di persone innocenti. Tanto più che Putin, l’unico in grado di assecondare le ambizioni del “macellaio di Damasco”, non sembra essere completamente contrario a questo obiettivo. Ma allo stesso tempo il capo del Cremlino ha interesse a mantenere relazioni cordiali con Erdogan per fare pressione sulla NATO e mantenere la sua preziosa base navale a Tartus, nella parte occidentale della Siria. Da parte sua, la Turchia ha campo libero per spazzare via i Curdi, negando loro il mantenimento dell’autonomia del loro territorio nel nord, per paura che questa possa servire da punto di appoggio alle rivendicazioni nazionaliste dei Curdi della Turchia. Lo scorso ottobre, dopo violente battaglie, la Turchia è riuscita a stabilire una “zona di sicurezza”, rompendo la continuità territoriale del Rojava. Se dunque finora la presenza americana dava una garanzia di protezione ai Curdi, la partenza delle truppe statunitensi dalla Siria segna probabilmente il loro mandato di morte.
Questo è tanto più vero che le potenze europee, come Francia e Gran Bretagna, hanno perso molto terreno e non sono più veramente in grado di perseguire la loro strategia di lotta contro Daesh e il regime di Assad attraverso un gioco di alleanze con i ribelli e i Curdi. Pertanto, tutti gli elementi sono oggi riuniti per nuovi massacri che creeranno ancora milioni di rifugiati.
Quello che sta accadendo al confine tra Turchia e Grecia non è un’eccezione, ma un’illustrazione tra tante dell’orrore che il capitalismo agonizzante fa pesare su centinaia di milioni di persone. Le moltitudini di migranti africani alla frontiera marocchina, l’inferno vivente in Libia[4] o la situazione in America Latina tra Messico e Stati Uniti rappresentano situazioni del tutto simili. Tutti sono in fuga da guerre, violenze, criminalità e disastri ecologici. Oggi, oltre sette milioni di persone si trovano nella situazione di esiliati che lottano per sopravvivere. Essi fuggono la barbarie del capitale, ma sono le pedine e le vittime delle borghesie nazionali che non cessano di giocare con loro e di strumentalizzare la “questione dei migranti” per i loro sinistri interessi imperialisti.
Vincent, 8.3.20
[1] I ribelli contro il regime di Assad sono solo una fazione rivale all’interno della borghesia siriana, ma sono usati dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e da altre potenze imperialiste come pedine a difesa dei loro interessi imperialisti.
[2] Vedi per esempio Bombardamenti in Siria: l'intervento delle grandi potenze amplifica il caos [19], ottobre 2015.
[3] Vedi sulle nostre pagine francesi : Le “droit d’asile”: une arme pour dresser des murs contre les immigrés [20], luglio 2019.
[4] Vedi a tale proposito l’articolo Guerra, terrore e schiavitù moderna in Libia [21], novembre 2019.
In Gran Bretagna la propaganda della borghesia sulla pandemia di Covid-19 ha una serie di temi, ma nessuno tanto ripetuto e falso come quello del "Siamo tutti coinvolti in questo", "Siamo tutti sulla stessa barca". Il primo ministro Boris Johnson è arrivato persino a rifiutare una pietra miliare del Thatcherismo e a dire: "Una cosa che credo la crisi del coronavirus abbia già dimostrato è che esiste davvero una cosa come la società". In realtà, mentre chiunque può contrarre il virus, compreso Johnson, il Segretario della Sanità, il Responsabile Capo della Sanità, e il Principe Carlo, la società di classe rimane e la crisi si ripercuote pesantemente sul servizio sanitario, sulla vita politica della borghesia, sull'economia e sul proletariato, ma in modo molto diverso. La pandemia è un disastro per l'economia, aumenterà il disorientamento della classe operaia e peggiorerà le sue condizioni di vita. In più, ha stimolato la propaganda per l'unità nazionale con la quale la borghesia cercherà di cavarsela addossando tutta la colpa al Covid-19. L'unica cosa su cui non può farla franca è la responsabilità della classe dirigente nell’aver lasciato che il coronavirus si diffondesse tra la popolazione. Non ci sono statistiche affidabili perché sono stati fatti pochissimi test ma sicuramente sono state colpite molte più persone di quante ne mostrino le cifre ufficiali. La responsabilità è della borghesia e già si prevede che la Gran Bretagna avrà il maggior numero di morti in Europa, nonostante l'allarme preventivo ricevuto dai morti in Cina, Iran, Italia e Spagna.
Il Servizio Sanitario Nazionale (NHS, National Health Service) non è stato in grado di far fronte allo sviluppo della crisi in atto. Già a gennaio la rivista medica The Lancet diceva: "I piani di emergenza dovrebbero essere pronti per un impiego con breve preavviso, compresa la messa in sicurezza delle catene di fornitura di prodotti farmaceutici, dei dispositivi di protezione individuale, delle forniture ospedaliere e delle risorse umane necessarie per affrontare le conseguenze di un'epidemia globale di questa portata" (20/1/20). Questo non è stato fatto e l'editore del Lancet ha attaccato questo fallimento "Ha fallito, in parte, perché i ministri non hanno seguito il consiglio dell'OMS di 'testare, testare, testare' ogni caso sospetto. Non hanno isolato e messo in quarantena. Non hanno fatto una tracciatura dei contatti. Questi principi di base della sanità pubblica e del controllo delle malattie infettive sono stati ignorati, per ragioni che rimangono oscure. Il risultato è stato il caos e il panico in tutto il servizio sanitario nazionale (NHS)". E per quanto riguarda le misure che sono state messe in atto "Questo piano, concordato troppo tardi nel corso dell'epidemia, ha lasciato l’NHS del tutto impreparato all'impennata di pazienti in situazione critica o gravemente malati che arriverà presto" (27/3/20).
Le carenze dell’NHS non sono una novità. Negli ultimi 30 anni il numero di letti d'ospedale è sceso da 299.000 a 142.000. La Germania ha 621 posti letto ospedalieri ogni 100.000 persone, mentre la Gran Bretagna ne ha 228 ogni 100.000. La Germania ha 28.000 posti letto per la terapia intensiva – che presto saranno raddoppiati - rispetto ai 4.100 della Gran Bretagna. In Gran Bretagna un posto di infermiere su otto è vacante. Tra i paesi sviluppati la Gran Bretagna è al penultimo posto per medici e infermieri per abitante, con rispettivamente 2,8 e 7,9 ogni 1.000 abitante.
Una domanda che viene posta frequentemente è: “Come mai la Germania può fare 500.000 test a settimana, ma il Regno Unito non può farne nemmeno 10.000 al giorno?” C'è una tempesta crescente su questo aspetto, poiché diventa sempre più chiaro quanto sia mal preparato il servizio sanitario. Inoltre, la questione dei dispositivi di protezione individuale (DPI) è diventata una delle principali preoccupazioni per gli operatori sanitari e sociali. Non si tratta solo della mancanza di fornitura, ma anche della qualità dei DPI da indossare quando si curano i pazienti Covid. Inizialmente il servizio sanitario nazionale utilizzava i DPI raccomandati dall'OMS ma poi ha cambiato seguendo dei propri criteri, il che ha portato a una diffusa diffidenza. C'è anche lo scandalo dei DPI inviati dalla Gran Bretagna in Cina all'inizio dell'epidemia, nonostante che le forniture in Gran Bretagna fossero seriamente limitate.
E la conversione dei centri espositivi di Londra e Birmingham in ospedali temporanei, il ritorno degli operatori sanitari in pensione, insieme ai volontari che svolgeranno compiti non medici, dimostrano ulteriormente le carenze dell’NHS.
La mancanza di efficacia del servizio sanitario era nota da tempo. Nel 2016 il governo organizzò un'esercitazione di 3 giorni (Exercise Cygnus) per vedere come gli ospedali, le direzioni sanitarie e altri vari enti governativi sarebbero stati preparati ad affrontare una pandemia di influenza respiratoria per sette settimane. L’NHS non ha superato il test e il rapporto non è mai stato pubblicato. Il Daily Telegraph (28/3/20) ha descritto i risultati dell'esercitazione: "Il picco dell'epidemia non era ancora arrivato, ma i forum locali sulla resilienza, gli ospedali e gli obitori di tutto il paese erano già sopraffatti. Non c'erano abbastanza dispositivi di protezione individuale (DPI) per i medici e gli infermieri della nazione. Il servizio sanitario nazionale stava per "crollare" a causa della carenza di ventilatori e di letti per i malati critici. Gli obitori erano pronti a traboccare ed era diventato terribilmente evidente che la messaggistica d'emergenza del governo non riusciva a raggiungere il pubblico". Tra le ragioni addotte per non pubblicare il rapporto c'era il fatto che i risultati erano "troppo terrificanti" e c'erano preoccupazioni "di sicurezza nazionale".
Tra le carenze individuate vi era la mancanza di letti per la terapia intensiva e di DPI, ma le misure di austerità del governo hanno impedito qualsiasi azione in proposito. Sebbene il rapporto non sia stato pubblicato, le sue implicazioni sono state prese in considerazione da diversi organismi, come ad esempio il fatto che se i vertici del NHS non fossero stati in grado di operare, sarebbero stati chiamati i militari a coordinare il sistema sanitario. Infatti, a mano a mano che il servizio sanitario nazionale diventa sempre più stiracchiato, le risorse militari e quelle dei volontari vengono rapidamente utilizzate per far fronte alle difficoltà. Va anche detto che non è solo l’NHS ad essere in difficoltà, ma l'intero sistema di assistenza sociale è messo a dura prova. Il fatto che il numero di decessi nelle case di cura per anziani sia stato enormemente sottovalutato dimostra che non è solo il servizio sanitario nazionale, ma tutta una serie di istituzioni che sono al punto di rottura.
Mentre la classe dirigente della maggior parte dei paesi ha risposto in modo simile alla crescente pandemia, la Gran Bretagna, pur non comportandosi come Trump negli Stati Uniti o Bolsonaro in Brasile, ha agito diversamente. Come dice un articolo dell'Observer (15 marzo 2020): "Piuttosto che imparare da altri Paesi e seguire i consigli dell'OMS, che provengono da esperti con decenni di esperienza nell'affrontare le epidemie in tutto il mondo, il Regno Unito ha deciso di seguire la propria strada. Questa sembra accettare il fatto che il virus è inarrestabile e che probabilmente diventerà un'infezione annuale e stagionale. Il piano, come spiegato dal capo consulente scientifico, è quello di lavorare per "l'immunità del gregge", che consiste nel far sì che la maggior parte della popolazione contragga il virus, sviluppi anticorpi e poi ne diventi immune".
L'idea che la Gran Bretagna potesse andare avanti da sola, con i “propri” esperti, ignorando le linee guida dell'OMS è propria dell’ideologia del governo Brexit. In particolare l’idea che il Covid-19 dovesse essere lasciato liberato di agire per sviluppare una "immunità del gregge" tra i sopravvissuti, a spese di quelli che sarebbero morti. Questo cinico approccio avrebbe dovuto proteggere l'economia e se molti pensionati fossero morti… beh "peccato"! Detto o no esplicitamente questo è in sintesi l'atteggiamento di chi è al governo.
Il governo, guidato dai suoi esperti scelti, ha avuto una politica di “sopravvivenza del più forte”, che sarebbe stata una condanna a morte per i più vulnerabili, i vecchi, i sovrappeso e quelli con condizioni mediche difficili. A febbraio Johnson ha criticato la "bizzarra retorica autarchica" e difeso "il diritto delle popolazioni della Terra di comprare e vendere liberamente tra loro". Tuttavia, dopo che un rapporto dell'Imperial College ha suggerito che la politica del governo avrebbe significato 250.000 morti, il governo ha fatto marcia indietro. Il 16 marzo Johnson è apparso in televisione dicendo che tutti i contatti non essenziali con gli altri dovevano cessare e che le persone dovevano dal quel momento restare a casa. Il fatto che elementi vicini al governo dicessero poi che meno di 20.000 morti sarebbe stato "un ottimo risultato" per il Regno Unito dimostra come la borghesia stesse ancora giocando con la vita della gente, come se fosse tutto un macabro sport.
I critici della politica del governo hanno attribuito questo alla specifica negligenza dei Conservatori, senza alcun riconoscimento del fatto che la risposta della borghesia internazionale è stata inadeguata e sopraffatta, a prescindere da ciò che è stato detto in elogio alla Germania, alla Corea del Sud, ecc. Con il passare del tempo la risposta dello Stato britannico è diventata più simile a quella di altri Paesi. Tuttavia il populismo ha ancora la sua influenza. Per esempio, il Regno Unito era in trattative con l'UE per l'acquisto di 8.000 ventilatori, ma ha fatto marcia indietro perché (ha detta di un portavoce del Primo Ministro) il Regno Unito "non ne è più membro" e sta "facendo gli sforzi per proprio conto".
In seguito l'UE è stata accusata di un "problema di comunicazione". Le implicazioni di tutto questo si vedranno presto. Per i vecchi e per quelli con problemi sanitari preesistenti, l'approccio della borghesia, alla luce della mancata produzione di ventilatori, sarà quello di curare i giovani e lasciar perdere il resto.
Molti di questi stessi critici dell'indubbia complicità e arroganza del governo nell'attuale crisi, ci invitano a concentrare l'attenzione sul governo Tory appena eletto, così come sui suoi predecessori di destra. Ma dimenticano il ruolo storico e continuo della “Leale Opposizione a Sua Maestà”, il Partito Laburista, nel ridurre i "servizi pubblici", per esempio espandendo notevolmente la politica dell'Iniziativa di Finanza Privata che ha prosciugato circa 80 miliardi di sterline dalle risorse del Sistema sanitario nazionale tra il 1997 e il 2010, che rappresentano fino a un sesto dei bilanci delle autorità sanitarie locali (Trust), lasciando i debiti da pagare fino al 2050.
Nonostante tutto l'antagonismo passato di Johnson/Cummings nei confronti della funzione pubblica è chiaro che il ruolo dello Stato è stato accettato in questo periodo di crisi, con l’insieme delle misure adottate. Lo slogan "Proteggere il servizio sanitario nazionale" è stato propagandato da tutti e, allo stesso tempo, si fa ricadere la colpa sugli "individui egoisti" per aver fatto scorta di cibo, disinfettante per le mani o rotoli di carta igienica, o per essere andati al lavoro anche se non essenziale, o per aver fatto troppo esercizio fisico all’aperto. Cosi come, con la campagna di guerra al lavoro nero, gli attacchi ai piccoli approfittatori servono a distogliere l'attenzione dal vero colpevole - la classe capitalista.
Un qualcosa di “straniero” che la borghesia britannica ha fatto proprio sono gli applausi per gli operatori sanitari facendone una indicazione istituzionale: applausi ogni giovedì alle ore 20. Non costa nulla e si aggiunge alla campagna "Proteggi il Servizio sanitario nazionale". Ma cosa è questo servizio sanitario da proteggere? La sua inadeguatezza è stata evidente fin dall'inizio. Il personale viene trattato con disprezzo non fornendo alcuna protezione, i ventilatori mancano, così come i DPI, i test, ecc. questo è il servizio che il Sistema sanitario nazionale è in grado di fornire. Il fatto che il governo abbia dovuto fare appello ai volontari ne è una ulteriore dimostra dimostrazione. Quando 750.000 persone hanno risposto alla chiamata, sono state accolte dalla stampa popolare lodandole per la loro umanità: "Un esercito popolare di generosità", "una nazione di eroi", "un esercito di cuori buoni". Da parte dei volontari è senza dubbio l'espressione di un desiderio di dare aiuto nel momento del bisogno. In pratica, la necessità di attingere alle risorse dell'esercito e alle masse di volontari dimostra che quello che si vuole proteggere è solo il mito del Servizio sanitario nazionale. Non ci sono eroi, ma solo una forza lavoro pesantemente sovraccaricata che è costretta a lavorare in condizioni disperatamente inadeguate.
Mentre in altri paesi si è fatto ricorso all'immagine della guerra, in Gran Bretagna si rievoca lo spirito del Blitz durante la seconda guerra mondiale[1]. Il Regno Unito è sotto attacco da un nemico invisibile e tutti devono "fare la loro parte". Sia che si tratti del Servizio sanitario nazionale, del volontariato, di fare altri lavori essenziali o semplicemente di stare a casa, dobbiamo essere tutti uniti... dietro la borghesia che è responsabile di migliaia di tragedie.
Con la chiusura di tutte le attività non essenziali e la popolazione che deve rimanere a casa, ogni sorta di impresa si trova ad affrontare il fallimento e i lavoratori di fronte alla disoccupazione cercando di rivendicare sovvenzioni, pagare l'affitto e provvedere al pagamento dei debiti già accumulati. Le previsioni per l'aumento della disoccupazione sono di 1,4 milioni di persone in più, per un totale di 2,75 milioni entro giugno.
Per quanto riguarda il PIL, la Nomura Bank International UK prevede che ci sarà un crollo del 13,5%, altri del 15%. Il governo ha stanziato l'enorme somma di 266 miliardi di sterline quest'anno per affrontare tutte le eventualità derivanti da Covid-19. Questo potrebbe significare un debito di almeno 200 miliardi di sterline e il tasso di indebitamento del Regno Unito potrebbe raggiungere i 2.000 miliardi di sterline entro 12 mesi, cosa che il bilancio dell'11 marzo non si aspettava fino al 2025. Questo livello di indebitamento, equivalente al 9 per cento del PIL, spazzerebbe via quasi tutte le riduzioni del debito dell'ultimo decennio di austerità.
L'Office for Budget Responsibility ha ipotizzato che l'economia del Regno Unito potrebbe ridursi del 35% questa primavera, con la disoccupazione al 10% e, con il debito pubblico che cresce ai tassi più veloci dalla seconda guerra mondiale, il debito crescerà oltre il 100% del PIL. E’ stata prevista la recessione più profonda degli ultimi 300 anni.
La Banca d'Inghilterra ha tagliato i tassi di interesse per due volte, fino ad un tasso marginale dello 0,1%. Il programma di agevolazione quantitativo della Banca, che fondamentalmente significa stampare denaro per stimolare l'economia, è stato esteso a 645 miliardi di sterline.
L'intervento dello Stato nell'economia non è una sorta di "svolta a sinistra", come sostengono quelli di sinistra, ma la risposta inevitabile del capitalismo ad ogni svolta della crisi economica. Tra le misure adottate dal governo troviamo:
- Il governo coprirà l'80% delle spese salariali dei datori di lavoro per mantenere i dipendenti, fino a 2.500 sterline al mese.
- Accordi simili per i lavoratori autonomi
- Differimenti delle fatture IVA del valore di 30 miliardi di sterline
- Aumento di 7 miliardi di sterline delle prestazioni sociali
- Aumento di 1 miliardo di sterline dell'assistenza abitativa per aiutare gli inquilini
- Uno incentivo di bilancio di 30 miliardi di sterline, di cui 2 miliardi direttamente per la lotta contro i coronavirus, con più soldi per il Sistema sanitario nazionale
- Garanzie sui prestiti garantiti dal governo per un valore di 330 miliardi, pari al 15% del PIL
- Pacchetto da 20 miliardi di sterline per le aziende, inclusi 12 mesi di ferie per tutte le aziende del settore della vendita al dettaglio, del tempo libero e dell'ospitalità, e sovvenzioni in contanti fino a 25.000 sterline per le piccole imprese;
- Sospensione ipotecaria di tre mesi per i proprietari di casa;
- Divieto di sfratto di tre mesi per gli inquilini.
Questo è solo l'inizio. Il governo Johnson aveva già iniziato un regime di spesa che non era stato valutato in termini di costi; ora si stanno aggiungendo tutta una serie di misure. L'economia sta subendo un duro colpo, senza sapere dove verranno presi questi soldi. Quello che è certo è che sarà la classe operaia a pagarne le spese. Quale che sia la forma che prenderanno le misure attuali, le misure di austerità degli ultimi 10 anni sembreranno insignificanti al confronto. Ma mentre è stato possibile dare la colpa degli attacchi precedenti ai "banchieri" e al "neoliberismo", gli attacchi futuri saranno attribuiti all'impatto della pandemia.
Va detto che il lavoro - e lo sfruttamento - non è cessato in GB. Gli ospedali e le case di cura sono diventati come fabbriche che devono far fronte ad un'accelerazione della domanda per i loro servizi. Le vittime del virus sono state numerose tra i lavoratori del trasporto pubblico e gli autotrasportatori continuano a portare rifornimenti. Nei centri di distribuzione di cibo e abbigliamento ci sono state proteste contro l’insufficiente protezione. Al personale del Ministero della Difesa – nella regione del Clyde e altrove - è stato chiesto di tornare alle postazioni di lavoro "igienizzate" con solo 2 metri di "nastro distanziatore" come protezione in nome della "sicurezza nazionale", mentre il personale dei supermercati è salutato come "fieri proletari patriottici" che fanno la loro parte per la Regina e il Paese.
Tuttavia, dal punto di vista della sopravvivenza immediata, diversi milioni di lavoratori hanno poche alternative se non seguire le direttive di restare a casa e, quando sono fuori, di praticare il "distanziamento sociale". Ma allo stesso tempo queste condizioni fungono da grande barriera allo sviluppo di qualsiasi resistenza aperta al sistema. Questa nebulizzazione forzata per milioni di persone va di pari passo con il presentare come eroi quelli che lavorano nella sanità. Mentre l'associazione fa parte della condizione della classe operaia, attualmente gran parte della forza lavoro è bloccata a casa, soggetta alla propaganda mediatica 24 ore su 24. Ci viene continuamente detto che è tutta colpa di un coronavirus, non di qualcosa che deriva dalla decomposizione di un modo di produzione in declino da più di un secolo.
È comprensibile che i lavoratori siano presi dalla preoccupazione per aspetti immediati. Devo muovermi? Dove posso trovare da mangiare? Come faccio a mantenere la distanza tra me e gli altri che potrebbero essere portatori? Se sono licenziato, da dove arriveranno i soldi?
L’Universal Credit è la sovvenzione da richiedere, ma le richieste hanno sopraffatto il Dipartimento per il Lavoro e le Pensioni (DWP). In due settimane 950.000 lavoratori hanno fatto domanda. I lavoratori hanno chiamato il DWP fino a 100 volte senza poter parlare con nessuno. La stragrande maggioranza non è riuscita a ottenere la sovvenzione per il volume della richiesta. E per chi ci riesce c'è un'attesa di almeno cinque settimane.
Nei sondaggi 1,5 milioni di persone dicono di non riuscire a procurarsi cibo a sufficienza, e 3 milioni di aver dovuto prendere in prestito denaro a causa del cambiamento della propria situazione economica causato dalla crisi.
Tutto questo, in una situazione di isolamento sociale, renderà nell’immediato più difficile per i lavoratori sviluppare una risposta collettiva. Aumenterà il senso di atomizzazione e creerà un ostacolo alla percezione di appartenere ad una classe. Al contrario, ci stiamo trasformando in un esercito di individui che chiedono credito allo Stato capitalista.
È normale che tutte queste preoccupazioni dei lavoratori vengano prima di tutto, prima della riflessione sulla natura della crisi sociale o sulla necessità di rovesciare il capitalismo. E la sinistra esiste proprio per contribuire al disorientamento della classe operaia. Il SWP[2], per esempio, critica Corbyn, il Labour Party e il TUC[3] per aver espresso il loro accordo con le misure del governo, chiedendo allo stesso tempo che lo Stato "prenda in consegna i servizi essenziali dai padroni privati per assicurarsi che le persone ottengano ciò di cui hanno bisogno". C'è anche il tentativo di identificare le persone come responsabili, come nel caso di Alan Thornett (di Socialist Resistance) che ha detto che "la profondità e la gravità della crisi che stiamo per affrontare in Gran Bretagna è stata creata a Westminster da Boris Johnson e Dominic Cummings". Altri hanno chiesto le dimissioni del segretario alla Sanità, Matt Hancock. Cercare un colpevole tra la classe dirigente - come se la sostituzione di alcuni di questi "leader" cambiasse qualcosa - serve solo a distogliere la riflessione dalla crisi di fondo del capitalismo come sistema mondiale.
Il capo della Croce Rossa Internazionale ha detto che, poiché milioni di persone hanno visto diminuire il loro reddito o dipendono dai sussidi statali, mancano poche "settimane" al "disordine civile". Ha detto che i disordini stanno per "esplodere da un momento all'altro", dato che le più grandi città europee stanno lottando con i bassi o inesistenti redditi a causa della pandemia. "Questa è una bomba sociale che può esplodere da un momento all'altro, perché non hanno modo di avere un reddito". "Nei quartieri più difficili delle maggiori città temo che tra qualche settimana avremo problemi sociali". In Gran Bretagna, ci sono state alcune lotte sulla sicurezza sul lavoro, in particolare scioperi selvatici dei lavoratori postali preoccupati per la sicurezza in Scozia e sia nel nord che nel sud dell'Inghilterra[4], mentre del Kent lavoratori del settore caseario hanno minacciato uno sciopero per preoccupazioni simili. Ma, a nostra conoscenza, queste azioni sono state più deboli degli scioperi che si sono avuti in Italia, in Spagna e negli Stati Uniti, per esempio. E dobbiamo essere consapevoli che i "disordini sociali", soprattutto a causa delle caratteristiche del periodo di decomposizione sociale, potrebbero assumere qualsiasi forma, non necessariamente quella della lotta dei lavoratori su un terreno di classe.
Stiamo però comunque assistendo a una certa riflessione sulla situazione. Mentre continuano i battibecchi all’interno della borghesia su chi è “il colpevole” delle carenze, lo stato del servizio sanitario o il cambiamento della politica di governo, c'è una minoranza in ricerca che comprende che il capitalismo come sistema è alla base della pandemia ed è aperta alla discussione sulla natura del capitalismo. La questione della pandemia è qualcosa che non può essere evitata, poiché è stato colpito ogni aspetto della vita sociale e sono state sollevate questioni profonde sulla realtà della società capitalista. E questa riflessione si accompagna a una grande rabbia per il modo in cui i lavoratori sono stati trattati, gli anziani lasciati a morire, gli operatori sanitari lasciati senza protezione. C'è la prospettiva che questi elementi possano combinarsi nelle lotte future. Per il momento è fondamentale la necessità di una discussione -, al momento non faccia a faccia, ma nei forum e nei canali online. Il capitalismo è messo a nudo per quello che è e cerca di nascondersi sotto le menzogne. I lavoratori possono sviluppare la capacità di vedere attraverso la propaganda e rendersi conto che solo la classe operaia può fermare il processo del capitalismo verso la distruzione.
Barrow, 19 aprile 2020
Questo silenzio è una conferma eclatante della carriera di Gaizka, quella di un arrivista e un avventuriero. Non dicono niente perché non hanno niente da dire.
Questo silenzio è un tipo di reazione ben conosciuta che non può che rafforzare la fondatezza della nostra accusa. A questo proposito, Paul Frolich[2] riporta nella sua autobiografia un aneddoto edificante sul comportamento di uno dei redattori della stampa:
«Aveva un istinto per il comportamento tattico. Una volta io ero stato sorpreso dal fatto che egli non rispondesse ai ripetuti attacchi lanciati contro di lui da un altro giornale del partito: “E’ molto semplice – aveva risposto – io avevo torto su una questione importante e ora li lascio sgolare fino a che non diventino afoni e la storia non sia dimenticata. Fino allora, io resto sordo»[3].
Viceversa, ogni volta che dei rivoluzionari sono stati accusati di essere degli agenti provocatori o di collaborare con la borghesia, o semplicemente sospettati di comportamenti indegni, essi hanno dedicato tutte le loro energie per negarlo. Marx passò un anno a preparare un intero libro in risposta alle accuse di Herr Vogt secondo le quali sarebbe stato un agente infiltrato[4]. Ancora, un po’ più tardi con Engels, come si può vedere nella loro corrispondenza, Marx ha partecipato a tutte le battaglie necessarie contro il tentativo di discreditare l’AIT e loro stessi.
Bebel fu accusato di aver rubato del denaro dalla cassa dell’ADAV (Associazione Generale dei lavoratori tedeschi) e non cessò di battersi fino a quando non poté dimostrare la falsità di queste accuse.
Trotsky, completamente isolato e perseguitato da Stalin, raccolse ancora abbastanza forze per profittare del poco terreno che gli restava e convocare la commissione Dewey per la sua difesa[5], e potremmo continuare.
Al contrario, i veri avventurieri e provocatori hanno sempre fatto di tutto per eclissarsi o nascondersi al fine di scivolare tra le maglie della ricerca della verità.
Un silenzio assordante
Bakunin, per esempio, di fronte alla circolare interna dell’AIT sulle “Pretese scissioni nell’Internazionale” riconobbe, con un apparente tono scandalizzato, che non aveva potuto fare altro che opporvi… un silenzio prolungato: “Per due anni e mezzo abbiamo sopportato in silenzio questa immonda aggressione. I nostri calunniatori hanno prima cominciato con delle accuse vaghe, mescolate a vigliacche reticenze e ad insinuazioni velenose, ma allo stesso tempo così stupide che, anche senza altre ragioni per tacere, il cattivo gusto insieme al disprezzo che esse avevano provocato nel mio ritiro sarebbe bastato per spiegare e legittimare il mio silenzio.”[6]
Sarebbe vano cercare in questa lettera l’esistenza di un argomento, che invece brilla per la sua assenza. Ciononostante Bakunin aveva annunciato che avrebbe convocato un jurì d’onore e che avrebbe scritto un articolo prima del Congresso dell’Aia del 1872: “D’altra parte, io mi sono riservato il diritto di convocare tutti i miei calunniatori davanti a un jurì d’onore, cosa che il prossimo Congresso certo non mi rifiuterà. Bisogna ristabilire la verità, contribuendo nella misura del possibile alla demolizione dell’intreccio di menzogne costruito da Marx e dai suoi accoliti, questo sarà lo scopo di una comunicazione che intendo pubblicare prima dello svolgimento del Congresso.”
E’ inutile dire che Bakunin non ha mai convocato questo jurì d’onore, né scritto alcun articolo in proposito. Al contrario, venendo a sapere della pubblicazione, da parte dell’Internazionale[7], del rapporto sull’Alleanza della Democrazia Socialista, la struttura segreta da lui costruita, il 25 settembre 1873 scrisse una lettera al Giornale di Ginevra in cui, oltre agli insulti contro Marx, citato allo stesso tempo come “comunista, tedesco ed ebreo”, espresse una capitolazione: “Confesso che tutto ciò mi ha profondamente sconvolto nella vita pubblica. Ne ho abbastanza. Dopo aver passato tutta la mia vita a combattere sono stanco. Ho più di sessanta anni e un problema cardiaco che si aggrava con l’età e rende la mia esistenza sempre più difficile. Che altri più giovani si mettano al lavoro. Quanto a me, non sento più la forza, né forse la fiducia, di continuare a spingere questo macigno di Sisifo contro la reazione trionfante. Mi ritiro dunque dalla lotta e non chiedo altro ai miei cari contemporanei che una cosa: l’oblio.”[8]
Qui Bakunin mette in atto un’altra delle strategie classiche degli avventurieri, che consiste nel presentarsi come delle sventurate vittime quando il proprio comportamento è stato smascherato.
Alla stessa maniera, quando Schwitzer[9] fu accusato di aver rubato e distolto denaro dalla cassa di sostegno ai lavoratori malati che non potevano più lavorare, per spenderlo in champagne e antipasti, contrariamente a Bebel, non è mai stato capace di difendersi: « Schweitzer è stato pubblicamente accusato più di una volta di questa azione ignominiosa, ma non ha mai osato difendersi.”[10]
Ancora, quando Bebel e Wilhelm Liebnecht lo hanno denunciato come agente del governo durante il congresso di Barmen-Elberfeld (provincia del Wuppertal), lui, che era presente nello stesso posto seduto dietro di loro, non disse niente, lasciando che i suoi accoliti proferissero insulti e minacce: “I nostri discorsi contenevano un riassunto di tutte le accuse che abbiamo avanzato contro Schweitzer: Ci sono parecchie interruzioni violente, soprattutto quando l’abbiamo accusato di essere un agente del governo; ma io ho rifiutato di ritirare qualcosa… Schweitzer, che era seduto dietro di noi quando abbiamo parlato, non ha pronunciato una sola parola. Siamo usciti protetti da alcuni delegati rispetto agli assalti dei difensori fanatici di Schweitzer, in mezzo a una tempesta d’imprecazioni e d’insulti come ‘lacchè!’, ‘traditori!’, ‘pagliacci!’, ecc. Sulla porta abbiamo ritrovato i nostri amici che ci hanno scortato sotto la loro protezione per farci arrivare all’hotel in tutta sicurezza.”[11]
Si può ancora citare l’esempio storico di Parvus, accusato da Gorki di aver sottratto dei soldi dagli incassi del suo pezzo teatrale I bassifondi in Germania, denunciato come avventuriero e socialpatriota da Trotsky[12], che era stato suo amico, rifiutato da Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Leo Jogiches per aver cercato di vendersi all’imperialismo tedesco, e che Lenin impedì di tornare a Pietrogrado dopo la rivoluzione perché aveva “le mani sporche”. Ebbene, Parvus non si è mai preso la pena di difendersi contro tutte queste accuse, lasciando ad altri (Radek in particolare) la preoccupazione di difenderlo nell’ambiente degli esiliati in Svizzera.
E si potrebbe continuare: Lassalle, Azev, ecc., hanno tutti cercato di far dimenticare le accuse che erano state portate contro di loro innalzando un muro di silenzio, sparendo, o, come Parvus, facendo finta di niente.
Ma non è necessario andare così lontano. Nel 2005 abbiamo visto come il “cittadino B”, che si è proclamato “all’unanimità” (visto che c’era solo lui) “Circolo dei comunisti internazionalisti” d’Argentina, mettendosi al servizio della FICCI[13] (oggi Gruppo Internazionale della sinistra comunista –GIGC) per denigrare la CCI, ha poi disertato il forum dopo che noi abbiamo denunciato la sua impostura.[14]
Ci sono altri esempi di silenzio assordante che si sono avuti in occasione della denuncia della CCI di avventurieri tra i suoi ranghi. Come nel caso della scoperta delle manovre del militante conosciuto con il nome di Simon[15] a cui seguì una sanzione alla quale lui rispose con un silenzio ostinato che provocò anche una “Risoluzione sul silenzio del compagno Simon”, in cui si diceva “Dopo che il compagno Simon si è ritirato dalla vita della CCI alla fine del mese di agosto 1994, egli non ha mai risposto alla richiesta dell’organizzazione di far conoscere, per iscritto, i disaccordi che aveva con le sue analisi e le sue prese di posizione, che avevano, a suo dire, in parte motivato il suo ritiro… Questo silenzio di Simon è tanto più inammissibile dal momento che lui aveva dei disaccordi fondamentali con le due risoluzioni adottate dalla riunione allargata del Segretariato Internazionale del 3 dicembre 1994.”
Ma questo silenzio ostinato degli avventurieri e degli elementi dubbi quando sono presi in flagranza di reato non è solo una conferma delle accuse portate contro di loro o una maniera per cercare di farsi dimenticare, è anche una strategia perché altri prendano le difese al loro posto.
Gli amici di Gaizka e compagnia
Se dopo la pubblicazione delle nostre accuse Gaizka non ha aperto bocca, i suoi amici non hanno perso tempo ad assumerne la difesa. Per esempio il GIGC ha pubblicato, solo 4 giorni dopo, una dichiarazione dal titolo: “Nuovo attacco della CCI contro il campo proletario internazionale.” Noi non siamo sorpresi che un gruppo di parassiti, dal comportamento da gangster e da teppisti, qual è il GIGC prenda le difese di un avventuriero. D’altra parte questo gruppo ha fatto la stessa cosa nel 2005, difendendo la causa del “cittadino argentino B”. Forse dovremmo cominciare a pensare che il GIGC ha dei poteri premonitori, visto che all’epoca pubblicò e distribuì un comunicato del “Circolo” d’Argentina, prima ancora che il “cittadino B” lo pubblicasse sul proprio sito web. La disgrazia è che il GIGC (all’epoca FICCI) ingannò il BIPR (ora TCI)[16] che, benché con discrezione, senza prendere direttamente la parola, pubblicò i comunicati della FICCI e del “cittadino B” che denigravano la CCI, incoraggiando così i comportamenti indegni da parte di questi due imbroglioni.
Ovviamente il GIGC nel suo comunicato non arreca nessuna smentita a quello che noi denunciamo nel nostro articolo, eccetto la dichiarazione secondo cui loro « non hanno rilevato niente » : “dobbiamo sottolineare che finora noi non abbiamo costatato nessuna provocazione, manovra, denigrazione, calunnia o insinuazione, lanciata da parte dei membri di Nuevo Curso, anche a titolo individuale, nè alcuna politica di distruzione contro altri gruppi o militanti rivoluzionari”. Dichiarazione su cui non vale la pena di soffermarsi nemmeno un secondo.
In realtà, l’obiettivo del comunicato è unicamente quello di attaccare la CCI, perché sarebbe questa “che ha sviluppato queste pratiche di nascosto, sotto la copertura della sua teoria della decomposizione e del parassitismo che ora riprende”. Inoltre, la CCI scivolerebbe “sul terreno putrido della personalizzazione delle questioni politiche”.
Il sito Pantopolis del dottor Bourrinet[17] ha immediatamente riprodotto l’articolo del GIGC preceduto da un’introduzione che fa concorrenza e supera pure il GIGC stesso quanto ad odio contro la CCI.
L’altro gruppo che ha condannato la nostra dichiarazione su Gaizka è il GCCF[18], che ha dichiarato[19]: “non possiamo che condannare questo assemblaggio scandaloso e immorale di rabbiose personalizzazioni completamente al di fuori di un terreno politico.”[20]
Riassumendo, ci sono due recriminazioni: 1) che non è Gaizka, ma la CCI che si comporterebbe in maniera indegna dal punto di vista proletario, che farebbe prova di denigrazione e provocazione; 2) che nella nostra denuncia le questioni politiche sono sostituite da questioni personali.
Non è la prima volta che, di fronte al rigore espresso nella difesa del campo politico proletario e nella denuncia di comportamenti indegni, le organizzazioni rivoluzionarie sono attaccate con calunnie per il loro presunto « autoritarismo » e le loro « manovre », come se esse adoperassero gli stessi strumenti degli avventurieri e dei provocatori smascherati. Fu così con l’AIT: “Cosciente del pericolo storico che le lezioni tirate dalla Prima Internazionale avrebbero rappresentato per i suoi interessi di classe, la borghesia, in risposta alle rivelazioni del Congresso dell’Aia, fece tutto quello che era in suo potere per discreditare questo sforzo. La stampa e i politici borghesi dichiararono che la lotta contro il bakuninismo non era una lotta per dei principi, ma una sordida lotta per il potere in seno all’Internazionale. Così Marx fu sospettato di aver eliminato il suo rivale Bakunin mediante una campagna di menzogne. In altri termini, la borghesia cercò di convincere la classe operaia che le sue organizzazioni utilizzavano gli stessi metodi e funzionavano esattamente nella stessa maniera dei suoi sfruttatori e quindi non erano migliori. Il fatto che una grande maggioranza dell’Internazionale appoggiasse Marx fu presentato come il ‘trionfo dello spirito dell’autoritarismo’ nei suoi ranghi e come la presunta tendenza alla paranoia dei suoi membri a vedere nemici dell’Associazione dappertutto. I bakuninisti e i lassalliani fecero anche circolare delle voci secondo cui Marx fosse un agente di Bismark”.[21]
Bakunin stesso non esitò a presentare la lotta dell’Internazionale per la difesa dei suoi statuti e del suo funzionamento contro lo spirito settario e i suoi intrighi come “una lotta fra sette”. Così, nelle Lettere ai fratelli di Spagna, Bakunin si lamentò che la risoluzione della Conferenza di Londra (1872) contro le società segrete fosse stata adottata dall’Internazionale solo “per aprire la via alla propria cospirazione di società segreta che esiste dal 1848 sotto la direzione di Marx, che è stata fondata da Marx, Engels e Wolff, ora morto, e che non è nient’altro che una società quasi esclusivamente tedesca di comunisti autoritari. (…) Bisogna riconoscere che la lotta che si è svolta nell’Internazionale non è nient’altro che una lotta fra due società segrete”.[22]
Nella visione del mondo di elementi come Bakunin, il GIGC o Gaizka, non c’è posto per l’onestà, i principi di organizzazione o la morale proletaria; essi non fanno che proiettare sugli altri la loro maniera di comportarsi. Come dice la saggezza popolare “il ladro crede che tutti siano come lui”.
Tuttavia, “quello che è più grave e molto più pericoloso, è che tali infamie trovano una certa eco nelle file dell’ambiente rivoluzionario stesso. Fu così, per esempio, nella biografia di Marx fatta da Franz Mehring. In questo libro, Mehring, che apparteneva all’ala sinistra combattiva della Seconda Internazionale, dichiara che l’opuscolo del Congresso dell’Aia contro l’Alleanza era ‘imperdonabile’ e ‘indegna dell’Internazionale’. Nel suo libro Mehring difende non solo Bakunin, ma anche Lassalle e Schweitzer, contro ‘le accuse di Marx e dei marxisti’”[23]
Il discredito gettato da Mehring sulla lotta marxista contro il bakuninismo e il lassallismo ha avuto degli effetti devastanti sul movimento operaio nei decenni successivi, perché non solo ha portato a una certa riabilitazione di avventurieri politici come Bakunin e Lassalle, ma, soprattutto, ha permesso all’ala opportunista della socialdemocrazia di prima del 1914 di cancellare le lezioni delle grandi lotte per la difesa delle organizzazioni rivoluzionarie degli anni 1860 e 1870. Questo fu un fattore decisivo nella strategia opportunista mirante a isolare i bolscevichi nella Seconda Internazionale, laddove la loro lotta contro il menscevismo appartiene alla migliore tradizione della classe operaia. Anche la Terza Internazionale ha sofferto dell’eredità di Mehring. Nel 1921, un articolo di Stoecker (“Sul bakuninismo”), sempre basato sulle critiche di Mehring a Marx, giustificò gli aspetti più pericolosi e avventuristici della cosiddetta Azione di marzo del KPD (il partito comunista tedesco) in Germania. Il fatto che il BIPR si sia fatto trascinare dietro la FICCI e il “cittadino B” nel 2005 ha dato forza al parassitismo, rendendo più difficile la lotta contro di questo e la sua denuncia nell’ambiente proletario.
Ma veniamo alla seconda accusa, quella della personalizzazione delle questioni politiche. Per cominciare, la nostra accusa non era basata sulla diffusione di storie sulla vita privata, ma sulla messa in evidenza di un comportamento politico pubblico, che è largamente documentato. Quelli che noi abbiamo esposto su Gaizka sono dei fatti che appartengono alla sfera dell’attività pubblica dei politici borghesi, e quindi dovrebbero essere accuratamente presi in conto dai militanti comunisti. Che faceva nel campo della Sinistra comunista un individuo che aveva frequentato a più riprese i circoli politici di alto livello dello Stato borghese?
In secondo luogo, ci sono fatti « privati » (intrighi, manovre, contatti segreti, relazioni oscure, ecc.) che devono essere conosciuti per comprendere e poter denunciare le azioni distruttive contro il proletariato o contro le organizzazioni rivoluzionarie. Denunciarli non ha niente a che vedere con il pettegolezzo.
Invece che rispondere noi stessi, lo lasceremo fare ad Engels. In uno dei numerosi articoli che lui e Marx hanno dovuto scrivere per difendere l’AIT messa sotto accusa da tutta la stampa borghese, dagli agenti provocatori e dai partigiani di Bakunin. Interrogato da alcuni militanti indecisi, Engels risponde a un articolo di Piotr Lavrov[24], nel suo giornale Vpered[25], che metteva in discussione il rapporto della commissione del Congresso dell’Aia sulla “Alleanza della democrazia socialista e l’AIT”[26] perché non sarebbe stata che una “feroce disputa su delle questioni puramente personali e private con informazioni che non possono provenire che da pettegolezzi”.
Ecco come risponde : «La principale accusa [contro il rapporto sull’Alleanza] è che il rapporto è pieno di questioni personali la cui veridicità non potrebbe essere stabilita dagli autori, perché non avrebbero potuto raccoglierli che attraverso dei pettegolezzi. Non ci viene detto come “l’amico Pietro”[27] sappia che un’organizzazione come l’Internazionale, i cui organi ufficiali sono diffusi nel mondo intero, potrebbe raccogliere i fatti solo tramite pettegolezzi. La sua dichiarazione è in ogni caso fatta con leggerezza. I fatti in questione sono documentati con prove autentiche e le persone messe in questione non si sono prese la pena di rispondere.
Ma “l’amico Pietro” è dell’avviso che le questioni sulla vita privata, come le lettere personali, sono sacre e non dovrebbero essere pubblicate in dibattiti politici. Accettare la validità di questi argomenti significherebbe rendere impossibile scrivere la storia. Quindi, se si descrive la storia di una banda di gangster come l’Alleanza, in cui si trova un buon numero di scrocconi, di avventurieri, di ladri, di spie della polizia, d’imbroglioni e di sospetti, così come di quelli abusati da loro, bisogna forse falsificare questa storia nascondendo consapevolmente le bassezze individuali di questi signori come se fossero degli ‘affari privati’?
Quando il redattore di Vpered descrive il rapporto come una compilazione maldestra di questioni essenzialmente private, commette un atto difficile da caratterizzare. Chi scrive una tale cosa o non ha per niente letto il rapporto in questione, o è troppo limitato o troppo parziale per capirlo, oppure scrive deliberatamente qualcosa che sa che è falsa. Nessuno può leggere ‘Un complotto contro l’Internazionale’ senza essere convinto che le questioni private esposte ne costituiscono la parte più significativa, che esse sono delle illustrazioni per dare un’immagine più dettagliata dei personaggi coinvolti, e che non potrebbero essere soppresse senza rimettere in questione il punto principale del rapporto.
L’organizzazione di una società segreta il cui solo scopo è di sottomettere il movimento operaio in Europa alla dittatura nascosta di qualche avventuriero, le infamie commesse a questo scopo, in particolare da Necthaiev in Russia, sono il tema centrale del rapporto, e sostenere che tutto gira unicamente intorno a questioni private è perlomeno irresponsabile”.[28]
Conclusione
Il silenzio acido di Gaizka è una conferma della sua collaborazione con lo Stato borghese che noi abbiamo denunciato. La sua attività al servizio dei liberali e poi del PSOE[29], i suoi contatti con la Sinistra comunista e la sua sparizione al momento dell’inchiesta sugli aspetti problematici del suo comportamento per un militante comunista, costituiscono la traiettoria di un avventuriero.[30]
L’aspirazione di un gruppo formato intorno a questo elemento a essere considerato come parte della Sinistra comunista, se si dovesse realizzare anche occasionalmente, significherebbe l’introduzione di un cavallo di Troia il cui scopo non potrebbe essere altro che deformare e demolire l’eredità della tradizione della Sinistra comunista. E questo indipendentemente dall’onestà degli altri membri del gruppo di Gaizka che possono essere stati ingannati.
In questo senso, e fatte tutte le proporzioni del caso, proprio come Bakunin, come dice Engels, voleva imporre la sua dittatura all’Internazionale che raggruppava il movimento operaio in Europa, Gaizka vuole essere, nascondendosi sotto la copertura di un gruppo (Nuevo Curso) dove possono esserci anche elementi ingannati, un riferimento della Sinistra comunista, soprattutto per dei giovani elementi in ricerca di posizioni politiche proletarie. Ma il suo preteso legame con la Sinistra comunista non può che seminare confusioni sulle posizioni di quest’ultima facendo passare i principi e i metodi avventurosi della sinistra borghese o dello stalinismo per posizioni della Sinistra comunista.
In questa impresa criminale Gaizka ha il sostegno organizzato del gruppo di parassiti e teppisti del GIGC, che lo presenta precisamente come un campione del raggruppamento; ma egli beneficia anche del consenso tacito di altri gruppi del campo politico proletario che restano muti di fronte alle sue iniziative.
CCI, 11 aprile 2020
[1] Ci riferiamo al sedicente Gruppo Internazionale della Sinistra Comunista (GIGC) e al sito web del signor Bourrinet: Pantópolis. Ci torneremo in seguito.
[2] Membro della Sinistra di Brema durante le lotte rivoluzionarie in Germania. Fu anche il delegato inviato dai Comunisti Internazionalisti di Germania (IKD) al Congresso di fondazione del Partito Comunista Tedesco (KPD).
[3] Paul Frölich, “Im radikalen Lager” Politische Autobiografie 1890-1921, capitolo: “Leipzig”, Berlino (2013), p. 51. Frolich si riferisce a Paul Lensch (1873-1926), un personaggio dubbio rispetto al movimento operaio, che aveva lavorato con Frolich come redattore di talento nel giornale socialdemocratico Leipziger Volkszeitung, da lui stesso caratterizzato come un « bulldog dal corpo massiccio e dalle zampe forti, capace di azzannare senza pietà (…) che si compiaceva nel credere di avere l’eleganza di Mehring, ma il cui carattere brutale finiva sempre per emergere. Un fanfarone manovriero (…) senza niente che possa legarlo alla classe operaia.” Era anche capace di prendere una “posizione politica giusta” se questo serviva al suo carrierismo; nel 1910 faceva parte dell’ala sinistra della socialdemocrazia, ma ebbe un ruolo losco nell’affare Radek. In seguito era presente nell’appartamento di Rosa Luxemburg la notte del 4 agosto 1914 (con quelli che si opponevano alla guerra imperialista) e, poco tempo dopo, nel 1915 lo si ritrova con l’estrema destra della socialdemocrazia come difensore, a fianco di Cunow e Haenish, del “socialismo di guerra” (che difendeva la guerra con una argomentazione “marxista”) nella rivista Die Glocke di Parvus ed altri. Lensch non era semplicemente un socialdemocratico che si era lasciato trascinare dalla destra per finire a tradire il proletariato; pur essendo un individuo senza alcuna convinzione militante e non avendo alcuna fiducia nella classe operaia, era innanzitutto un carrierista disonesto che si nascondeva dietro una facciata marxista e che era capace di mantenere il silenzio quando lo giudicava necessario per i suoi interessi.
[4] In questo libro, costatogli un anno di lavoro, Marx non si è limitato a difendersi dalle accuse grossolane di Vogt, ma ha anche preso le difese della Lega dei Comunisti, anche se questa si era già dissolta. Difendere la tradizione che essa rappresentava, il Manifesto comunista, i principi di organizzazione, la continuità del movimento operaio, era di un’importanza vitale, contrariamente a tutti quelli che considerano che Marx avrebbe perso il suo tempo su dei dettagli, o anche che avrebbe sacrificato la chiarezza del suo giudizio politico e la sua devozione disinteressata alla lotta del proletariato.
[5] Poichè Stalin aveva massacrato ogni residuo del ceto operaio del periodo rivoluzionario, la Commissione dovette essere composta da membri dell’ambiente intellettuale e culturale riconosciuti per la loro indipendenza d’opinione e la loro integrità. Dewey fu uno di loro. Le sessioni della commissione ebbero luogo in Messico.
[6] In spagnolo: Jacques Freymond, La Primera Internacional, Ed. ZERO (1973), p. 355.
[7] Per il congresso dell’Aia dell’AIT (1872) era stata formata una commissione d’inchiesta per preparare un rapporto. Dopo aver ascoltato e discusso il rapporto, il Congresso prese la decisione di escludere Bakunin ed alcuni suoi discepoli dall’Internazionale.
[8] Fonte in portoghese, tradotto da noi: Bakunin por Bakunin – Lettres. “Lettre au Journal de Genève” ("Biblioteca Virtual Sit Inn") : “o Sr. Marx, o chefe dos comunistas alemães, que, sem dúvida por causa de seu tríplice caráter de comunista, alemão e judeu, me odiou”.“Eu vos confesso que tudo isso me enojou profundamente da vida pública. Estou farto de tudo isso. Após ter passado toda minha vida na luta, estou cansado. Já passei dos sesenta anos, e uma doença no coração, que piora com a idade, torna minha existência cada vez mais difícil. Que outros mais jovens ponham-se ao trabalho. Quanto a mim, não sinto mais a força, nem talvez a confiança necessária para empurrar por mais tempo a pedra de Sysipho contra a reação triunfante em todos os lugares. Retiro-me, pois, da liça, e peço a meus caros contemporâneos apenas uma coisa : o esquecimento”.
[9] Vedere l’articolo Lassalle e Schweitzer: la lotta contro gli avventurieri politici nel movimento operaio [25] sul nostro sito internet.
[10] Bebel, La mia vita, The University of Chicago press, The Baker & Taylor co., New York, p. 152. Pubblicato in inglese, tradotto da noi: “Schweitzer was more than once publicly accused of this shameful action, but he never dared to defend himself”.
[11] Ibid., p. 156: “Our speeches contained a summary of all the accusations we had levelled against Schweitzer. There were several violent interruptions, especially when we accused him of being a Government agent; but I refused to withdraw anything… Schweitzer, who sat behind us when we spoke, did not utter a Word in reply. We left at once, some of the delegates guarding us against assault from the fanatical supporters of Schweitzer, amid a storm of imprecations, such as “Knaves!” “Traitors!” “Rascals!” and so forth. At the doors our friends me thus and took us under their protection, escorting us in safety to our hotel”.
[12] Vedere in Nashe Slovo nº 2 : “Epitaphy for a living friend”.
[13] La presunta “Frazione interna della CCI” è un gruppo parassita che è stato escluso dalla CCI rifiutando di difendere le sue posizioni e le sue azioni davanti alla Commissione d’investigazione nominata dal 15° Congresso della CCI. Uno dei suoi eminenti membri, conosciuto sotto il nome di Jonas, era stato espulso in precedenza per comportamento indegno per un militante rivoluzionario.
[14] Vedere: Comunicato ai nostri lettori: La CCI attaccata da una nuova officina dello Stato borghese [26].
[15] Simon fu escluso nell’ 11° Congresso della CCI per comportamenti incompatibili con la militanza comunista.
[16] Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario, erede della tendenza Damen del Partito Comunista Internazionalista, attualmente Tendenza Comunista Internazionalista (TCI).
[17] Vedere, in francese, il nostro articolo: Conférence-débat à Marseille sur la Gauche communiste : le Docteur Bourrinet, un faussaire qui se prétend historien [27].
[18] Gulf Coast Communist Fraction.
[19] Dobbiamo precisare che non abbiamo nessuna intenzione di mettere sullo stesso piano il GIGC/Bourrinet e la GCCF. Il GIGC è un gruppo parassita che non esiste che per attaccare la CCI. Anche se noi avessimo pubblicato un articolo per denunciare Mata Hari, avrebbe detto che “Noi non abbiamo rilevato niente” per poter passare direttamente all’attacco contro di noi. La stessa cosa si può dire di Bourrinet. La GCCF invece è un gruppo giovane senza esperienza e in cerca di chiarificazione, sensibile alle interessate adulazioni di Gaizka e del GIGC/Bourrinet.
[20] Tradotto dall’inglese da noi : “we have nothing but condemnation for this egregious and immoral hit-piece of personalized gossips completely removed from a political terrain”.
[21] Vedere il nostro articolo in francese: Questions d'organisation, IV : la lutte du marxisme contre l'aventurisme politique [28] Revue Internationale n° 88.
[22] Ibidem
[23] Ibidem
[24] Lavrov Pyotr Lavrovich (1823-1900) filosofo, sociologo e giornalista russo legato alla branca populista; fu membro della I Internazionale e partecipò alla Comune di Parigi.
[25] Vpered (Avanti!) era un giornale in lingua russa edito in Gran Bretagna, di tendenza narodniki (populisti).
[26] In Germania il rapporto era stato tradotto col titolo « Un complotto contro l’Internazionale » ed è per questo che nelle opere citate in lingua inglese Engels fa riferimento con questa denominazione al rapporto della commissione di investigazione dell’Aia, invece del titolo ”L’Alleanza della democrazia socialista e l’AIT”, ma si tratta dello stesso rapporto.
[27] Qui Engels fa riferimento a Pyotr Lavrov, ma come spiega all’inizio dell’articolo, al fine di mantenere l’anonimato che questo chiedeva di rispettare scrupolosamente e che ridicolizza, visto che il vero nome dell’editore di Vpered era ben conosciuto, tanto in Gran Bretagna quanto in Russia, indica l’autore con il soprannome di “amico Pietro”, nome molto diffuso in Russia.
[28] Engels, Refugiee Literature III, Marx/Engels Collected Works (2010), Lawrence & Wishart Electric Book, Vol. 24, pp. 21-22 (tradotto dall’inglese da noi) : “The main charge, however, is that the report is full of private matters the credibility of which could not have been indisputable for the authors, because they could only have been collected by hearsay. How Friend Peter knows that a society like the International, which has its official organs throughout the civilised world, can only collect such facts by hearsay is not stated. His assertion is, anyway, frivolous in the extreme. The facts in question are attested by authentic evidence, and those concerned took good care not to contest them. But Friend Peter is of the opinion that private matters, such as private letters, are sacred and should not be published in political debates. To accept the validity of this argument on any terms is to render the writing of all history impossible. Again, if one is describing the history of a gang like the Alliance, among whom there is such a large number of tricksters, adventurers, rogues, police spies, swindlers and cowards alongside those they have duped, should one falsify this history by knowingly concealing theindividual villainies of these gentlemen as “private matters”?… When, however, the Forward describes the report as a clumsy concoction of essentially private facts, it is committing an act that ishard to characterise. Anyone who could write such a thing had either not read the report in question at all ; or he was too limited or prejudiced to understand it ; or else he was writing something he knew to be incorrect. Nobody can read the “Komplott gegen die Internationale” without being convinced that the private matters interspersed in it are the most insignificant part of it, are illustrations meant to provide a more detailed picture of the characters involved, and that they could all be cut without jeopardising the main point of the report. The organisation of a secret society, with the sole aim of subjecting the European labour movement to a hidden dictatorship of a few adventurers, the infamies committed to further this aim, particularly by Nechayev in Russia – this is the central theme of the book, and to maintain that it all revolves around private matters is, to say the least, irresponsible”.
[29] Partito Socialista Operaio Spagnolo, attualmente al governo.
[30] Vedi Chi c’è in “Nuevo Curso”? [24].
L'omicidio a sangue freddo di George Floyd da parte della polizia ha provocato indignazione in tutta l'America e in tutto il mondo. Tutti sanno che questo è l'ultimo di una lunga serie di uccisioni di polizia, le cui principali vittime sono i neri e gli immigrati. Non solo negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito, in Francia e in altri Stati “democratici”. Negli Stati Uniti, a marzo, la polizia ha sparato e ucciso Breonna Taylor nella sua casa. In Francia, Adama Traoré è stato asfissiato durante il suo arresto nel 2016. In Gran Bretagna, nel 2017, Darren Cumberbatch è stato picchiato a morte dalla polizia. Questa è solo la punta dell'iceberg.
E rispondendo alle proteste scoppiate per la prima volta negli Stati Uniti, la polizia ha dimostrato di essere ancora una forza di terrore militare, con o senza il sostegno dell'esercito. La brutale repressione dei manifestanti (10.000 arresti negli Stati Uniti) dimostra che la polizia, negli Stati Uniti come in altri paesi “democratici”, agisce allo stesso modo della polizia di regimi apertamente dittatoriali come la Russia o la Cina. La rabbia è tangibile ed è condivisa sia dai bianchi che dai neri, dai latinoamericani, dagli asiatici e dai giovani in particolare. Ma viviamo in una società materialmente e ideologicamente dominata da una classe dirigente: la borghesia, la classe capitalista. E la rabbia in sé, per quanto giustificata, non è sufficiente a sfidare il sistema che sta dietro la violenza della polizia, né ad evitare le tante insidie tese dalla borghesia. Le proteste non sono state innescate dalla classe dominante. Ma è già riuscita ad attirarle sul proprio terreno politico.
Durante il primo scoppio di rabbia negli Stati Uniti, le proteste hanno preso la forma di sommosse: i supermercati sono stati saccheggiati, gli edifici simbolici bruciati. Le azioni provocatorie della polizia hanno certamente contribuito alla violenza dei primi giorni di rabbia. Alcuni dei manifestanti hanno giustificato le rivolte riferendosi a Martin Luther King, che affermava “la rivolta è la voce di coloro che non sono ascoltati”. E, in effetti, le rivolte sono espressione di impotenza e disperazione. Non portano assolutamente a nulla, se non ad una maggiore repressione da parte dello Stato capitalista, che sarà sempre a suo agio contro azioni disorganizzate e frammentate.
Ma l'alternativa proposta da organizzazioni ufficiali di attivisti come Black Lives Matter (“Le vite nere contano”: marce pacifiche che chiedono giustizia e uguaglianza) è comunque un vicolo cieco e, per certi versi, ancora più insidioso perché sfida direttamente le forze politiche del capitale. Prendiamo, ad esempio, l'invito a smettere di finanziare la polizia (“defund the police”), o addirittura all'abolizione della polizia. Da un lato, è del tutto irrealistico in questa società: è come se lo Stato capitalista si sciogliesse volontariamente. Dall’altra, si fa illusioni sulla possibilità di riformare lo Stato esistente nell'interesse degli sfruttati e degli oppressi, mentre la sua funzione è quella di tenerli sotto controllo nell'interesse della classe dominante. Il fatto che la classe dirigente si senta a proprio agio con rivendicazioni dall’aspetto così radicale è dimostrato dal fatto che pochi giorni dopo le prime proteste, i media e gli uomini politici (principalmente, ma non solo, quelli di sinistra) “si sono inginocchiati”, letteralmente e simbolicamente, per condannare con forza l'assassinio di George Floyd e sostenere con entusiasmo le manifestazioni. L'esempio dei principali politici del Partito Democratico è il più evidente, ma sono stati rapidamente imitati dai loro omologhi in tutto il mondo, compresi i rappresentanti più lucidi della polizia. È il recupero borghese della rabbia legittima. Non possiamo farci illusioni: le dinamiche di questo movimento non possono essere trasformate in un’arma degli sfruttati e degli oppressi, perché è già diventato uno strumento nelle mani della classe dominante. Le attuali mobilitazioni non sono un “primo passo” verso una vera e propria lotta di classe, ma sono utilizzate per bloccarne lo sviluppo e la maturazione.
Il capitalismo non avrebbe potuto diventare il sistema globale che è oggi senza il commercio degli schiavi e la schiavitù coloniale delle popolazioni indigene in Asia, Africa e Americhe. Il razzismo è quindi nei suoi geni. Fin dall'inizio, ha usato le differenze razziali e di altro tipo per mettere gli sfruttati l'uno contro l'altro, per impedire loro di riunirsi contro il loro vero nemico, la minoranza che li sfrutta. Ma ha anche fatto ampio uso dell'ideologia dell’ “antirazzismo”: l'idea che si possa combattere il razzismo uniti non come classi sociali, ma intorno a una particolare comunità oppressa. Tuttavia, organizzarsi sulla base della propria “comunità” razziale o nazionale è un altro modo per offuscare la divisione di classe alla base di questo sistema: quindi, non c'è nessuna “comunità nera” in quanto tale perché ci sono capitalisti neri e lavoratori neri, e non hanno alcun interesse in comune. Ricordiamo semplicemente il massacro dei minatori neri in sciopero a Marikana nel 2012 da parte dello Stato sudafricano “post-apartheid”. L'assassinio di George Floyd non è stato il risultato di un piano deliberato da parte della borghesia. Ma ha permesso alla classe dirigente di concentrare tutta l'attenzione sulla questione della razza mentre il sistema capitalista nel suo complesso ha rivelato la sua totale bancarotta.
La società capitalista è in uno stato di profonda putrefazione. I barbari massacri che continuano a diffondersi in Africa e in Medio Oriente, le incessanti guerre tra bande in America Latina (che costringono milioni di persone a diventare rifugiati) ne sono un chiaro sintomo, così come l'attuale pandemia di Covidi-19, un sottoprodotto della devastazione ambientale causata dal capitalismo. Allo stesso tempo, il sistema è impantanato in una crisi economica irrisolvibile. Dopo il crollo del 2008, gli Stati capitalisti hanno lanciato una brutale strategia di austerità volta a far pagare la crisi agli sfruttati. La conseguente devastazione dei servizi sanitari è uno dei motivi principali per cui la pandemia ha avuto un impatto così catastrofico. Il confinamento a livello mondiale globale, a sua volta, ha spinto il sistema in una crisi economica ancora più profonda, certamente paragonabile alla depressione degli anni ‘30. Questo ulteriore sprofondamento nella crisi economica sta già provocando un impoverimento diffuso, un aumento del numero di senzatetto e persino la fame, soprattutto negli Stati Uniti, che forniscono ai lavoratori un’assistenza sociale minima di fronte alla disoccupazione o alle malattie. Non c'è dubbio che la miseria materiale che ne è scaturita ha alimentato la rabbia dei manifestanti. Ma di fronte all'obsolescenza storica di un intero modo di produzione, una sola forza può unirsi contro di essa e offrire la prospettiva di una società diversa: la classe operaia internazionale. La classe operaia non è immune alla decomposizione della società capitalista: soffre di tutte le divisioni nazionali, razziali e religiose, acuite dal sinistro approfondimento della decomposizione sociale, la cui espressione più evidente è la diffusione di ideologie populiste. Ma questo non cambia la realtà fondamentale: gli sfruttati di tutti i paesi e di tutti i colori hanno lo stesso interesse a difendersi dai crescenti attacchi alle loro condizioni di vita, contro i tagli salariali, la disoccupazione, le espulsioni, la riduzione delle pensioni e delle prestazioni sociali, nonché contro la violenza dello Stato capitalista. Questa lotta da sola è la base per superare tutte le divisioni che avvantaggiano i nostri sfruttatori e per resistere agli attacchi e ai pogrom razzisti in tutte le loro forme. Quando la classe operaia si organizza per unire le forze, dimostra anche di avere la capacità di organizzare la società su nuove basi. I consigli operai che sono emersi in tutto il mondo dopo la rivoluzione del 1917 in Russia, i comitati di sciopero interaziendali emersi durante lo sciopero di massa in Polonia nel 1980: questa è la prova che la lotta della classe operaia sul proprio terreno offre la prospettiva di creare un nuovo potere proletario sulle rovine dello stato capitalista e riorganizzare la produzione per i bisogni dell'umanità.
Da diversi decenni, la classe operaia non ha più la coscienza di sé, di essere una classe opposta al capitale, frutto sia di vaste campagne ideologiche (come la campagna sulla “morte del comunismo” in seguito al crollo della forma stalinista del capitalismo) che di evoluzioni materiali radicali (come lo smantellamento dei centri tradizionali di lotta della classe operaia nei paesi più industrializzati). Ma poco prima che la pandemia di Covid-19 si diffondesse nel mondo, gli scioperi del settore pubblico in Francia avevano cominciato a mostrarci che la classe operaia non è morta e sepolta L'insorgenza della pandemia e del confinamento globale hanno ostacolato il potenziale di diffusione di questo movimento. Ciò non ha impedito, nella prima fase del confinamento, le reazioni molto determinate della classe operaia in molti paesi contro il fatto di essere considerati come “pecore portate al macello”, contro l’essere costretti a lavorare senza adeguate attrezzature di sicurezza, il tutto per proteggere i profitti della borghesia. Queste lotte, in particolare negli Stati Uniti, ad esempio alla General Motors, si intersecano con le divisioni razziali e nazionali. Allo stesso tempo, il confinamento ha messo in evidenza il fatto che il funzionamento del sistema capitalista dipende interamente dal lavoro “indispensabile” della classe sfruttata in modo così spietato.
La domanda centrale per il futuro dell'umanità è questa: la minoranza capitalista può continuare a dividere la maggioranza sfruttata secondo criteri razziali, religiosi o nazionali e trascinarla così nella sua marcia verso l'abisso? O la classe operaia, in tutti i paesi del mondo, si riconoscerà per quello che è: la classe che, come affermato da Marx, è “rivoluzionaria o non è nulla"?
Amos, 11 maggio 2020
Prima che l'ondata della crisi di Covid-19 spazzasse il pianeta, le lotte della classe operaia in Francia, Finlandia, Stati Uniti e altrove sono state il segno di un nuovo stato d’animo all'interno del proletariato, una riluttanza a inchinarsi alle richieste imposte da una crescente crisi economica. In Francia, in particolare, abbiamo potuto cogliere i segni del recupero dell'identità di classe erosa da decenni di decomposizione capitalista, che ha visto l'ascesa di una corrente populista che falsifica le vere divisioni della società e che è scesa in piazza in Francia con indosso un gilet giallo. In tal senso, la pandemia di Covid-19 non avrebbe potuto giungere in un momento peggiore per la lotta del proletariato: nel momento in cui cominciava a ritrovarsi nelle strade, a radunarsi in manifestazioni per resistere agli attacchi economici il cui legame con la crisi capitalista resta difficile da nascondere, la maggior parte della classe operaia non ha avuto altra scelta che rinchiudersi nella propria abitazione, evitare ogni grande assembramento, "confinarsi" sotto l'occhio di un apparato statale onnipotente che è riuscito a lanciare forti appelli di "unità nazionale" di fronte a un nemico invisibile che, ci viene detto, non discrimina tra ricchi e poveri, tra datori di lavoro e lavoratori.
Le difficoltà che la classe operaia deve affrontare sono reali e profonde. Ma ciò che è in qualche modo notevole è il fatto che, nonostante l'onnipresente paura del contagio, nonostante l'apparente onnipotenza dello Stato capitalista, i segni della combattività di classe che si erano manifestati in inverno, non sono svaniti. Nella prima fase e di fronte alla sconvolgente negligenza e impreparazione della borghesia, abbiamo assistito a movimenti difensivi molto estesi della classe operaia. I lavoratori di tutto il mondo si sono rifiutati di essere mandati come "pecore al macello", e hanno combattuto con determinazione per difendere la loro salute, la loro stessa vita, chiedendo adeguate misure di protezione o la chiusura delle aziende non impegnate nella produzione essenziale (come le fabbriche automobilistiche).
- Si sono svolte su scala globale, data la natura globale della pandemia. Ma uno degli elementi più importanti è che esse sono state più evidenti nei paesi centrali del capitalismo, in particolare nei paesi che sono stati i più colpiti dalla malattia: in Italia, ad esempio, la Tendenza Comunista Internazionalista menziona scioperi spontanei [30] in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Puglia. E sono stati soprattutto i lavoratori delle fabbriche italiane a lanciare per primi lo slogan "non siamo pecore da portare al macello". In Spagna, ci sono stati scioperi alla Mercedes, alla FIAT, alla fabbrica di elettrodomestici Balay a Saragozza; i lavoratori di Telepizza si sono messi in sciopero contro le sanzioni per coloro che non volevano rischiare la loro vita consegnando le pizze, e ci sono state altre proteste di raider di pizze à Madrid. Ma forse le più importanti di tutte, principalmente perché esse mettono in discussione l'immagine di una classe operaia americana che si sarebbe assoggettata senza esitazione alla demagogia di Donald Trump, sono state altre lotte diffusesi negli Stati Uniti: scioperi negli stabilimenti FIAT-Chrysler a Tripton, Indiana, nello stabilimento di produzione di camion Warren alla periferia di Detroit, tra autisti di autobus a Detroit e Birmingham (Alabama), nei porti, ristoranti, nella distribuzione alimentare, nei settori delle pulizie e delle costruzioni; scioperi hanno avuto luogo ad Amazon (che è stato colpito da scioperi anche in molti altri paesi), Whole Foods, Instacart, Walmart, FedEx, ecc. Abbiamo anche visto molti scioperi sugli affitti negli Stati Uniti. È una forma di lotta che, se non coinvolge automaticamente i proletari, non è neppure estranea alle tradizioni di classe (si potrebbe citare, per esempio, gli scioperi dell'affitto di Glasgow che sono stati parte integrante delle lotte dei lavoratori durante la prima guerra mondiale o lo sciopero degli affitti del Merseyside nel 1972, che ha accompagnato la prima ondata internazionale di lotte dopo il 1968). Negli Stati Uniti, in particolare, esiste una reale minaccia di sfratto che incombe su numerosi settori "bloccati" della classe operaia.
In Francia e in Gran Bretagna, tali movimenti sono stati meno estesi, ma abbiamo assistito a scioperi selvaggi dei postali e degli operai edili, magazzinieri e addetti alle pulizie in Gran Bretagna e, in Francia, scioperi nei cantieri navali di Saint-Nazaire, ad Amazon a Lille e a Montélimar, alla ID logistics... In America Latina, possiamo citare il Cile (Coca-Cola), lavoratori portuali in Argentina e Brasile o d’imballaggi in Venezuela. In Messico, "gli scioperi si sono diffusi nella città messicana di Ciudad Juárez, ai margini della città texana di El Paso, coinvolgendo centinaia di maquiladoras che chiedono la chiusura di fabbriche non essenziali mantenute aperte nonostante il crescente numero di morti per la pandemia di Covid-19, inclusi tredici impiegati nella fabbrica di sediolini auto Lear, di proprietà degli Stati Uniti. Gli scioperi […] fanno seguito ad azioni simili da parte dei lavoratori nelle città di confine di Matamoros, Mexicali, Reynosa e Tijuana”[1]. In Turchia, si sono verificati scioperi di protesta nella fabbrica tessile di Sarar (contro il parere dei sindacati), nel cantiere navale Galataport e di lavoratori postali e telegrafici. In Australia ci sono stati scioperi da parte dei lavoratori portuali e nel settore della distribuzione. L'elenco potrebbe essere facilmente esteso.
- Numerosi scioperi sono stati spontanei, come in Italia, nelle fabbriche automobilistiche americane e nei centri Amazon, e i sindacati sono stati ampiamente criticati talvolta in opposizione frontale rispetto alla loro aperta collaborazione con la direzione. Secondo un articolo su libcom.org [31], che offre un'ampia panoramica delle recenti lotte negli Stati Uniti: “Lavoratori negli impianti di assemblaggio Fiat-Chrysler a Sterling Heights (SHAP) e Jefferson North (JNAP) nella regione di Detroit hanno preso in mano la situazione ieri sera e stamattina e hanno deciso di interrompere la produzione per fermare la diffusione del coronavirus. Le interruzioni del lavoro sono iniziate a Sterling Heights la scorsa notte, poche ore dopo che la United Auto Workers[2] e le case automobilistiche di Detroit hanno raggiunto un accordo putrido per mantenere le fabbriche aperte e operative durante la pandemia globale ... Lo stesso giorno, decine di lavoratori nell'impianto Lear Seating di Hammond, Indiana, si sono rifiutati di lavorare, forzando la chiusura dell'impianto di accessori e dell'impianto di assemblaggio di Chicago situato là vicino”. L'articolo contiene anche un'intervista a un lavoratore automobilistico:
“La UAW dovrebbe effettivamente battersi per farci interrompere il lavoro. Il sindacato e la società sono più interessati alla produzione di camion che alla salute di tutti. Sento che non faranno nulla se non agiamo. Dobbiamo riorganizzarci. Non possono licenziarci tutti".
- Questi movimenti si situano su un terreno di classe: sulle condizioni di lavoro (richiesta di adeguati dispositivi di protezione) ma anche per indennità di malattia, salari non pagati, contro sanzioni ai lavoratori che hanno rifiutato di lavorare in condizioni pericolose, ecc. Testimoniano il rifiuto del sacrificio che fa parte della continuità della capacità della classe di resistere alla spinta verso la guerra, un fattore alla base della situazione mondiale dalla ripresa delle lotte di classe nel 1968.
- Gli operatori sanitari, se hanno mostrato uno straordinario senso di responsabilità che è un elemento di solidarietà proletaria, hanno anche espresso la loro insoddisfazione per le loro condizioni, la loro rabbia per gli appelli ipocriti e le lodi dei governi, anche se per lo più hanno assunto la forma di proteste e dichiarazioni individuali [3]; ma ci sono state azioni collettive, tra cui scioperi, in Malawi, Zimbabwe, Papuasia- Nuova Guinea, come certe manifestazioni di infermieri a New York.
Ma questo senso di responsabilità del proletariato, che incita anche milioni di persone a seguire le regole di autoisolamento, mostra che la maggior parte della classe operaia accetta la realtà di questa malattia, anche in un paese come gli Stati Uniti, che è il "centro" di varie forme di negazione della pandemia. Pertanto, le lotte che abbiamo visto si sono necessariamente limitate ai lavoratori dei settori "essenziali" che lottano per condizioni di lavoro più sicure (e queste categorie rimarranno necessariamente in minoranza, anche se il loro ruolo è vitale) o ai lavoratori che si sono ben presto interrogati sulla reale necessità del proprio lavoro, come i lavoratori automobilistici in Italia e negli Stati Uniti; e quindi la loro domanda centrale è stata quella di essere mandati a casa (con un risarcimento da parte della società o dello Stato piuttosto che essere licenziati, come molti lo sono stati). Ma questa rivendicazione, per quanto necessaria, poteva solo implicare una specie di ritirata tattica nella lotta, piuttosto che la sua intensificazione o estensione. Ci sono stati tentativi (ad esempio tra i lavoratori di Amazon negli Stati Uniti) di tenere riunioni di lotta online, di effettuare dei picchetti di sciopero osservando le distanze di sicurezza, ecc. ma non si può ignorare il fatto che le condizioni di isolamento e di confinamento costituiscono un enorme ostacolo a qualsiasi sviluppo immediato della lotta.
In condizioni di isolamento, è più difficile resistere alla gigantesca raffica di propaganda e offuscamento ideologico.
Inni all'unità nazionale vengono cantati ogni giorno dai media, basandosi sull'idea che il virus è un nemico che non discrimina nessuno: nel Regno Unito, il fatto che Boris Johnson e il Principe Carlo siano stati infettati dal virus è presentato come prova[4]. Il riferimento alla guerra, lo spirito del "Blitz" durante la seconda guerra mondiale (esso stesso prodotto di un importante esercizio di propaganda volto a nascondere qualsiasi malcontento sociale) è incessante nel Regno Unito, in particolare con l'applauso dato a un veterano dell'aviazione centenario che ha raccolto milioni per l’NHS (Servizio Sanitario Nazionale). In Francia, anche Macron si è presentato come un capo guerra; negli Stati Uniti, Trump ha cercato di definire Covid-19 come il "virus cinese", distogliendo l'attenzione dalla triste gestione della crisi da parte della sua amministrazione e giocando sul solito tema di "America First" (l'America prima di tutto). Ovunque (anche nell'area Schengen dell'Unione Europea), la chiusura delle frontiere è stata proposta come il modo migliore per arginare il contagio. I governi di unità nazionale si sono formati dove una volta appariva una divisione apparentemente insolubile (come in Belgio), dove i partiti di opposizione stanno diventando più che mai "leali" allo "sforzo di guerra" nazionale.
L'appello al nazionalismo va di pari passo con la presentazione dello Stato come la sola forza in grado di proteggere i cittadini, sia attraverso la vigorosa applicazione delle chiusure sia nella sua forma più lieve di fornitore di assistenza alle persone in necessità, sia con le migliaia di miliardi distribuiti per mantenere i lavoratori licenziati, nonché i lavoratori autonomi le cui società hanno dovuto chiudere, o i servizi sanitari amministrati dallo Stato. In Gran Bretagna, il Servizio sanitario nazionale è stato a lungo un'icona sacra di quasi tutta la borghesia, ma soprattutto della sinistra, che lo considerava come un grande risultato, da quando è stato introdotto dal governo laburista post-guerra che lo presenta come al di fuori della mercificazione capitalista dell'esistenza, nonostante le invasioni "malvagie" degli imprenditori privati. Questo vanto per il NHS e istituzioni simili è supportato da rituali settimanali di applausi e elogi incessanti degli “eroici” operatori sanitari, in particolare da parte degli stessi politici che hanno contribuito a smantellare il sistema sanitario negli ultimi decenni o anche di più.
Secondo Michael Foot, rappresentante dell'ala sinistra del Partito Laburista, la Gran Bretagna non è mai stata così vicina al socialismo se non come durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi, mentre lo Stato deve mettere da parte le preoccupazioni per il profitto immediato per mantenere la coesione della società, la vecchia illusione che "oggi siamo tutti socialisti" (che era un'idea comunemente espressa dalla classe dirigente durante l'ondata rivoluzionaria dopo il 1917) ha ricevuto un nuovo rilancio grazie alla massiccia spesa imposta ai governi dalla crisi di Covid-19. L'influente filosofo di sinistra Slavo Zizek, in un'intervista su Youtube intitolata "Comunismo o barbarie [32]", sembra indicare che la stessa borghesia sia ora obbligata a trattare il denaro come un semplice meccanismo contabile, una sorta di buono orario del lavoro, totalmente distaccato dal valore attuale. In breve, i barbari diventano comunisti. In realtà, la crescente separazione tra denaro e valore è il segno del completo esaurimento delle relazioni sociali capitalistiche e quindi della necessità del comunismo, ma il disprezzo delle leggi del mercato da parte dello Stato borghese è tutt'altro che un passo verso un modo di produzione superiore: è l'ultimo baluardo di questo ordine in declino. Ed è soprattutto compito della sinistra del capitalismo nasconderlo alla classe operaia, deviarla dal proprio cammino che significa uscire dalla morsa dello Stato e prepararsi alla sua distruzione rivoluzionaria.
Ma nell'era del populismo, la sinistra non ha il monopolio delle false critiche al sistema. La realtà certa che lo Stato utilizzerà questa crisi ovunque per intensificare la sorveglianza e il controllo della popolazione (e quindi la realtà di una classe dirigente che "cospira" costantemente per mantenere il suo dominio di classe) dà origine a un nuovo lotto di "teorie complottiste", in cui il vero pericolo del Covid-19 viene respinto o negato categoricamente: si tratterebbe di una "Scamdemia"[5] sostenuta da una sinistra cabala di mondialisti per imporre il loro programma di "governo mondiale unico". E queste teorie, che sono particolarmente influenti negli Stati Uniti, non si limitano al cyberspazio. La frazione di Trump negli Stati Uniti ha agitato questo spaventapasseri, sostenendo che ci sono prove che il Covid-19 sia fuggito da un laboratorio a Wuhan (anche se i servizi di intelligence americani hanno già escluso questa ipotesi). La Cina ha risposto con accuse simili contro gli Stati Uniti. Ci sono state anche grandi proteste negli Stati Uniti per chiedere di tornare al lavoro e di porre fine al confinamento, proteste incoraggiate da Trump e spesso ispirate a teorie cospirative ambientali (così come a fantasie religiose: la malattia è reale, ma noi possiamo superarla attraverso il potere della preghiera). Ci sono stati anche alcuni attacchi razzisti contro persone provenienti dall'Estremo Oriente, identificati come responsabili del virus. Non vi è dubbio che tali ideologie colpiscono anche alcune parti della classe operaia, in particolare quelle che non ricevono alcuna forma di sostegno finanziario dai datori di lavoro o dallo Stato, ma sembra che le proteste per il ritorno al lavoro negli Stati Uniti siano state realizzate principalmente da elementi della piccola borghesia ansiosa di rilanciare le proprie imprese. Come abbiamo visto, molti lavoratori hanno lottato per andare nella direzione opposta!
Questa vasta offensiva ideologica rafforza l'atomizzazione oggettiva, imposta dal confinamento, la paura che chiunque al di fuori della propria casa possa essere la fonte della malattia e della morte. E il fatto che il lock-down durerà probabilmente per qualche tempo, che non ci sarà ritorno alla normalità e che potrebbero esserci altri periodi di confinamento se la malattia presenterà una seconda ondata, tenderà ad aggravare le difficoltà della classe operaia. E noi non possiamo permetterci di dimenticare che queste difficoltà non sono iniziate con il confinamento, ma che esse hanno una lunga storia alle spalle, soprattutto dall'inizio del periodo di decomposizione dopo il 1989, che ha visto un profondo riflusso sia della combattività che della coscienza, una crescente perdita dell'identità di classe, un'esacerbazione della tendenza all’ "ognuno per sé" a tutti i livelli. Pertanto, la pandemia, come ovvio prodotto del processo di decomposizione, segna una nuova fase del processo, un'intensificazione di tutti i suoi elementi più caratteristici[6].
Tuttavia, la crisi del Covid-19 ha anche attirato l'attenzione sulla dimensione politica ad un livello senza precedenti: le conversazioni quotidiane e le chiacchiere incessanti dei media sono quasi interamente incentrate sulla pandemia e sul confinamento, sulla risposta dei governi, la difficile situazione degli operatori sanitari e degli altri lavoratori "essenziali" e i problemi di sopravvivenza quotidiana di gran parte della popolazione nel suo insieme. Non vi è dubbio che il mercato delle idee è stato in gran parte accaparrato dalle varie forme dell'ideologia dominante, ma ci sono ancora posti in cui una minoranza significativa può porre domande fondamentali sulla natura di questa società. La questione di sapere ciò che è "essenziale" nella vita sociale, di sapere chi svolge il lavoro più vitale e chi è comunque pagato in modo così miseramente per esso, la negligenza dei governi, l'assurdità delle divisioni nazionali e del ciascuno per sé di fronte a una pandemia globale, il tipo di mondo in cui vivremo dopo questa pandemia: queste sono domande che non possono essere completamente nascoste o dirottate. E le persone non sono completamente atomizzate: le persone confinate usano i social media, i forum su Internet, i video o le conferenze audio non solo per continuare il lavoro retribuito o rimanere in contatto con la famiglia e gli amici, ma anche per discutere della situazione e porre domande sul suo vero significato. L'incontro fisico (se si svolge alla distanza sociale richiesta ...) con i vicini dell'edificio o del quartiere può anche diventare uno spazio di discussione, anche se il rituale settimanale degli applausi non deve essere confuso con la vera solidarietà o i gruppi locali di auto-aiuto con una lotta contro il sistema.
In Francia, uno slogan che è diventato popolare è "il capitalismo è il virus, la rivoluzione è il vaccino". In altre parole, le minoranze della classe portano la discussione e la riflessione alla loro logica conclusione. L’"avanguardia" di questo processo è costituita dagli elementi, alcuni dei quali molto giovani, che hanno chiaramente capito che il capitalismo è totalmente in bancarotta e che l'unica alternativa per l'umanità è la rivoluzione proletaria mondiale (in altre parole, coloro che si stanno muovendo verso posizioni comuniste, e quindi verso la tradizione della sinistra comunista). L'apparizione di questa generazione di minoranze "alla ricerca" del comunismo conferisce ai gruppi esistenti della sinistra comunista un'immensa responsabilità nel processo di costruzione di un'organizzazione comunista che può svolgere un ruolo importante nelle future lotte del proletariato.
Le lotte difensive che abbiamo visto all'inizio della pandemia, il processo di riflessione che ha avuto luogo durante il confinamento, sono indicazioni dell'intatto potenziale della lotta di classe, che può anche essere "confinata" per un periodo considerevole, ma che a lungo termine potrebbe maturare al punto da potersi esprimere apertamente. L'incapacità di reintegrare un gran numero di lavoratori licenziati al culmine della crisi, la necessità per la borghesia di recuperare i "doni" che ha distribuito nell'interesse della stabilità sociale, la nuova ondata di austerità che la classe dominante sarà costretta a imporre: tale sarà certamente la realtà della prossima tappa della storia di Covid-19, che è contemporaneamente la storia della crisi economica storica del capitalismo e della sua graduale decomposizione. È anche la storia del peggioramento delle tensioni imperialiste, poiché varie potenze cercano di usare la crisi Covid-19 per perturbare maggiormente l'ordine mondiale: in particolare, potrebbe esserci una nuova offensiva del capitalismo cinese volta a sfidare gli Stati Uniti come potenza leader mondiale. In ogni caso, i tentativi di Trump di addossare la colpa della pandemia alla Cina già preannunciano un atteggiamento sempre più aggressivo dagli Stati Uniti. Ai lavoratori verrà chiesto di fare sacrifici per "ricostruire" il mondo post-Covid e difendere l'economia nazionale dalla minaccia esterna.
Ancora una volta, dobbiamo mettere in guardia contro ogni rischio di immediatismo in questo campo. Un probabile pericolo (dato l'attuale basso livello di coscienza di un'identità di classe e la crescente miseria che colpisce tutti gli strati della popolazione mondiale) sarà che la risposta ai nuovi attacchi agli standard di vita possa assumere forma di rivolte interclassiste, "popolari", in cui i lavoratori non si presentano come una classe distinta con i loro metodi di lotta e le loro rivendicazioni. Abbiamo assistito a un'ondata di tali rivolte prima del confinamento e, anche durante quest'ultimo queste sono già riapparse in Libano, Cile e altrove, sottolineando che questo tipo di reazione è un problema particolare nelle regioni più "periferiche" del sistema capitalista. Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha avvertito che alcune parti del mondo, in particolare l'Africa e i paesi devastati dalla guerra come lo Yemen e l'Afghanistan, sperimenteranno carestie di "proporzioni bibliche" sulla scia della crisi pandemica, che tenderà anche ad aumentare il pericolo di reazioni disperate che non offrono alcuna prospettiva.
Sappiamo anche che la disoccupazione di massa può, all'inizio, tendere a paralizzare la classe operaia: la borghesia può usarla per disciplinare i lavoratori e creare divisioni tra occupati e disoccupati, ed è intrinsecamente comunque più difficile lottare contro la chiusura delle fabbriche che resistere agli attacchi ai salari e alle condizioni di lavoro. Sappiamo che, in tempi di aperta crisi economica, la borghesia cercherà sempre degli alibi per nascondere il fallimento del sistema capitalista: all'inizio degli anni '70, fu la "crisi petrolifera"; nel 2008, "gli avidi banchieri". Oggi, se perdi il lavoro, verrà incolpato il virus. Ma questi alibi sono necessari per la borghesia proprio perché la crisi economica, e in particolare la disoccupazione di massa, sono un atto d'accusa del modo di produzione capitalista, le cui leggi, alla fine, le impediscono di nutrire i suoi schiavi.
Più che mai, i rivoluzionari devono essere pazienti. Come afferma il Manifesto del Partito comunista, i comunisti si distinguono per la loro capacità di comprendere "le condizioni, la marcia e i fini generali del movimento proletario". Le lotte massicce della nostra classe, la loro generalizzazione e la loro politicizzazione, è un processo che si sviluppa su un lungo periodo e che passa per molti avanzamenti e battute d'arresto. Noi non ci affidiamo a dei pii desideri quando insistiamo, come abbiamo fatto alla fine del nostro volantino internazionale [33] sulla pandemia, che "il futuro appartiene alla lotta di classe".
Amos, 12 maggio 2020
[1] “Workers strike across Ciudad Juárez, Mexico as COVID-19 death toll rises in factories [34]” (I lavoratori colpiscono Ciudad Juárez, in Messico, mentre il bilancio delle vittime di COVID-19 aumenta nelle fabbriche), Sito web socialista mondiale (20 aprile 2020). Le maquiladoras sono aziende di assemblaggio che agiscono in zona franca.
[2] L’UAW è uno dei principali sindacati del Nord America.
[3] Per quanto riguarda le reazioni degli operatori sanitari in Belgio e Francia, vedi: "Covid 19: Reazioni di fronte alla negligenza della borghesia"(in francese: https://fr.internationalism.org/content/10107/covid-19-des-reactions-face-a-lincurie-bourgeoisie [35] La posizione di un medico belga è disponibile in inglese sul nostro forum: https://en.internationalism.org/comment/27197#comment-27197 [36] .
[4] In una certa misura, questo ritornello è stato messo in crisi dalla crescente evidenza che gli elementi più poveri della società, comprese le minoranze etniche, sono molto più gravemente colpiti dal virus.
[5] Dall’inglese to scam, imbrogliare, quindi imbroglio a livello mondiale
[6] Abbiamo esaminato alcune di queste difficoltà all'interno della classe in vari testi recenti, in particolare: “Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso Internazionale della CCI (2019): Formazione, perdita e riconquista dell'identità di classe proletaria”. https://it.internationalism.org/content/1533/rapporto-sulla-lotta-di-classe-il-23deg-congresso-internazionale-della-cci-2019 [37]
Nel suo numero 530, datato ottobre/novembre 2018, Le Prolétaire, organo del Partito Comunista Internazionale (PCInt) ha pubblicato una risposta (” Le divagazioni della CCI sul populismo”) a due articoli che avevamo scritto con il titolo: “I difetti del PCInt sul tema del populismo” (Révolution Internationale n.468 e 470)[1]. Questi articoli erano già una prima risposta al loro precedente articolo: “Populismo, avete detto populismo?” (Le Prolétaire n.523) che criticava la nostra visione e la nostra analisi del populismo attuale. Continuiamo quindi questa polemica che riteniamo essenziale, sia per il confronto tra due metodi diversi nella lotta per la difesa degli interessi della classe operaia, sia per l'indispensabile chiarimento dell'analisi della situazione attuale nell’ambiente politico proletario.
Per i rivoluzionari, un periodo e una situazione storica vanno visti come un rapporto di forza tra le due classi principali della società: la borghesia e il proletariato. Questa analisi è la massima responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie ed è stata decisiva nei momenti chiave della lotta proletaria. Per esempio, attraverso l'analisi del rapporto di forza e della dualità di potere nelle sue Tesi dell'aprile 1917, Lenin corresse la direzione del partito bolscevico nei confronti del governo provvisorio del principe Lvov e Kerenski. Allo stesso modo, durante i giorni del luglio 1917, poiché aveva compreso la realtà del rapporto di forza tra il proletariato e la borghesia, il partito bolscevico fu in grado di superare la trappola di un'insurrezione prematura, predisposta dal governo provvisorio. D'altra parte, il giudizio errato di questo rapporto di forza da parte di un'organizzazione rivoluzionaria, qualunque sia il suo livello di influenza sulla classe operaia, ha sempre avuto conseguenze molto gravi, anche catastrofiche. Così, nonostante gli intensi movimenti sociali nel paese, la decisione di Karl Liebknecht di lanciare l’appello all'insurrezione a Berlino nel gennaio 1919, quando le condizioni non erano mature, ebbe conseguenze tragiche per l'intero proletariato internazionale, portando allo schiacciamento nel sangue della rivoluzione in Germania e permettendo alla borghesia di sferrare un colpo decisivo all'estensione della rivoluzione mondiale.
Allo stesso modo, l'atteggiamento opportunistico e attivista di Trotsky negli anni ‘30, derivante dalle sue illusioni su una possibile evoluzione positiva della fazione stalinista e dalla sua incomprensione della necessità di un lavoro di frazione, fu ulteriormente aggravato dal fatto che egli non aveva compreso l’ampiezza della controrivoluzione globale e il rapporto di forza totalmente sfavorevole al proletariato in quel momento. Questo lo portò, in particolare, a sostenere, contro l'ascesa del fascismo, la formazione di fronti uniti con partiti borghesi, nonché ad adottare una posizione altrettanto catastrofica durante la guerra civile spagnola affermando che “c'era una rivoluzione ibrida, confusa, metà cieca e mezza sorda” che avrebbe potuto finalmente trasformarsi in una “rivoluzione socialista” se ci fossero stati “leader rivoluzionari” a capo dello Stato borghese. Alcuni di questi errori derivavano dalle sue confusioni circa il rapporto di forza tra le classi, che lo portò persino a sbandare nella creazione di una IV Internazionale nel 1938, quando le forze dei rivoluzionari non solo erano completamente disperse, ma anche fortemente decimate.
Questi tragici passi falsi portarono a terribili massacri di proletari nella guerra spagnola, che fu una prova generale per il sanguinoso scontro imperialista del 1939-1945 e a sua volta portò le organizzazioni trotskiste al tradimento ed al loro passaggio nel campo borghese durante la seconda guerra mondiale. Ecco perché la CCI, dopo Bilan e la Sinistra Comunista di Francia in particolare, ha sempre sottolineato l'importanza cruciale per le organizzazioni rivoluzionarie dell'analisi del rapporto di forze tra le classi.
Quando la società entrò in un nuovo periodo storico, quello delle guerre e delle rivoluzioni, come chiaramente proclamò il primo Congresso dell'Internazionale Comunista, divenne cruciale per le Organizzazioni Rivoluzionarie trarre tutte le conseguenze che questo cambiamento nel periodo storico implicava. La Sinistra comunista continuò questo lavoro dopo il trionfo della controrivoluzione derivante dalla sconfitta dell'ondata rivoluzionaria del 1917-1923. Inserendosi su questa strada, la CCI è stata in grado di identificare il quadro generale dell’analisi dell'ingresso del capitalismo nel periodo di decadenza. E’ riuscita ad andare oltre identificando, durante la caduta del blocco dell’est, l'ingresso del capitalismo nella sua fase finale di decomposizione[2]. È con questo quadro teorico, basato sull'analisi storica e globale del rapporto di forza tra le classi, che è in grado di sviluppare un'analisi di fenomeni come il populismo, tipico di questa fase finale del capitalismo. Naturalmente, il PCInt non è d'accordo con questo quadro di analisi, cosa che evidenzia un'interpretazione completamente riduttiva del metodo marxista.
Quando Le Prolétaire afferma perentoriamente, in risposta alla CCI, che “non sono fattori “ideologici”, ma determinazioni materiali che spingono e spingeranno i proletari nei movimenti di lotta, a superare le loro divisioni, a riconoscere che appartengono alla stessa classe sociale, soggetta allo stesso sfruttamento, e che spingeranno gli elementi d'avanguardia in questi movimenti a cercare un'organizzazione di partito per condurre la lotta”, resta ad una fase elementare della lotta di classe. Anche noi riconosciamo pienamente che le condizioni materiali dei proletari come combinazione di fattori oggettivi (il livello della crisi economica, l'entità degli attacchi da parte della borghesia, ecc.) svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo della coscienza di classe. Ma il PCInt qui dimentica che i fattori soggettivi (lotta, forza di volontà, moralità, solidarietà, organizzazione, coscienza, teoria) svolgono rapidamente un ruolo importante per il proletariato, fino a diventare decisivi in un periodo rivoluzionario.
Questo è stato ciò che ha fatto dire a Marx: “Chiaramente, l'arma della critica non può sostituire la critica delle armi: la forza materiale deve essere rovesciata da una forza materiale, ma anche la teoria diventa forza materiale, non appena si impadronisce delle masse”.[3] Ciò è stato confermato chiaramente dal corso stesso della rivoluzione in Russia. È questo ruolo vitale della coscienza che Trotsky pose al centro della sua Storia della Rivoluzione Russa quando scrisse, per esempio, che “il grado di coscienza delle masse popolari, fattore decisivo nella politica rivoluzionaria, escludeva così la possibilità che i bolscevichi prendessero il potere a luglio”[4] e quindi riportò le parole di Lenin. “Non siamo ciarlatani: dobbiamo affidarci esclusivamente alla coscienza delle masse.”[5]. Fu questa dimenticanza che portò Bordiga, al suo ritorno alla vita militante dopo la seconda guerra mondiale (che segnò la nascita del bordighismo), a rigettare completamente la coscienza fuori dalla lotta proletaria fino alla rivoluzione, e a confinarla solo all'interno del Partito. Pertanto, per il PCInt, la lotta di classe è ridotta a una somma o a una catena di determinazioni materiali quasi automatiche e meccanicistiche, valide in qualsiasi momento nell'esistenza del capitalismo. Qualsiasi altra considerazione sarebbe “idealismo”. Di questo, naturalmente, egli accusa la CCI nel suo articolo con i termini “divagazioni”, “stravaganze” o “elucubrazioni” che accompagnano la sua risposta. Allo stesso tempo, negando l'importanza del fattore di coscienza nella lotta del proletariato, nega anche la dimensione storica dell'evoluzione del capitalismo, che lo porta a rifiutare anche la nozione della decadenza del capitalismo che noi difendiamo. Attenendosi a questo, il PCInt abbandona la dimensione storica e il contesto concreto del corso della lotta di classe, che tuttavia rientrano in una dimensione essenziale del marxismo: la coscienza di classe non è affatto un fattore astratto ma una forza materiale, come Marx e Engels hanno sempre chiaramente stabilito. La coscienza e lo stato di questa coscienza in un dato momento storico non sono solo un fattore attivo ma determinante in una situazione che è essenziale e indispensabile per tener conto nell'analisi del rapporto di forza tra le classi. In altre parole, non ci sono solo fattori oggettivi, ma anche fattori soggettivi, cioè legati allo stato e al livello di sviluppo della coscienza di classe del proletariato, che determina la sua forza sul campo politico. Ecco perché abbiamo sempre affermato che nel capitalismo, il proletariato, nella misura in cui non ha alcun potere economico e materiale, ha solo due armi per la sua lotta: la sua coscienza e la sua organizzazione. Più in generale, le idee e le ideologie secrete e sfruttate dalla borghesia sono anche forze materiali al servizio del suo dominio e sfruttamento. Le mistificazioni e le illusioni propagate dalla classe borghese svolgono un ruolo attivo in situazioni concrete: c'è dunque una lotta concreta che il proletariato deve condurre per contrastare le manovre della propaganda ideologica della borghesia, e in particolare la mistificazione democratica che grava su di essa o contro qualsiasi ideologia che mira a dividere la classe operaia: razzismo/antirazzismo, populismo/anti-populismo, totalitarismo….
Il PCInt trascura il ruolo importante e attivo dello sviluppo della coscienza del proletariato nel processo rivoluzionario trasferendo questa coscienza solo al Partito che ne avrebbe quindi (e solo) il “monopolio”. Riducendo lo sviluppo della coscienza di classe a questo insieme di determinazioni materiali, il PCInt cade in un determinismo puramente meccanicistico, in altre parole nella trappola di un approccio che è quello del materialismo volgare, che contrappone, nella sostanza, il pensiero e la materia; la determinazione dai rapporti materiali ed economici della produzione escludendo “il mondo delle idee”, cioè negando e rifiutando la forza materiale del pensiero e della riflessione nella classe stessa. Ma questa visione ristretta ha conseguenze che portano il PCInt a prendere a suo conto e a chiudersi in false teorizzazioni ereditate dal passato.
C'è, infatti, un altro aspetto della sua critica al nostro preteso idealismo che testimonia la stessa inversione delle fondamenta del marxismo da parte del PCInt: “La CCI ha una visione completamente idealizzata di una classe operaia senza contraddizioni, senza vari strati, senza divisioni al suo interno (...). A differenza di questa favola, è importante capire che le divisioni e la sottomissione della classe operaia hanno fondamenta materiali” Questa concezione lo porta ad aggrapparsi alla teoria della “aristocrazia della classe operaia” che avevamo già criticato nel nostro precedente articolo. Al di là della facile ironia della sua risposta (“Su questo punto, siamo in buona compagnia, poiché la CCI riconosce che questa concezione era già un errore di Engels e Lenin!”), Le Prolétaire in realtà si basa su una visione sbagliata ereditata da Lenin[6] nell'Imperialismo, la fase suprema del capitalismo[7]. Non si può negare che vi siano differenze di salario, condizioni di vita e condizioni di lavoro tra i lavoratori che la borghesia si sforza sempre di realizzare, evidenziare e strumentalizzare per mascherare la natura e il carattere storico della classe associata e unitaria del proletariato. Ma abbiamo sempre criticato questa nozione perché ignora l'unità fondamentale del proletariato come classe politica e il suo grido di protesta: “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”, per evidenziare categoriche divisioni sociologiche e, quindi, presunti antagonismi di interessi competitivi all'interno della classe operaia. Il PCInt si attiene a questa visione sociologica e fotografica della classe operaia, perdendo di vista il suo significato, il suo ruolo, il suo orientamento politico e, appunto, cade in una trappola ideologica parlando di divisioni in strati del proletariato. Ciò che spinge i proletari a reagire non sono solo le condizioni materiali che vivono, ma anche il livello di sviluppo della loro coscienza di classe nella lotta che non è assolutamente lineare o continua. A causa delle sue debolezze sul metodo marxista, il PCInt dimentica che il proletariato è in grado di unirsi nella sua lotta allo sfruttamento, e che lo ha dimostrato nei momenti più alti della sua storia (dalla Comune del 1871 alla Polonia 1980 fino al 1917 in Russia, ovviamente, e nel maggio 1968 in Francia), anche nelle aree in cui il proletariato è meglio pagato. La borghesia, d'altra parte, cerca di presentare la classe operaia come una classe fatalmente divisa, che difende interessi corporativi e antagonisti. Al contrario, la realtà stessa della classe operaia, del proletariato come classe, poggia sulla sua profonda unità. Il proletariato, come ha sempre affermato il marxismo, può riconoscere la sua identità di classe e affermarsi come classe rivoluzionaria, e quindi superare le sue divisioni molto reali, solo attraverso la lotta e l'affermazione della sua unità e solidarietà basata sul carattere associato del suo lavoro all'interno del capitalismo. Il PCInt qui confonde l'esistenza stessa del proletariato con il processo effettivamente eterogeneo e diseguale in atto nello sviluppo delle sue lotte e della sua coscienza di classe.
Quando l'articolo di le Prolétaire afferma, per giustificare il suo punto di vista sull’”aristocrazia operaia”, che "si tratta di un'analisi materialistica per spiegare l'influenza borghese (e in particolare l'influenza dei partiti e delle organizzazioni collaborazioniste) sul proletariato”, accredita di fatto l'idea che i partiti di sinistra e i sindacati siano organizzazioni “collaborazioniste” quando, di fatto, dovrebbero essere denunciate come organi borghesi, perché passati definitivamente nel campo borghese..
Ed aggiunge, nella difesa di questa teoria: È abbastanza consapevolmente che i capitalisti concedano alcuni vantaggi e certe “garanzie” (statuti speciali, ecc.) a pochi strati del proletariato per garantire la pace sociale in particolari settori dell'economia o nell'economia nel suo complesso. Questi strati costituiscono la base di massa delle organizzazioni riformiste. E’ vero è che in certi momenti storici particolari, la borghesia ha saputo fare volontariamente certe concessioni economiche in modo pienamente consapevole, ma a quale scopo? Non per “comprare” parte del proletariato come sottintende il PCInt “per perpetuare l'ideologia riformista”, ma per dividerla, per cercare di mettere i lavoratori l'uno contro l'altro, accettando le richieste di un particolare settore o di una società mentre la maggior parte dei proletari fanno i conti solo con l'amarezza della sconfitta, come è avvenuto nella lotta negli ospedali in Francia nel 1988, dove solo gli infermieri hanno ottenuto qualche briciola, o in molte lotte come durante il recente sciopero alla General Motors negli Stati Uniti, stimolando la concorrenza tra proletari, rinchiudendoli in difesa della fabbrica, dell'azienda, della regione o del paese. Le strategie borghesi per controllare il proletariato non sono nuove, soprattutto attraverso tutta la legislazione sullo sfruttamento, come sottolinea Rosa Luxemburg nella sua Introduzione all'economia politica sul significato delle leggi sulla protezione del lavoro: “Era quindi necessario che, nel proprio interesse, per consentire uno sfruttamento futuro, il capitale imponesse alcuni limiti all'attuale sfruttamento. Era necessario risparmiare un po’ la forza del popolo per garantire la continuazione del suo sfruttamento. Era necessario passare da un'economia di saccheggio non redditizia allo sfruttamento razionale. Da ciò derivano le prime leggi della giornata lavorativa massima, come pure il varo di tutte le riforme sociali borghesi. Le leggi sulla caccia ne sono una replica. Proprio come le leggi stabiliscono un tempo proibito per la caccia alla selvaggina, in modo che possa moltiplicarsi razionalmente ed essere disponibile regolarmente per la caccia, così le riforme sociali garantiscono un tempo proibito per la forza lavoro del proletariato, in modo che possa essere utilizzato razionalmente per lo sfruttamento capitalista. O come dice Marx: la limitazione del lavoro in fabbrica è stata dettata dalla stessa necessità che costringe l'agricoltore a mettere fertilizzante nei suoi campi. La legislazione delle fabbriche vede la luce, prima di tutto per i bambini e le donne, in una lotta tenace di decenni contro la resistenza dei capitalisti individualisti.” Ma il movimento operaio è pieno di molti altri esempi storici che dimostrano che la classe dominante non solo si è presa cura di razionalizzare lo sfruttamento della forza lavoro, ma ha avuto come preoccupazione principale sempre quella di esercitare uno stretto controllo sui proletari, ad esempio creando strutture sindacali a partire da zero: già, nella Russia prima del 1905, c'è il noto esempio dei “Sindacati Zubatov” sotto il controllo e gli ordini diretti della polizia zarista. Ma ancora di più dopo il 1945, con lo statuto speciale degli impiegati pubblici e di alcuni settori chiave dell'industria (EDF-GDF, lavoratori ferroviari...) con aumenti salariali che consentivano un aumento del tenore di vita dei lavoratori, ecc., perché ha permesso alla classe dominante di tenere gli operai sotto il giogo dello sfruttamento post-bellico al servizio dello “sforzo di ricostruzione nazionale” (il famoso “rimboccatevi le maniche!” del ministro Thorez e dei suoi accoliti stalinisti in un governo di unità nazionale nato dalla Resistenza). E questo, attraverso la mistificazione delle “nazionalizzazioni” e il presunto carattere “operaio” di queste misure. Questo è stato anche il caso negli anni successivi, durante il periodo detto dei “Trenta Gloriosi”, quando la borghesia è stata in grado di preservare l'illusione di una riqualificazione economica senza precedenti del capitalismo che aveva superato le sue crisi. In quel momento, infatti, la borghesia dei paesi occidentali doveva far credere ai lavoratori di avere qualcosa da guadagnare nel capitalismo, di far accettare la continuazione della militarizzazione dell'economia, la corsa agli armamenti e un'economia di guerra permanente, al fine di prepararli a mobilitarsi in scontri bellici contro i nemici del blocco avversario. In Francia, ad esempio, nel contesto della guerra fredda, il sindacato Force Ouvrière (FO) è stato deliberatamente creato nel 1947 su iniziativa della borghesia occidentale, in particolare del Partito socialdemocratico (SFIO), che ha svolto un ruolo fondamentale nel governo negli anni ‘50 per mantenere i lavoratori nel campo occidentale ed nel blocco filo-atlantico. L'obiettivo era quello di contrastare l'influenza della CGT controllata dal partito stalinista, la cui influenza costituiva il rischio di un passaggio al blocco avversario. Lo stesso vale, ad esempio, in Italia nel 1950 con la nascita della CISL (sponsorizzato dal Partito Democristiano al governo) e della UIL (sponsorizzata dal Partito Socialdemocratico) di fronte alla CGIL
Ma se la concessione di “certi benefici e garanzie” in campo economico a particolari settori o anche a tutta la classe può davvero essere una politica deliberata della borghesia in una particolare circostanza o contesto storico, il PCInt trae un'interpretazione totalmente erronea che porta a una conclusione fuorviante sul cosiddetto “collaborazionismo di classe delle organizzazioni riformiste”. Dietro la visione limitata della realtà proposta dalla teorizzazione della “aristocrazia operaia”, la vera questione che si pone al proletariato e che il PCInt non è in grado di vedere, è la realizzazione del capitalismo di Stato come forma universale di dominio della borghesia. Questa è una caratteristica fondamentale del periodo successivo alla sconfitta dell'ondata rivoluzionaria mondiale del 1917-1923 e il segno della decadenza e della sopravvivenza di questo sistema, direttamente e brutalmente come sotto i regimi stalinisti, o indirettamente sotto forma di controllo dello Stato “democratico” sull'economia e sulla società nel suo complesso. Invece di mettere in discussione e sviluppare un quadro per l'analisi vivente delle esperienze e delle lezioni da imparare da un punto di vista di classe, Le Prolétaire persiste nel rinchiudersi in modelli “invarianti” e ripetere le formule del passato senza realmente tener conto dell'evoluzione storica della dominazione capitalista. Così continua a parlarci di “organizzazioni riformiste” o di “collaborazione di classe” o “strati che sono espressione di un’aristocrazia della classe operaia”, mentre i sindacati e gli ex partiti operai non solo sono diventati definitivamente organizzazioni di natura chiaramente borghese, ma sono anche pienamente integrati nell'apparato statale di cui costituiscono essenziali ingranaggi di dominio e sfruttamento. La loro funzione specifica all'interno di questo apparato statale è la difesa esclusiva dei suoi interessi, consentendo di inquadrare e mettere il bavaglio al proletariato. In questo senso, sono entrambi i migliori difensori della borghesia e i peggiori e più pericolosi nemici del proletariato. Descrivere parte dell'apparato statale borghese come “organizzazioni riformiste” ignorando il fatto che queste ex organizzazioni operaie si sono spostate irrimediabilmente nelle fila della borghesia (sindacati, PS, PC, organizzazioni trotskiste) all’atto della guerra o della rivoluzione e sono diventate nemiche dichiarate del proletariato, permette di mantenere l'illusione che siano sempre organizzazioni operaie.[8] Questo atteggiamento è irresponsabile da parte di un'organizzazione del campo proletario perché mantiene un fattore fondamentale di confusione utilizzato dal nemico contro lo sviluppo della coscienza di classe. Legandosi a una visione fissa del passato, senza tener conto delle dinamiche dialettiche attuali sui rapporti di forza fra le classi, senza tener conto delle lezioni e delle esperienze del movimento operaio, un'organizzazione proletaria rischia di commettere gravi errori di analisi e di trarre non solo false lezioni da una situazione, ma anche molto pericolose. Con una visione così ristretta e riduttiva utilizzata come quadro e metodo di analisi, il PCInt ha sempre implicitamente creduto che il proletariato dei paesi centrali del capitalismo non sia mai veramente uscito dalla controrivoluzione.
Come non è stato in grado di rilevare la ricomparsa a livello internazionale delle lotte proletarie apertesi con il maggio 1968 in Francia, il PCInt non è stato in grado di valutare il pericolo rappresentato dall'indebolimento della coscienza di classe dopo il crollo dei regimi stalinisti dell’Est alla fine degli anni ‘80, legato alla propaganda borghese che identificava lo stalinismo col comunismo e che ha minato la fiducia di gran parte del proletariato nella prospettiva di una società comunista. Le Prolétaire ci accusa di cadere nella trappola della propaganda borghese nella nostra analisi del populismo (torneremo su questo in particolare nella seconda parte di questo articolo). Ma non riesce a capire la nostra analisi del populismo come una delle caratteristiche della fase di decomposizione del capitalismo, perché rifiuta il nostro quadro della decadenza del capitalismo e delle sue implicazioni per la lotta del proletariato. (Continua)
Wim, 4 febbraio 2020
-------------------------------------------------------------------------------------------
Il Partito Comunista Internazionalista (Le Prolétaire) appartiene alla lunga tradizione della Sinistra Comunista d'Italia, alla quale fa riferimento anche la nostra organizzazione, la CCI. Per noi è un gruppo appartenente al movimento politico proletario, al di là dei disaccordi che ci separano. Le nostre polemiche, franche e talvolta amare, sono quindi per noi l'espressione del dibattito necessario e vitale che deve svilupparsi all'interno del campo rivoluzionario. Nato nel 1943 come Partito Comunista Internazionalista (PCInt), ma esistente nella sua forma attuale dal 1952 (la data della scissione dal gruppo Damen, che continua la sua attività intorno al giornale Battaglia Comunista), il PCInt è ora raggruppato in Francia e in Italia intorno Le Prolétaire e Il Comunista rispettivamente. Pur affermando di rifarsi all’Internazionale Comunista e della Sinistra Italiana, fu in nome dell”invarianza del marxismo” che il PCInt voltò le spalle all'intera eredità della rivista Bilan, anche se negli anni '30 e fino alla fine della seconda guerra mondiale, gli elementi rivoluzionari della sinistra comunista d'Italia si erano riuniti attorno a questa rivista e avevano fatto vivere il marxismo sapendo di affrontare la controrivoluzione e tirando le vere lezioni di questo periodo atroce. Sull'antifascismo, la decadenza del capitalismo, i sindacati, la liberazione nazionale, il significato della degenerazione della rivoluzione russa, la natura borghese dei partiti stalinisti, sullo Stato nel periodo di transizione o la costruzione del “Partito”, tutti i progressi del Bilan sono stati gettati nella spazzatura dal PCInt, sin dalla sua costituzione. Questi passi falsi politici e teorici hanno portato il PCInt a svolgere attività politiche dannose per la classe operaia. Così, sulla base di un approccio totalmente contrario ai contributi di Bilan sulla questione della Frazione e del Partito, il PCInt si è costituito in “partito rivoluzionario” mentre la classe operaia è stata spazzata via dalla seconda guerra mondiale, incapace di alzare la testa. È stata questa stessa rinuncia alle conquiste fondamentali di Bilan che ha portato il PCInt a considerare i partiti stalinisti come “riformisti” o quelli trotskisti come “opportunisti” e non per quello che sono realmente: partiti borghesi. Per il PCInt, questa frontiera di classe non esiste. Allo stesso modo, deviando l'antiparlamentarismo della Sinistra italiana storica (la “Frazione astensionista” nata nel 1919 e di cui Bordiga era il principale rappresentante) su un terreno di semplice “tattica”, il PCInt ha potuto chiedere la partecipazione a elezioni e referendum, difendendo al contempo i “diritti democratici”, compreso il diritto di voto per i lavoratori migranti. Inoltre, per il PCInt, qualsiasi “tattica” sindacale, di comitati frontisti, di sostegno “critico” a gruppi terroristici come Azione Diretta in Francia, gli permette di "organizzare" le masse. Nel 1980, durante i grandi scioperi in Polonia, il PCInt vide nel sindacato Solidarnosc, la cui unica attività era quella di sabotare la lotta, l’“organizzatore” della classe operaia. Ma se la creazione del Partito Comunista Internazionale (PCInt) nel 1943, composto da molti attivisti della Sinistra Comunista d'Italia, non era priva di confusione teorica e organizzativa, questo gruppo tuttavia deve all'esperienza di lotta a cui si collega l’essersi sempre mantenuto su un terreno di classe e rimane come tale, un’organizzazione del proletariato.
[1] https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201801/9654/polemique-failles-du-pci-question-du-populisme-partie-i [38]
[2] Vedere a questo proposito: “Decomposizione: fase finale della decadenza del capitalismo”, su Rivista Internazionale n.14, https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo [12]
[3] Marx, Critica alla Filosofia del diritto di Hegel (1843).
[4] Storia della rivoluzione russa (Tomo 2): La rivoluzione d'ottobre, capitolo "I bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere a luglio?”, edizione Oscar Mondadori, 1978, pag. 609
[5] Ibid., capitolo “I bolscevichi e i Soviet”
[6] Lenin riprende, certamente, un termine già usato da Marx ma in un senso completamente diverso. Nel Libro I del Capitale, Marx designa così la parte più pagata del proletariato per dimostrare, al contrario, che essa stessa è colpita dalla crisi e sprofonda nella miseria sotto gli effetti della crisi.
[7] In quest’opera, Lenin si basa su un passaggio di una lettera di Engels a Marx in cui egli parla di “imborghesimento di parte del proletariato inglese”: “per quanto riguarda i lavoratori, godono tranquillamente con loro [i capitalisti] del monopolio coloniale dell'Inghilterra e del suo monopolio sul mercato mondiale”. Da lì, Lenin teorizzò due concezioni pericolose: da un lato, la divisione dei proletari tra gli strati “superiori” (l’aristocrazia operaia) e quelli “inferiori”, secondo lui caratteristici della fase “imperialista e monopolistica” di dominio del capitalismo e, d'altra parte, che il proletariato dei principali paesi colonialisti avrebbe goduto di privilegi legati allo sfruttamento del proletariato dei paesi colonizzati. Si tratta di una messa in discussione dell’unità del proletariato come classe sfruttata, che è al centro della visione marxista a favore di una visione sociologica terzo-mondista che ha alimentato la propaganda dell’ideologia gauchiste che rivendica le lotte di “liberazione nazionale”.
[8] In questo senso, questi partiti sono chiamati opportunisti o centristi o “operai degenerati” anche da organizzazioni gauchistes che utilizzano anche la teorizzazione della “aristocrazia operaia”, ma per renderla deliberatamente un fattore di divisione del proletariato.
Tutti i media riconoscono che la pandemia globale SARS-CoV2 (Covid 19), che ha contagiato più di 10 milioni di persone e ha causato 500.000 morti, secondo i dati ufficiali mentre scriviamo, sta spingendo la "comunità" scientifica in una "corsa contro il tempo" per trovare un vaccino. Ma sono anche costretti ad ammettere che questa "corsa” è ancora lontana dalla tappa dello "sprint finale". Mentre dal XIX secolo e dalla creazione nel 1881 da parte di Louis Pasteur del primo vaccino antirabbico basato sul principio dell'inoculazione, sono stati fatti enormi progressi nei metodi di coltura delle cellule virali basati sulla biotecnologia e sull'ingegneria genetica che hanno permesso la nascita di diversi vaccini virali, ci viene detto che il vaccino contro il Covid-19 sarà disponibile solo alla fine del 2021! Ma in realtà, tutti gli specialisti concordano sul fatto che ci vogliono in media tra i 10 e i 15 anni per trovare e mettere a punto un nuovo vaccino "affidabile" perché, oltre al tempo necessario per progettarlo e produrlo, è necessario un determinato tempo e tre fasi indispensabili di sperimentazione su larga scala: test del vaccino su animali, test su una popolazione non infetta e infine test sui pazienti. "Ci saranno molti tentativi ed errori, ma abbiamo molte opzioni da esplorare", dice Benjamin Neuman, un virologo della Texas A&M University-Texarkana. “Perché è mai stato studiato per l'uomo nessun vaccino efficace contro nessun virus della famiglia dei coronavirus”.
Affermazione sorprendente perché il coronavirus non è sconosciuto agli scienziati! La SARS-CoV1 (apparsa alla fine del 2002 nel sud-est della Cina) e la MERS-CoV (apparsa nel settembre 2012 in Arabia Saudita), i due fratelli maggiori della SARS-CoV2, hanno già dato vita a ricerche scientifiche per la creazione di vaccini. Nel primo caso, la ricerca è stata interrotta e il progetto del vaccino è stato sepolto prima ancora che fosse stato testato sull'uomo. Nel secondo caso, la ricerca è ancora in corso e testata sugli animali. Nonostante il fatto che per anni gli scienziati abbiano previsto "la minaccia di una pandemia come quella di Covid-19", gli studi scientifici sui coronavirus e lo sviluppo di vaccini sono stati considerati ... "non redditizi"! Il campo della ricerca scientifica al servizio della salute pubblica è costantemente vessato e ostacolato dalla mancanza di mezzi finanziari e logistici. Questo è stato uno dei primi settori a subire i tagli al bilancio, indipendentemente dalla frazione politica a cui appartengono i governi: "Donald Trump, nel maggio 2018, ha abolito un'unità speciale del Consiglio di sicurezza nazionale, composta da eminenti esperti, incaricata di combattere le pandemie”[1]. "Dopo l'influenza suina nel 2009, i funzionari della Commissione europea hanno pubblicato un rapporto contenente delle raccomandazioni politiche. Ma la Commissione è stata successivamente rinnegata dagli Stati membri [...]. Dopo la SARS nel 2003, è stato istituito il Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC). Sta facendo un lavoro eccellente. Ma ha solo 180 collaboratori [...] A Sciensano (istituto di ricerca e istituto nazionale di sanità pubblica del Belgio), ci sono persone molto competenti... ma l'istituto è debole, perché non si investe abbastanza"[2].
Ora ci viene detto: "Per sviluppare un vaccino contro la SARS-CoV2, i ricercatori si stanno basando sui loro studi sulla SARS-CoV1 e sulla MERS-CoV"[3]. Sono passati 17 anni dalla comparsa del primo virus! 17 anni persi nella ricerca di un vaccino che avrebbe potuto salvare decine di migliaia di vite umane!
Di fronte alle dimensioni e alla devastazione dell'attuale pandemia mondiale, la logica naturale che dovrebbe prevalere sarebbe quella di sviluppare la cooperazione e il coordinamento internazionale, di concertare gli sforzi scientifici e operare in maniera centralizzata in modo da mobilitare il progresso tecnologico e le conoscenze scientifiche nella ricerca di un vaccino per ridurre il più possibile il tempo necessario per combattere questo flagello. Ma nella realtà attuale non è affatto così. Al contrario. L'attuale corsa mondiale alla ricerca di vaccini e cure si sta svolgendo in modo frenetico, caotico e disordinato: "Sono stati lanciati più di cento progetti in tutto il mondo e una dozzina di test clinici sono in corso per cercare di trovare una cura per la malattia"[4]. Secondo i media, tutti i colossi farmaceutici come Sanofi (società farmaceutica francese), Gilead Sciences (laboratorio farmaceutico americano), GlaxoSmithKline (gigante farmaceutico britannico), Regeneron Pharmaceuticals (società con sede a New York), Johnson & Johnson (società americana), la società cinese CanSino, per citarne solo alcuni, non fanno che questo. Ma lo stanno facendo ognuno per proprio conto.
Perché ci troviamo in una situazione del genere? Sono le leggi stesse del capitalismo, riflesse nel giogo delle ambizioni di tutti gli Stati e nella reciproca competizione, che impediscono alla società di funzionare se non attraverso la legge del profitto e della concorrenza generalizzata, nel ciascuno per sé, gli uni contro gli altri, in ordine sparso e in modo caotico. Così come queste leggi del capitalismo hanno frenato, ritardato, sabotato e ostacolato ogni misura preventiva e i finanziamenti per la ricerca in tutti i settori della sanità, il funzionamento del capitalismo e delle sue leggi è in diretta opposizione alla messa in comune dei dati e all'indispensabile centralizzazione delle risorse, delle ricerche e alla scoperta di un vaccino efficace.
Questa corsa alla ricerca del vaccino e della "cura miracolosa" per Covid-19 non è priva di tragiche conseguenze per la salute del resto del mondo: ricercatori e virologi di tutto il mondo mettono in guardia contro i pericoli derivanti da questa corsa precipitosa: “Morti dovute a una ricerca incauta. ... Oggi la scienza si muove troppo velocemente e questo ha conseguenze di vasta portata ... Non c'è abbastanza tempo per una riflessione critica sui risultati scientifici, il che ha gravi conseguenze”[5].
Attualmente si sta lavorando molto sui “vaccini surrogati”, concentrandosi sul riciclaggio di vecchi trattamenti virali o sulla ripresa della ricerca su vaccini abbandonati, come quelli contro la malaria o l'Ebola, considerati “non redditizi” in passato[6], ma che da un giorno all'altro diventano una “prospettiva interessante” per l'accesso al nuovo mercato aperto dalla pandemia SARS-CoV2. Questo riflette l'impotenza e lo smarrimento della “comunità” scientifica.
Ma soprattutto, questo porterà a mettere sul mercato dei vaccini "economici" e di scarsa qualità, non sufficientemente testati. Questo significa anche che un numero incalcolabile e vertiginoso di nuove vittime ne pagherà le conseguenze, a costo della loro vita.
In realtà il capitalismo, la classe borghese e i suoi Stati non hanno alcun interesse per la salute delle popolazioni: “Se le somme folli investite nella ricerca e nella spesa in campo militare fossero state destinate alla salute e al benessere delle popolazioni, una tale epidemia non avrebbe mai potuto svilupparsi”[7].
"Tra le aziende che sviluppano un vaccino contro il coronavirus, chi sarà la prima a portarlo sul mercato?"[8], “Vaccino contro il coronavirus: un paese arriverà per primo?”[9]: ecco le grandi domande che pone la borghesia attraverso i suoi media!
I fatti sono chiari: invece di centralizzare e unire tutto il lavoro degli scienziati per arrivare ad una cura e un vaccino il più rapidamente possibile, ogni azienda farmaceutica custodisce gelosamente i risultati raggiunti con la propria ricerca, nei propri laboratori per essere la prima a trovare il vaccino, per ottenere il brevetto che le concede il monopolio di produzione per almeno 7-12 anni. Per coprire gli immensi costi necessari per il loro lavoro, si rivolgono agli investitori che offrono di più in cambio di sordidi affari commerciali. Tra questi il colosso farmaceutico francese Sanofi che ha annunciato, senza alcuno scrupolo, che distribuirà un possibile vaccino in via prioritaria agli Stati Uniti, che hanno investito 30 milioni di dollari per sostenere la sua ricerca, in aggiunta al contratto di 226 milioni di dollari del governo americano già concluso nel dicembre 2019 con questa azienda per la produzione di vaccini contro i virus influenzali. Lo scandalo causato da questa rivelazione di Sanofi e in particolare l'indignazione di Macron sono una pura farsa. In realtà, dietro le loro dichiarazioni ipocrite, le loro parole “umanitarie” del tipo che un vaccino non può essere soggetto alle “leggi del mercato”, che “deve essere un bene pubblico” e che “l'accesso ad esso deve essere equo e universale”, c'è il timore dell'Europa di perdere punti nella corsa internazionale per un vaccino sul mercato mondiale. Al di là della volontà delle aziende farmaceutiche di realizzare un profitto per conto proprio, secondo la logica della concorrenza, principale motore della società capitalistica, esse non possono sfuggire alla legge del capitalismo di Stato, per la quale ogni Stato nazionale esercita in ultima analisi un forte controllo e una rigorosa vigilanza sulla direzione e la gestione della propria economia nazionale e delle aziende che da essa dipendono, anche se sono potenti “multinazionali"[10]. In altre parole, è lo Stato che dirige la politica finanziaria delle sue imprese.
Come la “guerra delle mascherine”, la guerra dei vaccini è “un esempio edificante della cinica e sfrenata competizione tra tutti gli Stati”[11] che perseguono un semplice obiettivo: essere i primi a mettere le mani sul vaccino e a detenerne il monopolio, o ottenerlo in modo privilegiato, o ancora, per evitare di essere spinti fuori dalla corsa e di dover “mendicare” un aiuto, non essere tra i grandi perdenti in questo braccio di ferro. I commentatori borghesi lo riconoscono: “Tra le rivalità americano-europee per un futuro vaccino e le nuove tensioni tra Donald Trump e la Cina, le divisioni tra le grandi potenze si sono approfondite”[12]. Di fronte ai potenti Stati americani e cinesi, “l'Europa sta gettando miliardi nella battaglia per ottenere i vaccini [...] Nessuno Stato membro [...] ha il potere di sviluppare un portafoglio completo di vaccini”[13]. Ad esempio, l'amministrazione Trump ha sovvenzionato la ricerca di AstraZeneca con 1,2 miliardi di euro in cambio della promessa di 300 milioni di dosi di vaccino. E gli Stati dell'UE (Germania, Francia, Paesi Bassi, Italia) vogliono attingere a un “fondo di emergenza” di circa 2,4 miliardi di euro per accelerare le trattative sulle forniture preferenziali di vaccini con le aziende farmaceutiche. Resta da vedere se questo tentativo di creare un fondo comune avrà successo, vista l'incapacità dell'UE di mettere in atto misure concertate in termini di contenimento e gestione della carenza di attrezzature mediche.
Lo sgambetto degli Stati Uniti all'OMS, ritirando il loro contributo a questa organizzazione guidata dall'etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, accusato da Trump di essere controllato in modo subdolo dalla Cina, è un altro esempio eloquente della selvaggia e spietata guerra commerciale e imperialista che si fanno i tre squali più grandi (Cina, USA, UE) del pianeta[14]. Ipocritamente e in maniera interessata, ognuno accusa per questa mancanza di coordinamento: mentre gli USA accusano l'OMS di “collusione” con la Cina, l’Unione Europea fustiga il comportamento “egoista” degli Stati Uniti.
I giornali di “sinistra”, come The Guardian e tanti altri, sono costretti a riconoscere la mancanza di coordinamento, ma le loro lamentele non sono altro che piagnistei che servono a nascondere la responsabilità del sistema capitalista nel suo complesso.
In definitiva, la battaglia per i vaccini mostra che la salute delle popolazioni non è affatto la preoccupazione centrale degli Stati e della classe dirigente. Si preoccupano solo di usare la salute delle persone come strumento per imporsi e rafforzare il proprio posto nell'arena mondiale imperialista.
Il vero grande perdente in questa guerra del vaccino è l'umanità, che dovrà pagare un prezzo ancora più alto in termini di vittime per la sopravvivenza di questo sistema incurabilmente malato, che non porta da nessuna parte se non ad una sofferenza ancora maggiore. Solo una società capace di mobilitare, unire e centralizzare i propri sforzi in modo associato a livello globale partendo dai reali bisogni umani potrà superare questa situazione.
Aube, 30 giugno 2020
[1] Vedi COVID-19: Barbarie capitalista generalizzata o Rivoluzione proletaria mondiale (Volantino internazionale) [33]
[2] Intervista a un virologo belga, De Standaard (30-31 maggio 2020).
[3] RTL infos (29 maggio 2020).
[4]) La Croix (15 maggio 2020).
[5] De Standaard (20-21 maggio).
[6] Ad esempio, la ricerca di un vaccino per il virus Ebola è stata cinicamente abbandonata perché gli Stati africani sono stati qualificati come "insolventi" a scapito delle numerose vittime tra la popolazione.
[7] COVID-19: Barbarie capitalista generalizzata o Rivoluzione proletaria mondiale (Volantino internazionale) [33].
[8] etoro (18 marzo 2020), https://www.etoro.com [41]
[9] Rtbf (18 maggio 2020) https://www.rtbf.be/ [42]
[12] La Croix (15 maggio 2020).
[13] De Standaard (5 giugno 2020).
[14] Il contratto di esclusività, arraffato dal governo americano sulla produzione di Remdésivir (un antivirale già utilizzato nel trattamento dell'Ebola ma di dubbia efficacia nel limitare gli effetti del Covid) sotto il naso e in barba all’UE, che ne aveva appena raccomandato l'uso diffuso in Europa, conferma la morale gangsteristica di questa guerra dove tutti i colpi sono permessi.
Pubblichiamo qui di seguito la lettera di un lettore che sottolinea con chiarezza i pericoli delle campagne ideologiche generate da vari attori della società borghese sui recenti disordini negli Stati Uniti. Le poche righe che pubblichiamo sottolineano che queste campagne costituiscono un vero e proprio veleno contro la coscienza di classe del proletariato.
L'interesse di questa breve lettera è quindi quello di evidenziare la trappola che queste campagne insidiose possono costituire quando propongono, ad esempio, "percorsi falsamente contrapposti e sterili che non rimettono affatto in discussione il sistema esistente". Si rivelano quindi essere vicoli ciechi molto pericolosi. È inoltre interessante come questa lettera, nel denunciare con forza i propagandisti borghesi, richiami esplicitamente alla necessaria vigilanza politica per difendere un'idea che noi consideriamo centrale: "i membri della classe operaia non hanno alcun interesse ad allearsi con elementi della classe dominante, qualunque sia il colore della loro pelle". Sosteniamo questo spirito combattivo e questa intransigenza rigorosa che condividiamo pienamente e che giustamente pone in prospettiva la necessità fondamentale e vitale di una "unità internazionale della classe operaia contro la reazione".
Non è raro vedere aziende che sostengono i recenti movimenti negli Stati Uniti: nell’account Twitter di Netflix c’era il messaggio “Tacere è diventare complici”, mentre la Nike ha pubblicato un video accompagnato da musica strappalacrime che ci invitava a “partecipare al cambiamento”.
Nei media, la rigida divisione tra “rivoltosi” e “manifestanti pacifici” è ampiamente presente. I disordini in cui vengono distrutte proprietà dei proletari, come le automobili, sono accolti con compiacimento da parte di alcune organizzazioni dell'estrema sinistra del capitale. Dall'altra parte, la strategia sostenuta dalle organizzazioni per i diritti civili è quella di fare appello al processo democratico/riformista. In realtà, si tratta di due percorsi falsamente contrapposti e sterili che non mettono affatto in discussione il sistema esistente.
Poiché la polizia è uno degli organi di difesa della classe dominante, non è illogico che tra le sue fila si sviluppino i pregiudizi più reazionari. Contrariamente a quanto suggeriscono alcuni gruppi come la NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), non sarà una riforma miracolosa della polizia che fermerà il razzismo.
Il razzismo affonda le sue radici nella divisione della società in classi presente nel capitalismo. Tutti i partiti e le organizzazioni politiche borghesi hanno l'obiettivo di difendere gli interessi del capitale nazionale. Quindi non c'è nulla di eccezionale nel fatto che, ad esempio, il numero di espulsioni di immigrati è stato più alto sotto il mandato di Obama che sotto quello di Trump, anche se il Partito Democratico cerca di spacciarsi per partito progressista. In realtà, il sostegno ipocrita al “cambiamento sociale” da parte delle suddette imprese è solo un'altra cortina fumogena che presenta l'intera popolazione di un paese come composta da cittadini isolati che dovrebbero essere uniti nella difesa dello Stato.
È vero che molti neri subiscono la violenza della polizia (e questo non è un'esclusiva degli Stati Uniti). Tuttavia, i membri della classe operaia non hanno alcun interesse ad allearsi con elementi della classe dominante, indipendentemente dal colore della loro pelle. Al contrario, questo non farà che rafforzare il dominio della classe borghese e sottovalutare il ruolo progressista dell'unità internazionale della classe operaia contro la reazione.
B.J.
Dopo il “trionfo” di Alexander Lukashenko alle elezioni presidenziali bielorusse del 9 agosto 2020, una vittoria macchiata da massicci brogli e intimidazioni, decine di migliaia di persone sono scese in piazza in manifestazioni convocate dall'opposizione per protestare contro il regime, sventolando la bandiera nazionale e chiedendo “libere elezioni”. Prima delle elezioni, la principale candidata dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, aveva già radunato la folla ai suoi comizi. Poco dopo l’annuncio dei risultati elettorali, i sindacati legati all’opposizione hanno indetto uno sciopero generale. Come le manifestazioni contro il governo, gli scioperi si sono moltiplicati in tutto il Paese, colpendo anche degli “emblemi nazionali”, come la fabbrica di BelAZ (macchine per le miniere) e MTZ (trattori). L’“ultimo dittatore d'Europa”, al potere da un quarto di secolo, ha brutalmente represso i manifestanti, moltiplicando gli arresti e i pestaggi (che hanno causato diversi morti).
Lukashenko, il leader di un Paese rimasto sotto l'influenza russa dopo l’implosione dell’URSS, oggi vacilla. Mentre trent’anni fa i regimi dell’Europa orientale sono caduti uno dopo l’altro, chiara espressione del crollo dell’apparato statale falsamente presentato come “sovietico” e del fallimento della propria strategia imperialista, il regime bielorusso è rimasto al potere grazie a una feroce repressione. Il fatto che l’ultimo residuo di stalinismo nell’Europa dell’Est stia ora vacillando dimostra che un anacronismo potrebbe essere sul punto di finire. E a determinare ciò sono le scosse rinforzate dello stesso processo di disgregazione delle alleanze imperialiste, anche “tradizionali”, che hanno fatto scomparire l’ex blocco dell’Est. Un nuovo Paese, situato in una posizione strategica per la Russia, potrebbe così cercare di spostarsi più a ovest e generare maggiore caos, come nel caso dell’attuale disintegrazione dell'Ucraina.[1]
L'opposizione filo-occidentale, con a capo la Tikhanovskaya, ha potuto contare sulla disastrosa situazione economica (che ha generato disoccupazione di massa, aumento della precarietà, ecc.) e sulla gestione catastrofica della pandemia di Covid per far scendere in piazza la popolazione e chiamare allo sciopero. Ma la classe operaia non ha nulla da guadagnare a farsi trascinare nei conflitti delle fazioni della borghesia bielorussa, ciascuna sostenuta da avvoltoi imperialisti pronti ad attaccare le loro prede.
Al contrario! Tutte le presunte rivoluzioni per liberarsi dal “comunismo” o dal “grande fratello maggiore” russo hanno portato a regimi democratici ugualmente borghesi e sfruttatori che, sotto il peso della crisi, hanno solo peggiorato le condizioni di vita degli sfruttati. Tutte queste presunte rivoluzioni per la democrazia sono state teatro di sfide imperialiste particolarmente ciniche: quando non è stato il blocco occidentale a mettere le sue pedine per indebolire il campo avversario, è stata l'URSS a spingere i leader a dimettersi per mantenere la sua influenza, come nel 1989, quando il leader “socialista” rumeno Ceausescu è caduto a vantaggio di una cricca … filo-russa. Nel 2004, molto tempo dopo l’esplosione dell'URSS, in Ucraina è scoppiata la “rivoluzione arancione” che ha portato al potere piccoli malfattori filo-occidentali e corrotti: il burocrate Viktor Yushchenko e la “principessa del gas” Yulia Tymochenko. La “rivoluzione arancione” alla fine è sfociata in una guerra civile e ha portato all’intervento militare della Russia, alla frammentazione del Paese e all’aumento del caos e della miseria. Oggi, tutti questi Paesi sono spesso guidati da governi corrotti e autoritari, le condizioni di vita restano deplorevoli e la disoccupazione è di massa.
In Bielorussia, la borghesia filoeuropea sta anche usando la popolazione come massa di manovra contro il governo al potere. Il 14 agosto, dalla Lituania, dove si è rifugiata, la Tikhanovskaya ha annunciato la creazione di un consiglio di coordinamento per assicurare una “transizione pacifica del potere” e lo “svolgimento di nuove elezioni”.[2] Per la borghesia filodemocratica si tratta di strappare il potere a Lukashenko e di addormentare la classe operaia con la stessa grande corda elettorale che molti Stati stringono regolarmente al collo dei “cittadini”. Non c’è nulla da aspettarsi dalle elezioni: sia che rispondano a “standard internazionali” (come sostiene il consiglio di coordinamento), sia che si rivelino una vasta manipolazione, rimangono una pura mistificazione la cui funzione essenziale è quella di ridurre il proletariato all'impotenza. Alla fine, sono la borghesia e i suoi interessi di classe a prevalere. Le contraddizioni del capitalismo non scompariranno, lo sfruttamento dei lavoratori, la miseria e le guerre che ne derivano non scompariranno perché la borghesia avrà organizzato “elezioni libere”.
Basta guardare il pedigree dei sette membri del “presidium” del consiglio di coordinamento per convincersene. A parte la Tikhanovskaya, che si è affrettata a prendere contatto con le cancellerie occidentali per sponsorizzare la sua “rivoluzione”, la personalità più in vista non è altro che Svetlana Aleksievitch che, dopo essere stata una scrittrice ben disciplinata sotto Breznev e poi una scribacchina di Stato nell’Unione degli scrittori sovietici, ha opportunamente cambiato bandiera denunciando l’“uomo rosso”, cosa che le è valso il premio Nobel per la letteratura nel 2015. Il consiglio comprende anche avvocati, un sindacalista, Sergei Dylevsky (capo del comitato di sciopero di MTZ), un ex ministro, Pavel Latouchko (che deve aver sentito cambiare il vento) e un leader del Partito Democratico Cristiano Bielorusso, un’organizzazione di fanatici omofobi per i quali “cristiano” non è altro che una parola!
Ma non ci sono scioperi nelle aziende? I comitati di sciopero e le assemblee generali non sono la prova inconfutabile che si tratta di un “movimento proletario”? Questo è l’argomento addotto dai partiti di sinistra, trotskisti in testa, per far prendere lucciole per lanterne.[3] Ma non basta che i lavoratori siano presenti a una manifestazione per farne l’inizio di un movimento operaio. In realtà, gli scioperi sono interamente guidati dai sindacati vicini all’opposizione, tra cui il Congresso bielorusso dei sindacati democratici che, preoccupato per il “destino della Patria”, intende garantire “il rapido trasferimento del potere” e “far uscire [il Paese] dall’acuta crisi politica”.[4] Sono stati i sindacati, cani da guardia del capitale, a promuovere le assemblee e a spingere il “popolo” a scioperare, con il solo scopo di far dimettere Lukashenko. Il Congresso bielorusso dei sindacati democratici ha manovrato inoltre in tutti gli uffici sindacali internazionali (Confederazione Internazionale dei Sindacati, Organizzazione Internazionale del Lavoro...) e gode pertanto del sostegno dei sindacati più esperti nell’inquadramento della classe operaia e nel sabotaggio delle sue lotte.
Questi scioperi non sono quindi né un “passo avanti” né l’“inizio” di un “movimento di classe”. È un terreno interamente minato che disarma il proletariato su tutti i fronti, legandolo mani e piedi alla borghesia. Al di là delle illusioni che semina nella stessa Bielorussia, la classe dominante usa questo movimento in tutto il mondo per far credere ai lavoratori che la democrazia borghese è il migliore dei regimi politici.
La classe operaia non deve scegliere un campo borghese contro un altro, né deve lasciarsi trascinare dai sindacati o da un partito borghese più “democratico”. Gli attacchi alle condizioni di vita e di lavoro portati avanti dal regime di Lukashenko sono gli stessi che tutti i governi democratici impongono agli sfruttati nel mondo. Il capitalismo è un sistema in crisi che non ha nulla più da offrire all’umanità se non una maggiore miseria.
Di fronte alla crisi, l’unica prospettiva che può far uscire l’umanità dalla barbarie verso cui ci spinge il capitalismo è ancora la rivoluzione proletaria mondiale, la sola che può portare a una vera società senza classi, senza frontiere e senza sfruttamento. Ma la strada per raggiungere questo obiettivo è ancora lunga, difficile e tortuosa. La classe operaia deve innanzitutto lottare per le proprie rivendicazioni, soprattutto contro le politiche di austerità dello Stato, per armarsi facendo esperienza dei conflitti con la borghesia e delle trappole che essa tende continuamente (come il sindacalismo o la difesa della democrazia). Trarre insegnamento da questi movimenti è vitale per il proletariato per recuperare la sua identità di classe e preparare il terreno per le future lotte rivoluzionarie.
Ma per andare avanti in questa direzione, è anche essenziale che la classe si riappropri delle lezioni delle lotte del passato, come quella del 1980 in Polonia. Quarant’anni fa, infatti, nei cantieri navali di Danzica, iniziò uno sciopero che si diffuse a macchia d’olio ai quattro angoli del paese. Le assemblee generali erano veramente sovrane e massicce. Le trattative con il governo Jaruzelski erano pubbliche e non condotte nel segreto delle alcove statali. Questo sciopero di massa è stato sconfitto dal sindacato “libero e democratico” Solidarnosc, che ha consegnato i lavoratori alla repressione! Dopo il crollo del blocco dell’Est, le prime elezioni “libere” (con generosi finanziamenti americani) hanno portato alla presidenza il leader di Solidarnosc, Lech Wałesa. Sotto il suo governo, le politiche di austerità si sono moltiplicate.
Democratiche o autoritarie, di destra o di sinistra, tutte le fazioni della borghesia sono reazionarie, anche quando assumono le sembianze di una simpatica (apparentemente) insegnante di inglese. Oggi in Bielorussia, come ieri in Polonia, gli sfruttati non hanno nulla da guadagnare da elezioni apparentemente libere! Tikhanovskaya o Lukashenko, si tratta dello stesso sfruttamento capitalista!
EG, 31 agosto 2020
[1] Torneremo in seguito sulle questioni imperialiste che riguardano la Bielorussia e sul peso della decomposizione negli eventi. Allo stesso tempo, il tentato assassinio di Alexei Navalny, avversario filoeuropeo di Vladimir Putin, rientra nella stessa dinamica delle rivalità imperialiste.
[2] Cfr. il sito web del Consiglio di coordinamento.
[3] È alquanto deplorevole, a questo proposito, che questa visione deformata della lotta di classe attecchisca all’interno dello stesso ambiente politico proletario attraverso delle prese di posizione che vedono in questa mobilitazione degli operai un “primo passo in avanti” invece di denunciare la natura borghese del movimento e la pericolosissima trappola che esso costituisce per il proletariato. Nell’articolo “Bielorussia: tra faide imperialiste e moti di classe [46]”, i compagni della Tendenza Comunista Internazionalista affermano che “In questo quadro in movimento, la nota positiva, va da sé, è la forte partecipazione della classe operaia, con il fermo della produzione e l’interruzione della catena del profitto, unico elemento genuinamente di classe; ovviamente però tutto ciò non basta: è una buona partenza, certamente, ma occorre altro.” https://www.leftcom.org/it/articles/2020-08-19/bielorussia-tra-faide-imperialiste-e-moti-di-classe [46].
[4] “Sulla creazione di un comitato nazionale di sciopero: procrastinare è la morte!”, traduzione di un’intervista del 17 agosto, rilasciata al sito Le partisan bélarusse, pubblicata sul sito di Médiapart.
Nota redazionale: questo articolo è stato scritto, in inglese, all’inizio del diffondersi dell’epidemia, prima che l’Italia diventasse il secondo paese per rischio contagi. Ma tutto quello che si dice nell’articolo, in particolare sul legame tra lo sviluppo capitalistico oggi e il diffondersi delle epidemie, sulla scarsa o nulla importanza che questo sistema dà alla vita e alla salute delle persone, sul cinismo della borghesia nell’affrontare il problema, restano pienamente valide anche per l’Italia.
L'emergere di questo nuovo virus e la reazione della borghesia dimostrano come lo sviluppo delle forze produttive si scontri con la morte e la distruzione causata dal capitalismo. Così, la Cina, diventata la seconda potenza economica mondiale, è stata messa al tappeto da un'epidemia virale, e mentre la scienza medica avanza, il capitalismo non può proteggere la sua popolazione dalle malattie, così come non può proteggere la sua popolazione dalle crisi economiche, dalla guerra o dall'inquinamento.
Il Covid-19 è una delle nuove malattie infettive che sono emerse, soprattutto negli ultimi 50 anni, tra cui HIV (AIDS), Ebola, SARS, MERS, febbre di Lassa, Zika. Come molte altre nuove malattie, Covid-19 è un'infezione da virus animale che ha fatto un salto di specie infettando gli esseri umani e diffondendosi, a causa delle mutate condizioni causate dal capitalismo in questo periodo. Abbiamo catene di approvvigionamento e una urbanizzazione sempre più globali; per la prima volta nella storia la maggior parte della popolazione mondiale vive in città, spesso con affollamento e infrastrutture igieniche inadeguate. Per esempio in Cina ci sono molti lavoratori non solo concentrati nelle città ma anche nei dormitori delle fabbriche affollatissime, ad esempio i lavoratori della Foxconn vivono in 8 in una stanza. Accanto a questo c'è l'uso di carne di animali selvatici, e a Wuhan si pensa che la fonte della nuova infezione sia stata un mercato illegale di animali selvatici. Inoltre la distruzione dell'ambiente naturale e gli effetti del cambiamento climatico stanno portando sempre più animali nelle città in cerca di cibo. Le città affollate sono un potenziale terreno fertile per le epidemie, come dimostra Wuhan, e l'aumento dei collegamenti internazionali è un mezzo per trasmetterle all'estero.
Queste condizioni sono il risultato della spinta del sistema capitalistico decadente a sconvolgere e inquinare ogni angolo del pianeta per far fronte alla sua crisi di sovrapproduzione. L'impatto distruttivo di questa espansione globale è stato chiaramente dimostrato dalla prima guerra mondiale, che ha segnato l'inizio di questa epoca di declino. Alla fine della guerra arrivò la mortale pandemia di influenza spagnola che si stima abbia infettato circa un terzo della popolazione mondiale e ucciso oltre 50 milioni di persone in tre fasi. Il tasso di mortalità era legato alle condizioni della guerra imperialista, tra cui la fame e la malnutrizione, la scarsa igiene e lo spostamento dalle trincee dei soldati malati, tutti elementi che resero questo virus particolarmente letale.
Nel periodo più recente si può notare che l'HIV ha ucciso 32 milioni di persone, soprattutto in Africa, ed è diventato endemico. Nonostante i progressi della medicina che hanno trasformato l'HIV da killer a malattia cronica, l'AIDS ne ha uccisi 770.000 nel 2018 per mancanza di accesso alle cure. Molte altre malattie che la scienza medica può prevenire continuano a causare malattie e morte. Abbiamo sentito parlare dei casi di morbillo negli Stati Uniti, forse a Samoa, e dell'importanza dell'immunizzazione per prevenire la sua trasmissione. Ma i media tacciono sui quasi 300.000 casi di morbillo nella Repubblica Democratica del Congo, con la morte di quasi 6.000 bambini, dove le pietose strutture sanitarie stanno cercando di affrontare anche l'Ebola. Queste morti non sono di grande interesse per la classe dirigente perché, a differenza della pandemia di influenza suina del 2009 o dell'attuale epidemia di Covid-19, non minacciano la sua produzione e i suoi profitti nella stessa misura. Ma il capitalismo è responsabile delle condizioni che danno origine a queste epidemie: in questo caso, un paese instabile, frutto della spartizione dell'Africa da parte delle potenze imperialiste, costantemente devastato dalla lotta per le sue risorse naturali (oro, diamanti, petrolio e cobalto) che ha mietuto milioni di vittime. Il 50% delle esportazioni della RDC va in Cina. È un esempio particolarmente evidente di ciò che intendiamo per decomposizione del capitalismo, il periodo in cui la classe dirigente non ha il controllo sufficiente per portare avanti la sua risposta alla crisi, una nuova guerra mondiale, perché la classe operaia non è sconfitta, ma allo stesso modo la classe operaia non ha la forza di portare la sua lotta a un livello che possa minacciare il capitalismo. Essa è stata annunciata dal crollo del blocco imperialista russo, ed è caratterizzata, tra l'altro, da guerre caotiche e localizzate[1].
La persistenza della polio è anche direttamente correlata alla decomposizione, in quanto gli scontri o il fondamentalismo impediscono l'immunizzazione, con gli operatori sanitari assassinati dai jihadisti, ad esempio in Pakistan. Qualsiasi pubblicità su questo argomento è totalmente ipocrita. Le grandi potenze che lo condannano sono perfettamente disposte a ricorrere a combattenti irregolari e terroristi - come l'Occidente, che ha usato i Mujahadin in Afghanistan contro i russi negli anni '80 e da allora in molti altri conflitti. In realtà l'ascesa del terrorismo è una caratteristica del conflitto imperialista nel periodo della decomposizione.
Nel frattempo, invece di spendere per la salute o l'istruzione, nel 2019 la spesa per la difesa globale è aumentata del 4% rispetto al 2018. Per gli Stati Uniti e la Cina è aumentata di oltre il 6% e per la Germania di oltre il 9%. Per dare un'idea delle agghiaccianti priorità della borghesia, mentre il budget del CDC (Centro per il controllo delle malattie) negli Stati Uniti è stato tagliato da 10,8 miliardi di dollari nel 2010 a 6,6 miliardi di dollari nel 2020, gli Stati Uniti hanno appena superato un budget per il riarmo di 738 miliardi di dollari. Il budget annuale per la difesa della Cina è stimato a 250 miliardi di dollari. L'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva un budget di soli 5,1 miliardi di dollari nel 2016-2017.
Attualmente ci sono molte malattie che causano più morti di Covid-19, eppure la borghesia prende questa minaccia sul serio, come fa per ogni nuova malattia che può diventare una pandemia e quindi può causare un aumento delle minacce alla sua produttività e ai suoi profitti, per esempio attraverso maggiori assenze dei lavoratori per malattia – come si vede con questo nuovo virus in Cina- oppure per le minacce alla salute umana e alla vita. Ci sono molti aspetti della malattia che possono contribuire al suo potenziale pandemico - l'infettività, la natura della malattia. È anche significativo che sia insorta in una grande città di 11 milioni di abitanti in un paese che è ben collegato a livello internazionale per il commercio e il turismo, e questo rende più difficile contenere la diffusione del virus. Più difficile da contenere che se fosse sorto, come l'Ebola, in Africa, dove ci sono molte meno opportunità di viaggiare all'estero, o se fosse sorto nel 2003, come l'epidemia di SARS, quando l'economia e le connessioni della Cina erano minori.
Gran parte della risposta iniziale a questo nuovo virus da parte dello Stato cinese è stata criminalmente negligente e senza scrupoli. Mentre il 26 dicembre avevano già ottenuto dati genetici preliminari che indicavano un virus simile alla SARS, le autorità cinesi hanno perseguitato il dottor Li Wenliang che avrebbe voluto avvertire del pericolo il 30 dicembre. Allo stesso tempo, mettevano in guardia l'OMS sul virus. Ciononostante le autorità di Wuhan hanno continuato a soffocare le informazioni sull'epidemia, organizzando un enorme pasto comune e un ballo del Capodanno lunare il 18 e 19 gennaio, fingendo che non passasse di persona in persona, prima di chiudere la città il 23 gennaio, quando 5 milioni di persone, quasi la metà della popolazione, erano già partite per le vacanze di Capodanno.
Tutto ciò ha suscitato un'enorme rabbia nella popolazione, infuriata per il fatto che il governo nascondesse la malattia al pubblico e avesse fatto firmare a un medico una falsa confessione per aver "sparso voci" mettendo in guardia le autorità. Questo ha dato vita a una campagna democratica per la libertà di parola in Cina. I media e i politici dei paesi occidentali hanno fatto eco a questa campagna con prediche sui benefici della democrazia e della libertà di parola. Tuttavia, non dovremmo pensare nemmeno per un momento che la nostra classe dirigente abbia maggiori scrupoli morali nel mentire e nel nascondere le informazioni quando gli fa comodo, anche se ciò mette a rischio la vita umana. Le aziende farmaceutiche sopprimono le sperimentazioni cliniche che mettono a rischio i loro profitti, il che significa, per esempio, non avvertire che alcuni antidepressivi hanno aumentato il rischio di suicidio per adolescenti e giovani adulti (vedi Bad Pharma di Ben Goldacre, un intero libro su tale disonestà). E i governi statunitense e britannico hanno vergognosamente mentito sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam per giustificare l'invasione dell'Iraq del 2003.
Lo Stato cinese si è, a sangue freddo, preoccupato di mantenere la sua autorità al di sopra della preoccupazione per la salute e la vita della popolazione, per coprire l'inizio di un'epidemia quando sarebbe stata necessaria un'azione tempestiva per ridurre e rallentare la diffusione del virus. Questo dimostra la brutalità del regime che tiene poco conto della vita umana, ma anche la sua irrazionalità, poiché un'azione tempestiva in risposta all'epidemia non solo avrebbe salvato vite umane, ma avrebbe anche salvato gran parte delle perdite che possiamo aspettarci per l'economia e gran parte dei danni al prestigio della Cina come potenza in crescita nel mondo con la sua ambiziosa iniziativa della nuova Via della Seta. Questa irrazionalità del regime cinese nella sua risposta all'epidemia è legata alla sua paranoia per qualsiasi perdita di potere o di controllo, una paranoia che si manifesta nei suoi grandi campi di lavoro e di "rieducazione" per gli Uiguri e altri, nella sua passione per la tecnologia di riconoscimento facciale e nel suo sistema di credito sociale per mantenere la popolazione sulla “giusta via”. Per preservare la sua autorità osa negare la realtà dei fatti stessi.
Mettere in quarantena una città di 11 milioni di abitanti chiudendo tutti i collegamenti di trasporto e creando blocchi stradali è una novità assoluta. E farlo dopo che metà della popolazione ha avuto il permesso di andarsene peggiora la situazione. Costruire due nuovi ospedali per ospitare 2.600 pazienti in più in 10 giorni è una propaganda impressionante, e anche un'impresa impressionante di ingegneria prefabbricata (anche se alla fine i lavori non sono stati ultimati nei tempi previsti). Ma non ha fornito le attrezzature o i medici e gli infermieri necessari – ricorrendo anche a medici dell'esercito o ai volontari di altre regioni. Gli ospedali di Wuhan sono stati sopraffatti, così come i centri di quarantena dotati di 10.000 posti letto. Le persone malate di coronavirus non possono entrare nei centri di quarantena, figuriamoci negli ospedali. I pazienti con altre patologie, tra cui il cancro, non possono ricevere cure ospedaliere per mancanza di posti letto. I pazienti malati e morenti nelle stazioni di quarantena non hanno assistenza infermieristica. Nei centri di quarantena ci sono centinaia di persone ammassate nei letti o sui materassi per terra con piccole maschere di carta di dubbia utilità, con servizi igienici e impianti di lavaggio inadeguati, talvolta con toilette portatili e docce all'esterno. È chiaro che chiunque entri in una stazione di quarantena senza Covid-19 lo prenderà presto. I sospetti portatori del virus sono stati portati con la forza nelle stazioni di quarantena - un ragazzo disabile è morto di fame dopo che i parenti su cui contava sono stati presi. Si tratta più di una misura di polizia che di una misura sanitaria.
Ammassare le persone nei centri di quarantena, che possono diventare solo centri per la trasmissione del virus, ricorda gli ospedali per i poveri esistenti fino al XIX secolo in Europa, che erano anche fonti di infezione (ad esempio l'aumento della mortalità materna per la febbre puerperale dal XVII al XIX secolo, prima che si comprendesse la necessità dell’igiene).
Mancano le attrezzature, compresi gli indumenti protettivi per il personale ospedaliero; medici e infermieri lavorano con orari di lavoro estremamente lunghi, il che li rende più vulnerabili alle malattie. 1700 di loro sono stati infettati e 6 sono morti.
In queste circostanze è chiaro che ci saranno molti pazienti che moriranno e che si sarebbero potuti salvare con un'adeguata assistenza medica. Covid-19 sembra avere più del doppio della mortalità a Wuhan che altrove per questo motivo. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che le autorità cinesi continuino o meno a mentire sui numeri di contagiati, le cifre sono sospette perché non tutti i casi possono essere confermati. Da qui un picco nel numero di casi segnalati a Wuhan l'11 febbraio, quando sono stati inclusi quelli diagnosticati clinicamente - senza test - portando il totale dei casi registrati a oltre 60.000.
Non è solo in Cina che le cifre relative alle malattie sono probabilmente imprecise. A differenza di Singapore, un Paese ricco con numerose connessioni che si prepara a un'epidemia dalla SARS del 2003, molti altri Paesi più poveri non sono preparati. "Qualsiasi Paese che ha viaggi significativi avanti e indietro con la Cina e non ha trovato casi dovrebbe essere preoccupato" dice un professore di epidemiologia di Harward[2]. L'Indonesia, per esempio, ha evacuato 238 cittadini da Wuhan e li ha messi in quarantena per due settimane, ma non li ha sottoposti a test per la malattia perché troppo costosa. E per quanto riguarda il commercio africano della Cina e i clienti della Nuova Via della Seta? Ci saranno molti posti senza le infrastrutture sanitarie per diagnosticare e curare i pazienti con il virus.
Quello che è impressionante è che il nuovo virus è stato sequenziato entro il 12 gennaio. In seguito a ciò, la Coalizione per l’Innovazione in materia di Preparazione per le Epidemie (CEPI in inglese), istituita nel 2017 dopo l'epidemia di Ebola in Africa occidentale, ha lavorato per un vaccino, nella speranza che possa essere pronto se il Covid-19 si diffonde, e in particolare se diventa una malattia stagionale come l'influenza. Infatti, mentre scriviamo questo articolo, il lavoro sul vaccino è in corso, utilizzando un nuovo metodo basato sul sequenziamento dei geni, che è più sicuro che lavorare con un virus mortale, e ha già accelerato la produzione di vaccini per Zika, Ebola, SARS e MERS. Naturalmente, prima di poterlo utilizzare, saranno necessari test di sicurezza ed efficacia, e questo richiederà del tempo.
Tuttavia, questo sorprendente potenziale per le forze produttive non pone fine della storia. Mancano le fabbriche per produrre vaccino sufficiente, e poiché con il rischio di una pandemia i governi non esporteranno il vaccino fino a quando non avranno accumulato abbastanza scorte per il loro uso personale "invocando la difesa o la sicurezza nazionale"[3] il CEPI deve pianificare la sua produzione in diversi siti.
L'economia della Cina si è fermata perché è andata in isolamento per contenere il nuovo virus. Per reagire sta pompando denaro nell'economia, l'autorità di regolamentazione bancaria sta allentando le regole sui crediti inesigibili. Tuttavia, la Cina è ora responsabile del 16% del PIL globale, 4 volte superiore a quello del 2003 al momento dell'epidemia di SARS che ha tagliato l'1% del suo PIL per l'anno. La sua economia è molto più integrata nelle catene di fornitura globali rispetto a 17 anni fa. Questo ha già costretto la Hyundai a chiudere stabilimenti automobilistici in Corea del Sud, la Nissan a chiuderne uno in Giappone e la Fiat-Chrysler ad avvertire che potrebbe chiudere alcune produzioni europee. La produzione di smartphone potrebbe scendere fino al 10% quest'anno. Il tessile (la Cina produce il 40% delle esportazioni mondiali), l'arredamento e i prodotti farmaceutici potrebbero essere colpiti. Così come il turismo. E la Cina ora rappresenta quasi il 20% delle importazioni minerarie globali, e sta cercando di annullare le consegne di petrolio, gas e carbone di cui non ha bisogno. Le azioni delle imprese statunitensi con un'elevata esposizione alle vendite cinesi sono deprezzate del 5%. Con la sua guerra commerciale con gli Stati Uniti non risolta, questo è un cattivo tempo - per la Cina e per l'economia globale.
A lungo termine questo potrebbe far sembrare la Cina un partner commerciale meno affidabile per le multinazionali e su cui investire. Di certo la fa sembrare meno un partner commerciale potente e un sostenitore imperialista per i suoi clienti sulla Nuova Via della Seta. Dipenderà dalla rapidità con cui riuscirà a riportare l'economia alla normalità.
Qualunque cosa accada con questo nuovo virus Covid-19, sia che diventi una nuova pandemia, o che si estingua come la SARS, o che si stabilisca come un nuovo virus respiratorio stagionale, questa nuova malattia è l'ennesimo avvertimento che il capitalismo è diventato un pericolo per l'umanità, e per la vita su questo pianeta. L'enorme capacità delle forze produttive, compresa la scienza medica, di proteggerci dalle malattie, si scontra con la ricerca assassina del profitto, l'ammassamento di una parte sempre più grande della popolazione in grandi città, con tutti i rischi di nuove epidemie. Il rischio del capitalismo non finisce qui, ci sono anche i rischi di inquinamento, di distruzione ecologica e di guerre imperialiste sempre più caotiche.
Alex, 15.2.20
[1] La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo, https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo [12]
[2] The Economist, 15 febbraio 2020
[3] The Economist, 8 febbraio 2020
"Luci brillanti, grande città, che sono andate alla testa del mio bambino" – (canzone di Jimmy e Mary Reed, 1961)
Introduzione. Questo articolo è scritto nel bel mezzo della crisi globale di Covid-19, una sorprendente conferma che stiamo vivendo la fase terminale della decadenza capitalistica. La pandemia, che è il prodotto di un rapporto profondamente distorto tra l'umanità e il mondo naturale sotto il regno del capitale, mette in evidenza il problema della urbanizzazione capitalista che i precedenti rivoluzionari, in particolare Engels e Bordiga, hanno analizzato in modo approfondito. Anche se abbiamo esaminato i loro contributi su questa questione in precedenti articoli di questa serie[1], ci sembra opportuno sollevare nuovamente la questione. Siamo anche vicini al 50° anniversario della morte di Bordiga nel luglio 1970, quindi l'articolo può anche servire come un nostro omaggio a un comunista di cui apprezziamo molto il lavoro, nonostante i nostri disaccordi con molte delle sue idee. Con questo articolo, iniziamo un nuovo "volume" della serie sul comunismo, specificamente rivolta ad esaminare le possibilità e i problemi della rivoluzione proletaria nella fase di decomposizione capitalistica.
In una precedente parte di questa serie, abbiamo pubblicato degli articoli in cui si esaminava il modo in cui i partiti comunisti emersi durante la grande ondata rivoluzionaria del 1917-23 avevano tentato di portare il programma comunista dall'astratto al concreto - formulare una serie di misure da adottare da parte dei consigli dei lavoratori nel processo di sottrazione del potere dalle mani della classe capitalista[2]. E pensiamo che sia ancora perfettamente valido per i rivoluzionari porre la domanda: quali sarebbero i fondamenti del programma che l'organizzazione comunista del futuro - il partito mondiale - sarebbe costretto a proporre in un autentico movimento rivoluzionario? Quali sarebbero i compiti più urgenti che la classe operaia deve affrontare quando si muove verso l'assunzione del potere politico su scala globale? Quali sarebbero le principali misure politiche, economiche e sociali da attuare da parte della dittatura del proletariato, che rimangono il presupposto politico necessario per la costruzione di una società comunista?
I movimenti rivoluzionari del 1917-23, come la guerra imperialista mondiale che li ha alimentati, sono stati la prova evidente che il capitalismo era entrato nell'epoca della sua decadenza "decisiva per la rivoluzione sociale". Da quel momento in poi il progresso e persino la sopravvivenza dell'umanità sarebbero stati sempre più minacciati a meno che il rapporto sociale capitalista non venga superato su scala mondiale. In questo senso gli obiettivi fondamentali di una futura rivoluzione proletaria sono in piena continuità con i programmi che sono stati presentati all'inizio del periodo di decadenza. Ma questo periodo è ormai durato più di un secolo e a nostro avviso le contraddizioni accumulate in questo secolo hanno aperto una fase terminale del declino capitalistico, la fase che chiamiamo decomposizione, in cui la continuazione del sistema capitalistico contiene il crescente pericolo che le stesse condizioni per una futura società comunista vengano minate. Ciò è particolarmente evidente a livello "ecologico": nel 1917-23 i problemi posti dall'inquinamento e dalla distruzione dell'ambiente naturale erano di gran lunga meno sviluppati di quanto lo siano oggi. Il capitalismo ha così distorto lo "scambio metabolico" tra l'uomo e la natura che, come minimo, una rivoluzione vittoriosa dovrebbe dedicare una enorme quantità di risorse umane e tecniche semplicemente per ripulire dei rifiuti che il capitalismo ci avrà lasciato in eredità. Allo stesso modo, l'intero processo di decomposizione, che ha esacerbato la tendenza alla atomizzazione sociale, verso l'atteggiamento di "ognuno per sé" insito nella società capitalista, lascerà un'impronta molto dannosa sugli esseri umani che dovranno costruire una nuova comunità fondata sull'associazione e sulla solidarietà. Abbiamo anche da ricordare una lezione della rivoluzione russa: data la certezza che la borghesia resisterà alla rivoluzione proletaria con tutte le sue forze, la vittoria di quest'ultima comporterà una guerra civile che potrebbe causare danni incalcolabili, non solo in termini di vite umane e di ulteriori danni ecologici, ma anche a livello di coscienza, poiché il terreno militare non è propizio alla fioritura dell'autorganizzazione proletaria, della coscienza e della moralità proletaria. In Russia nel 1920, lo stato Sovietico emerse vittorioso nella guerra civile, ma il proletariato aveva in gran parte perso il controllo. Così, quando si cerca di capire i problemi della società comunista "come essa sorge dalla società capitalistica, che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le impronte materne della vecchia società dal cui seno essa è uscita"[3], dobbiamo riconoscere che queste impronte materne saranno probabilmente molto più brutte e potenzialmente più dannose di quanto non lo fossero ai tempi di Marx e persino di Lenin. Le prime fasi del comunismo non saranno quindi un idilliaco risveglio in una mattina di maggio, ma un lungo e intenso lavoro di ricostruzione a partire dalle rovine. Questo riconoscimento dovrà illuminare la nostra comprensione di tutti i compiti del periodo di transizione, anche se continuiamo a basare le nostre anticipazioni del futuro sulla convinzione che il proletariato possa effettivamente svolgere la sua missione rivoluzionaria – nonostante tutto.
Nel corso di questa lunga serie abbiamo cercato di capire lo sviluppo del progetto comunista come frutto della reale esperienza storica della lotta di classe e della riflessione sull'esperienza delle minoranze più consapevoli del proletariato. E in questo articolo vogliamo procedere con questo metodo storico, cercando di elaborare una versione aggiornata dei "programmi immediati" del 1917-23, che sono entrati a loro volta a far parte della storia del movimento comunista. Ci riferiamo al testo scritto da Amadeo Bordiga nel 1953 e pubblicato Sul Filo del Tempo, "Il programma immediato della rivoluzione", che abbiamo già menzionato in un precedente articolo di questa serie[4] con la promessa di ritornare su di esso in modo più dettagliato. A nostro avviso, è essenziale che ogni futuro tentativo di formulare un programma così immediato si basi sui punti di forza di questi sforzi precedenti, al posto di criticare radicalmente le debolezze. Tutto il testo, che ha il merito di essere molto succinto, è il seguente:
1) Col gigantesco movimento di ripresa dell'altro dopoguerra, potente alla scala mondiale, e in Italia costituito nel solido partito del 1921, fu chiaro il punto che il postulato urgente è prendere il potere politico e che il proletariato non lo prende per via legale ma con l'azione armata, che la migliore occasione sorge dalla sconfitta militare del proprio paese, e che la forma politica successiva alla vittoria è la dittatura del proletariato. La trasformazione economica sociale è compito successivo, di cui la dittatura pone la condizione prima.
2) Il «Manifesto dei Comunisti» chiarì che le successive misure sociali che si rendono possibili o che si provocano «dispoticamente» sono diverse - essendo la via al pieno comunismo lunghissima - a seconda del grado di sviluppo delle forze produttive del paese in cui il proletariato ha vinto, e della rapidità di estensione di tale vittoria ad altri paesi. Indicò quelle adatte allora, nel 1848, per i più progrediti paesi europei, e ribadì che quello non era il programma del socialismo integrale, ma un gruppo di misure che qualificò: transitorie, immediate, variabili, ed essenzialmente «contraddittorie».
3) Successivamente (e fu uno degli elementi che ingannò i fautori di una teoria non stabile, ma di continuo rielaborata da risultati storici) molte misure allora dettate alla rivoluzione proletaria furono prese dalla borghesia stessa in questo o quel paese; esempi: istruzione obbligatoria, banca di stato, ecc. Ciò non doveva autorizzare a credere che fossero mutate le precise leggi e previsioni sul trapasso dal modo capitalista a quello socialista di produzione con tutte le forme economiche, sociali e politiche, ma significava solo che diveniva diverso e più agevole il primo periodo postrivoluzionario: economia di transizione al socialismo, precedente il successivo del socialismo inferiore e l'ultimo del socialismo superiore o comunismo integrale.
4) L'opportunismo classico consistette nel far credere che tutte quelle misure, dalla più bassa alla più alta, le potesse applicare lo Stato borghese democratico sotto la pressione o addirittura la legale conquista del proletariato. Ma in tal caso quelle varie «misure», se compatibili col modo capitalista di produzione, sarebbero state adottate nell'interesse della continuazione del capitalismo e per il rinvio della sua caduta, se incompatibili non sarebbero state mai attuate dallo Stato.
5) L'opportunismo attuale, colla formula della democrazia popolare e progressiva, nei quadri della costituzione parlamentare, ha un compito storico diverso e peggiore. Non solo illude il proletariato che alcune delle misure sue proprie possano essere attirate nel compito di uno Stato interclassista e interpartitico (ossia, quanto i socialdemocratici di ieri, fa il disfattismo della dittatura) ma addirittura conduce le masse inquadrate a lottare per misure sociali «popolari e progressive» che sono direttamente opposte a quelle che il potere proletario sempre, fin dal 1848 e dal «Manifesto», si è prefisse.
6) Nulla mostrerà meglio tutta la ignominia di una simile involuzione che un elenco di misure che, quando si ponesse in avvenire, in un paese dell’Occidente capitalista, la realizzazione della presa del potere, si dovrebbe formulare, al posto (dopo un secolo) di quelle del “Manifesto”, incluse tuttavia le più caratteristiche di quelle di allora.
7) Un elenco di tali rivendicazioni si presenta così:
• «Disinvestimento dei capitali», ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo.
• «Elevamento dei costi di produzione» per poter dare, fino a che vi è salario mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di lavoro.
• «Drastica riduzione della giornata di lavoro» almeno alla metà delle ore attuali, assorbendo disoccupazione e attività antisociali.
• Ridotto il volume della produzione con un piano «di sottoproduzione» che la concentri sui campi più necessari, «controllo autoritario dei consumi» combattendo la moda pubblicitaria di quelli inutili dannosi e voluttuari, e abolendo di forza le attività volte alla propaganda di una psicologia reazionaria.
• Rapida «rottura dei limiti di azienda» con trasferimento di autorità non del personale ma delle materie di lavoro, andando verso il nuovo piano di consumo.
• «Rapida abolizione della previdenza» a tipo mercantile per sostituirla con l'alimentazione sociale dei non lavoratori fino ad un minimo iniziale.
• «Arresto delle costruzioni» di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città e anche alle piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sulla campagna. Riduzione dell'ingorgo velocità e volume del traffico vietando quello inutile.
• «Decisa lotta» con l'abolizione delle carriere e titoli «contro la specializzazione» professionale e la divisione sociale del lavoro.
• Ovvie misure immediate, più vicine a quelle politiche, per sottoporre allo Stato comunista la scuola, la stampa, tutti i mezzi di diffusione, di informazione, e la rete dello spettacolo e del divertimento.
8) Non è strano che gli stalinisti e simili oggi richiedano tutto l'opposto, coi loro partiti di Occidente, non solo nelle rivendicazioni «istituzionali» ossia politico-legali, ma anche nelle «strutturali» ossia economico-sociali. Ciò consente la loro azione in parallelo col partito che conduce lo Stato russo e i connessi, nei quali il compito di trasformazione sociale è il passaggio da precapitalismo a capitalismo pieno, con tutto il suo bagaglio di richieste ideologiche, politiche, sociali ed economiche, tutte orientate allo zenit borghese; volte con orrore solo contro il nadir feudale e medioevale. Tanto più sporchi rinnegati questi sozii di Occidente, in quanto quel pericolo, fisico e reale ancora dalla parte dell'Asia oggi in subbuglio, è inesistente e mentito per chi guarda alla tronfia capitalarchia di oltreatlantico, per i proletariati che di questa stanno sotto lo stivale civile, liberale e nazionunitario.
Da «Il Programma Comunista», Nr.1, 1953
Il testo è stato pubblicato nell'anno successivo alla scissione del Partito comunista internazionalista che si era formata in Italia durante la guerra, a seguito di un'importante ondata di lotte operaie[5]. La scissione, tuttavia - come l'incapacità di mantenere in vita la Gauche Communiste de France – malgrado gli sforzi di Marc Chirik – in seguito alla decisione di scioglierla nel 1952 - era l'espressione del fatto che, contrariamente alle speranze di molti rivoluzionari, la guerra non aveva dato origine a una nuova insurrezione proletaria, ma all'approfondimento della controrivoluzione. I disaccordi tra “damenisti” e “bordighisti” nel seno del Partito Comunista Internazionalista in Italia riguardavano in parte gli apprezzamenti divergenti sul dopoguerra. Bordiga e i suoi seguaci tendevano ad avere una migliore comprensione del fatto che il periodo era quello di un aumento della reazione[6]. Eppure qui abbiamo un Bordiga che formula una lista di richieste che sarebbe più adatta a un momento di aperta lotta rivoluzionaria. Questo testo appare così più come una sorta di esperimento di pensiero che come una piattaforma da adottare per un movimento di massa. Questo potrebbe in qualche modo spiegare alcune delle più evidenti debolezze e lacune del documento, anche se in senso più profondo sono il prodotto di contraddizioni e incoerenze che erano già inerenti nella visione del mondo bordighista.
Leggendo le osservazioni che introducono e concludono questo testo, possiamo anche vedere che è stato scritto come parte di una più ampia polemica contro quelle che i bordiglisti descrivono come le correnti "riformiste", in particolare gli stalinisti, questi falsi eredi della tradizione di Marx, Engels e Lenin. La ragione principale per cui i bordighisti hanno descritto i partiti comunisti ufficiali come riformisti non era perché condividevano l'illusione dei trotskisti che si trattasse ancora di organizzazioni di lavoratori, ma soprattutto perché gli stalinisti erano diventati sempre più partigiani nel formare fronti nazionali con i partiti borghesi tradizionali e sostenevano una graduale "transizione" al socialismo attraverso la formazione di "democrazie popolari" e di varie coalizioni parlamentari. Contro queste aberrazioni, Bordiga riafferma i fondamenti del Manifesto comunista che considera come punto di partenza la necessità di una violenta conquista del potere da parte del proletariato (retrospettivamente, possiamo anche indicare qui l'abisso che separa Bordiga da molti dei suoi “portaparola", in particolare le correnti di "comunizzazione" che spesso citano Bordiga ma che imbavagliano il suo insistere sulla necessità della dittatura del proletariato e di un Partito comunista). Allo stesso tempo, sempre mirando agli stalinisti, Bordiga chiarisce che mentre le specifiche misure "transitorie" raccomandate alla fine del secondo capitolo del Manifesto del 1848 - imposta progressiva sul reddito pesante e progressiva, formazione di una banca statale, controllo statale delle comunicazioni e delle industrie più importanti ecc. - possono costituire la spina dorsale del programma economico dei "riformisti", esse non devono essere viste come verità eterne: il Manifesto stesso sottolineava che esse "non devono essere trattate come socialismo completo ma come tappe che devono essere comprese come preliminari, immediate ed essenzialmente contraddittorie", e corrispondevano al basso livello di sviluppo capitalistico all'epoca in cui sono state redatte; e in effetti molte di esse sono già state implementate dalla stessa borghesia.
Si potrebbe essere perdonati per aver preso ciò come una confutazione dell'invarianza, cioè l'idea che il programma comunista è rimasto sostanzialmente invariato dal 1848. Infatti, Bordiga castiga gli stalinisti perché "non seguivano una teoria fissa, ma credevano che richiedesse degli sviluppi continui come risultato del cambiamento storico". E ancora una volta, sostiene che le “correzioni” che egli propone al programma immediato "sono diverse da quelle elencate nel Manifesto; tuttavia le loro caratteristiche sono le stesse". Troviamo questo contraddittorio e poco convincente. Se è vero che alcuni elementi chiave del programma comunista, come la necessità della dittatura del proletariato, non cambiano, l'esperienza storica ha infatti portato profondi sviluppi nella comprensione di come questa dittatura possa nascere e delle forme politiche che la comporranno. Questo non ha nulla a che vedere con il "revisionismo" dei socialdemocratici, degli stalinisti o di altri che potrebbero aver usato la scusa del "cambiamento con i tempi" per giustificare la loro diserzione dal campo proletario.
Guardando le "correzioni" apportate da Bordiga alle misure proposte dal Manifesto, si potrebbe anche essere perdonati per aver visto solo le loro debolezze, in particolare:
- Nonostante tutte le lezioni dei movimenti rivoluzionari tra il 1905 e il 1923, non c'è qui alcuna indicazione delle forme di potere politico proletario più adatte a realizzare la transizione al comunismo. Non vi è alcun riferimento ai soviet, nessun tentativo di attingere ad esempi come il programma del KPD del 1918, che poneva particolare enfasi sulla necessità di smantellare le istituzioni statali borghesi locali e centrali e di installare al loro posto il potere dei consigli dei lavoratori; nessuna lezione appresa dalla degenerazione della rivoluzione russa sulle relazioni tra il partito e la classe o tra il partito e lo Stato. In effetti, l'unica menzione di qualsiasi forma di potere politico dopo la rivoluzione è quella dello "Stato comunista", una contraddizione atroce in termini, come sostiene il precedente articolo di questa serie, attraverso i contributi di Marc Chirik[7]. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte alle debolezze di fondo della "dottrina" bordighista: le forme di organizzazione non sono importanti, ciò che conta è il contenuto iniettato dal partito, che è destinato ad esercitare la dittatura del proletariato per conto delle masse. Inoltre, mentre Bordiga ha naturalmente ragione ad insistere al punto 5 che la produzione e il consumo si baseranno su un piano globale, la sua ignoranza della questione di come la classe operaia prenderà e terrà il potere nelle proprie mani a tutti i livelli, dal più locale al più globale, implica una visione gerarchica della centralizzazione. Ciò è particolarmente evidente nel paragrafo relativo ai settori dell'istruzione e della cultura, in cui è chiaramente auspicata una sorta di monopolio di Stato. Possiamo contrastare questo con l'opinione di Trotsky secondo cui lo Stato post-rivoluzionario dovrebbe avere un approccio "anarchico" alla questione dell'arte e della cultura - con ciò intendeva dire che lo Stato dovrebbe intervenire il meno possibile in questioni di stile artistico, di gusto o di creatività, e non dovrebbe pretendere che tutta l'arte sia usata come propaganda per la rivoluzione. Più in generale, il suo elenco di misure non fa menzione della necessità di un'ampia lotta politica, morale e culturale per superare le abitudini e gli atteggiamenti ereditati non solo dal capitalismo, ma anche da migliaia di anni di società di classe. Dice giustamente della necessità di lottare contro la "specializzazione professionale e la divisione sociale del lavoro", ma tale lotta richiede qualcosa di più di un divieto di titoli onorifici, mentre la richiesta di abolire le "opportunità di carriera" ha senso solo nel contesto di una riorganizzazione globale della produzione e dell'eliminazione del sistema salariale.
- Bordiga sapeva bene che l'abolizione di "salari, denaro e mercato" è una caratteristica centrale del comunismo, e sappiamo che non sarà possibile farne a meno da un giorno all'altro. Ma a parte il fatto che egli sostiene "più paga per meno tempo di lavoro", Bordiga non ci dà alcuna indicazione su quali misure si possano prendere - fin dall'inizio della rivoluzione - per eliminare queste categorie chiave del capitalismo. In questo senso, le correzioni di Bordiga non si basano sulle proposte di Marx nella Critica del Programma di Gotha (il sistema dei voucher per l'orario di lavoro, su cui dovremo tornare in un altro articolo), né le criticano in modo coerente.
Eppure, il documento rimane di notevole interesse per noi nel cercare di capire quali sarebbero stati i principali problemi e le priorità di una rivoluzione comunista che avrebbe avuto luogo, non all'alba della decadenza del capitalismo, come nel 1917-23, ma dopo un intero secolo in cui lo scivolamento verso la barbarie ha continuato ad accelerare, e in cui la minaccia alla sopravvivenza stessa dell'umanità è molto più grande di quanto non fosse cento anni fa.
Il documento di Bordiga non fa alcun tentativo di fare un bilancio dei successi e dei fallimenti della rivoluzione russa a livello politico, e di fatto fa solo un superficiale riferimento all'ondata rivoluzionaria che seguì la prima guerra mondiale. Da un lato, però, egli cerca di applicare una lezione importante delle politiche economiche adottate dai bolscevichi: le proposte di Bordiga sono rilevanti perché riconoscono che la via dell'abbondanza materiale e di una società senza classi non può basarsi su un programma di "accumulazione socialista", in cui il consumo è sempre soggetto a "produzione in nome della produzione" (che è di fatto produzione per il valore), con il lavoro vivo soggetto al lavoro morto. Certo, la rivoluzione comunista è diventata una necessità storica perché le relazioni sociali capitalistiche sono diventate un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. Ma dal punto di vista comunista, lo sviluppo delle forze produttive ha un contenuto molto diverso da quello che ha nella società capitalistica, dove è motivato dalla ricerca del profitto e quindi dal desiderio di accumulare. Il comunismo sfrutterà certamente appieno il progresso scientifico e tecnologico raggiunto sotto il capitalismo, ma lo metterà al servizio dell'uomo, affinché diventi il servitore del vero "sviluppo" che il comunismo propone: la piena fioritura delle forze produttive, cioè del potere creativo degli individui. Qui basterà un esempio: con lo sviluppo dell'informatizzazione e della robotizzazione, il capitalismo ci ha promesso la fine della fatica e una "società del tempo libero". In realtà, questi potenziali benefici hanno portato la miseria della disoccupazione o del lavoro precario ad alcuni, e un aumento del carico di lavoro ad altri, con una crescente pressione sui dipendenti affinché continuino a lavorare al computer ovunque e in qualsiasi momento della giornata.
In concreto, i primi quattro punti del suo programma prevedono: smettere di concentrarsi sulla produzione di macchine per produrre più macchine e orientare la produzione verso il consumo diretto. Sotto il capitalismo, naturalmente, quest'ultimo ha significato la produzione di sempre più "beni di consumo inutili, nocivi e di lusso" - illustrata oggi dalla produzione di computer o telefoni cellulari sempre più sofisticati, progettati per rompersi dopo un periodo di tempo limitato e che non possono essere riparati, o dalle immensamente inquinanti industrie automobilistiche e della moda effimera, in cui la "domanda dei consumatori" è spinta fino alla frenesia dalla pubblicità e dai social media. Per la classe operaia al potere, il riorientamento dei consumi si concentrerà sull'urgente necessità di soddisfare i bisogni fondamentali della vita di tutti gli esseri umani in ogni parte del pianeta. Dovremo tornare su questi temi in altri articoli, ma possiamo citare alcuni dei più ovvi:
• Cibo. Il capitalismo in declino ha presentato all'umanità una gigantesca contraddizione tra le possibilità di produrre cibo a sufficienza per tutti e la reale e permanente denutrizione che affligge gran parte del pianeta, comprese fasce di popolazione dei paesi più avanzati, mentre sia nei paesi centrali che in quelli più periferici milioni di persone soffrono di obesità e di diete povere deliberatamente mantenute dalle aziende di produzione e commercializzazione di prodotti agroalimentari, che contribuiscono enormemente anche alle emissioni globali di anidride carbonica, alla deforestazione e ad altre minacce all'ecologia globale come l'inquinamento da materie plastiche. Anche l'approvvigionamento idrico globale è diventato un problema fondamentale, esacerbato dal riscaldamento globale. La classe operaia dovrà quindi nutrire il mondo, ma senza ricorrere ai metodi capitalistici che ci hanno condotto in questa impasse, tra cui la contemporanea "agricoltura industriale" con la sua rivoltante crudeltà verso gli animali e il suo probabile legame con le malattie pandemiche. Dovrà risolvere l'antagonismo tra una alimentazione abbondante e una alimentazione sana. E tutto questo sulla base di una trasformazione socio-economica che non può essere risolta immediatamente: una cosa è, ad esempio, espropriare le grandi aziende "agroalimentari" e le fonti statali di produzione alimentare, un'altra integrare i piccoli proprietari terrieri o i contadini nella produzione cooperativa e poi associata, il che richiederà tempo perché sarà impossibile andare subito oltre i rapporti di scambio tra il settore socializzato e i piccoli proprietari.
• Casa: il problema dei senzatetto è diventato endemico in tutti i Paesi capitalisti, soprattutto nelle città del centro capitalista; milioni di persone sono raccolte nelle vaste baraccopoli che circondano le città del "Sud globalizzato" (e, ancora una volta, in parti del "Nord globalizzato"); e negli ultimi decenni, il proliferare delle guerre e la distruzione dell'ambiente hanno creato un problema di rifugiati su una scala che non si vedeva dalla fine della seconda guerra mondiale, con milioni di altre persone che vivono in condizioni disperate in campi che offrono poca protezione dalle malattie e da ogni tipo di sfruttamento, comprese le moderne forme di schiavitù. Allo stesso tempo, le grandi città del mondo si sono lanciate in una frenesia edilizia, soprattutto per la speculazione, con appartamenti di lusso e attività economiche che non avrebbero avuto posto in una società comunista. L'espropriazione su larga scala di questi edifici mal utilizzati e mal progettati può fornire una soluzione temporanea alle peggiori espressioni della mancanza di una casa, ma a lungo termine, l'edilizia abitativa dell'umanità comunista non può basarsi sull'armeggiare con un patrimonio abitativo già inadeguato e sempre più fatiscente, dove i residenti sono ammassati in grandi blocchi di appartamenti o dormitori simili a delle gabbie. Il reinsediamento di gran parte della popolazione mondiale pone una sfida molto più grande: superare la contraddizione tra città e campagna, che non ha nulla in comune con la sfrenata espansione delle città a cui assistiamo in questa fase del capitalismo. Torneremo su questo più tardi.
• Assistenza sanitaria: la salute, come conclude ogni rapporto sulla salute pubblica, è una questione sociale e di classe. Chi è malnutrito e mal alloggiato, con un accesso limitato all'assistenza sanitaria, muore molto prima di chi mangia bene, ha un alloggio decente e può ricevere cure mediche adeguate quando è malato. L'attuale pandemia di Covid-19, tuttavia, espone i limiti di tutti i "servizi sanitari" esistenti anche nei paesi capitalisti più potenti, anche perché non sfuggono alla logica della competizione tra unità capitalistiche nazionali, mentre una pandemia non rispetta i confini nazionali e questo sottolinea la necessità di qualcosa che non può che essere un incubo non solo per i grandi consorzi farmaceutici e tutti i Trump di questo mondo, ma anche per quella versione di sinistra del nazionalismo che rifiuta di farci vedere oltre il "nostro servizio sanitario nazionale": medicina, assistenza sanitaria e ricerca che non siano gestite dallo Stato, ma realmente socializzate, non nazionali ma "senza confini": insomma, un servizio sanitario globale.
Allo stesso tempo, però, questi compiti immensi, che sono solo il punto di partenza per una nuova cultura umana, non possono essere visti come il risultato di un improvviso aumento della giornata lavorativa. Al contrario, esse devono essere legate a una drastica riduzione dell'orario di lavoro, senza la quale, aggiungiamo, non sarà possibile la partecipazione diretta dei produttori alla vita politica delle assemblee generali e dei consigli. E questa riduzione deve essere ottenuta in larga misura attraverso l'eliminazione degli sprechi: lo spreco della disoccupazione e delle "attività socialmente inutili e dannose".
Già all'inizio del capitalismo, in un discorso a Elberfeld nel 1845, Engels stigmatizzò il fatto che il capitalismo non poteva evitare un terribile uso improprio dell'energia umana e insistette sul fatto che solo una trasformazione comunista poteva risolvere il problema.
“Dal punto di vista economico l'odierna organizzazione della società è certamente la meno razionale e pratica che sia possibile immaginare. La contrapposizione degli interessi porta con sé che una gran massa di forza-lavoro viene usata in modo che la società non ne tragga alcun utile e una notevole quantità di capitale va inutilmente perduta senza riprodursi. Basta osservare le crisi commerciali; vediamo come masse di prodotti, che pure sono tutti frutto della fatica degli uomini, vengono liquidate a prezzi che lasciano in perdita il venditore; vediamo come nei fallimenti scompaiano dalle mani del proprietario masse di capitali che pure sono stati accumulati con fatica. Ma esaminiamo più da vicino l'odierna circolazione. Si consideri attraverso quante mani deve passare ogni prodotto prima di giungere in quelle del consumatore reale, considerino, signori, quanti intermediari superflui e speculatori si sono intrufolati oggi fra i produttori e i consumatori! Facciamo un esempio, prendiamo una balla di cotone fabbricata nell'America del nord. La balla passa dalle mani del piantatore in quelle dell'agente commerciale in un qualsiasi scalo del Mississippi, poi viaggia giù per il fiume verso New Orleans. Qui viene venduta, — per la seconda volta, perché l'agente l'aveva già comprata dal piantatore, — venduta, per me, a uno speculatore, il quale a sua volta la vende all'esportatore. La balla va ora, supponiamo, a Liverpool, dove nuovamente un avido speculatore vi mette le mani sopra e se ne impadronisce. Costui la tratta con un commissionario il quale compra per conto, diciamo, di una casa tedesca. Così la balla viaggia per Rotterdam, risale il Reno, passa tra le mani di una dozzina di spedizionieri, viene scaricata e caricata una dozzina di volte, e solo dopo giunge fra le mani, non del consumatore, ma del fabbricante, il quale soltanto la trasforma in un prodotto adatto al consumo, può darsi però che dia il suo filo al tessitore, questi passa il tessuto allo stampatore, costui al grossista e questo a sua volta al dettagliante, il quale infine fornisce la merce al consumatore. E tutti questi intermediari, speculatori, agenti commerciali, esportatori, commissionari, spedizionieri, grossisti e dettaglianti, che pure non fanno nulla alla merce, vogliono tutti vivere e tirarci fuori il loro profitto, e in realtà in complesso lo hanno questo profitto, perché altrimenti non esisterebbero.
Signori, per portare una balla di cotone dall'America in Germania e far giungere il prodotto finito nelle mani del consumatore reale, non c'è una strada più semplice, più economica, di questo lungo cammino attraverso dieci vendite, cento trasbordi e viaggi da un magazzino all'altro? Non è questa una prova convincente del grande spreco di forza-lavoro causato dal frazionamento degli interessi? Nella società organizzata razionalmente non c'è nemmeno da parlare di tali circostanziati trasporti. Allo stesso modo in cui è facile sapere, tanto per restare all'esempio, quale quantità di cotone o di prodotti di cotone impiega una singola colonia, allo stesso modo è facile per l'amministrazione centrale venire a sapere qual è la quantità impiegata nel complesso dai villaggi e dai comuni del paese. Una volta che sia stata organizzata una tale statistica, il che può avvenire facilmente in due o tre anni, la media del consumo annuale cambierà soltanto in rapporto all'aumento della popolazione; è dunque cosa facile stabilire in anticipo, a tempo opportuno, quale quantità di ogni articolo richiederà il fabbisogno della popolazione: l'intero, grosso quantitativo verrà ordinato direttamente alla fonte e lo si potrà far venire direttamente, senza intermediari, senza più soste e trasbordi che non siano realmente fondati nella natura delle comunicazioni, cioè con un grande risparmio di forza-lavoro; non sarà necessario pagare il loro utile agli speculatori, ai commercianti all'ingrosso e al minuto. Ma non è tutto: questi intermediari in tal modo saranno resi non solamente innocui per la società, ma addirittura utili. Mentre adesso, con svantaggio di tutti gli altri, fanno un lavoro che nel migliore dei casi è superfluo, pur procurando loro di che vivere, anzi in molti casi procura loro grandi ricchezze, mentre dunque adesso sono direttamente dannosi al bene generale, dopo avranno le mani libere per un'attività utile, e potranno darsi a un'occupazione in cui dimostrare di essere membri effettivi, non soltanto apparenti, finti, della società umana e partecipare realmente alla sua attività generale.”[8]
Engels prosegue elencando altri esempi di questo spreco: la necessità, in una società basata sulla concorrenza e sulla disuguaglianza, di mantenere istituzioni estremamente costose ma totalmente improduttive come eserciti permanenti, forze di polizia e carceri; il lavoro umano dedicato a servire quello che William Morris chiamava "il lusso sontuoso dei ricchi"; e infine, l'enorme spreco di forza lavoro generato dalla disoccupazione, che raggiunge livelli particolarmente scandalosi durante le periodiche crisi "commerciali" del sistema. Egli contrappone poi lo spreco del capitalismo alla semplicità essenziale della produzione e della distribuzione comunista, che si calcola in base alle esigenze degli esseri umani e al tempo complessivo necessario per il lavoro che soddisferà tali esigenze.
Tutti questi mali capitalistici, osservabili durante il periodo dell'ascesa e dell'espansione del capitalismo, sono diventati molto più distruttivi e pericolosi durante il periodo del declino del capitalismo: la guerra e il militarismo hanno preso sempre più il sopravvento sull'intero apparato economico e costituiscono una tale minaccia per l'umanità che certamente una delle priorità più urgenti della dittatura del proletariato (che Bordiga non cita, anche se "l'era atomica" era già chiaramente iniziata al momento in cui ha scritto questo testo) sarà quello di liberare il pianeta dalle armi di distruzione di massa accumulate dal capitalismo - tanto più che non c'è alcuna garanzia che, di fronte al suo definitivo rovesciamento da parte della classe operaia, la borghesia o le sue fazioni non preferirebbero distruggere l'umanità piuttosto che sacrificare il loro dominio di classe.
Anche il capitalismo militarizzato può funzionare solo attraverso la crescita cancerosa dello Stato, con un proprio esercito permanente di burocrati, poliziotti e spie. I servizi di sicurezza, in particolare, hanno assunto proporzioni gigantesche, così come la loro immagine speculare, le bande mafiose che fanno rispettare il loro ordine brutale in molti paesi della periferia capitalista.
Allo stesso modo, la decadenza capitalistica, con il suo vasto apparato bancario, finanziario e pubblicitario più che mai indispensabile per la circolazione delle merci prodotte, ha fortemente gonfiato il numero di persone coinvolte in forme di attività quotidiana fondamentalmente inutili; e le successive ondate di "globalizzazione" hanno reso ancora più evidenti le assurdità della circolazione delle merci su scala globale, per non parlare del suo crescente costo ecologico. E la mole di lavoro dedicata alle richieste dei cosiddetti "straricchi" oggi non è meno scioccante che ai tempi di Engels - non solo nel loro inesauribile bisogno di servitù, ma anche nella loro sete di lussi davvero inutili come jet privati, yacht e palazzi. E al polo opposto, in un momento in cui la crisi economica del sistema stesso tende a diventare permanente, la disoccupazione è più una piaga permanente che ciclica, anche quando si nasconde sotto la proliferazione di posti di lavoro a breve termine e nella sottoccupazione. Nel cosiddetto Terzo Mondo, la distruzione delle economie tradizionali ha portato allo sviluppo intensivo del capitalismo in alcune regioni, ma ha anche creato un gigantesco "sottoproletariato" che vive nelle condizioni più precarie nelle "township" dell'Africa o nelle "favelas" del Brasile e del resto dell'America Latina.
Così, Bordiga - anche se non era coerente nella sua comprensione della decadenza del sistema - aveva capito che attuare il programma comunista di allora non significava andare verso l'abbondanza attraverso un processo di industrializzazione molto rapido, come i bolscevichi tendevano ad assumere, date le condizioni "arretrate" che si trovavano ad affrontare in Russia dopo il 1917. Certo, richiederà lo sviluppo e l'applicazione delle tecnologie più avanzate, ma inizialmente assumerà la forma di uno smantellamento pianificato di tutto ciò che è dannoso e inutile nell'apparato produttivo esistente, e di una riorganizzazione globale delle risorse umane reali che il capitalismo sta costantemente sperperando e distruggendo.
Il movimento comunista di oggi - anche se è stato lento a riconoscere la portata del problema - non può fare a meno di essere consapevole del costo ecologico dello sviluppo capitalistico nell'ultimo secolo, e soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. È più ovvio per noi che per i bolscevichi che non possiamo realizzare il comunismo attraverso i metodi dell'industrializzazione capitalistica, che sacrifica sia la forza lavoro umana che la ricchezza naturale alle esigenze del profitto, all'idolo del valore e alla sua accumulazione. Ora comprendiamo che uno dei compiti principali del proletariato è quello di porre fine alla minaccia del riscaldamento globale e di ripulire il gigantesco pasticcio che il capitalismo ci ha lasciato in eredità: la distruzione massiccia delle foreste e della natura selvaggia, la contaminazione dell'aria, della terra e dell'acqua da parte dei sistemi di produzione e di trasporto esistenti. Alcune parti di questa "eredità" richiederanno molti anni di ricerca e di paziente lavoro per essere superate - l'inquinamento dei mari e della catena alimentare causato dai rifiuti di plastica è solo un esempio. E come abbiamo già detto, la soddisfazione dei bisogni più elementari della popolazione mondiale (cibo, alloggio, salute, ecc.) dovrà essere coerente con questo progetto globale di armonizzazione tra uomo e natura.
È merito di Bordiga aver preso coscienza di questo problema all'inizio degli anni Cinquanta: la sua intuizione della centralità di questa dimensione si manifesta soprattutto nella sua posizione sul problema delle "grandi città", che è pienamente in linea con il pensiero di Marx e soprattutto di Engels.
La città e la civilizzazione hanno le stesse radici, storicamente ed etimologicamente. A volte il termine "civilizzazione" viene esteso a tutta la cultura e la morale umana[9]: in questo senso, anche i cacciatori-raccoglitori dell'Australia o dell'Africa costituiscono una civiltà. Ma non c'è dubbio che il passaggio alla vita urbana, che è la definizione più diffusa di civilizzazione, abbia rappresentato uno sviluppo qualitativo nella storia dell'umanità: un fattore di progresso della cultura e della storia stessa, ma anche l'inizio definitivo dello sfruttamento delle classi, e dello Stato. Anche prima del capitalismo, come dimostra Weber, la città è inseparabile dal commercio e dall'economia monetaria[10]. Ma la borghesia è la classe urbana per eccellenza, e le città medievali divennero i centri della resistenza all'egemonia dell'aristocrazia feudale, la cui ricchezza si basava soprattutto sul possesso della terra e sullo sfruttamento dei contadini. Il proletariato moderno è comunque una classe urbana, formata dall'esproprio dei contadini e dalla rovina degli artigiani. Spinta negli agglomerati urbani frettolosamente costruiti di Manchester, Glasgow o Parigi, è lì che la classe operaia ha preso coscienza di se stessa come classe distinta e opposta alla borghesia e ha iniziato a immaginare un mondo al di là del capitalismo.
A livello di rapporto dell'uomo con la natura, la città presenta lo stesso duplice aspetto: è il centro dello sviluppo scientifico e tecnologico, aprendo il potenziale di liberazione dalla scarsità e dalle malattie. Ma questa crescente "padronanza della natura", che avviene in condizioni di alienazione dell'uomo da se stesso e dalla natura, è anche inseparabile dalla distruzione della natura e dai ricorrenti disastri ecologici. Così, il declino delle culture urbane sumeriche o maya può essere spiegato da una forma di superamento della città da sola, esaurendo l'ambiente circostante di foreste e agricoltura, e il cui crollo ha inferto colpi terribili all'orgoglio delle civiltà che avevano cominciato a dimenticare la loro intima dipendenza dalla natura. Allo stesso modo, le città, nella misura in cui accatastavano gli esseri umani come le sardine, non riuscivano a risolvere il problema fondamentale dello smaltimento dei rifiuti e invertivano il rapporto secolare tra uomini e animali, diventavano il terreno fertile per flagelli come la peste nera nell'epoca del declino feudale o il colera e il tifo che devastavano le città industriali del capitalismo primitivo. Ma anche in questo caso dobbiamo considerare l'altro lato della dialettica: la borghesia nascente ha saputo capire che le malattie che colpivano i suoi schiavi salariati potevano raggiungere anche le porte dei palazzi capitalisti e minare tutto il loro edificio economico. È stata così in grado di iniziare e realizzare stupefacenti prodezze ingegneristiche nella costruzione di sistemi fognari ancora oggi funzionanti, mentre le competenze mediche in rapida evoluzione sono state mobilitate per eliminare forme di malattia fino ad allora croniche.
In particolare nell'opera di Friedrich Engels si possono trovare gli elementi fondamentali per una storia della città dal punto di vista proletario. Ne suo testo Le origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, egli ripercorre la dissoluzione delle antiche "gens", l'organizzazione tribale basata sui legami di parentela, che cede il passo alla nuova organizzazione territoriale della città, segnata dalla divisione irreversibile in classi antagoniste e con essa l'emergere del potere statale, il cui compito è quello di evitare che queste divisioni lacerino la società. In Le condizioni della classe operaia in Inghilterra, dipinge un quadro delle condizioni di vita infernali del giovane proletariato, della sporcizia e delle malattia quotidiane delle baraccopoli di Manchester, ma anche del ribollire della coscienza e dell'organizzazione di classe che alla fine giocheranno il ruolo decisivo nel costringere la classe dirigente a concedere riforme significative ai lavoratori.
In due opere successive, l'Anti-Duhring e La questione degli alloggi, Engels si imbarca in una discussione sulla città capitalista in un momento in cui il capitalismo ha già trionfato nel cuore dell'Europa e degli Stati Uniti ed è sul punto di conquistare il mondo intero. E si nota che egli conclude già che le grandi città hanno superato i limiti della loro vitalità e dovranno scomparire per soddisfare la richiesta del Manifesto comunista: l'abolizione della separazione tra città e campagna. Ricordiamo qui che negli anni sessanta del XIX secolo, Marx si preoccupava sempre più dell'impatto distruttivo dell'agricoltura capitalista sulla fertilità del suolo e notava, nell'opera di Liepig, che la distruzione della copertura forestale in alcune regioni d'Europa aveva un impatto sul clima, con l'aumento delle temperature locali e la diminuzione delle precipitazioni[11]. In altre parole: così come Marx scorgeva i segni della decadenza politica della classe borghese dopo lo schiacciamento della Comune di Parigi, e nella corrispondenza con i rivoluzionari russi verso la fine della sua vita cercava il modo in cui le regioni in cui il capitalismo non aveva ancora trionfato pienamente potessero evitare il purgatorio dello sviluppo capitalistico, lui ed Engels avevano cominciato a chiedersi se, per quanto riguarda il capitalismo, fosse sufficiente[12]. Forse le basi materiali di una società comunista globale erano già state gettate e ulteriori "progressi" per il capitale avrebbero avuto un risultato sempre più distruttivo? Sappiamo che il sistema, attraverso la sua espansione imperialista negli ultimi decenni del XIX secolo, avrebbe prolungato la sua vita per diversi altri decenni e fornito la base per una fase di crescita e sviluppo sorprendente, che avrebbe portato alcuni elementi del movimento operaio a mettere in discussione l'analisi marxista dell'inevitabilità della crisi e del declino del capitalismo, tale che le contraddizioni irrisolte del capitale sarebbero esplose durante la guerra del 1914-18 (che anche Engels aveva previsto). Ma le domande di ricerca sul futuro che essi avevano cominciato a porsi proprio quando il capitalismo aveva raggiunto il suo apice erano perfettamente valide all'epoca e sono oggi più attuali che mai.
In "La trasformazione dei rapporti sociali"[13] abbiamo esaminato come i rivoluzionari del XIX secolo - in particolare Engels, ma anche Bebel e William Morris - avevano sostenuto che la crescita delle grandi città era già arrivata al punto in cui l'abolizione dell'antagonismo tra città e campagna era diventata una necessità reale, da cui la necessità di porre fine all'espansione delle grandi città a favore di una maggiore unità tra industria e agricoltura e di una più equa distribuzione delle abitazioni umane sulla Terra. Era una necessità non solo per risolvere problemi urgenti come lo smaltimento dei rifiuti e la prevenzione della sovrappopolazione, dell'inquinamento e delle malattie, ma anche come base per un ritmo di vita più umano in armonia con la natura.
In "Damen, Bordiga e la passione per il comunismo"[14], abbiamo dimostrato che Bordiga - forse più di ogni altro marxista del XX secolo - è rimasto fedele a questo aspetto essenziale del programma comunista, citando ad esempio il suo articolo del 1953 Spazio contro cemento[15], che è un'appassionata polemica contro le tendenze contemporanee dell'architettura e dell'urbanistica (campo in cui lo stesso Bordiga era professionalmente qualificato), motivate dalla necessità del capitale di raccogliere il maggior numero possibile di esseri umani in spazi sempre più ristretti - una tendenza caratterizzata dalla rapida costruzione di torri presumibilmente ispirate alle teorie architettoniche di Le Corbusier. Bordiga è spietato nei confronti dei fornitori della moderna ideologia urbanistica:
- "Chi applaude tali tendenze non deve essere considerato solo come un difensore delle dottrine, degli ideali e degli interessi capitalistici, ma come un complice delle tendenze patologiche dello stadio supremo della decadenza e della dissoluzione del capitalismo" (quindi, nessuna esitazione sulla decadenza qui!). Altrove nello stesso articolo, egli afferma: "Il verticalismo, è così che si chiama questa dottrina distorta; il capitalismo è verticalista. Il comunismo sarà 'orizzontalista'". E alla fine dell'articolo anticipa con gioia il giorno in cui "i mostri di cemento saranno ridicolizzati e soppressi" e "le città gigantesche saranno sgonfiate" per "rendere uniforme la densità di vita e di lavoro su terreni abitabili".
In un'altra opera, Specie umana e crosta terrestre[16], Bordiga cita ampiamente La questione degli alloggi di Engels, e non possiamo non cedere alla tentazione di fare lo stesso. Questa è l'ultima parte della brochure, in cui Engels attacca Mülberger, un discepolo di Proudhon, per aver affermato che è utopistico voler superare l'"inevitabile" antagonismo tra città e campagna:
- L'abolizione del contrasto fra città e campagna non è un'utopia, né più né meno di quanto non è utopia l'abolizione del contrasto fra capitalisti e salariati. Giorno per giorno essa diventa un'esigenza pratica della produzione tanto industriale quanto agricola. Nessuno l'ha postulata più a gran voce di quanto l'abbia fatto Liebig nei suoi scritti sulla chimica dell'agricoltura, in cui la prima esigenza è sempre che l'uomo restituisca al terreno ciò che ne riceve, ed in cui l'autore mostra che ad impedirlo è solo l'esistenza delle città, soprattutto delle grandi città. Se si considera come, nella sola Londra, venga gettato in mare ogni giorno, con l'impiego di spese ingenti, un quantitativo di concime maggiore di quello che produce l'intera Sassonia, e quali impianti colossali si rendano necessari per impedire che questo concime intossichi interamente Londra, ecco che l'utopia dell'abolizione del contrasto fra città e campagna riceve un fondamento pratico insospettato. Ed anche Berlino, relativamente insignificante al confronto, da almeno trent'anni si ammorba dei suoi propri escrementi. D'altro canto è una pura utopia il pretendere, come fa Proudhon, di rivoluzionare l'odierna società borghese per mantenere i contadini quali sono attualmente. Solo una ripartizione il più possibile uniforme della popolazione in tutto il paese, solo uno stretto collegamento fra la produzione industriale e quella agricola, oltre all'estendersi perciò necessario dei mezzi di comunicazione (ed in tal caso va data per scontata l'abolizione del modo di produzione capitalista) è in grado di strappare la popolazione rurale all'isolamento e all'abbruttimento in cui vegeta quasi immutatamente da millenni[17].
In questo passaggio vengono proposte diverse linee di pensiero, e Bordiga ne è ben consapevole. In primo luogo, Engels insiste sul fatto che il superamento dell'antagonismo tra città e campagna è intimamente legato al superamento della divisione generale del lavoro capitalista - un tema sviluppato successivamente nell'Anti-Dühring, in particolare la divisione tra lavoro intellettuale e manuale che sembra così insormontabile nel processo produttivo capitalista. Il superamento delle condizioni di queste due separazioni, così come quelle della divisione tra il capitalista e il lavoratore salariato, è indispensabile per la nascita di un essere umano completo. E contrariamente agli schemi dei proudhoniani retrogradi, l'abolizione del rapporto sociale capitalista non implica la conservazione della piccola proprietà dei contadini o degli artigiani; è trascendendo le divisioni tra città-paese e industria-agricoltura che i contadini potranno essere salvati dall'isolamento e da uno stato intellettuale che vegeta mentre gli abitanti delle città potranno essere liberati dal sovraffollamento e dall'inquinamento.
In secondo luogo, Engels solleva qui, come altrove, il semplice ma spesso trascurato problema degli escrementi umani. Nelle loro prime forme "selvagge", le città capitaliste non prevedevano praticamente alcun trattamento dei rifiuti umani, e presto ne pagarono il prezzo generando epidemie, tra cui dissenteria e colera - flagelli che ancora oggi infestano le baraccopoli della periferia capitalista, dove le strutture igieniche di base sono notoriamente assenti. La costruzione del sistema fognario è stato certamente un passo avanti nella storia della città borghese. Ma il semplice fatto di smaltire i rifiuti umani è di per sé una forma di spreco, poiché potrebbero essere utilizzati come fertilizzanti naturali (come avveniva nella storia precedente della città).
Guardando indietro ai tempi di Londra o di Manchester di Engels, si potrebbe facilmente dire: pensavano che queste città fossero già diventate troppo grandi, troppo lontane dal loro ambiente naturale. Cosa avrebbero fatto con gli avatar moderni di queste città? L'ONU ha stimato che circa il 55% della popolazione mondiale vive ora nelle grandi città, ma se l'attuale crescita della città continua, questa cifra salirà a circa il 68% entro il 2050[18].
Questo è un vero esempio della "crescita della decadenza" del capitalismo, e Bordiga ha avuto la lungimiranza di vederlo nel periodo della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. Gli antropologi che cercano di definire l'apertura del periodo di quella che chiamano "era antropocenica" (che significa essenzialmente l'epoca in cui l'attività umana ha avuto un impatto fondamentale e qualitativo sull'ecologia del pianeta) in genere la fanno risalire alla diffusione dell'industria moderna all'inizio del XIX secolo - in breve, alla vittoria del capitalismo. Ma c'è chi parla anche di una "Grande Accelerazione" avvenuta dopo il 1945, e il suo peso può essere visto accelerare ancora di più dopo il 1989 con l'ascesa della Cina e di altri Paesi "in via di sviluppo".
Le conseguenze di questa crescita sono ben note: il contributo della megalopoli al riscaldamento globale attraverso l'edilizia incontrollata, il consumo di energia e le emissioni dell'industria e dei trasporti, che rendono l'aria in molte città irrespirabile (già notato da Bordiga nel libro La specie umana e la crosta terrestre: "Per quanto riguarda la democrazia borghese, si è abbassata al punto di rinunciare alla libertà di respirare"). L'espansione incontrollata dell'urbanizzazione è stata un fattore chiave nella distruzione degli habitat naturali e nell'estinzione delle specie; infine, le megalopoli hanno rivelato il loro ruolo di incubatrici di nuove malattie pandemiche, la più mortale e contagiosa delle quali – Covid-19- sta attualmente paralizzando l'economia mondiale e lasciando una scia di morte e sofferenza in tutto il mondo. In effetti, gli ultimi due "contributi" si sono probabilmente uniti nell'epidemia di Covid-19, che è una delle tante epidemie in cui un virus è saltato da una specie all'altra. È diventato un problema importante in paesi come la Cina e in molte parti dell'Africa dove gli habitat animali vengono distrutti, portando a un enorme aumento dei consumi attraverso la vendita clandestina di carne di animali selvatici su mercati paralleli con specie ormai brulicanti ai margini dei centri urbani, e dove le nuove città, costruite in risposta alla frenetica crescita economica della Cina, hanno controlli igienici minimi.
Nell'elenco delle misure rivoluzionarie contenute nell'articolo di Bordiga, il punto 7 è il più rilevante per il progetto di abolizione dell'antagonismo tra città e campagna:
“Interrompere la costruzione di abitazioni e posti di lavoro alle periferie delle grandi città e anche dei piccoli centri, come misura per procedere verso una distribuzione uniforme della popolazione su tutto il territorio. Riduzione della congestione, della velocità e del volume di traffico vietando il traffico inutile".
Questo punto sembra particolarmente rilevante oggi, quando quasi ogni città è teatro di un'implacabile ascesa "verticale" (la costruzione di enormi grattacieli, soprattutto nei centri urbani) e di un'estensione "orizzontale", che divora la campagna circostante. La richiesta è semplicemente questa: stop! Il rigonfiamento delle città e l'insostenibile concentrazione della popolazione in esse presente sono il risultato dell'anarchia capitalistica e sono quindi essenzialmente non pianificate, non centralizzate. Le possibilità energetiche e tecnologiche umane attualmente impegnate in questa crescita cancerosa devono, fin dall'inizio del processo rivoluzionario, essere mobilitate in un'altra direzione. Anche se la popolazione mondiale è aumentata notevolmente da quando Bordiga ha calcolato, in Spazio contro Cemento, che "in media, la nostra specie ha un chilometro quadrato per ogni venti dei suoi membri" [19], rimane la possibilità di una distribuzione molto più razionale e armoniosa della popolazione sul pianeta, anche tenendo conto della necessità di preservare vaste aree di natura selvaggia - necessità che oggi è meglio compresa perché l'enorme importanza di preservare la biodiversità sul pianeta è stata scientificamente stabilita, ma era già qualcosa che Trotsky aveva previsto in Letteratura e Rivoluzione[20].
L'abolizione dell'antagonismo urbano-rurale è stata distorta dallo stalinismo in un senso: pavimentare tutto, costruire "caserme di operai" e nuove fabbriche in ogni campo e in ogni foresta. Per un vero comunismo, questo significherà coltivare campi e piantare foreste in mezzo alle città, ma significherà anche che le comunità vitali potranno stabilirsi in una sorprendente varietà di luoghi senza distruggere tutto ciò che le circonda, e che non saranno isolate perché avranno a disposizione i mezzi di comunicazione che il capitalismo ha effettivamente sviluppato ad una velocità impressionante. Engels aveva già sollevato questa possibilità in La questione degli alloggi e Bordiga la riprende in Spazio contro Cemento:
"Le forme più moderne di produzione, utilizzando reti di stazioni tecnologicamente avanzate di ogni tipo, come le centrali idroelettriche, le comunicazioni, la radio e la televisione, danno sempre più una disciplina operativa unica ai lavoratori sparsi in piccoli gruppi a distanze enormi. Ciò che si acquisisce è il lavoro associato, con i suoi sempre più vasti e meravigliosi intrecci, mentre la produzione autonoma scompare sempre più. Ma la densità tecnologica di cui abbiamo parlato è in costante diminuzione. Se l'agglomerato urbano e produttivo sussiste, non è perché permetterebbe di realizzare la produzione nelle migliori condizioni, ma per la permanenza dell'economia del profitto e della dittatura sociale del capitale".
La tecnologia digitale ha, naturalmente, avanzato questo potenziale. Ma nel capitalismo, il risultato generale della "rivoluzione di Internet" è stato quello di accelerare l'atomizzazione dell'individuo, mentre la tendenza a "lavorare a casa" - evidenziata in particolare dalla crisi legata a Covid-19 e dalle misure di accompagnamento all'isolamento sociale - non ha affatto ridotto la tendenza all'agglomerazione urbana. Il conflitto tra, da un lato, il desiderio di vivere e lavorare in associazione con gli altri e, dall'altro, la necessità di trovare spazio per muoversi e respirare, può essere risolto solo in una società dove l'individuo non è più in contrasto con la comunità.
Come per la costruzione di abitazioni umane, così anche per la folle corsa dei trasporti moderni: fermatevi, o almeno rallentate!
Anche in questo caso, Bordiga è in anticipo sui tempi. I mezzi di trasporto capitalistici via terra, mare e aria, basati in gran parte sulla combustione di energie fossili, sono responsabili di oltre il 20% delle emissioni globali di anidride carbonica[21], mentre nelle città sono diventati una delle principali fonti di malattie cardiache e polmonari, che colpiscono in particolare i bambini. Il numero annuale di vittime della strada nel mondo è di 1,35 milioni, di cui oltre la metà sono gli utenti della strada più "vulnerabili": pedoni, ciclisti e motociclisti[22]. E questi sono solo gli svantaggi più evidenti dell'attuale sistema di trasporto. Il rumore costante che genera rosicchia i nervi degli abitanti delle città, e la subordinazione della pianificazione urbanistica alle esigenze dell'auto (e dell'industria automobilistica, così centrale nell'odierna economia capitalistica) produce città sempre più frammentate, con aree residenziali divise l'una dall'altra dall'incessante flusso del traffico. Nel frattempo, la atomizzazione sociale, caratteristica essenziale della società borghese e della città capitalista in particolare, non solo è illustrata, ma è rafforzata dal fatto che il proprietario e il guidatore di un'auto è in competizione per lo spazio stradale con milioni di simili anime atomizzate.
Naturalmente, il capitalismo ha dovuto adottare misure per cercare di mitigare gli effetti peggiori di tutto questo: la "carbon tax" per frenare gli spostamenti eccessivamente inquinanti, la "moderazione del traffico" e le isole pedonali senza auto nei centri città, il passaggio alle auto elettriche.
Nessuna di queste "riforme" può risolvere il problema, perché nessuna di esse affronta il rapporto sociale capitalista che ne è alla radice. Prendiamo l'esempio dell'auto elettrica: l'industria automobilistica ha previsto quello che si aspettava e tende sempre più a orientarsi verso questa forma di trasporto. Ma anche mettendo da parte il problema dell'estrazione e dello smaltimento del litio necessario per le batterie, o la necessità di aumentare la produzione di energia elettrica per alimentare questi veicoli, che hanno tutti un alto costo ecologico, una città piena di veicoli elettrici sarebbe leggermente più silenziosa e un po' meno inquinata, ma comunque pericolosa per i pedoni e le auto.
È possibile che il comunismo faccia un uso esteso (ma probabilmente non esclusivo) dei veicoli elettrici. Ma il vero problema è altrove. Il capitalismo deve operare a velocità vertiginosa perché "il tempo è denaro" e il modo di trasporto delle merci è dettato dalle esigenze dell'accumulazione, che include nei suoi calcoli complessivi il tempo di "rotazione" e quindi di trasporto. Il capitalismo è anche motivato dalla necessità di vendere il maggior numero possibile di prodotti, da cui la costante pressione affinché ogni individuo sia in possesso di un'auto personale - ancora una volta, l'auto privata è diventata un simbolo di ricchezza e prestigio personale, la chiave per "la libertà sulla strada" in un'era di incessanti ingorghi.
Il ritmo di vita nelle città di oggi è molto più elevato (anche con gli ingorghi) di quanto non fosse nella seconda metà dell'Ottocento, ma in La donna e il socialismo[23], pubblicato per la prima volta nel 1879, August Bebel immaginava già la città del futuro, dove "il rumore agonizzante, l'affollamento e la fretta delle nostre grandi città con le loro migliaia di veicoli di ogni tipo cessano sostanzialmente: la società assume un aspetto più riposante" (p. 300).
La fretta e la congestione che rendono la vita urbana così stressante può essere superata solo quando è stata eliminata la voglia di accumulare, a favore di una produzione pianificata per distribuire liberamente i valori d'uso necessari. Nella progettazione delle reti di trasporto del futuro, un fattore chiave sarà ovviamente quello di ridurre significativamente le emissioni di gas serra e altre forme di inquinamento, ma la necessità di ottenere un "maggior riposo", un certo grado di calma e tranquillità sia per i residenti che per i viaggiatori, sarà certamente presa in considerazione nel problema complessivo. Poiché ci sarà molta meno pressione per andare dal punto A al punto B al ritmo più veloce possibile, i viaggiatori avranno più tempo per godersi il viaggio stesso: forse, in un mondo così, i cavalli torneranno in alcune parti del mondo, i velieri in mare, i dirigibili in cielo, mentre sarà anche possibile utilizzare mezzi di trasporto molto più veloci se necessario[24]. Allo stesso tempo, il volume di traffico sarà notevolmente ridotto se la dipendenza dalla proprietà personale dei veicoli potrà essere interrotta e se i viaggiatori potranno accedere a vari tipi di trasporto pubblico gratuito (autobus, treni, barche, taxi e veicoli senza proprietario). Dobbiamo anche tener presente che, a differenza di molte città capitalistiche occidentali dove la metà degli appartamenti è occupata da singoli proprietari o inquilini, il comunismo sarà un'esperienza di forme di vita più comuni; e in una società di questo tipo, viaggiare in compagnia di altri può diventare un piacere piuttosto che una corsa disperata tra concorrenti ostili.
Dobbiamo anche tenere presente che molti dei viaggi che intasano il sistema dei trasporti, quelli che forniscono posti di lavoro non necessari come quelli legati alla finanza, alle assicurazioni o alla pubblicità, non avranno posto in una società senza soldi. Le "ore di punta" giornaliere saranno un ricordo del passato.
Le strade di una città dove il fragore del traffico è stato ridotto a un ronzio torneranno ad alcuni dei loro precedenti benefici e usi, come ad esempio i parchi giochi per bambini.
Anche in questo caso, non sottovalutiamo la portata del compito da svolgere. Anche se la possibilità di vivere in modo più comunitario o associato è contenuta nella transizione verso un modo di produzione comunista, i pregiudizi egoistici che sono stati fortemente esacerbati da diverse centinaia di anni di capitalismo non scompariranno automaticamente e costituiranno anzi spesso gravi ostacoli al processo di comunitarizzazione. Come diceva Marx:
"La proprietà privata ci ha reso così stupidi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo possediamo, quando esiste per noi come capitale, o quando lo possediamo direttamente, lo mangiamo, lo beviamo, lo indossiamo, ci viviamo dentro, ecc. Anche se la proprietà privata concepisce tutte queste realizzazioni immediate del possesso solo come mezzi di vita, e la vita che servono è la vita della proprietà privata, del lavoro e della capitalizzazione. Pertanto, tutti i sensi fisici e intellettuali sono stati sostituiti dal semplice allontanamento di tutti questi sensi - il senso della proprietà". (Manoscritti economici e filosofici del 1844, capitolo "Proprietà privata e comunismo").
Rosa Luxemburg ha sempre sostenuto che la lotta per il socialismo non è solo una questione di "pane e burro", ma che "Dal punto di vista morale, la lotta dei lavoratori rinnoverà la cultura della società"[25]. Questo aspetto culturale e morale della lotta di classe, e soprattutto della lotta contro il "sentimento della proprietà", continuerà certamente per tutto il periodo di transizione al comunismo.
CDW
[1] The Transformation of Social Relations [48], International Review n.85; Gli anni ’50 e ’60: Damen, Bordiga, e la passione per il comunismo [49]. Tutti gli articoli della Rivista Internazionale (organo teorico della CCI) citati in questo articolo sono disponibili sul nostro sito in inglese, spagnolo e francese. Nel caso di versione anche in italiano, sarà riportato direttamente il riferimento alla pagina italiana.
[2] 1918: The programme of the German Communist Party [50], International Review n. 93; 1919: the programme of the dictatorship of the proletariat [51], International Review n. 95; 1920: The Programme of the KAPD [52], International Review n. 97
[3] Marx, Critica del programma di Gotha.
[5] Si noti che questo testo è stato adottato come "documento di partito" della nuova organizzazione, e non è un semplice contributo individuale.
[6] Ma i damenisti erano più chiari su molte delle lezioni della sconfitta della Rivoluzione russa e sulle posizioni del proletariato nel periodo del capitalismo decadente. Vedi, “Damen, Bordiga e la passione per il comunismo”, nota 1.
[7] Marc Chirik and the state in the period of transition [53], International Review n.165.
[8] "Discorsi di Elberfeld [54]".
[9] Si veda, ad esempio, A proposito del libro di Patrick Tort, "Effetto Darwin". Una concezione materialista delle origini della morale e della civiltà [55]
[10] Max Weber, La città, 1921.
[11] Vedi Kohei Saito, L'ecosocialismo di Karl Marx, New York, 2017.
[12] Su Marx e la questione russa, si veda un precedente articolo di questa serie, The Mature Marx - Past and Future Communism [56], International Review n. 81.
[13] Serie “Il comunismo non è un bell'ideale ma una necessità materiale” [13a parte] in International Review n.85;
[14] Vedi nota 1
[15] Il Programma Comunista, n. 1 dell'8-24 gennaio 1953.
[16] Il Programma Comunista n. 6/1952, 18 dicembre 1952.
[17] Engels: la questione degli alloggi [57]
[18] Two-thirds of global population will live in cities by 2050, UN says [58] (Due terzi della popolazione mondiale vivranno in città entro il 2050, [58] dice l'ONU).
[19] Bordiga ha dato il numero di 2,5 miliardi e mezzo. Oggi sono piuttosto 6,8 miliardi (Nations Unies).
[20] Letteratura e rivoluzione [59] Vedi anche Trotsky and the culture of communism [60], International Review n. 111.
[22] Vedi "Road safety facts".
[24] Naturalmente, le persone potranno ancora godere del piacere di viaggiare a velocità vertiginose, ma forse in una società razionale questi piaceri saranno limitati ai luoghi riservati a questo scopo.
Dopo anni di atonia, il movimento sociale contro la riforma delle pensioni mostra un risveglio della combattività del proletariato in Francia. Nonostante tutte le sue difficoltà, la classe operaia ha iniziato a sollevare la testa. Mentre un anno fa l'intero terreno sociale era occupato dal movimento interclassista dei gilè gialli, oggi gli sfruttati di tutti i settori e di ogni generazione hanno approfittato delle giornate di lotta organizzate dai sindacati per scendere in piazza, determinati a lottare sul proprio terreno di classe contro questo attacco frontale e massiccio da parte del governo che colpisce l'insieme degli sfruttati.
Se per quasi dieci anni, i salariati sono rimasti paralizzati, completamente isolati ciascuno nel proprio angolo sul posto di lavoro, nelle ultime settimane essi sono riusciti a ritrovare il cammino della lotta collettiva.
Le aspirazioni all'unità e alla solidarietà nella lotta mostrano che i lavoratori in Francia stanno ricominciando a riconoscersi come parte di una sola e stessa classe con gli stessi interessi da difendere. Così, nei vari cortei, e in particolare a Marsiglia, abbiamo potuto ascoltare: "La classe operaia esiste!" A Parigi, gruppi di manifestanti che non hanno sfilato dietro gli stendardi sindacali, hanno cantato: "Siamo lì, siamo lì per onorare i lavoratori e per un mondo migliore”. Nella manifestazione del 9 gennaio, degli spettatori che camminavano sui marciapiedi, ai margini della processione sindacale, hanno intonato la vecchia canzone del movimento operaio: "L'Internazionale", mentre gli studenti cantavano, dietro i propri striscioni: "I giovani in galera, i vecchi nella miseria!"
È chiaro che rifiutandosi di continuare a piegare la schiena la classe operaia in Francia è sulla giusta strada per ritrovare la sua dignità.
Un altro elemento, molto significativo di un cambiamento nella situazione sociale, è stato l'atteggiamento e lo stato d'animo degli "utenti" nello sciopero dei trasporti. È la prima volta, dal movimento del dicembre 1995, che uno sciopero dei trasporti non è "impopolare" nonostante tutte le campagne orchestrate dai media agli ordini della borghesia sugli "utenti" presi in ostaggio e impediti dall’andare al lavoro, a casa o in vacanza durante le festività di fine anno. Da nessuna parte, tranne che nei media su citati, abbiamo ascoltato che i ferrovieri della SNCF o della RATP stavano prendendo in ostaggio gli utenti. Sulle fermate o sui treni e metropolitane affollati, si aspettava pazientemente. Per spostarsi nella capitale, ci si arrangiava senza lamentarsi dei lavoratori delle ferrovie in sciopero; auto condivise, biciclette, scooter ... Ma, ancora di più, il sostegno e la stima verso i ferrovieri si sono concretizzati attraverso le numerose donazioni ai fondi di solidarietà per gli scioperanti che hanno sacrificato più di un mese di salario (più di tre milioni di euro sono stati raccolti in poche settimane!) lottando non solo per se stessi ma anche per gli altri.
Tuttavia, dopo un mese e mezzo di scioperi, dopo manifestazioni settimanali che hanno radunato centinaia di migliaia di persone, questo movimento non è riuscito a respingere l’attacco governativo.
Sin dall'inizio, la borghesia, il suo governo e le sue "parti sociali" avevano orchestrato una strategia per fare passare l'attacco sulle pensioni. La questione della "età di riferimento"[1] era la carta nella manica per sabotare la risposta della classe operaia e far passare la "riforma" attraverso la classica strategia di divisione del "fronte sindacale".
Inoltre, la borghesia blinda il suo Stato di polizia in nome del mantenimento de "l'ordine repubblicano". Il governo dispiega, in modo incredibile, le sue forze repressive per intimidirci. Gli sbirri continuano a gasare e picchiare indiscriminatamente i lavoratori (compresi donne e pensionati) supportati dai media che fanno un sol fascio della classe sfruttata, dei black blocs e di altri "teppisti". Al fine di impedire ai lavoratori di riunirsi alla fine delle dimostrazioni per discutere, i plotoni di celerini (CRS) le disperdono, su ordine della Prefettura, con granate di "de-accerchiamento". Le violenze poliziesche non sono in alcun modo il risultato di semplici "eccessi" individuali da parte di alcuni CRS eccitati e incontrollabili. Annunciano la repressione spietata e feroce che la classe dominante non esiterà a scatenare contro i proletari in futuro (come ha fatto in passato, ad esempio, durante la "settimana di sangue" della Comune di Parigi nel 1871).
Per essere in grado di affrontare la classe dominante e respingere l'attacco del governo, i lavoratori devono prendere nelle loro mani la propria lotta. Non devono affidarla ai sindacati, a questi "partner sociali" che hanno sempre negoziato sulle loro spalle e nel segreto dei gabinetti ministeriali.
Se continuiamo a chiedere ai sindacati di "rappresentarci", se continuiamo ad aspettare che organizzino la lotta per noi, allora sì che siamo "fottuti"! Per poter prendere in mano la nostra lotta, estenderla e unificarla, dobbiamo organizzare assemblee generali di massa (AG), sovrane e aperte a tutta la classe operaia. È in queste AG che possiamo discutere tutti insieme, decidere collettivamente quali azioni intraprendere, formare comitati di sciopero con delegati eletti e revocabili in qualsiasi momento.
I giovani lavoratori che hanno preso parte al movimento contro il CPE (Contratto di Primo impiego) nella primavera del 2006, quando erano ancora studenti, hanno dovuto trasmettere questa esperienza ai loro compagni di lavoro, giovani o anziani. Come hanno potuto respingere il governo Villepin costringendolo a ritirare il suo "CPE"? Grazie alla loro capacità di organizzare da soli la loro lotta nelle loro massicce assemblee generali in tutte le università e senza alcun sindacato. Queste AG non erano chiuse. Al contrario: gli studenti hanno invitato tutti i lavoratori, attivi e in pensione, a parteciparvi per discutere con loro nelle loro AG e a partecipare al movimento in solidarietà con le giovani generazioni che dovevano scontrarsi con la disoccupazione e la precarietà. Il governo di Villepin ha dovuto ritirare il CPE senza alcuna "negoziazione". Gli studenti, i giovani precari e i futuri disoccupati non erano rappresentati dai "partner sociali" e hanno vinto.
I lavoratori delle ferrovie che hanno guidato questa mobilitazione non possono continuare il loro sciopero da soli senza che gli altri settori si impegnino nella lotta con loro. Nonostante il loro coraggio e determinazione, non possono combattere "al posto" di tutta la classe operaia. Non è lo "sciopero per procura" che può respingere il governo, per quanto determinato possa essere.
Oggi la classe operaia non è ancora pronta a impegnarsi in modo massiccio nella lotta, anche se molti lavoratori di tutti i settori, di tutte le categorie professionali (principalmente del servizio pubblico), di tutte le generazioni erano presenti nelle manifestazioni organizzate dai sindacati dal 5 dicembre. Ciò di cui abbiamo bisogno per frenare gli attacchi della borghesia è sviluppare una solidarietà attiva nella lotta e non solo impegnandoci a raccogliere fondi di solidarietà per consentire agli scioperanti di "resistere".
La ripresa del lavoro che è già iniziata nel settore dei trasporti (in particolare alla SNCF) non è una capitolazione! Prendersi una "pausa" dalla lotta è anche un modo per non esaurirsi in uno sciopero lungo e isolato, che può portare solo a una sensazione di impotenza e amarezza.
La stragrande maggioranza dei lavoratori mobilitati pensano che se perdiamo questa battaglia, se non riusciamo a costringere il governo a ritirare la sua riforma, siamo "fottuti". Questo non è vero! L'attuale mobilitazione e il massiccio rifiuto a questo attacco sono solo un inizio, una prima battaglia che ne annuncia altre domani. Perchè la borghesia, il suo governo e i suoi padroni continueranno a sfruttarci, ad attaccare il nostro potere d'acquisto, a spingerci in una povertà e miseria crescente. La rabbia non può che aumentare fino a quando non porta a nuove esplosioni, a nuovi movimenti di lotta.
Anche se la classe operaia perde questa prima battaglia, non ha perso la guerra. Non deve arrendersi alla demoralizzazione!
La "guerra di classe" è fatta di avanzate e battute d'arresto, momenti di mobilitazione e di pause per poter ripartire con ancora più forza. Essa non è mai una lotta lineare in ascesa dove si vince subito. L'intera storia del movimento operaio ha dimostrato che la lotta della classe sfruttata contro la borghesia può portare alla vittoria solo dopo una serie di sconfitte.
L'unico modo per rafforzare la lotta è approfittare dei periodi di ripiego in buon ordine per riflettere e discutere insieme, riunendosi ovunque, nei nostri luoghi di lavoro, nei nostri quartieri e in tutti i luoghi pubblici.
I lavoratori più combattivi e determinati, attivi o disoccupati, pensionati o studenti, devono cercare di formare dei "comitati di lotta" interprofessionali aperti a tutte le generazioni per prepararsi alle future lotte. Dobbiamo imparare a trarre le lezioni di questo movimento, capire quali sono state le sue difficoltà per poterle superare nelle prossime battaglie.
Questo movimento sociale, nonostante tutti i suoi limiti, le sue debolezze e difficoltà, è già una prima vittoria. Dopo anni di paralisi, disorientamento e atomizzazione, ha permesso a centinaia di migliaia di lavoratori di scendere in strada per esprimere la loro volontà di combattere contro gli attacchi del Capitale. Questa mobilitazione ha permesso loro di esprimere il loro bisogno di solidarietà e unità. Ha anche permesso loro di fare esperienza delle manovre della borghesia per far passare questo attacco.
È solo attraverso la lotta e nella lotta che il proletariato può prendere coscienza di essere la sola forza sociale in grado di abolire lo sfruttamento capitalistico per costruire un nuovo mondo. La strada che porta verso la rivoluzione proletaria mondiale, verso il rovesciamento del capitalismo, sarà lunga e difficile. Sarà disseminata di insidie e sconfitte, ma non ce ne sono altre.
Più che mai, il futuro appartiene alla classe operaia!
Corrente Comunista Internazionale, 13 gennaio 2020
[1] L’età al di sopra della quale non si applicava il nuovo criterio di calcolo (ndt)
Chi c’è in “Nuevo Curso”?
Il proletariato può liberare l’umanità dalle catene sempre più soffocanti del capitalismo mondiale solo se la sua lotta sarà ispirata e fecondata dalla continuità storica critica delle sue organizzazioni comuniste, quel filo storico che va dalla Lega dei comunisti nel 1848 fino alle organizzazioni attuali che si richiamano alla Sinistra Comunista. Privati di questa bussola, le loro reazioni contro la barbarie e la miseria imposte dal capitalismo saranno condannate ad azioni cieche e disperate, che possono portare a una catena definitiva di sconfitte.
Il blog di Nuevo Curso cerca di far passare il lavoro di Munis come parte della “Sinistra comunista”, ma Munis non è mai riuscito a rompere veramente con l’approccio e gli orientamenti sbagliati dell’Opposizione di sinistra che sarebbe degenerata nel trotskismo, una corrente che dagli anni ‘40 si è chiaramente posizionata dietro la difesa del capitalismo, assieme ai suoi fratelli maggiori, lo Stalinismo e la Socialdemocrazia.
Abbiamo risposto a questa pretesa con l’articolo Nuevo Curso e una “Sinistra Comunista Spagnola”. Da dove viene la Sinistra Comunista?[1], mettendo in evidenza il fatto che “il futuro partito mondiale della rivoluzione comunista, per contribuire realmente ad essa, non potrà basarsi sull’eredità dell’Opposizione di Sinistra. Dovrà necessariamente basare il suo programma e i suoi metodi d’azione sull’esperienza della sinistra comunista. […] c’è una eredità comune della sinistra comunista che la distingue da altre correnti di sinistra che si formarono nell’Internazionale Comunista. Perciò, chiunque afferma di appartenere alla Sinistra Comunista ha la responsabilità di sforzarsi per conoscere e far conoscere la storia di questa componente del movimento operaio, le sue origini in reazione alla degenerazione dei partiti dell’Internazionale Comunista, i differenti gruppi legati a questa tradizione per aver partecipato alla sua lotta, i diversi rami politici che la compongono (la Sinistra Comunista Italiana, la Sinistra tedesco-Olandese, ecc.). In particolare è importante chiarire i contorni storici della sinistra comunista e le differenze che la distinguono da altre correnti di sinistra, in particolare quella trotskysta.”
Quest’articolo, scritto nell’agosto 2019, è stato totalmente ignorato da Nuevo Curso. Il suono del suo silenzio ha risuonato forte nelle orecchie di tutti noi che difendiamo l’eredità e la continuità critica della Sinistra Comunista. Ciò è ancora più scioccante quando si vede che Nuevo Curso pubblica ogni giorno un nuovo articolo trattando qualunque argomento immaginabile, da Netflix al messaggio natalizio del re spagnolo e l’origine della festa di Natale. Tuttavia, non ha ritenuto necessario dedicare nulla a qualcosa di così vitale come giustificare in maniera argomentata la sua pretesa di far passare come parte della Sinistra Comunista la continuità più o meno critica tra Munis e l’Opposizione di sinistra che ha dato origine al trotskismo.
Il nostro articolo si chiudeva ponendo la questione seguente: “Forse si tratta di un culto sentimentale di un ex combattente proletario [Munis]. Se è così, dobbiamo dire che si tratta di un’impresa destinata a creare più confusione che altro perché le sue tesi, trasformate in dogmi, distilleranno solo il peggio dei suoi errori. […] Un’altra possibile spiegazione è che l’autentica Sinistra Comunista venga attaccata con una “dottrina” spam […] utilizzando i materiali di quel grande rivoluzionario. Se questo è il caso, è obbligatorio per i rivoluzionari combattere tale impostura con la massima energia.”
La cosa peggiore della sconfitta dell’ondata rivoluzionaria mondiale del 1917-23 è la gigantesca distorsione perpetrata facendo passare lo stalinismo per “comunismo”, “marxismo” e come “principi proletari”. Le organizzazioni rivoluzionarie di oggi non possono permettere che tutta l’eredità che è stata dolorosamente sviluppata nel corso di quasi un secolo dalla sinistra comunista sia sostituita da una dottrina spam basata sulla confusione e la gangrena opportunista che fu l’Opposizione di Sinistra. Questo sarebbe un colpo brutale e decisivo alla prospettiva della rivoluzione proletaria mondiale.
Le origini di Nuevo Curso
Nel settembre 2017 abbiamo scoperto un sito web (un blog) di un gruppo chiamato Nuevo Curso[2], che inizialmente si è mostrato interessato alle posizioni della sinistra comunista e aperto al dibattito. Questo è almeno ciò che NC scriveva nella sua risposta alla prima lettera che la CCI inviò loro. Ecco la loro risposta:
“Noi non ci consideriamo come un gruppo politico, un proto-partito o qualcosa del genere ... Al contrario, vediamo il nostro lavoro come qualcosa di “formativo”, che ci aiuta a discutere nei luoghi di lavoro, tra i giovani, ecc. e una volta chiariti alcuni elementi di base, che servono da ponte tra le nuove persone che scoprono il marxismo e le organizzazioni internazionaliste (essenzialmente la TCI e voi, la CCI) che, a nostro avviso, devono essere le forze naturali fondanti del futuro partito anche se oggi esse sono molto deboli (come, ovviamente, lo è l’intera classe operaia)”. (7.11.2017, dal [email protected] [66] a [email protected] [67]).
Questo approccio è scomparso pochi mesi dopo, senza una spiegazione dettagliata e convincente, quando NC ha dichiarato di essere la continuazione di una cosiddetta Sinistra Comunista Spagnola, le cui origini sarebbero state Munis e il suo gruppo, il FOR[3]. Abbiamo già sottolineato che questa pretesa filiazione non era altro che una confusione tra la Sinistra Comunista e il trotskismo e che, dal punto di vista della continuità dei principi politici, le posizioni di NC non erano in continuità con quelle della Sinistra Comunista, ma con quelle del Trotskismo o, nella migliore delle ipotesi, con i tentativi di rottura con il trotskismo[4]. Non esiste dunque alcuna continuità programmatica tra NC e la sinistra comunista.
E la continuità organica? Ecco quello che essi stessi hanno detto all’inizio:
“Dietro il blog e la “Scuola di marxismo”, c’è un piccolo gruppo di cinque persone che hanno lavorato e vissuto insieme per 15 anni in una cooperativa di lavoro che funziona come una comunità di beni. Questo è il nostro modo di resistere alla precarietà e di guadagnarci da vivere. E anche per mantenere uno stile di vita in cui potessimo discutere, imparare ed essere utili alle nostre famiglie e ai nostri amici in un periodo difficile”(idem).
E, come hanno anche riconosciuto, la loro attività principale era ben lungi dall’essere caratterizzata da un atteggiamento critico marxista; in generale, in assenza di qualcosa di più concreto, consisteva nel dedicare i loro sforzi “a rendere possibile un lavoro organizzato in maniera produttiva (un nuovo movimento cooperativo o comunitario che rendesse evidente la possibilità tecnologica di una società de-mercificata, cioè una società comunista” [5] (idem).
D’altra parte, oltre a questo nucleo centrale, e apparentemente provenienti da dinamiche diverse di riflessione e di discussione, vari gruppi di giovani convergevano verso questo gruppo in diverse città[6].
Ciò che sorprende è come, nei confronti di tali elementi, il sito web di NC si sia presentato sin dall’inizio facendo riferimento alle posizioni della Sinistra Comunista. Il ruolo di uno degli elementi che hanno contribuito a questo è spiegato in questa lettera:
“Uno di noi [cioè del nucleo della cooperativa, nota editoriale], Gaizka[7], che è stato uno dei vostri vecchi contatti negli anni ‘90 e che, come ha detto lui stesso, aveva imparato molto di marxismo da voi. Il fatto che abbiamo potuto contare su di lui e sulla biblioteca che ha portato con sé è stato una parte importante del nostro processo” (idem).
In realtà questo “membro della cooperativa” è apparso nel dicembre 2017 alla nostra riunione pubblica a Madrid sul centenario della Rivoluzione russa ed era qualcuno che già conoscevamo, il summenzionato Gaizka, che negli anni ‘90 aveva preso parte a una discussione programmatica con la CCI. Alla fine della riunione, ci ha informato che era in contatto con un gruppo di giovani, ai quali stava “dando una formazione marxista”, incoraggiandoci a riprendere i contatti.
La nostra risposta alla sua proposta di riprendere i contatti è stata che lui avrebbe dovuto prima chiarire alcuni comportamenti politici che non era riuscito a spiegare negli anni ‘90 e che riguardavano dei sui atteggiamenti carrieristici e dei rapporti stretti e consolidati con il Partito Socialista Operaio Spagnolo[8] (PSOE) pur rivendicando al tempo stesso le posizioni della sinistra comunista[9].
Lui non ci ha risposto nel dicembre 2017 né, successivamente, alle quattro lettere che gli abbiamo inviato negli stessi termini. Ecco perché, secondo la tradizione proletaria di cercare di chiarire questo tipo di episodi “oscuri” nella vita politica, abbiamo continuato a chiedere spiegazioni. In assenza di queste spiegazioni, il monitoraggio della sua attività politica[10] da quando lo abbiamo incontrato mostra che i collegamenti con il PSOE sono stati mantenuti.
La tortuosa traiettoria di Gaizka.
1992-94: contatto con la CCI, fuga e scomparsa
Nel 1992, Gaizka prese contatto con la CCI, presentandosi come membro di un gruppo chiamato “Unión Espartaquista”, che sosteneva di difendere le posizioni della sinistra comunista tedesca (posizioni che oggi non sembrano più di suo gusto). In realtà, questo gruppo era essenzialmente lui e la sua compagna[11]; e all’epoca la loro conoscenza delle posizioni programmatiche e delle tradizioni della sinistra comunista era più un’aspirazione che una realtà.
Fin dall’inizio, si mostrò interessato a integrarsi quanto prima nella nostra organizzazione e si sentiva a disagio quando le discussioni si dovevano prolungare per fare i necessari chiarimenti o quando alcuni dei suoi comportamenti venivano messi in discussione, in particolare per quanto riguarda un altro elemento che si era unito a un circolo di discussione a Madrid a cui partecipava occasionalmente anche Battaglia Comunista.
Anche la discussione sulla sua traiettoria politica pose problemi. Benché ci avesse informato di essere stato in contatto con la Gioventù Socialista (del PSOE), mostrò una sorta di fascinazione per l’esperienza dei kibbutz[12] e fece commenti che sembravano collegarlo a Borrell[13] e alla lobby socialista filoisraeliana[14]. Inoltre, Gaizka non ha mai chiarito i suoi rapporti organizzativi con il PSOE o una sua rottura con questo[15].
Nel 1994, nella CCI, si era sviluppato un dibattito sul problema del peso dello spirito di circolo nel movimento operaio dal 1968 e sulle relazioni di affinità sviluppate sotto la copertura di progetti “comunitari” di vita. Durante le discussioni sui nostri principi organizzativi, abbiamo presentato a Gaizka le nostre posizioni su tutto questo. Ed è forse per questo motivo che, quando gli abbiamo chiesto direttamente spiegazioni su degli aspetti della sua traiettoria personale che ci sembravano poco chiari[16], prima di tutto non sembrava affatto sorpreso, nonostante il fatto che avessimo presentato questo incontro come un confronto che sarebbe stato registrato (non avevamo mai registrato una discussione con lui prima). E in secondo luogo, non ci ha dato alcuna spiegazione ed è scomparso dall’ambiente della sinistra comunista … Fino ad ora!
I legami sono continuati con il PSOE ...
Ciò che è problematico nella traiettoria politica di Gaizka non è il fatto che, in un certo momento, sia stato simpatizzante o militante della gioventù socialista e che non lo abbia detto chiaramente. Ciò che merita una spiegazione è il fatto che, nonostante la sua pretesa convinzione nelle posizioni della Sinistra comunista, la sua storia personale contenga tante tracce che rivelavano rapporti politici con personaggi che sono o sono stati funzionari di alto rango nel PSOE.
Nel 1998-99, Gaizka partecipa come “consigliere”, senza mai precisare a cosa corrispondesse questo ruolo, nella campagna di Borrell nelle primarie del PSOE, come si può vedere da alcuni dei suoi account su Internet. Uno dei nostri militanti l’ha visto in televisione nell’ufficio del candidato[17]. Gaizka ha cercato di minimizzare la questione dicendo che stava lì solo come “ragazzo d’ufficio” nella campagna, qualcuno che Borrell non aveva mai nemmeno notato. Ma la verità è che alcuni leader del PSOE, come Miquel Iceta[18] per esempio, hanno dichiarato pubblicamente di aver incontrato Gaizka durante questa campagna. E non sembra molto logico che i vertici del PSOE vadano da Borrell per chiedergli di presentarli al suo ragazzo d’ufficio.
Inoltre, durante questi stessi anni, Gaizka ha anche partecipato a una “missione umanitaria” organizzata dal Consiglio europeo per l’azione e la cooperazione umanitaria in Kosovo[19] insieme a David Balsa, attuale presidente della Conferenza euro-centro americana, e poi presidente del Consiglio europeo per l’azione e la cooperazione umanitaria, ex leader della Gioventù Socialista ed ex membro dell’Esecutivo del Partito Socialista in Galizia. In una lettera al Partito Radicale Italiano, Gaizka dice di D. Balsa che costui era “il ragazzo che andò in Albania al mio posto”.
A parte il fatto che tutto ciò rafforza i sospetti di una più stretta relazione tra Gaizka e il PSOE di quanto lui ammettesse, ciò implica anche una partecipazione attiva a una guerra imperialista sotto la copertura di un’“azione umanitaria” e dei “diritti dell’uomo”[20].
Nel 2003 è stato anche consigliere nella campagna per Belloch[21] del PSOE come sindaco di Saragozza, e questa volta egli ha ammesso: “Sono stato molto coinvolto nella campagna per il sindaco Juan Alberto Belloch, per ridefinire la città come uno spazio urbano, come paesaggio economico, dove ci possa essere uno sviluppo di tipi di imprese legate a comunità reali, molto trans-nazionalizzate e iper-connesse”.
Nel 2004, dopo gli attacchi terroristici dell’11 marzo e la vittoria elettorale nazionale del PSOE, Rafael Estrella scrisse un prologo per un libro di Gaizka, pieno di elogi per le sue qualità. Questo signore era un membro del PSOE, un portavoce della Commissione per gli affari esteri del Congresso dei deputati e presidente dell’Assemblea parlamentare della NATO[22]. Il libro sottolineava l’incapacità dell’ala destra del Partito Popolare di comprendere gli attacchi di Atocha, ma non c’è una sola parola di critica nei confronti del PSOE. Felipe Gonzalez lo ha citato alcune volte.
Questo stesso deputato del PSOE è diventato successivamente nel 2007 (fino al 2012) ambasciatore della Spagna in Argentina e ha invitato Gaizka a presentare il suo libro all’ambasciata, mettendolo in contatto con l’ambiente politico ed economico di questo paese.
Un altro “padrino” che ha avuto un ruolo importante nell’avventura sudamericana di Gaizka è stato Quico Maňero, di cui lui dice in una dedica in un altro dei suoi libri: “A Federico Maňero, amico, connettore di mondi e tante volte un maestro, che per anni ci ha spinto a “vivere nella danza” dei continenti e delle conversazioni, che ci ha accolto e preso cura di noi ovunque andassimo. Senza di lui, non avremmo mai potuto vivere come dei neo-veneziani”.
Ecco quello che dice la Izquierda Socialista (una corrente di sinistra nel PSOE) su questo signore:
“La filiale di REPSOL[23] di proprietà dell’Argentina è affare del Sig. Quico Maňero, ex marito di Elena Valenciano[24], leader storico del PSOE (segretario generale della gioventù socialista), consigliere e acquirente di imprese vicine a Felipe Gonzalez, nominato nel 2005 membro del Consiglio di amministrazione argentino di REPSOL-YPF. Attualmente egli è oggetto di un’inchiesta sullo scandalo di Invercaria e sui fondi andalusi dei “rettili” (uno scandalo finanziario) da cui ha ricevuto 1,1 milioni di euro” [25].
Nello stesso periodo, nel 2005, Gaizka ha lavorato per la Fondazione Jaime Vera del PSOE che, tradizionalmente, è un’istituzione per la formazione dei quadri politici del partito, e sembra che a partire dal 2005 questa istituzione abbia dato inizio a un programma internazionale per la formazione di quadri con l’obiettivo di guadagnare un’influenza oltre i confini della Spagna. In questo contesto, Gaizka ha partecipato alla formazione dei “Cyberattivisti K” in Argentina, che hanno sostenuto la campagna di Cristina Kichner nel 2007, quando costei è diventata presidente.
“L’idea è nata due anni fa da un accordo politico con il governo. È stato nel 2005, tra una ventina di giovani selezionati dalla Casa Rosada [sede del presidente argentino, ndr], per essere formati dalla Fondazione Jaime Vera, la scuola governativa dei dirigenti del PSOE, il Partito socialista spagnolo. Includevano i creatori dei Cyberattivisti K: il militante Sebastian Lorenzo (www.sebalorenzo.co,ar [68]) e Javier Noguera (www.nogueradeucuman.blogspot.com [69]), segretario del governo di José Alperovich, governatore di Tucumán ... Eravamo stupiti quando ci ha parlato di blog e social network, ha dichiarato Noguera a La Nación. Questo era il minimo: il “professore” spagnolo era il riferimento mondiale della cyber-attività ... lo stesso che, un mese fa, accompagnato da Rafael Estrella, ha presentato il suo nuovo libro a Buenos Aires” [26].
Nel corso degli anni dopo il 2010, e specialmente dopo la sconfitta elettorale del PSOE, ci sono meno prove del coinvolgimento con questo partito.
... e a volte con il liberalismo di destra
Infatti, prima della vittoria del PSOE nel 2004, Gaizka cercò di profittare anche del Partito Popolare (PP), e ha collaborato con la Gioventù del PP, fondando Los Liberales.org che, secondo i termini degli organizzatori, servivano a “creare un repertorio nel quale mettere un po’ di ordine nel liberalismo spagnolo online. Questo fine settimana ci siamo messi al lavoro e, dopo diverse ore davanti al computer, abbiamo delineato ciò che esisteva su Internet, il prodotto di diverse famiglie liberali e libertarie (da non confondere con gli anarchici) che a volte sono in contrasto le une con le altre. È così che è nato Los Liberales.org, un progetto non partigiano per i liberali e per coloro che sono interessati a questo tipo di pensiero” [27].
Questa famiglia comprendeva persone come Jiménez Losantos[28] e la sua testata Libertad digital, per cui Gaizka ha scritto numerosi articoli, o dei conservatori cristiano-liberali, sui quali gli altri non erano sicuri se dovessero essere visti come liberali o come parte dell’estrema destra.
Come ha scritto il giornalista Ignacio Escolar[29] nel libro La Blogoesfera hispana, questo club “non è durato a lungo. Disaccordi ideologici tra i fondatori hanno posto fine al progetto”.
Che ci fa uno come Gaizka nella sinistra comunista?[30]
Un esame del Curriculum Vitae politico di Gaizka mostra chiaramente i suoi stretti rapporti con il PSOE. Da quando ha abbandonato definitivamente il campo proletario nel suo congresso straordinario dell’aprile 1921[31], il PSOE ha vissuto una lunga storia al servizio dello Stato capitalista: sotto la dittatura di Primo de Rivera (1923-30), il suo sindacato, l’UGT, fungeva da informatore della polizia, spiando molti militanti della CNT; e Largo Caballero, che fungeva da ponte tra il PSOE e l’UGT, prestò servizio come consigliere del dittatore. Nel 1930, il PSOE cambiò rapidamente tono e si mise al comando delle forze che, nel 1931, costituirono la Seconda Repubblica, dove guidò un governo in collaborazione con i repubblicani dal 1931 al 1933. Va notato che durante questi due anni, 1500 lavoratori furono uccisi nella repressione di scioperi e rivolte. Più tardi, il PSOE fu l’asse del governo del Fronte popolare che guidò lo sforzo bellico e il processo di militarizzazione, dando carta bianca ai criminali stalinisti per reprimere l’insurrezione dei lavoratori a Barcellona nel maggio 1937. Con il ristabilimento della democrazia nel 1975, il PSOE è stato la spina dorsale dello Stato, essendo il partito che più a lungo è stato alla testa del governo (1982-1996, 2004-2011 e dal 2018). Le misure più brutali contro le condizioni della classe operaia sono state imposte dai governi del PSOE, in particolare i piani di riconversione degli anni ‘80 che hanno comportato la perdita di un milione di posti di lavoro, o il programma di tagli sociali lanciato dal governo Zapatero e che il governo popolare di Rajoy avrebbe continuato.
È con questo bastione dello stato borghese che Gaizka ha collaborato; e non stiamo parlando di “elementi di base”, più o meno ingannati, ma di personaggi ai vertici del partito, come con Borrell, che è stato nominato responsabile della politica estera della Commissione Europea, Belloch, che è stato ministro degli interni, Estrella, che è stato presidente dell’assemblea parlamentare della NATO.
Nel CV di Gaizka non si trova la minima traccia di una ferma convinzione nelle posizioni della sinistra comunista; per essere chiari, è come se non avesse alcuna convinzione politica, dal momento che non ha esitato a flirtare a un certo punto con la destra. Il “marxismo” di Gaizka è piuttosto una forma di “Groucho-marxismo”: ricorda il celebre comico Groucho Marx quando scherzava dicendo: “ecco i miei principi. Non ti piacciono ? Ne ho altri in tasca”.
Ecco perché la domanda è: cosa ha indotto Gaizka a creare Nuevo Curso come collegamento “storico” con la cosiddetta “sinistra comunista spagnola”? Cosa c’entra questo signore con le posizioni della Sinistra Comunista e con la lotta storica della classe operaia?
E in continuità con ciò, che ci fa un gruppo parassita come il “Groupe International de la Gauche Communiste” (GIGC) di cui alcuni elementi erano membri dell’organo centrale della CCI nel 1992-1994 ed erano dunque al corrente del comportamento di Gaizka, proprio come lo sono oggi del fatto che egli è il principale animatore di Nuevo Curso. Ma questi preferiscono distogliere lo sguardo, tacendo e cercando di nascondere la sua traiettoria e dichiarando che questo gruppo è il futuro della sinistra comunista e cose del genere.
“Nuevo Curso è un blog di compagni che hanno iniziato a pubblicare regolarmente sulla situazione e su questioni più ampie, comprese le questioni teoriche. Purtroppo il loro blog è solo in spagnolo. L’insieme di posizioni che loro difendono sono posizioni di classe che fanno parte del quadro programmatico della sinistra comunista ... Siamo molto colpiti non solo dalla loro affermazione senza concessioni delle posizioni di classe, ma anche dalla ‘qualità marxista’ dei testi dei compagni ...” [32].
“Così la costituzione di Emancipacion[33] come gruppo politico a pieno titolo esprime il fatto che il proletariato internazionale, benché soggiogato e molto lontano dall’essere in grado di respingere i vari attacchi del capitale, tende a resistere attraverso la lotta e a rompere con la presa ideologica del capitale e che il suo futuro rivoluzionario rimane intatto. Esprime la ‘vitalità’ (relativa) del proletariato” [34].
Nella tradizione del movimento operaio, la cui continuità storica è rappresentata oggi dalla Sinistra comunista, i principi di organizzazione, di funzionamento, di comportamento e di onestà dei militanti sono importanti quanto i principi programmatici. Alcuni dei congressi più importanti nella storia del movimento operaio, come il Congresso dell’Aia del 1872, sono stati dedicati a questa lotta per la difesa del comportamento proletario (e questo nonostante il fatto che il congresso avesse luogo un anno dopo la Comune di Parigi e si trovasse di fronte alla necessità di trarne le lezioni)[35]. Lo stesso Marx dedicò un libro intero, che gli portò via più di un anno, interrompendo il suo lavoro sul Capitale, alla difesa del comportamento proletario contro gli intrighi del sig. Vogt, un agente bonapartista che aveva organizzato una campagna di calunnie contro Marx e i suoi compagni. Di recente abbiamo pubblicato un articolo sulla denuncia da parte di Bebel e Liebknecht del comportamento disonesto di Lassalle e Schweitzer[36]. E nel 20° secolo, Lenin dedicò un libro - Un passo avanti, due passi indietro - per tirare le lezioni del II Congresso del Partito Socialdemocratico Operaio Russo sul peso dei comportamenti estranei al proletariato. Possiamo anche citare Trotsky che ha fatto appello a un giurì d’onore per difendere la sua integrità contro le calunnie di Stalin.
Il fatto che un personaggio che ha dei legami stretti con i vertici del PSOE arrivi improvvisamente nel campo della Sinistra comunista dovrebbe mettere in guardia tutti i gruppi e i militanti che lottano per gli interessi storici della nostra classe, compresi quegli stessi che partecipano al blog Nuevo Curso che lo fanno in buona fede, credendo di lottare per i principi della Sinistra comunista.
Nel 1994, abbiamo chiesto a Gaizka di chiarire la sua traiettoria e le sue relazioni già dubbie a quel tempo. Ma scomparve dalla scena. Nel 2018, dopo essere tornato con un’intera valigia di contatti nelle sfere alte del PSOE, glielo abbiamo chiesto di nuovo e lui è rimasto in silenzio. Per la difesa della sinistra comunista, la sua integrità e il suo contributo futuro, dobbiamo chiedergli di rendere conto di tutto ciò.
20.01.2020
[1] https://it.internationalism.org/content/1490/nuevo-curso-e-una-sinistra-comunista-spagnola-da-dove-viene-la-sinistra-comunista [70].
[2] Dal giugno 2019, Nuevo Curso si è in effetti trasformato in un gruppo politico con il nome Emancipación, nonostante il fatto che il suo blog sia ancora attivo sotto il nome di Nuevo Curso. Questa evoluzione non influisce affatto sul contenuto di questo articolo.
[3] Vedi, tra l’altro, i seguenti articoli, disponibili in lingua inglese, francese o spagnola:
[5] Che significa questa frase? Da parte nostra, non cercheremo di capire cosa rappresenti esattamente questo tipo di attività. Basti dire per ora che, nonostante vi si appiccichi un’etichetta di “comunista” sopra, resta qualcosa che non ha nulla a che fare con una vera attività comunista o rivoluzionaria, come riconosce la stessa lettera quando afferma che, per passare al marxismo, si deve iniziare con una critica di questo tipo di attività.
[6] “Ma per un anno e mezzo o due anni, abbiamo iniziato a notare un cambiamento intorno a noi. Possiamo parlare in modo diverso e una dozzina di giovani sono apparsi con uno spirito che ci piace molto ma che sono caduti nelle forme più classiche di stalinismo o di trotskismo” (dalla lettera citata di NC, op cit).
[7] Nella lettera viene usato il suo vero nome; qui useremo il nome con cui lo conosciamo dagli anni ’90.
[9] Tuttavia, non abbiamo avuto problemi – tutt’altro – a incontrare i gruppi di giovani, ed è quello che abbiamo fatto con uno di loro a novembre 2018.
[10] Con il suo vero nome e cognome, Gaizka è un personaggio pubblico sul web e questo ci consente di seguire la sua presenza e partecipazione a diverse iniziative politiche. Tuttavia non possiamo fornire tutta la documentazione qui senza rivelare la sua identità.
[11] All’inizio c’erano altre persone che poi lasciarono il gruppo.
[12] Questa fascinazione rimane nel più recente discorso di Gaizka, ma è mascherata dalla difesa dell’esperienza comunitaria del kibbutz, in particolare nella sua fase iniziale all’inizio del 20° secolo, senza fare alcun riferimento al ruolo politico che questo ha giocato nell’interesse imperialista dello Stato di Israele: “Gli ‘indiani’ [cioè la comune di Gaizka, nota redazionale] sono comunità simili ai kibbutz (non ci sono risparmi individuali, le stesse cooperative sono sotto il controllo collettivo e democratico, ecc.), ma vi sono anche importanti distinzioni, come l’assenza di un’ideologia nazionale o religiosa condivisa; e sono distribuiti in diverse città piuttosto che concentrarsi in alcune installazioni, e una comprensione del fatto che alcuni criteri vanno oltre la razionalità economica”(estratto da un’intervista a Gaizka).
[13] Ingegnere aeronautico ed economista, Borrell è entrato in politica negli anni '70 come militante del PSOE durante la transizione spagnola verso la democrazia e ha occupato diversi incarichi di responsabilità nel governo di Felipe Gonzales, prima in Economia e Finanze come segretario generale per il bilancio e le spese pubbliche (1982-1984) e segretario di Stato per le finanze (1984-1991); poi nel Consiglio dei ministri con un portafoglio per l’industria e i trasporti. All’opposizione dopo le elezioni generali del 1996, Borrell fu candidato nel 1998 come primo ministro dal PSOE, ma si dimise nel 1999. Da allora, focalizzato sulla politica europea, divenne membro del parlamento europeo nel periodo 2004-2009 e presidente della camera nella prima metà della legislatura. Dopo essersi ritirato dal fronte politico, è tornato al Consiglio dei Ministri nel giugno 2018, con la sua nomina alla carica di Ministro degli Affari Esteri, Unione Europea e Cooperazione del governo guidato da Pedro Sanchez (da Wikipedia). Recentemente è stato il Commissario europeo per gli affari esteri.
[14] Nel 1969 Borrell era in un kibbutz e la sua prima moglie e madre dei suoi due figli è di origine ebraica. È noto per essere un difensore degli interessi filo-israeliani all’interno del Partito socialista.
[15] Questa non è l’unica relazione che rimane poco chiara. Abbiamo appreso solo di recente che durante lo stesso periodo in cui voleva aderire alla CCI, faceva parte ed era il principale animatore in Spagna della tendenza chiamata cyberpunk, essendo un promotore del cyber attivismo.
[16] Il desiderio di uno stile di vita “comunitario”, che spiega il suo fascino per il kibbutz, e che era presente nell’Unione Spartachista, dove c’era un tentativo di vivere in comune, ne era un esempio.
[17] Negli anni ‘80 un elemento chiamato “Chenier” fu scoperto e denunciato sulla nostra stampa come avventuriero. Non molto tempo dopo, lo vedemmo lavorare agli ordini del Partito Socialista Francese. Questo ci mise in allerta per una possibile relazione tra Gaizka e il PSOE che era molto più stretta di quanto lui avesse mai riconosciuto.
[18] Segretario generale attuale del PSC (Partito socialista della Catalogna); militante della Gioventù Socialista e del PSOE dal 1978; nel 1998-99 deputato di Barcellona al Congresso dei deputati. https://pp.one/ [88].
[19] Poiché l'istituzione non è poco conosciuta, vedi qui un riferimento alla sua fondazione dal quotidiano Ultima Hora di Maiorca, basato su un articolo dell’agenzia Efe: https://www.ultimahora.es/noticias/sociedad/1999/03/01/972195/espanol-preside-nuevo-consejo-europeo-accion-humanitaria-cooperacion.html [89]
[20] Fu proprio la guerra nell’ex Jugoslavia (i primi bombardamenti e massacri in Europa dalla II Guerra Mondiale) a essere condotta sotto la bandiera dell’“umanitarismo”; e gli attacchi aerei della NATO furono presentati come “aiuti alla popolazione” contro i para-militari. Per conoscere la nostra posizione sul conflitto imperialista del 1999 nel Kosovo, consultare il nostro sito « La “paix” au Kosovo, un moment de la guerre impérialiste”, https://fr.internationalism.org/french/rint/98_edito_kosovo [90].
[21] Juan Alberto Belloch è stato Ministro della Giustizia e degli Interni con Felipe González (1993-96) prima di assumere la carica di sindaco di Saragozza.
[23] REPSOL è la prima azienda specializzata in estrazione, raffinazione e commercio di petrolio e derivati. Tiene una importante presenza internazionale, specialmente in America del Sud.
[24] Leader del PSOE e numero due di Alfredo Pérez Rubalcaba, un defunto Ministro degli Interni e autentico “Richelieu” dei governi socialisti, che costrinse i controllori del traffico aereo a tornare al lavoro con la mitragliatrice.
[25] web.psoe.es/izquierdasocialista/docs/648062/page/patriotas-por-dios-por-patria-repsol.html.
[26] Dal giornale La Nación, Argentina.
[27] Questo blog non esiste più, quindi non possiamo fornire un link, ma possediamo le schermate pertinenti.
[28] Un giornalista che era stato in precedenza militante del gruppo maoista Bandera Roja e del partito stalinista in Catalogna (PSUC) e che oggi sostiene Vox e l’estrema destra del PP. Ha scritto per ABC ed El Mundo ed è stato speaker di Radio COPE. Oggi è animatore del giornale on-line Libertad e della sua es.radio.
[29] Fondatore della rivista Público che ha poi abbandonato per promuovere Dairio.es come suo principale conduttore. È analista nel talk-show della catena televisiva La Sexta.
[30] “Che ci fa una brava ragazza come te in un posto come questo?”, espressione presa da una canzone del gruppo di Madrid Burning che ebbe molto successo negli anni ‘80, al punto che a partire da questa fu girato un film diretto da Fernando Colomo e interpretato da Carmen Maura.
[31] In questo congresso vi era una separazione tra le ultime tendenze proletarie che ancora stavano combattendo all’interno del PSOE, sebbene fossero molto confuse (centriste). Il tema di questo congresso era se aderire alla Terza Internazionale, proposta che fu respinta con 8269 mandati contro e 5016 a favore. I partigiani dell’adesione al Comintern abbandonarono il Congresso per fondare il Partito Comunista dei Lavoratori spagnolo.
[32] Revolution or War, n°9 (GIGC).
[33] Vedi nota 1.
[34] Revolution or War n° 12. Lettera del GIGC a Emancipación sul suo 1° Congresso.
I testi di discussione che pubblichiamo qui sono il prodotto di un dibattito interno alla CCI sul significato e la direzione della fase storica della vita del capitalismo decadente che si è definitivamente aperta con il crollo del blocco imperialista russo nel 1989: la fase della decomposizione, la fase terminale della decadenza capitalistica.
Al 23° Congresso della CCI ho presentato una serie di emendamenti alla risoluzione sulla situazione internazionale. Questo contributo si concentrerà su quelli dei miei emendamenti, respinti dal Congresso, che ruotano intorno alle due divergenze centrali che ho con la posizione del Congresso: sulle tensioni imperialiste, e sul rapporto di forze tra proletariato e borghesia. C'è un filo rosso che collega queste divergenze, e ruota intorno alla questione della decomposizione.
Sebbene tutta l'organizzazione condivida la stessa analisi della decomposizione come fase terminale del capitalismo decadente, quando si tratta di applicare questo quadro alla situazione attuale emergono differenze di interpretazione. Ciò su cui siamo tutti d'accordo è che questa fase terminale non solo è stata inaugurata da, ma ha le sue radici più profonde nell'incapacità di ciascuna delle due principali classi della società capitalistica di attuare le loro opposte soluzioni alla crisi del capitalismo decadente: la guerra generalizzata (la borghesia) o la rivoluzione mondiale (il proletariato). Ma, dal punto di vista della posizione attuale dell'organizzazione, sembrerebbe esserci una seconda causa essenziale e caratteristica di questa fase terminale, che è la tendenza al “ciascuno contro tutti” (o ciascuno per sé, ndt): tra gli Stati, all'interno della classe dirigente, all'interno della società borghese in generale. Su questa base, per quanto riguarda l'imperialismo, la CCI tende attualmente a sottovalutare la tendenza alla bipolarità (e quindi alla eventuale ricostituzione di blocchi imperialisti), e con essa il crescente pericolo di scontri militari tra le grandi potenze stesse. Su questa stessa base, la CCI oggi, per quanto riguarda l'equilibrio delle forze tra le classi, tende a sottovalutare la gravità dell'attuale perdita di prospettiva rivoluzionaria da parte del proletariato, portandoci a pensare che essa possa riconquistare la sua identità di classe e cominciare a riconquistare una prospettiva rivoluzionaria essenzialmente attraverso le lotte operaie difensive.
Da parte mia, pur concordando sul fatto che il ciascuno per sé è una caratteristica molto importante della decomposizione (che gioca un ruolo enorme nell'inaugurazione di questa fase terminale con la disintegrazione dell'ordine mondiale imperialista del secondo dopoguerra), non sono d'accordo che sia una delle sue cause principali. Al contrario, rimango convinto che lo stallo tra le due classi principali, causato dalla loro incapacità di imporre la propria prospettiva di classe, sia la causa essenziale - e non il ciascuno per sé. Per me, la CCI si sta allontanando dalla nostra posizione originaria sulla decomposizione, dando al "ciascuno per sé" un'importanza causale simile a quella dell'assenza di prospettiva. Per come la vedo io, l'organizzazione si sta muovendo verso la posizione che, con la decomposizione, c'è un nuovo fattore che non esisteva ancora nelle fasi precedenti del capitalismo decadente. Questo fattore è la predominanza del ciascuno contro tutti, delle forze centrifughe, mentre, prima della decomposizione, la tendenza alla disciplina dei blocchi, le forze centripete, tendevano a prendere il sopravvento. Per me, al contrario, nella fase di decomposizione non c'è una tendenza maggiore che non esisteva già prima nel periodo di decadenza. La nuova qualità della fase di decomposizione consiste nel fatto che tutte le contraddizioni già esistenti sono esacerbate fino all'eccesso. Questo vale per la tendenza al ciascuno contro tutti, che si esacerba anche essa con la decomposizione. Ma si esacerba anche la tendenza alla guerra tra le grandi potenze, così come tutte le tensioni intorno al passaggio a nuovi blocchi, i tentativi degli Stati Uniti di contrastare nuovi sfidanti, ecc.
Per questo motivo ho presentato il seguente emendamento al punto 15 della risoluzione, ricordando il perdurare della bipolarità imperialista (lo sviluppo di una rivalità principale tra due grandi potenze) e i pericoli che ciò comporta per il futuro dell'umanità:
"Durante il periodo dei blocchi militari dopo il 1945, c'erano due tipi di guerra principalmente all'ordine del giorno:
- un'eventuale terza guerra mondiale, che avrebbe probabilmente portato all'annientamento dell'umanità
- guerre locali più o meno ben controllate dai leader dei due blocchi.
Attualmente, anche se la terza guerra mondiale non è all'ordine del giorno, ciò non significa che sia scomparsa la tendenza al bipolarismo degli antagonismi imperialisti. L'ascesa e l'espansione della Cina, che potrebbe alla fine riuscire a sfidare gli Stati Uniti, è attualmente l'espressione principale di questa tendenza (per il momento ancora chiaramente secondaria) alla formazione di nuovi blocchi.
Per quanto riguarda il fenomeno delle guerre locali, esse sono ovviamente continuate senza sosta in assenza di blocchi, ma hanno una tendenza molto più forte ad andare fuori controllo, dato il numero delle regioni e delle grandi potenze coinvolte, e il grado e l'estensione della distruzione e del caos che causano. In questo contesto, il pericolo dell'uso di bombe atomiche e di altre armi di distruzione di massa, e di scontri militari diretti anche tra le stesse grandi potenze è maggiore di prima".
Il rifiuto di questo emendamento da parte del Congresso parla da sé. Stiamo voltando le spalle a quello che è probabilmente il più importante pericolo di guerra tra le grandi potenze nei prossimi anni: che gli Stati Uniti utilizzino la loro superiorità militare ancora esistente contro la Cina nel tentativo di fermare l'ascesa di quest'ultima. In altre parole, il pericolo attuale non è, in realtà, quello di una guerra mondiale tra due blocchi imperialisti, ma di avventure militari volte a montare o a prevenire una sfida allo status quo imperialista esistente, e che tenderebbero a diventare un'incontrollabile conflagrazione globale molto diversa dalle due guerre mondiali del XX secolo. La rivalità sino-americana di oggi assomiglia a quella che, all'epoca della prima guerra mondiale, si era instaurata tra la Germania, la sfidante in ascesa, e l'allora prima potenza mondiale, la Gran Bretagna. Quest'ultimo conflitto portò al declino di entrambe. Ma questo avveniva su scala europea, mentre oggi avviene su scala mondiale, per cui non c'è più nessun terzo (come l'America nelle due guerre mondiali) che aspetta di intervenire dall'esterno per raccoglierne i frutti. Oggi, il "no futuro" sarà molto probabilmente per tutti. Lungi dall'essere esclusi dalla nostra teoria della decomposizione, i conflitti contemporanei tra le grandi potenze la confermano fortemente.
In una risposta sul nostro sito web a una critica di questa parte della risoluzione del 23° Congresso da parte di un simpatizzante della CCI (Mark Hayes), dopo aver affermato che "il militarismo e la guerra imperialista sono ancora caratteristiche fondamentali di questa fase finale di decadenza", aggiungiamo "anche se i blocchi imperialisti sono scomparsi e probabilmente non si formeranno più". Nella stessa risposta, sosteniamo: "La prospettiva è verso le guerre locali e regionali, la loro diffusione verso i centri stessi del capitalismo attraverso la proliferazione del terrorismo, insieme al crescente disastro ecologico e alla putrefazione generale". Guerre regionali, proliferazione del terrorismo, disastri ecologici: sì! Ma perché escludere così accuratamente da questa prospettiva il pericolo di scontri militari tra le grandi potenze? E perché affermiamo che probabilmente non si formeranno più blocchi imperialisti? In realtà, ciò che tendiamo a dimenticare è che "ognuno contro tutti" non è che un polo di una contraddizione, l'altro polo della quale è la tendenza al bipolarismo e ai blocchi imperialisti.
La tendenza verso l'uno contro tutti e la tendenza al bipolarismo esistono entrambe in modo permanente e simultaneo nel capitalismo decadente. La tendenza generale è che l'uno abbia il sopravvento sull'altro, in modo che l'uno sia principale e l'altro secondario. Ma nessuno dei due scompare mai. Anche nel momento culminante della guerra fredda (quando il mondo era diviso in due blocchi rimasti stabili per decenni) la tendenza verso il ciascuno contro tutti non è mai del tutto scomparsa (ci sono stati scontri militari tra membri dello stesso blocco da entrambe le parti). Anche nel punto culminante del ciascuno contro tutti e la schiacciante superiorità degli Stati Uniti (dopo il 1989) la tendenza verso i blocchi non è mai del tutto scomparsa (la politica della Germania verso i Balcani e l'Europa orientale dopo la sua unificazione). Inoltre, il dominio dell'una tendenza può passare rapidamente all'altra, poiché non si escludono a vicenda. L'imperialismo del ciascuno contro tutti negli anni Venti, per esempio, (mitigato solo dalla paura della rivoluzione proletaria) si è trasformato nella costellazione dei blocchi della seconda guerra mondiale. Il bipolarismo del dopoguerra si è rapidamente trasformato in un inedito ciascuno contro tutti nel 1989. Tutto questo non è una novità. È la posizione che la CCI ha sempre difeso.
Il principale ostacolo alla tendenza al bipolarismo imperialista nel capitalismo decadente non è il ciascuno contro tutti, ma l'assenza di un candidato abbastanza forte da lanciare una sfida globale alla potenza leader. Questo è stato il caso dopo il 1989. Il rafforzamento della tendenza bipolare negli ultimi anni è quindi soprattutto il risultato dell'ascesa della Cina.
A questo livello, abbiamo un problema di assimilazione della nostra stessa posizione. Se pensiamo che l'ognuno contro tutti sia una delle principali cause di decomposizione, l'idea stessa che il polo opposto, quello della bipolarità, stia attualmente riguadagnando forza, e potrebbe un giorno anche prendere il sopravvento, appare necessariamente una messa in discussione della nostra posizione sulla decomposizione. È vero che, intorno al 1989, è stato il crollo del blocco orientale (che ha reso superflua la sua controparte occidentale) a inaugurare la fase di decomposizione, innescando la più grande esplosione dell’“ognuno contro tutti" della storia moderna. Ma questo "ciascuno contro tutti" è stato il risultato, non la causa, di sviluppi più profondi: lo stallo tra le classi. Al centro di questi sviluppi c'è stata la perdita di prospettiva, il "nessun futuro" prevalente che caratterizza questa fase terminale. Più recentemente, l'ondata contemporanea del populismo politico è un'altra manifestazione di questa fondamentale mancanza di prospettiva da parte di tutta la classe dirigente. Per questo motivo ho proposto il seguente emendamento al punto 4 della risoluzione:
"Il populismo contemporaneo è un altro chiaro segno di una società che va verso la guerra:
- l'ascesa del populismo stesso è un prodotto della crescente aggressività e degli impulsi di distruzione generati dalla società borghese attuale
- poiché, tuttavia, questa aggressività "spontanea" non è di per sé sufficiente a mobilitare la società per la guerra, i movimenti populisti di oggi sono necessari a questo scopo da parte della classe dirigente.
In altre parole, essi sono allo stesso tempo un sintomo e un fattore attivo della spinta alla guerra".
Anche questo emendamento è stato respinto dal Congresso. Secondo le parole della commissione per gli emendamenti:
"Non siamo in disaccordo con il fatto che il populismo faccia parte di un crescente clima di violenza nella società, ma pensiamo che ci sia una differenza di concezione sulla marcia verso la guerra che non corrisponde all'approccio generale della risoluzione".
Questo è molto vero. L'intenzione dell'emendamento era di modificare, anzi correggere la risoluzione su questo punto. (La commissione emendamenti, tra l'altro, ha fornito lo stesso argomento per il suo rifiuto dell'emendamento al punto 15, vedi sopra). Esso voleva non solo far suonare il campanello d'allarme in relazione al crescente pericolo di guerra, ma anche mostrare che la particolare irrazionalità del populismo è solo una parte dell'irrazionalità della classe borghese nel suo complesso. Questa irrazionalità è già una delle principali caratteristiche del capitalismo decadente, molto prima della decomposizione: la tendenza di parti crescenti della classe dirigente ad agire in modo dannoso per i propri interessi. Così, tutte le principali potenze europee sono emerse indebolite dalla prima guerra mondiale, e la sfida a tutto il resto del mondo da parte della Germania e del Giappone nella seconda guerra mondiale costituiva già una sorta di impeto suicida.
Ma questa tendenza non era ancora del tutto prevalente. In particolare, gli Stati Uniti hanno tratto profitto sia economicamente che militarmente dalla loro partecipazione ad entrambe le guerre mondiali. E si potrebbe anche sostenere che, per il blocco occidentale, la Guerra Fredda si rivelò avere una certa razionalità, poiché la sua politica di contenimento militare e di strangolamento economico contribuì al crollo della sua controparte orientale senza una guerra mondiale. Al contrario, nella fase di decomposizione, è la stessa prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, che è all'avanguardia nel creare il caos, nell’impazzire, ed è difficile capire come qualcuno possa trarre beneficio dalle guerre tra gli Stati Uniti e la Cina. Irrazionalità e "nessun futuro" sono le due facce della stessa medaglia, una grande tendenza del capitalismo decadente. In questo contesto, quando alcune delle correnti populiste dell'Europa occidentale continentale ora sostengono di poter fare in futuro affari preferibilmente con la Russia o la Cina, e sono pronte a rompere con i loro nemici "anglosassoni" preferiti (Stati Uniti e Gran Bretagna), questa è chiaramente un'espressione di "nessun futuro". Ma, nell'opporvisi, la razionalità di Angela Merkel consiste nel riconoscere che, se la polarizzazione tra America e Cina continua ad accentuarsi come oggi, la Germania non avrebbe altra scelta che schierarsi dalla parte degli Stati Uniti, sapendo che non permetterebbe in nessun caso all'Europa di cadere sotto il dominio "asiatico".
Passando alla parte della risoluzione sulla lotta di classe, fondamentalmente diventa evidente la stessa divergenza sull'applicazione del concetto di decomposizione. Una parte fondamentale della risoluzione è il punto 5, poiché affronta i problemi della lotta di classe negli anni '80 - il decennio alla fine del quale inizia la fase di decomposizione. Riassumendo le lezioni di questo decennio, si conclude come segue:
"Ma peggio ancora, con questa strategia di dividere i lavoratori e di incoraggiare l’ “ognuno per sé”, la borghesia e i suoi sindacati sono riusciti a presentare le sconfitte della classe operaia come vittorie.
I rivoluzionari non devono sottovalutare il machiavellismo della borghesia nell'evoluzione del rapporto di forze tra le classi. Questo machiavellismo non può che continuare con l'aggravarsi degli attacchi alla classe sfruttata. La stagnazione della lotta di classe, poi il suo riflusso alla fine degli anni Ottanta, è il risultato della capacità della classe dirigente di volgere alcune manifestazioni della decomposizione della società borghese, soprattutto la tendenza all' "ognuno per sé", contro la classe operaia".
Il punto 5 ha ragione nel sottolineare l'importanza dell'impatto negativo dell' "ognuno per sé" sulle lotte dei lavoratori di allora. È anche giusto sottolineare il machiavellismo della classe dirigente nel promuovere questa mentalità. Ciò che colpisce, tuttavia, è che il problema della mancanza di prospettiva è assente da questa analisi sulle difficoltà della lotta di classe. Il che è tanto più notevole in quanto gli anni Ottanta sono passati alla storia come il decennio del "niente futuro". È lo stesso approccio che abbiamo già incontrato per quanto riguarda l'imperialismo. Gli eventi sono analizzati soprattutto dal punto di vista del ciascuno contro tutti, a scapito del problema della mancanza di prospettiva. Per correggerlo, ho proposto il seguente emendamento, da aggiungere alla fine del punto:
"Tuttavia, questi scontri con i sindacati non hanno in alcun modo invertito, o addirittura arrestato, la regressione a livello della prospettiva rivoluzionaria. Questo è stato ancora più vero negli anni Ottanta che negli anni Settanta. Le due più importanti e massicce lotte operaie del decennio (Polonia 1980, i minatori britannici) hanno portato ad un aumento del prestigio dei sindacati coinvolti".
Il Congresso ha respinto questo emendamento. L'argomento addotto per questo dalla Commissione emendamenti (CE) è stato:
"La regressione nella prospettiva rivoluzionaria è iniziata con la caduta dei regimi stalinisti nel 1989. La Polonia 1980 non aveva le stesse caratteristiche della lotta settoriale dei minatori in Gran Bretagna nel 1984-5. In Polonia c'è stata una dinamica di sciopero di massa, con l'estensione geografica del movimento e l'auto-organizzazione in assemblee generali sovrane (MKS) in un paese stalinista, prima della fondazione del sindacato Solidarnosc. La Polonia del 1980 fu l'ultimo movimento della seconda ondata di lotte. Data la perdita delle nostre acquisizioni, dobbiamo rileggere le nostre analisi della terza ondata di lotte".
Questo almeno ha il merito di essere chiaro: prima del 1989 non c'è stata alcuna regressione nella prospettiva rivoluzionaria. Ma come si correla con la nostra analisi della decomposizione? Secondo questa analisi, è stata l'incapacità delle due classi principali a far avanzare le proprie soluzioni che ha causato e portato alla fase di decomposizione. Se quest'ultima inizia nel 1989, ciò che l'ha causata deve essere già esistita in precedenza: l'assenza di prospettiva - sia da parte della borghesia che del proletariato. La Commissione emendamenti, ma anche il punto 5 della risoluzione stessa, citano la Polonia come prova che non c'è stata alcuna regressione nella prospettiva prima dell'89. Ma, semmai, la Polonia dimostra il contrario. La prima ondata di lotte di una nuova e imbattuta generazione di proletari, a partire dal 1968 in Francia e dal 1969 in Italia, ha prodotto una nuova generazione di minoranze rivoluzionarie. La stessa CCI è il prodotto di questo processo. Al contrario, l'ondata di lotte della fine degli anni Settanta, culminata nello sciopero di massa del 1980 in Polonia, non ha prodotto nulla del genere. E ciò che ne è seguito, negli anni Ottanta, è stata una crisi che ha colpito l'intero milieu politico proletario esistente. Nessuna delle grandi lotte operaie degli anni Ottanta ha prodotto né uno slancio politico nella classe nel suo complesso, né uno slancio rivoluzionario tra le sue minoranze rivoluzionarie come quello del decennio precedente. Ignorando questo, la risoluzione presenta le cose come se l'ognuno per sé fosse la principale debolezza, accuratamente separata dalla questione della prospettiva. Questo approccio del Congresso è sottolineato anche nella bocciatura di un'altra mia formulazione di emendamento che diceva che "già prima degli eventi storici mondiali del 1989, la lotta di classe stava 'segnando il passo' a livello di combattività e regredendo rispetto alla prospettiva rivoluzionaria".
L'argomentazione della Commissione Emendamenti. "Questo emendamento introduce l'idea che ci fosse una continuità tra le difficoltà della lotta di classe negli anni '80 (segnare il passo) e la rottura provocata dal crollo del blocco orientale". Quindi non c'è "continuità"? Si può naturalmente sostenerlo. Ma questo ha qualcosa a che fare con la nostra analisi dello stallo tra le classi che è la causa della decomposizione? Il 1989 è stato davvero una rottura, ma con una preistoria di lotta di classe, oltre che di lotta imperialista. Anche se questa idea dell' "l’ognuno per sé" come centrale per la decomposizione, qualcosa di simile all'assenza di prospettiva, non è (o non è ancora?) la posizione ufficiale dell'organizzazione, direi che è almeno implicita nell'argomentazione di questa risoluzione.
Al punto 7 della risoluzione, gli eventi del 1989 e il loro legame con la lotta di classe sono trattati in questo modo:
" Quando la terza ondata di lotte cominciò ad esaurirsi verso la fine degli anni ’80, un evento fondamentale nella situazione internazionale, il crollo spettacolare del blocco dell’Est e dei regimi stalinisti nel 1989, ha portato un duro colpo alla dinamica della lotta di classe, modificando così in modo rilevante il rapporto di forza tra proletariato e borghesia a favore di quest’ultima. Questo avvenimento ha segnato con forza l’entrata del capitalismo nella fase ultima della sua decadenza: quella di decomposizione. Crollando, lo stalinismo ha reso un ultimo servizio alla borghesia. Ha consentito alla classe dominante di porre un freno alla dinamica della lotta di classe che, con progressi e battute di arresto, si era sviluppata per due decenni.
In effetti, dal momento che non è stata la lotta del proletariato ma la decomposizione in atto del capitalismo che aveva messo fine allo stalinismo, la borghesia ha potuto sfruttare questo avvenimento per scatenare una gigantesca campagna ideologica tesa a perpetuare la più grande menzogna della Storia: l’identificazione del comunismo con lo stalinismo. Così, la classe dominante ha sferrato un colpo estremamente violento alla coscienza del proletariato. Le campagne assordanti della borghesia sul preteso “fallimento del comunismo” hanno provocato una regressione del proletariato nel suo cammino verso la prospettiva storica di abbattimento del capitalismo. Hanno sferrato un colpo alla sua identità di classe."
Qui, i drammatici eventi del 1989 sembrano non avere nulla a che fare con l'equilibrio del rapporto di forze tra le classi. Questo assunto, tuttavia, è in contraddizione non solo con la nostra teoria della decomposizione, ma anche con la nostra teoria del corso storico. Secondo la CCI, era il blocco orientale, dopo il 1968, che, essendo sempre più arretrato sui vari livelli, aveva bisogno di cercare una soluzione militare alla guerra fredda. Attaccando in Europa con mezzi di guerra "convenzionali" (dove l'equilibrio delle forze non gli era così sfavorevole), il Patto di Varsavia avrebbe dovuto riporre le sue speranze nel fatto che il suo nemico occidentale non osasse reagire a livello nucleare (per paura della MAD - "Mutually Assured Destruction" – la reciproca sicura distruzione). Ma, durante gli anni '70 e '80, il blocco orientale non era in grado di giocare questa carta, e una delle ragioni principali era che non poteva contare sull'acquiescenza della sua "propria" classe operaia. Questo però sarebbe stato essenziale per una guerra di tale portata. A questo livello, lo sciopero di massa del 1980 in Polonia fu una massiccia conferma della nostra analisi. Le truppe sovietiche, mobilitate all'epoca vicino al confine in preparazione di un'invasione della Polonia, si ammutinarono, i soldati si rifiutarono di marciare contro le loro sorelle e fratelli di classe in Polonia. Ma la Polonia del 1980 ha dimostrato non solo che il proletariato era un ostacolo alla guerra mondiale, ma anche che non era in grado di andare oltre questa capacità di bloccare il suo avversario per far avanzare la propria alternativa rivoluzionaria. La classe operaia occidentale avrebbe dovuto scendere in campo. Ma negli anni Ottanta non è stata in grado di farlo. Si preparava così il terreno per la fase di stallo che avrebbe portato alla fase di decomposizione alla fine del decennio. La risoluzione è perfettamente giusta: il crollo dello stalinismo del 1989, e l'uso massimo che ne ha fatto la propaganda borghese, è stato il principale colpo contro la combattività, l'identità di classe, la coscienza di classe del proletariato. Ciò che contesto è l'affermazione che ciò non sia stato preparato prima dallo stallo tra le classi, e in particolare dall'indebolimento della presenza della prospettiva nel proletariato. Apparentemente senza rendersene conto, la risoluzione stessa ammette l'esistenza di questo legame tra il 1989 e prima quando scrive (punto 6) che la borghesia ha potuto sfruttare questo evento "in quanto non è stata la lotta del proletariato, ma l'imputridimento della società capitalista a porre fine allo stalinismo".
Le lotte operaie della fine degli anni Sessanta hanno posto fine alla controrivoluzione, non solo perché erano massicce, spontanee e spesso auto-organizzate, ma anche perché sono uscite dalla stretta ideologica della guerra fredda, secondo la quale si doveva stare o dalla parte del "comunismo" (il blocco orientale) o della "democrazia" (il blocco occidentale). Con la lotta operaia degli anni '60 è apparsa l'idea di una lotta contro la classe dirigente sia a est che a ovest, del marxismo contro lo stalinismo, di una rivoluzione per mezzo di consigli operai che portasse al vero comunismo. Questa prima politicizzazione (come sottolinea la risoluzione) è stata contrastata con successo dalla classe dirigente negli anni Settanta. Di fronte alla conseguente depoliticizzazione, la speranza degli anni Ottanta era che le lotte economiche, in particolare il confronto con i sindacati, potessero diventare il crogiolo di una ri-politicizzazione, forse anche ad un livello più alto. Ma anche se negli anni '80 ci sono state lotte di massa, anche se ci sono stati scontri con i sindacati, e persino con il sindacalismo di base radicale, soprattutto in Occidente, ma anche, per esempio, in Polonia contro il nuovo sindacato "libero", non sono riusciti a produrre l'auspicata politicizzazione. Questo fallimento è già riconosciuto dalla nostra teoria della decomposizione, poiché definisce la nuova fase come una fase senza prospettiva, e questa assenza di prospettiva come causa dello stallo. La politicizzazione proletaria è sempre politica in relazione a un obiettivo che va oltre il capitalismo. Data la centralità dell'idea di una sorta di stallo tra le due classi principali per la nostra teoria della decomposizione, le differenze di valutazione delle lotte degli anni Ottanta sono di particolare rilevanza per la stima della lotta di classe fino ad oggi. Secondo la risoluzione, la lotta proletaria, nonostante tutti i problemi con cui si è scontrato, si stava sostanzialmente sviluppando positivamente fino a quando, nel 1989, è stato fermato nel suo percorso da un evento storico mondiale che gli era fondamentalmente estraneo. Poiché anche gli effetti di tali eventi, anche i più opprimenti, sono destinati ad esaurirsi con il tempo, dovremmo essere abbastanza fiduciosi nella capacità della classe di riprendere il suo viaggio interrotto lungo lo stesso percorso. Questo percorso è quello della sua radicalizzazione politica attraverso le sue lotte economiche. Inoltre, questo processo sarà accelerato dall'aggravarsi della crisi economica, che obbliga subito i lavoratori a lottare e fa perdere loro le illusioni, aprendo loro gli occhi sulla realtà del capitalismo. È così che la risoluzione sostiene il modello degli anni Ottanta come via da seguire. Riferendosi allo sciopero di massa del 1980, dice:
"Questa gigantesca lotta della classe operaia in Polonia ha rivelato che è nella lotta massiccia contro gli attacchi economici che il proletariato può prendere coscienza della propria forza, affermare la propria identità di classe, antagonista del capitale, e sviluppare la propria fiducia in se stesso".
La risoluzione forse pensa a queste lotte economiche quando conclude il punto 13 con una citazione dalle nostre Tesi sulla Decomposizione:
"Oggi la prospettiva storica rimane completamente aperta. Nonostante il colpo che il crollo del blocco orientale ha inferto alla coscienza proletaria, la classe non ha subito grandi sconfitte sul terreno della sua lotta (...) Inoltre, e questo è l'elemento che in ultima analisi determinerà l'esito della situazione mondiale, l'inesorabile aggravamento della crisi capitalistica costituisce lo stimolo essenziale per la lotta di classe e lo sviluppo della coscienza, il presupposto per la sua capacità di resistere al veleno distillato dal marciume sociale. Infatti, mentre non vi è alcuna base per l'unificazione della classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base per lo sviluppo della sua forza e unità di classe".
Perfettamente vero. Ma la lotta proletaria contro gli effetti della crisi capitalistica non ha solo una dimensione economica, ma anche politica e teorica. La dimensione economica è indispensabile: una classe incapace di difendere i propri interessi immediati non sarebbe mai in grado di fare una rivoluzione. Ma le altre due dimensioni non sono meno indispensabili. A maggior ragione oggi, quando il problema centrale è la mancanza di prospettiva. Già negli anni Ottanta, la principale debolezza della classe non era a livello delle sue lotte economiche, ma a livello politico e teorico. Senza uno sviluppo qualitativo a questi due livelli, le lotte economiche difensive avranno difficoltà crescenti a rimanere su un terreno proletario di solidarietà di classe. Questo è tanto più vero oggi che siamo arrivati a una fase in cui la depoliticizzazione, che era una caratteristica così importante già negli anni Ottanta, viene sostituita da diverse versioni di putrida politicizzazione come il populismo e l'anti-populismo, l'anti-globalizzazione, le cause identitarie e le rivolte inter-classiste. È sulla base dell'avanzamento di tutte queste putride politicizzazioni negli ultimi anni che ho presentato al congresso la seguente analisi dell'attuale equilibrio nel rapporto di forze tra le classi:
"Tuttavia, queste prime reazioni proletarie non sono riuscite a invertire il riflusso mondiale di combattività, identità di classe e di coscienza nella classe dal 1989. Al contrario, ciò che stiamo vivendo attualmente non è solo il prolungamento, ma anche l'approfondimento di questo riflusso. A livello di identità di classe, la modificazione del discorso della classe dominante è l'indicazione più chiara di questa regressione. Dopo anni di propaganda sulla sua presunta scomparsa nei vecchi centri capitalisti, oggi è la destra populista che ha 'riscoperto' e 'riabilitato' la classe operaia come 'vero cuore della nazione' (Trump)".
E
"A livello della prospettiva rivoluzionaria, il modo in cui anche i classici rappresentanti istituzionali dell'ordine dominante (come il Fondo Monetario Internazionale) rendono il capitalismo responsabile del cambiamento climatico, della distruzione ambientale o del crescente divario nel reddito tra ricchi e poveri, mostra il grado in cui la borghesia, come classe dirigente, è, per il momento, seduta in sella con sicurezza e fiducia. Finché il capitalismo è considerato come parte della "natura umana" (la forma contemporanea, per così dire, della "natura umana"), questo discorso anticapitalista, lungi dall'essere indice di una maturazione, è un segno di un ulteriore arretramento della coscienza all'interno della classe".
Il Congresso ha respinto questa analisi dell'approfondimento del riflusso dal 1989. Né ha condiviso la mia preoccupazione di ricordare che le lotte difensive, di per sé, sono tutt'altro che una garanzia che la causa proletaria è sulla strada giusta:
"Tuttavia, che la crisi economica possa essere l'alleato della rivoluzione proletaria, e lo stimolo dell'identità di classe, dipende da una serie di fattori, il più importante dei quali è il contesto politico. Durante gli anni Trenta, anche le lotte difensive più militanti, radicali e massicce (occupazioni di fabbrica in Polonia, proteste dei disoccupati in Olanda, scioperi generali in Belgio e in Francia, scioperi selvaggi in Gran Bretagna (anche durante la guerra) e negli Stati Uniti, e persino un movimento che assumeva una forma insurrezionale (Spagna) non riuscirono a invertire la regressione della coscienza all'interno della classe. Nella fase attuale, le sconfitte parziali della classe, anche a livello di coscienza di classe, sono tutt'altro che escluse. Esse, a loro volta, ostacolerebbero il ruolo della crisi come alleato della lotta di classe.
Ma, a differenza degli anni Venti e Trenta, tali sconfitte non porterebbero a una controrivoluzione, poiché non sono state precedute da alcuna rivoluzione. Il proletariato sarebbe ancora in grado di riprendersi da tali sconfitte, che avrebbero meno probabilità di avere un carattere definitivo". (Emendamento respinto, fine del punto 13)
La questione se ci sia o meno un ulteriore indebolimento del proletariato nel rapporto di forze tra le classi è stata una delle due principali divergenze al Congresso sulla lotta di classe.
L'altra riguardava la maturazione sotterranea che, secondo la risoluzione, si starebbe attualmente verificando all'interno della classe. Si tratta di una maturazione sotterranea della coscienza non ancora visibile, la famosa "Vecchia Talpa" a cui si riferisce Marx. La divergenza al Congresso non riguardava la validità generale di questo concetto di Marx - che tutti noi condividiamo. E non si trattava nemmeno della possibilità o meno che un tale processo possa avere luogo anche quando le lotte dei lavoratori sono in riflusso - tutti noi affermiamo che è possibile. La questione in discussione era se un tale processo si stia svolgendo o meno in questo momento. Il problema è che la risoluzione non è in grado di fornire alcuna prova empirica a sostegno di questa affermazione. O il suo postulato è il prodotto di un'illusione, oppure di una logica puramente deduttiva, secondo la quale si può supporre che ciò che dovrebbe avvenire - secondo la nostra analisi - stia avvenendo. L'evidenza fornita è molto lacunosa: la continua esistenza di organizzazioni rivoluzionarie, l'esistenza di contatti di queste organizzazioni. Sebbene la Vecchia Talpa scavi nel sottosuolo, lascia tracce della sua operosità in superficie. Criticando l'inadeguatezza delle indicazioni fornite nella risoluzione, ho avanzato delle critiche:
"In questo senso, lo sviluppo qualitativo della coscienza di classe da parte delle minoranze rivoluzionarie non ci dà di per sé un'indicazione di ciò che sta accadendo momentaneamente a livello di maturazione sotterranea all'interno della classe nel suo complesso - poiché questo può avvenire sia durante una fase rivoluzionaria che controrivoluzionaria, sia durante le fasi di sviluppo che di riflusso della classe nel suo complesso. Allo stesso modo, l'emergere di piccole minoranze e di giovani elementi alla ricerca di una prospettiva di classe e di posizioni comuniste di sinistra è possibile anche nelle ore più buie della controrivoluzione, poiché esse sono prima di tutto espressione della natura rivoluzionaria del proletariato (che non scompare mai finché esiste ancora la classe operaia); sarebbe diverso se cominciasse ad apparire un'intera nuova generazione di militanti rivoluzionari. Ma è ancora troppo presto per esprimere un giudizio su questa possibilità". (Emendamento respinto).
E ho proposto i seguenti criteri:
"Non è, per definizione, facile individuare una maturazione sotterranea al di fuori dei periodi di lotta aperta: difficile, ma non impossibile. Ci sono due indicatori delle attività sotterranee della vecchia talpa a cui dobbiamo prestare particolare attenzione
a) la politicizzazione di settori più ampi degli elementi di ricerca della classe, come abbiamo visto negli anni '60/'70
b) lo sviluppo di una cultura della teoria e di una cultura del dibattito (come ha cominciato ad esprimersi in modo embrionale nel movimento anti-CPE in quello degli Indignados) come manifestazioni fondamentali del proletariato come classe della coscienza e dell’associazione. Sulla base di questi due criteri, c'è un alto grado di probabilità che stiamo attraversando una fase di "regressione sotterranea" (dove la Vecchia Talpa ha preso una pausa temporanea), caratterizzata da un rinnovato rafforzamento del sospetto nei confronti delle organizzazioni politiche, da una maggiore attrazione della piccola politica borghese e da un indebolimento dell'impegno teorico e della cultura del dibattito".
Senza l’obiettivo di andare al di là del capitalismo, il movimento operaio non può difendere efficacemente i suoi interessi di classe. Né le lotte economiche in se stesse - per quanto indispensabili - possono bastare a recuperare la coscienza rivoluzionaria di classe (compresa la sua dimensione di identità di classe). Infatti, nel quarto di secolo successivo al 1989, il fattore singolo più importante della lotta di classe proletaria non è stato quello delle lotte di difesa economica, ma il lavoro teorico e analitico delle minoranze rivoluzionarie, soprattutto nello sviluppo di una profonda comprensione della situazione storica esistente e di una profonda e convincente riabilitazione della reputazione del comunismo. Questa può sembrare una valutazione strana, dato che le minoranze rivoluzionarie sono una manciata di militanti, rispetto ai diversi miliardi che compongono il proletariato mondiale nel suo complesso. Tuttavia, nel corso della storia, minuscole minoranze hanno regolarmente sviluppato, senza alcuna partecipazione di massa, idee capaci di rivoluzionare il mondo, capaci alla fine di "conquistare le masse". Una delle principali debolezze del proletariato nei due decenni successivi al 1989 è stata infatti l'incapacità delle sue minoranze di realizzare questo lavoro. I gruppi storici della sinistra comunista hanno una responsabilità particolare per questo fallimento. Il risultato è stato che, quando una nuova generazione di proletari politicizzati (come gli Indignados in Spagna o i diversi movimenti "Occupy" nati sulla scia della crisi della "finanza" e della crisi dell'"Euro" dopo il 2008), l'attuale milieu politico proletario non è stato in grado di armarli a sufficienza con le armi politiche e teoriche di cui avrebbero avuto bisogno per orientarsi e sentirsi ispirati ad affrontare il compito di inaugurare l'inizio della fine del riflusso proletario.
Steinklopfer, 24/05/2020
I testi di discussione che pubblichiamo qui sono il prodotto di un dibattito interno alla CCI sul significato e la direzione della fase storica della vita del capitalismo decadente che si è definitivamente aperta con il crollo del blocco imperialista russo nel 1989: la fase della decomposizione, la fase terminale della decadenza capitalistica. Una delle idee chiave del testo di orientamento che abbiamo pubblicato nel 1991, le Tesi sulla Decomposizione[1], è che la storia non si ferma mai: come il periodo della decadenza capitalistica ha una sua storia, così anche la fase della decomposizione ce l'ha, ed è essenziale per i rivoluzionari analizzare i cambiamenti o gli sviluppi più importanti che avvengono al suo interno. Questa è la motivazione alla base del testo del compagno Steinklopfer, il cui punto di partenza è il riconoscimento – che al momento attuale appartiene solo alla CCI - che stiamo effettivamente vivendo la fase di decomposizione, e che le sue radici affondano in uno stallo sociale tra le due grandi classi sociali, la borghesia e il proletariato, nessuno delle quali, di fronte a una crisi economica ormai permanente, ha saputo imporre la propria prospettiva alla società: per la borghesia, la guerra imperialista mondiale, per il proletariato, la rivoluzione comunista mondiale. Ma nel corso del dibattito sulla decomposizione, che comprende l'evoluzione delle rivalità imperialiste e l'equilibrio delle forze tra le classi, sono apparse divergenze che pensiamo siano maturate al punto da poter essere pubblicate all'esterno. A nostro avviso, la posizione attuale del compagno Steinklopfer tende a indebolire la nostra comprensione del significato della decomposizione, ma questo è qualcosa che dovremo dimostrare attraverso un confronto aperto di idee.
Il contributo del compagno inizia sostenendo - almeno implicitamente, come egli stesso afferma in seguito - che la CCI sta rivedendo la sua posizione sulle cause della decomposizione; che insieme allo stallo sociale, una causa di decomposizione alla radice è anche la tendenza crescente all'ognuno per sé: "dal punto di vista della posizione attuale dell'organizzazione, sembrerebbe esserci una seconda causa essenziale e caratteristica di questa fase terminale, che è la tendenza del ciascuno contro tutti: tra gli Stati, all'interno della classe dirigente, all'interno della società borghese in generale".
La conseguenza dell'aggiunta di questa seconda causa viene poi riassunta: "Su questa base, per quanto riguarda l'imperialismo, la CCI tende attualmente a sottovalutare la tendenza alla bipolarità (e quindi alla eventuale ricostituzione di blocchi imperialisti), e con essa il crescente pericolo di scontri militari tra le grandi potenze stesse. Su questa stessa base, la CCI oggi, per quanto riguarda il rapporto di forza tra le classi, tende a sottovalutare la gravità dell'attuale perdita di prospettiva rivoluzionaria da parte del proletariato, portandoci a pensare che esso possa riconquistare la sua identità di classe e cominciare a riconquistare una prospettiva rivoluzionaria essenzialmente attraverso le lotte operaie difensive".
Il compagno Steinklopfer sembra anche pensare di essere l'unico a considerare che "non c'è una tendenza maggiore nella fase di decomposizione che non esisteva già prima nel periodo di decadenza. La nuova qualità della fase di decomposizione consiste nel fatto che tutte le contraddizioni già esistenti sono esacerbate fino all'eccesso".
Prima di rispondere alle critiche del compagno alla nostra posizione sui conflitti imperialisti e sullo stato della lotta di classe, pensiamo sia necessario dire che nessuna delle sue descrizioni della comprensione generale della decomposizione dell'organizzazione è precisa.
Le Tesi sulla Decomposizione presentano già questa fase come "la conclusione, la sintesi di tutte le successive contraddizioni ed espressioni della decadenza capitalistica": possiamo aggiungere che è anche la "conclusione" di alcuni tratti chiave dell'esistenza del capitalismo fin dall'inizio, come la tendenza alla atomizzazione sociale che Engels, per esempio, segnalava nelle sue Condizioni della classe operaia in Inghilterra del 1844.
Già nel 1919 l'Internazionale Comunista, al suo Primo Congresso, lo aveva notato.
"Sull'umanità, la cui civiltà è stata oggi abbattuta, incombe la minaccia della distruzione totale. Una sola forza può salvarla, e questa forza è il proletariato. L'antico 'ordine' capitalista non esiste più, non può più esistere. Il risultato finale del processo produttivo capitalistico è il caos, e questo caos può essere superato soltanto dalla più grande classe produttrice: la classe operaia."[2].
E in effetti questo giudizio era del tutto giustificato se si considera lo stato dei paesi centrali del capitalismo a seguito della prima guerra mondiale: milioni di cadaveri, milioni di rifugiati, crisi economica e fame - e una pandemia mortale. Un incubo simile ha perseguitato l'Europa e gran parte del mondo nell'immediato dopoguerra della seconda guerra imperialista. Ma se guardiamo alla situazione del capitalismo per la maggior parte del periodo tra il 1914 e il 1989, possiamo vedere che la tendenza al caos totale è stata in gran parte tenuta sotto controllo (anche se, come riconosce anche il compagno Steinkopfler, non scompare mai del tutto) dalla capacità della classe dirigente di imporre le sue soluzioni e le sue prospettive alla società: la spinta verso la guerra negli anni Trenta del secolo scorso, la divisione del mondo dopo il 1945 e la formazione di blocchi, infine un lungo periodo di ripresa economica. Con il protrarsi della crisi economica della fine degli anni Sessanta e il crescente stallo tra le classi, la tendenza alla frammentazione e al caos a tutti i livelli si scatena a tal punto da assumere una nuova qualità. Contrariamente a quanto afferma il compagno Steinklopfer, non ne concludiamo che sia diventata retrospettivamente una "causa" della decomposizione, ma certamente è diventata un fattore attivo nella sua accelerazione. È questa comprensione del cambiamento qualitativo che opera nella fase di decomposizione che pensiamo manchi nel testo del compagno Steinkopfler.
Vogliamo anche chiarire che, come i segni di decadenza si sono fatti sempre più evidenti prima della prima guerra mondiale (capitalismo di Stato, corruzione dei sindacati, corsa agli armamenti tra grandi potenze...), così la CCI ha notato segni di decomposizione anche prima del 1989: la vittoria dei mullah in Iran, gli attentati terroristici di Parigi del 1986, la guerra in Libano, e le difficoltà della lotta di classe, di cui parleremo in seguito. Quindi il crollo del blocco dell'est non è stato affatto un accidente della storia, ma il risultato di un lungo sviluppo precedente.
Per quanto riguarda le differenze concrete a livello degli antagonismi imperialisti, siamo stati certamente in ritardo nel comprendere il significato dell'ascesa della Cina, ma negli ultimi anni abbiamo chiaramente integrato questo fattore nella nostra analisi sia delle rivalità imperialiste globali che dell'evoluzione della crisi economica mondiale. Non respingiamo l'idea che anche in un mondo dominato dall' ognuno per sé a livello imperialista, possiamo vedere una tendenza certa alla "bipolarizzazione", cioè che le rivalità tra i due Stati più potenti diventino un fattore importante della situazione mondiale. Infatti, questa è sempre stata la nostra posizione, come si evince dal testo di orientamento su "Militarismo e decomposizione", scritto all'inizio della nuova fase, dove abbiamo affermato che "E' perciò che la presente situazione porta con sé, sotto l'impulso della crisi e dell'acuirsi delle tensioni militari, una tendenza verso la riformazione di due nuovi blocchi imperialisti."[3]. Abbiamo poi valutato la possibilità che altre potenze (Germania, Russia, Giappone...) potessero sfidare gli Stati Uniti candidandosi al ruolo di leader di un nuovo blocco. A nostro avviso, a quel punto, nessuno di questi contendenti aveva le "qualifiche" necessarie per svolgere questo ruolo, e abbiamo concluso che era molto probabile che i nuovi blocchi imperialisti non sarebbero mai stati riformati, pur insistendo sul fatto che questo non significava affatto un'attenuazione dei conflitti imperialisti. Al contrario, questi conflitti avrebbero assunto la forma di una sempre più caotica libertà per tutti, per molti versi una minaccia più pericolosa per l'umanità rispetto al periodo precedente in cui i conflitti nazionali o regionali erano in qualche modo tenuti sotto controllo dalla disciplina dei blocchi. Pensiamo che questa prognosi sia stata in gran parte confermata, come si può vedere più chiaramente negli attuali conflitti a più fronti in Siria e in Libia.
Naturalmente in questa fase, come abbiamo detto, abbiamo sottovalutato la possibilità che la Cina emergesse come una grande potenza mondiale e come seria contendente agli Stati Uniti. Ma l'ascesa della Cina è essa stessa un prodotto della fase di decomposizione[4] e se da un lato fornisce una prova certa della tendenza alla bipolarizzazione, dall'altro c'è una grande differenza tra lo sviluppo di questa tendenza e un processo concreto che porti alla formazione di nuovi blocchi. Se guardiamo ai due poli principali, gli atteggiamenti sempre più aggressivi di entrambi tendono a minare questo processo piuttosto che a rafforzarlo. La Cina è fortemente mal vista da tutti i suoi vicini, non ultima la Russia, che spesso si allinea con la Cina in questioni di immediato interesse (come la guerra in Siria) ma ha il terrore di diventare subordinata alla Cina a causa della forza economica di quest'ultima, ed è uno dei più accaniti oppositori dell'iniziativa "Via della seta" di Pechino. L'America nel frattempo sta attivamente smantellando quasi tutte le vecchie strutture del vecchio blocco che aveva usato in precedenza per preservare il suo "Nuovo Ordine Mondiale" e così resiste allo scivolamento verso l'"ognuno per sé" nelle relazioni internazionali. Tratta sempre più i suoi alleati nella NATO come nemici, e in generale - come afferma con fermezza lo stesso compagno Steinklopfer - è diventato uno dei principali fattori che oggi aggravano il carattere caotico delle relazioni imperialiste.
In questa situazione, il pericolo di guerra riflette questo processo di frammentazione. Non possiamo certo escludere la possibilità di scontri militari tra Stati Uniti e Cina, ma non possiamo nemmeno escludere scoppi sempre più irrazionali che coinvolgano l'India contro il Pakistan, Israele contro l'Iran, l'Iran contro l'Arabia Saudita, ecc. Ma questo è proprio il significato, e la terribile minaccia, dell’ognuno per sé come fattore che aggrava la decomposizione e mette in pericolo il futuro stesso dell'umanità. Continuiamo a pensare che questa tendenza non solo è molto più avanti rispetto alla tendenza alla riformazione dei blocchi, ma è in diretto conflitto con essa.
Come abbiamo visto, il compagno Steinklopfer suggerisce che la risoluzione sul rapporto di forze del 23° Congresso non si occupa più del problema della prospettiva rivoluzionaria, e che questo fattore è scomparso dalla nostra comprensione delle cause (e delle conseguenze) della decomposizione. In realtà, la questione della politicizzazione della lotta di classe e degli sforzi della borghesia per impedirne lo sviluppo è al centro della risoluzione. Il tono è dato dal punto uno della risoluzione, che parla della rinascita della lotta di classe alla fine degli anni '60 e della ricomparsa di una nuova generazione di rivoluzionari: : "Di fronte a una dinamica di politicizzazione delle lotte operaie, la borghesia (sorpresa dal movimento del maggio 1968) ha subito sviluppato una controffensiva su larga scala e a lungo termine per impedire alla classe operaia di dare una propria risposta alla crisi storica dell'economia capitalista: la rivoluzione proletaria". In altre parole: per la classe operaia politicizzazione significa essenzialmente porre la questione della rivoluzione: è esattamente la stessa questione della "prospettiva rivoluzionaria". E la risoluzione prosegue mostrando come, di fronte alle ondate di lotta di classe nel periodo tra il 1968 e il 1989, la classe dirigente ha usato tutte le sue risorse e mistificazioni per impedire alla classe operaia di sviluppare questa prospettiva.
Per quanto riguarda la questione delle lotte in Polonia, che hanno un ruolo centrale nell'argomentazione del compagno Steinklopfer: non c'è disaccordo tra noi sul fatto che la Polonia 1980 sia stato un momento chiave nell'evoluzione del rapporto di forze tra le classi nel periodo aperto dagli eventi del maggio 1968 in Francia. Il compagno ha ragione ad affermare che, a differenza del maggio 68 e della conseguente ondata internazionale di movimenti di classe il cui epicentro era nell'Europa occidentale, le lotte in Polonia non hanno dato origine a tutta una nuova generazione di elementi politicizzati, alcuni dei quali (dal 68 in poi) hanno trovato la loro strada verso le posizioni della sinistra comunista. Ma ha posto comunque una sfida profonda alla classe operaia mondiale: la questione dello sciopero di massa, dell'organizzazione autonoma e dell'unificazione dei lavoratori come forza nella società. Gli operai polacchi si sono elevati a questo livello anche se non hanno saputo resistere ai canti delle sirene del sindacalismo e della democrazia a livello politico. La questione, come dicevamo all'epoca, parafrasando Rosa Luxemburg sulla rivoluzione russa, è stata posta in Polonia, ma poteva essere risolta solo a livello internazionale, e soprattutto dai battaglioni della classe politicamente più avanzata dell'Europa occidentale. I lavoratori dell'Occidente avrebbero raccolto il guanto di sfida e sviluppato sia l'auto-organizzazione che l'unificazione ed offrire la prospettiva di una nuova società? La CCI ha contribuito con una serie di testi all'inizio degli anni '80 per valutare questo potenziale[5][5].
In particolare, la nuova ondata di lotte iniziata in Belgio nel 1983 sarebbe stata in grado di raccogliere la sfida? Mentre la CCI ha notato molti importanti progressi in questa ondata di lotte (le tendenze all'auto-organizzazione e il confronto con il sindacalismo di base in Francia e in Italia, per esempio), questo passo vitale della politicizzazione non è stato fatto, e la terza ondata ha cominciato ad incontrare delle difficoltà. All'ottavo congresso della CCI nel 1988, ci fu un animato dibattito tra quei compagni che sentivano che la terza ondata stava avanzando inesorabilmente, e quella, che allora era una minoranza, che sottolineava che la classe operaia stava già soffrendo per l'impatto della decomposizione in termini di atomizzazione, perdita di identità di classe, l'ideologia dell' ognuno per sé sotto forma di corporativismo, eccetera - tutto ciò era il risultato dell'incapacità della classe di sviluppare una prospettiva per il futuro della società. Così - e qui dobbiamo prendere in considerazione una formulazione della Commissione Emendamenti per la risoluzione della lotta di classe del 23° congresso, a cui il compagno Steinklopfer fa riferimento nel suo testo - c'è in effetti una continuità tra le difficoltà della classe negli anni '80 (l'influenza della decomposizione) e il riflusso del periodo post-89 (dove abbiamo visto un'enorme regressione a livello sia di coscienza che di combattività). Ma anche in questo caso, a nostro avviso, il compagno Steinklopfer sottovaluta il cambiamento qualitativo provocato dagli eventi del 1989, che erano sembrati scendere dal cielo alla classe operaia, anche se in realtà erano da tempo in fermento all'interno della società borghese. Hanno portato a un riflusso della coscienza di classe e della combattività che sarebbe stato molto più profondo e duraturo di quanto sospettassimo, anche se lo avevamo predetto nell'immediato dopo crollo del blocco sovietico.
Non c'è quindi disaccordo sul fatto che la classe operaia negli ultimi decenni abbia attraversato un lungo processo di disorientamento, caratterizzato da una perdita di identità di classe e della sua prospettiva per il futuro. Siamo anche d'accordo sul fatto che alcuni movimenti che hanno avuto luogo in questo periodo di riflusso generale hanno indicato la possibilità di una ripresa della lotta, sia a livello di combattività, sia di consapevolezza dell'impasse della società capitalistica: come dice il compagno Steinklopfer, in questi movimenti abbiamo visto "lo sviluppo di una cultura della teoria e di una cultura del dibattito (come ha cominciato ad esprimersi in modo nascente dall'anti-CPE agli Indignados) come manifestazioni fondamentali del proletariato come classe di coscienza e di associazione".
Tuttavia siamo in forte disaccordo con due delle conclusioni del compagno sulle attuali difficoltà della classe:
- Che l'ascesa del populismo è l'espressione di una società che si prepara alla guerra
- Che ora non stiamo assistendo a una maturazione sotterranea della coscienza, ma a una vera e propria "regressione sotterranea".
In primo luogo, non pensiamo che il populismo sia il prodotto o l'espressione di un chiaro corso verso la guerra da parte della classe dirigente dei maggiori paesi capitalisti. Certamente è il prodotto di un nazionalismo e di un militarismo accentuato, di quella violenza nichilista e di quel razzismo che trasuda dalla decomposizione di questo sistema. In questo senso, naturalmente, ha molte analogie con il fascismo degli anni Trenta. Ma il fascismo era il prodotto di una vera e propria controrivoluzione, una sconfitta storica subita dalla classe operaia, ed esprimeva direttamente la capacità della classe dirigente di mobilitare il proletariato per una nuova guerra imperialista mondiale. Il populismo, invece, è il risultato dello stallo tra le classi, che implica una mancanza di prospettiva non solo da parte della classe operaia, ma anche della stessa borghesia. Esso esprime una crescente perdita di controllo da parte della borghesia del suo apparato politico, una crescente frammentazione sia all'interno di ogni Stato nazionale che a livello di relazioni internazionali. Se l'ascesa del populismo significasse davvero che la borghesia ha recuperato la possibilità di far marciare la classe operaia verso la guerra, dovremmo concludere che il concetto di decomposizione, così come l'abbiamo definito finora, non è più valido. Significherebbe che la borghesia ha ora una "prospettiva" da offrire alla società anche se è totalmente irrazionale e suicida.
L'emendamento del compagno Steinklopfer sostiene che "il populismo contemporaneo è un altro chiaro segno di una società che va verso la guerra:
- l'ascesa del populismo stesso è non da ultimo un prodotto della crescente aggressività e degli impulsi di distruzione generati dalla società borghese attuale
- Poiché, tuttavia, questa aggressività "spontanea" non è di per sé sufficiente a mobilitare la società per la guerra, i movimenti populisti di oggi sono necessari a questo scopo da parte della classe dirigente.
In altre parole, essi sono allo stesso tempo un sintomo e un fattore attivo della spinta alla guerra".
In altre parole, fenomeni come la Brexit nel Regno Unito o il trumpismo negli Stati Uniti non sarebbero, in primo luogo, il risultato della perdita di controllo da parte della borghesia del suo apparato politico (e, sempre più, economico), espressione concentrata della visione a breve termine e della frammentazione della classe dirigente. Al contrario: le fazioni populiste sarebbero i migliori rappresentanti di una borghesia che si sta realmente unendo dietro la mobilitazione per la guerra.
Di fronte a questa visione di dove vanno le cose, non sorprende che il compagno Steinklopfer veda poco la spinta della borghesia verso la guerra: nonostante le embrionali espressioni della natura rivoluzionaria della classe nel 2006 e nel 2011, oggi non riusciamo ancora a discernere i segni di una maturazione sotterranea della coscienza, che potrebbe implicare che la borghesia non abbia tutte le carte in regola a suo favore.
Certo, come ci ricorda il compagno, abbiamo sempre sostenuto che la coscienza proletaria può svilupparsi in profondità - in gran parte, ma non del tutto, come risultato dell'opera delle organizzazioni rivoluzionarie - anche in un periodo di controrivoluzione in cui è fortemente limitata nella sua azione, come abbiamo visto con l'opera delle frazioni italiana e francese della sinistra comunista degli anni '30 e '40. Ma se continua anche in questi periodi di controrivoluzione, qual è il significato del termine "regressione sotterranea"? Non significherebbe che la situazione oggi è ancora peggiore di quella degli anni Trenta? Non è chiaro dal testo del compagno quanto sia durato questo processo di regressione sotterranea: se noi abbiamo visto uno sviluppo generale della coscienza tra le giovani generazioni nel 2006 e nel 2011, sarebbe logico sostenere che questi movimenti siano stati preceduti da un processo di maturazione "sotterraneo". In ogni caso, siamo d'accordo che, a livello di lotte aperte e di estensione della coscienza di classe, questi progressi sono stati, come praticamente accade dopo il culmine di ogni movimento di classe verso l'alto, seguiti da una fase di riflusso e di regressione: per esempio, alcuni anni dopo il movimento degli Indignados, particolarmente forte a Barcellona, alcuni degli stessi giovani che nel 2011 avevano partecipato ad assemblee e manifestazioni che avevano proposto slogan chiaramente internazionalisti, stavano ora cadendo nel vicolo cieco del nazionalismo catalano.
Ma questo non prova che la Vecchia Talpa abbia deciso di riposarsi, né nel 2012 né prima. Il periodo 2006-2011 è stato accompagnato dall'emergere di una minoranza politicizzata che ha dimostrato di essere molto promettente, ma che è in gran parte affondata nelle paludi dell'anarchismo e del modernismo, tanto che il loro contributo netto al reale sviluppo dell'ambiente rivoluzionario è stato estremamente limitato. Le minoranze in ricerca che si sono sviluppate negli ultimi anni, con tutta la loro giovinezza e inesperienza, sembrano partire a un livello più alto di quelle che abbiamo incontrato un decennio prima: sono, in particolare, più consapevoli della natura terminale del sistema capitalista e della necessità di ricongiungersi con la tradizione della sinistra comunista. A nostro avviso, tali progressi sono proprio il prodotto di una maturazione sotterranea.
Secondo il compagno Steinklopfer, il fatto che i recenti movimenti che si collocano su un terreno riformista, come le manifestazioni intorno alla questione del clima, spesso pretendono di collocare il problema a livello del sistema, della stessa società capitalista, non esprime altro che la fiducia della classe dirigente, che può permettersi di soffiare aria fritta sulla necessità di andare oltre il capitalismo proprio perché non ha paura che la classe operaia prenda sul serio tale discorso. Ma non è meno plausibile che questo discorso anticapitalista sia un tipico anti-corpo della società borghese, che ha un profondo bisogno di far deragliare ogni incipiente messa in discussione delle sue basi fondamentali. In altre parole: man mano che la natura apocalittica di questo sistema diventa sempre più evidente, diventa sempre più necessario che l'ideologia borghese impedisca un'autentica comprensione delle sue radici e della vera alternativa.
Alla fine del testo del compagno Steinklopfer, è difficile capire da dove verrà la rinascita dell'identità di classe e della prospettiva rivoluzionaria e ci rimane l'impressione che lui sia caduto in un profondo pessimismo. Il compagno non sbaglia a sottolineare che le lotte economiche, la resistenza immediata agli attacchi al tenore di vita, non sono di per sé sufficienti a generare una chiara coscienza rivoluzionaria, ma rimangono comunque assolutamente vitali se si vuole che la classe operaia ritrovi il senso di sé come forza sociale distinta, soprattutto in un periodo in cui i crescenti scontri con lo stato della società capitalista sono spinti verso una serie di mobilitazioni interclassiste e apertamente borghesi. Negli anni Trenta, in mezzo a tutto il clamore sulle conquiste rivoluzionarie dei lavoratori spagnoli, i compagni di Bilan si trovarono quasi soli nell'affermare che in tali condizioni il più piccolo sciopero intorno alle richieste economiche (soprattutto nelle industrie belliche controllate dalla CNT!) sarebbe stato un primo passo verso il ritorno della classe operaia sul proprio terreno. I recenti scioperi intorno alla questione delle pensioni in Francia, e in alcuni Paesi intorno alla salute e alla sicurezza sul lavoro all'inizio della pandemia di Covid, sono stati molto meno "degni di nota" delle marce dei Venerdì per il Clima e del Black live matter, ma danno un contributo reale ad un futuro recupero dell'identità di classe, mentre questi altri non possono che ostacolarla.
Siamo d'accordo con il compagno Steinklopfer, naturalmente, che il recupero dell'identità di classe e lo sviluppo di una coscienza rivoluzionaria sono inseparabili: perché la classe operaia capisca veramente cos'è, deve anche capire cosa deve essere storicamente, come diceva Marx: portatrice di una nuova società. E siamo anche d'accordo sul fatto che le organizzazioni della sinistra comunista hanno un ruolo indispensabile in questo processo dinamico. Il compagno ci lascia un giudizio molto severo sul ruolo effettivo che queste organizzazioni hanno svolto nell'ultimo decennio e anche di più: “Nel corso della storia, minuscole minoranze hanno regolarmente sviluppato, pur senza alcuna partecipazione di massa, idee capaci di rivoluzionare il mondo, capaci alla fine di 'conquistare le masse'. Una delle principali debolezze del proletariato nei due decenni successivi al 1989 è stata infatti l'incapacità delle sue minoranze di realizzare questo lavoro. I gruppi storici della sinistra comunista hanno una responsabilità particolare per questo fallimento. Il risultato è stato che, quando una nuova generazione di proletari politicizzati (come gli Indignados in Spagna o i diversi movimenti di "occupay" sviluppatisi sulla scia delle crisi finanziaria e dell'"euro" dopo il 2008), l'attuale milieu politico proletario non è stato in grado di armarli a sufficienza con le armi politiche e teoriche di cui avrebbero avuto bisogno per orientarsi e sentirsi ispirati ad affrontare il compito di inaugurare l'inizio della fine del riflusso proletario".
Non è affatto chiaro da questo come, e con quali contributi teorici, le organizzazioni della sinistra comunista avrebbero potuto armare la nuova generazione al punto da evitare il riflusso che ha seguito i movimenti del 2011. Ma sembra esserci un problema metodologico dietro questo giudizio. Le organizzazioni della sinistra comunista devono certamente fare una severa critica agli errori che hanno commesso di fronte alla "nuova generazione di proletari politicizzati", errori soprattutto di natura opportunistica. Questa critica è necessaria soprattutto perché avviene in un ambito di circostanze che i piccoli gruppi rivoluzionari possono influenzare direttamente: il raggruppamento dei rivoluzionari, i passi necessari per costruire un milieu rivoluzionario vivace e responsabile e quindi per gettare le basi del partito del futuro. Ma sembrerebbe quasi un sostituzionismo suggerire che i nostri sforzi teorici/politici da soli avrebbero potuto arrestare il riflusso che è seguito dopo il 2011, che è stato essenzialmente la continuazione di un processo che era in pieno vigore dal 1989. Le discussioni future determineranno se vi sia una reale divergenza sulla questione dell'organizzazione.
CCI, 24 agosto 2020
[1] La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [12], Rivista Internazionale n. 14,
[2] Piattaforma dell'Internazionale Comunista, in: Aldo Agosti, La terza Internazionale, Editori Riuniti, 1974, https://www.associazionestalin.it/IIIint_1_piattaforma.html [93]
[3] Militarismo e decomposizione [94], Rivista Internazionale n. 15
[4] Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [17], (in particolare i punti 10-13) Rivista Internazionale n. 34
[5] Vedi per esempio: “Una breccia si è aperta in Polonia”, Perspectives for the International Class Struggle: (A Breach is opened in Poland) [95] International Review 26
La Pandemia Covid-19 continua a occupare la scena mondiale, ma non è certamente l’unica catastrofe che il capitalismo sta provocando. La migrazione di migliaia di esseri umani alla ricerca di una salvezza, le condizioni barbare che sono costretti a subire continuano a essere una realtà quotidiana. Per questo ci sembra importante pubblicare anche in italiano questo articolo della CCI sulla tragedia dei migranti nel campo di Moria in Grecia del settembre scorso.
Nella notte di mercoledì 9 settembre il campo profughi di Moria a Lesbo è andato a fuoco. Quasi 13.000 rifugiati, un terzo dei quali minorenni e circa la metà dei bambini sotto i dodici anni, hanno dovuto fuggire dalle fiamme - oramai senza alcun riparo e più o meno lasciati a se stessi. Il campo profughi, progettato per 2.900 persone, ospitava circa 13.000 rifugiati. Poco dopo la diffusione della notizia del contagio da Coronavirus di alcuni detenuti e l’ordine della quarantena da parte delle autorità, è scoppiato l'incendio. Le autorità hanno accusato i rifugiati che non volevano essere messi in quarantena di aver appiccato il fuoco. I politici parlano di una catastrofe umanitaria, ma in realtà sono stati loro a gettare benzina al fuoco.
Fatto sta che da anni l’UE persegue una politica di chiusura delle frontiere ai rifugiati bloccandoli lungo la rotta balcanica, confinandoli nei campi, rimpatriando gli “illegali”, dissuadendo chi vuole imbarcarsi verso il Mediterraneo, non accettando o ritardando l'accoglienza dei sopravvissuti.
Questa politica di costruzione di muri, chiusure ed espulsioni non si limita alla sola UE. È guidata dagli Stati Uniti - molto prima che Trump promettesse il suo “muro” - e da innumerevoli altri paesi. Secondo i dati ufficiali 80 milioni di persone nel mondo sono in fuga, alla disperata ricerca di un posto dove vivere e di un futuro. Nel frattempo, i giganteschi campi profughi permanenti dei Rohingyas in Bangladesh, i rifugiati somali in Kenya (Dadaab), Sudan, Libia o i più piccoli campi di fortuna, per esempio sulla costa francese di fronte all'Inghilterra, sono diventati una realtà quotidiana, oltre alle innumerevoli persone che sono fuggite a causa del crescente caos politico ed economico, come in Venezuela, o della distruzione ambientale o del disastro ecologico e che stanno contribuendo alla rapida crescita delle baraccopoli nelle megalopoli dell'Africa, del Sud America e dell'Asia. I campi profughi e le bidonvilles metropolitane sono le due facce di una spirale di distruzione, guerre e barbarie. Inoltre, il regno del terrore (ad esempio contro gli Ouïgouri, i Kurdi, ecc.) e i progrom in molte aree stanno rendendo la vita un inferno a sempre più persone.
Solo una piccola parte di questa massa di sfollati ha raggiunto le rive del Mediterraneo o i confini degli Stati Uniti, dove spera di trovare un modo per raggiungere i paesi industrializzati, quasi sempre a rischio della propria vita. Ma la classe dirigente ha chiuso i confini. Sono finiti i giorni in cui gli schiavi venivano rubati dall’Africa e sfruttati senza limiti nelle piantagioni negli Stati Uniti, sono finiti i giorni in cui si pagava per avere manodopera a basso costo dal Mediterraneo, come negli anni ‘50 e ‘60. Oggi, l’economia globale geme sotto il peso della sua crisi e non solo dopo la pandemia del Covid-19, dove tutto è ancor più deteriorato in maniera drammatica. Oggi sono per lo più i lavoratori specializzati ad essere reclutati in modo molto selettivo ... il resto è destinato a sopravvivere o morire.
Poiché la combinazione di diversi fattori (guerra, distruzione dell'ambiente, crisi economica, repressione, catastrofi di ogni tipo) spinge sempre più persone a fuggire e un numero considerevole di loro si dirige nei centri industriali, i livelli di dissuasione si sono innalzati il più possibile.
Ad esempio, il 10 settembre, alla radio di Stato tedesca Deutschlandfunk, il consigliere del governo tedesco Gerald Knaus dell'Iniziativa europea per la stabilità ha dichiarato: “Il ministro greco per i rifugiati Notis Mitarakis afferma che le persone dovrebbero rimanere a Moria o Lesbo. Il campo è bruciato, le persone non hanno riparo, sono sedute per strada, è la totale perdita di controllo. (...) Eppure, il governo greco non chiede sostegno esterno. Perché? La risposta è ovvia. Queste malsane condizioni sono deliberate. Questa è una politica di deterrenza. Sull'isola le tensioni sono enormi. I nazionalisti greci hanno attaccato le organizzazioni di aiuto umanitario. Ci sono gruppi radicali che attaccano anche i richiedenti asilo (...). Convincere le persone a partire rapidamente è interesse dell'isola e dei migranti. Perché sono trattenuti lì quando sanno (...) che nessuno tornerà in Turchia. (...) Non ci sono praticamente più espulsioni per le restrizioni del Covid. (...) Ciò significa che abbiamo tante, tante persone bisognose di protezione e tanti migranti irregolari (...) che sono detenuti per un solo motivo: essere dissuasi.”
La chiusura della rotta balcanica mira a “impedire alle persone di lasciare la Grecia attraverso il confine settentrionale, il che ha senso solo se si dice loro che in Grecia incontrerebbero condizioni pessime, in modo da far sì che l'afflusso in Grecia, cioè nell'UE, si fermi”. Questo ha una conseguenza ovvia: condizioni insopportabili non solo nei campi profughi, ma anche per gli abitanti locali, alcuni dei quali poi attaccano violentemente i rifugiati. Questi si trovano quindi di fronte al filo spinato, al potere armato dello Stato e alla violenza delle bande nazionaliste... La stessa politica viene portata avanti anche al largo delle coste italiane dove i rifugiati, salvati da imbarcazioni in cattive condizioni nel Mediterraneo, devono aspettare il più possibile prima di raggiungere il Continente europeo.
La stessa tattica di dissuasione viene esercitata sui potenziali rifugiati attraverso i social media dalle istituzioni governative tedesche ed europee in Africa e in altri centri di “accoglienza” per rifugiati. Il messaggio è: “Vi tratterremo il più a lungo possibile, il più brutalmente possibile, in modo disumano come prigionieri e vi lasceremo morire miseramente nei campi profughi anche peggio che in Africa e in Asia, circondati da filo spinato e fortificazioni; restate dove siete, anche se non avete più una casa”. Quando i politici parlano di “catastrofe umanitaria” in questa situazione, nascondono il fatto che queste persone sono in realtà ostaggi della politica di questo sistema, che è difeso dalla classe dominante con tutti i mezzi e in tutti i paesi.
Il Mediterraneo orientale è anche un focolaio delle tendenze distruttive del capitalismo: un secolo fa Turchia e Grecia si sono scontrate in una guerra che ha visto la prima “pulizia etnica” organizzata; oggi, i due rivali imperialisti si affrontano di nuovo sulla disputa sulle risorse di petrolio e gas della regione. Ma oltre alla minaccia di una guerra locale, il capitalismo minaccia anche le popolazioni con crisi economiche ed esplosioni come quelle di Beirut, fattori che spingeranno ancora più persone a fuggire.
L'infamia nell’atteggiamento della classe dirigente non può certo essere mitigata dalla pretesa di mostrare un po’ di “pietà” verso i “più deboli” tra i profughi. Solo dopo che le pressioni di alcune forze tra le file dei partiti borghesi, preoccupate per la perdita di prestigio delle democrazie occidentali, e la disponibilità delle amministrazioni locali ad accettarne un contingente limitato, Francia e Germania hanno chiesto che fosse consentito l'ingresso a 400 giovani “non accompagnati”. E dopo quasi una settimana di tattiche dilatorie, 1.500 bambini e le loro famiglie possono entrare in Germania. I restanti 10.000 di Moria resteranno in Grecia, per non parlare delle molte altre migliaia bloccate in altri campi profughi sulle isole greche. I dirigenti si nascondono dietro la minaccia dell’avanzata dei populisti e dei capi di Stato in Ungheria, Polonia, Paesi Bassi e Austria, che non sono disposti ad accettare i rifugiati. Nessun paese vuole sostenere da solo il destino dei rifugiati e con questo pretesto insistono su un approccio europeo unitario.
In effetti, non vogliono attirare una nuova ondata di rifugiati come nel 2015 e al tempo stesso non vogliono permettere ai populisti di continuare la loro ascesa. Il governo greco preferisce rinchiudere i rifugiati in campi di nuova costruzione piuttosto che lasciarli entrare nella terraferma, da dove potrebbero poi continuare a fuggire. I leader dell'Unione Europea si sono ispirati a tutti i manuali sulla costruzione di campi a Guantánamo, in Siberia, ai campi speciali nella RDT o nello Xinjiang. Prevenire la fuga a tutti i costi, dissuadere con tutti i mezzi! Le loro azioni non sono guidate dalla necessità di proteggere i poveri, ma dal loro bisogno di aggrapparsi al potere. E difendono questo principio con tutti i mezzi, sia costruendo confini invalicabili e campi di prigionia, sia con le belle frasi sulla democrazia e l’umanitarismo.
La repressione dei manifestanti in Bielorussia, le squadre di assassini di Putin o i campi di prigionia uiguri nello Xinjiang sono denunciati dagli Europei, ma essi stessi cooperano da anni con questi regimi, anche se a volte la collaborazione - in particolare i contratti sule armi - viene rinviata o annullata.
Negli Stati Uniti, Democratici e Repubblicani condannano, mano nella mano, i metodi dittatoriali della Cina che a Hong Kong usa commandos mascherati contro i manifestanti, ma Washington manda la Guardia Nazionale assistita da squadroni mascherati di polizia americana, che “tolgono di mezzo” i manifestanti caricandoli in auto “anonime”. Che si tratti di Lukashenko in Bielorussia, Putin in Russia, Erdogan in Turchia, Duterte nelle Filippine, Mohammed ben Salman in Arabia Saudita, Xi Jinping in Cina, Trump negli Stati Uniti, ecc. tutti difendono senza pietà e con mezzi spesso identici lo stesso sistema e il loro potere.
È inutile contare sulla pietà dei governanti. Nella migliore delle ipotesi, è una pericolosa illusione credere che i problemi che il capitalismo deve affrontare possano essere risolti da operazioni di soccorso umanitario.
La richiesta di “Nessun confine, nessuna nazione” viene da una reale preoccupazione, ma questo può essere raggiunto solo attraverso una lotta rivoluzionaria che abolirà tutti gli Stati. Non basta quindi essere indignati per le condizioni barbare che devono affrontare i profughi. Il primo passo deve essere riconoscere da dove viene il male e poi denunciarlo. Solo così potremo arrivare alla radice del problema, il che significa attaccare il capitalismo nel suo insieme.
Toubkal, 15-09-2020
Gli Stati Uniti, il paese più potente del pianeta, sono diventati la vetrina della decomposizione progressiva dell'ordine mondiale capitalista. La corsa alle elezioni presidenziali ha gettato una luce sinistra su un paese dilaniato da divisioni razziali, da conflitti sempre più brutali all'interno della classe dirigente, da una scioccante incapacità di affrontare la pandemia Covid-19 che ha causato quasi un quarto di milione di morti, dall'impatto devastante della crisi economica ed ecologica, dalla diffusione di ideologie irrazionali e apocalittiche. Eppure queste ideologie, paradossalmente, riflettono una verità di fondo: che stiamo vivendo gli “ultimi giorni” di un sistema capitalista che pure regna su tutto il paese.
Ma anche in questa fase finale del suo declino storico, mentre la classe dominante dimostra sempre più la sua perdita di controllo sul proprio sistema, il capitalismo sa ancora ritorcere il suo marciume contro il suo vero nemico, contro la classe operaia e il pericolo che essa rappresenta nel momento in cui diventa cosciente dei suoi veri interessi. L'affluenza record in queste elezioni, le proteste così come i festeggiamenti chiassosi di entrambi i campi rappresentano un potente rafforzamento dell'illusione democratica, della falsa idea che cambiare un presidente o un governo possa fermare lo scivolamento del capitalismo nell'abisso, che il voto possa permette al “popolo” di prendere nelle proprie mani il suo destino.
Oggi questa ideologia è alimentata dalla convinzione che Joe Biden e Kamala Harris “salveranno” la democrazia americana dal bullismo e dal gioco sporco autoritario di Trump, che guariranno le ferite della nazione, che restaureranno la razionalità e l'affidabilità nel rapporto degli Stati Uniti con le altre potenze mondiali. E queste idee trovano eco in una gigantesca campagna internazionale che saluta il rinnovamento della democrazia e il rinculo dell’assalto populista contro i valori liberali.
Ma noi proletari dobbiamo stare allerta: se Trump e il suo "America First" si sono schierati apertamente per inasprire il conflitto economico e persino militare con altri Stati capitalisti -la Cina in particolare- anche Biden e Harris perseguiranno la politica di dominio imperialista dell’America, forse con metodi e retorica leggermente diversi. Se Trump era favorevole ai tagli delle tasse per i ricchi e il suo regno si è concluso con un enorme aumento della disoccupazione, un'amministrazione Biden, di fronte a una crisi economica mondiale che la pandemia ha severamente aggravato, non avrà altra scelta che far pagare la crisi alla classe sfruttata attraverso crescenti attacchi alle sue condizioni di vita e di lavoro. Se i lavoratori immigrati e “illegali” pensano che saranno più al sicuro sotto un'amministrazione Biden, ricordino che sotto il presidente Obama e il vicepresidente Biden milioni di lavoratori “illegali” sono stati espulsi dagli Stati Uniti.
Senza dubbio gran parte dell'attuale sostegno a Biden arriva in reazione ai veri orrori del Trumpismo: le bugie sfacciate, i messaggi razzisti subliminali, la dura repressione delle proteste, la totale irresponsabilità di fronte al Covid-19 e al cambiamento climatico. Non c'è dubbio che Trump sia un chiaro riflesso di un sistema sociale in putrefazione. Ma Trump pretende anche di parlare in nome del “popolo”, di agire come un outsider in contrapposizione alle “élite” incomprensibili. E anche quando mina apertamente le "regole" della democrazia capitalista, rafforza ulteriormente la contro-argomentazione che dovremmo, più che mai, schierarci in difesa di queste "regole". In questo senso, Biden e Trump sono le due facce della stessa medaglia, quella della truffa democratica.
Ciò non significa che questi due rivali lavoreranno insieme pacificamente. Anche se Trump viene rimosso dalla carica di presidente, il trumpismo non scomparirà. Trump ha normalizzato le milizie armate di estrema destra che marciano per le strade e ha portato sette cospirazioniste come QAnon nella corrente ideologica. In reazione, tutto questo ha alimentato la crescita di squadre antifasciste e di milizie pro-black power pronte ad opporsi armi alla mano ai sostenitori della supremazia dei bianchi. E dietro a tutto ciò, l'intera classe borghese e la sua macchina statale sono lacerate da interessi contrastanti di politica economica ed estera che non possono essere eliminati dai discorsi di “guarigione” di Biden. E’ molto probabile che questi conflitti diventino più intensi e più violenti nel periodo a venire.
La classe operaia non ha alcun interesse ad essere coinvolta in questo tipo di "guerra civile", a dare la sua energia e perfino il suo sangue alla battaglia tra fazioni populiste e anti-populiste della borghesia.
Queste due fazioni non esitano a propagandare una visione tronca della "classe operaia". Trump si presenta come il paladino dei caschi blu i cui posti di lavoro sono stati messi in pericolo o distrutti dalla concorrenza straniera “sleale”. Anche i Democratici, in particolare figure di sinistra come Sanders o Ocasio-Ortez, affermano di parlare a nome degli sfruttati e degli oppressi.
Ma la classe operaia ha i suoi interessi che non coincidono con nessuno dei partiti della borghesia, repubblicano o democratico che sia. Né coincidono con gli interessi de “l’America”, del “popolo”, o della “nazione” questo luogo mitico dove sfruttati e sfruttatori vivono in armonia (anche se in spietata competizione con altre nazioni). I lavoratori non hanno nazione. Fanno parte di una classe internazionale che in tutti i paesi è sfruttata dal capitale e oppressa dai suoi governi, compresi quelli che osano definirsi socialisti, come la Cina o Cuba solo perché hanno nazionalizzato il rapporto tra il capitale e i loro schiavi salariati. Questa forma di capitalismo di Stato è l'opzione preferita dell'ala sinistra del Partito Democratico, nella quale tuttavia, come ha detto Engels, "gli operai restano dei salariati, dei proletari. Il rapporto capitalista non è soppresso, ma al contrario portato al suo culmine”[1].
Il vero socialismo è una comunità umana mondiale in cui sono state abolite le classi, la schiavitù salariale e lo Stato. Sarà la prima società nella storia in cui gli esseri umani avranno un reale controllo sul prodotto attraverso le loro mani e le loro menti. Ma per fare il primo passo verso una tale società è necessario che la classe operaia si riconosca come una classe contrapposta al capitale. Una tale consapevolezza può svilupparsi solo se i lavoratori combattono con le unghie e con i denti per difendere le proprie condizioni di vita contro gli sforzi della borghesia e del suo Stato di abbassare i salari, tagliare i posti di lavoro e allungare la giornata lavorativa. E non c'è dubbio che la depressione globale che si sta delineando sulla scia della pandemia renderà tali attacchi il programma inevitabile di tutte le parti della classe capitalista. Di fronte a questi attacchi, i lavoratori dovranno entrare massicciamente in lotta per la difesa del loro tenore di vita. Non può esserci spazio per l'illusione: Biden, come ogni altro governante capitalista, non esiterà a ordinare una brutale repressione della classe operaia se questa minaccerà il loro ordine.
La lotta dei lavoratori per le proprie rivendicazioni di classe è una necessità non solo per contrastare gli attacchi economici lanciati dalla borghesia, ma soprattutto come base per superare le proprie illusioni in questo o quel partito o leader borghese, e per sviluppare la propria prospettiva, la propria alternativa a questa società in declino.
Nel corso delle sue lotte, la classe operaia sarà obbligata a sviluppare le proprie forme di organizzazione attraverso assemblee generali e comitati di sciopero eletti e revocabili, forme embrionali dei consigli operai che, in passati momenti rivoluzionari, si sono rivelati esseri gli strumenti attraverso i quali la classe operaia può prendere il potere nelle proprie mani e iniziare la costruzione di una nuova società. In questo processo, un autentico partito politico proletario avrà un ruolo vitale da svolgere: non nel chiedere ai lavoratori di portarlo al potere, ma nel difendere i principi proletari ereditati dalle lotte del passato e nell'indicare la via verso il futuro rivoluzionario. Come dice l’Internazionale[2] “Non ci sono supremi salvatori. Né Dio, né Cesare, né tribuno”. Nessun Trump, nessun Biden, niente falsi messia: la classe operaia può emanciparsi solo contando su se stessa e, così facendo, liberare tutta l'umanità dalle catene del capitale.
Amos
L'ultima volta che si è affrontato specificamente il problema dello Stato nel periodo di transizione è stato nella nostra introduzione alle tesi sullo Stato, prodotte dalla Sinistra Comunista di Francia (GCF) nel 1946[1].
Avevamo presentato questo testo come un'importante continuazione del lavoro della Sinistra italiana che, durante gli anni ‘30, aveva prodotto una serie di articoli che analizzavano le lezioni della sconfitta della rivoluzione russa, in cui il problema dello Stato è stata una questione centrale.
Basandosi sugli ammonimenti di Marx ed Engels contro la tendenza dello Stato a rendersi autonomo in relazione alla società, la caratterizzazione dello Stato come un flagello temporaneo che il proletariato dovrà utilizzare limitando al massimo i suoi aspetti più dannosi, gli articoli di Vercesi e in particolare di Mitchell (membro della Frazione belga) avevano già distinto tra la funzione necessaria dello “Stato proletario” e il potere reale ed efficace del proletariato[2]. Il testo della GCF va più lontano affermando che lo Stato, per sua stessa natura, è estraneo al proletariato come portatore del comunismo e quindi di una società senza lo Stato.
Nella nostra introduzione alle Tesi, abbiamo notato alcune debolezze o ambiguità nel testo del 1946 (sui sindacati, il ruolo del partito, il programma economico della rivoluzione), la maggior parte delle quali dovevano essere ampiamente superate attraverso il processo di discussione e chiarimento che era al centro delle attività della GCF. Questi progressi - in particolare sui sindacati e sul partito - sono stati presi in considerazione in altri testi[3] e, a nostra conoscenza, il gruppo non ha prodotto ulteriori documenti sulla questione del periodo di transizione stesso.
Le tesi del 1946 furono il risultato del lavoro collettivo della GCF e furono scritte da Marc Chirik, che giocò un ruolo chiave nella formazione e nello sviluppo teorico del gruppo. Quando il gruppo si disperse dopo il 1952 (nonostante gli sforzi di Marc per mantenerlo), Marc si rifugiò in Venezuela dove non partecipò ad alcuna attività politica organizzata per più di un decennio. Tuttavia, questo periodo non è stato per lui un periodo di disimpegno dalla riflessione politica e, non appena i tempi hanno cominciato a cambiare, nei primi o alla metà degli anni '60, Marc ha formato un circolo di discussione con alcuni elementi giovani, il cui risultato è stato fu la formazione del gruppo Internacionalismo nel 1964. Questo gruppo divenne poi la sezione venezuelana della CCI.
Marc ritornò in Europa per partecipare agli eventi storici del maggio-giugno 1968 e rimase per contribuire a formare il gruppo Révolution Internationale, che sarebbe diventata la sezione in Francia della CCI.
Per la generazione di rivoluzionari nata dall'ondata internazionale di lotte scatenata dal maggio ‘68, la rivoluzione non sembrava una prospettiva così lontana. Un certo numero di nuovi gruppi e militanti, dopo aver riscoperto la tradizione della sinistra comunista, non solo si sono posti l’obiettivo di prendere le distanze dall'ala sinistra del capitale, riappropriandosi delle posizioni fondamentali di classe sviluppate durante il periodo della controrivoluzione, ma si sono anche inseriti nel dibattito sul carattere della rivoluzione anticipata e il percorso verso una società comunista. L'approccio al periodo di transizione e al suo semi-stato che era stato proposto dalla GCF e ulteriormente elaborato da Marc è diventato rapidamente il centro di molte discussioni appassionate tra i nuovi gruppi. La maggior parte di RI e dei gruppi che si sono uniti erano convinti dalle argomentazioni di Marc, ma è stato chiarito fin dall'inizio che questa particolare analisi non poteva essere considerata un confine di classe perché la storia non aveva ancora stabilito definitivamente la sua verità. Le discussioni sono proseguite all'interno della CCI formatasi successivamente e con altri gruppi coinvolti nelle discussioni sul raggruppamento internazionale delle forze rivoluzionarie emergenti che ha segnato questa fase.
Il primo numero della Revue Internationale conteneva contributi sul periodo di transizione di Marc (a nome di Révolution Internationale) e un lungo articolo che sviluppava idee simili scritte da un giovane, CD Ward, a nome di World Revolution, del Regno Unito, oltre a un testo di Rivoluzione Internazionale in Italia che sostiene il carattere proletario dello stato di transizione e un altro contributo di Revolutionary Perspectives, che era il nucleo della futura Organizzazione dei lavoratori comunisti ("Communist Worker’s Organisation", CWO). Questi testi furono scritti per la conferenza del 1975 che vide la costituzione ufficiale della CCI; sebbene non ci fosse stato il tempo per discuterne durante la riunione, furono pubblicati come contributi a un dibattito in corso.
Non è esagerato affermare che questi dibattiti erano appassionati. Il gruppo Workers Voice (WV) di Liverpool si staccò rapidamente dalle discussioni del gruppo, citando la posizione di maggioranza della futura CCI sul periodo di transizione come prova del suo carattere controrivoluzionario, poiché ciò avrebbe significato, in un futuro processo rivoluzionario, sostenere uno stato che avrebbe dominato i consigli dei lavoratori. Come abbiamo sostenuto all'epoca (“Un settarismo illimitato” su Révolution Internationale n°3), non era solo una falsa accusa, ma anche, in larga misura, un pretesto mirato a preservare l'autonomia locale di WV dalla minaccia di essere inserito in una più grande organizzazione internazionale; ma altre reazioni dell'epoca rivelarono fino a che punto le acquisizioni della Sinistra comunista italiana si erano perse nella nebbia della controrivoluzione. Così, al secondo Congresso della CCI nel 1977, dove una risoluzione (ed una contro-risoluzione) sullo Stato nel periodo di transizione erano all'ordine del giorno, un delegato di Battaglia Comunista, che all'epoca e ancora oggi afferma di essere il più coerente continuatore della tradizione della Sinistra italiana, sembrava sbalordito dall'idea stessa di mettere in discussione il carattere proletario dello stato di transizione, anche se questo punto di vista non rappresentava che una conclusione logica tratta dai contributi di Bilan negli anni '30.
In effetti, sebbene la risoluzione che esprimeva la posizione di maggioranza fosse stata finalmente adottata al terzo congresso della CCI nel 1979, il congresso del 1977 sostenne che il dibattito non era maturato sufficientemente e che avrebbe dovuto continuare. Numerosi contributi a questo dibattito sono stati successivamente pubblicati sotto forma di opuscolo che mostrano la ricchezza del dibattito[4]. All'interno della CCI, la minoranza non era omogenea, ma tendeva all'idea che la posizione di Bilan sullo Stato nel periodo di transizione fosse stata quella giusta, mentre la GCF si era discostata dalla concezione marxista. Alcuni dei compagni della minoranza si sono poi allineati alla posizione di maggioranza, mentre altri hanno iniziato a mettere in discussione altri sviluppi importanti realizzati dalla GCF e ripresi dalla CCI, in particolare sulla questione del partito. La maggior parte di essi si è dispersa in diverse direzioni: una verso una posizione bordighista più ortodossa, un’altra ha intrapreso un breve tentativo di formare una nuova versione di Bilan (Fraction Communiste Internationaliste), mentre altri si sono imbevuti della pericolosa mescolanza di anarchismo, bordighismo e difesa del cosiddetto “terrorismo operaio” che ha segnato la traiettoria del Groupe Communiste Internationaliste[5].
In questo articolo, ci concentreremo su tre contributi alla discussione all'interno della CCI di questo periodo, scritti da Marc Chirik. Questo approccio continua e conclude i tre precedenti articoli di questa serie che hanno esaminato il contributo alla teoria comunista apportato da particolari individui all'interno del movimento politico proletario durante il periodo della controrivoluzione (cioè Damen, Bordiga, Munis e Castoriadis). Non ci occupiamo di questi singoli comunisti come fanno le riviste accademiche in cui la teoria è ancora vista come proprietà intellettuale di questo o quello specialista; al contrario, come militanti della classe, questi compagni potevano dare il loro contributo solo allo scopo di sviluppare qualcosa che, lungi dall'essere il diritto d'autore degli individui, esiste solo per diventare proprietà universale del proletariato: il programma comunista. Ma per noi, il programma comunista è un lavoro collettivo, in cui i singoli compagni possono dare il loro contributo particolare all'interno di una comunità più ampia. E l'eccezionale qualità di Marc Chirik era proprio la sua capacità di “universalizzare” ciò che aveva acquisito, attraverso la sua esperienza di vita, a livello organizzativo e programmatico - per trasmetterlo ad altri compagni. E l'eccezionale qualità di Marc Chirik era proprio la sua capacità di “universalizzare” ciò che aveva acquisito, attraverso la sua esperienza di vita, a livello organizzativo e programmatico - per trasmetterlo ad altri compagni. Pertanto, nella storia della CCI, ci sono stati un certo numero di importanti contributi a questo sforzo generale per illuminare la strada al comunismo da parte di altri compagni dell'organizzazione - alcuni dei quali saranno citati in questo articolo. Ma non c'è dubbio che i testi scritti da Marc sono esempi della sua profonda comprensione del metodo marxista e meritano di essere riesaminati in dettaglio. Ci scusiamo in anticipo per la lunghezza di alcune citazioni di questi articoli, ma pensiamo che sia meglio lasciare che le parole di Marc parlino da sole il più possibile.
L'articolo pubblicato sulla Revue Internationale n°1 è importante per aver posto la questione dei “periodi di transizione” in un ampio contesto storico:
- “La storia umana è fatta di diverse società stabili legate a un determinato modo di produzione e quindi a relazioni sociali stabili. Queste società si basano sulle leggi economiche dominanti che sono loro inerenti. Sono costituite da classi sociali fisse e si basano su determinate sovrastrutture. Le società stabili di base nella storia scritta sono state: la società schiavistica, la società asiatica, la società feudale e la società capitalista.
Ciò che distingue i periodi di transizione dai periodi in cui la società è stabile è la decomposizione di vecchie strutture sociali e la formazione di nuove strutture. Questi due fenomeni sono legati allo sviluppo di forze produttive e sono accompagnati dall'emergere e dallo sviluppo di nuove classi, nonché dallo sviluppo di idee e istituzioni corrispondenti a queste classi. Il periodo di transizione non è una modalità di produzione propria, ma un groviglio di due modi di produzione, il vecchio e il nuovo. Questo è il periodo in cui i germi del nuovo modo di produzione si sviluppano lentamente a spese del vecchio, fino a soppiantare il vecchio modo di produzione e costituiscono un nuovo modo dominante di produzione. Tra due società stabili e questo sarà tanto vero tra capitalismo e comunismo come era vero in passato, il periodo di transizione è una necessità assoluta. Ciò è dovuto al fatto che l'esaurimento delle condizioni della vecchia società non implicano automaticamente la maturazione delle condizioni della nuova società. In altre parole, il declino della vecchia società non implica automaticamente la maturazione del nuovo, ma ne è solo la condizione.
La decadenza e il periodo di transizione sono due fenomeni molto distinti. Qualsiasi periodo di transizione presuppone la decomposizione della vecchia società i cui modi e rapporti di produzione hanno raggiunto il limite estremo del loro possibile sviluppo. Tuttavia, ogni periodo di decadenza non significa necessariamente un periodo di transizione, in quanto il periodo di transizione rappresenta un passo verso una nuova modalità di produzione più avanzata. Allo stesso modo, l'antica Grecia non ha beneficiato delle condizioni storiche necessarie per il superamento della schiavitù, né l'antico Egitto. Decadenza significa l'esaurimento del vecchio modo sociale di produzione; la transizione significa l'emergere di nuove forze e condizioni che ci permetteranno di risolvere e trascendere le vecchie contraddizioni”.
(Problemi relativi al periodo di transizione [97]).
Quando questo testo fu scritto, il nascente movimento rivoluzionario era già confrontato con l'influenza dei precursori dell'attuale movimento “comunizzatore”, in particolare negli scritti di Jacques Camatte e Jean Barrot (Dauvé). Infatti, la CCI aveva già subito una scissione da parte di un gruppo di membri usciti dell'organizzazione trotzkista Lutte Ouvrière, ma che era rapidamente caduto nelle posizioni pseudo radicali che segnavano quello che chiamavamo all'epoca il “modernismo”: che il la classe operaia era diventata, in sostanza, una classe per il capitale, che la sua lotta per le richieste immediate era un vicolo cieco e che la rivoluzione comunista significava l'immediata auto-negazione della classe operaia piuttosto che la sua affermazione politica con la dittatura del proletariato.
In questa visione, l'idea di un periodo di transizione guidato dal proletariato è stata denunciata come nient’altro che la perpetuazione del capitale: il processo di comunizzazione ha reso inutile ogni fase di transizione tra capitalismo e comunismo[6].
L'evoluzione di uno dei gruppi presenti alla conferenza - il Revolutionary Workers Group di Chicago, anch'esso nato dal trotzkismo, ma che ha scoperto l'inutilità della lotta per le rivendicazioni economiche (vedi prefazione a RI n°1) - ha anch’esso mostrato che tali idee si stavano diffondendo nel movimento rivoluzionario. Nel frattempo, il gruppo Revolutionary Perspectives ha insistito sul fatto che una roccaforte proletaria isolata dovrebbe consapevolmente allontanarsi dal mercato mondiale, attuando ogni sorta di misure comuniste all'interno dei suoi confini: questa costituiva un’aberrazione modernista piuttosto che una scusa tardiva per il “comunismo di guerra” del periodo 1918-21 in Russia, ma ha condiviso con i comunizzatori l'idea che sarebbe stato possibile introdurre vere e proprie misure comuniste in un solo paese o una sola regione[7].
Il testo di Marc ci fornisce un solido punto di partenza per criticare tutti questi approcci. Da un lato, insiste sul fatto che ogni nuovo modo di produzione è stato il prodotto di un periodo di transizione più o meno lungo, che “non è un modo di produzione vero e proprio, ma un groviglio di due modi di produzione - il vecchio e il nuovo”. Questo vale certamente per il periodo di transizione al comunismo, che è tutt'altro che un modo stabile di produzione (a volte travisato come “socialismo”). Al contrario, sarà teatro di una lotta sostenuta per promuovere la trasformazione comunista delle relazioni sociali contro l'immenso peso economico e ideologico della vecchia società e persino di migliaia di anni di società di classi che hanno preceduto il capitalismo. Questo sarà vero anche dopo che il proletariato avrà acquisito potere su scala globale e si applicherà ancora di più alle situazioni in cui i primi avamposti proletari dovranno affrontare un ambiente capitalista ostile.
Allo stesso tempo, il testo spiega che il periodo di transizione al comunismo differisce profondamente da tutte le transizioni precedenti:
La conseguenza di tutto ciò è che il periodo di transizione al comunismo non può iniziare all'interno del capitalismo, da un'accumulazione di cambiamenti economici che servono come base per il potere della nuova classe dirigente, ma solo dopo un atto essenzialmente politico - il violento smantellamento della macchina statale esistente. Questo è il punto di partenza per rifiutare qualsiasi idea secondo la quale un vero processo di comunizzazione[8] possa iniziare prima della distruzione del potere mondiale della borghesia. Tutti i cambiamenti economici e sociali intrapresi prima di raggiungere questo punto sono essenzialmente dei palliativi, misure contingenti e di emergenza che non dovrebbero essere descritte come una sorta di “comunismo reale” e il loro principale obiettivo sarà quello di rafforzare il predominio politico della classe operaia in una determinata area.
In effetti, anche dopo l'inizio del periodo di transizione stesso, il testo mette in guardia contro l'idealizzazione di misure immediate adottate dalla classe operaia:
- “Sul piano economico, il periodo di transizione è costituito da una politica economica (non più un’economia politica) del proletariato al fine di accelerare il processo di socializzazione universale della produzione e della distribuzione. Questo programma di comunismo integrale a tutti i livelli, pur essendo l'obiettivo perfezionato e perseguito dalla classe operaia, sarà ancora nel periodo di transizione soggetto nella sua realizzazione alle condizioni immediate, cicliche, contingenti, che sarebbe puro volontarismo utopico di voler ignorare. Il proletariato cercherà immediatamente di raggiungere il maggior numero possibile di conquiste, pur riconoscendo la necessità di inevitabili concessioni, che sarà obbligato a sopportare. Due insidie minacciano una tale politica:
L'intero spirito che attraversa il testo è quello del realismo rivoluzionario. Stiamo parlando della trasformazione sociale più radicale dall'avvento della specie umana ed è assurdo pensare che questo processo - che per la stragrande maggioranza dell'umanità è oggi considerato impossibile, in contrasto con la natura umana, nella migliore delle cose “un bellissimo ideale che non avrebbe mai funzionato” - potrebbe infatti svolgersi in un colpo solo - in termini storici, dalla sera al mattino.
Il testo spiega alcuni aspetti più specifici di questa “politica economica”, che in realtà sono abbastanza generali:
Il testo di Marc inizia con il seguente avvertimento: “È sempre con grande cautela che i rivoluzionari affrontano la questione del periodo di transizione. Il numero, la complessità e soprattutto la novità dei problemi che il proletariato deve risolvere impediscono qualsiasi sviluppo di piani dettagliati per la società futura e qualsiasi tentativo di farlo rischia di trasformarsi in una camicia di forza per l'attività rivoluzionaria della classe”.
È abbastanza comprensibile che Marc ci fornisca solo uno schema molto generale di una possibile “politica economica” del proletariato. Uno dei punti è un po’ troppo generico – “sostanziale aumento del tenore di vita” - ma gli altri indicano chiaramente la direzione generale; e uno di questi segna chiaramente un passo avanti rispetto al testo del 1946, vale a dire quando afferma che “il criterio per produzione deve essere la massima soddisfazione dei bisogni e non l'accumulazione”, poiché il testo del 1946 tendeva ancora a considerare lo “sviluppo delle forze produttive” del proletariato come un processo di accumulazione che può significare solo l'espansione del valore. In effetti, siamo fin troppo consapevoli oggi che le crisi economiche ed ecologiche del sistema sono il risultato di un “eccesso di accumulo” e che lo sviluppo reale dovrà necessariamente assumere la forma di una profonda trasformazione e riorganizzazione delle forze produttive accumulate sotto il capitalismo (comportando, ad esempio, la conversione di forme di produzione, energia e trasporti altamente inquinanti, la riduzione delle megalopoli capitaliste su una scala molto più umana, un massiccio rimboschimento, ecc.)
Per quanto riguarda la distribuzione del prodotto sociale durante il periodo di transizione, il testo non si pronuncia sul dibattito relativo ai “buoni per il tempo di lavoro” basato sulle proposte di Marx nella critica al programma di Gotha e fortemente sostenuto, ad esempio, dai comunisti dei consigli olandesi del GIC nel Grundprinzipien[9] e dalla CWO nel loro ultimo articolo sul periodo di transizione[10], ma il testo di Marc insiste sia sul tentativo di sbarazzarsi delle forme salariali e monetarie, sia sulla socializzazione generale dei consumi: trasporti gratuiti, pasti in comune, ecc. Nel testo della Revue Internationale n°1 la posizione è più esplicita nel suo rifiuto dei buoni per il tempo di lavoro. Sebbene Marx non consideri questi buoni come una forma di denaro in quanto non possono essere accumulati, l'articolo sostiene che il sistema del tempo di lavoro non va realmente oltre la nozione capitalista del lavoro come uno “scambio” tra l'individuo, il lavoratore atomizzato e la società: “Il sistema dei buoni sulla base del tempo di lavoro tenderebbe a dividere i lavoratori capaci di lavorare da coloro che non lo sono (situazione che potrebbe benissimo estendersi in un periodo di crisi rivoluzionaria mondiale) e potrebbe ampliare ulteriormente un divario tra proletari e altri strati, ostacolando il processo di integrazione sociale. Questo sistema richiederebbe un'enorme supervisione burocratica del lavoro di ogni lavoratore e potrebbe degenerare molto più facilmente in denaro salariale in un momento di riflusso della rivoluzione (queste battute d'arresto possono avvenire sia durante la guerra civile che durante il periodo di transizione stesso). Un sistema di razionamento sotto il controllo dei Consigli Operai si presterebbe più facilmente a un regolamento democratico di tutte le risorse di un bastione proletario e incoraggerebbe sentimenti di solidarietà all'interno della classe. Ma non facciamoci illusioni: questo sistema, come altri, non può rappresentare una 'garanzia' contro un ritorno alla schiavitù salariale nella sua forma più cruda”. (La rivoluzione proletaria). Tuttavia, non pensiamo di poter dire, come abbiamo già detto nel 1975, che questo dibattito sulle misure economiche immediate del proletariato al potere è stato risolto una volta per tutte. Al contrario, se può e deve continuare ancora oggi (torneremo su questo argomento in un futuro articolo di questa serie), può essere risolto solo da una futura pratica rivoluzionaria.
Dopo aver definito la natura generale del periodo di transizione, il testo continua a riaffermare la posizione sullo Stato che era già stata stabilita nel testo della GCF nel 1946:
“La società di transizione è ancora una società divisa in classi e, in quanto tale, porta necessariamente al suo interno questa istituzione specifica per tutte le società divise in classi: lo STATO. Con tutte le amputazioni e le misure precauzionali che possono circondare questa istituzione (funzionari eletti e revocabili, remunerazione pari a quella di un lavoratore, unificazione tra il legislativo e l’esecutivo, ecc.) che rendono questo Stato un mezzo Stato, non dobbiamo mai perdere di vista la sua natura storica anticomunista e quindi anti-proletaria ed essenzialmente conservatrice. Lo Stato rimane il custode dello statu quo.
Riconosciamo l'inevitabilità di questa istituzione che il proletariato dovrà usare come un male necessario
- per rompere la resistenza della classe capitalista decaduta
- per preservare un quadro amministrativo e politico unito alla società in un momento in cui è ancora lacerata da interessi antagonisti
Dobbiamo respingere categoricamente l'idea di fare di questo stato la bandiera e il motore del comunismo. Per sua natura statale (“la natura borghese di cui è l’essenza” Marx), è fondamentalmente un organo per la conservazione dello status quo e un freno al comunismo.
Come tale, non può identificarsi con il comunismo o la classe che lo porta con sé: il proletariato che, per definizione, è la classe più dinamica della storia in quanto porta la soppressione di tutte le classi compresa se stessa. Ecco perché, mentre usa lo Stato, il proletariato esprime la sua dittatura non attraverso lo Stato, ma sullo Stato. Pertanto, il proletariato non può riconoscere alcun diritto a questa istituzione di intervenire attraverso la violenza all'interno della classe o di arbitrare le discussioni e l'attività delle organizzazioni di classe: Consigli e partito rivoluzionario.
La società di transizione è ancora una società divisa in classi e ci sarà necessariamente al suo interno questa istituzione specifica per tutte le società divise in classi: lo STATO. Con tutte le limitazioni e le misure precauzionali con cui circonderemo questa istituzione (i funzionari saranno eletti e revocabili, la loro remunerazione sarà uguale a quello di un lavoratore, esisterà un'unificazione tra funzioni legislative ed esecutive, ecc.), e che rendono questo stato un “semi-stato”, non dobbiamo mai perdere di vista la natura storicamente antisocialista, e quindi antiproletaria ed essenzialmente conservatrice dello Stato. Lo Stato rimane il custode dello status quo.
Riconosciamo l'inevitabilità di questa istituzione, che il proletariato dovrà usare come un male necessario per spezzare la resistenza della classe capitalista in declino e preservare un quadro amministrativo e politico unito in un momento in cui la società sarà ancora afflitta da interessi antagonisti.
Ma respingiamo categoricamente l'idea di rendere questo Stato il portabandiera del comunismo. Per sua stessa natura (“la natura borghese nella sua essenza” - Marx), è essenzialmente un organo per la conservazione dello status quo e la limitazione del comunismo. Così, lo Stato non può essere identificato con il comunismo o il proletariato che è portatore del comunismo. Il proletariato è per definizione la classe più dinamica della storia, in quanto sopprime tutte le classi, inclusa la propria. Ecco perché, mentre usa lo Stato, il proletariato esprime la sua dittatura non attraverso lo Stato, ma sullo Stato. Questo è anche il motivo per cui il proletariato non può in alcun modo permettere a questa istituzione (lo Stato) di intervenire attraverso la violenza all'interno della classe, né di essere l'arbitro delle discussioni e delle attività degli organi di classe - i consigli e il partito rivoluzionario”[11].
È questa particolare posizione - la natura conservatrice e non proletaria dello Stato - che è stata oggetto di argomenti divergenti all'interno della CCI, non solo per quanto riguarda lo Stato del periodo di transizione, ma anche lo Stato in generale.
L'opuscolo del 1981 includeva un testo di Marc intitolato “Le origini dello Stato e il resto”, che era una risposta a un testo[12] scritto da due compagni di minoranza, M e S, che difendevano la nozione di uno Stato proletario sulla base di un'analisi delle origini storiche dello Stato. Il loro testo sosteneva che, poiché lo Stato è essenzialmente la creazione e lo strumento di una classe dirigente, può svolgere un ruolo rivoluzionario in tempi in cui tale classe è essa stessa una forza rivoluzionaria o almeno attivamente progressista, mentre è condannato a svolgere un ruolo reazionario solo quando quella classe stessa diventa decadente o obsoleta. Il loro testo respinge pertanto la definizione dello Stato come “conservatore” nella sua natura essenziale. Per quanto riguarda la sua funzione essenziale, è quella di uno strumento di repressione di una classe su un'altra. Pertanto, durante il periodo di transizione, lo Stato può e deve anche avere un carattere proletario, dal momento che non è altro che la creazione della classe operaia allo scopo di esercitare la sua dittatura.
Nella sua risposta, Marc fornisce una breve ma perspicace storia di come il movimento proletario ha, attraverso i propri dibattiti e soprattutto le proprie esperienze nella lotta di classe, sviluppato la sua comprensione della questione dello Stato: dalle prime idee di Babeuf e degli Eguali sulla conquista dello Stato da parte della rivoluzione armata, alle intuizioni degli utopisti sul comunismo come società senza Stato; dalla critica del culto dello Stato di Hegel da parte del giovane Marx alle lezioni apprese dalla Lega Comunista dalle rivoluzioni del 1848 e in particolare da Marx ed Engels dalla Comune di Parigi del 1871, quando divenne chiaro che lo Stato esistente doveva essere smantellato e non conquistato.
L'indagine prosegue con gli studi sul comunismo primitivo di Morgan che hanno permesso ad Engels di analizzare le origini storiche dello Stato, passando per i punti di forza, le debolezze e le intuizioni incomplete di Lenin in relazione all'esperienza della rivoluzione russa, e infine agli sforzi della sinistra comunista per sintetizzare e sviluppare tutti i progressi compiuti dalle precedenti espressioni del movimento. L'obiettivo qui è dimostrare che la nostra comprensione del problema dello Stato e del periodo di transizione non è il prodotto di un'ortodossia marxista invariante, ma che si è evoluta e continuerà ad evolversi alla luce della reale esperienza e della riflessione su questa esperienza.
Il nucleo centrale del testo è il riferimento al famoso passaggio di Engels su come lo Stato appare per la prima volta nel lungo periodo di transizione in cui la società comunista primitiva dà il passo all'emergere di divisioni di classe definite - non come la creazione cosciente ex nihilo di una classe dirigente, ma come un'emanazione della società in una fase del suo sviluppo: “Lo Stato non è quindi affatto un potere imposto alla società dall'esterno; è altrettanto poco “la realtà dell'idea morale”, “l'immagine e la realtà della ragione”, come sostiene Hegel.
Piuttosto, “è un prodotto della società in una certa fase del suo sviluppo. Costituisce l’ammissione che questa società si è bloccata in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è divisa in antagonismi inconciliabili da cui non riesce a liberarsi. Ma affinché queste classi, con interessi contrastanti, non si divorino a vicenda e divorino la società in una lotta sterile, è necessaria una forza apparentemente al di sopra della società, destinata a soffocare i conflitti, tenendola entro i confini dell’'ordine'. Questa forza che viene dalla società, ma in piedi sopra di essa e si sta allontanando sempre più da essa, è lo Stato”[13].
Marc spiega che ciò non significa che lo Stato abbia un ruolo neutrale o di mediazione nella società, ma dimostra che la semplice definizione dello Stato come “corpo di uomini armati” la cui funzione è quella di esercitare la repressione contro le classi sfruttate o oppresse è inadeguata, perché il ruolo primario dello Stato è quello di mantenere la coesione della società e che questa repressione da sola non può mai essere sufficiente. Da qui la necessità di usare istituzioni ideologiche, forme di rappresentanza politica, ecc. Come dice Marx in “Il re di Prussia e la riforma sociale” (1844), “Da un punto di vista politico, lo Stato e l'organizzazione della società non sono due cose diverse. Lo Stato è l'organizzazione della società”[14] - con la precisazione, naturalmente, che stiamo sempre parlando di una società divisa in classi.
Marc ritorna poi a Engels per sottolineare che questa funzione di organizzare la società, mantenere l'unità, rappresenta la conservazione delle relazioni produttive esistenti e quindi “Come lo Stato è nato - scrive Engels – dalla necessità di controllare gli antagonismi di classe, allo stesso tempo ha avuto origine dai conflitti stessi di queste classi (meditate bene su queste premesse, MC), è in linea di principio lo Stato della classe più potente, della classe economicamente dominante che, grazie ad esso, diventa anche la classe politicamente dominante e quindi acquisisce nuovi modi di opprimere e sfruttare la classe dominata”[15]).
Tuttavia, questa necessaria identificazione con lo Stato per lo sfruttamento delle classi del passato non si applica al proletariato perché, come classe sfruttata, non ha una propria economia. E possiamo aggiungere: di fronte a una situazione in cui l'ex Stato è stato smantellato e la vecchia società borghese è in dissoluzione, il proletariato avrà ancora bisogno di uno strumento per evitare che i conflitti tra se stesso e altre classi non sfruttatrici distruggano la società. E poiché questa situazione è, in un certo senso, un ritorno alle condizioni iniziali che hanno portato alla formazione dello Stato, forme di Stato appariranno, emergeranno, si manifesteranno che la classe operaia lo voglia o no. Ed è proprio per questo motivo che lo Stato di transizione, qualunque sia la capacità del proletariato di dominarlo, non sarà un organo puramente proletario ma avrà - come l'Opposizione Operaia ha già visto nei confronti dello Stato sovietico nel 1921 - una natura “eterogenea”[16], basata su comuni territoriali oppure organismi tipo soviet in cui l'intera popolazione non sfruttatrice è necessariamente rappresentata.
Per quanto riguarda il ruolo “conservatore” dello Stato, è necessario un chiarimento del testo originale del 1946, dove si afferma che “nella storia, lo Stato è emerso come un fattore conservatore e reazionario”. In effetti, conservatore e reazionario non significano esattamente la stessa cosa. La funzione dello Stato è sempre conservatrice nel senso che protegge, codifica, stabilizza gli sviluppi che avvengono nell'economia e nella società. A seconda delle epoche, questo ruolo può generalmente servire il graduale sviluppo delle forze produttive; in periodi di decadenza, lo stesso ruolo diventa apertamente reazionario nel senso di retrogrado, di preservare tutto ciò che è passato e obsoleto. La differenza essenziale con la minoranza non era lì, ma nella loro idea che il movimento dinamico - il movimento verso il futuro - provenisse dallo Stato e non dalla società. Un articolo[17] pubblicato sulla Revue Internationale n°11, firmato RV, sostiene fortemente la seguente idea cara ai compagni della minoranza che erano molto desiderosi di citare un esempio di Stato come strumento rivoluzionario della rivoluzione borghese: “il movimento veramente radicale che ha spinto a rovesciare il vecchio regime è venuto 'dal basso', dal movimento 'plebeo' nella strada, dalle assemblee generali nelle 'sezioni', o dalla prima Comune di Parigi del 1793 - che si scontrava costantemente con i limiti economici e politici imposti dal potere centrale dello Stato della borghesia, nella sua ricerca dell'ordine e della stabilità”. Ciò avverrà ancor più per la rivoluzione proletaria in cui la trasformazione comunista guidata dalla classe operaia dovrà superare costantemente i limiti legalmente definiti dall'organizzazione ufficiale della società di transizione, lo Stato.
Nel terzo testo, pubblicato nel 1978 sulla Revue Internationale n°15[18], Marc espone una serie di domande poste nei due articoli precedenti, ma riprende e sviluppa in particolare un'idea chiave della citazione di Engels utilizzata nel precedente articolo: “Questo potere, nato dalla società, ma che si pone sopra di essa diventando sempre più estraneo, è lo Stato”[19]).
Come fa notare Marc, riconoscere lo Stato come una delle manifestazioni più primordiali dell'alienazione dell'uomo da se stesso o da ciò che può essere, è una delle prime intuizioni politiche di Marx ed è stata la chiave della sua critica della filosofia hegeliana:
“Nella sua Critica della filosofia del diritto di Hegel [98], con la quale inizia la sua vita di pensatore e attivista rivoluzionario, Marx non solo combatte l'idealismo di Hegel, secondo il quale il punto di partenza di tutto il movimento sarebbe l'Idea (rendendo ovunque "dell'Idea il soggetto, e del soggetto propriamente detto, il predicato") (…) ma denuncia con veemenza le conclusioni di questa filosofia, che rende lo Stato il mediatore tra l'uomo sociale e l’uomo politico universale, il riconciliatore della frattura tra l'uomo privato e l'uomo universale. Hegel, notando il crescente conflitto tra la società civile e lo Stato, vuole che la soluzione a questa contraddizione si trovi nell'autolimitazione della società civile e nella sua integrazione volontaria nello Stato, perché ha detto “è solo nello Stato che l'uomo ha un'esistenza coerente con la ragione” e “tutto ciò che l'uomo è, lo deve allo Stato, è là che il suo essere risiede. Tutto il suo valore, tutta la sua realtà spirituale, li ha solo dallo Stato” (Hegel, La ragione nella Storia).
A questa delirante valorizzazione dello Stato, che rende Hegel il suo più grande apologeta, Marx oppose: “L'emancipazione umana si ottiene solo quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato le proprie forze come forza sociale e quindi non separa più da lui la forza sociale sotto forma di forza politica” (...), cioè lo Stato (da “La questione ebraica”)”.
Fin dall'inizio, il lavoro teorico di Marx prese così posizione contro lo Stato come tale, che era un prodotto, un'espressione e un fattore attivo dell'alienazione dell'umanità. Contro la proposta di Hegel di rafforzare lo Stato e di integrare la società civile, Marx insistette risolutamente sul fatto che l’indebolimento dello Stato è sinonimo di emancipazione dell'umanità e questo concetto fondamentale sarà arricchito e sviluppato nel corso della sua vita e del suo lavoro.
Ciò è stato più esplicitamente affermato nella parte delle critiche dedicate alla questione del voto, che, per Hegel, manteneva rigorosamente la separazione tra l'assemblea legislativa e la società civile, poiché gli elettori non esercitano un mandato sugli eletti. Marx vedeva un potenziale diverso, se il voto doveva diventare universale e se “gli elettori avevano la scelta di deliberare e decidere sugli affari pubblici per se stessi, o delegare a individui specifici l'esecuzione di questi compiti in loro nome”. Il risultato di una tale "democrazia diretta" sarebbe il seguente:
Queste parole possono ancora essere formulate nel linguaggio della democrazia, ma tendono anche a superarla, perché anticipano non solo lo scioglimento dello Stato, ma anche della società civile, cioè borghese. E l'anno seguente Marx scrisse l’“Introduzione” al Contributo alla Critica della filosofia del diritto di Hegel, che, a differenza di quest'ultima, fu effettivamente pubblicata negli Annali franco-tedeschi (Deutsch-Französische Jahrbücher del 1844) e comporre i Manoscritti economici e filosofici. Nel primo, Marx identifica il proletariato come l'agente del cambiamento rivoluzionario e nel secondo, si dichiara definitivamente a favore del comunismo come l'unico futuro possibile per la società umana.
Tornando al testo di Marc, è significativo che riscriva tutta la sua ricerca in un arco storico molto ampio. Come nel testo precedente sulle origini dello Stato, dove parla a lungo della società “gentile” e della sua scomparsa, inizia con la dissoluzione della società comunista primitiva e la prima apparizione dello Stato. Definisce quest'ultimo come l'antitesi o la negazione iniziale che assicura che tutte le società di classe successive, nonostante i cambiamenti che hanno avuto luogo da un modo di produzione all'altro, mantengano un’unità e continuità essenziale - fino alla futura abolizione delle classi e quindi il declino dello Stato, che è in sintesi, la “Negazione della Negazione, il ripristino della comunità umana ad un livello superiore”.
Durante tutto il lungo periodo della prima Negazione, della società di classe, lo Stato è sempre più incline a perpetuarsi e perpetuare i propri interessi privati, per separarsi sempre di più dalla società. Così, il potere sempre più totalitario dello Stato raggiunge il suo culmine nella forma del capitalismo di Stato che appartiene al periodo del declino del capitalismo. “Con il capitalismo, lo sfruttamento e l'oppressione sono stati spinti al culmine perché il capitalismo è il riassunto condensato di tutte le società di sfruttamento dell’uomo sull’uomo che si sono succedute. Lo Stato, con il capitalismo ha finalmente completato il suo destino diventando quel mostro orribile e sanguinoso che conosciamo oggi. Con il capitalismo di Stato, realizza l’assorbimento della società civile, diviene il garante dell'economia, il capo della produzione, il maestro assoluto e indiscusso di tutti i membri della società, delle loro vite e le loro attività scatenando il terrore, seminando la morte e presiedendo la barbarie diffusa”.
L'intero processo è quindi fondamentale per misurare la distanza tra l'umanità come potrebbe essere e l'umanità come è oggi, insomma la spirale dell'alienazione dell'umanità, che ha raggiunto il suo punto più estremo nella società borghese. A ciò si oppone il “movimento reale”, la realizzazione del comunismo, che, come condizione preliminare per il suo sviluppo futuro, deve garantire l’eliminazione dello Stato, adempiendo alla promessa di Marx di un tempo, “quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato le proprie forze come forza sociale”.
Questa visione panoramica della storia ci permette di comprendere meglio la natura essenzialmente conservatrice dello Stato, il suo necessario antagonismo alle dinamiche che emergono dalla sfera sociale, dalla sfera umana:
Nell'articolo di Marc, nel paragrafo che apre questa sezione, si sottolinea che l'errore fondamentale di Hegel sulla storia, in cui vede lo Stato come vera forza del progresso, è ugualmente commesso a livello logico, nella confusione tra soggetto e predicato, idea e realtà, che Marx critica così a lungo nella Critica: “La famiglia e la società civile sono i presupposti dello Stato; sono cose davvero attive; ma nella filosofia speculativa accade il contrario. Ma se l'idea viene fatta oggetto, allora i veri soggetti - la società civile, la famiglia, le circostanze, il capriccio, ecc. - diventano irreali, e assumono un significato diverso dei momenti oggettivi dell'Idea”[20].
La forma dello stato di transizione
L'articolo della Revue Internationale n°15 descrive anche la forma dello Stato di transizione:
“Possiamo prendere come principi la seguente struttura della società del periodo di transizione:
1) L'intera popolazione non sfruttatrice è organizzata sulla base dei Soviet-Comuni territoriali centralizzati dal basso verso l'alto, dando vita a questo organismo che è lo Stato-Comune.
2) I lavoratori partecipano a questa organizzazione sovietica, individualmente come tutti gli altri membri della società, e collettivamente attraverso la loro organizzazione di classe autonoma, a tutti i livelli di questa organizzazione sovietica.
3) Il proletariato assicura una preponderanza nella rappresentazione, a tutti i livelli, ma soprattutto a quelli alti.
4) Il proletariato mantiene la sua piena e intera libertà in rapporto allo Stato. In nessun caso il proletariato può riconoscere il primato della decisione degli organi dello Stato rispetto a quella della sua organizzazione di classe: i consigli operai, e dovrebbe imporre il contrario.
5) In particolare, non può tollerare l'interferenza e la pressione di qualsiasi tipo di Stato nella vita e nell'attività della classe organizzata escludendo qualsiasi diritto e possibilità di repressione dello Stato nei confronti della classe operaia.
6) Il proletariato mantiene il suo armamento fuori da qualsiasi controllo dello Stato”.
Queste prospettive non sono ricette per i libri di cucina del futuro; esse “non sono affatto basate su idee, principi inventati o scoperti da qualsiasi riformatore del mondo” (Manifesto comunista). Al contrario, queste sono le conclusioni che devono essere tratte dalla reale esperienza della rivoluzione russa. Qui, nel suo primo periodo eroico, gli organi specifici della classe operaia - comitati di fabbrica, Guardie Rosse, Soviet eletti dalle assemblee dei lavoratori - facevano parte di una più ampia rete di soviet che comprendeva l'intera popolazione non sfruttatrice. Ma il profilo della struttura dello stato di transizione presentato da Marc rende più esplicita la necessità per la classe operaia di esercitare il controllo su questo apparato statale generale, un'idea che non era ancora implicita nella rivoluzione russa, ad esempio nell'idea che i voti delle assemblee dei lavoratori e dei delegati debbano contare più dei voti dei delegati dei contadini e di altre classi non sfruttatrici. Allo stesso tempo, il progetto supera alcuni errori chiave commessi in Russia nel 1917, tra cui il fatto che, dall'inizio della guerra civile nel 1918, le milizie di fabbrica, le Guardie Rosse, furono sciolte nell'Armata Rossa Territoriale. Di conseguenza, i lavoratori sono stati privati di uno strumento cruciale per difendere i loro interessi specifici, anche contro lo Stato di transizione e il suo esercito, ove necessario. Il seguente paragrafo del testo di Marc sottolinea anche un'altra lezione essenziale dell'esperienza russa:
- “Dobbiamo ancora dire che il Partito politico non è un organo statale. Per molto tempo, i rivoluzionari hanno vissuto in questa ottica, evidenziando così l'immaturità della situazione oggettiva e la propria mancanza di esperienza. L'esperienza della rivoluzione russa ha dimostrato l'inutilità di questa visione. La struttura dello Stato, basata su partiti politici, è specifica dello Stato borghese e più specificamente della democrazia borghese. La società del periodo di transizione non delega il suo potere ai partiti, vale a dire agli organismi specializzati. Il semi-Stato di questo periodo ha come struttura il sistema dei Soviet, cioè una partecipazione costante e diretta delle masse nella vita e nel funzionamento della società. È a questa condizione che le masse possono, in qualsiasi momento, revocare i loro rappresentanti, sostituirli ed esercitare un controllo permanente su di loro. La delega del potere a qualsiasi partito equivale a reintrodurre la divisione tra potere e società, e quindi il più grande ostacolo alla sua emancipazione. Inoltre, come ha dimostrato l'esperienza della Rivoluzione d'Ottobre, l'assunzione o la partecipazione del partito del proletariato nello Stato compromette profondamente le sue funzioni. Senza entrare nella discussione della funzione del partito e del suo rapporto con la classe che rientra in un altro dibattito, è sufficiente ricordare semplicemente che le ragioni contingenti e le ragioni dello Stato finiscono per prevalere sul partito, identificandolo con lo Stato e separandolo dalla classe, fino ad opporsi ad essa”.
Occorre porsi una domanda su questo schizzo di un possibile Stato transitorio del futuro. Esso si fonda sul principio fondamentale che il proletariato, come unica classe comunista, deve in ogni momento mantenere la sua autonomia da tutte le altre classi. La conseguenza diretta di questo concetto è l'appello affinché i consigli operai esercitino la loro dittatura sullo Stato e la composizione sociale di questi consigli è chiara: sono consigli urbani composti da delegati eletti in tutti i luoghi di lavoro della città. Il problema per noi è che questa nozione è stata avanzata in un momento - negli anni '70 - quando la classe operaia aveva ancora un senso ben definito di identità di classe e, nei paesi centrali del capitalismo, era concentrata in grandi posti di lavoro come fabbriche, miniere, cantieri navali, ecc. Ma negli ultimi decenni, queste concentrazioni sono state in gran parte spezzate dal processo di “globalizzazione” e la classe operaia non solo è stata materialmente atomizzata da questi cambiamenti, ma è stata anche sottoposta a un'offensiva ideologica inesorabile, soprattutto dopo il crollo del cosiddetto “comunismo” dopo il 1989: un'offensiva basata sull'idea che la classe operaia non esista più, che è ora al massimo una sorta di sottoclasse, o anche una sottoclasse razziale, come nell'idea disgustosa che la classe operaia sia per definizione “bianca”. Allo stesso modo, la nostra classe si è trovata ancora più frammentata con il processo di “uberizzazione” che cerca di presentare ogni lavoratore come un singolo imprenditore. Ma soprattutto, è stata investita da una propaganda che afferma che la lotta di classe è un anacronismo totale e può solo condurre, non alla formazione di una società più umana, ma alle peggiori forme di terrore di Stato, come nell'URSS di Stalin[21].
Questi cambiamenti e queste campagne hanno creato grandi difficoltà per la classe operaia e pongono problemi reali nella formazione dei futuri consigli operai. Non è che l'idea dei consigli sia completamente scomparsa o si sia trasformata in una mera appendice della democrazia borghese. Il concetto di fondo è emerso, ad esempio, nelle assemblee di massa del movimento degli Indignados in Spagna nel 2011 - e contro gruppi come Democrazia Reale Ora (Democracia real ya) che volevano utilizzare le assemblee per dare una sorta di vita vampiresca al sistema parlamentare, c'erano quelli che, nel movimento, sostenevano che queste assemblee fossero una forma di autonomia superiore al vecchio sistema parlamentare. La maggior parte dei componenti di queste assemblee erano infatti proletari, ma principalmente studenti, disoccupati, lavoratori precari, e superavano la loro atomizzazione incontrandosi nelle piazze o nelle assemblee di quartiere. Allo stesso tempo, c'era poca o nessuna tendenza equivalente a tenere assemblee nei grandi posti di lavoro.
In un certo senso, questa forma di organizzazione delle assemblee era un ritorno alla forma della Comune del 1871, che era composta da delegati dei quartieri (ma soprattutto dei quartieri operai) di Parigi. I consigli operai o soviet del 1905 o 1917 furono un progresso rispetto alla Comune, in quanto erano un mezzo preciso per permettere alla classe di organizzarsi come tale. La forma “territoriale”, d'altra parte, è molto più vulnerabile per il fatto che siano i cittadini a riunirsi, non una classe con il proprio programma, e abbiamo visto questa debolezza molto chiaramente nel movimento Indignados. E più recentemente, le rivolte sociali che hanno travolto il mondo, dal Medio Oriente al Sud America hanno dimostrato ancora più chiaramente il pericolo dell'interclassismo, del proletariato annegato nelle proteste della popolazione in generale, dominate da un'ideologia democratica da un lato e, dall'altro, dalla violenza disperata e disorganizzata che caratterizza il programma del sottoproletariato[22].
Non possiamo sapere come questo problema sarà affrontato in un futuro movimento di massa, che potrebbe vedere il proletariato organizzato da un insieme di assemblee di massa sul posto di lavoro e per strada. Può anche darsi che l'autonomia della classe operaia debba assumere in futuro un carattere più direttamente politico: in altre parole, che gli organi di classe della prossima rivoluzione si definiscano molto più che in passato sulla base della loro capacità di assumere e difendere posizioni politiche proletarie (come l'opposizione al parlamento e ai sindacati, lo smascheramento della sinistra capitalista, ecc.). Ciò non significa che i luoghi di lavoro, e i Consigli che ne emaneranno, cesseranno di essere un centro cruciale per la riunione della classe operaia come classe. Questo sarà certamente il caso in paesi come la Cina, la cui frenetica industrializzazione è stata la conseguenza della deindustrializzazione di certe parti del capitalismo in Occidente. Ma, anche in quest'ultimi, vi sono ancora notevoli concentrazioni di lavoratori in settori quali la sanità, i trasporti, le comunicazioni, l'amministrazione e l'istruzione (e anche nel settore manifatturiero...). E abbiamo visto alcuni esempi di come i lavoratori possano superare gli svantaggi della dispersione nelle piccole imprese, ad esempio nella lotta dei lavoratori siderurgici a Vigo in Spagna nel 2006, dove assemblee di scioperanti nel centro della città hanno raggruppato lavoratori di diverse piccole fabbriche siderurgiche. Torneremo su questi problemi in un prossimo articolo. Ma ciò che è certo è che in ogni futuro sconvolgimento rivoluzionario l'autonomia di classe del proletariato richiederà una reale assimilazione dell’esperienza delle rivoluzioni precedenti, e in particolare dell'esperienza dello Stato postrivoluzionario. Possiamo dire con una certa fiducia che la critica dello Stato, sviluppata da una linea di rivoluzionari che va da Marx, Engels e Lenin a Bilan e Marc Chirik sia nella GCF che nella CCI, sarà indispensabile per la riappropriazione, da parte della classe operaia, della propria storia, e quindi all'attuazione del suo futuro comunista.
C D Ward, Agosto 2019
[1] “Dopo la seconda guerra mondiale: dibattiti su come i lavoratori eserciteranno il potere dopo la rivoluzione [99]” (in francese)
[2] Vedi in particolare: “Il comunismo (III): Gli anni '30: Il dibattito sul periodo di transizione [100]” e “Il comunismo (IV): l'ingresso dell'umanità nella sua vera storia - I problemi del periodo di transizione [101]” (in francese)
[3] Ad esempio: Sulla natura e la funzione del partito politico del proletariato [102] (Internazionalisme n°38 – ottobre 1948) Rivista Internazionale n°3
[4] Il periodo di transizione [103] (in francese). La brochure originale è esaurita, ma le copie possono essere fatte su richiesta
[5] L’evoluzione di questo gruppo, in particolare la sua apologia del terrorismo e i suoi violenti attacchi contro i compagni della CCI, lo hanno portato fuori dai confini del campo proletario. Vedi: Come il Groupe Communiste Internationaliste sputa sull'internazionalismo proletario [104]; Il GCI attacca le assemblee operaie e difende il sabotaggio sindacale della lotta [105]; A che serve il Groupe Communiste Internationaliste? [106]
[6] Uno dei più recenti convertiti a questa idea è il gruppo Perspective Internationaliste. Una risposta interessante a coloro che rifiutano la necessità del periodo di transizione è stata pubblicata nel 2014 dalla Communist Workers’ Organisation (CWO), Il periodo di transizione ed i suoi negatori [107] ( articolo del 2014 pubblicato dalla TCI)
[7] Vedere la nostra recensione di Dauvé sugli eventi in Spagna del 1936 Review of “When Insurrections Die”: modernist ideas hinder a break from anarchism [108] (in inglese)
[8] Il termine comunizzazione è valido di per sé, perché è perfettamente vero che le relazioni sociali comuniste non sono il prodotto di decreti o leggi dello Stato, ma del “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”, come ha detto Marx. Ma respingiamo l'idea che questo processo possa avvenire senza che la classe operaia prenda potere.
[9] Il comunismo non è un “bell’ideale”, Vol.3 Parte 10, “Bilan, la sinistra olandese e la transizione al comunismo [109]”, Revue Internationale n°151
[10] Il periodo di transizione e i suoi negatori [107](articolo del 2014 pubblicato dalla TCI)
[11] Problemi del periodo di transizione [97] (in francese)
[12] “Lo Stato nel periodo di transizione [110]”, S e M, maggio 1977 (in francese)
[13] Le origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, capitolo IX.
[14] Critiche marginali all'articolo: “Il re di Prussia e la riforma sociale da un prussiano [111]” (in francese)
[15] Engels usa il termine “in linea di principio” perché continua a dire “Eccezionalmente, ci sono momenti in cui le classi in lotta sono così vicine a bilanciarsi che il potere dello Stato, come pseudo-mediatore, mantiene per un tempo una certa indipendenza da entrambi. Così, la monarchia assoluta del XVII e XVIII secolo mantenne lo stesso equilibrio tra la nobiltà e la borghesia; così, il Bonapartismo del Primo e in particolare quello del Secondo Impero francese, facendo giocare il proletariato contro la borghesia e la borghesia contro il proletariato”. Marc commenta queste eccezioni in “Le origini dello Stato e il resto”, fornendo esempi in cui, nel quadro della società di classe, la forma di Stato che generalmente corrisponde al modo di produzione dominante può essere utilizzata anche per proteggere i rapporti di produzione che riapparvero dopo una lunga assenza - l'esempio della schiavitù nel XVII e XIX secolo ne è un esempio.
[16] Leggi "Il Proletariato e lo Stato di Transizione [112]", nella serie Il comunismo non è un bellissimo ideale, è all'ordine del giorno della storia. Revue Internationale n°100 (in francese)
[17] “Dibattito: Risposta a E. [113]”
[18] “Lo Stato nel periodo di transizione [114]”, Revue Internationale n°15
[19] Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Capitolo IX.
[20] Critica alla Filosofia del diritto di Hegel [98]di Karl Marx, 1843. Nostra traduzione.
[21] Il rapporto sulla lotta di classe all'ultimo Congresso della CCI si concentra su questo tema dell'identità di classe: Formazione, perdita e riconquista dell'identità di classe proletaria. [37]
Dopo l'assassinio mirato da parte degli Stati Uniti del principale stratega militare iraniano Qaseem Soleimani, in molte capitali del mondo, soprattutto in Europa occidentale - che si esprimesse o meno un esplicito sostegno all'azione statunitense - si è parlato della necessità di evitare una "escalation" delle tensioni militari in Medio Oriente. Commentando la natura limitata della risposta iniziale dell'Iran - un attacco missilistico contro le basi aeree statunitensi in Iraq che sembrava aver causato pochi danni o perdite di vite umane - le stesse voci tiravano un sospiro di sollievo, sperando che l'Iran si fermasse.
Ma l'escalation degli scontri militari in Medio Oriente - e il particolare contributo degli Stati Uniti ad essa - ha radici più profonde e più ampie dell'attuale stallo tra l'Iran e il governo Trump. Già nel periodo della guerra fredda la regione, strategicamente vitale, era stata teatro di una serie di guerre per procura tra il blocco americano e quello russo, in particolare le guerre arabo-israeliane del 1967 e del 1973 e le "guerre civili" che hanno lacerato il Libano e l'Afghanistan o la guerra tra Iran e Iraq negli anni Ottanta. Con il crollo del blocco russo alla fine di quel decennio, gli Stati Uniti hanno cercato di imporsi come l'unica superpotenza del mondo, chiedendo che i loro ex partner del blocco occidentale si unissero alla prima guerra del "Nuovo Ordine Mondiale" di Bush Senior contro l'Iraq di Saddam nel 1991.
Ma questo Nuovo Ordine Mondiale si rivelò presto un'illusione. Invece di raggiungere una nuova stabilità globale - che sarebbe stata dominata dagli Stati Uniti, naturalmente - ogni nuova avventura militare americana non ha fatto altro che accelerare uno scivolamento nel caos: lo stato attuale dei due Paesi che gli USA hanno invaso all'inizio del nuovo secolo, Afghanistan e Iraq, lo dimostra ampiamente. Sotto Obama, gli Stati Uniti invertono la rotta in questi Paesi, e la necessità di "fare perno" verso l'Estremo Oriente per affrontare la crescente sfida della Cina ha ulteriormente sottolineato l'indebolimento della presa dell'imperialismo americano sul Medio Oriente. In Siria ha dovuto cedere sempre più terreno alla Russia di Putin, che ha ora stretto un'alleanza con la Turchia (membro della Nato) per disperdere le forze curde che prima detenevano la Siria settentrionale con l'appoggio degli Usa[1].
Tuttavia, se gli Stati Uniti si sono ritirati in Siria, non si sono affatto ritirati dalla regione. Hanno invece spostato la loro strategia verso l'indefettibile sostegno ai loro due alleati più affidabili della regione - Israele e Arabia Saudita. Con Trump gli USA hanno praticamente abbandonato ogni pretesa di fare da arbitro tra Israele e i palestinesi, sostenendo le mosse apertamente annessioniste di Netanyahu, senza alcuno scrupolo. Allo stesso modo, non si fanno scrupoli a sostenere il regime saudita che sta conducendo una guerra brutale nello Yemen e che uccide sfacciatamente i portavoce dell'opposizione come il giornalista Jamal Khashoggi, ucciso e smembrato nell'ambasciata saudita di Istanbul. E soprattutto hanno aumentato le pressioni contro il loro principale nemico nella regione, l'Iran.
L'Iran è una spina nel fianco degli Usa fin dalla cosiddetta Rivoluzione islamica, che ha rovesciato lo scià, fortemente favorevole agli Usa, nel 1979. Negli anni '80 hanno sostenuto la guerra di Saddam contro l'Iran per indebolire il nuovo regime. Ma il rovesciamento di Saddam nel 2003 ha aperto gran parte dell'Iraq all'influenza iraniana: il governo iracheno di Baghdad, dominato dagli sciiti, è strettamente allineato al regime di Teheran. Questo ha aumentato notevolmente le ambizioni imperialiste dell'Iran in tutto il Medio Oriente: ha creato una sorta di Stato all'interno di uno Stato attraverso Hezbollah in Libano ed è il principale sostegno alle forze Huthi che combattono contro l'Arabia Saudita e i suoi delegati nello Yemen. E Soleimani è stato il principale architetto dell'imperialismo iraniano in queste e altre avventure.
La decisione di Trump di procedere con l'assassinio di Soleimani non si è quindi basata su un mero capriccio di questo presidente statunitense, ma fa parte di una strategia imperialista sostenuta da una parte considerevole della borghesia statunitense - anche se il perseguimento della sua logica ha certamente acuito le divisioni all'interno dell'apparato militare/politico della classe dirigente statunitense. In particolare ha fatto arrabbiare chi ha sostenuto l'approccio più conciliante di Obama nei confronti dell'Iran, incarnato dall'accordo sul programma nucleare iraniano, uno dei primi accordi diplomatici che Trump ha abbandonato quando è diventato presidente. Questo tentativo di costruire ponti con l'Iran è stato anche l'approccio delle principali potenze europee, tra cui la Gran Bretagna, che hanno nuovamente espresso i loro dubbi sulla politica di Trump dopo l'uccisione di Soleimani.
Questi critici borghesi di Trump si sono lamentati dicendo di non riuscire a vedere l’obiettivo a lungo termine dietro l'assassinio di Soleimani, e che Trump non ha riflettuto a fondo. Continuano ad affermare il loro impegno a favore di soluzioni razionali, politiche e diplomatiche ai conflitti bellici e alle rivalità che si stanno diffondendo in tutto il mondo. Ma lo scivolamento del capitalismo nel militarismo non è il prodotto di Trump o di altri cattivi leader, ma dell'impasse storica del sistema capitalistico, e queste fazioni borghesi "responsabili" non dipendono dalla macchina militare meno di Trump e di altri populisti - l'uso della guerra dei droni in Medio Oriente e nelle regioni circostanti è cominciato con Obama.
L'amministrazione Trump parte dal riconoscimento che sia il vecchio ordine di disciplinate alleanze militari, che ha retto durante la Guerra Fredda, sia il progetto del Nuovo Ordine Mondiale post-1989, sono ugualmente morti e che la vera dinamica nel mondo dal 1989 è "ognuno per sé e il diavolo prende il più debole": questo è il vero significato dello slogan di Trump "America First". E questa, a sua volta, è l'espressione, a livello di relazioni internazionali, della decomposizione di fondo della stessa società capitalista - della fase finale del declino del capitalismo come modo di produzione, che è stato chiaramente segnalato per la prima volta dallo scoppio della prima guerra mondiale. In questo contesto, gli Stati Uniti non sono più il gendarme del mondo, ma il fattore principale dello scivolamento nel caos. Trump è solo la personificazione di questa tendenza spietata. Ecco perché “l’obiettivo a lungo termine" che si gioca dietro l'uccisione di Soleimani, indipendentemente dalle fantasie soggettive di Trump o dei suoi accoliti e sostenitori, può avere un solo risultato: l'escalation della barbarie militare, che si svolga o meno a breve o a lungo termine. E, come l'incubo in Siria dimostra chiaramente, la prima vittima di questa escalation sarà la massa della popolazione, il "danno collaterale" del militarismo. In questo senso, intenzionale o meno, l'abbattimento dell'aereo di linea ucraino su Teheran lo stesso giorno dell'attacco missilistico iraniano contro le basi aeree statunitensi dimostra il vero costo umano di questi scontri militari.
L'ala sinistra dell’apparato politico capitalista - i Democratici e i "Socialisti Democratici" negli Stati Uniti, i Corbinisti in Gran Bretagna, i Trotzkisti ovunque - hanno una loro idea quando accusano Trump o l'imperialismo statunitense di aver scatenato tensioni in Medio Oriente: che l'America o le potenze occidentali sono gli unici imperialisti, e che sono osteggiati da paesi non imperialisti o addirittura antimperialisti come la Russia, la Cina - o l'Iran. Questa è una menzogna: in quest'epoca tutti i paesi sono imperialisti, dagli Stati più grandi e influenti alle potenze più piccole e meno globali. L'Iran, non meno di Israele, ha le sue proprie pulsioni imperialiste, espresse nei suoi tentativi di usare forze vicine per diventare la potenza leader in Medio Oriente. E dietro di esse si annidano i più grandi Stati imperialisti di Russia e Cina. Al contrario, gli sfruttati dal capitale, qualunque sia lo Stato nazione che presiede al loro sfruttamento, non hanno alcun interesse a identificarsi con le avventure imperialiste della propria classe dirigente.
La sinistra, pur chiedendo la difesa delle nazioni e degli Stati nazionali cosiddetti "oppressi", pretende di stare dalla parte degli sfruttati e degli oppressi in questi Paesi, dove il lungo regno dell'economia di guerra insieme all'impatto della crisi economica mondiale - a cui si aggiunge il peso delle sanzioni statunitensi in un Paese come l'Iran[2] - ha certamente portato a un massiccio accumulo di malcontento sociale e di opposizione ai regimi esistenti in tutto il Medio Oriente. Lo hanno dimostrato le rivolte popolari in Paesi come il Libano, l'Iraq e l'Iran degli ultimi due anni. Ma se da un lato i sinistrorsi sostengono questi movimenti, dall'altro, essi minano la possibilità che in questi paesi emerga un movimento di classe indipendente, perché si rifiutano di criticare le debolezze di queste rivolte in cui si fondono interessi di classe diversi. Infatti, con il suo sostegno al "nazionalismo degli oppressi", la sinistra non può che rafforzare ulteriormente la tendenza di queste rivolte ad assumere una direzione nazionalista (come nel caso degli slogan anti-iraniani sollevati nelle proteste in Iraq, o dello sventolio della bandiera libanese come falsa soluzione alle divisioni settarie in Libano). E ora che i regimi in Iran e in Iraq, per il momento, stanno cercando di deviare il malcontento nei confronti del regime verso una campagna isterica di unità nazionale antiamericana, la sinistra, facendo eco agli slogan anti-americani, si rivela un’alleata dello sforzo bellico degli ayatollah. Ed è una delle ironie della situazione che l'assassinio statunitense di Soleimani permetta al regime di Teheran di utilizzare queste campagne per rafforzare la sua credibilità come difensore degli "interessi nazionali" iraniani.
Eppure, nonostante le immagini ben pubblicizzate di centinaia di migliaia di persone nelle strade che piangono per Soleimani, dubitiamo che gli sfruttati e gli oppressi dell'Iran e dell'Iraq siano stati interamente implicati: in fondo si tratta di quello stesso Soleimani le cui forze speciali sono state in prima linea nella repressione spietata delle proteste contro il regime, che ha lasciato centinaia di cadaveri nelle strade. Le manifestazioni rabbiose antigovernative scoppiate in Iran subito dopo che le autorità hanno ammesso di aver abbattuto l'aereo di linea ucraino dimostrano che la "Sacra Unione" promossa dal regime dopo l'uccisione di Soleimani non ha una vera solidità.
La classe operaia iraniana ha intrapreso negli ultimi due anni lotte coraggiose, rivelando ancora una volta di avere il potenziale - come abbiamo visto in certi momenti del 1978-79 - di fornire una leadership alla massa della popolazione, di integrare il suo malcontento in un movimento autenticamente proletario.
Ma perché ciò avvenga, i lavoratori dell'Iran, dell'Iraq e di altri Paesi in prima linea nel conflitto imperialista dovranno sviluppare la capacità di evitare tutte le trappole poste sul loro cammino, sia sotto forma di nazionalismo che di illusioni nella superiorità della "democrazia occidentale". E non potranno fare questo vitale passo avanti senza la solidarietà attiva della classe operaia internazionale, soprattutto nei Paesi centrali del sistema. Le attuali lotte della classe operaia in Francia indicano che questa non è una speranza disperata.
Contro l'escalation della barbarie militare, l'unica via d'uscita per l'umanità è l'escalation della lotta di classe internazionale contro il capitale, le sue rivalità nazionali, la sua repressione e le sue guerre.
Amos, 12.1.2020
[1] Il "cambio di casacca" della Turchia di Erdogan funziona comunque in tutti e due i sensi, come la maggior parte delle alleanze in questo periodo: in Medio Oriente, si è schierata verso la Russia contro gli Stati Uniti, ma in Libia, ha inviato truppe a sostegno del governo di accordo nazionale riconosciuto dall'ONU, contro le forze sotto Khalifa Haftar, che sono sostenute dalla Russia...
[2] Ricordiamo anche che lo stesso Trump che ipocritamente dichiara il suo sostegno alle proteste della popolazione iraniana contro la povertà e la disoccupazione minaccia ora di rendere ancora più disperate le loro condizioni di vita infliggendo all'Iran sanzioni economiche ancora più penalizzanti. Non meno ipocrita è la pretesa di Trump di sostenere le proteste che hanno fatto seguito all'abbattimento della compagnia aerea, un tentativo di strumentalizzare l'errore dell'Iran e di diffondere illusioni sugli scrupoli morali delle potenze occidentali
Mentre il mondo è alle prese con la pandemia Covid-19, la CCI il 26 marzo 2020 ha dovuto affrontare anche la dolorosa prova della morte del nostro compagno Kishan. È stata una grande perdita per la CCI e la sua sezione in India, e ci mancherà moltissimo. Kishan ha contribuito notevolmente alla vita della CCI ed è stato un compagno di immensa combattività fino al suo ultimo respiro.
Kishan è nato nel 1939 in un remoto villaggio del Bengala occidentale, in India. Entra all'università negli anni '60, prima che la classe operaia facesse la sua apparizione nello sciopero di nove milioni di lavoratori in Francia nel 1968, seguito dall'autunno caldo in Italia nel 1969, dalle lotte operaie polacche nel 1970, segnando così la fine del periodo della controrivoluzione. Il periodo degli anni Sessanta è stato segnato da numerose proteste nelle università di tutto il mondo, soprattutto contro la guerra del Vietnam e il razzismo. I giovani che hanno preso parte a questi movimenti erano sinceri nel loro desiderio di cambiamento “rivoluzionario” ma hanno agito principalmente su terreno piccolo-borghese con l'illusione di poter “cambiare le cose subito”. Tuttavia, sia prima che dopo il 1968, c'erano organizzazioni gauchiste, cioè organizzazioni borghesi dell'estrema sinistra del capitale, pronte ad ingannare i giovani e ad ostacolare il loro interesse per le posizioni della classe operaia. Queste erano le condizioni globali che hanno permesso a Kishan di essere coinvolto nel movimento naxalita[1].
Dal 1963 al 1965 ha conseguito un master in fisica presso l'Università del Bengala settentrionale. Ha conseguito un master con il massimo dei voti e la lode. Allora studente del terzo ciclo di laurea, faceva parte di una giovane generazione sedotta dal movimento naxalita. A poco a poco, il termine naxalismo divenne sinonimo di maoismo. Da giovane studente, Kishan si gettò anima e corpo nel movimento, lasciando da parte i suoi studi e finendo in galera per le sue attività. Dopo otto anni di prigione, è stato rilasciato nel 1978. Le indicibili torture subite in carcere lo hanno toccato fino alla fine della sua vita. Chiuso in una cella stretta e cibo insufficiente, a volte non commestibile, Kishan ha contratto la tubercolosi e questa infezione dei polmoni lo ha accompagnato fino all'ultimo giorno della sua vita. Durante il periodo di detenzione ha letto in particolare Marx e questo lo ha aiutato a rimanere aperto al dibattito sulle idee marxiste della Sinistra comunista una volta incontrate.
Kishan è stato uno dei pochi che, accalappiato dal maoismo, una forma particolarmente subdola dell'ideologia borghese di sinistra, è stato in grado di staccarsene completamente e dedicare la sua vita al proletariato abbracciando le tradizioni della Sinistra comunista. Una tale rottura ha richiesto inevitabilmente un chiarimento attraverso un lungo e paziente lavoro di discussione con la CCI durante gli anni '80 e '90. Nel 1989, la formazione del nucleo della CCI in India ha stimolato questa dinamica di chiarificazione. Quando Kishan entra in contatto con la CCI, scopre la vera storia della Sinistra comunista. È rimasto sorpreso quando si è reso conto, grazie all'elaborazione teorica della CCI, che il maoismo non è altro che un'altra forma di ideologia borghese, una corrente politica controrivoluzionaria.
“Il maoismo non ha niente a che fare con la lotta, né con la coscienza, né con le organizzazioni rivoluzionarie della classe operaia. Non ha nulla a che fare con il marxismo, non ne è né una parte né una tendenza, né uno sviluppo della teoria rivoluzionaria del proletariato. Al contrario, il maoismo è solo una grossolana falsificazione del marxismo, la sua unica funzione è seppellire tutti i principi rivoluzionari, oscurare la coscienza di classe del proletariato e sostituirla con l'ideologia nazionalista più stupida e ottusa. In quanto "teoria", il maoismo è solo una delle forme miserabili che la borghesia ha potuto adottare nel suo periodo di decadenza, durante la controrivoluzione e la guerra imperialista”[2]. Queste spiegazioni della CCI sul maoismo hanno avuto un impatto considerevole sul compagno Kishan. La capacità politica di criticare completamente il suo passato è stata essenziale perché Kishan diventasse un militante di una vera organizzazione rivoluzionaria.
Il Partito Comunista dell'India è stato istituito nel 1925, quando l'Internazionale comunista stava già degenerando e le più importanti lotte dell'ondata rivoluzionaria erano state sconfitte, in particolare le rivoluzioni russa e tedesca. La volontà del Partito Comunista in India era quella di diventare un movimento anticoloniale, anti-britannico, legato a molti altri movimenti nazionalisti. Il nazionalismo e il patriottismo hanno avuto un grande impatto sul Partito Comunista in India. La classe operaia in India soffre della mancanza di tradizione e continuità dalla Sinistra comunista. Ciò sottolinea l'importante responsabilità della CCI in India per far conoscere l’eredità storica della Sinistra comunista.
Percorrendo la strada dello studio approfondito e della discussione permanente, Kishan è diventato gradualmente un militante della CCI. La sua lealtà alla CCI e alla lotta internazionale del proletariato lo ha reso un vero proletario internazionalista. Ha sempre difeso le posizioni della CCI con immensa dedizione. Era determinato a partecipare ai dibattiti della CCI a livello internazionale e nella nostra sezione in India attraverso i suoi frequenti contributi. Il compagno Kishan ha messo il suo ardore al servizio della CCI in diversi modi. Ha viaggiato in tutto il paese per trovare nuove librerie in cui vendere la stampa della CCI. Ha partecipato a circoli di discussione e riunioni pubbliche tutte le volte che ne aveva possibilità. Ha svolto un ruolo notevole nell'aumentare il numero di abbonati alla nostra stampa. Ha preso parte e ha svolto un ruolo molto attivo in vari congressi internazionali della CCI e nelle conferenze locali della nostra sezione indiana. I suoi preziosi e ponderati contributi sono stati un apporto al processo di chiarificazione politica. La sua forza più grande è stata quella di difendere la nostra organizzazione da tutti gli attacchi e le calunnie di cui era oggetto.
Il compagno Kishan ha avuto la capacità di superare gli innumerevoli pericoli della vita. La sua ferma convinzione nella politica della CCI e il suo carattere ottimista lo hanno aiutato a resistere nelle situazioni politiche più difficili. È difficile rendere in un testo così breve il giusto omaggio al contributo di Kishan alla lotta politica per l'emancipazione della classe operaia.
Vorremmo anche aggiungere che Kishan era molto ospitale. Molti compagni della CCI, di altri paesi o della stessa India, hanno potuto conoscere la sua generosa ospitalità. Inviamo i nostri saluti rivoluzionari e la nostra solidarietà alla sua famiglia. La CCI porta a sua figlia e a sua moglie tutta la sua simpatia e la sua solidarietà.
CCI, ottobre 2020
[1] Movimento di influenza maoista che si radica nelle campagne del Bengala occidentale. Il suo nome deriva da Naxalbari, un villaggio della regione
[2] Maoism: a monstrous offspring of decadent capitalism [118], sul nostro sito.
Un simpatizzante della CCI fa un appello alle organizzazioni del campo proletario affinché si assumano le proprie responsabilità per far fronte alle pericolose manovre di un avventuriero.
Vorrei esprimere il mio pieno sostegno al testo su Gaizka pubblicato dalla CCI[1]. Innanzitutto, va sottolineato che la CCI non ha pubblicato l'articolo su Gaizka per attaccarlo (il suo vero nome è stato accuratamente omesso) ma per identificare un elemento opportunistico e avventuriero che è in grado di confondere il campo politico proletario (ndr, in seguito indicato come milieu). Più in generale, il documento della CCI tende a mettere in luce la debolezza programmatica e organizzativa di questo milieu, espressa dall'accettazione di Nuevo Curso (NC) al suo interno. L'ultimo articolo, insieme a quello sulla storia della cosiddetta "Sinistra Comunista Spagnola"[2], rivela la natura fraudolenta della politica di Nuevo Curso. Le sue aperture al trotskismo storico sono state giustamente criticate in quanto contrarie alle posizioni programmatiche della Sinistra Comunista. Allora perché pubblicare un articolo sull’elemento motore in Nuevo Curso? L'esistenza di NC dimostra quanto sia facile essere sedotti da elementi avventurieri. Nello scritto che segue voglio evidenziare alcune questioni che l'ascesa di Gaizka pone per il campo proletario.
Il mio obiettivo non è quello di ripetere ciò che è già stato confermato riguardo alla natura di questo particolare elemento in Spagna. Ma mi sembra che la natura di questi avventurieri debba essere compresa in una prospettiva storica. La storia del proletariato e la storia delle sue organizzazioni politiche è stata macchiata dalla comparsa di "grandi leader" che hanno cercato di usare questi movimenti per la propria gloria personale. Uno degli esempi principali è stato Lassale, ma ce ne sono stati altri. L'avventurismo, però, deve trovare terreno fertile per poter covare. Dobbiamo considerare le ragioni per cui alcuni elementi sparsi e debolmente politicizzati sono in grado di creare un altro gruppuscolo che rivendica di essere della "Sinistra Comunista" che può altrettanto facilmente riunirsi sotto la guida di qualsiasi altro gruppo appartenente all'ambiente proletario. E perché altri gruppi sono inclini ad accettare l'esistenza di tendenze che sono chiaramente in contraddizione con il loro stesso programma?
Storicamente, come hanno dimostrato i testi pubblicati dalla CCI sull'avventurismo, la predominanza di elementi avventurieri si basa soprattutto sulla debolezza del campo proletario in un determinato momento storico. Ciò non significa che le organizzazioni siano incapaci di agire in un momento storico difficile per i comunisti, ma è necessaria una forte solidità organizzativa e teorica per poter andare controcorrente.
In altre parole, è imperativo che il milieu sia in grado di far fronte a un attacco ai principi teorici. Dovrebbe esserci una riflessione globale sul perché e sul come siamo attualmente perseguitati da elementi che cercano di allontanarsi dalla tradizione della Sinistra Comunista. Nel complesso, il problema sembra risiedere nella debolezza del milieu. Ma prima di andare oltre su questo argomento, sarebbe interessante capire come una nuova organizzazione può legittimamente diventare parte integrante del milieu. Così facendo, difendiamo il concetto di campo politico proletario, proprio perché ci permette di non mettere in dubbio il nostro patrimonio ogni volta che appare un nuovo gruppo e perché definisce ciò che può essere legittimamente mantenuto per essere considerato "comunista". D'altra parte, questo ci permette di escludere quello che, sulla base dell'esperienza storica, non potrà mai essere una posizione della classe operaia.
Nonostante ciò è possibile far parte dell'ambiente proletario con nuove idee e unirsi ad esso sia come nuovo gruppo, sia all'interno di gruppi già esistenti, con posizioni che sembrano contrastare l'opinione comune. Infatti, è proprio la dura lotta contro il dogma della Seconda Internazionale che ha permesso alle Frazioni di Sinistra di rompere su basi chiare con la vecchia organizzazione e la tenuta del nucleo proletario. Tuttavia, non ci può essere teoria che non si sviluppi senza il confronto con la realtà o attraverso il dibattito con altri gruppi politici esistenti. E non possiamo ignorare ciò che è già stato più volte dimostrato dalla storia, per esempio il ruolo reazionario dei sindacati. Per noi comunisti non è possibile scoprire l’acqua calda: al momento attuale, data la fragilità della nostra corrente politica e la distribuzione demografica dei nostri militanti e, soprattutto, il difficile momento politico in cui ci troviamo (con frontiere, populismo, politiche di colpevolizzazione, ecc.), ogni germe di dubbio politico sui principi fondamentali è quasi suicida. Nella difesa del milieu e dei punti di consenso (non riconosciuti) che esso rappresenta, sarebbe del tutto impensabile che un gruppo rappresenti sia un'organizzazione comunista sia un'organizzazione borghese.
È chiaro che è impossibile vivere e lavorare sotto il capitalismo senza esserne influenzati, ma c'è una notevole differenza tra questo e il fatto di lavorare come consigliere per una personalità politica sostenendo attivamente un partito borghese e la sua ideologia. Se una tale doppia rappresentanza della causa borghese e comunista venisse accettata, si oscurerebbe il significato del comunismo e si offuscherebbe il cammino verso il quale la classe operaia deve dirigere la sua attenzione.
Come già detto, la rottura è necessaria. Nessuna di queste due condizioni, per quanto elementari, è stata garantita dalla figura dominante di Nuevo Curso. Non è stata fornita alcuna spiegazione delle oscillazioni politiche di Gaizka, e la sua organizzazione non ha neppure definito le sue differenze rispetto ad altri gruppi. E, va notato, non ha neanche fornito una vera e propria difesa dell'esistenza della cosiddetta Sinistra Spagnola. La chiarezza della teoria comunista deve essere garantita attraverso il dibattito, sviluppando apertamente un insieme di posizioni condivise che definiscono la politica comunista. Purtroppo, il campo politico proletario sembra incapace di farlo.
Questo ci mette in una posizione politica particolarmente difficile, in cui elementi avventurieri sono in grado di crescere senza inibizioni e di acquisire una legittimità immeritata. Sarebbe ridicolo negare la possibilità di legittime differenze sui punti programmatici tra i gruppi comunisti. Ma è di vitale importanza non lasciare le porte aperte alle manovre degli avventurieri e alle posizioni gauchiste, cosa che non sembra scontata se si lascia entrare senza ostacoli elementi come Nuevo Curso. I gruppi parassiti, come il cosiddetto Groupe International de la Gauche Communiste (GIGC), continueranno senza dubbio a difendere l'esatto opposto della posizione della CCI, accogliendo con favore la comparsa di una nuova corrente, tra le altre, nella misura in cui questa serve al loro obiettivo di far implodere il milieu per i propri scopi, che sono quelli di liquidare la teoria e l'organizzazione. Questo dimostra ulteriormente il loro obiettivo finale e l'odio di fondo per il chiarimento, il loro amore per la "scelta", cioè la democrazia, e la loro incapacità di impegnarsi in discussioni senza considerare le loro opinioni come loro proprietà personale. Questo errore li porta a distorcere le attuali critiche a Nuevo Curso equiparandole alla diffamazione, e poiché questo è il loro stesso modus operandi, non sono effettivamente in grado di vedere le cose sotto un'altra prospettiva.
Non possiamo contestare il fatto che nuove argomentazioni o teorie riesaminate potrebbero non essere valide nel dibattito politico tra i gruppi. Il richiamo a una cosiddetta "Sinistra Spagnola" è al tempo stesso la conseguenza e il sintomo di un rifiuto a discutere all'interno del campo proletario, cioè a delineare ciò che dovrebbe legittimamente rimanere valido, e questo è, quindi, un ostacolo alla capacità del milieu di portare avanti una piattaforma comune. La creazione di una nuova tradizione comunista equivale a schivare il dibattito ed è espressione della natura fondamentalmente parassitaria di questo gruppo. Dobbiamo quindi chiederci: cosa ha fatto il milieu finora? In generale, ha accettato l'esistenza di elementi nuovi e ha fallito nell’ingaggiarsi in una critica partendo dalle proprie posizioni. I testi tradotti da Nuevo Curso sono presentati da altri gruppi con pochi o nessun commento sulle sue deviazioni politiche. A quanto pare, per alcuni elementi del milieu, la riverenza verso il "miracolo" dell'emergere di nuovi elementi li porta ad adottare un atteggiamento quasi devoto nei confronti di ogni nuovo elemento che appare.
Il periodo sembra ingannare la maggior parte dei gruppi politici attuali. Alcuni giovani elementi, autonomamente arrivati alle posizioni comuniste, tendono a credere che il partito sarà fondato in un futuro (molto) prossimo. L'errore fondamentale è pensare che se anche riuscissimo a raggruppare la Sinistra Comunista in un'unica organizzazione, questa diventerebbe immediatamente il "partito".
Questo non potrebbe essere un partito perché al momento non avrebbe alcun impatto sulla classe operaia: sarebbe solo l'ennesimo partito, impossibile da distinguere da tutti gli altri piccoli partiti gauchiste dai contenuti vuoti. Sarebbe assurdo "unirsi" solo per il gusto di unirsi. Al contrario, ciò che serve al momento è una forte discussione teorica affinché in futuro sia possibile una tale raggruppamento su solide basi organizzative e teoriche.
Saluto il lavoro svolto dalla CCI per individuare da un punto di vista teorico le radici di Nuevo Curso e per precisare come un avventuriero come Gaizka sia riuscito, sotto le spoglie di una "nuova teoria", a coinvolgere degli elementi ricerca nella palude tra comunismo e gauchismo. Posso solo sperare con tutto il cuore che il milieu sia in grado di superare le sue debolezze, in modo da poter ricominciare i dibattiti indispensabili per avviare quel processo di necessario consolidamento delle posizioni programmatiche, e di conseguenza, per escludere quegli elementi che non si avvicinano fattivamente a queste posizioni.
Merwe, 10-07-2020
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/content/1515/unifichiamo-le-nostre-lotte-contro-gli-attacchi-dei-nostri-sfruttatori
[2] https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati
[3] https://fr.internationalism.org/files/fr/ri_4_80_bat.pdf
[4] https://it.internationalism.org/tag/4/70/francia
[5] https://fr.internationalism.org/content/10088/pandemie-covid-19-france-lincurie-criminelle-bourgeoisie
[6] https://elpais.com/espana/madrid/2020-03-21/el-dano-del-coronavirus-en-las-residencias-de-mayores-sera-imposible-de-conocer.html
[7] https://www.elespanol.com/espana/20200320/criterios-decidir-prioridad-falten-camas-uci/475954325_0.html
[8] https://www.elconfidencial.com/espana/2020-03-24/sanitarios-ramon-cajal-plante-mascarillas_2513959/
[9] https://www.lasprovincias.es/comunitat/sindicatos-exigen-generalitat-20200325192618-nt.html
[10] https://it.internationalism.org/tag/2/25/decadenza-del-capitalismo
[11] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[12] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[13] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[14] https://it.internationalism.org/content/1526/covid-19-unulteriore-prova-che-il-capitalismo-e-diventato-un-pericolo-lumanita
[15] https://it.internationalism.org/victo/Desktop/Corona%20Virus:%20Una%20evidencia%20más%20de%20que%20el%20capitalismo%20se%20ha%20convertido%20en%20un%20peligro%20para%20la%20humanidad
[16] https://it.internationalism.org/content/1478/linternazionale-dellazione-rivoluzionaria-della-classe-operaia
[17] https://it.internationalism.org/content/1479/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2019-conflitti-imperialisti-vita-della
[18] https://www.newtral.es/las-uci-de-europa-ante-los-casos-graves-con-coronavirus/20200312/
[19] https://it.internationalism.org/cci/201601/1347/bombardamenti-in-siria-lintervento-delle-grandi-potenze-amplifica-il-caos
[20] https://fr.internationalism.org/content/9934/droit-dasile-arme-dresser-des-murs-contre-immigres
[21] https://it.internationalism.org/content/1508/guerra-terrore-e-schiavitu-moderna-libia
[22] https://it.internationalism.org/tag/4/83/medio-oriente
[23] https://www.anarchistcommunism.org/wp-content/uploads/2020/04/Going-Postal-spring-2020.pdf
[24] https://it.internationalism.org/content/1521/chi-ce-nuevo-curso
[25] https://it.internationalism.org/content/1516/lassalle-e-schweitzer-la-lotta-contro-gli-avventurieri-politici-nel-movimento-operaio
[26] https://it.internationalism.org/cci/201405/1310/comunicato-ai-nostri-lettori-la-cci-attaccata-da-una-nuova-officina-dello-stato-borg
[27] https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201501/9177/conference-debat-a-marseille-gauche-communiste-docteur-bourrin
[28] https://fr.internationalism.org/rinte88/organisation.htm
[29] https://it.internationalism.org/tag/4/88/nord-america
[30] https://www.leftcom.org/fr/articles/2020-03-19/la-lutte-des-classes-au-temps-du-coronavirus
[31] https://libcom.org/article/workers-launch-wave-wildcat-strikes-trump-pushes-return-work-amidst-exploding-coronavirus
[32] https://www.youtube.com/watch?v=gXC1n8OexRU
[33] https://it.internationalism.org/content/1532/covid-19-barbarie-capitalista-generalizzata-o-rivoluzione-proletaria-mondiale-volantino
[34] https://www.wsws.org/en/articles/2020/04/20/ciud-a20.html
[35] https://fr.internationalism.org/content/10107/covid-19-des-reactions-face-a-lincurie-bourgeoisie
[36] https://en.internationalism.org/comment/27197#comment-27197
[37] https://it.internationalism.org/content/1533/rapporto-sulla-lotta-di-classe-il-23deg-congresso-internazionale-della-cci-2019
[38] https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201801/9654/polemique-failles-du-pci-question-du-populisme-partie-i
[39] https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201805/9698/polemique-failles-du-pci-question-du-populisme-partie-ii
[40] https://it.internationalism.org/tag/7/109/sinistra-comunista
[41] https://www.etoro.com
[42] https://www.rtbf.be/
[43] https://fr.internationalism.org/ri339/crise.html
[44] https://it.internationalism.org/content/1534/guerra-delle-mascherine-la-borghesia-e-una-classe-di-delinquenti
[45] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[46] https://www.leftcom.org/it/articles/2020-08-19/bielorussia-tra-faide-imperialiste-e-moti-di-classe
[47] https://it.internationalism.org/tag/2/31/linganno-parlamentare
[48] https://en.internationalism.org/internationalreview/199604/3709/transformation-social-relations
[49] https://it.internationalism.org/content/1373/gli-anni-50-e-60-damen-bordiga-e-la-passione-il-comunismo
[50] https://en.internationalism.org/internationalreview/199803/3824/1918-programme-german-communist-party
[51] https://en.internationalism.org/internationalreview/199809/3867/1919-programme-dictatorship-proletariat
[52] https://en.internationalism.org/ir/97_kapd.htm
[53] https://en.internationalism.org/content/16797/marc-chirik-and-state-period-transition
[54] https://www.resistenze.org/sito/ma/di/ce/mdce5i16.htm
[55] https://it.internationalism.org/content/proposito-del-libro-di-patrick-tort-effetto-darwin-una-concezione-materialista-delle-origini
[56] https://en.internationalism.org/internationalreview/199506/1685/mature-marx-past-and-future-communism
[57] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1872/abitazioni/qa-3pa.htm
[58] https://www.cnbc.com/2018/05/17/two-thirds-of-global-population-will-live-in-cities-by-2050-un-says.html
[59] https://classiques.uqam.ca/classiques/trotsky_leon/Litterature_et_revolution/Litterature_et_revolution.html
[60] https://en.internationalism.org/internationalreview/200210/9651/trotsky-and-culture-communism
[61] https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2018/02/ipcc_wg3_ar5_chapter8.pdf
[62] https://classiques.uqam.ca/classiques/bebel_auguste/la_femme_et_le_socialisme/femme.html
[63] https://www.marxists.org/francais/luxembur/works/1903/rl19030000.htm
[64] https://www.marxists.org/archive/luxemburg/1903/misc/stagnation.htm
[65] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/interventi
[66] mailto:[email protected]
[67] mailto:[email protected]
[68] https://www.sebalorenzo.co,ar
[69] http://www.nogueradeucuman.blogspot.com
[70] https://it.internationalism.org/content/1490/nuevo-curso-e-una-sinistra-comunista-spagnola-da-dove-viene-la-sinistra-comunista
[71] https://en.internationalism.org/internationalreview/200908/3077/farewell-munis-revolutionary-militant
[72] https://fr.internationalism.org/rinte58/Munis_militant_revolutionnaire.htm
[73] https://es.internationalism.org/revista-internacional/200608/1028/en-memoria-de-munis-militante-de-la-clase-obrera
[74] https://en.internationalism.org/content/2937/polemic-where-going
[75] https://fr.internationalism.org/rinte52/for.htm
[76] https://es.internationalism.org/content/4393/polemica-adonde-va-el
[77] https://en.internationalism.org/content/14445/communism-agenda-history-castoriadis-munis-and-problem-breaking-trotskyism
[78] https://fr.internationalism.org/revue-internationale/201712/9621/communisme-a-lordre-du-jour-lhistoire-castoriadis-munis-et-probleme
[79] https://es.internationalism.org/revista-internacional/201804/4300/el-comunismo-esta-al-orden-del-dia-en-la-historia-castoriadis-muni
[80] https://en.internationalism.org/international-review/201808/16490/castoriadis-munis-and-problem-breaking-trotskyism-second-part-cont
[81] https://fr.internationalism.org/content/9762/castoriadis-munis-et-probleme-rupture-trotskysme
[82] https://es.internationalism.org/node/4363
[83] https://en.internationalism.org/content/3100/confusions-fomento-obrero-revolucionario-russia-1917-and-spain-1936
[84] https://fr.internationalism.org/rinte25/for.htm
[85] https://es.internationalism.org/content/4388/las-confusiones-del-sobre-octubre-1917-y-espana-1936
[86] https://es.internationalism.org/cci/200602/753/1critica-del-libro-jalones-de-derrota-promesas-de-victoria
[87] https://es.wikipedia.org/wiki/Partido_Socialista_Obrero_Espa%C3%B1ol
[88] https://pp.one/
[89] https://www.ultimahora.es/noticias/sociedad/1999/03/01/972195/espanol-preside-nuevo-consejo-europeo-accion-humanitaria-cooperacion.html
[90] https://fr.internationalism.org/french/rint/98_edito_kosovo
[91] https://es.wikipedia.org/wiki/Asamblea_Parlamentaria_de_la_OTAN
[92] https://en.internationalism.org/content/3744/questions-organisation-part-3-hague-congress-1872-struggle-against-political-parasitism
[93] https://www.associazionestalin.it/IIIint_1_piattaforma.html
[94] https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[95] https://en.internationalism.org/content/3106/perspectives-international-class-struggle-breach-opened-poland
[96] https://it.internationalism.org/tag/4/90/stati-uniti
[97] https://fr.internationalism.org/rinte1/transition.htm
[98] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/criticahegel.htm
[99] https://fr.internationalism.org/icconline/201401/8873/apres-seconde-guerre-mondiale-debats-maniere-dont-ouvriers-exerceront-pouvoir
[100] https://fr.internationalism.org/rint127/communisme_periode_de_transition.html
[101] https://fr.internationalism.org/rint128/Mitchell_periode_de_transition_communisme.htm
[102] https://it.internationalism.org/rint/3_naturafunzione
[103] https://fr.internationalism.org/brochures/pdt
[104] https://fr.internationalism.org/icconline/2007/gci
[105] https://fr.internationalism.org/icconline/2006_gci-contre-la-lutte
[106] https://fr.internationalism.org/rint124/gci.htm
[107] https://www.leftcom.org/it/articles/2016-04-05/il-periodo-di-transizione-e-i-suoi-negatori
[108] https://en.internationalism.org/wr/230_Fbarrot.htm
[109] https://fr.internationalism.org/revue-internationale/201304/6968/bilan-gauche-hollandaise-et-transition-au-communisme-communisme-len
[110] https://fr.internationalism.org/french/brochures_PdT_doc_interne
[111] https://www.marxists.org/francais/marx/works/1844/07/prussien.htm
[112] https://fr.internationalism.org/french/rint/100_communisme_ideal
[113] https://fr.internationalism.org/rint11/debat3_periode_transition.htm
[114] https://fr.internationalism.org/rinte15/pdt.htm
[115] https://it.internationalism.org/content/1514/di-fronte-al-peggioramento-della-crisi-economica-globale-e-della-miseria-le-rivolte
[116] https://it.internationalism.org/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[117] https://it.internationalism.org/tag/3/49/imperialismo
[118] https://en.internationalism.org/ir/094_china_part3.html