Sulla natura e funzione del partito politico del proletariato

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SULLA NATURA E FUNZIONE DEL PARTITO DEL PROLETARIATO

Introduzione

Il nostro gruppo si è dato per compito quello di riesaminare i grandi problemi posti dalla necessità di ricostituire un nuovo movimento operaio rivoluzionario. Doveva quindi prendere in esame l’evoluzione della società capitalista verso il capitalismo di Stato, quanto del vecchio movimento operaio già da un certo tempo, e in che modo, era utilizzato dalla borghesia per incatenare il proletariato dietro di sé. Dopo ci siamo dedicati a riconsiderare quali erano le acquisizioni nel movimento operaio e cosa invece era stato superato dopo il Manifesto Comunista. Infine era logico che fossimo portati a studiare i problemi posti dalla rivoluzione e dal socialismo. A tal fine abbiamo presentato uno studio sullo Stato dopo la rivoluzione, e oggi portiamo alla discussione un testo sul problema del partito rivoluzionario del proletariato.

Questa questione è, ricordiamolo, una delle più importanti del movimento operaio rivoluzionario. Su di essa si scontrarono Marx e i marxisti con gli anarchici, con certe tendenze socialdemocratiche e poi con tendenze sindacaliste-rivoluzionarie. Essa è al centro delle preoccupazioni di Marx che fu in particolare critico verso diversi organismi autodefinitisi partiti "operai", "socialisti", Internazionali e altro. Marx, pur partecipando in determinati momenti alla vita di alcuni di questi organismi in maniera attiva, non li considerò mai se non come gruppi politici all’interno dei quali, secondo la frase del Manifesto, i comunisti possono rivelarsi come “avanguardia del proletariato”. Lo scopo dei comunisti è quello di spingere più avanti l’azione di questi organismi e di salvaguardare al loro interno ogni possibilità di critica e di organizzazione autonoma. Poi, vi è la scissione in seno al partito operaio socialdemocratico russo tra la tendenza menscevica e quella bolscevica sulla tesi sviluppata da Lenin nel “Che fare?”. E’ il problema che oppone, tra i gruppi marxisti che avevano rotto con la socialdemocrazia, Raden-kommunisten e K.A.P.D. alla III Internazionale. E’ così in questa continuità di pensiero che si iscrive la divergenza tra il gruppo di Bordiga e Lenin a proposito della politica di “fronte unico” sostenuta da Lenin e Trotskij e adottata dalla IC. E’ infine su questo problema che si centrò una delle divergenze fondamentali tra vari gruppi all’interno dell’opposizione: tra “trotzkisti”, “bordighisti” ed è esso che fu oggetto delle discussioni di tutti i gruppi sorti all’epoca.

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Oggi noi dobbiamo riesaminare criticamente tutte queste manifestazioni del movimento operaio rivoluzionario. Dobbiamo evidenziare nella sua evoluzione - cioè nella manifestazione di diverse correnti di idee a questo proposito - una corrente che, secondo noi, meglio esprime l’atteggiamento rivoluzionario e tentare di porre il problema per il futuro movimento operaio rivoluzionario.

Dobbiamo ugualmente riesaminare in modo critico i punti di vista con cui ci si è accostati al problema, vedere ciò che vi è di costante in quelle che sono le espressioni rivoluzionarie del proletariato, ma anche ciò che vi è di superato e i nuovi problemi che si pongono.

Ora è certo evidente che un tale lavoro non può portare dei frutti a meno che non divenga oggetto di discussione tra gruppi e all’interno dei gruppi che si propongono di ricostituire un nuovo movimento operaio rivoluzionario. Il testo presentato oggi costituisce dunque un momento di partecipazione a questo dibattito; esso si inserisce in questo ordine di preoccupazioni e non ha dunque altra pretesa, anche se è presentato sotto forma di tesi. Ha soprattutto come scopo di suscitare la discussione e la critica, più che apportare delle soluzioni definitive; è un lavoro di ricerca, non ci interessa che venga approvato o rigettato in modo puro e semplice, ma che stimoli altri lavori di questo tipo.

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Questo studio ha come punto centrale di esame “la manifestazione della coscienza rivoluzionaria” del proletariato. Ma vi sono numerose questioni che si inseriscono in questo problema del partito e che sono solo sfiorate: problemi organizzativi, problemi sui rapporti tra il partito e degli organismi quali i consigli operai, problemi relativi al comportamento dei rivoluzionari rispetto alla costituzione di parecchi gruppi che si richiamano al partito rivoluzionario e lavorano alla sua costruzione, problemi posti dai compiti pre e post-rivoluzionari, ecc...

E’ importante dunque che i militanti, a cui è chiaro che il compito del momento è l’esame di questi diversi problemi, intervengano attivamente in questa discussione o attraverso i loro giornali e bollettini o in questo stesso bollettino per coloro che non dispongono momentaneamente di una tale possibilità di espressione.

Questo testo si divide in cinque parti:

I parte Socialismo e coscienza 1-10

II parte La costituzione del partito di classe nella storia 11-15

III parte Il compito attuale dei militanti rivoluzionari 16-22

IV parte Il partito di domani 23-26

V parte Regime interno del partito 27-30

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Socialismo e coscienza

1. L’idea che sia necessario un organismo politico del proletariato che agisca per la rivoluzione sociale sembra essere radicata nel movimento operaio socialista.

E’ vero che gli anarchici si sono sempre ribellati contro il termine “politico” dato a questo organismo, ma ciò dipendeva dal senso molto ristretto che essi davano al termine dell’azione politica, sinonimo per loro di azione per delle riforme legislative: partecipazione alle elezioni e al parlamento borghese, ecc... Comunque né gli anarchici né alcuna altra corrente nel movimento operaio negano la necessità del raggruppamento dei rivoluzionari socialisti in delle associazioni che, tramite l’azione e la propaganda, si danno per compito di intervenire e di orientare la lotta degli operai. Ora, ogni raggruppamento che si dà per compito di indirizzare in une certa direzione le lotte sociali è un gruppo politico.

In questo senso, il contrasto di posizione circa il carattere politico e non politico di queste organizzazioni è solo uno scontro di parole che nasconde al fondo, sotto delle frasi generali, delle divergenze concrete sull'orientamento, la meta da raggiungere e i mezzi per riuscirvi, in altri termini, delle divergenze propriamente politiche.

Se oggi sorgono delle tendenze che rimettono in discussione la necessità di un organismo politico per il proletariato, ciò è dovuto alla degenerazione e a1 passaggio al servizio del capitalismo dei partiti che furono in altro tempo delle organizzazioni proletarie: i partiti socialisti e comunisti. I termini di politica e di partiti politici sono attualmente screditati, anche negli ambienti borghesi. Tuttavia, ciò che ha provocato dei fallimenti risonanti non è la politica ma CERTE politiche. La politica non è altro che 1’orientamento che si danno gli uomini nell’organizzare la loro vita sociale; distogliersi da questa azione significa rinunciare a voler orientare la vita sociale e, di conseguenza, a volerla trasformare; significa subire ed accettare la società presente.

2. Il concetto di classe è essenzialmente un concetto storico-politico e non semplicemente una classificazione economica. Economicamente tutti gli uomini fanno parte di uno stesso e solo sistema di produzione in un dato periodo storico. La divisione, basata sulle distinte posizioni che gli uomini occupano in uno stesso sistema di produzione e di ripartizione e che non supera il quadro di questo sistema, non può diventare il postulato della necessità storica del suo superamento. La divisione in categorie economiche non è quindi che un momento della contraddizione interna costante che si sviluppa con il sistema, ma resta circoscritta all'interno dei limiti di questo. L'opposizione storica è in qualche modo esterna, nel senso che essa si oppone all’insieme del sistema preso come un tutto; essa si esplicita nella distruzione del sistema sociale esistente e nella sua sostituzione con un altro basato su un nuovo modo di produzione. La classe è la personificazione di questa opposizione storica e nel contempo è la forza sociale-umana che la realizza.

Il proletariato non esiste come classe nel senso pieno del termine che nell’atto di orientare le sue lotte, non in vista del miglioramento delle sue condizioni di vita all’interno del sistema capitalista, ma nella sua lotta contro l’ordine sociale esistente. Il passaggio dalla categoria alla classe, dalla lotta economica alla lotta politica non è un processo evolutivo, uno sviluppo continuo immanente, tale che l’opposizione storica di classe emerge automaticamente e naturalmente dopo essere stata per lungo tempo chiusa nella posizione economica degli operai. Dall’una all’altra si effettua un salto dialettico. Esso consiste nella presa di coscienza della necessità storica della distruzione del sistema capitalista. Questa necessità storica coincide con l’aspirazione del proletariato a liberarsi della sua condizione di sfruttato, e la implica.

3. Tutte le trasformazioni sociali nella storia hanno avuto per condizione fondamentale, determinante, lo sviluppo delle forze produttive divenute incompatibili con la struttura troppo ristretta della vecchia società. Ed è così che, nell’impossibilità di dominare più a lungo le forze produttive che ha sviluppato, il capitalismo accusa la sua fine e la ragione del suo crollo e fornisce così la condizione e la giustificazione storica del suo superamento da parte del socialismo. Ma a parte questa condizione, le differenze tra il modo di svolgersi delle rivoluzioni precedenti (compresa quella borghese) e la rivoluzione socialista, restano fondamentali e necessitano di uno studio approfondito da parte della classe rivoluzionaria.

Per la rivoluzione borghese, per esempio, le forze di produzione incompatibili con il feudalesimo, si sviluppano ancora in un sistema di proprietà di una classe dominante. Perciò il capitalismo può sviluppare le sue basi economiche lentamente e per molto tempo all’interno del mondo feudale. La rivoluzione politica segue il fatto economico e lo consacra. Per questa stessa ragione, la borghesia non ha un bisogno imperioso di una coscienza del movimento economico e sociale. La sua azione è direttamente sollecitata dalla pressione delle leggi dello sviluppo economico che agiscono su di lei come delle forze cieche della natura e determinano la sua volontà. La sua coscienza resta un fattore di secondo ordine. Essa è in ritardo sulla realtà, è più una constatazione che un orientamento. La rivoluzione borghese si situa in questa preistoria dell’umanità in cui le forze produttive ancora poco sviluppate dominano gli uomini.

Il socialismo, al contrario, è basato su di uno sviluppo delle forze produttive incompatibili con ogni tipo di proprietà individuale e sociale di una classe. Perciò esso non può avere delle basi economiche all’interno della società capitalista. La rivoluzione politica è la prima condizione per un indirizzamento socialista della economia e della società. Per questa stessa ragione il socialismo non può realizzarsi che come coscienza dei fini del movimento, coscienza dei mezzi per la loro attuazione e volontà cosciente dell’azione. La coscienza socialista PRECEDE E CONDIZIONA l’azione rivoluzionaria della classe. La rivoluzione socialista è il punto di inizio della storia in cui l’uomo è chiamato a dominare le forze produttive che ha già notevolmente sviluppato e questo dominio è precisamente la meta che si pone la rivoluzione socialista.

4. Quindi tutti i tentativi di fondare il socialismo su delle realtà conquistate all’interno della società capitalista sono destinati, per la natura stessa del socialismo, all’insuccesso. Il socialismo esige nel tempo uno sviluppo avanzato delle forze produttive, per spazio la terra intera e per condizione primordiale la volontà cosciente degli uomini. La dimostrazione sperimentale del socialismo all’interno della società capitalista può raggiungere nel migliore dei casi il livello di un’utopia. Persistere su questa strada porta dall’utopia ad una posizione di conservazione e di rafforzamento del capitalismo([1]). Il socialismo in regime capitalista non può essere che una dimostrazione teorica, la sua materializzazione non può prendere che la forma di una forza ideologica, e la sua realizzazione non può derivare che dalla lotta rivoluzionaria del proletariato contro l’ordine sociale esistente.

E poiché l’esistenza del socialismo non può manifestarsi in anticipo se non nella coscienza socialista, la classe che lo porta e lo personifica non ha esistenza storica se non attraverso questa coscienza. La formazione del proletariato come classe storica non è che la formazione della sua coscienza socialista. Sono questi, due aspetti di uno stesso processo storico, inconcepibili separatamente perché inesistenti 1’uno senza l’altro.

La coscienza socialista non scaturisce dalla posizione economica degli operai, essa non è un riflesso della loro condizione di salariati. Per questo motivo essa non si forma simultaneamente e spontaneamente nei cervelli di tutti gli operai e unicamente nei loro cervelli. Il socialismo come ideologia appare separatamente e parallelamente alla lotta economica degli operai, non traggono origine 1’una dall’altra anche se si influenzano reciprocamente e si condizionano nel loro sviluppo; entrambe trovano le loro radici nello sviluppo storico della società capitalista.

5. Dato che gli operai non diventano “classe agente da sé e per sé” (secondo l’espressione di Marx ed Engels) se non attraverso la presa di coscienza socialista, allora si può dire che il processo di costituzione della classe si identifica con quello di formazione dei gruppi di militanti rivoluzionari socialisti. Il partito del proletariato non è una selezione, non innanzitutto una “delegazione” della classe, ma è il modo di esistenza e di vita della classe stessa. Come non si può comprendere la materia al di fuori del movimento, così non si può concepire la classe al di fuori della sua tendenza a costituirsi in organismo politico. “L'organizzazione del proletariato in classe, dunque in partito politico” (Manifesto Comunista) non è una formula casuale, ma esprime profondamente il pensiero di Marx ed Engels. Un secolo di esperienza ha magistralmente confermato la validità di questo modo di concepire la nozione di classe.

6. La coscienza socialista non si PRODUCE per generazione spontanea, ma si RIPRODUCE continuamente, e una volta apparsa essa diventa - nella sua opposizione al mondo capitalista esistente - il principio attivo che determina e accelera, nella e attraverso l’azione, il suo sviluppo. Tuttavia questo è condizionato e limitato dall’evolvere delle contraddizioni del capitalismo. In questo senso è sicuramente più esatta la tesi di Lenin della “coscienza socialista iniettata agli operai” dal Partito, opposta a quella di Rosa Luxemburg della “spontaneità” della presa di coscienza, generata nel corso di un movimento che parte dalla lotta economica per giungere alla lotta socialista rivoluzionaria. La tesi della “spontaneità”, dalle apparenze democratiche, presenta quanto alla sostanza una tendenza meccanicista di un determinismo economico rigoroso. Essa, infatti, parte da une relazione di causa ed effetto: la coscienza socialista non sarebbe che la risultante, l’effetto di un movimento iniziale, cioè la lotta economica che la genererebbe. Sarebbe inoltre di una natura fondamentalmente passiva rispetto alle lotte economiche che costituirebbero l’elemento attivo. La concezione di Lenin restituisce alla coscienza socialista e al Partito che la materializza il loro carattere di fattore e di principio essenzialmente attivo. Essa non l’allontana ma la immerge nella vita e nel movimento.

7. La difficoltà fondamentale della rivoluzione socialista risiede in questa situazione complessa e contraddittoria: da una parte la rivoluzione non può realizzarsi che quale atto COSCIENTE della GRANDE MAGGIORANZA della classe operaia, d’altra parte questa presa di coscienza è ostacolata dalle condizioni imposte agli operai nella società capitalista, condizioni che impediscono e distruggono continuamente la presa di coscienza da parte degli operai della loro missione storica rivoluzionaria. Questa difficoltà non può assolutamente essere superata solo dalla propaganda teorica senza tener conto della congiuntura storica. Ma meno ancora la condizione per superarla starebbe nelle lotte economiche degli operai. Lasciate sviluppare da sole, le lotte degli operai contro le condizioni di sfruttamento capitalista possono portare tuttalpiù a delle esplosioni di rivolta, cioè a delle reazioni negative, ma non riescono assolutamente a svolgere la loro azione positiva di trasformazione sociale, realizzabile solo tramite la coscienza delle finalità del movimento. Questo fattore non può essere che questo elemento politico della classe che tira la sua sostanza teorica non dalle contingenze e del particolarismo della posizione economica degli operai, ma del movimento delle possibilità e delle necessità storiche. Solo l’intervento di questo fattore permette alla classe di passare dal piano della reazione negativa a quello dell’azione positiva, dalla rivolta alla rivoluzione.

8. Ma sarebbe totalmente sbagliato voler sostituire questi organismi, manifestazioni della coscienza e dell’esistenza della classe, alla classe stessa e considerare questa solo come una massa informe, destinata a servire da materiale a questi organismi politici. Ciò equivarrebbe a sostituire una concezione militarista alla concezione rivoluzionaria del rapporto tra la coscienza e l’essere, tra il partito e la classe. La funzione storica del partito non è quella di essere uno Stato Maggiore che dirige l’azione della classe, considerata come un esercito e come tale all’oscuro dello scopo finale, degli obbiettivi immediati delle operazioni e del movimento “d’insieme delle manovre”. La rivoluzione socialista non ha niente di paragonabile all’azione militare. La sua attuazione è condizionata dalla coscienza che hanno gli operai stessi; essa regola la loro decisione e le loro azioni.

Il Partito non agisce dunque al posto della classe. Non richiede la “fiducia” nel senso borghese del termine, non chiede cioè di essere una delegazione a cui è affidata la sorte - e il destino - della società. Esso ha unicamente per funzione storica di agire in vista di permettere alla classe di acquisire essa stessa la coscienza della sua missione, dei suoi fini e dei mezzi che sono le basi della sua azione rivoluzionaria.

9. Bisogna combattere con lo stesso vigore sia questa concezione del Partito-Stato Maggiore, che agisce per conto e al posto della classe, sia quest’altra concezione che partendo dal fatto che “l’emancipazione dei lavoratori sarà l’opera dei lavoratori stessi” (Indirizzo Inaugurale), ha la pretesa di negare il ruolo del militante e del partito rivoluzionario. Con la scusa, molto apprezzabile, di non imporre la loro volontà agli operai, questi militanti si sottraggono al loro compito, sfuggono alle proprie responsabilità e mettono i rivoluzionari alla coda del movimento operaio.

I primi si mettono al di fuori della classe, negandola e sostituendosi ad essa; i secondi fanno altrettanto, negando la funzione propria dell’organizzazione di classe che è il partito, negandosi come fattore rivoluzionario e mettendosi da parte con l’interdizione che essi gettano sulla propria azione.

10. Una corretta concezione delle condizioni della rivoluzione socialista deve partire dagli elementi seguenti e inglobarli:

A. Il socialismo è una necessità per il fatto che lo sviluppo raggiunto dalle forze produttive è incompatibile con una società divisa in classi.

B. Questa necessità non può diventare realtà che tramite la volontà e l’azione cosciente della classe oppressa, la cui liberazione sociale si confonde con la liberazione dell’umanità dalla sua alienazione rispetto alle forze produttive alle quali essa è stata soggetta fino a questo giorno.

C. Poiché il socialismo è contemporaneamente necessità oggettiva e volontà soggettiva, esso non può esprimersi che nell’AZIONE rivoluzionaria cosciente delle sue finalità.

D. L’azione rivoluzionaria è inconcepibile senza un programma rivoluzionario. Ugualmente l’elaborazione del programma è inseparabile dall’azione. Ed è perciò che il Partito rivoluzionario è un “corpo di dottrina e una volontà d’azione” (Bordiga), che è la concretizzazione più completa della coscienza socialista e l’elemento fondamentale della sua realizzazione.

La costituzione del partito di classe nella storia

11. La tendenza alla costituzione del Partito del proletariato esiste dalla nascita della società capitalista. Ma finché le condizioni storiche per il socialismo non si sono sufficientemente sviluppate, l’ideologia del proletariato come la costruzione del Partito non possono che restare allo stadio embrionale. Non è che con la “Lega dei Comunisti” che appare per la prima volta un vero tipo di organizzazione politica del proletariato.

Quando si esamina da vicino lo sviluppo della costituzione del Partito di classe, appare immediatamente il fatto che l’organizzazione in partiti non progredisce in modo lineare, ma al contrario registra dei periodi di grande sviluppo in alternanza con altri durante i quali il Partito scompare. Così l’esistenza organica del Partito non sembra dipendere solo dalla volontà degli individui che lo costituiscono. Sono le condizioni oggettive che condizionano la sua esistenza. Il Partito, essendo essenzialmente un organismo di azione rivoluzionaria della classe, non può esistere che nelle situazioni in cui l’azione della classe si manifesta. In assenza di condizioni di azione di classe degli operai (stabilità economica e politica del capitalismo, o in seguito a sconfitte profonde delle lotte operaie) il Partito non può sopravvivere. Esso si disperde organicamente oppure è obbligato per sopravvivere, cioè per esercitare un’influenza, ad adattarsi alle nuovi condizioni che negano l’azione rivoluzionaria, e allora il Partito inevitabilmente si riempie di un contenuto nuovo. Diventa conformista, cioè cessa di essere il Partito della Rivoluzione.

Marx, meglio di ogni altro, ha compreso le condizioni cui era soggetta l’esistenza del Partito. In due occasioni egli si fece artefice della dissoluzione della grande organizzazione, nel 1851, all’indomani della sconfitta della rivoluzione e del trionfo della reazione in Europa, une seconda volta nel 1873 dopo la disfatta della Comune di Parigi, egli si pronuncia apertamente per lo scioglimento. La prima volta, della Lega dei Comunisti, la seconda della Prima Internazionale.

12. L’esperienza della Seconda Internazionale conferma l’impossibilità di mantenere al proletariato il suo Partito in un periodo prolungato di una situazione non rivoluzionaria. La partecipazione finale dei Partiti della II Internazionale alla guerra imperialista del 1914 non ha fatto che rivelare la lunga corruzione dell’organizzazione. La permeabilità e penetrabilità, sempre possibili e valevoli, dell’organizzazione politica del proletariato da parte dell’ideologia della classe capitalista dominante prendono nei periodi prolungati di stagnazione e di riflusso della lotta di classe un’ampiezza tale che l’ideologia della borghesia finisce col sostituirsi a quella del proletariato, che il Partito si spoglia del suo contenuto di classe originario per diventare lo strumento di classe del nemico.

La storia dei partiti comunisti della III Internazionale ha di nuovo dimostrato l’impossibilità di salvaguardare il Partito in un periodo di riflusso rivoluzionario e la sua degenerazione in un tale periodo.

13. Per queste ragioni, la costituzione di Partiti, di un’Internazionale da parte dei trotzkisti dopo il 1935, e la costituzione recente di un Partito Comunista Internazionalista in Italia, essendo del tutto delle formazioni artificiali, non possono essere che delle opere di confusione e di opportunismo. Invece di essere delle tappe della costituzione del futuro Partito di classe, queste formazioni sono degli ostacoli e lo screditano, rappresentandone la caricatura. Lungi dall’esprimere una maturazione della coscienza e un superamento del vecchio programma che esse trasformano in dogma, esse non fanno che riprodurre il vecchio programma e si rendono prigioniere di questi dogmi. Nessuna meraviglia se esse riprendono poi delle posizioni arretrate e superate dell’antico Partito, aggravandole ulteriormente, vedi la tattica del parlamentarismo, del sindacalismo, ecc...

14. Ma la rottura dell’esistenza organizzativa del Partito non significa una frattura nello sviluppo dell’ideologia della classe. I riflussi rivoluzionari esprimono in primo luogo l’immaturità del programma rivoluzionario. La sconfitta è il segnale della necessità di riesaminare criticamente le posizioni programmatiche precedenti e l’obbligo del loro superamento sulla base dell’esperienza vivente della classe.

Questa positiva opera critica di elaborazione programmatica prosegue tramite organismi provenienti dal vecchio Partito. Essi costituiscono nel periodo di rinculo l’elemento attivo per la costituzione del futuro Partito in una fase di nuova ondata rivoluzionaria. Questi organismi erano i gruppi o frazioni di sinistra usciti dal Partito dopo la sua dissoluzione organizzativa o la sua degenerazione ideologica. Tali furono la Frazione di Marx, nel periodo che va dallo scioglimento della Lega dei Comunisti alla costituzione della I Internazionale; le correnti di sinistra nella II Internazionale (durante la prima guerra mondiale), che diedero vita ai nuovi Partiti e Internazionale nel 1919; tali sono le Frazioni di sinistra e i gruppi che continuano il loro lavoro rivoluzionario dopo la degenerazione della III Internazionale. La loro esistenza e il loro sviluppo è la condizione per l’arricchimento del programma della rivoluzione e per la ricostruzione del partito di domani.

15. Il vecchio partito, una volta afferrato e passato al servizio della classe nemica, cessa definitivamente di essere un luogo in cui si elabora e avanza il pensiero rivoluzionario e in cui possono formarsi i militanti del proletariato. Contare su delle correnti provenienti dalla socialdemocrazia o dallo stalinismo, ritenendole capaci di servire da elementi di costruzione del nuovo partito di classe, significa ignorare il senso della nozione di partito. I trotzkisti che aderiscono ai partiti della seconda Internazionale o continuano nell’ipocrita pratica della enucleazione in direzione di questi partiti, al fine di provocare in questi ambienti antiproletari il sorgere di correnti “rivoluzionarie” con le quali essi vogliono costituire il nuovo Partito del proletariato, mostrano con questo che essi stessi sono una corrente morta, espressione di un movimento passato, e non del futuro.

Come il nuovo Partito della rivoluzione non può fondarsi sulla base di un programma superato dalla realtà, così esso non può costruirsi con degli elementi che restano organicamente legati a degli organismi che hanno cessato per sempre di appartenere alla classe operaia.

16. La storia del movimento operaio non ha mai conosciuto periodo più oscuro di quello attuale e un rinculo più profondo della coscienza rivoluzionaria. Se lo sfruttamento economico degli operai si rivela come condizione assolutamente insufficiente per la presa di coscienza della loro missione storica, risulta chiaro che questa presa di coscienza è infinitamente più difficile di quanto pensino i militanti rivoluzionari. Forse è necessario affinché il proletariato possa riprendersi che l’umanità conosca l’incubo della III guerra mondiale e l’orrore del mondo in caos, e che il proletariato si confronti in maniera tangibile al dilemma: morire o salvarsi con la rivoluzione, perché ritrovi la condizione del suo rinsavimento e della sua coscienza.

17. Nel quadro di questa tesi non ci interessa ricercare le condizioni precise che permetteranno la presa di coscienza del proletariato, né quali saranno i mezzi concreti di raggruppamento e di organizzazione che si darà il proletariato per la sua lotta rivoluzionaria. Ciò che noi possiamo accennare a questo proposito - e che l’esperienza degli ultimi trent’anni ci autorizza ad affermare - è che né le rivendicazioni economiche, né tutta la gamma di rivendicazioni dette “democratiche” (parlamentarismo, diritto dei popoli a disporre di sé stessi, ecc.) possono servire da base all’azione storica del proletariato. Per quel che riguarda le forme di organizzazione, appare con ancora più evidenza che queste non potranno essere i sindacati, con la loro struttura verticale, professionale, corporativa. Tutte queste forme di organizzazione dovranno essere messe nel museo della storia, appartenendo al passato del movimento operaio. Nella pratica esse devono essere assolutamente abbandonate e sorpassate. Le nuove organizzazioni dovranno essere unitarie, cioè inglobare la maggioranza degli operai e superare la divisione particolarista degli interessi professionali. La loro base sarà il piano sociale, la loro struttura la località. I consigli operai, quali sono sorti nel 1917 in Russia e nel 1918 in Germania, appaiono come il nuovo tipo di organizzazione unitaria della classe; è in questo tipo di consigli operai e non in sindacati “ringiovaniti” che gli operai troveranno la forma più appropriata della loro organizzazione.

Ma le forme nuove di organizzazione unitaria della classe, di qualunque tipo esse siano, non apportano alcuna modifica al problema della necessità dell’organismo politico che è il Partito, né al ruolo decisivo che esso ha da giocare. Il Partito resterà il fattore cosciente dell’azione di classe, esso è la forza motrice ideologica indispensabile all’azione rivoluzionaria del proletariato. Esso gioca nell’azione sociale un ruolo analogo a quello dell’energia nella produzione. La ricostruzione di questo organismo di classe è contemporaneamente condizionata da una tendenza che si va sviluppando nella classe operaia di rottura con l’ideologia capitalista e che si concretizza in una lotta contro il regime esistente; allo stesso tempo questa ricostruzione è un fattore di accelerazione e di approfondimento di questa lotta e la condizione determinante del suo trionfo.

18. L'inesistenza nel periodo attuale degli elementi richiesti per la costruzione del Partito non dovrebbe indurre a credere nella inutilità o impossibilità di ogni attività immediata dei militanti rivoluzionari. Tra “l’attivismo” sterile dei fabbricatori di partito e 1’isolamento individuale, tra un avventurismo e un pessimismo impotenti, il militante non sarebbe capace di scegliere, ma egli deve combattere entrambi questi atteggiamenti perché ugualmente estranei allo spirito rivoluzionario e dannosi alla causa della rivoluzione. Rigettando sia la concezione volontarista che presenta l’azione militante come l’unico fattore che determina il movimento della classe, sia la concezione meccanicistica del Partito, semplice riflesso della passività del movimento, il militante deve considerare la propria azione come uno dei fattori che, nell’interazione con gli altri, condiziona e determina l’azione della classe. E’ partendo da questa concezione che il militante comprende la necessità e il valore della sua attività, allo stesso tempo che il limite delle sue possibilità e della sua portata. Adattare la propria attività alle condizioni della situazione attuale è il solo mezzo per renderla efficiente e feconda.

19. La volontà di costruire, in tutta fretta e ad ogni costo, il nuovo Partito di classe, a dispetto delle condizioni oggettive sfavorevoli, anzi forzandole, è segno insieme e di un volontarismo avventurista e infantile e di una falsa valutazione della situazione e delle sue prospettive immediate e infine di una totale ignoranza della nozione di Partito e dei rapporti tra il Partito e la classe. Così, tutti questi tentativi sono fatalmente destinati all’insuccesso, non riuscendo nel migliore dei casi che a creare dei raggruppamenti opportunisti che si trascinano nelle scie dei grandi Partiti della seconda e della terza Internazionale. La sola ragione che giustifica allora la loro esistenza resta niente altro che lo sviluppo al loro interno di uno spirito di cappella e di setta.

Così tutte queste organizzazioni sono non solo spinte dal loro “attivismo” immediato nell’ingranaggio dell’opportunismo, ma ancora producono uno spirito limitato proprio di sette, un campanilismo, un attaccamento timido e superstizioso ai propri “capi”, alla riproduzione caricaturale del gioco delle grandi organizzazioni, alla deificazione di regole di organizzazione e alla sottomissione ad una disciplina “liberamente consentita” tanto più tirannica ed intollerabile, quanto è in proporzione inversa del numero.

Come suo doppio risultato, la costruzione artificiale e prematura del partito porta alla negazione della costruzione dell’organismo politico della classe, alla distruzione dei quadri e alla perdita in un tempo più o meno breve, ma certa, del militante, estenuato, esaurito, senza meta e completamente demoralizzato.

20. La scomparsa del Partito, sia a causa del suo restringimento numerico e della sua dispersione organizzativa, come fu per la Prima Internazionale, sia a causa del suo passaggio al servizio del capitalismo, come fu per i partiti della Seconda e Terza Internazionale, esprime in entrambi i casi la fine di un periodo nella lotta rivoluzionaria del proletariato. La scomparsa del Partito è allora inevitabile e nessun volontarismo o capo più o meno geniale potrebbe evitarla.

Marx ed Engels hanno visto due volte spezzarsi e morire l’organizzazione del proletariato alla cui vita essi avevano partecipato in maniera notevole. Lenin e la Luxemburg hanno assistito impotenti al tradimento dei grandi partiti socialdemocratici. Trotskij e Bordiga non hanno potuto nulla per modificare la degenerazione dei partiti comunisti e la loro trasformazione in quella mostruosa macchina del capitalismo che noi abbiamo conosciuto poi.

Questi esempi ci insegnano non l’inutilità del Partito, come pretende un’analisi superficiale e fatalista, ma solo che questa necessità che è il Partito di classe non esiste secondo una linea uniformemente continua e ascendente, che la sua esistenza stessa non è sempre possibile, che il suo sviluppo e il suo essere sono in rapporto e strettamente legati alla lotta di classe del proletariato, che ad esso dà vita e che esso esprime. E’ per questo che la lotta dei militanti rivoluzionari all’interno dal partito, nel corso del suo periodo di degenerazione e prima della sua morte come partito operaio, ha un senso rivoluzionario, ma non quello volgare che le hanno attribuito le diverse opposizioni trotzkiste. Per questi ultimi si trattava di raddrizzare, e per raddrizzare bisognava innanzitutto che l’organizzazione e la sua unità non fossero messe in pericolo. Si trattava per loro di mantenere l’organizzazione nel suo splendore passato proprio allorché le condizioni oggettive non lo permettevano e che lo splendore dell'organizzazione non poteva mantenersi che al prezzo di un’alterazione costante e crescente della sua natura rivoluzionaria e di classe. Essi cercavano in delle misure organizzative i rimedi per salvare l’organizzazione, senza comprendere che lo sfacelo organizzativo è sempre l’espressione e la manifestazione di un periodo di riflusso rivoluzionario e spesso la soluzione di gran lunga preferibile alla sua sopravvivenza e che in ogni caso ciò che i rivoluzionari dovevano salvare era non l’organizzazione ma l’ideologia della classe che rischiava di andare a picco nella rovina dell’organizzazione.

Non comprendendo le cause oggettive della inevitabile scomparsa del vecchio partito, non si poteva capire quale era il ruolo dei militanti in questo periodo. Del fatto che non si riusciva a conservare l’antico partito alla classe si traeva la conclusione della necessità di costruire nell’immediato un nuovo Partito. L’incomprensione non faceva che accoppiarsi all’avventurismo, il tutto basato su una concezione volontarista del Partito.

Un’analisi corretta della realtà fa comprendere che la morte del vecchio partito implica proprio l’impossibilità immediata di costruire un nuovo Partito; essa significa che nel periodo attuale non esistono le condizioni necessarie per l’esistenza di un qualsiasi partito, tanto vecchio che nuovo.

In un tale periodo possono sussistere solo dei piccoli gruppi rivoluzionari che assicurano una soluzione di continuità meno organizzativa che ideologica, che condensano al loro interno l’esperienza passata del movimento e della lotta della classe, che rappresentano il tratto d’unione tra il partito di ieri e quello di domani, tra il punto culminante della lotta e della maturità della coscienza di classe nel periodo di flusso passato e il suo superamento nel nuovo periodo di ascesa futuro. In questi gruppi si continua la vita ideologica della classe, l’autocritica delle sue lotte, il riesame critico delle sue idee precedenti, l’elaborazione del suo programma, la maturazione della sua coscienza e la formazione di nuovi quadri di militanti per la futura tappa del suo assalto rivoluzionario.

21. Il periodo che siamo vivendo è il prodotto da una parte della disfatta della prima grandiosa ondata rivoluzionaria del proletariato internazionale che ha posto fine alla prima guerra imperialista e che ha raggiunto il suo culmine nella rivoluzione di Ottobre 1917 in Russia e nel movimento spartakista del 1918-19, dall’altra parte delle trasformazioni profonde operate nella struttura economico-politica del capitalismo evolvente verso la sua forma ultima e decadente: il capitalismo di Stato. In più, un rapporto dialettico esiste tra questa evoluzione del capitalismo e la sconfitta della rivoluzione.

Malgrado la loro combattività eroica, malgrado la crisi permanente e insormontabile del sistema capitalista e l’aggravarsi inaudito e crescente delle condizioni di vita degli operai, il proletariato e la sua avanguardia non poterono tener testa alla controffensiva del capitalismo. Essi non si confrontarono con il capitalismo classico e restarono sorpresi della sua trasformazione, che poneva dei problemi ai quali essi non erano preparati né politicamente né teoricamente. Il proletariato e la sua avanguardia che a lungo avevano confuso capitalismo e proprietà privata dei mezzi di produzione, socialismo e statalizzazione, si sono trovati sviati e impreparati di fronte alla tendenza del capitalismo moderno alla concentrazione nelle mani dello Stato dell’economia e alla sua pianificazione. Nella loro immensa maggioranza, gli operai si sono lasciati convincere all’idea che questa evoluzione rappresentava un modo di trasformazione originale della società, del capitalismo verso il socialismo. Essi si sono associati a questa opera, abbandonando la loro missione storica e diventando gli artefici più sicuri della conservazione della società capitalista.

Sono queste le ragioni storiche che danno al proletariato la sua fisionomia attuale. Finché queste condizioni prevarranno, fînché l’ideologia del capitalismo di Stato dominerà il cervello degli operai, non si potrà parlare di ricostruzione del partito di classe. Non è che quando il proletariato, attraverso i cataclismi sanguinosi che solcano la fase del capitalismo di Stato, avrà compreso tutto l’abisso che separa il socialismo liberatore dal mostruoso regime statale attuale, quando al suo interno si manifesterà una crescente tendenza a staccarsi da questa ideologia che lo imprigiona e lo annulla, non è che allora che sarà di nuovo aperta la via a “l'organizzazione del proletariato in classe, dunque in partito politico”. Questa tappa sarà tanto più in fretta raggiunta e facilitata per il proletariato quanto più i nuclei rivoluzionari avranno saputo fare lo sforzo teorico necessario per rispondere ai problemi nuovi posti dal capitalismo di Stato ed aiutare il proletariato a ritrovare la sua soluzione di classe e i mezzi per la sua realizzazione.

22. Nel periodo attuale i militanti rivoluzionari non possono sussistere se non formando dei piccoli gruppi dediti ad un lavoro paziente di propaganda per forza di cose limitato nella sua estensione, allo stesso tempo che ad uno sforzo accanito di ricerca e di chiarificazione teorica. Questi gruppi adempiranno il loro compito solo attraverso la ricerca dei contatti con altri gruppi sul piano nazionale e internazionale, sulla base dei criteri delimitativi delle frontiere di classe. Solo tali contatti e il loro moltiplicarsi con lo scopo del confronto delle posizioni e della chiarificazione dei problemi permetteranno ai gruppi e militanti di resistere fisicamente e politicamente alla terribile pressione del capitalismo nel periodo attuale e far sì che tutti gli sforzi siano un contributo reale alla lotta emancipatrice del proletariato.

Il Partito di domani

23. Il partito non potrà essere una semplice riproduzione di quello di ieri. Non potrà essere ricostruito su di un modello ideale tirato fuori dal passato. Il suo programma così come la sua struttura organica e il rapporto che si stabilisce tra esso e 1’insieme della classe sono fondati su una sintesi dell’esperienza passata e delle nuove condizioni più avanzate dello stadio attuale. Il Partito segue l’evoluzione della lotta di classe e ad ogni tappa della storia di questa corrisponde un tipo proprio di organismo politico del proletariato.

All’alba del capitalismo moderno, nella prima metà del XIX secolo, la classe operaia, ancora nella sua fase di costituzione conduceva delle lotte locali e sporadiche e non poteva dar vita che a delle scuole dottrinarie, a delle sette e delle leghe. La Lega dei Comunisti, col suo Manifesto e il suo Appello di “proletari di tutti i paesi, unitevi”, era l’espressione più avanzata di questo periodo, essa annunciava il periodo seguente.

La prima Internazionale corrisponde alla entrata effettiva del proletariato sulla scena delle lotte sociali e politiche nei principali paesi d’Europa. Così essa raggruppa tutte le forze organizzate della classe operaia, le sue tendenze ideologiche più diverse. La prima Internazionale riunisce insieme tutte le correnti e tutti gli aspetti della lotte operaia contingente: economici, educativi, politici e teorici. Essa è al più alto punto 1’ORGANIZZAZIONE UNITARIA della classe operaia in tutta la sua diversità.

La seconda Internazionale segna una tappa di differenziazione tra la lotte economica dei salariati e la lotta politica sociale. In questo periodo di piena espansione della società capitalista, la seconda Internazionale è l’organizzazione della lotta per delle riforme e delle conquiste politiche, l’affermazione politica del proletariato; allo stesso tempo essa rappresenta uno stadio superiore nella delimitazione ideologica all’interno del proletariato, precisando ed elaborando le basi teoriche della sua missione storica rivoluzionaria.

La prima guerra mondiale significava la crisi storica del capitalismo e l’apertura della sua fase di declino. La rivoluzione socialista passò da allora dal piano della teoria al piano della pratica. Sotto il fuoco degli eventi il proletariato si trovava in qualche modo forzato a costruire in breve tempo la sua organizzazione rivoluzionaria di lotta. L’apporto programmatico monumentale dei primi anni della III Internazionale si è rivelato tuttavia insufficiente e inferiore all’immensità dei problemi da risolvere posti da questa fase ultima del capitalismo e del suo superamento rivoluzionario. Allo stesso tempo, l’esperienza ha presto dimostrato l’immaturità ideologica generale della classe. Davanti a questi due scogli e sotto la pressione delle necessità sorte dagli avvenimenti e dalla loro rapidità, la terza Internazionale era portata a rispondere con delle misure organizzative: la disciplina di ferro dei militanti, ecc...

Dovendo l’aspetto organizzativo supplire all’incompletezza programmatica e il partito all’immaturità della classe, si giungeva alla sostituzione del Partito all’azione della classe stessa e all’alterazione del concetto di Partito e dei rapporti di questo con la classe.

24. Sulla base di questa esperienza il futuro partito avrà per fondamento il ripristino di questa verità: la rivoluzione, se contiene un problema di organizzazione, non è tuttavia una questione di organizzazione. La rivoluzione è prima di tutto un problema ideologico di maturazione della coscienza nelle vaste masse del proletariato.

Nessuna organizzazione, nessun partito può sostituirsi alla classe stessa, perché più che mai resta vero che “l’emancipazione dei lavoratori sarà l’opera dei lavoratori stessi”. Il partito, che è la cristallizzazione della coscienza della classe, non è né differente né sinonimo della classe. Il partito resta necessariamente una piccola minoranza; la sua ambizione non è la maggiore forza numerica. In alcun momento esso può separarsi o rimpiazzare l’azione vivente della classe. La sua funzione resta quella di ispirazione ideologica nel corso del movimento e della azione della classe.

25. Durante il periodo insurrezionale della rivoluzione, il ruolo del partito non è di rivendicare il potere per sé, né di chiedere alle masse di concedergli “fiducia”. Esso interviene e sviluppa la sua attività in vista dell’automobilitazione della classe all’interno della quale esso tende a far trionfare i principi e i mezzi di azione rivoluzionari.

La mobilitazione della classe intorno al Partito al quale essa “affida” o piuttosto abbandona la direzione è un’idea che riflette uno stato di immaturità della classe. L’esperienza ha mostrato che in tali condizioni la rivoluzione non può alla fine trionfare e deve rapidamente degenerare comportando un divorzio tra la classe e il partito. Questo ultimo si trova subito obbligato a ricorrere sempre più a dei mezzi di coercizione per imporsi alla classe e diventa così un ostacolo terribile per il progredire della rivoluzione.

Il partito non è un organo di direzione e di esecuzione, queste funzioni sono proprie dell’organizzazione unitaria della classe. Se i militanti del partito partecipano a queste funzioni, è in qualità di membri della grande comunità del proletariato.

26. Nel periodo postrivoluzionario, quello della dittatura del proletariato, il partito non è il Partito Unico, classico dei regimi totalitari. Questo si caratterizza per la sua identificazione e la sua assimilazione con il potere statale di cui detiene il monopolio. Al contrario, il partito di classe del proletariato si caratterizza per quello che lo distingue dallo Stato di cui rappresenta l’antitesi storica. Il Partito Unico Totalitario tende a gonfiarsi e ad incorporare milioni di individui per farne la base fisica del suo dominio e della sua oppressione. Il partito del proletariato al contrario, per la sua natura, opera sempre una selezione ideologica severa; i suoi militanti non hanno vantaggi da conquistare o da difendere. Il loro privilegio è solo quello di essere i combattenti più perspicaci e più devoti alla causa rivoluzionaria. Il partito non si dedica dunque ad incorporare al suo interno vaste masse, perché a mano a mano che la sua ideologia diverrà quella delle larghe masse, la necessità della sua esistenza tenderà a sparire e comincerà a suonare l’ora del suo scioglimento.

Regime interno del partito

27. I problemi relativi alle regole di organizzazione che costituiscono il regime interno del partito occupano un posto altrettanto decisivo del suo contenuto programmatico. L’esperienza passata, e più in particolare quella dei partiti della Terza Internazionale, ha mostrato che la concezione del Partito costituisce un tutto unitario. Le regole organizzative sono un aspetto e una manifestazione di questa concezione. Non vi è una questione di organizzazione separata dall’idea che si ha sul ruolo e la funzione del partito e del rapporto di questo con la classe. Nessuna di queste questioni esiste in sé, ma ognuna è uno degli elementi costitutivi ed espressivi del tutto.

I partiti della terza Internazionale avevano tali regole o tali regimi interni perché essi si sono costituiti in un periodo di immaturità evidente della classe, il che li ha portati a sostituire il Partito alla classe, l’organizzazione alla coscienza, la disciplina alla convinzione.

Le regole organizzative del futuro partito dovranno dunque essere in funzione di una concezione inversa del ruolo del partito, in una tappa più avanzata della lotta, sulla base di una maggiore maturità ideologica della classe.

28. Le questioni del centralismo democratico o organico che occuparono un posto preponderante nella terza Internazionale perderanno la loro importanza per il futuro Partito. Quando l’azione della classe si basava sull’azione del Partito, la questione dell’efficacia massima di questo ultimo doveva necessariamente dominare il Partito, il quale d’altra parte non poteva apportare che delle soluzioni frammentarie.

L’efficacia dell’azione del partito non consiste nella sua azione pratica di direzione e di esecuzione, ma nella sua azione ideologica. La forza del partito non si fonda dunque sulla sottomissione disciplinare dei militanti ma sulla loro conoscenza, il loro sviluppo ideologico, le loro convinzioni più sicure.

Le regole dell’organizzazione non derivano da nozioni astratte, innalzate all’altezza di principi immanenti e immutabili, democrazia o centralismo. Tali principi sono privi di senso. Se la regola delle decisioni prese a maggioranza (democrazia) appare essere, a dispetto di un’altra più appropriata, la regola da mantenere, ciò non significa affatto che per definizione la maggioranza possiede la virtù di avere il monopolio della verità e delle posizioni giuste. Queste discendono dalla maggiore conoscenza dell’oggetto, dalla maggiore penetrazione e dalla stretta più serrata della realtà.

Così le regole interne dell’organizzazione sono funzione dell’obiettivo che essa si dà e che è quello del partito. Quale che sia l’importanza dell’efficacia della sua azione pratica immediata, che può fornirgli l’esercizio di una maggiore disciplina, essa resta sempre meno importante dello sviluppo massimo della coscienza dei militanti e di conseguenza gli è subordinata.

29. Finché il Partito resta il crogiuolo in cui si elabora e si approfondisce l’ideologia della classe, esso ha per regola non solo la libertà massima delle idee e delle divergenze nel quadro dei suoi principi programmatici, ma ha per fondamento la preoccupazione di favorire e mantenere costante la combustione del pensiero, fornendo i mezzi per la discussione e il confronto delle idee e delle tendenze al suo interno.

30. Se si vede sotto quest’ottica la concezione del Partito, niente gli è più estraneo di questa mostruosa idea di un partito omogeneo monolitico e monopolista.

L’esistenza di tendenze e di frazioni in seno al Partito non è una tolleranza, un diritto che può essere accordato, dunque soggetto a discussione. Al contrario l’esistenza delle correnti nel Partito - nel quadro dei principi acquisiti e verificati - è una delle manifestazioni di una concezione sana dell’idea di Partito.

giugno 1948 M.



[1] E’ quanto è avvenuto di tutte le correnti del socialismo utopico che, diventate delle scuole, hanno perso il loro aspetto rivoluzionario per trasformarsi in forze conservatrici attive. Vedi il Proudhonismo, il Fourierismo, il cooperativismo, il riformismo e il socialismo di Stato.

Sviluppo della coscienza e dell' organizzazione proletaria: