Nella scorsa estate la borghesia ha organizzato una vasta campagna di propaganda sul tema: "non dobbiamo più preoccuparci, abbiamo i vaccini". Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha quindi dichiarato di non essere preoccupato che la variante Delta potesse causare un nuovo grande focolaio di Covid-19 a livello nazionale (2 luglio 2021). Il direttore esecutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Mike Ryan, ha affermato che la fase peggiore della crisi del Covid era passata (12 luglio 2021). A sostegno anche Boris Johnson, Primo ministro del Regno Unito, che ha affermato: “quasi tutti gli scienziati sono d'accordo su questo punto: la fase peggiore della pandemia è alle spalle” (15 luglio 2021)[1].
Tutti i dati sul numero di decessi e di nuovi casi giornalieri negli ultimi mesi hanno contraddetto queste affermazioni e confermato che la pandemia non è affatto alle nostre spalle. Le misure e le raccomandazioni quotidiane della borghesia mostrano che la pandemia ha ancora un impatto enorme sulla società e sull'economia: settori della sanità inondati di nuovi pazienti, misure coercitive nei confronti di chi rifiuta di vaccinarsi, nuovi lockdown con la chiusura di attività commerciali, scuole e luoghi di svago. Per la maggior parte della popolazione mondiale la crisi sanitaria è tutt'altro che finita. Lei ancora seriamente minacciata dagli effetti del virus a tutti i livelli, soprattutto quella parte che ha ricevuto solo una dose del vaccino, o nessuna, come si può vedere in Giappone o in Australia. In alcuni dei principali paesi asiatici in particolare, le politiche di contenimento del coronavirus relativamente efficaci nel 2020 hanno creato l'illusione che il virus fosse più o meno sotto controllo, quindi il tasso di vaccinazione è rimasto piuttosto basso.
Gli scienziati concordano sul fatto che la vaccinazione sia la principale difesa contro la diffusione del virus. Ma la borghesia è incapace di sviluppare una politica unitaria per vaccinare la popolazione mondiale e controllare globalmente la pandemia. Non esiste una consultazione a livello internazionale che consenta il necessario aumento della produzione di vaccini. Al contrario, tutti i paesi hanno intrapreso una corsa ai vaccini, con i paesi più ricchi che accumulano scorte nel tentativo di essere i primi a ottenere l'immunità di gruppo.
I dati dell'OMS di novembre hanno rivelato che i paesi del G20 hanno ricevuto più dell'80% dei vaccini contro il Covid-19, mentre i paesi a basso reddito hanno ricevuto solo lo 0,6%[2]. Di fronte a questa tendenza, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha già lanciato un monito contro “il nazionalismo e l'accumulo di vaccini [che] ci mettono tutti in pericolo. Questo significa più morti, sistemi sanitari in crisi, maggiore miseria economica”[3] Ogni Stato adotta la propria strategia e solo gli Stati più potenti hanno i mezzi per affrontare la pandemia. Nel cercare di garantire la vaccinazione delle rispettive popolazioni, alcuni hanno firmato degli accordi preventivi con le aziende farmaceutiche, cioè hanno sborsato denaro per accaparrarsi dei futuri vaccini più efficaci. Questa politica ha portato a enormi disparità nella distribuzione dei vaccini, anche all'interno dell'Unione Europea. Alcuni paesi dell'UE hanno dovuto ripiegare sul vaccino russo Sputnik V (Ungheria, Slovacchia), meno efficace, o sul vaccino cinese Sinopharm (Ungheria). La maggior parte delle nazioni ricche è colpevole di un accumulo senza scrupoli di vaccini. Airfinity, una società di analisi con sede a Londra, ha previsto che entro la fine del 2021 il surplus di vaccini avrebbe raggiunto 1,2 miliardi di dosi. Mentre 600 milioni di dosi in eccesso devono essere donate ad altri paesi, le altre 600 milioni restano inutilizzate nelle scorte, quasi la metà negli Stati Uniti e il resto in altri paesi ricchi[4]. Questa politica di accumulazione ha già sprecato milioni di vaccini.
L'accumulo di vaccini è una delle ragioni delle disparità di distribuzione, ma un altro problema importante è l'enorme costo dei vaccini per i paesi poveri. I produttori farmaceutici non applicano prezzi standard ma variano i loro prezzi in base alla quantità acquistata. Fanno pagare prezzi più alti quando la quantità è inferiore. Ad esempio, mentre gli Stati Uniti hanno pagato 15 milioni di dollari per 1 milione di dosi di vaccino Moderna, il Botswana ha dovuto pagare quasi il doppio, circa 29 milioni di dollari.
La distribuzione non uniforme dei vaccini e il conseguente ritardo nella vaccinazione a livello globale compromette ogni strategia nazionale di immunizzazione. Una politica che promuove le vaccinazioni nei paesi ricchi e non previene la diffusione della pandemia nei paesi poveri corre il rischio di un ritorno del virus nei paesi più potenti, con inoltre la possibilità di vedere emergere varianti resistenti ai vaccini. Il “ciascuno per sé” globale è un potente acceleratore per la diffusione delle varianti Delta e Omicron e di tutte le prossime nuove varianti.
Nella lotta contro il Covid-19 ogni borghesia è costantemente costretta a dare priorità all'economia pur mantenendo un minimo di coesione sociale, correndo deliberatamente il rischio che i lavoratori si ammalino più a lungo o addirittura muoiano a causa del virus. Questa situazione porta a raccomandazioni e a misure incoerenti e contraddittorie in tutto il mondo e persino tra regioni dello stesso paese. Qualche esempio:
- Nessun accordo tra le organizzazioni sanitarie. Il Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) ha annunciato il 13 maggio 2021 che le persone completamente vaccinate, a due settimane dall'ultima iniezione, potevano muoversi senza mascherina all'esterno e nella maggior parte degli ambienti interni. Ma l'OMS ha emanato linee guida differenti, esortando tutti gli americani, anche quelli vaccinati, a continuare a indossare le mascherine a causa della minaccia rappresentata dalla variante Delta altamente trasmissibile, rilevata in tutti e cinquanta gli Stati degli Usa.
- Nessun coordinamento tra regioni limitrofe. Venerdì 17 settembre, il comitato di consultazione in Belgio ha proposto che indossare la mascherina non fosse più obbligatorio nei negozi e nei ristoranti dal 1 ottobre 2021. Le Fiandre hanno detto di sì, Bruxelles ha detto di no e la Vallonia ha rimandato la decisione... Ogni regione ha voluto decidere in base alla situazione. I vari governi regionali hanno conservato il potere decisionale, tirando acqua al proprio mulino, come se il virus si fermasse ai confini regionali o linguistici.
- Le direttive emanate vengono abrogate nei mesi successivi. A luglio, il governo britannico ha annunciato che tutte le regole sul distanziamento sociale sarebbero state rimosse e che l'obbligo della mascherina sarebbe stato abrogato dal 19 luglio. Ma i supermercati hanno subito annunciato il mantenimento delle mascherine, mentre i sindaci delle grandi metropoli hanno reso obbligatorio l'uso delle mascherine sul trasporto pubblico. Alla fine, il governo britannico ha ceduto e ha annunciato l'obbligo delle mascherine nei negozi e nei trasporti pubblici da lunedì 29 novembre.
- Una "riapertura" seguita da ancora più quarantene. Con l'aumento delle vaccinazioni e il calo dei casi a fine giugno 2021, il governo olandese ha spinto per una "riapertura". Le mascherine sono state abbandonate quasi ovunque e i giovani sono stati incoraggiati a uscire di nuovo. Ma quando i bambini hanno terminato la loro prima settimana di scuola dopo la pausa estiva a Utrecht, ogni giorno da 10 a 15 classi sono state rimandate a casa a causa dei test positivi, mentre a L'Aia e nei dintorni 34 classi della scuola elementare sono state messe in quarantena e rimandate a casa durante quella prima settimana.
- Un miscuglio di restrizioni di viaggio. In Europa i viaggiatori devono affrontare le misure specifiche di ogni Stato. Ogni paese ha le proprie misure di sicurezza e quarantena per i viaggiatori. In alcuni paesi è sufficiente il certificato di vaccinazione europeo per entrare nel paese, mentre altri applicano ulteriori restrizioni, come quarantene o test PCR. Inoltre, solo le persone che entrano nel Paese in aereo o in treno sono rigorosamente controllate.
Dallo scoppio della pandemia, abbiamo assistito a un aumento della sfiducia nei confronti dei governi e dei vaccini, accompagnato da un aumento della disinformazione e delle teorie del complotto:
- La sfiducia nei confronti dei governi in Russia, Bulgaria, ma anche in vari paesi dell'UE come Polonia, Olanda, Grecia che, a sua volta, è stata rafforzata da affermazioni irrazionali e palesi menzogne da parte dei governi per coprire la loro negligenza e impotenza.
- La diffusa sfiducia e paura dei vaccini è alimentata da campagne populiste e complottiste[5], con un impatto particolarmente forte negli Stati Uniti, portando a un'estrema polarizzazione tra 'pro' e anti-vax.
La Bulgaria è uno dei paesi in cui l'entità della disinformazione e della sfiducia nei confronti dei vaccini ha un impatto reale sul tasso di vaccinazione, che è solo del 20%. A fine ottobre 2021 il Paese si stava avvicinando a un nuovo picco di contagi, con oltre 5.000 casi di Covid-19 e 100 decessi al giorno; il 95% dei deceduti non era stato vaccinato. Mentre il bilancio delle vittime saliva il sistema sanitario era sovraccaricato e le unità di terapia intensiva erano strapiene. Ma la maggior parte dei bulgari rifiuta ancora i vaccini contro il Covid-19.
Lo stesso si può dire della Russia. Da più di un anno le agenzie di propaganda russe e i trolls su internet sono impegnati in una campagna di disinformazione sistematica e aggressiva, volta ad alimentare dubbi e riserve sui vaccini. Questa campagna di disinformazione ha fortemente alimentato lo scetticismo sui vaccini che, insieme alla sfiducia nei confronti del governo, è responsabile dell'alto livello di riluttanza al vaccino tra i russi. Con meno del 45% della popolazione completamente vaccinata, il virus si è diffuso al suo ritmo più veloce negli ultimi mesi.
Questa polarizzazione, soprattutto negli Stati Uniti, ha causato una reazione a catena di assoluta irrazionalità che si è diffusa nei paesi europei, in Australia e in Sud Africa. Leggendo su discutibili siti Web che diffondono rapporti più o meno falsi, le preoccupazioni reali sul virus o sul vaccino vengono facilmente confuse con teorie inverosimili e una sfiducia totalmente irrazionale nei confronti della scienza. Una delle principali teorie del complotto riguarda l'origine stessa della pandemia secondo la quale la comparsa del virus è dovuta alla tecnologia 5G che si dice sia stata progettata per controllare a distanza le menti e che l'OMS fa parte del complotto.
La pandemia ha creato un ambiente favorevole ad aggressioni e violenze[6]. Secondo la Croce Rossa (CICR) nei primi sei mesi della pandemia, 611 episodi di aggressioni fisiche o verbali, minacce o discriminazioni sono stati diretti contro operatori sanitari, pazienti e strutture mediche in più di quaranta paesi. I sostenitori delle teorie del complotto si sono resi colpevoli di aggressioni verbali e persino fisiche contro gli operatori sanitari in paesi come la Slovacchia e gli Stati Uniti. Inoltre, abbiamo anche assistito a diversi attacchi ai lavoratori dei principali media.
I politici continuano a ripetere: "mai più", "dobbiamo imparare le lezioni della storia", ma lungi dal far sentire ragione agli Stati capitalisti e farli lavorare insieme, la classe dirigente, per sua stessa natura, è incapace di cambiare le regole del capitalismo in decadenza, in cui l'agguerrita concorrenza per i mercati è la regola e tutte le forme di cooperazione più che mai sono l'eccezione. Negli ultimi cento anni, nel capitalismo decadente, il mondo è diventato non solo un'arena di competizione tra imprese capitalistiche, ma soprattutto un campo di battaglia tra Stati capitalisti.
La concorrenza è il motore che spinge il capitalismo, ma è anche la fonte della maggior parte dei suoi problemi. La pandemia lo ha mostrato chiaramente: da anni i governi tagliano i budget sanitari per aumentare la propria competitività, con il risultato che molti sistemi sanitari sono stati travolti dai ricoveri legati al Covid. Certo, tutti sono d'accordo che prevenire le zoonosi (trasmissione di malattie dagli animali all'uomo) rallentando la distruzione massiccia e caotica dell'ambiente costerà molto meno che pagarne le conseguenze… ma è preferibile che sia un altro Stato ad agire per primo o a subirne le conseguenze. A causa della concorrenza internazionale, nessuno degli Stati coinvolti è disposto a limitare la distruzione delle foreste e di altre aree naturali a spese delle proprie economie nazionali. Nessun pensiero razionale è abbastanza forte per cambiare la situazione.
L’ambito nazionale è l'espressione più alta dell'unità che la società borghese può raggiungere. Anche di fronte alla pandemia, che richiederebbe un approccio globale unificato, non è in grado di andare oltre questo ambito. Durante le precedenti crisi sanitarie, come l'epidemia di Ebola, ad esempio, la borghesia è riuscita almeno a mantenere le apparenze istituendo un certo (e spesso cinico) coordinamento internazionale (con l'OMS in particolare, sul piano medico) per difendere gli interessi generali del capitalismo anche nel contesto della decadenza del sistema. Ma in questa fase di decomposizione, la tendenza al ciascuno per sé è cresciuta a tal punto che la classe dirigente non è più nemmeno in grado di realizzare una cooperazione minima per difendere gli interessi generali del proprio sistema. Al contrario, ogni Stato sta cercando di salvarsi da solo dalla catastrofe in corso.
La pandemia ha solo intensificato la corsa imperialista per l'influenza e i mercati. La stessa distribuzione dei vaccini viene strumentalizzata per fini imperialisti. Stati Uniti e Europa, ma anche Russia, Cina o India, utilizzano la distribuzione di vaccini come parte della strategia dell'imperialismo "morbido" (detto "soft power") per rafforzare le rispettive posizioni imperialiste nel mondo:
- Il sostegno della Cina al programma Covax dell'OMS e alla "Via della seta della salute" fa parte della sua "offensiva diplomatica" per promuovere la leadership globale nel campo della salute. Nel frattempo la Cina ha consegnato vaccini a quasi 100 paesi in tutto il mondo.
- Il Cremlino ha lanciato la sua "offensiva diplomatica" attorno allo Sputnik V, attualmente registrato e certificato in 71 paesi. La sua offensiva mette anche alla prova l'unità dell'UE. Alcuni Stati membri hanno iniziato a utilizzare il vaccino, mentre l'Italia ha accettato di produrre lo Sputnik V russo anche se non autorizzato.
- L'India è il più grande esportatore mondiale di vaccini. Con lo slogan "prima i vicini" ha concluso accordi con 94 paesi per l'esportazione di 66 milioni di dosi. Il vaccino indiano, il Covaxin di Bharat Biotech, farà parte del programma di esportazione nel 2022.
Incapaci di proteggere la propria popolazione, questi Stati usano quindi i vaccini per fini imperialisti. L'India, dove solo il 35% della popolazione è completamente vaccinata, ha esportato il triplo delle dosi somministrate alla propria popolazione.
La crisi globale e mortale della pandemia sta portando a crescenti divisioni e a un'intensificazione delle tensioni tra le fazioni delle borghesie nazionali che aumenta ulteriormente la perdita di controllo della borghesia sull'evoluzione della pandemia. Importanti fazioni politiche della borghesia in Europa, come il Freiheits Partei Österreich in Austria, Alternative Für Deutschland in Germania, il Rassemblement National in Francia, ma anche il Partito Repubblicano negli Stati Uniti, fomentano con veemenza l'insoddisfazione della società per le vaccinazioni obbligatorie, i passaporti sanitari e le chiusure. Partecipano sempre di più a manifestazioni per la “libertà” che spesso si concludono con violenti scontri con le forze dei repressione.
La pandemia si è estesa a tutto il mondo e lo ha trasformato radicalmente in pochi mesi. Questo è il fenomeno più importante dall'ingresso del capitalismo nella fase di decomposizione e conferma la nostra tesi secondo la quale “L’ampiezza dell’impatto della crisi da Covid-19 si spiega non solo con questo accumulo, ma anche attraverso l’interazione delle espressioni ecologiche, sanitarie, sociali, politiche, economiche e ideologiche della decomposizione in una specie di spirale mai vista prima, che ha portato a perdere il controllo di sempre più aspetti della società[7]. Mostra chiaramente la decomposizione della sovrastruttura della società capitalista e i suoi effetti sulle basi economiche che l'hanno generata.
Allo stesso tempo, non è solo la pandemia a evidenziare gli effetti significativamente peggiorativi della decomposizione, ma anche il moltiplicarsi di disastri "naturali" come incendi boschivi, inondazioni e tornado, ogni tipo di violenza strutturale, conflitti militari sempre più irrazionali e la conseguente migrazione di milioni di persone in cerca di un posto dove sopravvivere. L'interazione di tutti questi aspetti è l'espressione della putrefazione accelerata dei fondamenti stessi del modo di produzione capitalistico. È una terribile manifestazione del contrasto tra l'enorme potenziale delle forze produttive e l'atroce miseria che si sta diffondendo nel mondo.
Il capitalismo ha fatto il suo tempo: è un morto che cammina ancora e che non può più offrire una prospettiva all'umanità. Ma nella sua agonia, è ancora in grado di portare il mondo intero sull'orlo dell'abisso. La classe operaia ha la capacità e la responsabilità di prevenire l'annientamento dell'umanità. Di conseguenza, deve sviluppare sul proprio terreno la sua lotta contro gli effetti della crisi economica, come l'inflazione, la disoccupazione, la precarietà. Le attuali lotte operaie[8], per quanto timide possano essere, portano i semi del superamento di questa barbarie quotidiana e della creazione di una società libera dai tanti flagelli che affliggono il capitalismo del XXI secolo.
Dennis, 18 dicembre 2021
[1] “Highly probable” that worst of Covid pandemic is behind us, says Johnson”, Evening Standard (15 luglio 2021
[2] “EU mulls mandatory vaccination, while urging booster for all”, EU-Observer (2 dicembre 2021).
[3] Videomessaggio al Vertice mondiale della Sanità a Berlino, 24-26 ottobre 2021.
[4] “Why low income countries are so short on Covid vaccines. Hint: It's not boosters”, National Public Radio (10 novembre 2021).
[5] Théories du complot: un poison contre la conscience de la classe ouvrière [1] (Teorie del complotto: un veleno contro la coscienza della classe operaia [1]), Révolution internationale n.484 (settembre-ottobre 2020).
[6] Navigating Attacks Against Health Care Workers in the Covid-19 Era [2] (Navigare tra gli attacchi contro gli operatori sanitari nell'era Covid-19). JAMA Network (21 April 2021).
[7] Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione [3],20 agosto 2021.
Questo rapporto si iscrive nel quadro della risoluzione sulla situazione internazionale del 24° Congresso Internazionale della CCI[1] e in particolare sui seguenti punti:
«8. Se la progressione della decomposizione capitalista, parallelamente all’acuirsi caotico delle rivalità imperialiste, prende principalmente la forma di una frammentazione politica e di una perdita di controllo da parte della classe dirigente, questo non significa che la borghesia non possa più fare ricorso al totalitarismo di Stato nei suoi sforzi per mantenere la coesione della società. (…) L’elezione di Biden, sostenuta da una enorme mobilitazione dei mezzi di informazione, di certe parti dell’apparato politico e anche dell’esercito e dei servizi segreti, esprime questa reale controtendenza al pericolo di disintegrazione sociale e politica molto chiaramente incarnata dal trumpismo. Nel breve termine tali “successi” possono funzionare come un freno al caos sociale crescente.
9. La natura evidente della decomposizione politica ed ideologica della prima potenza mondiale non significa che gli altri centri del capitalismo mondiale siano capaci di costituire delle fortezze alternative di stabilità (...)
12. In questo panorama caotico non c’è alcun dubbio che il confronto crescente tra gli Stati Uniti e la Cina tende ad essere in primo piano. La nuova amministrazione ha così dimostrato la sua propensione alla “inclinazione verso l’est”.”
In questo quadro, questo rapporto prende in considerazione gli avvenimenti di questi ultimi mesi per contribuire alla riflessione sulle seguenti 3 questioni:
“Confermatasi come sola superpotenza esistente, gli USA faranno tutto quello che è in loro potere per assicurarsi che nessuna nuova superpotenza – in realtà nessun nuovo blocco imperialista- possa affermarsi e sfidare il suo ‘Nuovo Ordine Mondiale’” (Risoluzione sulla situazione internazionale del 15° Congresso della CCI, 2003). La storia degli ultimi 30 anni è caratterizzata da un declino sistematico della loro leadership, nonostante una politica persistente volta a mantenere la loro posizione egemonica nel mondo.
1.1 Breve riassunto del declino dell’egemonia degli USA
Ci sono diverse tappe che caratterizzano gli sforzi degli Stati Uniti per mantenere la loro leadership di fronte alle minacce che si sviluppano. Esse sono anche marcate da dissensi interni in seno alla borghesia americana sulla politica da adottare e che accentuano le difficoltà.
a) Il “Nuovo Ordine Mondiale” sotto la direzione degli USA (Bush I e Clinton: 1990-2001)
Il presidente Bush senior sfruttò l’invasione del Kuwait da parte delle forze irachene per mobilitare una larga coalizione militare internazionale intorno agli USA per “punire” Saddam Hussein. La 1^ guerra del Golfo voleva costituire un “esempio”: di fronte a un mondo sempre più guadagnato dal caos e dal “ciascuno per sé” si trattava di imporre un minimo di ordine e di disciplina, e in primo luogo ai paesi più importanti dell’ex blocco occidentale. La sola superpotenza che si era mantenuta voleva imporre alla “comunità internazionale” un “nuovo ordine mondiale” sotto la sua egida, perché era la sola che ne aveva i mezzi, ma anche perché era il paese che aveva più da perdere nel disordine mondiale.
Tuttavia essa non sarà capace di mantenere questo ruolo se non rinchiudendo in maniera crescente l’insieme del mondo nel corsetto di ferro del militarismo e della barbarie guerriera, come al momento della sanguinosa guerra civile nella ex-Jugoslavia dove doveva contrastare gli appetiti imperialisti dei paesi europei (Germania, Gran Bretagna e Francia) imponendo sotto la sua autorità la “pax americana” nella regione (accordi di Daytona, dicembre 1995).
b) Gli USA come «Sceriffo/Gendarme Mondiale» (Bush 2: 2001-2008)
Gli attentati di Al-Qaeda dell’11 settembre del 2001 portarono il presidente Bush junior a scatenare una «Guerra contro il terrore» contro l’Afghanistan e soprattutto l’Iraq nel 2003. Malgrado tutte le pressioni e l’utilizzazione di menzogne finalizzate a mobilitare la “comunità internazionale” dietro gli USA contro “l’asse del male”, gli USA fallirono nell’intento di mobilitare gli altri imperialismi contro lo “Stato canaglia” di Saddam e invasero quasi da soli l’Iraq con un solo alleato significativo, l’Inghilterra di Tony Blair.
Il fallimento di questi interventi, sottolineato dal ritiro dall’Iraq (2011) e dall’Afghanistan (2021), ha messo in evidenza l’incapacità degli Stati Uniti di giocare allo “sceriffo del mondo” per imporre il suo “ordine” al mondo. Al contrario, questa “guerra contro il terrore” ha aperto il vaso di Pandora della decomposizione in queste regioni, favorendo l’espansione del “ciascuno per sé, che si è manifestato in particolare attraverso una moltiplicazione su scala planetaria delle ambizioni imperialiste di potenze come la Cina e la Russia, ovviamente dell’Iran, ma anche della Turchia, l’Arabia Saudita, o ancora gli Emirati del Golfo o il Qatar. Il crescente vicolo cieco della politica degli Stati Uniti e la fuga aberrante nella barbarie guerriera, ha messo in evidenza il netto indebolimento della loro leadership mondiale.
L’amministrazione Obama ha provato a ridurre l’impatto della catastrofica politica portata avanti da Bush (l’esecuzione di Bin Laden nel 2011 ha sottolineato la superiorità tecnologica e militare assoluta degli Stati Uniti) e ha individuato sempre più chiaramente l’ascesa della Cina come il pericolo principale per l’egemonia USA, cosa che ha scatenato intensi dibattiti in seno alla borghesia americana e al suo apparato statale.
c) La politica «America First» (Trump, e sostanzialmente proseguita da Biden: 2017)
La politica dell’”America first” sul piano imperialista messa in atto da Trump a partire dal 2017, costituisce in realtà il riconoscimento ufficiale del fallimento della politica imperialista americana di questi ultimi 25 anni: “L’ufficializzazione da parte dell'amministrazione Trump di far prevalere su qualsiasi altro principio quello della difesa dei loro soli interessi come Stato nazionale e l'imposizione di rapporti di forza favorevoli agli Stati Uniti come base principale delle relazioni con altri Stati, conferma e trae le implicazioni del fallimento della politica degli ultimi 25 anni di lotta contro il ciascuno per sé e come gendarme del mondo e della difesa dell'ordine mondiale ereditato dal 1945.(…)”[2]
Se questa politica implica una forte limitazione delle operazioni militari sul terreno data la mancanza di irreggimentazione delle masse operaie rispetto a impegni militari massicci con le conseguenti perdite che questo implicherebbe (vedi le difficoltà di reclutamento già incontrate da Bush junior per la guerra in Iraq), essa va comunque di pari passo con una polarizzazione crescente e una aggressività accentuata verso la Cina, sempre più riconosciuta come il pericolo principale. Se questa posizione era discussa in seno all’amministrazione Obama e se delle tensioni apparivano ancora in seno all’amministrazione Trump tra i sostenitori della lotta contro gli “Stati canaglia”, come l’Iran (Posizione di Pompeo, Kushner), e i sostenitori del “maggiore pericolo cinese” (servizi segreti ed esercito), la polarizzazione su quest’ultima opzione è incontestabilmente l’asse centrale della politica estera di Biden. Per gli USA si tratta di una scelta strategica per concentrare le loro forze sul confronto militare e tecnologico con la Cina, al fine di mantenere e anche di accentuare la loro supremazia, di difendere la loro posizione di “Padrino” del clan dominante di fronte ai clan avversari (la Cina e in parte la Russia) che minacciano più direttamente la loro egemonia. Già in quanto gendarme mondiale gli USA favorivano la violenza guerriera, il caos e il ciascuno per sé; la loro attuale politica non è per niente meno distruttiva, al contrario.
1.2. Polarizzazione delle tensioni nel mar della Cina
La polarizzazione degli USA verso la Cina e il conseguente ridispiegamento delle forze iniziate dall’amministrazione Trump sono stati pienamente ripresi da Biden, che non solo ha mantenuto le aggressive misure economiche contro la Cina messe in atto da Trump, ma ha soprattutto accentuato la pressione:
Taiwan ha sempre giocato un ruolo importante nella strategia americana verso la Cina. Se durante la “guerra fredda” essa costituiva una pedina importante nel dispositivo di contenimento del blocco sovietico, negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 ha rappresentato la vetrina della società capitalista globalizzata in cui la Cina era integrata. Ma con la crescita della potenza di quest’ultima l’obiettivo è cambiato e Taiwan gioca di nuovo un ruolo geostrategico per sbarrare l’accesso al Pacifico ovest alla marina cinese. D’altra parte, su un piano strategico, “le fonderie dell’isola producono in effetti la maggior parte dei semiconduttori di ultima generazione, componenti indispensabili all’economia elettronica mondiale (smartphone, dispositivi di connessione, intelligenza artificiale, ecc.)” (Le Monde diplomatique, ottobre 2021, pag. 7).
La Cina da parte sua ha reagito furiosamente a queste pressioni politiche e militari, soprattutto quelle riguardanti Taiwan: organizzazione di massicce manovre navali ed aeree davanti all’isola, pubblicazione di studi allarmisti che indicano un rischio di guerra “mai così elevato” con Taiwan, o piani di attacchi a sorpresa contro Taiwan, che porterebbe a una sconfitta totale delle forze armate dell’isola.
In questi ultimi mesi nel mare della Cina si sono succeduti avvertimenti, minacce e intimidazioni. Essi sottolineano la crescente pressione esercitata dagli USA sulla Cina. In questo contesto gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per tirarsi dietro altri paesi asiatici, inquieti per le velleità espansioniste di Pechino, cercando per esempio di creare una specie di NATO asiatica, il QUAD, che riunisce gli USA, il Giappone, l’Australia e l’India con la volontà di aggiungervi la Corea del Sud. D’altra parte e nello stesso senso Biden ha voluto rivitalizzare la NATO allo scopo di trascinare i paesi europei nella sua politica di pressione contro la Cina. Paradossalmente, la costituzione dell’AUKUS indica i limiti dell’allineamento delle altre nazioni dietro gli USA. L’AUKUS significa innanzitutto uno schiaffo alla Francia e azzera le belle parole di Biden sul “partenariato” in seno alla NATO. D’altronde, questo accordo conferma anche il nervosismo di paesi come l’India, con le sue proprie ambizioni imperialiste, e soprattutto della Corea del Sud e del Giappone, stretti tra la paura del rafforzamento militare della Cina e i loro considerevoli legami industriali e commerciali con essa.
Dopo lo sprofondamento di Iraq e Siria nel caos e in una barbarie sanguinosa, gli avvenimenti del settembre 2021 in Afghanistan confermano pienamente la tendenza dominante del periodo: il declino della leadership USA e la crescita del caos e del ciascuno per sé.
2.1. Il disastro USA in Afghanistan
Il crollo totale del regime e dell’esercito afghano, l’avanzata dei Talebani, nonostante un intervento militare americano nel paese durato 20 anni e le centinaia di miliardi di dollari inghiottiti nella “costruzione della nazione”, così come l’evacuazione nel panico di cittadini americani e collaboratori confermano in maniera eclatante che gli USA non sono più in grado di svolgere il ruolo di “gendarme del mondo”. Più specificamente, la ritirata drammatica e caotica delle truppe USA dall’Afghanistan ha portato a una sconfitta interna ed esterna dell’amministrazione Biden.
Nella misura in cui lo stesso segretario della NATO, J. Stoltenberg, ha dovuto riconoscere che gli USA non garantiscono più di difendere gli alleati europei contro i loro nemici, ogni operazione accattivante di Biden verso la NATO e gli alleati è stata annichilita. L’assenza totale di concertazione in seno alla NATO e l’azione solitaria degli USA hanno provocato delle reazioni indignate a Londra, Berlino e Parigi. Quanto ai collaboratori degli americani in Afghanistan (come i curdi in Iraq, traditi da Trump), questi temono giustamente per la loro vita: ecco una prima potenza mondiale incapace di garantire la vita dei suoi collaboratori e il sostegno ai suoi alleati. Essa non merita dunque fiducia (come sottolineato sarcasticamente da Xi Jimping!).
La risoluzione sulla situazione internazionale del 24° Congresso della CCI sottolinea che “L’elezione di Biden, sostenuta da una enorme mobilitazione dei mezzi di informazione, di certe parti dell’apparato politico e anche dell’esercito e dei servizi segreti, esprime questa reale controtendenza al pericolo di disintegrazione sociale e politica molto chiaramente incarnata dal trumpismo. Nel breve termine tali “successi” possono funzionare come un freno al caos sociale crescente.” Tuttavia il disastro afghano ha messo in evidenza non solo la mancanza di affidabilità degli USA verso i propri alleati, ma accentua anche le tensioni in seno alla borghesia USA e apre un’autostrada a tutte le forze avversarie (Repubblicani e populisti) che condannano questa ritirata frettolosa e umiliante da parte di una amministrazione che “disonora gli USA sul piano internazionale”. E questo in un momento in cui la politica di rilancio industriale e di grandi lavori, voluta dall’amministrazione Biden e ritenuta poter contenere i danni causati dal populismo, si scontra con una opposizione feroce dei Repubblicani al Congresso e di Trump mentre, di fronte a una politica vaccinale anti-Covid che ristagna, Biden è stato costretto a prendere delle misure di restrizione per la popolazione.
2.2. Imprevedibilità della situazione per gli altri imperialismi
L’assenza di una centralizzazione del potere da parte dei Talebani, la miriade di correnti e gruppi che compongono il movimento e gli accordi con i signori della guerra locali per impadronirsi rapidamente dell’insieme del paese fanno sì che il caos e l’imprevedibilità siano le caratteristiche della situazione, come dimostrato dai recenti attentati contro la minoranza Hazara. Questa situazione non può che intensificare la volontà di intervento dei differenti imperialismi ma anche l’imprevedibilità della situazione, e di conseguenze il caos ambientale.
La Cina tende a contrastare il pericolo in Afghanistan istallandosi nelle vecchie repubbliche sovietiche dell’Asia centrale (Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan). Ma queste repubbliche fanno tradizionalmente parte della zona di influenza russa, cosa che aumenta il pericolo di confronto con questo “alleato strategico”, al quale comunque l’oppongono fondamentalmente i suoi interessi a lungo termine (la “nuova via della seta”) – vedi il punto 4.2 sull’alleanza cino-russa.
La Cina ha conosciuto in questi ultimi decenni una crescita sfolgorante sul piano economico e imperialista, che l’ha resa lo sfidante più importante degli Stati Uniti. Tuttavia, come dimostrato già dagli avvenimenti in Afghanistan del settembre 2021, essa non ha potuto approfittare né del declino degli USA, né della crisi del Covid-19 e delle sue conseguenze per rafforzare le sue posizioni sul piano dei rapporti imperialisti, al contrario. Vediamo le difficoltà a cui la borghesia cinese è confrontata sul piano della gestione del Covid, della gestione dell’economia, dei rapporti imperialisti e delle tensioni nel suo seno.
3.1. Difficoltà nella gestione del Covid
La Cina punta sull’immunità collettiva prima di aprire il paese, ma la politica di lockdown stretto che nel frattempo applica in città e regioni intere ogni volta che vengono identificate infezioni pesa fortemente sulle attività economiche e commerciali: per esempio la chiusura del porto di Yantian, terzo porto di container del mondo, nello scorso maggio ha condotto al blocco di migliaia di container e centinaia di navi sono state bloccate per mesi, disorganizzando totalmente il traffico marittimo mondiale.
Questa ricerca dell’immunità collettiva d’altra parte spinge province e città cinesi a imporre delle sanzioni finanziarie ai ritardatari. Di fronte alle numerose critiche sui social cinesi, il governo centrale ha bloccato questo tipo di misure che tendevano a “mettere in pericolo la coesione nazionale”.
Infine, la cosa più grave sono senza dubbio i dati sull’efficacia limitata dei vaccini cinesi comunicati da diversi paesi che li utilizzano: “In totale, la campagna di vaccinazione cilena – con il 62% della popolazione vaccinata attualmente – non sembra avere nessun importante impatto sulla proporzione di decessi” (H. Testard: “Covid-19: la vaccinazione in Asia decolla, ma aumentano i dubbi sui vaccini cinesi”, Asualyst, 21/07/2021). I responsabili cinesi oggi stanno prendendo in considerazione accordi per importare Pfizer o Moderna per rimediare all’inefficacia dei propri vaccini.
Al di là della innegabile responsabilità della Cina nello scoppio della pandemia, la gestione poco efficiente della crisi del Covid pesa sulla politica generale del capitalismo di Stato cinese.
3.2. Cumulazione di problemi per l’economia cinese
La forte crescita che la Cina conosce da 40 anni – anche se le cifre già diminuivano nell’ultimo decennio – sembra arrivare alla sua fine. Gli esperti si aspettano una crescita del PIL cinese inferiore al 6% nel 2021, contro il 7% medio dell’ultimo decennio e più del 10% del decennio precedente. Diversi sono i fattori che accentuano le attuali difficoltà dell’economia cinese:
Tuttavia se l’immobiliare cinese basa il suo modello economico su un enorme debito, numerosi altri settori sono in rosso: alla fine del 2020 il debito globale delle imprese cinesi rappresentava il 160% del Prodotto Interno Lordo del paese, contro l’80% circa per quello delle società americane, e gli investimenti “tossici” dei governi locali rappresentano, secondo gli analisti di Goldman Sachs, da soli 53.000 miliardi di yuan, cioè una somma che rappresenta il 52% del PIL cinese. Così lo scoppio della bolla immobiliare rischia non solo di contaminare altri settori dell’economia, ma anche di generare una instabilità sociale (quasi 3 milioni di posti diretti e indiretti sono legati a Evergrand), il grande timore del Partito Comunista Cinese.
3.3. Sgonfiamento del progetto della «nuova via della seta”
La realizzazione della “nuova via della seta” diventa sempre più difficile, a causa dei problemi finanziari legati alla crisi del Covid e alle difficoltà dell’economia cinese, ma anche per le reticenze dei partner;
- da una parte il livello di indebitamento dei paesi “partner” è cresciuto a causa della crisi del Covid, e quindi essi si ritrovano nell’incapacità di pagare gli interessi sui prestiti cinesi. Paesi come lo Sri-Lanka, il Bangladesh, il Kirzikistan, il Pakistan, il Montenegro, e diversi paesi africani, hanno chiesto alla Cina di ristrutturare, ritardare o annullare il pagamento dei loro debiti dovuti quest’anno.
- da un’altra parte, c’è una crescente diffidenza da parte di numerosi paesi rispetto alle azioni della Cina (Unione Europea, Cambogia, Filippine, Indonesia), ed in più ci sono anche le conseguenze del caos prodotto dalla decomposizione, che destabilizza certi paesi chiave della “nuova via”, come per esempio l’Etiopia.
In breve, non bisogna meravigliarsi che nel 2020 si sia avuto un crollo del valore finanziario degli investimenti fatti nel progetto della “Nuova via della seta” (-64%), e la Cina ha prestato più di 461 miliardi di dollari dal 2013.
3.4. Accentuazione degli antagonismi in seno alla borghesia cinesi.
Con Deng Xiao Ping il capitalismo di Stato di tipo stalinista cinese, sotto la coperta di una politica di “creare dei ricchi per condividere la loro ricchezza”, ha stabilito delle zone “libere” (Hong Kong, Macao, ecc.) al fine di sviluppare un capitalismo di tipo “libero mercato” permettendo l’entrata dei capitali internazionali e favorendo anche un settore capitalista privato che, con il crollo del blocco dell’Est e la “globalizzazione” dell’economia degli anni ’90, si è sviluppato in maniera esponenziale, anche se il settore pubblico sotto il controllo diretto dello Stato rappresenta sempre il 30% dell’economia. Come ha preso la rigida e repressiva struttura dello Stato stalinista e del partito unico in carico questa “apertura” al capitalismo privato? Dagli anni ’90 il partito si è trasformato integrando massicciamente imprenditori e capi di impresa privati. “All’inizio degli anni 2000 il presidente di allora, Jang Zemin aveva eliminato il divieto di reclutare degli imprenditori del settore privato, visti fino ad allora come dei nemici di classe, (…). Gli uomini e le donne d’affari così selezionati diventano membri della élite politica, cosa che garantisce che le loro imprese siano, almeno parzialmente, protette dalle tendenze predatrici”. (Che resta del comunismo in Cina? Le Monde diplomatique 68, luglio 2021). Oggi i professionisti e i manager diplomati costituiscono il 50% degli aderenti del PCC.
I contrasti tra le differenti frazioni si esprimeranno quindi non solo all’interno delle strutture statali ma in seno allo stesso PCC. Da diversi anni (vedi Rapporto sulle tensioni imperialiste del 20° Congresso della CCI, 2013) le tensioni fra le diverse frazioni della borghesia cinese crescono, in particolare tra quelle più legate ai settori capitalistici privati, dipendenti dagli scambi e dagli investimenti internazionali, e quelle legate alle strutture e al controllo finanziario a livello regionale o nazionale, cioè tra quelle che vorrebbero un’apertura al commercio mondiale e quelle che difendono una politica più nazionalista. In particolare:
In breve, lungi dal tirare profitto dalla situazione attuale, la borghesia cinese, come le altre borghesie, è confrontata al peso della crisi, al caos della decomposizione e alle tensioni interne, che essa cerca con tutti i mezzi di contenere in seno alle sue desuete strutture capitaliste di Stato.
I dati analizzati nei punti precedenti mostrano certo che le tensioni fra gli USA e la Cina tendono ad occupare un posto predominante nella situazione imperialista, senza tuttavia che esse inducano una tendenza alla formazione di blocchi imperialisti. In effetti, al di là di certe alleanza limitate come l’AUKUS, la principale potenza del pianeta, gli USA, oggi non solo non riesce a mobilitare la altre potenze dietro la sua linea politica (contro l’Iraq o l’Iran prima, contro la Cina oggi) ma è in più incapace di difendere i suoi alleati e di darsi l’aspetto di un “leader di blocco”. Questo declino della leadership USA contribuisce ad un’accentuazione del caos che coglie sempre più la politica dell’insieme degli imperialismi dominanti, ivi compresa la Cina che a sua volta non riesce a imporre in maniera durevole la sua leadership ad altri paesi.
4.1. Caos e guerra
Il fatto che i Talebani abbiano “battuto” gli americani incoraggerà tutti questi piccoli squali che non esiteranno ad avanzare le proprie pedine in assenza di qualcuno capace di “imporre delle regole”. Stiamo entrando in una accelerazione del mondo senza legge e del più grande caos della storia. Il ciascuno per sé diventa il fattore dominante delle relazioni imperialiste e la barbarie guerriera minaccia intere zone del pianeta.
Oltre alla barbarie della guerra civile in Iraq, Siria, Libia o Yemen e lo sprofondamento dell’Afghanistan nell’orrore, sono forti le tensioni tra l’Armenia e l’Azerbaigian, istigate dalla Turchia che provoca la Russia; è scoppiata la guerra civile in Etiopia (appoggiata dall’Eritrea) contro la “provincia ribelle” del Tigray (appoggiata dal Sudan e dall’Egitto); infine crescono le tensioni tra l’Algeria e il Marocco. La “Somalizzazione” degli Stati, e le zone di instabilità e dell’assenza di legge non cessano di crescere: il caos regna attualmente da Kabul ad Addis-Abeba, da Sanaa a Erevan, da Damasco a Tripoli, da Bagdad a Barmako.
Il Covid colpisce duramente il subcontinente americano (1/3 dei decessi mondiali nel 2020 a fronte di 1/8 della popolazione mondiale) e lo fa precipitare nella sua peggiore recessione da 120 anni: contrazione del PIL del 7,7% e crescita della povertà del 10% nel 2020 (Le Monde Diplomatique, ottobre 2021). Il caos cresce, come ad Haiti, sprofondata in una situazione disperata, sotto il regno sanguinoso delle gang, e in una miseria orribile; la situazione è ugualmente catastrofica nell’America Centrale: centinaia di migliaia di disperati fuggono dalla miseria e dal caos e minacciano di inondare la frontiera meridionale degli Stati Uniti. La regione subisce delle convulsioni crescenti legate alla decomposizione: rivolte sociali in Colombia e in Cile, confusione populista in Brasile dove la prospettiva di destabilizzazione è ulteriormente accentuata nella prospettiva delle elezioni e di una nuova eventuale candidatura di Lula. Il Messico cerca di giocare le proprie carte (proposta di una nuova Organizzazione del Sudamerica), ma è troppo dipendente dagli USA per affermare le sue proprie aspirazioni. Gli Stati Uniti non sono stati capaci di rovesciare Maduro in Venezuela, a cui Cina, Russia e anche l’Iran continuano ad apportare un sostegno “umanitario”, come anche a Cuba. La Cina si è infiltrata, soprattutto dal 2008, nell’economia della regione ed è diventata un creditore importante di numerosi Stati latino-americani, ma la controffensiva degli USA esercita una forte pressione su alcuni Stati (Panama, Equador, Cile) per indurli a prendere le distanze rispetto alla “attività economica predatrice” di Pechino.
Le tensioni fra la NATO e la Russia negli ultimi mesi si sono intensificate: dopo l’incidente del volo Ryanair dirottato e intercettato dalla Bielorussia per arrestare un dissidente rifugiatosi in Lituania, ci sono state in giugno le manovre della NATO nel Mar Nero al largo dell’Ucraina, in cui c’è stato uno scontro tra una fregata inglese e delle navi russe, e, a settembre, manovre congiunte tra gli eserciti russo e bielorusso alla frontiera della Polonia e dei Paesi Baltici a fronte di esercitazioni della NATO in territorio ucraino, una vera provocazione agli occhi di Putin.
4.2. Instabilità crescente
Il crescente caos aumenta anche le tensioni in seno alle singole borghesie e rafforza l’imprevedibilità del loro posizionamento imperialista: è il caso di paesi come il Brasile, dove la catastrofica situazione sanitaria e la gestione irresponsabile del governo Bolsonaro porta a una crisi politica sempre più intensa, e di altri paesi dell’America Latina (instabilità politica in Equador, in Perù, in Colombia e in Argentina). Nel vicino e medio oriente le tensioni fra i clan e le tribù che dirigono l’Arabia Saudita rischiano di destabilizzare il paese, mentre Israele è preda di una opposizione di una larga parte delle frazioni politiche di destra e di sinistra contro Netanyahu e i partiti religiosi, ma anche di pogrom all’interno del paese contro gli arabi “israeliani”. Infine c’è la Turchia che cerca una soluzione alle sue difficoltà politiche ed economiche in una fuga in avanti suicida in avventure imperialiste (dalla Libia all’Azerbaigian).
In Europa la disfatta in Afghanistan e la questione dei sottomarini, insieme al dopo-Brexit accentuano la destabilizzazione di organizzazioni provenienti dal periodo dei blocchi, come la NATO e la UE. In seno alla NATO, alcuni paesi europei hanno sempre più dubbi sull’affidabilità degli USA. Così la Germania non ha ceduto alle pressioni americane rispetto al gasdotto con la Russia nel mar Baltico e la Francia non digerisce l’affronto inflitto dagli USA con l’accordo sui sottomarini con l’Australia, mentre altri paesi europei continuano a vedere negli USA il loro principale protettore. La questione dei rapporti con la Gran Bretagna per implementare gli accordi sulla Brexit (su Irlanda del Nord e quota pesca) dividono i paesi della UE e ci sono forti tensioni tra la Francia e l’Inghilterra. In seno alla stessa UE i flussi di rifugiati continuano ad opporre gli Stati, con paesi come l’Ungheria e la Polonia che rimettono sempre più apertamente in questione i “poteri sovranazionali” definiti dai trattati europei, e l’idra del populismo minaccia la Francia nelle elezioni della primavera 2022.
Caos e accentuazione del ciascuno per sé tendono anche ad ostacolare la continuità dell’azione degli imperialismi maggiori: gli USA si vedono obbligati a mantenere la pressione con bombardamenti aerei regolari sulle milizie sciite che perseguitano le rimanenti forze americane in Iraq; i russi devono fare la parte dei “pompieri” nel confronto armato fra Armenia e Azerbaigian, istigato dal ciascuno per sé imperialista della Turchia; l’estensione del caos nel Corno d’Africa attraverso la guerra civile in Etiopia, con il coinvolgimento del Sudan e dell’Egitto che sostengono la regione del Tigray, e l’Eritrea il governo centrale etiope. Sconvolge in particolare i piani cinesi che facevano dell’Etiopia, vantata come un polo di stabilità, un punto di appoggio per il loro progetto di “nuova via della seta” in Nordafrica e avevano stabilito per questo una base militare a Gibuti. L’impatto continuo delle misure e delle incertezze legate alla pandemia è un ulteriore fattore destabilizzante nella politica imperialista dei diversi Stati: stagnazione della vaccinazione negli USA dopo una partenza alla grande, nuovi confinamenti in intere regioni e mancanza patente di efficacia dei vaccini in Cina, esplosione delle contaminazioni e della mortalità (660.000), diffidenza della popolazione verso i vaccini in Russia (il tasso di vaccinazione è poco più del 30%).
Questa instabilità caratterizza anche le alleanze, come quella tra la Cina e la Russia. Se questi paesi sviluppano una “cooperazione strategica” (formulazione del comunicato cino-russo del 28/06/2021) contro gli USA e in rapporto al Medio Oriente, all’Iran o alla Corea del nord, e organizzano anche delle esercitazioni comuni dei loro eserciti e navi, le loro ambizioni politiche sono radicalmente differenti: l’imperialismo russo mira soprattutto alla destabilizzazione di regioni e non può puntare a più che dei “conflitti congelati” (Siria, Libia, Ucraina, Georgia,…), mentre la Cina ha una politica economica ed imperialista di lungo termine, la “nuova via della seta”. D’altra parte la Russia è perfettamente cosciente del fatto che i percorsi della “via della seta”, per terra e per la via artica, sono direttamente in contrasto con i suoi interessi nella misura in cui minacciano direttamente le zone di influenza russe in Asia centrale e in Siberia e che, sul piano dell’apparato industriale, non può competere con la 2^ economia mondiale, dal momento che il suo PIL corrisponde a quello dell’Italia.
4.3. Sviluppo dell’economia di guerra
“L’economia di guerra (…) non è una politica economica che può risolvere le contraddizioni del capitalismo o creare le fondamenta di una nuova tappa dello sviluppo capitalista. (…) La sola funzione dell’economia di guerra è…la GUERRA! La sua ragion d’essere è la distruzione effettiva e sistematica dei mezzi di produzione e delle forze produttive e la produzione di mezzi di distruzione – la vera logica della barbarie capitalista” (Dalla crisi all’economia di guerra, Révue Internationale n.11, 1977). Il fatto che la prospettiva non sia verso la costruzione di larghe e stabili alleanze, di “blocchi” imperialisti pronti ad impegnarsi in un confronto mondiale e quindi che una guerra mondiale non si ponga attualmente non elimina per niente una accentuazione dell’economia di guerra. Sottomettere l’economia alle necessità militari pesa fortemente sull’economia, ma questa irrazionalità non è una scelta: è il prodotto del vicolo cieco in cui sta il capitale e che la decomposizione sociale accelera.
La corsa agli armamenti divora somme fenomenali nel caso degli USA, che hanno ancora un vantaggio su questo piano, ma anche della Cina che ha aumentato in maniera significativa le sue spese militari durante gli ultimi due decenni. “L'aumento del 2,6% delle spese militari mondiali arriva nell'anno in cui il PIL mondiale è diminuito del 4,4% (proiezione del Fondo Monetario Internazionale, ottobre 2020), principalmente per l'impatto economico della pandemia di Covid-19. Conseguentemente le spese militari in percentuale sul PIL hanno raggiunto una media mondiale del 2,4% nel 2020, contro il 2,2% del 2019. Si tratta del più forte aumento annuo di questo tipo di spese dopo la crisi economica e finanziaria del 2009” (comunicato stampa del SIPRI, aprile 2021). Questa corsa non riguarda solo le armi convenzionali e nucleari, ma anche la militarizzazione sempre più netta dei programmi spaziali e l'estensione della corsa in zone una volta risparmiate, come le regioni artiche.
Vista l'espansione terrificante del ciascuno per sé imperialista, la corsa agli armamenti non si limita agli imperialismi maggiori, ma coinvolge tutti gli Stati, in particolare nel continente asiatico che conosce una crescita significativa delle spese militari; l'inversione del peso rispettivo dell'Asia e dell'Europa fra il 2000 e il 2018 è fenomenale: nel 2000 l'Europa e l'Asia rappresentavano rispettivamente il 27% e il 18% delle spese mondiali di difesa. Nel 2018 questo rapporto si è rovesciato, l'Asia ne rappresenta il 28% e l'Europa il 20% (dati del SIPRI).
Questa militarizzazione si esprime oggi anche attraverso uno sviluppo impressionante delle attività cibernetiche degli Stati (attacchi di hacker, spesso legati direttamente o indirettamente agli Stati, come l'attacco cibernetico di Israele contro i siti nucleari iraniani), come pure dell'intelligenza artificiale e della robotica militare (robot, droni), che giocano un ruolo sempre più importante nelle attività di spionaggio o nelle operazioni militari.
Tuttavia, “la vera chiave della costituzione dell'economia di guerra (…) [è] la sottomissione fisica e/o ideologica del proletariato allo Stato, [il] grado di controllo che lo Stato ha sulla classe operaia”. (Idem, Révue Internationale n.11). Ebbene, questo aspetto è lungi dall'essere acquisito. Questo spiega perché l'accelerazione della corsa agli armamenti va di pari oggi con una forte reticenza tra le maggiori potenze imperialiste (USA, Cina, Russia, Gran Bretagna o Francia) all'impegno massiccio di soldati sul terreno (boots on the ground) per timore dell'impatto di un ritorno massiccio di “body bags” (bare) sulla popolazione e in particolare sulla classe operaia. Va anche rilevato l'uso di milizie private (organizzazione Wagner per la Russia, Blackwater/Academi per gli USA...) o l'uso di milizie locali per svolgere missioni militari: utilizzazione di milizie sunnite siriane da parte della Turchia in Libia e in Azerbaigian, di milizie curde da parte degli USA in Siria e in Iraq, degli Hezbollah o delle milizie sciite irachene da parte dell'Iran in Siria, di milizie sudanesi da parte dell'Arabia Saudita nello Yemen, di una forza regionale (Ciad, Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso) “ingaggiate” dalla Francia e dalla UE nella regione del Liptako,...
Quindi la prospettiva è a una moltiplicazione di conflitti barbari e sanguinosi:
“11. Nello stesso tempo proliferano i massacri causati da innumerevoli piccole guerre, mentre il capitalismo, nella sua fase finale, sprofonda in un ciascuno per se imperialista sempre più irrazionale”.
“13. Questo non significa che noi viviamo in un’era di più grande sicurezza rispetto all’epoca della guerra fredda, sottoposta alla minaccia di un Armageddon nucleare. Al contrario, se la fase di decomposizione è marcata da una perdita di controllo crescente da parte della borghesia, questo riguarda anche gli enormi mezzi di distruzione – nucleari, convenzionali, biologici e chimici – che sono stati accumulati dalla classe dirigente, e che sono ora più largamente distribuiti attraverso un numero di Stati-nazione molto più importante che in precedenza”[3].
Nella misura in cui noi sappiamo che la borghesia è capace di ritorcere I peggiori effetti della decomposizione contro il proletariato, dobbiamo essere coscienti del fatto che questo contesto di barbarie mortale non faciliterà per niente la lotte operaia:
Di conseguenza il nostro intervento deve denunciare la progressione della barbarie e il carattere insidioso della situazione, dobbiamo costantemente mettere il proletariato in guardia contro la sottostima dei pericoli che la situazione caotica dei conflitti genera nel contesto del ciascuno per sé come dinamica dominante:
“Lasciata alla sua propria logica, alle sue ultime conseguenze, essa [la decomposizione] conduce l’umanità allo stesso risultato di una guerra mondiale. Essere annientati brutalmente da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, la radioattività delle centrali nucleari, la fame, le epidemie ed i massacri delle differenti guerre locali (dove potrebbe anche essere usata l’arma atomica), il risultato è lo stesso. La sola differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più rapida mentre la seconda è più lenta e quindi molto più sofferta”[4].
[1] https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021 [5]
[2] Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [6], 23° Congresso della CCI, 2019, punto 13.
Putin giustifica il rafforzamento militare al confine con l’Ucraina denunciando le intenzioni “aggressive” della NATO e delle potenze occidentali. I portavoce politici e mediatici delle “democrazie” occidentali invitano a rimanere fermi contro le minacce “aggressive” della Russia alla sovranità dell’Ucraina, indicando l’intervento delle forze speciali russe per “ripristinare l’ordine” in Kazakistan come ulteriore prova delle ambizioni di Putin di “costruire (o ricostruire) l’impero”.
Queste sono le accuse reciproche delle potenze capitaliste e imperialiste, ma la posizione della nostra classe, dei lavoratori che “non hanno patria”, è di rifiutarsi di entrare in queste dispute, ancor meno di fare qualsiasi sacrificio, economico o fisico, in nome dei loro sfruttatori, siano essi americani, europei, russi o ucraini.
Ma per smascherare la propaganda che viene riversata da entrambe le parti, il compito dei rivoluzionari non è solo quello di denunciare tutte le menzogne che spargono, ma anche di fornire un’analisi coerente, di scavare fino alle radici di questo inasprimento delle tensioni inter-imperialiste.
La caduta degli imperi
Prima del 1989, Mosca era a capo della seconda potenza mondiale, leader di un intero blocco imperialista. L’Ucraina e molte delle altre repubbliche “indipendenti” che circondano la Federazione Russa facevano parte dell’URSS, la cosiddetta “Unione Sovietica”. Ma nel 1989-91, al culmine di una lunga crisi economica e politica le cui origini abbiamo analizzato altrove[1], il blocco orientale crollò e la stessa URSS fu spazzata via dallo tsunami.
Uno dei mezzi principali di questa vittoria senza precedenti del blocco guidato dagli USA fu la politica di accerchiamento dell’URSS, stringendo un’alleanza con la Cina, usando la Turchia come base missilistica, cercando una “Pax Americana” in tutto il Medio Oriente. Questo fu accompagnato da un’intensa corsa agli armamenti che accelerò la bancarotta dell’URSS. Il blocco russo, sempre più assediato, cercò di rompere il cerchio, in particolare invadendo l’Afghanistan nel 1979, ma questa mossa verso l’accesso ai “mari caldi” si è ritorta contro, poiché le truppe russe si impantanarono in una guerra impossibile da vincere contro le forze islamiche sostenute dagli Stati Uniti e dai loro alleati. E più o meno nello stesso momento, gli scioperi di massa della classe operaia in Polonia mostrarono ai governanti dell’URSS quanto poco potessero contare sui lavoratori del loro stesso blocco in qualsiasi ulteriore avventura militare, soprattutto nella stessa Europa.
Gli Stati Uniti emersero così come la sola e unica “superpotenza” e Bush Senior proclamò l’avvento di un “Nuovo Ordine Mondiale” di pace, prosperità e democrazia, mentre gli strateghi militari statunitensi pianificavano il “Dominio a tutto spettro” e il “Nuovo secolo americano”. Ma nel giro di pochi anni, il trionfo degli USA si rivelò vano. Con il nemico comune a est messo in ginocchio, lo stesso blocco occidentale cominciò a spaccarsi, e il principio del “ciascuno per sé” sostituì sempre più la vecchia disciplina di blocco – un’espressione, nelle relazioni internazionali, dell’alba di una nuova e terminale fase nel lungo declino del sistema capitalista. Questo processo si è visto chiaramente con la guerra dei Balcani all’inizio degli anni '90, dove gli alleati più “leali” degli Stati Uniti si sono trovati in disaccordo con questi, arrivando a sostenere fazioni diverse nei sanguinosi massacri che hanno accompagnato la disgregazione della ex Jugoslavia.
La risposta americana a questa minaccia alla propria egemonia fu di cercare di riaffermare la sua autorità facendo appello alla sua schiacciante superiorità militare - con un certo successo - nella prima guerra del Golfo del 1991, ma con risultati molto più negativi con le invasioni dell’Afghanistan nel 2001 e dell’Iraq nel 2003. Ora era il turno degli Stati Uniti di rimanere impantanati in conflitti senza possibilità di vittoria con le bande islamiche. Invece di bloccare la tendenza al “ciascuno per sé”, queste avventure hanno accelerato le tendenze centrifughe in tutta la regione strategicamente vitale del Medio Oriente. In particolare il principale nemico degli USA nella regione, l’Iran, ha approfittato del disordine nel vicino Iraq, facendo avanzare le sue pedine in Libano, Yemen, Siria e altrove.
Allo stesso tempo, questo nuovo disordine mondiale ha creato uno spazio per la Cina - che aveva già beneficiato dei massicci investimenti economici occidentali volti a trovare una via d'uscita dalle recessioni economiche degli anni '70 e '80 - per emergere come un vero rivale imperialista degli USA.
La rinascita imperialista della Russia
Dopo un breve periodo - gli anni di Eltsin - in cui la Russia sembrava pronta a vendersi al miglior offerente, l’imperialismo russo, guidato dall’ex uomo del KGB Putin, ha cominciato a riaffermarsi, contando sulle sue uniche vere risorse: l’enorme macchina militare ereditata dal periodo della guerra fredda e le sue notevoli riserve energetiche, soprattutto di gas naturale, che potevano essere utilizzate per ricattare i paesi più dipendenti dall’energia. E anche se non poteva affrontare direttamente i suoi rivali imperialisti, poteva fare del suo meglio per peggiorare le divisioni tra loro, in particolare attraverso l'uso giudizioso della guerra cibernetica e della pirateria informatica. Un esempio ovvio sono stati i suoi sforzi per indebolire l’UE attraverso il sostegno alle forze populiste nel referendum sulla Brexit, in Francia, nell’Europa orientale e così via. Negli Stati Uniti, i suoi troll agendo sui social media hanno sostenuto la candidatura di Trump.
La rinascita imperialista della Russia è passata attraverso diverse tappe - sul piano interno, ponendo fine alla svendita di Eltsin e imponendo un controllo molto più stretto sull’economia nazionale, ma soprattutto attraverso azioni militari: in Cecenia, che dal 1999 agli anni 2000 è stata ridotta in macerie come monito contro futuri tentativi di secessione dalla Federazione Russa; in Georgia nel 2008, dove le forze russe sono intervenute a sostegno della secessione dell’Ossezia del Sud e per bloccare il passaggio della Georgia alla NATO; l’annessione della Crimea nel 2014, il culmine di una reazione russa alla “rivoluzione arancione” in Ucraina e l’emergere di un governo filo-occidentale che cercava l’adesione alla NATO; e ancora in Siria, dove le armi e le forze russe sono state decisive nell’impedire la caduta di Assad e la possibile perdita della base navale russa a Tartus. Negli anni '70 e '80, gli Stati Uniti erano in gran parte riusciti a scacciare l’influenza russa dal Medio Oriente (ad esempio in Egitto, Afghanistan...). Ora la Russia è tornata e sono gli USA che si sono ritirati. In molte di queste azioni militari la Russia ha goduto dell’appoggio aperto o tacito della Cina - non perché non ci siano divisioni imperialiste tra i due paesi, ma perché la Cina ha visto il beneficio di politiche che indeboliscono la presa degli USA.
L’offensiva imperialista dell’America non è finita
Tuttavia, nonostante la ripresa della Russia e le numerose battute d’arresto degli Stati Uniti, questi ultimi non hanno rinunciato a tutti i passi avanti fatti nei paesi confinanti con la Russia; per molti versi la vecchia politica di accerchiamento continua. L’espansione della NATO è stata la punta di diamante di questa politica, attirando Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Croazia, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Slovenia, la maggior parte dei quali erano precedentemente parte del blocco russo. Tutto questo è avvenuto negli ultimi due decenni. Quindi non sorprende che la Russia si senta minacciato dagli sforzi per attirare Georgia e Ucraina nella NATO. Una delle richieste chiave di Putin per “disinnescare” la crisi ucraina è la promessa che l’Ucraina non entri mai nella NATO e che le truppe straniere o le armi siano rimosse dai paesi che hanno aderito alla NATO dal 1997.
Oltre a ciò, gli Stati Uniti hanno anche dato il massimo sostegno a varie “rivoluzioni colorate”, in particolare in Ucraina, cercando di incanalare le proteste contro la miseria economica e i dispotici governanti filorussi a sostegno delle forze politiche pro-UE e pro-USA.
La Russia rimane quindi essenzialmente sulla difensiva in questa situazione. Tuttavia, Mosca sa anche che gli stessi Stati Uniti stanno affrontando grandi difficoltà, preoccupati dall’ascesa della Cina e ansiosi di non essere impegnati su troppi fronti allo stesso tempo, come chiaramente illustrato dall’umiliante ritiro dall’Afghanistan. È quindi un momento “buono” per Putin per agitare le sciabole che, come sempre, può aiutare a rafforzare la sua immagine di uomo forte in patria, soprattutto quando la sua popolarità è andata scemando sulla scia degli scandali di corruzione, delle politiche sempre più repressive contro i politici dell’opposizione e i giornalisti, e delle crescenti difficoltà economiche del paese.
Tutto ciò non significa che l’Ucraina sia la “parte innocente” all’interno di questo confronto militare. L’Ucraina tiene ogni anno esercitazioni militari congiunte con gli alleati della NATO ed è uno dei 26 paesi che partecipano a NATO’s Defender-Europe 2021, le operazioni militari guidate dall’esercito americano “per costruire prontezza e inter-operatività tra gli USA, la NATO e i partner militari” in tutta Europa (Vedi: “Defender-Europe 21 Fact Sheet”).
Kiev ha adottato misure per aggiornare i suoi equipaggiamenti e strutture militari per soddisfare i criteri di adesione alla NATO. Nel giugno 2020, l’Ucraina è diventata addirittura un “partner di opportunità rafforzata” della NATO, approfondendo la cooperazione con l’alleanza militare.
All’inizio del 2021 il ministro degli Esteri dell’Ucraina ha annunciato che il Consiglio di sicurezza e di difesa nazionali ha approvato una strategia volta a riprendere e reintegrare la Crimea nel paese. L’amministrazione Zelensky cerca la “piena sovranità ucraina” non solo sulla Crimea, ma anche sulla città portuale di Sebastopoli.
La guerra è lo stile di vita del capitalismo
Stiamo andando verso un conflitto diretto tra la Russia e gli Stati Uniti sull’Ucraina, persino una terza guerra mondiale, come suggeriscono alcuni dei rapporti più allarmistici?[2]
Né gli Stati Uniti né la Russia sono parte di un blocco militare stabile che sia disciplinato al punto di mobilitarsi per una guerra globale. E nessuno dei due ha interesse a uno scontro militare immediato e diretto. Nonostante le considerevoli risorse agricole e industriali[3] dell’Ucraina, invadere e annettere questo paese è stato paragonato al pitone che ha ingoiato una mucca per poi esplodere[4]: invaderla è una cosa, tenerla un’altra. E come abbiamo detto, l’America ha preoccupazioni più pressanti sul fronte imperialista, da cui l’avvertimento piuttosto inefficace di Biden che accadranno brutte cose se la Russia invade, e il suo impegno a colloqui diplomatici di alto livello.
Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che un conflitto a bassa intensità con le forze separatiste russe nell’est dell’Ucraina è continuato nonostante vari tentativi di cessate il fuoco. Anche se la Russia si ferma prima di una vera e propria invasione, potrebbe essere spinta ad aumentare il suo sostegno a tali forze separatiste, o a rosicchiare l’integrità dell’Ucraina come stato su altri fronti. E anche se l’ultima cosa che l’“occidente” vuole è intervenire militarmente sul territorio ucraino, non è del tutto impotente. Può continuare a fornire armi e addestramento all’esercito ucraino, e può anche rispondere con alcune misure economiche dannose per la Russia, come il blocco totale delle principali banche statali russe e delle agenzie di investimento, e nuove sanzioni per includere l’industria mineraria, i metalli, le spedizioni e le assicurazioni.[5]
La fase di decomposizione in cui il capitalismo mondiale è entrato trent’anni fa è segnata da caotici conflitti militari e da una crescente perdita di controllo da parte della classe dirigente. In precedenza, durante la guerra fredda, le grandi potenze planetarie tenevano sospesa la spada nucleare di Damocle sulla testa dell’umanità. Questa minaccia è ancora appesa lì in un mondo che non obbedisce più ai diktat di blocchi coerenti, e dove più paesi che mai sono armati con armi di distruzione di massa. Insomma, quali che siano i calcoli "razionali" dei giocatori della scacchiera imperialista, non si possono escludere scoppi improvvisi, escalation o tuffi nella distruttività irrazionale. La guerra rimane lo stile di vita di questo sistema decadente, e il fatto che le potenze siano pronte a giocarsi la vita dell’umanità e del pianeta stesso è già una ragione per condannare questo sistema e lottare per una comunità umana globale che ha consegnato gli Stati e le frontiere nazionali al museo delle antichità.
Amos
[1] Vedi ad esempio Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est [9] (Rivista Internazionale n°13).
[2] Il giornale di destra britannico The Daily Express è specializzato in questo tipo di allarmismo: World War 3 warning: Russia invasion to spark devastating global conflict – urgent alert | World | News | Express.co.uk [10].
[3] Vedi ad esempio l’articolo del gruppo bordighista Il Partito Comunista,: https://www.international-communist-party.org/CommLeft/CL36.htm#UkraineLeaf [11]
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Stiamo distribuendo questo volantino in tutti i paesi dove sono presenti le nostre forze militanti. Chiediamo a tutti i lettori di scaricare il pdf allegato e diffonderlo a loro volta come meglio possono. Vi invitiamo anche a scrivere al nostro indirizzo [email protected] [17] per farci conoscere commenti e riflessioni che questo volantino ha suscitato.
In tutti i paesi, in tutti i settori, la classe operaia vive una degradazione insopportabile delle condizioni di vita e di lavoro. Tutti i governi, di destra o di sinistra, tradizionali o populisti, attaccano senza sosta. Gli attacchi piovono sotto il peso dell'aggravarsi della crisi economica globale.
Nonostante la paura di una crisi sanitaria opprimente, la classe operaia comincia a rispondere. Negli ultimi mesi ci sono state lotte negli Stati Uniti, in Iran, Italia, Corea, Spagna e Francia. Certo, non si tratta di movimenti di massa: gli scioperi e le manifestazioni sono ancora troppo esili, troppo dispersi. Tuttavia la borghesia li sorveglia come il latte sul fuoco, consapevole della portata della rabbia che ribolle.
Come affrontare gli attacchi della borghesia? Rimanere isolati e divisi, ognuno nella “propria” impresa, nel proprio” settore di attività? Questo sicuramente ci rende impotenti! Allora come possiamo sviluppare una lotta unita e di massa?
I prezzi si stanno impennando, soprattutto per i beni di prima necessità: cibo, energia e trasporti. L'inflazione nel 2021 ha già superato quella registrata dopo la crisi finanziaria del 2008. Negli Stati Uniti stata del 6,8%, il livello più alto degli ultimi 40 anni. In Europa il costo dell'energia è salito del 26% negli ultimi mesi! Dietro queste cifre c’è la realtà di un numero crescente di persone che hanno difficoltà a nutrirsi, avere una casa, riscaldarsi e spostarsi. I prezzi mondiali delle derrate alimentari sono aumentati del 28%, minacciando direttamente di malnutrizione quasi un miliardo di persone nei paesi più poveri, soprattutto in Africa e in Asia.
L'aggravarsi della crisi economica globale significa una concorrenza sempre più feroce tra gli Stati. Per mantenere i profitti la risposta è sempre la stessa, dappertutto e in tutti i settori, nel privato e nel pubblico: riduzione degli effettivi, aumento dei ritmi di lavoro, tagli di bilancio, anche sul materiale necessario alla sicurezza dei salariati. A gennaio, in Francia, gli insegnanti sono scesi in piazza in massa per protestare contro le loro indegne condizioni di lavoro. Anche loro vivono nel quotidiano l'inferno capitalista per la mancanza di fondi e personale. Nelle manifestazioni appariva sugli striscioni un'idea profondamente giusta: “Quello che ci sta succedendo risale a molto prima del Covid!”
Il destino inflitto agli operatori sanitari lo mostra perfettamente. La pandemia ha solo messo in evidenza la carenza di medici, assistenti sanitari, infermieri, posti letto, maschere, camici, ossigeno... di tutto! Il caos e lo sfinimento che regnano negli ospedali dall'inizio della pandemia non sono altro che la conseguenza dei tagli fatti da tutti i governi, in tutti i paesi, per decenni. Tanto che l'OMS è costretta, nel suo ultimo rapporto, a lanciare l'allarme: “Più della metà dei bisogni sono insoddisfatti. C'è una carenza di 900.000 ostetriche e 6 milioni di infermieri in tutto il mondo. (…) Questa carenza preesistente è stata esacerbata con la pandemia e la pressione che grava su questa forza lavoro sovraccaricata di lavoro!”. In molti paesi poveri una gran parte della popolazione non ha neanche potuto accedere ai vaccini per la sola ragione che il capitalismo si basa sulla ricerca del profitto.
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La classe operaia non si riduce ai soli lavoratori dell'industria. Questa comprende l’insieme dei lavoratori salariati (dai precari ai dipendenti pubblici), i disoccupati, molti studenti, i pensionati...
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Quindi, sì, “quello che ci sta succedendo risale a molto prima del Covid!”! La pandemia è il prodotto del capitalismo moribondo di cui aggrava una crisi insormontabile. Questo sistema non solo ha dimostrato la sua impotenza e disorganizzazione di fronte a una pandemia che ha già fatto più di dieci milioni di morti, soprattutto tra gli sfruttati e i più poveri, ma continuerà a degradare le nostre condizioni di vita e di lavoro, continuerà a licenziare, a spremere, a precarizzare, a impoverire. Sotto il peso delle sue contraddizioni, continuerà ad essere coinvolto in guerre imperialiste senza fine, a provocare nuove catastrofi ecologiche - tutto ciò provocherà ulteriore caos, conflitti e pandemie ancora peggiori. Questo sistema di sfruttamento non ha altro da offrire all'umanità che sofferenza e povertà.
Solo la lotta della classe operaia offre un'altra prospettiva, quella del comunismo: una società senza classi, senza nazioni, senza guerre, dove ogni forma di oppressione è abolita. L'unica prospettiva è la rivoluzione comunista mondiale!
Nel 2020, in tutto il mondo, è caduta una coltre di piombo con ripetute chiusure, confinamenti, ricoveri d'urgenza e milioni di morti. Dopo la ripresa della combattività che si era espressa in diversi paesi durante il 2019, in particolare durante il movimento contro la riforma delle pensioni in Francia, le lotte dei lavoratori hanno subito una brusca frenata. Ma oggi, ancora una volta, la rabbia sale e la combattività ribolle:
- Negli Stati Uniti, una serie di scioperi ha colpito gruppi industriali come Kellog's, John Deere, PepsiCo, ma anche il settore sanitario e le cliniche private, come a New York.
- In Iran, quest'estate, i lavoratori di più di 70 siti del settore petrolifero hanno scioperato contro i bassi salari e l'alto costo della vita. Una cosa che non si vedeva da 42 anni!
- In Corea i sindacati hanno dovuto organizzare uno sciopero generale per la protezione sociale, contro la precarietà e la disuguaglianza.
- In Italia ci sono state molte giornate di azione contro i licenziamenti e la sparizione nel Recovery plan della proposta iniziale di introdurre un salario minimo.
- In Germania, il sindacato dei servizi pubblici si è sentito obbligato a minacciare scioperi per cercare di ottenere salari più alti di fronte alla crescente mobilitazione.
- In Spagna, a Cadice, i lavoratori metalmeccanici si sono mobilitati contro un taglio salariale di 200 euro al mese in media. I lavoratori del servizio pubblico in Catalogna hanno manifestato contro l'intollerabile ricorso a lavori temporanei (più di 300.000 lavoratori statali hanno lavori precari). Ci sono state lotte nelle ferrovie di Maiorca, alla Vestas, all'Unicaja, trai i metalmeccanici di Alicante, in vari ospedali, e ogni volta contro i licenziamenti.
- In Francia lo stesso malcontento è stato espresso attraverso scioperi e manifestazioni nel settore dei trasporti, tra i netturbini, i ferrovieri e gli insegnanti.
Tutte queste lotte sono importanti perché mostrano che la classe operaia non è pronta ad accettare tutti i sacrifici che la borghesia cerca di imporle. Ma dobbiamo anche riconoscere le debolezze della nostra classe. Tutte queste azioni sono controllate dai sindacati che, dappertutto, dividono e isolano i proletari intorno a richieste corporative, inquadrano e sabotano le lotte. A Cadice i sindacati hanno cercato di rinchiudere i lavoratori in lotta nella trappola localista di un “movimento cittadino” per “salvare Cadice” come se gli interessi della classe operaia risiedessero nella difesa degli interessi regionali o nazionali e non nel legame con le loro sorelle e fratelli di classe al di là dei settori e delle frontiere! I lavoratori hanno ancora difficoltà a organizzarsi, a prendere in mano l'organizzazione delle lotte, a raggrupparsi in assemblee generali sovrane, a lottare contro le divisioni imposte dai sindacati.
Un ulteriore pericolo minaccia la classe operaia, quello di rinunciare a difendere le sue rivendicazioni di classe unendosi a movimenti che non hanno nulla a che vedere con i suoi interessi e i suoi metodi di lotta. Lo abbiamo visto con i “gilet gialli” in Francia o, più recentemente, in Cina durante il crollo del gigante immobiliare Evergrande (un simbolo spettacolare del massiccio indebitamento della Cina), che ha provocato soprattutto le proteste dei piccoli proprietari rovinati. In Kazakistan, gli scioperi di massa nel settore dell'energia sono stati alla fine deviati in una rivolta “popolare” senza speranza, intrappolata nei conflitti tra cricche borghesi che aspirano al potere. Ogni volta che i lavoratori si diluiscono nel “popolo”, in quanto “cittadini” che chiedono allo Stato borghese di “cambiare le cose”, si condannano all'impotenza.
Per prepararci a combattere dobbiamo, ovunque possiamo, riunirci per discutere e imparare dalle lotte passate. È vitale lottare con gli strumenti che hanno reso forte la classe operaia e le hanno permesso, in certi momenti della sua storia, di far vacillare la borghesia e il suo sistema:
- la ricerca del sostegno e della solidarietà al di là della “propria” azienda, del “proprio” settore di attività, della “propria” città, della “propria” regione, del “proprio” paese;
- la più ampia discussione possibile sulle necessità della lotta, qualunque sia l'azienda, il settore di attività o il paese;
- l'organizzazione autonoma della lotta, in particolare attraverso assemblee generali, senza lasciare il controllo ai sindacati o a qualsiasi altro organo di controllo borghese.
L'autonomia della lotta, l'unità e la solidarietà sono le pietre miliari indispensabili per preparare le lotte di domani!
Corrente comunista internazionale, gennaio 2022
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Il movimento contro il CPE deve ispirare le nostre lotte future
Nel 2006, in Francia, la borghesia è stata costretta a fare marcia indietro e a ritirare il suo attacco di fronte a una lotta di massa che minacciava di estendersi ad altri settori.
All'epoca gli studenti, in quanto futuri lavoratori precari, erano in rivolta contro una riforma che introduceva un “Contratto di Premo Impiego”, sinonimo di lavoro sottopagato e sovra-sfruttato. Gli studenti rigettarono slogan specifici, riuscendo così ad impedire di venire isolati e divisi.
Contro i sindacati, aprirono le loro assemblee generali a tutte le categorie di lavoratori e ai pensionati. Capirono che dovevano proporre la lotta contro la precarietà dei giovani come simbolo della precarietà di tutti.
Questo movimento, manifestazione dopo manifestazione, seppe assumere un’ampiezza importante perché spinto dalla solidarietà tra settori e tra generazioni. Fu questa dinamica di unità e si massa che spaventò la borghesia e la costrinse a ritirare il CPE.
Dimostrazione di forza dell’esercito russo con “manovre” di grande portata lungo le frontiere ucraine da gennaio, annunci quasi giornalieri da parte degli Stati Uniti di una imminente invasione russa, invio di truppe della NATO nei paesi baltici e in Romania, intenso balletto diplomatico “per salvare la pace”, campagna mediatica russa per denunciare l’isteria occidentale e annuncio di un ritiro delle truppe, immediatamente smentita da Stati Uniti e NATO, scontri fra esercito ucraino e separatisti nel Donbass: in questo macabro sabba guerriero tra borghesie imperialiste le intenzioni sono diverse e complesse, legate alle ambizioni dei diversi protagonisti e all’irrazionalità che caratterizza il periodo di decomposizione. Il che rende la situazione più pericolosa e imprevedibile: ma quale che sia la soluzione concreta della “crisi ucraina”, questa implica fin da ora una intensificazione notevole della militarizzazione, delle tensioni guerriere e delle contraddizioni imperialiste in Europa.
1. Gli Stati Uniti all’offensiva con un presidente sotto pressione
L’isterica campagna degli Stati Uniti di denuncia di una imminente invasione russa dell’Ucraina fa seguito ad una campagna simile orchestrata dagli USA nell’autunno del 2021 circa “l’imminente invasione” di Taiwan da parte della Cina. Confrontata a un declino sistematico della leadership americana, l’amministrazione Biden porta avanti una politica imperialista che consiste, in continuità con l’orientamento iniziato da Trump, innanzitutto a concentrare i suoi mezzi economici, politici, ma anche militari contro il nemico principale, la Cina; in questo senso, la posizione intransigente rispetto ai russi rafforza il segnale dato a Pechino nell’autunno del 2021. In seguito, creando degli “hotspot » nel mondo, Biden persegue una politica di tensione volta a convincere le diverse potenze imperialiste in campo che esse hanno tutto l’interesse a mettersi sotto la protezione del padrino dominante. Questa politica si era scontrata con i limiti imposti dalla decomposizione e aveva raggiunto un successo relativo nel Pacifico con la creazione dell’AUKUS, che raggruppa solo i paesi anglofoni “bianchi” (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia), mentre il Giappone, la Corea del sud e l’India si sono tenuti a distanza. Questa stessa politica è ora indirizzata contro la Russia per ricondurre i paesi europei sotto l’obbedienza americana nel seno della NATO: la propaganda americana denuncia continuamente l’invasione russa precisando cinicamente che gli Stati Uniti non interverranno militarmente in Ucraina perché essi non hanno accordi di difesa con questo paese, contrariamente a quelli esistenti in seno alla NATO. Si tratta di un perfido messaggio indirizzato ai paesi europei. Se Boris Johnson si schiera, come in Asia, come fedele luogotenente degli Americani, il recente balletto diplomatico verso Mosca, orchestrato da Macron e Scholz, sottolinea come le borghesie tedesca e francese cercano con tutti i mezzi di preservare i loro particolari interessi imperialisti.
Allo stesso tempo Biden spera, con questa politica di scontro, di ridorare il suo blasone, fortemente offuscato dal ritiro delle forze americane dall’Afghanistan e dai ripetuti insuccessi dei suoi piani economici: “Il Presidente Joe Biden ha, dopo un anno in carica, il peggior indice di gradimento di quasi tutti i presidenti eletti, ad eccezione dell'ex presidente Donald Trump” (CNN politics, 6/06/2021) e di conseguenza “il suo partito si avvia, a novembre, verso una sconfitta alle elezioni di medio termine” (La Presse, Montreal, 23 gennaio 2022). In breve, se gli Stati Uniti sono all’offensiva, il margine di manovra del loro presidente è nondimeno ridotto a causa della sua impopolarità interna, ma anche per il fatto che, dopo le esperienze irachena e afgana, non è il caso oggi impegnare massicciamente truppe sul campo (boots on the ground). La presenza di truppe americane alle frontiere dell’Ucraina resta quindi piuttosto simbolica.
2. La Russia caduta in trappola e sulla difensiva
Da una decina d’anni noi abbiamo messo in evidenza che la Russia gioca un ruolo di “piantagrane” nel mondo, pur essendo un nano economico, grazie alla potenza delle sue forze armate e delle sue armi, eredità del periodo in cui essa era alla testa di un blocco imperialista. Questo non significa tuttavia che essa sia oggi globalmente all’offensiva. Al contrario, essa si ritrova in una situazione generale in cui subisce sempre più pressione lungo tutte le sue frontiere.
- In Asia centrale, con i Talebani al potere a Kabul, la minaccia mussulmana preme sui suoi alleati asiatici (Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan); tra il Mar Nero e il Caspio la Russia è in una guerra latente con la Georgia, dopo l’occupazione dell’Ossezia e dell’Abkhazia nel 2008, e cerca di mantenere lo status quo tra l’Armenia e l’Azerbaigian dopo la guerra nell’Alto-Karabakh del 2020, con il secondo paese fortemente corteggiato dalla Turchia. Infine, la recente destabilizzazione del Kazakistan costituisce un incubo per la Russia, perché questo paese occupa un posto centrale nella difesa del suo lato orientale.
- Sul versante europeo, l’Ucraina e la Bielorussia, che sono dei territori strategici del suo confine occidentale (la frontiera ucraina è a 450 chilometri da Mosca), sono sottoposti a forti pressioni in questi ultimi anni. La Russia sperava fortemente di conservarvi dei regimi a lei favorevoli, ma la Rivoluzione Arancione a Kiev del 2014 ha visto il paese inclinarsi verso l’Europa, e la stessa cosa ha rischiato di avvenire in Bielorussia nel 2020.
Attraverso l’occupazione della Crimea nel 2014 e il sostegno ai secessionisti russofoni nell’est dell’Ucraina (Donetsk e Lougansk), Putin sperava di conservare il controllo sull’insieme dell’Ucraina: “in effetti Putin contava sugli accordi di Minsk [struttura federale del paese con una grande autonomia delle regioni], firmati nel settembre 2014, per ottenere un diritto di controllo sulla politica ucraina attraverso l’intermediario delle repubbliche del Donbass Quello che è avvenuto è esattamente il contrario : non solo la loro applicazione è a un punto morto, ma in più il presidente Zelensky, la cui elezione nel 2019 aveva fatto sperare al Cremlino un riavvicinamento con Kiev, ha amplificato la politica di rottura con il “mondo russo” iniziato dal suo predecessore Pis, la cooperazione tecnico-militare tra l’Ucraina e la NATO continua a intensificarsi, mentre la Turchia, anch’essa membro dell’Alleanza, ha fornito dei droni di combattimento che fanno temere al Cremlino che Kiev possa essere tentato di riconquistare militarmente il Donbass. Quindi per Mosca si trattava di riprendere l’iniziativa, fin quando è ancora in tempo.” (Le Monde diplomatique, febbraio 2022, pag. 8).
Vedendo la tendenza degli Stati Uniti a polarizzarsi sempre più sulla Cina, Putin ha pensato che il momento fosse favorevole per accrescere la pressione sull’Ucraina e così “negoziare il suo posto sulla scena imperialista”; ha quindi iniziato una politica di “guerra ibrida”, fatta di diversi tipi di pressioni, basate sulle tensioni militari, sui cyberattacchi, sulle minacce economiche (il gas russo) e politiche (riconoscimento delle repubbliche secessioniste). Tuttavia l’offensiva politica e mediatica americana lo hanno preso in trappola: a forza di annunciare a voce alta una operazione militare di occupazione dell’Ucraina da parte della Russia, gli Stati Uniti fanno sì che ogni azione più limitata da parte della Russia sarà intesa come un passo indietro, provocandola quindi in qualche maniera ad impegnarsi in una rischiosa azione militare e probabilmente di lungo termine, laddove anche la popolazione russa non è pronta ad andare alla guerra e a vedere tornare numerose casse da morto. La borghesia russa lo sa perfettamente; così il politologo russo, esperto della politica internazionale della Russia, Fyodor Lukyanov, sottolinea che “attraversare la linea fra la dimostrazione di forza e la sua utilizzazione significa una transizione verso un altro livello di rischi e di conseguenze. Le società moderne non sono pronte a questo e i loro dirigenti lo sanno” (citato nel giornale belga De Morgen l’11.02.2022).
3. Crescita delle tensioni e della militarizzazione in Europa
Attualmente gli avvenimenti in Ucraina hanno un impatto molto importante sulla situazione in Europa, su un duplice piano:
innanzitutto, l’acutizzarsi delle confrontazioni imperialiste, la pressione americana e l’accentuazione del “ciascuno per sé” esercitano una pressione estremamente forte sul posizionamento dei diversi Stati europei. Le dichiarazioni intransigenti di Biden li obbligano a prendere posizione così da accentuare le distanze tra di loro, cosa che comporterà delle conseguenze profonde tanto per la NATO che per l’Unione Europea. Da un lato la Gran Bretagna, liberata dalla costrizione al consenso in seno alla UE, si posiziona come luogotenente fedele a fianco degli Stati Uniti: il suo ministro degli affari esteri ha definito come una “seconda Monaco”[1] i tentativi franco-tedeschi di trovare un compromesso. Diversi paesi dell’est europeo come la Romania, la Polonia o i Paesi baltici chiedono fermezza alla NATO e si pongono risolutamente sotto la protezione degli Stati Uniti. Dall’altro lato, la Francia o la Germania sono nettamente più esitanti e cercano di sviluppare i loro orientamenti rispetto al conflitto, come evidenziato dagli intensi negoziati di Macron e Scholz con Putin. Il conflitto mette in evidenza che interessi particolari di tipo economico, ma anche imperialista, spingono questi paesi a seguire una propria politica nei confronti della Russia, ed è precisamente questo l’obiettivo delle pressioni degli Stati Uniti.
Ad un livello più generale, con il confronto in Ucraina i rumori di guerra e la tendenza alla militarizzazione dell’economia sono destinati di nuovo a marcare il continente europeo, e questo ad un livello molto più profondo di quanto abbiamo potuto vedere al momento della guerra nella ex-Yugoslavia negli anni ’90 o anche al momento dell’occupazione della Crimea da parte della Russia nel 2014, visto l’approfondimento delle contraddizioni in un contesto di caos e di ciascuno per sé. Il posizionamento dei diversi paesi (in particolare della Germania e della Francia) in difesa dei loro interessi imperialisti non possono che accentuare le tensioni in seno all’Europa, aggravare ulteriormente il caos legato allo sviluppo del ciascuno per sé e aumentare l’imprevedibilità della situazione a breve e medio termine.
4. Quale prospettiva ?
Senza dubbio, nessuno dei protagonisti cerca di scatenare una guerra generale perché, da un lato, l’intensificazione del ciascuno per sé fa sì che le alleanze non siano affidabili e d’altra parte, e soprattutto, in alcuni dei paesi coinvolti la borghesia non ha le mani libere: gli Stati Uniti restano concentrati sul loro nemico principale, la Cina, e il presidente Biden, come Trump prima di lui, evita ad ogni costo di schierare truppe sul terreno (vedi il disimpegno delle truppe in Iraq e in Afghanistan e la delega sempre più frequente di compiti a dei “contractors” (milizie) privati); la Russia teme una guerra lunga e impegnativa che intaccherebbe la sua economia e la sua forza militare (la sindrome dell’Afghanistan) ed evita anch’essa di impegnare troppo fortemente le sue unità regolari, facendo fare il lavoro sporco ad aziende private (il gruppo Wagner). In più, la popolazione russa diffida profondamente dello Stato, come testimoniato della persistente difficoltà ad accrescere il tasso di vaccinazione. Infine, per l’Europa una tale prospettiva significherebbe un suicidio economico e la popolazione è profondamente contraria.
Il mancato scatenamento di una guerra totale e massiccia non significa tuttavia in nessun caso che non scoppieranno azioni guerriere; d’altra parte esse già si sviluppano per il momento in Ucraina attraverso la guerra “di bassa intensità” (sic!) con le milizie secessioniste di Kharkov e Lougansk. Le ambizioni imperialiste dei diversi imperialismi, coniugate all’accrescimento del ciascuno per sé e dell’irrazionalità legati alla decomposizione implicano irrimediabilmente una prospettiva di moltiplicazione di conflitti in Europa stessa, che rischiano di prendere una forma sempre più caotica e sanguinosa: moltiplicazione di conflitti “ibridi” (con la combinazione di pressioni militari, economiche e politiche), nuove ondate di rifugiati verso l’Europa occidentale, tensioni in seno alle borghesie, negli USA (vedi la “benevolenza” di Trump verso Putin) come in Europa (per esempio in Germania) e una perdita di controllo crescente di queste sul loro apparato politico (vedi le ondate populiste).
Contro l’odiosa campagna di nazionalismo, la Sinistra Comunista denuncia le menzogne imperialiste di ogni campo, che non servono se non gli interessi delle diverse borghesie, russa, americana, tedesca, francese, … o ucraina, e a trascinare gli operai in conflitti barbari. La classe operaia non ha patria, la lotta operaia contro lo sfruttamento capitalista è internazionale e rigetta ogni divisione basata sul sesso, sulla razza o su una base nazionale. Gli operai devono prendere coscienza che se essi non contrastano con le loro lotte l’acuirsi dei confronti fra briganti imperialisti, questi scontri si moltiplicheranno a tutti i livelli in un contesto di accentuazione del ciascuno per sé, della militarizzazione e dell’irrazionalità. In questa ottica lo sviluppo delle lotte operaie in particolare nei paesi centrali del capitalismo costituisce anche un’arma essenziale per opporsi all’estensione della barbarie guerriera.
18.02.2022 / R. Havanais
[1] Il riferimento è alla Conferenza di Monaco (detta anche accordo di Monaco) del 1938.
Durante il nostro ultimo incontro pubblico online (in lingua francese) del novembre 2021 che ha affrontato “l'aggravarsi della decomposizione del capitalismo, i suoi pericoli per l'umanità e la responsabilità del proletariato”, diversi partecipanti hanno messo in dubbio la validità del concetto di decomposizione del capitalismo, sviluppato e difeso dalla CCI. Con questo articolo desideriamo continuare il dibattito fornendo nuove risposte alle obiezioni espresse durante questo incontro.
Senza riprendere testualmente il contenuto dei vari interventi, le principali critiche formulate possono essere raggruppate in tre punti:
Prima critica: un'innovazione che non è nella tradizione marxista. “Dall'inizio del marxismo, nessuno prima della CCI aveva sviluppato una tale teoria della decomposizione del capitalismo, né la Lega dei Comunisti, né le tre Internazionali, né qualsiasi altra organizzazione, passata o presente, della Sinistra Comunista, e nessuno oltre la CCI vi aderisce oggi. Perché allora questa innovazione rispetto al marxismo quando il quadro della decadenza del capitalismo basta a spiegare la situazione attuale?”
Seconda critica: un approccio idealistico alla storia. “La CCI sostiene che la fase di decomposizione è il risultato di una situazione di stallo tra le classi fondamentali della società, consistente nell'impossibilità sia per la borghesia che per il proletariato di offrire la propria risposta alla crisi storica del capitalismo: guerra mondiale per l'una, rivoluzione mondiale per l'altro. In questa ottica, il proletariato sarebbe stato sufficientemente cosciente da impedire alla borghesia di scatenare la guerra mondiale, ma non abbastanza cosciente per porre la sua prospettiva di rivoluzione mondiale. Le difficoltà incontrate dal proletariato sarebbero ulteriormente aumentate in seguito alla campagna anticomunista scatenata durante il crollo dello stalinismo, portando il capitalismo a sprofondare in questa fase di decomposizione. Ma dare tanta importanza ai fattori soggettivi nel corso della storia non è un approccio idealistico alla storia?”
Terza critica: un approccio fenomenologico unito a una visione tautologica. “La CCI inizia con la stesura di un elenco di catastrofi che si verificano nel mondo e si basa su questo elenco per elaborare, adottando un approccio fenomenologico, la sua teoria della decomposizione del capitalismo; segue una visione tautologica del periodo attuale, dove la decomposizione è spiegata dagli eventi e dove gli eventi sono spiegati dalla decomposizione, cosa che alla fine non spiega nulla e non permette una comprensione globale della situazione”.
Il capitalismo, sia nella sua ascesa che nel suo declino, ha attraversato diverse fasi storiche distinte. È il caso, ad esempio, della fase imperialista, che inizia con l'ingresso del capitalismo nel suo periodo di decadenza. Fu affidandosi fermamente al metodo scientifico del marxismo che i rivoluzionari dell'epoca, tra cui Lenin e Luxemburg, poterono identificare questa nuova fase nella vita del capitalismo, quando il concetto stesso di imperialismo non era stato teorizzato da Marx e Engels.
In effetti, il marxismo, o il metodo del socialismo scientifico, non può in alcun modo essere fissato in un dogma invariante per cogliere una realtà sempre in movimento. Inoltre, Marx ed Engels stessi hanno sempre cercato di sviluppare, arricchire, anche rivedere se necessario, le posizioni che si sono rivelate insufficienti o superate, come illustra la loro prefazione alla riedizione tedesca del 1872 del Manifesto del Partito Comunista: “Come dichiara lo stesso Manifesto, l'applicazione pratica di questi principi dipende ovunque e sempre dalle condizioni storiche del momento […] Di fronte all'immenso progresso della grande industria negli ultimi venticinque anni e allo sviluppo parallelo dell'organizzazione partitica della classe operaia; di fronte alle esperienze pratiche, prima della rivoluzione di Febbraio poi e soprattutto della Comune di Parigi dove, per la prima volta, il proletariato ha potuto tenere in mano il potere politico per due mesi, questo programma ha perso, in alcuni punti, la sua attualità ”.
Questo era anche l'atteggiamento della Luxemburg quando si batteva contro la posizione difesa fino ad allora dal movimento operaio sulla questione nazionale: “Come disse e dimostrò molto chiaramente, difendere alla lettera, nel 1890, l'appoggio dato da Marx all'indipendenza della Polonia nel 1848, non era solo rifiutare di riconoscere che la realtà sociale era cambiata, ma anche trasformare lo stesso marxismo, rendere un metodo vivo per indagare la realtà un dogma quasi religioso inaridito”[1]. Possiamo anche citare tutto il lavoro critico svolto dalla Sinistra Comunista, a partire dagli anni '20, sui problemi inediti posti dalla degenerazione della Rivoluzione Russa e dall'Internazionale Comunista, in particolare sulla questione dello Stato nel periodo di transizione e il suo rapporto con la dittatura del proletariato.
Le reali “innovazioni” (si fa per dire) in relazione al marxismo sono, invece, rappresentate allo stesso tempo sia dalla teoria dell' “invarianza del marxismo dal 1848”, elaborata da Bordiga nel pieno della controrivoluzione, ripresa e sostenuta dai bordighisti del Partito Comunista Internazionale (PCI), e dall'atteggiamento equivoco dei Damenisti del Partito Comunista Internazionalista (PCIint) nei suoi confronti, che dal puro e semplice rifiuto dei bordighisti della nozione di decadenza del capitalismo, nonostante questo concetto sia presente fin dalle origini del materialismo storico![2]. Sono in effetti queste stesse “innovazioni” rispetto al marxismo che portano queste correnti della Sinistra comunista a rifiutare come non marxista il concetto di decomposizione del capitalismo.
Al tempo della decadenza del feudalesimo la borghesia, in quanto classe sfruttatrice in possesso dei propri mezzi di produzione e di scambio, poteva contare essenzialmente sul suo crescente potere economico nella società feudale, su cui si basava la coscienza alienata dei suoi interessi di classe, per riuscire finalmente a conquistare il potere politico. Nell'epoca della decadenza del capitalismo, il proletariato, in quanto classe sfruttata che non possiede niente altro che la sua forza lavoro, non può contare e fare affidamento su alcun potere economico nella società; per conquistare il potere politico non può che contare sullo sviluppo della sua coscienza di classe e della sua capacità di organizzazione, la cui maturazione costituisce di conseguenza un elemento essenziale del rapporto di forza tra le classi.
Dal momento che le condizioni oggettive per il rovesciamento del capitalismo e la sua sostituzione con il comunismo sono soddisfatte con l'ingresso del modo di produzione capitalistico nel suo periodo di decadenza, il futuro della rivoluzione comunista mondiale dipende esclusivamente dalle condizioni soggettive, dalla profondità e dall'ampiezza della maturazione della coscienza di classe del proletariato. Ecco perché è essenziale per la borghesia attaccare continuamente la coscienza della classe operaia.
Questo aspetto è particolarmente chiaro se si analizzano le vicende che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale. Nel luglio 1914 i blocchi imperialisti rivali erano pronti a confrontarsi militarmente. All’epoca per la borghesia resta una sola incertezza: l'atteggiamento della classe operaia nei confronti della guerra. Si lascerà trascinare, come carne da macello, dietro le bandiere nazionali? Questa incertezza cade il 4 agosto 1914 con il tradimento della socialdemocrazia che, incancrenita per anni dall' opportunismo, passa definitivamente nel campo della borghesia votando i crediti di guerra. Questo atto di tradimento fu una mazzata per il proletariato e il declino della sua coscienza di classe fu immediatamente sfruttato dalla borghesia per mobilitare i proletari nella prima guerra imperialista mondiale nel 1914, con il prezioso aiuto delle vecchie organizzazioni operaie da poco passate al nemico di classe: i partiti socialdemocratici e i sindacati. Fu il colpo alla coscienza di classe del proletariato a permettere infine alla borghesia di lanciarsi nella Prima Guerra mondiale nel 1914.
Fu anche la debolezza di questa stessa coscienza di classe negli anni '80, aggravata dal colpo inferto dalle campagne anticomuniste successive al crollo dello stalinismo, che ha impedito al proletariato di proporre con forza la prospettiva storica della rivoluzione comunista mondiale e che ha portato all'ingresso del capitalismo decadente nella sua fase di decomposizione; in altre parole, l'assenza di prospettiva per la classe operaia equivale attualmente a un'assenza di prospettiva per l'intera società. Tutto ciò illustra il carattere centrale e determinante dei fattori soggettivi nel periodo di decadenza del capitalismo per il futuro dell'umanità.
Inoltre, lungi dal costituire un approccio idealistico alla storia, l'importanza data ai fattori soggettivi nel cammino della storia costituisce un approccio autenticamente materialista dialettico. Secondo Marx, come per tutti i materialisti coerenti, la coscienza di classe è una forza materiale. La rivoluzione comunista è una rivoluzione in cui la coscienza gioca un ruolo centrale: “Il comunismo si differenzia da tutti i movimenti che l'hanno preceduto finora in quanto sconvolge le basi di tutti i precedenti rapporti di produzione e di scambio e, per la prima volta, affronta consapevolmente tutte le condizioni naturali fondamentali come creazioni di uomini che ci hanno preceduto finora, spogliandole del loro carattere naturale e sottoponendole al potere di individui uniti”[3].
Il declino della società feudale è stato caratterizzato dal verificarsi di elementi o fenomeni di decomposizione, di cui le atrocità e la disintegrazione morale che hanno segnato la Guerra dei Trent'anni sono un perfetto esempio. Detto questo, lo sprofondare del feudalesimo nella decadenza è andato di pari passo con lo sviluppo del capitalismo, il cui dinamismo economico ha impedito alla società nel suo insieme di sprofondare in una fase di decomposizione.
È del tutto diverso nella società capitalista decadente. Quest'ultima non vede crescere al suo interno una nuova classe sfruttatrice il cui crescente potere economico farebbe da contrappeso all'inevitabile sprofondare della società nella decadenza, non vede lo sviluppo al suo interno di un nuovo modo di produzione che porti alla sostituzione di quello vecchio. Come mai?
Perché la nuova società che deve emergere da quella vecchia, il comunismo, è il “movimento reale che abolisce lo stato presente”. Il comunismo può essere eretto solo sulla base della distruzione dei vecchi rapporti capitalistici di produzione. Finché questo “movimento che abolisce lo stato attuale” non è compiuto dalla classe portatrice di una nuova società, gli elementi di decomposizione che si accumulano e si amplificano con il progredire del periodo di decadenza non trovano nella società alcuna forza antagonista in grado di limitarne l’espressione. Senza un modo di produzione in grado di prendere il posto del capitalismo morente, la società finisce per marcire in piedi.
Armati di questo quadro generale per analizzare la decadenza del capitalismo abbiamo osservato i fenomeni che si sono verificati a partire dagli anni '80. Tuttavia, non li abbiamo osservati “in sé”, ma appoggiandoci saldamente sul metodo scientifico del marxismo. È questo approccio, e non un approccio fenomenologico alla situazione, che ha permesso di identificare la disgregazione del blocco orientale come la dissoluzione della politica dei blocchi, rendendo temporaneamente e materialmente impossibile la marcia del capitalismo verso un nuovo conflitto mondiale. Allo stesso modo è questo quadro che ci ha permesso di analizzare il crollo dello stalinismo come un fenomeno decisivo che ha segnato l'evoluzione durante gli anni '80 della fase di decomposizione del capitalismo, rafforzando nel contempo per il proletariato la sua responsabilità cruciale per il futuro stesso dell'umanità. Così facendo, abbiamo adottato lo stesso approccio dei rivoluzionari che hanno dovuto affrontare il fenomeno della Prima Guerra mondiale e lo hanno identificato come inizio di un'era “di guerre e rivoluzioni”, quando, come affermava Lenin, “l'epoca della borghesia progressista” aveva lasciato il posto “all'epoca della borghesia reazionaria”; in breve, dando inizio alla fase di decadenza del capitalismo[4].
Contrariamente alle obiezioni che ci sono state mosse, non è quindi tanto l'accumulo di fenomeni propri della decomposizione che porta alla nostra comprensione di questa fase finale della vita del capitalismo, ma fondamentalmente un'analisi storica del rapporto tra le due classi fondamentali della società. In questo, il nostro punto di partenza metodologico è coerente con il marxismo, fare affidamento sulla lotta di classe e sulle sue dinamiche, su ciò è il “motore della storia” e non sui semplici “fenomeni” accumulati dalle circostanze.
Questo approccio ci ha anche permesso di capire che la decomposizione del capitalismo “si autoalimenta”. Questo vale in particolare per il fenomeno della pandemia Covid-19, che è un prodotto della decomposizione del capitalismo (maggiore distruzione sia dell'ambiente naturale planetario che dei sistemi sanitari e di ricerca medica, “ciascuno per sé” generalizzato nel mondo della borghesia culminato nella “guerra delle mascherine” e nella “guerra dei vaccini”) ma anche fattore di accelerazione di questa stessa decomposizione (maggiore sprofondamento nella crisi economica, accelerata corsa a capofitto nell'indebitamento, aumento delle tensioni imperialiste)[5]. Questo approccio alla realtà non è quindi in alcun modo tautologico, ma adotta il rigore metodologico del materialismo dialettico.
Incoraggiamo i lettori a continuare la loro riflessione su questo argomento, in particolare leggendo il nostro articolo Comprendere la decomposizione del capitalismo: il marxismo alla base del concetto di decomposizione del capitalismo [22], pubblicato in diverse lingue nel n.117 nel nostro organo teorico, Rivista Internazionale. Ma anche a scriverci per continuare il dibattito.
DM, 29 dicembre 2021
[1] The national question 100 years after the Easter Rising [23], International Review n. 157, 2016 (anche in spagnolo e rancese alle pagine corrispondenti)
[2] 1 - The theory of decadence lies at the heart of historical materialism, part, International Review n. 118, 2004 (Idem)
[3] Marx, Engels, L'ideologia tedesca, 1846
[4] 4 - The theory of decadence at the heart of historical materialism [24], International Review n.121, 2005 (Idem)
[5] Vedi a tale proposito i numerosi articoli sulla pandemia Covid-19 sul nostro sito
La guerra imperialista torna a colpire l’Europa. I combattimenti infuriano in Ucraina. Questo conflitto su larga scala, che coinvolge una delle più importanti potenze imperialiste del pianeta, ci ricorda in maniera drammatica la vera natura del capitalismo: un sistema le cui contraddizioni portano inevitabilmente a scontri militari e al massacro di popolazioni. Naturalmente, tutti i belligeranti invitano i proletari a schierarsi con un campo imperialista in nome della “democrazia”, della “pace” o della “patria”. Ma poiché “i proletari non hanno patria”, come ci ricorda la storica parola d’ordine del movimento operaio, la classe operaia deve rifiutare ogni sacrificio che la borghesia voglia imporle. Torneremo molto presto su questa situazione attraverso la stampa e nelle nostre prossime riunioni pubbliche.
La guerra in Ucraina conferma pienamente il quadro di analisi della decomposizione e la realtà della sua accelerazione. Per questo invitiamo i nostri lettori a leggere o rileggere:
- Testo di orientamento Militarismo e decomposizione [26], un testo che abbiamo pubblicato nel 1991, dopo la dissoluzione dell’URSS.
- così come la " Risoluzione sulla situazione internazionale (2021) [5]" adottata dal 24° Congresso della CCI.
Di fronte ai gravi sviluppi della guerra imperialista in Ucraina, la CCI ha risposto con un volantino internazionale, IL CAPITALISMO È GUERRA, GUERRA AL CAPITALISMO! [27], denunciando la barbarie del conflitto e le bugie ipocrite della classe dominante in entrambi i campi, e insistendo sul fatto che lo sviluppo della lotta di classe in tutti i paesi è l’unica via d’uscita dall’incubo di questo sistema in putrefazione. Incoraggiamo tutti coloro che simpatizzano con le nostre posizioni a distribuirlo in giro, sia digitalmente che su carta.
In più, la CCI invita tutti i compagni e i lettori che lo vogliano, a partecipare a una Riunione Pubblica che si terrà
Sabato 12 marzo 2022 alle ore 17.00 via internet.
L'incontro si concentrerà sul significato di questo conflitto e sulle responsabilità delle minoranze internazionaliste. Se vuoi partecipare all'incontro e non hai ancora chiesto di essere coinvolto, scrivici al più presto a [email protected] [17] o inviando un messaggio nella Sezione Contatti del nostro sito. Ti invieremo i dati di accesso.
Corrente Comunista Internazionale
Continuiamo ad analizzare e a denunciare il sanguinoso conflitto in Ucraina, e le menzogne della borghesia volte a mobilitare la classe operaia a sostegno della guerra.
Se cerchi di fuggire con la tua famiglia dalle zone di guerra in Ucraina, come centinaia di migliaia di altre persone, sarai separato con la forza da tua moglie, dai tuoi figli e dai tuoi genitori se sei un uomo tra i 18 e i 60 anni: ora sei reclutato per combattere l'esercito russo che avanza. Se rimanete nelle città, sarete sottoposti a bombardamenti e missili, presumibilmente mirati a obiettivi militari, ma che comunque causano gli stessi “danni collaterali” di cui l'Occidente ha sentito parlare per la prima volta nella gloriosa guerra del Golfo del 1991: abitazioni, scuole e ospedali vengono distrutti e centinaia di civili vengono uccisi. Se sei un soldato russo, ti sarà stato detto che il popolo ucraino ti avrebbe accolto come un liberatore, ma pagherai con il tuo sangue per aver creduto a questa menzogna. Questa è la realtà della guerra imperialista di oggi e più va avanti, più morte e distruzione ci sono. Le forze armate russe hanno dimostrato di essere capaci di radere al suolo intere città, come hanno fatto in Cecenia e in Siria. Le armi occidentali che arrivano in Ucraina aumenteranno ulteriormente la devastazione.
In uno dei suoi recenti articoli sulla guerra in Ucraina, il giornale conservatore britannico The Daily Telegraph ha titolato: “Il mondo sta scivolando in una nuova epoca buia di povertà, irrazionalità e guerra [29]”. In altre parole, è sempre più difficile nascondere il fatto che stiamo vivendo in un sistema mondiale che sta affondando nella sua stessa decadenza. Che si tratti dell'impatto della pandemia globale da Covid, delle ultime allarmanti previsioni sul disastro ecologico del pianeta, della crescente povertà derivante dalla crisi economica, della minaccia fin troppo evidente dell'inasprimento dei conflitti imperialisti, o dell’ascesa di forze politiche e religiose alimentate da leggende apocalittiche e teorie del complotto un tempo marginali, il titolo del Telegraph è né più né meno che una descrizione della realtà, anche se i suoi editorialisti difficilmente cercano le radici di tutto questo nelle contraddizioni del capitalismo.
Dal crollo del blocco orientale e dell'URSS nel 1989-91, abbiamo sostenuto che questo sistema sociale globale, già obsoleto dall'inizio del XX secolo, stava entrando in una nuova e definitiva fase di declino. Contro la promessa che la fine della guerra fredda avrebbe portato ad un “nuovo ordine mondiale di pace e prosperità”, abbiamo insistito sul fatto che questa nuova fase sarebbe stata segnata da un crescente disordine e dall’escalation del militarismo. Le guerre nei Balcani all’inizio degli anni '90, la guerra del Golfo del 1991, l'invasione di Afghanistan, Iraq e Libia, la polverizzazione della Siria, le innumerevoli guerre nel continente africano, l'ascesa della Cina come potenza mondiale e la rinascita dell'imperialismo russo hanno confermato questa pronostico.
L'invasione russa dell'Ucraina segna una nuova tappa in questo processo in cui la fine del vecchio sistema dei blocchi ha dato luogo a una frenetica lotta di tutti contro tutti, dove le potenze precedentemente subordinate o indebolite rivendicano ora una nuova posizione nella gerarchia imperialista.
L'importanza di questo nuovo ciclo di guerra aperta sul continente europeo non può essere minimizzata. La guerra dei Balcani segnò già la tendenza del caos imperialista a tornare dalle regioni più periferiche verso i centri del sistema, ma si trattava di una guerra “all’interno” di uno Stato in disintegrazione, in cui il livello di confronto tra le grandi potenze imperialiste era molto meno diretto. Oggi stiamo assistendo a una guerra europea tra Stati e a un confronto molto più aperto tra la Russia e i suoi rivali occidentali. Se la pandemia Covid ha segnato un'accelerazione della decomposizione capitalista a diversi livelli (sociale, sanitario, ecologico, ecc.), il conflitto in Ucraina ci ricorda chiaramente che la guerra è diventata lo stile di vita del capitalismo nel suo periodo di decadenza, e che le tensioni e i conflitti militari si stanno diffondendo e intensificando su scala globale.
La velocità dell'offensiva russa in Ucraina ha colto di sorpresa molti esperti ben informati e noi stessi non eravamo certi che sarebbe stata così repentina e pesante[1] Non crediamo che questo sia dovuto a qualche difetto nel nostro quadro di analisi di base. Al contrario, derivava da una esitazione ad applicare pienamente questo quadro. Quadro che era già stato elaborato all'inizio degli anni '90 in alcuni testi di riferimento[2] dove si sosteneva che questa nuova fase di decadenza sarebbe stata caratterizzata da conflitti militari sempre più caotici, brutali e irrazionali. Irrazionali, cioè, anche dal punto di vista del capitalismo stesso[3]: mentre nella sua fase ascendente le guerre, soprattutto quelle che aprivano la strada all'espansione coloniale, portavano evidenti benefici economici ai vincitori, nel periodo della decadenza la guerra ha assunto una dinamica sempre più distruttiva e lo sviluppo di un'economia di guerra più o meno permanente ha costituito un enorme salasso per la produttività e i profitti del capitale. Tuttavia, anche fino alla seconda guerra mondiale, ci sono sempre stati dei “vincitori” alla fine del conflitto, soprattutto gli Stati Uniti e l'URSS. Ma nella fase attuale le guerre lanciate anche dalle nazioni più potenti del mondo si sono rivelate un fiasco sia militare che economico. L'umiliante ritiro degli Stati Uniti dall'Iraq e dall'Afghanistan ne è una chiara prova.
Nel nostro precedente articolo, abbiamo sottolineato che un'invasione o un'occupazione dell'Ucraina potrebbe far sprofondare la Russia in una nuova versione del pantano che ha incontrato in Afghanistan negli anni '80 e che è stato un potente fattore nel crollo della stessa URSS. Ci sono già dei segni che questa è la prospettiva alla quale è confrontata l’invasione dell'Ucraina, che ha incontrato una notevole resistenza armata ed è impopolare tra ampi strati della società russa, compreso in alcune parti della stessa classe dirigente. Il conflitto ha anche provocato una serie di sanzioni e ritorsioni da parte dei principali rivali della Russia, che non faranno che aggravare la miseria della maggioranza della popolazione russa. Allo stesso tempo, le potenze occidentali stanno alimentando il sostegno alle forze armate ucraine, sia sul piano ideologico che attraverso la fornitura di armi e consigli militari.
Nonostante le prevedibili conseguenze, le pressioni esercitate sull'imperialismo russo prima dell'invasione riducevano sempre di più la possibilità che la mobilitazione delle truppe intorno all'Ucraina fosse si limitasse ad una semplice dimostrazione di forza. In particolare, il rifiuto di escludere l'Ucraina da un'eventuale adesione alla NATO non poteva essere tollerato dal regime di Putin, e la sua invasione ha ora il chiaro obiettivo di distruggere gran parte delle infrastrutture militari dell'Ucraina e installare un governo filorusso. L'irrazionalità dell'intero progetto, legato a una visione quasi messianica della restaurazione del vecchio impero russo, e la forte possibilità che questo sfociasse prima o poi a un nuovo fiasco, non potevano affatto dissuadere Putin e il suo entourage dall’assumere il rischio.
A prima vista la Russia si trova ora di fronte a un “fronte unito” delle democrazie occidentali e a una NATO rinvigorita, in cui gli Stati Uniti hanno chiaramente un ruolo di primo piano. Gli Stati Uniti saranno i principali beneficiari della situazione se la Russia si impantanerà in una guerra impossibile da vincere in Ucraina e della maggiore coesione della NATO di fronte alla minaccia comune dell'espansionismo russo. Questa coesione è però fragile: fino all'invasione, Francia e Germania hanno cercato di giocare le proprie carte, insistendo sulla necessità di una soluzione diplomatica e tenendo colloqui separati con Putin. Lo scoppio delle ostilità li ha costretti a fare marcia indietro, accettando di attuare le sanzioni, anche se queste danneggiano le loro economie molto più direttamente di quanto non facciano per degli Stati Uniti (per esempio, la Germania deve rinunciare alle forniture energetiche russe, di cui ha un gran bisogno).
Ma l'Unione Europea tende anche a sviluppare le proprie forze armate, e la decisione della Germania di aumentare considerevolmente il suo budget di armi deve essere vista in questa luce. Bisogna anche ricordare che la stessa borghesia statunitense si trova di fronte a grandi divisioni rispetto all’atteggiamento nei confronti del potere russo: Biden e i democratici tendono a mantenere l'approccio tradizionalmente ostile alla Russia, ma gran parte del partito repubblicano ha un atteggiamento molto diverso. Trump, in particolare, non ha potuto nascondere la sua ammirazione per il “genio” di Putin quando è iniziata l'invasione...
Se siamo lontani dalla formazione di un nuovo blocco americano, l'avventura russa non ha certo marcato un passo verso la costituzione di un blocco sino-russo. Anche se recentemente si sono impegnati in esercitazioni militari congiunte, e nonostante le precedenti espressioni della Cina di sostegno alla Russia su questioni come la Siria, la Cina in questa occasione ha preso le distanze dalla Russia, astenendosi sul voto di condanna della Russia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e presentandosi come un “onesto mediatore” che chiede la cessazione delle ostilità. E si sa che nonostante gli interessi comuni di fronte agli Stati Uniti, Russia e Cina hanno le loro differenze, in particolare sulla questione del progetto cinese della “Nuova via della seta”. Dietro queste differenze c'è la paura della Russia di essere subordinata alle ambizioni espansionistiche della Cina.
Anche altri fattori di instabilità giocano in questa situazione, in particolare il ruolo giocato dalla Turchia, che ha in qualche misura corteggiato la Russia nei suoi sforzi per migliorare il suo status globale, ma che allo stesso tempo è entrata in conflitto con la Russia nella guerra tra l’Armenia e l’Azerbaijan e nella guerra civile in Libia. La Turchia ha ora minacciato di bloccare l'accesso delle navi da guerra russe al Mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli. Ma anche qui, l’azione sarà interamente calcolata sulla base degli interessi nazionali turchi.
Come abbiamo scritto nella nostra Risoluzione sulla situazione internazionale (2021) [5] del 24° Congresso della CCI, il fatto che le relazioni imperialiste internazionali siano ancora segnate da tendenze centrifughe “non significa che viviamo in un’era di più grande sicurezza rispetto all’epoca della guerra fredda, sottoposta alla minaccia di un Armageddon nucleare. Al contrario, se la fase di decomposizione è marcata da una perdita di controllo crescente da parte della borghesia, questo riguarda anche gli enormi mezzi di distruzione – nucleari, convenzionali, biologici e chimici – che sono stati accumulati dalla classe dirigente, e che sono ora più largamente distribuiti attraverso un numero di Stati-nazione molto più importante che in precedenza. Anche se non assistiamo a una marcia controllata verso una guerra condotta da blocchi militari disciplinati, non possiamo escludere il pericolo di fiammate militari unilaterali o anche di incidenti spaventosi che segnerebbero una nuova accelerazione allo scivolamento verso la barbarie”.
Di fronte a un'assordante campagna internazionale per isolare la Russia e a misure concrete per bloccare la sua strategia in Ucraina, Putin ha messo in allerta le sue difese nucleari. Forse, al momento, si tratta solo di una minaccia appena velata, ma gli sfruttati del mondo non possono permettersi di fidarsi della sola ragione di una parte della classe dirigente.
Per mobilitare la popolazione e soprattutto la classe operaia a favore della guerra, la classe dominante deve sferrare, insieme alle bombe ed ai proiettili d’artiglieria, anche un attacco ideologico. In Russia sembra che Putin si sia basato principalmente su grossolane menzogne sui “nazisti e drogati” che governano l'Ucraina, e non ha investito molto nella costruzione di un consenso nazionale intorno alla guerra. Questo potrebbe rivelarsi un errore di calcolo dato che ci sono voci di dissenso all'interno dei suoi stessi circoli dirigenti, tra gli intellettuali e in settori più ampi della società. Ci sono state diverse manifestazioni di strada e circa 6.000 persone sono state arrestate per aver protestato contro la guerra. Ci sono anche rapporti che parlano di demoralizzazione di alcune delle truppe inviate in Ucraina. Ma finora sembra non esserci segnali di un movimento contro la guerra sul terreno della classe operaia in Russia. Una classe che è stata tagliata fuori dalle sue tradizioni rivoluzionarie da decenni di stalinismo.
In Ucraina la situazione cui è confrontata la classe operaia è ancora più nera: di fronte all'orrore dell'invasione russa, la classe dominante è riuscita in larga misura a mobilitare la popolazione per la “difesa della patria”, con centinaia di migliaia di volontari che si sono offerti di resistere agli invasori con qualsiasi arma a disposizione. Non bisogna dimenticare che anche centinaia di migliaia di persone hanno scelto di fuggire dalle zone di combattimento, ma l'appello a combattere per gli ideali borghesi di democrazia e nazionalità è stato certamente sentito da interi settori del proletariato che si sono così diluiti nel “popolo” ucraino dove la realtà della divisione di classe è dimenticata. La maggior parte degli anarchici ucraini sembra fornire l'ala di estrema sinistra di questo fronte popolare.
La capacità delle classi dirigenti russa e ucraina di trascinare i “loro” lavoratori nella guerra dimostra che la classe operaia internazionale non è omogenea. La situazione è diversa nei principali paesi occidentali, dove da diversi decenni la borghesia è confrontata alla riluttanza della classe operaia (nonostante tutte le sue difficoltà e battute d'arresto) a sacrificarsi sull'altare della guerra imperialista. Di fronte all'atteggiamento sempre più bellicoso della Russia, la classe dirigente occidentale ha accuratamente evitato di inviare “uomini sul terreno” e rispondere all'avventura del Cremlino direttamente con la forza militare. Ma questo non significa che i nostri governanti accettino passivamente la situazione. Al contrario, stiamo assistendo alla campagna ideologica pro-guerra la più coordinata da decenni: la campagna di “solidarietà con l'Ucraina contro l'aggressione russa”. La stampa, sia di destra che di sinistra, pubblicizza e sostiene le manifestazioni pro-Ucraina, facendo della “resistenza ucraina” il portabandiera degli ideali democratici dell'Occidente, ora minacciati dal “pazzo del Cremlino”. E non nascondono che si dovranno fare dei sacrifici, non solo perché le sanzioni contro le forniture energetiche della Russia aggraveranno le pressioni inflazionistiche che già rendono difficile il riscaldamento delle case, ma anche perché, ci dicono, se vogliamo difendere la “democrazia”, dobbiamo aumentare le spese per la “difesa”.
Come ha detto questa settimana il principale commentatore politico del liberale Observer, Andrew Rawnsley “Dalla caduta del muro di Berlino e dal disarmo che ne è seguito, il Regno Unito e i suoi vicini hanno speso i ‘dividendi della pace’ principalmente per fornire alle popolazioni che invecchiano una migliore assistenza sanitaria e pensioni di cui altrimenti non avrebbero potuto godere. La riluttanza a spendere di più per la difesa è continuata, anche se la Cina e la Russia sono diventate sempre più bellicose. Solo un terzo dei 30 membri della NATO rispetta attualmente l'impegno di spendere il 2% del PIL per le loro forze armate. Germania, Italia e Spagna sono lontane da questo obiettivo.
Le democrazie liberali hanno urgente bisogno di ritrovare la volontà di difendere i loro valori contro la tirannia di cui hanno dato prova durante la guerra fredda. Gli autocrati di Mosca e Pechino credono che l'Occidente sia diviso, decadente e in declino. Bisogna dimostrare che hanno torto. Altrimenti, tutta la retorica sulla libertà non è che rumore prima della sconfitta”[4]. Non si potrebbe essere più espliciti: come disse Hitler, puoi avere armi o burro, ma non puoi avere entrambi.
In un momento in cui, in diversi paesi, la classe operaia dava segni di una nuova volontà di difendere le sue condizioni di vita e di lavoro[5], questa massiccia offensiva ideologica della classe dominante, questa chiamata al sacrificio in difesa della democrazia, sarà un duro colpo contro il potenziale sviluppo della coscienza di classe. Ma le prove crescenti che il capitalismo vive di guerra può anche, alla lunga, rappresentare un fattore favorevole alla presa di coscienza che tutto questo sistema, in Oriente come in Occidente, è effettivamente “decadente e in declino”, che i rapporti sociali capitalistici devono essere distrutti.
Di fronte all'attuale assalto ideologico, che trasforma la vera indignazione per l'orrore di cui siamo testimoni in Ucraina in un sostegno alla guerra imperialista, il compito delle minoranze operaie internazionaliste non sarà facile. Questo richiede innanzitutto una risposta a tutte le menzogne della classe dominante e un’insistenza sul fatto che, lungi dal sacrificarsi in difesa del capitalismo e dei suoi valori, la classe operaia deve lottare con le unghie e con i denti per difendere le proprie condizioni di lavoro e di vita. È attraverso lo sviluppo di queste lotte difensive, così come attraverso la riflessione più ampia possibile sull'esperienza delle lotte del proletariato, che la classe operaia potrà ricongiungersi alle lotte rivoluzionarie del passato, specialmente le lotte del 1917-18 che costrinsero la borghesia a porre fine alla Prima guerra mondiale. Questo è l'unico modo per combattere le guerre imperialiste e preparare la strada per liberare l'umanità dalla loro fonte originaria: l'ordine capitalista mondiale!
Amos, 1 marzo 2022.
[1] Crisi Russia-Ucraina: la guerra è lo stile di vita del capitalismo [30] e Ucraina: acutizzazione delle tensioni guerriere nell’Est Europa [31]
[2] Vedi in particolare, Militarismo e decomposizione [32]
[3] Questa irrazionalità di fondo di un sistema sociale senza futuro è naturalmente accompagnata da una crescente irrazionalità a livello ideologico e psicologico. L'attuale isteria sullo stato mentale di Putin è basata su una mezza verità, perché Putin è solo un esempio del tipo di leader che la decomposizione del capitalismo e la crescita del populismo hanno prodotto. I media hanno già dimenticato il caso di Donald Trump?
[4] Liberal democracies must defend their values and show Putin that the west isn’t weak [33] », The Guardian (27 febbraio 2022).
Introduzione della CCI
Pubblichiamo una dichiarazione sulla guerra in Ucraina del KRAS, un gruppo anarco-sindacalista legato alla IWA, International Workers’ Association (Associazione Internazionale dei Lavoratori). Sappiamo che, in Russia, qualsiasi protesta contro la guerra viene accolta con una feroce repressione da parte dello stato russo, quindi salutiamo il coraggio e la convinzione dei compagni del KRAS nel pubblicare questa dichiarazione, che è chiaramente internazionalista, denunciando entrambi i campi come imperialisti e chiamando la classe operaia alla lotta contro la guerra.
La nostra solidarietà con i compagni del KRAS non implica che siamo d’accordo con tutti i contenuti della dichiarazione, come ad esempio la richiesta di “una fine immediata delle ostilità”, che sembra essere una concessione all’idea che i due campi borghesi possano fare la pace. Anche se la Russia dovesse ritirarsi dall’invasione e dal bombardamento dell’Ucraina, non abbiamo dubbi che le ostilità continuerebbero a un livello inferiore, come hanno fatto negli ultimi 8 anni. A questo proposito, la dichiarazione del gruppo serbo anch’esso affiliato all’IWA, l’Anarcho-Syndicalist Initiative (Iniziativa Anarco-Sindacalista), è più chiara nel denunciare le illusioni pacifiste diffuse da parti della borghesia: “Di fronte agli orrori della guerra, è molto facile commettere un errore e far appello impotenti alla pace. Tuttavia, la pace capitalista non è pace. Tale “pace” è in realtà una guerra di marca diversa contro la classe operaia. In questa situazione, una posizione antimilitarista coerente implica fare sforzi diretti per fermare la guerra capitalista, ma allo stesso tempo prendere il controllo della situazione nel paese, e cambiare radicalmente il sistema socio-economico - cioè, è necessaria la guerra di classe organizzata” [1].
Dobbiamo anche sottolineare che questi due gruppi fanno parte di una rete anarchica internazionale che non è affatto omogenea nella sua reazione contro la guerra. Se, per esempio, si va alla pagina web della sezione britannica, la Solidarity Federation, non si trova, al momento in cui scriviamo, nulla sulla guerra, ma solo resoconti di dispute locali e altre attività. D’altra parte la dichiarazione sulla guerra della sezione francese, la CNT, se si oppone all’inumanità della guerra, non menziona affatto la necessità di una risposta sul terreno della classe operaia[2].
Il KRAS, al contrario, ha mostrato un percorso politico coerente di difesa delle posizioni proletarie e internazionaliste contro le azioni turpi della “propria” classe dirigente, come dimostrato da un certo numero di loro dichiarazioni in passato[3] che abbiamo riprodotto nella nostra stampa.
ICC 20 marzo 2022
KRAS-IWA contro la guerra
NO ALLA GUERRA! DICHIARAZIONE DELLA SEZIONE DELL’IWA NELLA REGIONE DELLA RUSSIA
La guerra è iniziata.
Ciò di cui la gente aveva paura, ciò che temeva, ciò a cui non voleva credere, ma che era inevitabile, è accaduto. Le élite al potere in Russia e Ucraina, istigate e provocate dal capitale mondiale, avide di potere e gonfie di miliardi rubati al popolo lavoratore, si sono unite in una battaglia mortale. La loro sete di profitto e di dominio viene ora pagata con il sangue dalla gente comune - proprio come noi.
Il primo colpo è stato sparato dal più forte, quello più predatore e arrogante dei banditi: il Cremlino. Ma, come sempre accade nei conflitti imperialisti, dietro la causa immediata si nasconde tutto un groviglio di ragioni disgustosamente puzzolenti: la lotta internazionale per i mercati del gas, e il desiderio delle autorità di tutti i paesi di distogliere l'attenzione della popolazione dalla tirannia delle dittature “sanitarie”, e la lotta delle classi dirigenti dei paesi dell’ex Unione Sovietica per la divisione e la ridistribuzione dello “spazio post-sovietico”, e contraddizioni più grandi e globali, e la lotta per il dominio mondiale tra la NATO, guidata dagli USA e la Cina, che sfida il vecchio egemone legando il “fratellino” del Cremlino al suo carro. Oggi queste contraddizioni danno luogo a guerre locali. Domani, minacciano di trasformarsi in una terza guerra imperialista mondiale.
Qualunque sia la retorica “umanitaria”, nazionalista, militarista, storica o altro che giustifichi l’attuale conflitto, dietro ci sono solo gli interessi di coloro che hanno il potere politico, economico e militare. A noi, lavoratori, pensionati, studenti, la guerra porta solo sofferenza, sangue e morte. I bombardamenti di città pacifiche, i cannoneggiamenti, l’uccisione di persone non hanno alcuna giustificazione.
Esigiamo la cessazione immediata delle ostilità e il ritiro di tutte le truppe ai confini e alle linee che esistevano prima dell'inizio della guerra.
Chiediamo ai soldati mandati a combattere di non spararsi l’un l’altro, e ancor più di non aprire il fuoco sulla popolazione civile.
Li esortiamo a rifiutare in massa di eseguire gli ordini criminali dei loro comandanti.
FERMATE QUESTA GUERRA!
BUTTATE I FUCILI A TERRA!
Invitiamo le persone nelle retrovie di entrambi i fronti, i lavoratori della Russia e dell’Ucraina, a non appoggiare questa guerra, a non fornire alcun aiuto - al contrario, a opporre resistenza con tutte le proprie forze!
Non andate in guerra!
Non un solo rublo, non una sola grivnia dalle nostre tasche per la guerra!
Sciopero contro questa guerra dove possibile!
Un giorno - quando avranno abbastanza forza - i lavoratori in Russia e Ucraina presenteranno il conto a tutti i presuntuosi politici e oligarchi che ci mettono l’uno contro l’altro.
Ricordiamo: NESSUNA GUERRA TRA I LAVORATORI DELLA RUSSIA E DELL’UCRAINA!
NESSUNA PACE TRA LE CLASSI!
PACE ALLE CASE - GUERRA AI PALAZZI!
Sezione dell’IWA, International Workers Association, nella Regione Russa.
26.2.22
KRAS-IWA against the War | International Workers Association (iwa-ait.org) [34]
[1] Let's turn capitalist wars into a workers' revolution! | International Workers Association (iwa-ait.org) [35]
[2] Peace in the cottages, War in the Palaces! | International Workers Association (iwa-ait.org) [36]
[3] Russia: An internationalist voice against the Chechen war | International Communist Current (internationalism.org) [37]
Volantino del KRAS (Russia) sulla guerra in Georgia [38]
Internationalist declaration from Russia | International Communist Current (internationalism.org) [40] (sulle tensioni Russia/Ucraina nel 2014)
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Nel pieno fragore del Primo conflitto mondiale, socialisti di entrambi gli schieramenti si riunirono a Zimmerwald e Kienthal per iniziare una lotta internazionale che ponesse fine al massacro. I rivoluzionari portarono avanti i principi dell'internazionalismo contro la guerra imperialista, rifiutando le illusioni pacifiste e opponendosi ai vari fronti dell’imperialismo.
Nel corso della Seconda guerra mondiale, questi principi internazionalisti furono difesi solo dalla corrente della Sinistra Comunista, l’unica ad opporsi attivamente a tutti gli schieramenti, incluso quello stalinista dell’imperialismo russo, contrastando sia le giustificazioni del massacro fasciste che quelle antifasciste.
Sulla scorta di quanto prodotto dalla generazione di Zimmerwald e dalla sinistra comunista nella sua storia risulta oggi fondamentale esprimere con una sola voce la denuncia della barbarie capitalista della guerra da parte delle varie organizzazioni internazionaliste, a partire da quelle che sono l’espressione dell’eredità della sinistra comunista. Il momento attuale, pur nelle sue differenze di epoca e di contesti, non è meno importante di quello che dette origine a Zimmerwald. Perciò proponiamo questo momento di discussione come momento di preparazione alla lotta, valutando reciprocamente come meglio utilizzare questo processo di azione comune per amalgamare, con le organizzazioni rivoluzionarie oggi aderenti, anche la disponibilità dei singoli compagni. Come ieri Zimmerwald ha dato luogo alla III Internazionale, noi oggi dobbiamo rispondere alle responsabilità del momento, che sono difendere e diffondere il più possibile i principi internazionalisti, più attuali che mai, nella consapevolezza di dover costruire l’organizzazione politica di classe intorno alla quale rilanciare la prospettiva della rivoluzione comunista del proletariato come unica strada per porre fine alla barbarie del sistema capitalistico, basato sullo sfruttamento della forza lavoro e causa della guerra imperialista.
L’incontro sarà tenuto via internet, e tutti coloro che vorranno partecipare sono invitati a inviare un messaggio a [email protected] [17] o ad [email protected] [43] per poter ricevere istruzioni sulle modalità tecniche per partecipare alla riunione.
Corrente Comunista Internazionale Istituto Onorato Damen
Carissimi compagni, abbiamo partecipato con molto entusiasmo alla Riunione Pubblica online del 4 maggio 2022 su: “La guerra imperialista in Ucraina e i compiti dei rivoluzionari”
A nostro avviso il percorso iniziato dalla vostra organizzazione, e che ha portato ad una dichiarazione comune sulla guerra in Ucraina di alcune organizzazioni della Sinistra Comunista Internazionale, crediamo sia il percorso più giusto e necessario e forse l’unico possibile in questo momento così drammatico e, a nostro avviso, molto pericoloso per la vita stessa del nostro pianeta che rende ancora più incerto e oscuro il futuro dell’umanità intera.
Non crediamo sia necessario soffermarci in questo momento ulteriormente sulla gravità di questa guerra, né sul perché alcune organizzazioni della Sinistra Comunista abbiano risposto in maniera negativa e/o abbiano preferito non aderire a questa iniziativa, adducendo pretesti che a nostro avviso denotano una scarsa comprensione della gravità di questa guerra e del vero attacco che questa guerra significa nei confronti della classe e di una sua possibile e auspicabile presa di coscienza, venendo meno alla tradizione del Movimento Operaio e della Sinistra Comunista che da Zimmerwald ebbe le sue origini.
Concordiamo pienamente sul fatto che in questo momento di tale gravità “i rivoluzionari non possono attendere il risveglio del proletariato, devono loro prendere l’iniziativa e assumere le loro responsabilità.”
La Conferenza di Zimmerwald ci ha insegnato che in un momento come questo è assolutamente necessario denunciare la guerra come espressione della barbarie del capitalismo, difendendo le posizioni internazionaliste, e affermare con forza che non sono gli appelli alla pace che fermeranno la guerra ma la risposta della classe alla barbarie capitalista attraverso la trasformazione della guerra imperialista in guerra di classe per il rovesciamento del sistema capitalista.
Vogliamo pertanto sottolineare con forza l’importanza di questa dichiarazione comune che non è certo “fare chiacchiere e non fatti”, anzi è proprio il contrario, è l’inizio di quel percorso necessario per avviare una discussione e un confronto “fattivo” fra rivoluzionari, che porti a sviluppare un’analisi la più lucida e chiara possibile degli avvenimenti in corso e che porti ad esprimerci con una sola voce contro questa guerra espressione avanzata della barbarie capitalista.
Pertanto aderiamo con grande convinzione alla dichiarazione comune e ci dichiariamo pronti a diffonderla il più possibile, auspicando un forte consenso ad essa e che rappresenti un primo momento di preparazione a lotte future.
Saluti comunisti
Corrado, Marta, N, PDP, Ra, Renato, Ro (7/5/2022)
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Cari compagni, se pur presente per vari motivi non mi è stato possibile intervenire direttamente nella interessante discussione durante la riunione pubblica online indetta da voi e dallo IOD. Ho intenzione quindi di recuperare ringraziandovi innanzitutto per aver preso l’importante iniziativa contro questo ennesimo macello imperialista in Ucraina, condivisa anche dalla Internationalist Voice e dall’International Communist Perspective (Korea), con la vostra Dichiarazione congiunta come gruppi appartenenti alla sinistra comunista internazionale.
Per quanto riguarda la riunione, vi dico subito che concordo pienamente con la vostra relazione introduttiva e vi faccio merito per lo sforzo e la capacità, nonostante le vostre divergenze, di essere stati in grado di parlare con una voce sola nel denunciare questa guerra, e soprattutto per aver ritenuto d’importanza primaria il riferimento alla conferenza di Zimmerwald.
In particolare mi riferisco ad uno dei suoi più importanti insegnamenti, e cioè a quello spirito unitario e non settario espresso da Lenin e dai bolscevichi che ha consentito loro, nel denunciare quella carneficina come guerra imperialista del capitalismo, di far conoscere le loro idee agli altri internazionalisti che proprio su quest’ultima e su quale indicazione dare contro di essa avevano le idee più confuse. Non mi dilungo sull’ulteriore importanza di tale conferenza perché è stata ben spiegata nella vostra relazione introduttiva e da altri interventi.
Inoltre volevo aggiungere che, a partire dalle giuste critiche che avete avanzato nei confronti delle altre organizzazioni appartenenti al campo politico proletario (in particolare le organizzazioni bordighiste e la TCI) relative al loro rifiuto alquanto fuori luogo, incongruente ed in netto contrasto proprio con lo spirito di Zimmerwal, ad aderire alla Dichiarazione congiunta, mi trovo in disaccordo con il compagno Joseph quando lui dice di procedere… “sulla strada che abbiamo iniziato fregandocene della posizione della TCI. La nostra capacità deve essere di definire e chiarire i dati della situazione storica e creare con questo il confronto, guardiamo avanti e non indietro…”
Sicuramente è vero che “…la nostra capacità deve essere di definire e chiarire i dati della situazione storica e di guardare avanti …” ma ciò non basta ad attuare un altro dei compiti principali delle attuali organizzazioni internazionaliste, che se non ho capito male è emerso proprio da questa riunione, e cioè quello di fare chiarezza oltre che fra noi anche verso quegli elementi proletari che pur esistono e che sono alla ricerca di una posizione di classe più coerente relativa a tale guerra. E questi elementi li troviamo anche vicino a questi gruppi proletari e possono, pertanto, essere confusi per esempio dal settarismo dei bordighisti, oppure dal prurito attivistico, velleitario e controproducente proprio della TCI con il suo appello alla costituzione di comitati contro la guerra. Pertanto criticare (cioè guardare indietro) la TCI e le altre organizzazioni, che sbagliando si sono defilate dal suddetto appello, è più che giusto perché significa dare a tali elementi una possibilità di essere investiti da queste critiche e magari di addivenire ad una riflessione più profonda sulle cause della stessa guerra e soprattutto di raggiungere una maggiore chiarezza su ciò che in questo momento è uno dei compiti principali dei rivoluzionari: il vero significato e la vera difesa dell’Internazionalismo proletario.
In effetti, prendendo atto che attualmente il proletariato internazionale come massa è sottoposto ad un riflusso così avanzato da ignorare qualsiasi appello all’internazionalismo, come giustamente sottolineato da alcuni interventi, il compito attuale dei rivoluzionari è quello di difenderlo con la schiena diritta in quanto principio basilare, anche se questo significa andare contro corrente con scarsissima audience sulla classe in generale. Ma andare controcorrente come ci ha insegnato Bilan significa proprio mettere in discussione con severità ed onestà senza alcuna concessione il proprio passato, i propri errori come condizione per prepararsi alle lotte che ci riserva il futuro. E queste polemiche esprimono proprio l’insegnamento di Bilan in quanto, non essendo affatto cose personali interne a queste organizzazioni come supponeva qualche partecipante, sono necessarie a portare più chiarezza nel campo politico proletario ed evitare magari a questi compagni in ricerca di cadere nelle trappole per esempio di uno sterile attivismo immediatista (come quello della TCI). E come si sa dalla storia del movimento operaio, i relativi ma effimeri successi immediati dopo un certo tempo si possono trasformare in clamorosi insuccessi che potrebbero aumentare la confusione e la demoralizzazione di questi compagni con il grave rischio di perderli definitivamente. Un lusso che attualmente ed a maggior ragione gli internazionalisti non possono permettersi.
Avrei altre cose da dire ma credo che forse saranno argomenti più appropriati per la prossima riunione.
Saluti comunisti, Ro (7/5/2022)
La guerra in Ucraina, che manifesta e acuisce la diffusione del caos alle porte dell’Europa, è un passo importante nell’accelerazione della barbarie verso cui ci sta portando il sistema capitalista. In effetti, noi assistiamo alla convergenza esplosiva delle varie contraddizioni del capitalismo sotto forma di disastri ecologici, di recrudescenza di pandemie, di inflazione galoppante, di guerre sempre più irrazionali, di esodi migratori che riguardano milioni di persone, della disgregazione crescente della società a tutti i livelli in nome del ciascuno per sé, con una destabilizzazione delle alleanze sul piano internazionale e una frammentazione politica e sociale sul piano interno, dove ogni tentativo capitalista di mantenere l’ordine costituisce un passo verso il disordine. Ma non è questa autodistruzione del capitalismo che ci porterà al comunismo, perché il proletariato ne sarebbe trascinato dentro, ma la sua distruzione rivoluzionaria portata avanti in maniera cosciente dal proletariato.
Per orientare fin da ora la maniera in cui dobbiamo preparare la risposta che la classe sarà capace di sviluppare, e darle una prospettiva, dobbiamo fare lo sforzo di capire la situazione. Vi sono due questioni che dobbiamo risolvere:
Per discutere e dare una risposta a questi – ed eventualmente ad altri quesiti che saranno posti – invitiamo i compagni interessati a partecipare alla:
Mercoledì 29 giugno 2022 ore 19.30
L’incontro sarà tenuto via internet, e tutti coloro che vorranno partecipare sono invitati a inviare un messaggio a [email protected] [17] per poter ricevere istruzioni sulle modalità tecniche per partecipare alla riunione.
Abbiamo pubblicato il nuovo numero di Rivoluzione Internazionale nella colonna a destra. Per motivi tecnici non appare in chiaro, ma cliccando sull'immagine si trova il sommario e si può aprire il file pdf.
In continuità con la Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra Comunista Internazionale sulla guerra in Ucraina, il 4 maggio scorso si è tenuta in Italia una riunione pubblica on line organizzata dalla CCI e dall’Istituto O. Damen (IOD) dal titolo “La guerra imperialista in Ucraina e i compiti dei rivoluzionari”. La discussione, che ha visto la partecipazione di un numero significativo di compagni, si è sviluppata a partire da una introduzione comune CCI-IOD e pienamente condivisa da Internationalist Voice, che ha anche partecipato alla riunione stessa attraverso un contributo al dibattito, e da International Communist Perspective (Korea). La stessa riunione pubblica, con la stessa introduzione, è stata organizzata anche in lingua inglese, spagnola e francese, coinvolgendo nel dibattito un gran numero di elementi da diversi paesi del mondo.
Tutte le riunioni hanno sostenuto la gravità della situazione storica attuale espressa dalla guerra imperialista in Ucraina e della responsabilità delle avanguardie rivoluzionarie di fronte ad essa, sostenendo pertanto sia la Dichiarazione congiunta che l’introduzione alla discussione. Un bilancio sull’importanza politica di queste riunioni e degli elementi centrali del dibattito sarà pubblicato in seguito.
Qui pubblichiamo l’introduzione fatta a queste riunioni e due contributi che dei nostri simpatizzanti ci hanno inviato come riflessione ulteriore a seguito della riunione del 4 maggio.
Salutiamo caldamente questi due contributi. Non solo per il loro contenuto, ma anche e soprattutto perché esprimono una consapevolezza dell’importanza del ruolo delle organizzazioni politiche del proletariato per la prospettiva rivoluzionaria ed al tempo stesso l’idea che la difesa dei principi e dei metodi propri del movimento operaio non possono essere delegati alle sole organizzazioni ma devono essere fatte proprie da ogni compagno che li condivide.
Introduzione
1. Gli orrori cui cercano di abituarci giorno dopo giorno con la guerra in Ucraina costituiscono la vera natura della società capitalista. Le migliaia di morti che si accumulano settimana dopo settimana, soprattutto tra civili inermi oltre che tra giovani russi e ucraini mandati ad ammazzarsi sotto l’imposizione delle leggi marziale, intere città completamente distrutte da un dispiegamento di armi di primo ordine, milioni di profughi di donne, bambini e anziani alla ricerca di un rifugio, spesso colpiti essi stessi nella fuga o bloccati affamati e senza risorse in scantinati bui. Il capitalismo mostra così, ancora una volta, il suo vero volto, un volto di morte e distruzione che appartiene a tutti i paesi, grandi e piccoli, cosiddetti aggressori e aggrediti.
2. Per trascinare i proletari nell’atmosfera di guerra la propaganda occidentale non esita a battere sulla questione della difesa del popolo aggredito dall’invasore. Non passa giorno che Zelensky non compaia in televisione per chiedere nuove armi per difendersi. Cambiano le guerre, i tempi, ma la borghesia non rinuncia mai a far passare i suoi interessi per quelli di tutto il popolo, le sue guerre come guerre di difesa nazionale. L’ha fatto nella II guerra mondiale chiamando alla lotta partigiana contro il fascismo e il nazismo, l’aveva già fatto nella I guerra mondiale quando ogni singolo paese belligerante dichiarava di essere l’aggredito e che occorreva rispondere all’aggressore. Oggi il copione si ripete immutato. Quelle stesse potenze che cercano di presentarsi come i difensori dell’Ucraina aggredita, USA e paesi europei principalmente, sono essi stessi degli aggressori provocando la Russia con la sottrazione alla sua influenza dei vari paesi della ex-area sovietica e la loro annessione nella NATO, alleanza prettamente militare. Lo stesso stato ucraino non smette di pretendere la carneficina di migliaia di uomini costretti a non lasciare il paese per servire la patria, ovvero gli interessi dell’imperialismo ucraino.
3. La gravità di questa guerra, che riporta il conflitto in piena Europa coinvolgendo direttamente Russia e Ucraina, i due più grandi paesi del continente, e con alle spalle immediatamente la NATO e gli USA e sullo sfondo la Cina, con in più il rischio di incidenti nucleari o finanche dell’uso di armi nucleari, non ha certo bisogno di essere spiegata. D’altra parte la situazione si presenta particolarmente delicata per il proletariato che in questa fase si ritrova stordito dagli avvenimenti e finanche con una certa difficoltà a riconoscersi come classe sociale sfruttata da questo sistema. Di fronte a questo scenario i rivoluzionari non possono attendere il risveglio del proletariato, devono loro prendere l’iniziativa e assumere le loro responsabilità. Ma quali sono oggi i compiti delle avanguardie rivoluzionarie? Per rispondere dobbiamo guardare all’indietro nella storia del Movimento Operaio.
4. E naturalmente il riferimento più immediato non può che essere Zimmerwald. Quello che ha animato i partecipanti alla Conferenza di Zimmerwald del settembre 1915 è la denuncia della guerra come un’espressione della barbarie del capitalismo, smascherando e denunciando le posizioni difensive dell’uno o dell’altro campo in lotta, senza cadere nella trappola di difendere l’uno o l’altro. Non sono gli appelli alla pace rivolti ai potenti del mondo che potranno fermare la guerra, ma la risposta della classe alla barbarie capitalista attraverso la trasformazione della guerra imperialista in guerra di classe per rovesciare il sistema, come rivendicato già nel VII Congresso della II Internazionale a Stoccarda nel 1907 sia da Lenin che dalla Luxemburg. Questo spirito di unirsi sui principi malgrado le divergenze nell’analisi permetterà appunto a Zimmerwald di diventare il riferimento che è oggi per noi rivoluzionari. E proprio a proposito di Zimmerwald lo stesso Lenin, noto per la sua intransigenza, sviluppava le seguenti considerazioni a proposito del Manifesto di Zimmerwald subito dopo la Conferenza:
“Il nostro Comitato centrale doveva firmare questo manifesto timoroso e inconseguente? Noi pensiamo di sì (…). Noi non abbiamo nascosto le nostre opinioni, le nostre parole d’ordine, la nostra tattica. (…). Abbiamo diffuso, stiamo diffondendo e continueremo a diffondere le nostre opinioni con la stessa energia con cui lo farà il manifesto. È un fatto che questo manifesto è un passo avanti verso una vera lotta contro l'opportunismo, verso una rottura con esso. Sarebbe settario rifiutarsi di fare questo passo avanti insieme alla minoranza dei socialisti tedeschi, francesi, svedesi, norvegesi e svizzeri, quando abbiamo piena libertà e piena possibilità di criticare l'incoerenza e di lavorare per cose più grandi. Sarebbe una cattiva tattica di guerra rifiutarsi di aderire al crescente movimento internazionale di protesta contro il social-sciovinismo solo perché questo movimento è lento, perché fa "solo" un passo avanti e perché è pronto e disposto a fare un passo indietro domani e fare la pace con il vecchio Ufficio Socialista Internazionale.”[1]
Come si vede da questo passaggio di Lenin, le divergenze tra i rivoluzionari dell’epoca non hanno mai impedito di prendere delle posizioni in comune, pur proseguendo nella polemica reciproca. Nell’aprile del 1915 Rosa Luxemburg scrive Junius brochure e Lenin nel 1916 polemizza con Rosa con L’imperialismo, fase suprema del capitalismo. Pertanto, una dichiarazione in comune non è né il sostituto né un impedimento a una discussione e un confronto tra rivoluzionari, può essere piuttosto uno stimolo.
5. Dunque, rispetto alla situazione attuale, che compiti hanno oggi i rivoluzionari? Noi pensiamo che, sulla traccia di quanto prodotto dalle precedenti generazioni di rivoluzionari, un primo compito sia sviluppare un’analisi la più lucida possibile degli avvenimenti in corso, confrontandosi e polemizzando con altre posizioni presenti nel campo rivoluzionario per promuovere la massima chiarezza di cui ha bisogno il proletariato in questo momento. Ma che un secondo compito, non secondario rispetto al primo enunciato, sia quello di esprimere con una sola voce la denuncia della barbarie capitalista della guerra da parte delle varie organizzazioni internazionaliste, a partire da quelle che sono l’espressione dell’eredità della sinistra comunista. In questo senso la CCI ha promosso un appello a tali organizzazioni per redigere una dichiarazione congiunta di condanna della guerra[2], per dire quale è la posizione del proletariato di fronte alla situazione attuale, per affermare la necessità di difendere l'internazionalismo di fronte alla guerra imperialista. Come sapete questa dichiarazione è stata sottoscritta per il momento da altre tre organizzazioni a livello mondiale: l’Istituto Onorato Damen, Internationalist Voice e International Communist Perspective (Corea). Per quanto ridotto sia il numero di gruppi che hanno sottoscritto la dichiarazione contro la guerra, non deve sfuggire l’enorme importanza che questa assume per il futuro della lotta di classe. Nel caso del Manifesto di Zimmerwald, indirizzato ai proletari di tutta l’Europa e adottato all’unanimità dai socialisti di dodici paesi, questo ebbe un notevole impatto sugli operai e sui soldati. Tradotto e diffuso in diverse lingue, per lo più sotto forma di volantini e opuscoli clandestini, il Manifesto apparve come una protesta vivente degli internazionalisti contro la barbarie. Di fronte alla gravità della situazione, le ambiguità contenute nel Manifesto passarono in secondo piano nella mente dei lavoratori che videro in esso la prima manifestazione dell'internazionalismo. Noi dobbiamo dunque difendere e rafforzare questa Dichiarazione comune che è solo il primo atto, il primo nucleo di attività intorno al quale progressivamente sarà possibile aggregare altre forze rivoluzionarie nella chiarezza delle reciproche posizioni verso la costruzione del futuro partito.
6. Occorre anche segnalare che, se le organizzazioni che hanno risposto positivamente sono solo 3, è perché altre o non hanno risposto (PCI - Le Proletaire e PCI - Il Partito) o hanno risposto negativamente (PCI - Il Programma e la TCI). In particolare, mentre Il Programma ha declinato l’invito dicendo che:
“non è il momento delle chiacchiere, ma di mettere in pratica le immutate e immutabili direttive della preparazione rivoluzionaria”
la TCI ha dato la seguente risposta:
“In passato abbiamo sempre trovato che le nostre prospettive sono completamente diverse e rendono impossibile qualsiasi dichiarazione congiunta più profonda e questo è diventato ancora più pronunciato nel tempo. Così, anche se non siamo in linea di principio contrari ad una qualche forma di dichiarazione congiunta, potremmo trovare gli stessi vecchi problemi.”
Per aggiungere poco dopo: “… può darsi che sia anche necessario guardare oltre la “sinistra comunista” (che nonostante la nostra recente crescita rimane tristemente piccola) ma a coloro che condividono la nostra prospettiva di classe se non la nostra precisa politica. Lo slogan "NO War But the Class War" non solo pone questa domanda agli altri gruppi politici ma li avvicina ulteriormente alla prospettiva della sinistra comunista.”[3]
7. Di fatto il rifiuto della TCI va di pari passo con l’adesione a iniziative di base che non corrispondono, a nostro avviso, alle esigenze del momento. Noi pensiamo che questi gruppi, rifiutando di aderire all’appello per una iniziativa comune tra le forze della sinistra comunista, vengano meno alla tradizione del Movimento Operaio e specificamente della Sinistra Comunista che proprio da Zimmerwald ebbe le sue origini. Noi proponiamo dunque che la discussione si focalizzi in particolare su questa iniziativa della Dichiarazione comune e di ciò che essa comporta e che la discussione stessa sia un momento di preparazione alla lotta, valutando reciprocamente come meglio utilizzare questo processo di azione comune per amalgamare, con le organizzazioni rivoluzionarie oggi aderenti, anche la disponibilità dei singoli compagni.
Corrente Comunista Internazionale Istituto Onorato Damen
[1] Lenin, Il primo passo, 11 ottobre 1915 https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1915/oct/11.htm [46]
A seguito della pubblicazione della Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra Comunista Internazionale sulla guerra in Ucraina [47] Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra Comunista (Corrente Comunista Internazionale, Internationalist Voice e Istituto Onorato Damen)[1], sono stati organizzati da questi gruppi due incontri pubblici online, uno in italiano e uno in inglese, per discutere e chiarire la necessità della Dichiarazione congiunta e i compiti dei rivoluzionari di fronte alla guerra imperialista e alle nuove condizioni mondiali. Gli incontri si sono svolti in un'atmosfera seria e cordiale; le differenze di opinione non hanno impedito il cameratismo e la vivacità della discussione. Il significato della Dichiarazione congiunta sta nel fatto che questa ricalca lo spirito della Conferenza di Zimmerwald del 1915, dove i rivoluzionari riuscirono a redigere una dichiarazione internazionalista congiunta di fronte alla Prima Guerra Mondiale. Negli anni Trenta, invece, i comunisti di sinistra italiani e olandesi si opposero alla guerra di Spagna, ma non riuscirono a redigere una dichiarazione congiunta. Allo stesso modo, durante la guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale e la guerra di Corea, i comunisti internazionalisti non riuscirono a pubblicare una dichiarazione congiunta. È innegabile che oggi i gruppi della sinistra comunista non hanno l'influenza che avevano i rivoluzionari nel 1915. Tuttavia, una voce comune è necessaria, non per le sue conseguenze immediate, ma per la prospettiva delle battaglie future. Non è possibile rispecchiare le discussioni di entrambe le sessioni in un breve articolo, ma vogliamo dare una sintesi dei temi discussi.
Nell'incontro in lingua italiana, tutti i partecipanti, senza eccezioni, hanno valutato la natura della guerra come imperialista e hanno sottolineato la necessità di difendere l'internazionalismo, cioè di non sostenere nessuno degli schieramenti imperialisti. Rifiutando ogni illusione pacifista, hanno visto nella classe operaia e nella lotta di classe l'unica forza in grado di opporsi alla guerra. I partecipanti, senza eccezioni, hanno sottolineato l'importanza della Dichiarazione congiunta. I partecipanti ritengono che, sebbene la situazione odierna non sia paragonabile a quella del 1915 e i rivoluzionari non abbiano l'influenza che avevano sulla classe operaia nel 1915, lo spirito della conferenza di Zimmerwald, come una bussola, è ancora valido oggi. La conferenza di Zimmerwald è un riferimento per i rivoluzionari, a cui fanno riferimento nella loro lotta contro la guerra imperialista. Solo un partecipante ha dichiarato non valido il riferimento alla conferenza di Zimmerwald, sostenendo che le correnti che hanno firmato la dichiarazione congiunta non hanno l'influenza di Lenin o della Luxemburg sulla classe operaia. Altri hanno risposto che l'importanza di una dichiarazione congiunta risiede nel fatto di poter esprimere con una sola voce le posizioni internazionaliste, cosa che in precedenza le correnti della sinistra comunista non erano state in grado di esprimere di fronte alla guerra.
Il fatto che altri gruppi della sinistra comunista si siano rifiutati di firmare la dichiarazione congiunta riflette la debolezza dell'ambiente politico proletario. La maggioranza dei partecipanti ha deplorato il rifiuto di altri gruppi della sinistra comunista di fare riferimento a Lenin sulla necessità di una risposta comune nonostante le differenze teoriche. A Zimmerwald, i partecipanti avevano differenze di opinione e di analisi, ma questo non ha impedito loro di fare una dichiarazione comune. La maggioranza dei partecipanti non ha condiviso le ragioni addotte dalla Tendenza Comunista Internazionalista[2] per non firmare la dichiarazione congiunta. Mentre alcuni partecipanti hanno parlato di continuare la discussione con la TCI per incoraggiarla a firmare la dichiarazione congiunta o, almeno, a sviluppare un'azione comune con loro, altri hanno sottolineato che dovremmo evitare di entrare in discussioni polemiche e andare avanti senza prestare attenzione agli altri. In ogni caso, tutti i partecipanti all'incontro hanno condiviso l'opinione che la proposta No War But the Class War elaborata dalla TCI rappresenti un enorme passo indietro rispetto alla propria tradizione politica, delegando di fatto alla classe operaia in generale le funzioni che dovrebbero invece svolgere le avanguardie rivoluzionarie.
I partecipanti hanno sottolineato che non è possibile combattere la guerra senza combattere il capitalismo. Dopo la guerra, l'inflazione è aumentata non solo nella periferia del capitalismo, ma anche nei centri metropolitani, e quindi il costo della vita per il proletariato è aumentato, il che significa che il tenore di vita della classe operaia è diminuito. Le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, con lo scoppio della guerra imperialista in corso, sono destinate a peggiorare e potrebbero indurre, in un futuro più o meno prossimo, il proletariato a reagire ai continui attacchi lanciati dal capitale.
Un altro punto di discussione ha sottolineato che la lotta del proletariato può svilupparsi in una direzione rivoluzionaria solo se si basa sulla continuità storica delle posizioni della sinistra comunista. Naturalmente, ciò non significa che solo i gruppi di sinistra comunista possano sostenere queste posizioni, ma che esse devono servire come punto di riferimento per indicare la strada da seguire. Durante la discussione si è convenuto che è compito dei rivoluzionari lavorare per costruire il futuro partito internazionale e internazionalista del proletariato, senza il quale tutte le eventuali lotte della classe operaia saranno inevitabilmente destinate alla sconfitta. E questa è la prospettiva della dichiarazione contro la guerra imperialista firmata dai vari gruppi aderenti.
Nella sessione in lingua inglese (alla quale i compagni dello IOD non hanno potuto partecipare), come in quella in lingua italiana, i partecipanti hanno identificato in modo inequivocabile la natura della guerra come imperialista e, rigettando ogni illusione pacifica, hanno individuato nella classe operaia e nella lotta di classe l'unica forza in grado di contrastare la guerra. Durante l'incontro, ad eccezione del delegato della TCI/CWO, i partecipanti hanno sottolineato l’importanza della Dichiarazione congiunta. Un partecipante ha dichiarato che, sebbene non fosse pienamente d'accordo con la Dichiarazione congiunta, la sosteneva comunque. Come nella riunione in lingua italiana, i partecipanti, ad eccezione del delegato della TCI/CWO, hanno anche affermato che, sebbene la situazione odierna non sia paragonabile a quella del 1915 e che i rivoluzionari non abbiano l'influenza che avevano nella classe operaia nel 1915, lo spirito della Conferenza di Zimmerwald deve fungere da bussola, valida ancora oggi, un punto di riferimento per i rivoluzionari nella lotta contro la guerra imperialista.
Durante l'incontro, il delegato della TCI/CWO ha avuto l'opportunità di esporre le ragioni del suo gruppo per rifiutare di firmare la dichiarazione congiunta. Ha esposto tali ragioni, ma le sue argomentazioni non solo non hanno convinto il pubblico, ma hanno anche alimentato ulteriori discussioni. Il rappresentante della TCI/CWO ha affermato che la mancata firma della dichiarazione non è una questione di principio, ma che la TCI/CWO riteneva che i criteri per coloro che dovrebbero firmare fossero troppo ristretti. Secondo il compagno, si vuole mettere assieme quelli che sono d'accordo con l'iniziativa No War but the Class War. Invece, firmando la Dichiarazione congiunta, la TCI approverebbe implicitamente il punto di vista della CCI sul parassitismo. La TCI lavora con Controverses e il Gruppo Internazionale della Sinistra Comunista, mentre la CCI non lo fa; la CCI ha etichettato compagni che hanno lottato per anni come parassiti. Forse la TCI può farli rientrare nella Sinistra Comunista attraverso il NWBCW.
Diversi partecipanti, ex membri della CCI, hanno respinto l’affermazione del rappresentante della TCI/CWO secondo cui ogni militante che lascia la CCI viene etichettato come parassita, affermando di non essere mai stati privati di qualunque attività e che i compagni della CCI sono sempre molto aperti alla discussione e alla solidarietà. Hanno sottolineato che il problema del parassitismo è legato a comportamenti non proletari.
Alcuni partecipanti sono intervenuti criticando l'iniziativa NWBCW; tuttavia, il presidium ha chiesto ai partecipanti di rimandare la discussione sulla questione NWBCW alla prossima riunione pubblica. Nel corso della discussione è stato argomentato che gli internazionalisti non hanno potuto esprimere una dichiarazione congiunta di fronte alla guerra di Spagna, alla Seconda guerra mondiale, alla guerra di Corea, ecc. Oggi l'adozione della Dichiarazione congiunta è stata un colpo al settarismo nell'ambiente politico proletario e un passo avanti. Alcuni compagni, che all’inizio avevano dato credito alla TCI per aver rifiutato di firmare la Dichiarazione congiunta, si sono convinti, nel corso della discussione, della necessità di quest'ultima. Un compagno ha detto nelle conclusioni che riteneva la discussione costruttiva, anche se le differenze tra la CCI e la TCI sono significative. Queste differenze devono essere articolate maggiormente e sviluppate in discussioni comuni. Un altro partecipante ha affermato che, pur essendo in disaccordo con alcune posizioni della CWO, era convinto che la Sinistra Comunista non sarebbe stata in grado di svolgere i suoi compiti storici senza la partecipazione di gruppi come i Bordighisti o la TCI. A suo avviso, è un peccato che tali gruppi non abbiano compreso l'importanza di questa azione sulla guerra in Ucraina.
L'opinione prevalente della riunione è stata che, sebbene solo una minoranza di tutti i gruppi della Sinistra Comunista abbia firmato la Dichiarazione congiunta, quest'ultima sarebbe comunque diventata un punto di riferimento nella tradizione della sinistra comunista, a cui altri gruppi e militanti avrebbero potuto fare riferimento.
Internationalist Voice
Istituto Onorato Damen
Corrente Comunista Internazionale
15 giugno 2022
L'imperialismo non è l'imposizione internazionale dello Stato più forte sul resto degli Stati nazionali, è un fenomeno storico legato allo sviluppo mondiale del modo di produzione capitalista. Il capitalismo è competizione e lotta di tutti contro tutti. La globalizzazione dell'economia, l'espansione globale del capitalismo, l'esaurimento della produzione di valore dovuto all'espulsione del lavoro vivo aggrava la crisi capitalista, che raggiunge i suoi limiti interni e il mercato mondiale non è in grado di assumere una controtendenza rispetto alla crisi. Tutto ciò esaspera la concorrenza e trasforma la guerra in una continuazione dell'economia del capitale con altri mezzi, piuttosto che in un fenomeno che supera le crisi cicliche, cercando di accaparrarsi risorse, materie prime, mercati, vantaggi competitivi rispetto ad altri Stati nazionali. Nelle guerre il proletariato viene ingannato e usato come carne da cannone. Non c'è Stato nazionale che non sia imperialista, o come diceva Lenin: “tutti sono peggiori.
L'internazionalismo è un principio fondamentale del proletariato, che è internazionale e internazionalista. La rivoluzione sarà internazionale e internazionalista o non sarà. Il proletariato come classe difende gli interessi dell'umanità nel suo insieme al di là di ogni divisione nazionale imposta dalla borghesia e dai suoi Stati nazionali. L'internazionalismo è legato all'autonomia di classe, alla necessità che la classe sviluppi la sua coscienza, unità e organizzazione indipendentemente dalla borghesia e dai suoi apparati politici. Non c'è possibilità di alleanza tattica con nessuna frazione della borghesia (tutte imperialiste) che non comporti un tradimento del proletariato e dei principi del programma rivoluzionario.
Il gauchisme (sinistra borghese) è l'ideologia che difende il capitale sulla base di argomenti che denaturano il programma rivoluzionario, anteponendo le questioni tattiche ai principi e affrontando la realtà partendo dalla difesa del male minore o della borghesia più debole. È l'ideologizzazione del tradimento storico della socialdemocrazia, della difesa dei blocchi borghesi e imperialisti, della difesa dell'interclassismo dilagante. Il gauchisme ci chiede continuamente di firmare nuovamente i “crediti di guerra”, di scontrarci con i nostri fratelli e sorelle di classe nella difesa dell'economia nazionale contro la difesa dei bisogni umani.
Guerra e militarismo sono quindi inseparabili dalle dinamiche stesse del capitalismo. Non ci sono guerre buone, tutte rispondono agli interessi del capitale e della sua borghesia. La risposta storica del proletariato alla guerra è la rivoluzione mondiale, che implica l'affermazione dei nostri bisogni umani al di sopra di tutte le divisioni imposte. Le conseguenze della guerra si manifestano sotto forma di morte e miseria e sono immediate. L'aumento dei prezzi e la precarizzazione delle condizioni di vita sono un fatto immediato che riguarda tutti noi, anche quei lavoratori che non sono (ancora) sotto le bombe.
La lotta di classe si esprime, nell'attuale momento di debolezza del proletariato internazionale, nella difesa delle condizioni di vita. Di recente in Kazakistan i lavoratori hanno lottato (scioperi di massa, rivolte urbane, ecc.) contro il proprio Stato di fronte all'aumento dei prezzi del gas e di tutti i prodotti di base, difendendo le loro vite contro il capitale. La rivolta (indubbiamente debole per la sua mancanza di prospettiva e di organizzazione) è stata affogata nel sangue dagli eserciti della Federazione Russa, in collusione con lo Stato kazako e il blocco imperialista occidentale. Il movimento in Kazakistan (uno dei tanti che segnano la nostra storia di classe sfruttata e rivoluzionaria) mostra come le varie borghesie e i loro blocchi imperialisti non abbiano problemi a unirsi contro i lavoratori. Come hanno detto alcuni compagni, Il Kazakistan rappresenta oggi il mondo. Con le sue indubbie debolezze, esprime in modo fotografico la prospettiva del futuro: guerra imperialista e/o rivoluzione, catastrofe capitalista o comunismo.
CONTRO TUTTE LE GUERRE!
CONTRO OGNI IMPERIALISMO!
CONTRO TUTTI I CAPITALISTI!
PER LA DIFESA DEI BISOGNI UMANI!
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNIAMOCI!
Accogliamo con favore la difesa dell'internazionalismo proletario da parte del compagno. Questa difesa deve essere incrollabile all'interno dell'ambiente politico proletario. Poiché ciò che caratterizza la posizione marxista sulla guerra è la sua capacità di rimanere fedele e coerente agli interessi, alla prospettiva e alle posizioni storiche della classe operaia, dobbiamo basare la nostra risposta su un metodo storico in continuità con il filo rosso della storia del proletariato. Il metodo che dobbiamo seguire per la discussione e per il raggruppamento delle forze rivoluzionarie è quello di Zimmerwald, che nel 1915 servì come base per la costruzione della Terza Internazionale, del Partito del proletariato. Questo metodo consisteva nel partire da ciò che c'era in comune tra le posizioni politiche che nella pratica avevano dimostrato la loro fedeltà al proletariato, e sviluppare da questo una polemica diretta, senza mezze misure. Camminare poggiando saldamente su questi due piedi, quello dell'unità e del confronto schietto e diretto, è il metodo per promuovere lo sviluppo della coscienza di classe e combattere la penetrazione dell'ideologia borghese nelle nostre fila.
Per questo iniziamo da ciò che condividiamo con il compagno:
Così come ci siamo alzati con il piede dell'unità, per iniziare a camminare ora mettiamo a terra il piede del confronto:
Il compagno non tiene conto del quadro marxista dell'ascesa e del declino di un modo di produzione, senza il quale le sue posizioni rischiano di diventare una critica puramente viscerale e una difesa puramente morale dell'internazionalismo, estremamente fragile e impotente di fronte alla penetrazione dell’ideologia borghese.
Ci sono tre aspetti fondamentali che vorremmo criticare della sua posizione. In questa risposta ci concentreremo solo sul primo, anche se citeremo gli altri due per favorire il confronto futuro e non lasciarli a se stessi.
Oggi il gauchisme non ci chiama direttamente a firmare i crediti di guerra, come dice la lettera, ma al contrario, vediamo gli incendiari trotskisti, gli anticapitalisti e gli anarchici ufficiali (CNT, CGT, ecc.) gridare contro Putin e contro la NATO, contro l'invasione e per la “solidarietà internazionalista tra i popoli”, perché non ci sia “né guerra tra i popoli né pace tra le classi”[2]. Queste campagne di mobilitazione sono comunque una negazione della lotta e della prospettiva del proletariato. Per comprendere la natura del gauchisme come braccio del totalitarismo di Stato è necessario comprendere la decadenza del capitalismo. Non identificare correttamente il gauchisme può dare adito a speranze che questi facciano parte della palude della confusione o siano gruppi proletari in degenerazione.
Dopo queste precisazioni, che riteniamo necessarie e che potrebbero incoraggiare discussioni future, passiamo all'elemento centrale di questa risposta, che dividiamo in due punti: la decadenza del capitalismo e la natura della guerra.
Nella fase ascendente del capitalismo, Marx segnalò che le crisi cicliche erano il risultato delle contraddizioni del capitalismo. Il capitale tende per natura a crescere, la sua dinamica è l'accumulazione e lo sviluppo delle forze produttive in sé a dispetto del consumo e dell'uso, lo sviluppo del valore di scambio. In questa fase ascendente di espansione mondiale del capitalismo ci sono stati momenti di saturazione del mercato interno capitalista, momenti di crisi che hanno svalutato il capitale costante e abbassato il prezzo delle merci al punto da portare alcuni capitali a non essere più redditizi. Queste svalutazioni del capitale costante nelle crisi cicliche si sono risolte con una nuova espansione capitalista, sia del mercato interno che, soprattutto, del mercato estero.
In questo modo, attraverso il fallimento di alcuni capitali nella concorrenza, la fusione e concentrazione del capitale in mostri capitalistici più grandi, c’è stato uno slancio per la conquista di nuovi mercati extra-capitalistici, cioè l'espansione del capitale in tempi di prosperità. Fu in questi periodi di prosperità che la classe operaia ebbe la reale possibilità di strappare delle riforme, cioè di costringere la borghesia attraverso lo sciopero e la lotta parlamentare a investire di più nei salari e in altri miglioramenti delle condizioni di vita.
Questo processo di conquista di nuovi mercati mise a disposizione del capitalismo nuove forze produttive e pertanto lo sviluppo di queste convertendole in capitale. E questo è avvenuto sia per le nuove terre produttive e gli altri mezzi di produzione, sia per la forza lavoro. Ad esempio, la borghesia si appropriava delle terre da cui la popolazione dipendeva per il proprio consumo (e alle quali era spesso incatenata a vita attraverso i tributi al feudatario), e proletarizzava sempre più le masse lavoratrici.
Il capitale tende all'espansione illimitata, ma il mondo è limitato. La decadenza del sistema iniziò nel momento in cui il capitale si vide sempre più confrontato con se stesso, quando si scontrò con un muro insormontabile nella realizzazione del plusvalore sotto forma di sovrapproduzione, rispetto alla quale l'unica possibilità di espansione apparve essere quella di muovere guerra ad altre potenze capitalistiche centrali, con la prospettiva di sottrarre loro territori o la loro posizione nel mercato mondiale. Questa unica possibilità non significava che ogni singolo capitale potesse realmente metterla in atto e certamente non sarebbe stata uno sbocco economico per il capitale globale. Questa è la nuova era dell'imperialismo analizzata dalla Terza Internazionale. L’epoca in cui lo sviluppo delle forze produttive entrò in netta contraddizione con i rapporti di produzione (il che non significava che le forze produttive avessero cessato di svilupparsi o che i nuovi mercati fossero esauriti). E’ l’epoca in cui la crisi diventa permanente (non è più l’epoca delle crisi cicliche), e l'unico modo per evitarla è rimandarla a un futuro in cui diventerà sempre più grave e inevitabile. Attraverso l’indebitamento, ad esempio. Da questo blocco storico del sistema nasce essenzialmente una tendenza al caos e all'autodistruzione. La decadenza mostra che il capitalismo non può, nella realtà concreta, continuare per saecula saeculorum.
Perché l'analisi della decadenza è così importante per la lotta proletaria? Perché apre l'era delle reali possibilità della rivoluzione comunista. E con essa, a sua volta, ogni lotta per le riforme diventa obsoleta poiché non ci sono più momenti di reale prosperità del capitalismo in cui lottare per strappare riforme al capitale. Il parlamentarismo e la lotta sindacale vengono assorbiti dallo Stato che, in controtendenza al caos crescente, assume un carattere sempre più totalitario. L'analisi della decadenza ha quindi importanti conseguenze sul piano militante.
La natura della guerra
Nella fase ascendente del capitalismo, la guerra ha svolto una funzione economica di conquista di nuovi mercati: sia nel senso di formazione di nuove nazioni (guerra franco-prussiana), sia nel senso di debellare i settori più arcaici del capitale (guerra civile negli USA), sia nel senso delle guerre coloniali. Tutti questi aspetti hanno partecipato all'espansione del capitalismo, ad esempio distruggendo i precedenti rapporti di produzione o annientando la popolazione autoctona per disporre delle forze produttive della terra che abitavano. La guerra era un'arma essenziale per raggiungere questi obiettivi. Poiché la guerra aveva lo scopo progressivo di espandere i rapporti di produzione capitalistici (e quindi di porre le basi materiali per la rivoluzione proletaria), il proletariato sostenne le sezioni più progressiste della borghesia in alcune di queste guerre.
La domanda che dobbiamo porci qui è: qual è la differenza nella fase decadente? Nella decadenza la guerra:
Da dove viene l'idea che la guerra imperialista svolga una funzione equivalente alle crisi cicliche della fase ascendente? È un'idea che si è sviluppata nel movimento operaio in quel momento critico di passaggio alla fase decadente e nel dibattito per comprendere la natura della guerra imperialista. Questa idea, sviluppata da Bukharin nel 1915, confonde la riduzione del valore del capitale costante nelle crisi cicliche della fase ascendente con la distruzione e la sterilizzazione della forza-lavoro, dei mezzi di produzione e del capitale a causa della tendenza alla guerra imperialista. Distruggere e sterilizzare il capitale non equivale a svalutarlo. La tendenza alla guerra imperialista produce una massa crescente di spese improduttive per armi che, se non utilizzate, sterilizzano il capitale e, se utilizzate, distruggono mezzi di sussistenza e di produzione, impianti produttivi, esseri umani, abitazioni, ecc. Questa è la polemica di Internazionalisme con Vercesi ("Il Vercesi rinnegato", maggio 1944, nel Bollettino internazionale della Frazione italiana della Sinistra comunista, n. 5): la tendenza alla guerra imperialista non contribuisce affatto al ciclo successivo di produzione, alla riproduzione allargata del capitale[4].
La guerra imperialista nella fase di decadenza ha la funzione strategica di strappare i mercati a un imperialismo rivale oppure di annientare entrambi. La guerra imperialista nasce storicamente e globalmente dalle contraddizioni economiche del capitalismo e, fattore fondamentale, dal fatto che il sistema ha sempre meno aree di espansione extra capitalistiche. Tuttavia, la guerra imperialista non ha alcuna funzione economica per lo sviluppo del capitalismo, ma è l'esplosione irrazionale delle sue contraddizioni. Al contrario, perde ogni razionalità economica man mano che la decadenza si approfondisce verso l'attuale fase di decomposizione. La prima guerra mondiale non è nata direttamente dalla crisi economica (cioè, come impulso al capitalismo come era stato nelle crisi cicliche del periodo ascendente), ma da una situazione politica, strategica e militare di spartizione del mondo in cui alcune potenze erano arrivate troppo tardi alla divisione della torta. Un secolo dopo vediamo che tale razionalità economica è quasi assente anche dal punto di vista di ogni capitale nazionale: la provocazione statunitense per spingere la Russia ad avviare la sua impresa bellica in Ucraina non è stata in definitiva quella di vendere il suo petrolio all'UE, ma di mantenere disciplinate le potenze europee, per isolare e ostacolare altre potenze, principalmente la Cina, e per indebolire la posizione imperialista della Russia impantanandola in una guerra senza fine. In effetti, la strategia degli Stati Uniti è la politica machiavellica di dare all'Ucraina il minimo di armi in modo che non perda la guerra, ma non possa nemmeno vincerla. Possiamo solo immaginare cosa significhi questo freddo calcolo militare in termini di sofferenza umana! Il compagno sbaglia, quindi, ad attribuire alla guerra imperialista una funzione di “via d’uscita dell'economia con altri mezzi”. Con questa visione non è possibile comprendere la natura della guerra imperialista e ancor meno la natura della guerra nell'attuale fase di decomposizione, che ha importanti risvolti nella lotta di classe.
Questa critica diretta che sviluppiamo non ci impedisce di salutare la sua difesa dell'internazionalismo. Incoraggiamo sia lui che altri rivoluzionari a continuare la discussione sulla base di questa risposta, nonché ad andare a fondo nella comprensione delle posizioni storiche del proletariato.
CCI 19-5-22
[1] Debate: La lucha de los revolucionarios contra la suplantación de la continuidad del marxismo [53]
[2] https://www.elsaltodiario.com/guerra-en-ukrania/putin-otan-grito-asamblea-popular-contra-guerra-madrid [54]
[4] Per approfondire l’argomento vedi: Economic theories and the struggle for socialism [56], International Review n.16, 1979, anche in spagnolo e francese sul nostro sito e Replica al BIPR: LA NATURA DELLA GUERRA IMPERIALISTA [57], Rivista Internazionale n. 19, 2017
“L’Europa si militarizza e annuncia il più grande dispiegamento di truppe dalla guerra fredda”, “La guerra della Russia contro l’Ucraina ha rotto la pace e ha seriamente alterato il nostro sistema di sicurezza”, sono questi i minacciosi titoli del vertice di Madrid. La Russia, ma anche la Cina, sono apertamente designati come “nemici della democrazia”. Il vertice di Madrid è stato un esercizio chiaramente bellicista. E le parole sono accompagnate dalle decisioni. Si parla di spendere 200 miliardi di euro in armamenti, di dispiegare fino a 300.000 soldati nei paesi dell’Europa dell’est, dal Baltico al mar Nero. Minacciano la Cina. Sfidano Putin. Si è trattato di un vertice sulla e per la guerra.
Nel 1949, nel quadro del confronto imperialista tra gli Stati Uniti e il blocco sovietico, gli Stati Uniti fondarono la NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico) come uno strumento chiave contro il blocco nemico. Si trattava di un’alleanza militare e politica che permetteva agli Stati Uniti di controllare i loro alleati, i cui eserciti, servizi segreti, cellule di informazione ed armamenti dipendevano sempre più dai dispositivi, dai brevetti, dalle forniture e dai protocolli americani. Tutte le basi militari di un paese alleato potevano essere utilizzate dalla NATO, cioè dagli Stati Uniti.
Con il crollo del blocco sovietico nel 1989, i paesi precedentemente sotto tutela americana hanno cercato di liberarsi del loro controllo. Il blocco americano si è disintegrato e oggi non ci sono più blocchi imperialisti. Tuttavia questo non ha inaugurato un «nuovo ordine mondiale» di pace, democrazia e prosperità, come aveva promesso il presidente americano dell’epoca, Bush padre. Al contrario, quello che noi abbiamo visto negli ultimi 30 anni è una moltiplicazione di guerre sempre più caotiche e sanguinose (Iraq, Afghanistan, ex Jugoslavia, Siria, Libia, Yemen, ecc.) che, oltre ai numerosi altri danni, hanno portato al più grande esodo di rifugiati della storia: 26 milioni nel 2017, 86 milioni nel 2020, fino a superare la soglia dei 100 milioni nel maggio 2022.[1]
Attualmente la guerra in Ucraina e 52 altri conflitti inondano il pianeta di sangue. Come dicevamo nel testo Militarismo e decomposizione, scritto nel 1990, “Nel nuovo periodo storico in cui siamo entrati, e gli avvenimenti del Golfo lo confermano, il mondo si presenta con un carattere di instabilità, dove regna la tendenza al "ciascuno per sé", dove le alleanze tra Stati non avranno più il carattere di stabilità che caratterizzava i blocchi, ma saranno dettati dalla necessità del momento. Un mondo di disordine cruento, di caos sanguinoso nel quale il gendarme americano tenterà di far regnare un minimo di ordine con l'uso sempre più massiccio e brutale della propria potenza militare.”[2]
Gli Stati Uniti non hanno sciolto la NATO, ma hanno continuato ad utilizzarla come un mezzo per controllare i loro vecchi alleati. La Germania, per esempio, conta 20 basi militari americane e il suo esercito dipende strettamente dai dispositivi e dalle infrastrutture informatiche della NATO.
Nel febbraio del 1990, James Baker, allora Segretario di Stato degli USA, promise al presidente russo Gorbaciov che “se gli Stati Uniti mantengono la loro presenza in Germania nel quadro della NATO, nessun pezzetto della giurisdizione militare attuale della NATO sarà esteso verso l’est”.[3]
Tra capitalisti, e ancora di più tra gli Stati, gli accordi più sacri diventano lettera morta nel giro di qualche minuto. Gli Stati Uniti hanno fatto il contrario di quanto avevano promesso. A partire dalla metà degli anni ’90 hanno esteso la NATO ai paesi della vecchia influenza sovietica: Polonia, Stati Baltici, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, ecc.
Questo allargamento rappresentava un interesse reciproco per entrambe le parti. Integrando gli antichi “satelliti” russi, gli Stati Uniti hanno scavato un fossato tra Germania e Russia, mantenendole entrambe sotto pressione politica e militare. Dal canto loro i vecchi paesi sovietici hanno guadagnato un potente sponsor per difendersi contro le ambizioni imperialiste dei due loro grandi vicini e, protetti dall’ombrello della NATO, poter perseguire i loro propri appetiti imperialisti.
Questa strategia di allargamento verso est si è scontrata con gli interessi della Russia che, dopo essersi fragilmente ripresa dall’enorme disastro del 1989, cerca, grazie alla mano di ferro di Putin, di giocare un ruolo mondiale sullo scacchiere imperialista, implicandosi nella guerra in Siria e in diverse guerre in Africa, e stabilendo delle alleanze con il Venezuela, l’Iran, il Nicaragua, ecc.
In questa politica di ricerca della gloria imperialista perduta, la Russia si è scontrata con la cortina di ferro imposta dagli Stati Uniti sul loro fianco occidentale. In particolare, i tentativi di integrare l’Ucraina e la Georgia nella NATO hanno costituito una linea rossa che la Russia non poteva tollerare e ha risposto con le brutali “operazioni militari speciali”.
Nel 2008 la Russia ha teso una trappola alla Georgia trascinandola in una guerra e imponendo due repubbliche “indipendenti” che costituiscono un cuneo russo nel territorio georgiano: l’Ossezia del sud e l’Abkazia.
Nel 2014 ha ripetuto l’operazione nei confronti dell’Ucraina, occupando la Crimea e proclamando due repubbliche “popolari” nel Donbass che agiscono come una riserva militare del padrino russo.
L’attuale esplosione della barbara guerra in Ucraina ha le sue radici in questo scontro imperialista tra la Russia e gli Stati Uniti, anche se, come abbiamo detto, questi ultimi hanno teso una trappola al Cremlino: per mesi essi hanno annunciato l’invasione dell’Ucraina affermando allo stesso tempo che non sarebbero intervenuti. Si tratta di una ripetizione della stessa trappola che gli Stati Uniti avevano teso all’Iraq nel 1990, quando lasciarono intendere a Saddam Hussein che aveva via libera per invadere il Kuwait. Putin ha abboccato all’amo e si è lanciato sull’Ucraina.
Gli Stati Uniti hanno utilizzato la guerra in Ucraina per stringere la presa della NATO sui suoi antichi alleati. Questi, in particolare la Francia e la Germania, vorrebbero sbarazzarsi di questa alleanza fastidiosa che impedisce loro di dare libero sfogo alle loro proprie aspirazioni imperialiste. Macron ha parlato di una NATO “in stato di morte cerebrale”. Ha dovuto rimangiarsi le sue parole, almeno per qualche tempo, gli Stati Uniti hanno ristabilito la forza della NATO e Biden a Madrid ha proclamato che “Vladimir Putin cercava di finlandizzare l’Europa”. Quello che ha ottenuto è una “NATizzazione dell’Europa”.
Nel vertice di Madrid gli Stati Uniti utilizzeranno a pieno il “sostegno all’Ucraina”, la “difesa del Davide ucraino contro il Golia russo” per tenere legati gli “alleati europei”. In un nuovo intervento su internet, Zelensky rimprovera ancora una volta alla Francia e alla Germania il loro pretesto di non “umiliare la Russia” per scambiare “la pace con dei territori”. Il vertice della NATO riafferma la politica americana consistente nel trascinare la Russia nell’inferno sanguinoso di una lunga guerra che si consuma attualmente nel Donbass con un costo umano e produttivo enorme: secondo Zelensky ogni giorno muoiono tra 60 e 100 soldati, e tace sui morti civili, mentre la Russia perde 150 soldati al giorno. Una delle conseguenze più gravi di questa guerra è che essa paralizza il trasporto dei cereali verso i paesi dell’Africa e dell’Asia, provocando delle carestie che, secondo l’ONU, toccano 197 milioni di persone.
Uno degli obiettivi del vertice è che il contingente di truppe atlantiste dispiegate lungo la frontiera con l’orso russo, dal Mar Nero al Baltico, passi da 40.000 soldati a 300.000! Gli Stati Uniti impiegheranno 100.000 soldati, la Germania ha promesso di impiegarne 20.000, la Francia ne ha istallato 1000 in Romania. Allo stesso scopo, la NATO apre una gigantesca base militare in Polonia, gli Stati Uniti inviano due cacciatorpediniere in Spagna e istallano uno scudo antimissile nella base di Rota.
Se mettiamo a confronto il vertice di Madrid con i precedenti vertici della NATO, possiamo misurare la netta crescita del bellicismo: “La risposta degli alleati in questo nuovo contesto sarà di mobilitare più truppe, più armi, più munizioni sul fronte orientale, per mostrare i loro muscoli contro Mosca.” Il linguaggio ipocrita della pace è messo da parte per lasciare campo solo ai canti di guerra. L’adesione alla NATO della Finlandia e della Svezia, paesi storicamente defilati e “neutrali”, getta ancora più benzina sul fuoco guerriero. Non c’è dubbio che tutte queste decisioni, sia quelle pubbliche che quelle segrete, si iscrivono in una dinamica di confronto bellicista e contribuiranno ad attizzare nuove tensioni imperialiste che sono i germi di una nuova guerra.
Approfittando di questa forte dinamica di militarizzazione in Europa dell’est, la Polonia e i paesi baltici chiedono costantemente più armi, più truppe, manifestando senza vergogna le loro ambizioni. “Il primo ministro polacco Mateus Morawiecki ha annunciato lunedì la costruzione di centinaia di poligoni di tiro pubblici in tutto il paese, e una nuova legge sul possesso delle armi da fuoco per ‘formare’ la società alla difesa nazionale. Egli ha dichiarato che “se la Russia pensa un giorno di attaccare la Polonia, sappia che 40 milioni di polacchi sono pronti a difenderla con le armi.”[4]
Un altro punto affrontato nel vertice è la “modernizzazione tecnologica” delle armi, dei sistemi di difesa, dei mezzi per la cyber-guerra, ecc. Questo implica degli investimenti enormi che saranno pagati dagli stati membri e, soprattutto, aumenterà la dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti.
In questo contesto, il rinnovamento della “visione strategica” della NATO rafforza ulteriormente l’atmosfera bellicista che è stata imposta a Madrid e che si è tradotta simbolicamente nell’occupazione della città da parte di più di 10.000 poliziotti in uniforme. Per la prima volta nella storia della NATO si punta il dito direttamente verso la Cina: la visione strategica “annuncia una nuova era nella sicurezza transatlantica, marcata dalle azioni di attori autoritari che sfidano gli interessi, i valori e il modo di vivere delle democrazie”, con la conclusione che la Cina “cerca di sovvertire l’ordine internazionale fondato su regole, compreso nel campo spaziale, cibernetico e marittimo”. Passando dalle parole ai fatti, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone e la Corea del Sud, i rivali della Cina nel Pacifico, sono stati invitati a Madrid. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro.
La principale minaccia per la leadership imperialista americana nel mondo viene dalla Cina. Il gigante asiatico ha organizzato una strategia economico-imperialista, la Via della seta[5], per sfidare il dominio americano. La trappola che gli Stati Uniti hanno teso alla Russia è diretta in fin dei conti contro la Cina. Presa in una lunga e penosa guerra in Ucraina, la Russia è diventata più un peso che un aiuto per la Cina. La Cina è stata molto reticente nel sostenere il suo alleato russo. D’altra parte la guerra ucraina destabilizza la Via della Seta cinese, tanto sul piano economico che militare.
La messa all’indice della Cina nella visione strategica della NATO costituisce una nuova tappa nella crescita delle tensioni guerriere nel mondo. Con questo movimento strategico gli Stati Uniti sviluppano una politica di “accerchiamento della Cina”: da una parte, nel Pacifico, gli USA hanno formato un’alleanza con i rivali della Cina (Australia, Giappone, Corea del Sud, Filippine, Vietnam); dall’altra indeboliscono fortemente l’alleato russo della Cina; infine, i progetti di espansione della Via della seta sono destabilizzati dalla guerra in Ucraina.
Ma altrettanto significativa in questa escalation imperialista è l’inclusione del “fianco sud”, cioè l’Africa, nella visione strategica della NATO. Qui la Spagna gioca grosso perché questo tocca i suoi interessi (Sahara, Marocco, difesa degli insediamenti di Ceuta e Melilla, protezione contro le ondate migratorie, ecc.). Tuttavia l’obiettivo ultimo è innanzitutto bloccare l’espansione russa e cinese in Africa. La Russia usa i suoi mercenari della Wagner in diversi conflitti africani, mentre la Cina costruisce una rete di accordi militari e commerciali. Per esempio, essa ha stabilito una base militare a Gibuti.
Questo vertice dà una accelerazione al confronto guerriero che si espande attualmente nel mondo. E in questo confronto si rafforza il ruolo preponderante degli Stati Uniti e la forza del loro braccio politico-militare, la NATO.
Tuttavia questo successo è temporaneo. A partire dal crollo del blocco sovietico abbiamo potuto constatare il deterioramento della capacità degli Stati Uniti di imporre il loro “ordine mondiale”. In un mondo in cui ogni Stato-nazione va avanti per la sua strada senza rispettare nessuna disciplina, in cui si moltiplicano conflitti locali sempre più distruttivi, in cui le ambizioni imperialiste di tutti gli Stati si scatenano fortemente, il gendarme americano ha come solo mezzo per arrestare il caos il militarismo, la guerra, la proliferazione degli armamenti. Tuttavia queste dimostrazioni di forza non arrestano il caos, ma non fanno che acuirlo. “Quando gli Stati Uniti vantano la loro superiorità militare, tutti i loro rivali indietreggiano, ma l’arretramento è tattico e momentaneo. Più gli Stati Uniti si sforzano di affermare il loro dominio imperialista, ricordando brutalmente chi è il più forte, più i contestatari dell’ordine americano sono determinati a contestarlo, perché per essi la loro capacità di conservare il loro rango nell’arena imperialista è una questione di vita o di morte.”[6]
Questa analisi è cruciale per smontare la trappola tesa dai gruppi dell’estrema sinistra del capitale e anche dai ministri spagnoli legati a Podemos o ai resti di Izquierda Unida, che attribuiscono la tensione guerriera alla NATO e si permettono anche una posizione “neutrale”: né Putin, né la NATO. La NATO è uno strumento del confronto imperialista, ma essa non è né la causa delle guerre, né di questo confronto. Il suo rafforzamento e le sue fanfaronate militariste non porteranno la pace e la democrazia, come promettono i dirigenti atlantisti con sempre meno convinzione, ma nondimeno essi non sono la sola causa della barbara guerra che insanguina il mondo. Tutti gli Stati, che siano filo-NATO o anti-NATO, sono degli agenti di guerra, tutti concorrono allo scivolamento del pianeta in una spirale di conflitti caotici.
Quando gridano “no alla NATO, fuori le basi” questi gruppi di sinistra servono la guerra e l’imperialismo. Vogliono che si faccia la guerra in nome della difesa nazionale, rigettando il “multinazionalismo” della NATO. In Francia Melenchon, il capo della coalizione di sinistra, si oppone alla NATO proponendo che la Francia “si armi fino ai denti come una forza di mantenimento della pace”. In questa concezione ultramilitarista, arriva fino a proporre il ristabilimento del servizio militare di leva!
Il proletariato deve rigettare la guerra e il militarismo, che siano condotti “all’interno della NATO” o dispiegati “all’esterno della NATO”. Questi bellicisti di estrema sinistra che “si oppongono alla NATO” iniettano il veleno della difesa della patria, veleno con cui vogliono spingerci ad uccidere ed assassinare per difendere la Spagna e ad accettare l’inflazione, i licenziamenti, gli attacchi portati alle nostre condizioni di vita per “poter inviare armi in Ucraina”. Un gruppo trotskysta che reclama il “disarmo della NATO” propone che “i lavoratori europei diano prova della più larga solidarietà internazionalista, inviando forniture e milizie operaie internazionali, come negli anni ’30 durante la guerra civile spagnola”[7]. Con gli argomenti “anti-NATO” questi servitori del capitale propongono quello che vogliono la NATO e gli Stati Uniti: che i lavoratori si coinvolgano nel massacro imperialista in Ucraina, che ci sacrifichiamo sul fronte economico e diventiamo carne da cannone sul fronte militare.
Opero e Smolny, 30-06-22
[2] Militarismo e decomposizione, Rivista Internazionale n. 15, https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione [26]
[5] La Route de la Soie de la Chine vers la domination impérialiste [62] , in francese su Révue Internationale n. 164
[6] Tensions impérialistes : derrière les accords de paix, la guerre de tous contre tous [63] in francese in Révue Internationale n. 84
[7] ¡Fuera el pacto entre la OTAN y su gendarme Putin para repartirse Ucrania! (Democracia Obrera) (Abbasso il patto tra la NATO e il suo gendarme Putin per ripartirsi l’Ucraina!)
Mentre la Russia scarica continuamente bombe a tappeto sulle città ucraine, al termine della riunione del G7, tenutasi nella bucolica cornice delle Alpi bavaresi il 28 giugno, i rappresentanti delle grandi potenze “democratiche” hanno ripetuto in coro: “La Russia non può e non deve vincere!” (Macron), falsamente indignati dall'orrore degli scontri, dalle decine di migliaia di morti e milioni di rifugiati, dalla distruzione sistematica di intere città, dall’uccisioni di civili, dai bombardamenti irresponsabili delle centrali nucleari, dalle considerevoli conseguenze economiche per l’intero pianeta. Simulando il terrore in questo modo, questa banda di cinici ha anche cercato di nascondere l’evidente responsabilità dell’Occidente in questo massacro, in particolare l’azione destabilizzante degli Stati Uniti che, attraverso i loro tentativi di contrastare il declino della loro leadership mondiale, non hanno esitato a fomentare il caos e la barbarie alle porte del centro storico del capitalismo.
Oggi, gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali si presentano come i campioni della pace, della democrazia e dell'Ucraina povera e innocente di fronte allo spregevole attacco dell'orco russo. Se gli orrori dell'imperialismo russo sono più difficili da nascondere, né gli Stati Uniti né l'Ucraina presentano un pedigree da “cavaliere bianco”. Al contrario, hanno svolto un ruolo attivo nello scoppio e nella perpetuazione del massacro.
La borghesia ucraina, corrotta fino all'osso, aveva già sabotato gli accordi di pace di Minsk del 2014, che implicavano, tra le altre cose, una certa autonomia del Donbass e la protezione della lingua russa in Ucraina. Oggi, mostrandosi particolarmente intransigente ha dichiarato guerra alla Russia, con alcune fazioni che rivendicano persino la riconquista della Crimea.
Ma la politica americana si rivela ben più ipocrita e calcolatrice. Nei primi anni 1990, gli Stati Uniti avevano, infatti, promesso “informalmente” a Mosca di non approfittare dell’implosione del blocco orientale per estendere la propria influenza ai confini della Russia. Tuttavia non hanno esitato a integrare uno ad uno i paesi dell’ex blocco orientale nella loro sfera di influenza, così come non hanno esitato ad armare massicciamente Taiwan e sostenere il suo desiderio di prendere le distanze da Pechino, dopo aver promesso di rispettare il principio di “una sola Cina”. La politica degli Stati Uniti nei confronti dell'Ucraina non ha quindi nulla a che fare con la difesa della vedova e dell’orfanello o della democrazia, né con i bei principi umanitari che nessun paese esita a gettare nel sangue e nel fango in difesa dei suoi sordidi interessi imperialisti.
Sfidando Putin a invadere l’Ucraina (e spingendolo a farlo precisando che non sarebbero intervenuti), trascinandolo in una guerra su vasta scala, gli Stati Uniti, con una manovra machiavellica, hanno momentaneamente segnato dei punti importanti nell’arena imperialista, perché la strategia americana mira soprattutto a contrastare l’irrimediabile declino della loro leadership nel mondo.
La borghesia americana è stata così in grado di ripristinare il controllo della NATO sugli imperialismi europei. Mentre questa organizzazione sembrava essere in difficoltà, “in uno stato di morte cerebrale” secondo Macron, la guerra in Ucraina ha permesso un ritorno alla ribalta di questo strumento di sottomissione degli imperialismi europei agli interessi americani. Washington ha sfruttato l’invasione russa per richiamare all’ordine gli “alleati” europei dissenzienti: Germania, Francia e Italia sono stati indotti a tagliare i loro legami commerciali con la Russia e a lanciare in tutta fretta gli investimenti militari che gli Stati Uniti chiedevano da 20 anni.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti stanno infliggendo colpi decisivi alla potenza militare della Russia. Ma dietro la Russia, gli Stati Uniti stanno fondamentalmente prendendo di mira la Cina, mettendola sotto pressione. L’obiettivo fondamentale della manovra machiavellica degli Stati Uniti è quello di continuare il contenimento della Cina, già iniziato nel Pacifico, indebolendo la coppia russo-cinese. Il fiasco della Russia difronte agli aiuti militari statunitensi all’esercito ucraino è quindi un chiaro avvertimento per Pechino. La Cina del resto ha reagito in modo impacciato all’invasione russa: pur disapprovando le sanzioni, Pechino evita di oltrepassare la linea rossa che porterebbe a sanzioni statunitensi. Inoltre, il conflitto ucraino consente di bloccare una vasta area, dal Baltico al Mar Nero, essenziale per il dispiegamento delle “nuove vie della seta”, che è senza dubbio un obiettivo non trascurabile della manovra americana.
Qualunque sia la fazione della borghesia al governo, fin dall’inizio del periodo di decomposizione, gli Stati Uniti, nel loro desiderio di difendere la propria supremazia in declino, sono stati la forza principale per l’estensione del caos e della barbarie bellica attraverso i loro interventi e manovre: hanno creato il caos in Afghanistan, in Iraq e favorito l’emergere sia di al-Qaeda che di Daesh. Durante l’autunno del 2021, hanno consapevolmente intensificato le tensioni con la Cina intorno a Taiwan nel tentativo di radunare le altre potenze asiatiche dietro di loro. La loro politica in Ucraina oggi non è diversa, anche se la loro strategia machiavellica consente di presentarsi come una nazione pacifica che si oppone all’aggressione russa. Con la propria schiacciante supremazia militare, gli Stati Uniti fomentano il caos bellico che costituisce per loro la barriera più efficace contro il dispiegamento della Cina come sfidante. Ma, lungi dal stabilizzare la situazione mondiale, questa politica intensifica la barbarie bellica ed esacerba gli scontri imperialisti in tutte le direzioni, in un contesto caotico, imprevedibile e particolarmente pericoloso.
Mettendo la Russia alle corde, Washington sta intensificando le minacce di caos e barbarie bellica in Europa. La guerra in Ucraina sta portando a perdite sempre più disastrose per la Russia. Tuttavia Putin non può fermare le ostilità in questa fase perché ha bisogno di trofei a tutti i costi per giustificare l’operazione a livello nazionale e salvare ciò che può ancora essere salvato del prestigio militare della Russia, il tutto senza rinunciare a strappare dall’influenza americana questo territorio altamente strategico per lei. D’altra parte, più a lungo si trascina la guerra, più la potenza militare e l’economia russa si sgretoleranno. Gli Stati Uniti non hanno quindi alcun interesse a promuovere una cessazione delle ostilità, anche se ciò significa sacrificare cinicamente la popolazione in Ucraina. Nelle condizioni attuali, la carneficina non può che continuare e la barbarie diffondersi, probabilmente per mesi o addirittura anni e questo in forme particolarmente sanguinose e pericolose, come la minaccia rappresentata dalle armi nucleari “tattiche”.
Ripristinando il dominio della NATO, gli Stati Uniti stanno anche esacerbando le ambizioni imperialiste e il militarismo delle borghesie europee. I paesi europei hanno potuto nutrire l’illusione, dopo il 1989, di poter portare avanti una propria politica imperialista basata essenzialmente sulle loro risorse economiche. Ma la presidenza Trump e ancora più chiaramente poi la politica aggressiva dell’amministrazione Biden, basata sulla superiorità militare degli Stati Uniti, che ora si sta materializzando in Ucraina, li rende consapevoli della loro dipendenza sul piano militare e quindi dell’urgenza di rafforzare la loro politica degli armamenti, anche se, in un primo momento, non possono prendere le distanze troppo chiaramente dalla NATO. La decisione della Germania di riarmarsi massicciamente, raddoppiando così il suo budget militare, è un fatto imperialista importante a medio termine perché, dalla seconda guerra mondiale, la Germania aveva mantenuto modeste forze armate. All’interno della NATO stanno già emergendo dissensi tra un polo “intransigente” che vuole “mettere Putin in ginocchio” (Stati Uniti, Gran Bretagna e Polonia, paesi baltici) e un polo più “conciliante” (“tutto questo deve finire con dei negoziati”, “dobbiamo evitare di umiliare la Russia”).
Aumentando la pressione sulla Cina, la borghesia americana aumenta anche il rischio di nuovi scontri di guerra. La crisi ucraina ha conseguenze pericolosamente destabilizzanti per il posizionamento imperialista del principale sfidante degli Stati Uniti. Pechino continua a perseguire una politica di sostegno formale a Putin senza un coinvolgimento compromettente, ma la guerra sta colpendo pesantemente le sue “nuove vie della seta” e i contatti con i paesi dell'Europa centrale che la Cina era riuscita a sedurre. Questo quando diventa sempre più evidente il rallentamento della sua economia, con una crescita attualmente stimata al 4,5% del PIL. Mentre gli Stati Uniti non esitano ad accentuare queste difficoltà e a sfruttarle nel confronto con Pechino, la situazione aggrava le tensioni all'interno della borghesia cinese e accentua il rischio di un’accelerazione degli scontri sul piano economico e persino militare.
L’assenza di qualsiasi motivazione economica per le guerre era evidente con l’entrata del Capitalismo nella sua fase decadente: “La guerra era il mezzo indispensabile per il capitalismo per aprire possibilità di ulteriore sviluppo, in un momento in cui queste possibilità esistevano e potevano essere aperte solo per mezzo della violenza. Allo stesso modo, il crollo del mondo capitalista, avendo storicamente esaurito tutte le possibilità di sviluppo, trova nella guerra moderna, nella guerra imperialista, l’espressione di questo crollo che, senza aprire alcuna possibilità di ulteriore sviluppo per la produzione, inghiotte solo le forze produttive nell’abisso e accumula rovine su rovine a un ritmo accelerato”[1].
Il conflitto in Ucraina illustra in modo eclatante come la guerra abbia perso non solo ogni funzione economica, ma fa capire anche che la corsa al caos bellico tende sempre più a ridurre i benefici della guerra a livello strategico. La Russia si è lanciata in una guerra in nome della difesa dei russofoni, ma sta massacrando decine di migliaia di civili nelle regioni prevalentemente di lingua russa, trasformando queste città e regioni in campi di rovine e subendo a sua volta notevoli perdite materiali e infrastrutturali. Se nel migliore dei casi, alla fine di questa guerra, si impadronirà del Donbass e dell'Ucraina sud-orientale, avrà conquistato un campo di rovine (il prezzo della ricostruzione è attualmente stimato in 750 miliardi di euro), una popolazione che lo odia e avrà subìto una significativa battuta d'arresto strategica in termini di ambizioni di grande potenza.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, nella loro politica di contenimento della Cina, sono portati a incoraggiare una cinica politica di “terra bruciata”, creando un’incommensurabile esplosione di caos economico, politico e militare. L'irrazionalità della guerra non è mai stata così evidente.
Questa tendenza alla crescente irrazionalità degli scontri di guerra va di pari passo con una crescente irresponsabilità delle frazioni dominanti che arrivano al potere, come illustrato dall’avventura irresponsabile di Bush junior e dei "neo-con" in Iraq nel 2003, quella di Trump dal 2018 al 2021 o la frazione legata a Putin in Russia. Queste sono l’emanazione dell’esacerbazione del militarismo e della perdita di controllo della borghesia sul suo apparato politico che potrebbe portare, a lungo termine, a un avventurismo fatale per queste frazioni ma pericoloso, soprattutto, per l’umanità.
Allo stesso tempo, le conseguenze della guerra per la situazione economica di molti paesi saranno drammatiche. La Russia è un importante fornitore di fertilizzanti ed energia, il Brasile dipende da questi fertilizzanti per le sue colture. L’Ucraina è un importante esportatore di prodotti agricoli e i prezzi delle materie prime come il grano sono suscettibili di aumenti. Stati come l'Egitto, la Turchia, la Tanzania o la Mauritania dipendono al 100% dal grano russo o ucraino e sono sull'orlo di una crisi alimentare. Lo Sri Lanka e il Madagascar, già sovraindebitati, sono in bancarotta. Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, la crisi ucraina rischia di “spingere fino a 1,7 miliardi di persone (più di un quinto dell'umanità) nella povertà, nella miseria e nella fame”. Le conseguenze economiche e sociali saranno globali e incalcolabili: impoverimento, miseria, fame...
Lo stesso vale per le minacce ecologiche al pianeta. I combattimenti che imperversano in Ucraina, paese con il terzo potenziale nucleare più grande d'Europa, in una regione con un’industria che invecchia, eredità dell'era “sovietica”, presentano enormi rischi di disastri ecologici e nucleari. Ma più in generale, in Europa e nel mondo, se ufficialmente la transizione energetica rimane la priorità, la necessità di sbarazzarsi dei combustibili russi e rispondere all’impennata dei prezzi dell’energia stanno spingendo le principali economie a cercare già di rilanciare la produzione di carbone, petrolio, gas ed energia nucleare. Germania, Paesi Bassi e Francia hanno già annunciato misure in questa direzione.
L’imprevedibilità dello sviluppo degli scontri, la possibilità che sfuggano di mano, pericoli oggi maggiori che durante la Guerra Fredda, segnano l’attuale fase di decomposizione e costituiscono una delle dimensioni particolarmente preoccupanti di questa accelerazione del militarismo. Più che mai, l’attuale barbarie bellica evidenzia l’attualità per l’umanità dell'alternativa “socialismo o distruzione dell'umanità”. Al posto della morte e della barbarie capitalista: il socialismo!
R. Havannais, 4 luglio 2022
[1] “Rapporto alla Conferenza della Sinistra Comunista di Francia del luglio 1945”.
Nel marzo 2022 abbiamo pubblicato una prima dichiarazione sulla guerra in Ucraina del gruppo anarcosindacalista KRAS in Russia, una coraggiosa espressione di internazionalismo che si oppone a entrambe le parti di questa guerra imperialista[1]. Abbiamo anche pubblicato un articolo sull'incoerenza della risposta anarchica alla guerra, che comprende posizioni genuinamente internazionaliste come quelle del KRAS, ma anche dichiarazioni apertamente borghesi a favore della difesa militare dell'Ucraina, e persino la partecipazione diretta allo sforzo bellico ucraino da parte delle "milizie" anarchiche[2]. Il gruppo Black Flag in Ucraina, ad esempio, ha costituito un proprio plotone all'interno delle forze di difesa territoriale istituite dallo Stato ucraino. E mentre parla di anarco-comunismo per il futuro, non può nascondere il suo sostegno alla nazione in questo preciso momento: “grazie per il sostegno e per la lotta per la libertà in alcuni battaglioni ucraini. La verità vince, quindi l'Ucraina vincerà”[3]. E all'interno della stessa Russia, ci sono anarchici come il gruppo Anarchist Fighter che afferma di essere contro il regime di Putin e chiede persino la sconfitta dell'imperialismo russo in questa guerra, ma al tempo stesso sostiene anche che “Per quanto riguarda l'Ucraina, la sua vittoria aprirà anche la strada al rafforzamento della democrazia di base - dopotutto, se sarà raggiunta, sarà solo attraverso l'auto-organizzazione popolare, l'assistenza reciproca e la resistenza collettiva”[4]. Questa è una spudorata distorsione dello slogan del “disfattismo rivoluzionario” lanciato da Lenin durante la Prima guerra mondiale: quando Lenin insisteva sulla necessità della lotta di classe contro il regime zarista, anche se questo significava la sconfitta militare della Russia, non significava mai sostenere il campo avverso guidato dall'imperialismo tedesco. Mentre il sostegno alla vittoria ucraina offerto da questi anarchici può solo significare sostegno alla macchina da guerra della NATO.
L'attuale dichiarazione del KRAS chiarisce che i “difensori” sono completamente dalla parte dell'ordine capitalista. Questo include degli anarchici in Ucraina che equiparano l'internazionalismo del KRAS, la sua opposizione al nazionalismo di entrambi i campi, con il sostegno al regime di Putin e alla sua guerra brutale. In realtà, questi elementi, pubblicando i nomi e gli indirizzi dei militanti del KRAS, li hanno esposti direttamente alla repressione delle forze di sicurezza russe. Pubblichiamo questa nuova dichiarazione del KRAS come attestato basilare di solidarietà con questi compagni[5].
CCI
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La sezione dell’International Workers’ Association nella regione della Russia chiama al boicottaggio dei provocatori e degli informatori che si nascondono dietro il nome di “anarchici” e denunciano i militanti della nostra organizzazione
La nostra posizione contro la guerra condotta dalle oligarchie capitaliste per la spartizione dello “spazio post-Sovietico” è stata accolta con comprensione e sostegno dagli internazionalisti anarchici in Ucraina, Moldavia e Lituania, con i quali manteniamo contatti.
Ma fin dall'inizio della guerra russo-ucraina, i cosiddetti “anarchici”, che hanno abbandonato la tradizionale posizione internazionalista anarchica di combattere tutti gli Stati e le nazioni e che sostengono una delle parti in conflitto, hanno lanciato una campagna di diffamazione contro la nostra organizzazione.
Ad esempio, gli ex anarchici Anatoly Dubovik e Oleksandr Kolchenko, che vivono in Ucraina, hanno pubblicato su internet i nomi e gli indirizzi dei nostri militanti. Il primo di questi ha scritto il testo corrispondente, il secondo gli ha fornito il suo account Facebook per la pubblicazione e lo ha approvato. Il motivo è che la nostra organizzazione ha preso una posizione internazionalista coerente e condanna sia l'invasione Russa dell'Ucraina sia il nazionalismo ucraino e la politica espansionistica del blocco NATO.
I signori Dubovik e Kolchenko hanno cercato in modo sfacciato e impudente di diffamare la nostra sezione IWA cercando di attribuirci, senza alcun fondamento, una posizione di difesa del Cremlino essi ammettono che stiamo chiedendo ai soldati ucraini e russi di rifiutarsi di combattere.
Ciò significa che questi falsi anarchici, pubblicando gli indirizzi di militanti contro la guerra che si trovano in Russia, incitano direttamente i servizi segreti russi e gli sgherri nazionalisti contro di loro, in quanto oppositori della guerra, al fine di affrontarli fisicamente!
Nelle condizioni di continue vessazioni, licenziamenti, minacce e rappresaglie fisiche contro gli antimilitaristi in Russia, tali azioni equivalgono a una vera e propria delazione con un'indicazione diretta su chi le forze repressive dovrebbero rivolgere la loro attenzione.
Ancora una volta, i nazionalisti di entrambi i fronti, seguendo la logica del “chi non è con noi è contro di noi”, sono pronti ad unirsi per distruggere i loro principali avversari, gli internazionalisti che si rifiutano di scegliere tra Stati in guerra e cricche borghesi, tra la peste e il colera.
Gli anarchici di tutto il mondo devono essere consapevoli delle vergognose azioni dei provocatori-informatori e rifiutarsi una volta per tutte di avere a che fare con loro, cacciandoli per sempre dall'ambiente anarchico e rispedendoli dai loro padroni e maestri dei servizi segreti e della polizia segreta!
La dichiarazione è stata approvata in un referendum dei membri del KRAS-IWA
[2] Between internationalism and the "defence of the nation" [65] (Tra internazionalismo e difesa della nazione [65])
[5] La dichiarazione del KRAS è stata pubblicata anche da altri internazionalisti, in particolare dalla Communist Workers Organisation [68] e dall'Anarchist Communist Group [69]. Per contro, la sezione dell'IWA in Gran Bretagna, Solidarity Federation, non sembra aver pubblicato la dichiarazione del KRAS.
La CCI ha adottato le tesi su “La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo” [7] (Rivista Internazionale n. 14), nel maggio del 1990, qualche mese dopo il crollo del blocco dell’est che avrebbe preceduto la disgregazione dell’Unione Sovietica. La trappola che gli Stati Uniti tesero a Saddam Hussein, che spinse quest’ultimo ad invadere il Kuwait nell’agosto del 1990, e la conseguente concentrazione delle forze americane in Arabia Saudita costituivano una prima conseguenza della sparizione del blocco dell’est, il tentativo della potenza americana di serrare i ranghi dell’Alleanza atlantica minacciata di disgregazione a seguito della sparizione del suo avversario dell’est.
Fu in seguito a questi avvenimenti, che preparavano l’offensiva militare contro l’Iraq dei principali paesi occidentali sotto la direzione degli Stati Uniti, che la CCI discusse ed adottò un testo di orientamento su “Militarismo e decomposizione [26]” (Rivista Internazionale n.15) che costituiva un complemento alle tesi sulla decomposizione.
Nel 22° Congresso internazionale, nel 2017, la CCI ha adottato una attualizzazione delle Tesi sulla decomposizione (“Rapporto sulla decomposizione oggi [70]”, Rivista Internazionale n.35) che, fondamentalmente, confermava il testo adottato 27 anni prima. Oggi la guerra in Ucraina ci spinge a produrre un documento complementare sulla questione del militarismo simile a quello del 1990 di cui costituisce un’attualizzazione. Questa scelta è tanto più necessaria perché noi abbiamo commesso un errore non prevedendo lo scoppio di questa guerra, risultato di una dimenticanza da parte nostra del quadro di analisi che ci eravamo dati diversi decenni fa sulla questione della guerra nel periodo di decadenza del capitalismo.
1) Il testo “Militarismo e decomposizione [26]” del 1990 nel suo punto 1 ricorda il carattere vivente del metodo marxista e la necessità di confrontare sempre le analisi che abbiamo potuto fare in passato con le nuove realtà che ci si presentano, o per confermarle o per aggiustarle e precisare. Non è necessario ritornarci in questo testo. Piuttosto, di fronte alle interpretazioni errate dell’attuale guerra in Ucraina che ci vengono fornite da certi “esperti” borghesi, ma anche dalla maggioranza dei gruppi dell’ambiente politico proletario, è utile ritornare sulle basi del metodo marxista rispetto alla questione della guerra, e più in generale sul materialismo storico.
Alla base di questo c’è l’idea che: “nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.” (Marx, Prefazione alla critica dell’economia politica). Questa predominanza della base materiale economica sugli altri aspetti della vita della società è stata spesso l’oggetto di una interpretazione meccanica e riduzionista. Engels lo rileva e ne fa una critica in una lettera a Joseph Bloch del settembre 1890 (e in molti altri testi): “Secondo la concezione materialistica della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa – costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. -, le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose e il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. È in un’azione reciproca di tutti questi momenti che alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali (…)”
Evidentemente non possiamo chiedere agli “esperti” della borghesia di basarsi sul metodo marxista. Quello che rattrista invece è costatare che molte organizzazioni che rivendicano esplicitamente il marxismo e che difendono effettivamente questo metodo per quanto riguarda i principi fondamentali del movimento operaio, come l’internazionalismo proletario, si attengono, relativamente all’analisi delle cause delle guerre, non alla visione difesa da Engels, ma a quella che egli critica. Per esempio, a proposito della guerra del Golfo del 1990-91, abbiamo potuto leggere questo: “Gli Stati Uniti hanno definito apertamente l’interesse nazionale americano che li spingeva ad agire: garantire un approvvigionamento stabile e a un prezzo ragionevole del petrolio prodotto nel Golfo: lo stesso interesse che li faceva sostenere l’Iraq contro l’Iran li fa sostenere ora l’Arabia Saudita e le petromonarchie contro l’Iraq” (Volantino del PCInt – Le prolétaire). O ancora: “Nei fatti la crisi del Golfo è realmente una crisi per il petrolio e per chi lo controlla. Senza petrolio a buon mercato i profitti calano. I profitti del capitalismo occidentale sono minacciati ed è per questo motivo e nessun altro che gli Stati Uniti preparano un bagno di sangue in Medio Oriente…” (Volantino della CWO, sezione in Gran Bretagna della Tendenza Comunista Internazionalista). Un’analisi completata dalla sezione della TCI in Italia, Battaglia Comunista : “Il petrolio, presente direttamente o indirettamente in tutti i cicli produttivi, ha un peso determinante nel processo di formazione della rendita monopolista e, di conseguenza, il controllo del suo prezzo è di una importanza vitale (…) Con un’economia che dà chiaramente dei segni di recessione, un debito pubblico di una dimensione asfissiante, un apparato produttivo in forte deficit di produttività rispetto ai concorrenti europei e giapponesi, gli Stati Uniti non possono per niente permettersi in questo momento di perdere il controllo di una delle variabili fondamentali di tutta l’economia mondiale: il prezzo del petrolio.”
Quanto è avvenuto da più di 30 anni in Medio Oriente ha smentito questo tipo di analisi. Le diverse avventure degli Stati Uniti in questa regione (come la guerra iniziata nel 2003 da Bush junior) hanno avuto per la borghesia americana un costo economico incomparabilmente superiore a tutto quello che ha potuto apportare loro il controllo del prezzo del petrolio.
L’attuale guerra in Ucraina non ha degli obiettivi direttamente economici. Né per la Russia che ha scatenato le ostilità il 24 febbraio 2022, né per gli Stati Uniti che da più di due decenni hanno approfittato dell’indebolimento della Russia seguito al crollo del suo impero nel 1989 per spingere l’estensione della NATO fino alle frontiere di questo paese. La Russia, se pure arrivasse a stabilire il suo controllo su nuove porzioni dell’Ucraina, dovrà sostenere spese colossali per ricostruire quelle regioni che oggi sta devastando. D’altra parte, nel tempo, le sanzioni economiche prese dai paesi occidentali indeboliranno ancora di più un’economia già poco florida. Dal lato occidentale quelle stesse sanzioni implicano anche esse un costo considerevole, senza contare l’aiuto militare all’Ucraina che già ammonta a decine di miliardi di dollari. In realtà questa guerra costituisce una nuova illustrazione delle analisi della CCI per quello che riguarda la guerra nel periodo di decadenza del capitalismo e più particolarmente nella fase di decomposizione che costituisce il punto culminante di questa decadenza.
2) Dall’inizio del ventesimo secolo il movimento operaio ha messo in evidenza che l’imperialismo e la guerra imperialista costituivano la manifestazione più significativa dell’entrata del modo di produzione capitalista nella sua fase di declino storico, della sua decadenza. Questo cambiamento di periodo storico comportava una modificazione fondamentale nelle cause delle guerre. La Sinistra Comunista di Francia descrisse in modo luminoso i tratti di questa modificazione:
«Nell’epoca del capitalismo ascendente le guerre (nazionali, coloniali e di conquista imperialista) esprimevano la marcia ascendente di fermentazione, di rafforzamento e di allargamento del sistema economico capitalista. La produzione capitalista trovava nella guerra la continuazione della sua politica economica con altri mezzi. Ogni guerra si giustificava e pagava i suoi costi aprendo un nuovo campo di una più grande espansione, assicurando lo sviluppo di una più grande produzione capitalista.
Nell’epoca del capitalismo decadente, la guerra – allo stesso titolo che la pace – esprime questa decadenza e concorre potentemente ad accelerarla.
Sarebbe sbagliato vedere nella guerra un fenomeno in sé, negativo per definizione, distruttore ed ostacolo allo sviluppo della società, in opposizione alla pace che, invece, sarà presentata come il corso normale e positivo dello sviluppo continuo della produzione e della società. Significherebbe introdurre un concetto morale in un corso obiettivo, economicamente determinato.
La guerra fu il mezzo indispensabile al capitalismo che gli aprì possibilità di ulteriore sviluppo nell’epoca in cui queste possibilità esistevano e non potevano essere aperte se non attraverso lo strumento della violenza. Invece il declino del mondo capitalista, che ha esaurito storicamente tutte le possibilità di sviluppo, trova nella guerra moderna, la guerra imperialista, l’espressione del suo declino che, senza aprire alcuna possibilità di sviluppo ulteriore per la produzione, non fa che sprofondare nell’abisso le forze produttive ed accumulare ad un ritmo accelerato rovine su rovine.
Nel sistema capitalista non esiste una opposizione fondamentale tra guerra e pace, ma esiste una differenza tra le due fasi, ascendente e decadente, della società capitalista e, di conseguenza, una differenza di funzione della guerra (nel rapporto della guerra e della pace) nelle due rispettive fasi.
Se, nella prima fase, la guerra ha la funzione di assicurare un allargamento del mercato, al fine di una più grande produzione di beni di consumo, nella seconda fase la produzione è essenzialmente basata sulla produzione di mezzi di distruzione, cioè in vista della guerra. La decadenza della società capitalista trova la sua manifestazione eclatante nel fatto che dalle guerre in vista dello sviluppo economico (periodo ascendente), si arriva a che l’attività economica si restringe essenzialmente in vista della guerra (periodo decadente).
Questo non significa che la guerra sia diventata il fine della produzione capitalista, che resta sempre la produzione di plusvalore, ma significa che la guerra, prendendo un carattere permanente, è diventato il modo di vivere del capitalismo decadente” (Rapporto alla Conferenza di luglio 1945 della Sinistra Comunista di Francia – GCF -, ripreso nel "The Historic Course [71]” rapporto adottato al 3°Congresso della CCI, International Review n.18[1]).
Questa analisi, formulata nel 1945, si è rivelata fondamentalmente valida anche in seguito, anche in assenza di una nuova guerra mondiale. Dal 1945 il mondo ha conosciuto più di un centinaio di guerre, che hanno provocato almeno altrettanto morti della Seconda Guerra mondiale. Una situazione che è proseguita, ed anche intensificata dopo il crollo del blocco dell’est e la fine della “Guerra fredda” che costituivano la prima grande manifestazione dell’entrata del capitalismo nella sua fase di decomposizione. Il nostro testo del 1990 già lo indicava: “La decomposizione generale della società costituisce la fase ultima del periodo di decadenza del capitalismo. In questo senso, in questa fase non sono rimesse in causa le caratteristiche proprie del periodo di decadenza: la crisi storica dell'economia capitalista, il capitalismo di Stato, il militarismo e l'imperialismo. Di più, nella misura in cui la decomposizione si presenta come il culmine delle contraddizioni nelle quali si dibatte in modo crescente il capitalismo dall'inizio della sua decadenza, le caratteristiche proprie di questo periodo si trovano, nella fase ultima, ancora più accentuate(…) Come la fine dello stalinismo non rimette in causa la tendenza storica al capitalismo di Stato, la scomparsa attuale dei blocchi imperialisti non implica la minima rimessa in causa della presa dell'imperialismo sulla vita della società. La differenza fondamentale risiede nel fatto che se la fine dello stalinismo corrisponde all'eliminazione di una forma particolarmente aberrante del capitalismo di Stato, la fine dei blocchi non fa che aprire la porta ad una forma ancora più barbara, aberrante e caotica dell'imperialismo.” La guerra del Golfo nel 1990-91, quella nella ex-Jugoslavia lungo il1990, la guerra in Iraq durata 11 anni a partire dal 2003, quella in Afganistan che è durata una ventina d’anni e molte altre ancora di minore importanza, in particolare in Africa, sono venuti a confermare questa previsione.
Oggi la guerra in Ucraina, cioè nel cuore dell’Europa, ha nuovamente illustrato questa realtà e ad un livello ancora più importante. Essa costituisce una conferma eloquente della tesi della CCI sulla completa irrazionalità, dal punto di vista degli interessi globali di questo sistema, della guerra nella decadenza del capitalismo (vedere il testo “The significance and impact of the war in Ukraine [72]”, International Review n.168, adottato a maggio 2022).
3) In effetti, anche se la distinzione fra le guerre del 19° secolo e quelle del 20°, come viene fatta nel testo del 1945 della GCF, è perfettamente valido, anche se è globalmente giusta l’idea che “La decadenza della società capitalista trova la sua manifestazione eclatante nel fatto che dalle guerre in vista dello sviluppo economico (periodo ascendente), si arriva a che l’attività economica si restringe essenzialmente in vista della guerra (periodo decadente)”, non si può attribuire una causa direttamente economica a tutte le guerre del 19° secolo. Per esempio, le guerre napoleoniche hanno avuto un costo catastrofico per la borghesia francese, cosa che, alla fine, l’ha indebolita considerevolmente rispetto alla borghesia inglese, facilitando il cammino di questa verso la sua posizione dominante dalla metà del 19° secolo. Lo stesso si può dire per la guerra del 1870 fra la Prussia e la Francia. In questo ultimo caso Marx (nel “Primo indirizzo del Consiglio Generale sulla guerra franco-tedesca”) riprende il termine di “guerra dinastica” utilizzata dagli operai francesi e tedeschi per qualificare questa guerra. Dal lato tedesco, il re di Prussia mirava a costituirsi un impero raggruppando intorno alla sua corona la moltitudine di piccoli Stati germanici che, in precedenza, non erano riusciti che a costituire un’unione doganale (Zollverein). L’annessione dell’Alsazia-Lorena era il regalo di questo matrimonio. Per Napoleone III la guerra doveva servire fondamentalmente a rafforzare una struttura politica, il secondo Impero, minacciato dallo sviluppo industriale della Francia. Dal lato prussiano, al di là delle ambizioni del monarca, questa guerra permetteva di creare una unità politica della Germania, quello che ha gettato le basi del pieno sviluppo industriale di questo paese, mentre dal lato francese essa era totalmente reazionaria. Nei fatti l’esempio di questa guerra illustra perfettamente la presentazione che fa Engels del materialismo storico. Possiamo vedere le sovra-strutture della società, in particolare quelle politiche ed ideologiche (la forma di governo e la creazione di un sentimento nazionale), giocare un ruolo importante nel decorso degli avvenimenti. Allo stesso tempo si vede la base economica della società imporsi in ultima istanza con la realizzazione dello sviluppo industriale della Germania e quindi dell’insieme del capitalismo.
In effetti, le analisi che si vogliono “materialiste”, cercando in ogni guerra una causa economica, dimenticano che il materialismo marxista è anche dialettico. E questa “dimenticanza” diventa un ostacolo considerevole per la comprensione dei conflitti imperialisti della nostra epoca, che è proprio segnata dal notevole rafforzamento del militarismo nella vita della società.
4) Il testo “Militarismo e decomposizione [26]” del 1990 consacra una parte importante al ruolo che avrebbe preso la potenza americana nei conflitti imperialisti dell’epoca che si apriva: “Nel nuovo periodo storico in cui siamo entrati, e gli avvenimenti del Golfo lo confermano, il mondo si presenta con un carattere di instabilità, dove regna la tendenza al "ciascuno per se", dove le alleanze tra Stati non avranno più il carattere di stabilità che caratterizzava i blocchi, ma saranno dettati dalla necessità del momento. Un mondo di disordine cruento, di caos sanguinoso nel quale il gendarme americano tenterà di far regnare un minimo di ordine con l'uso sempre più massiccio e brutale della propria potenza militare.” Questo ruolo di “gendarme del mondo” gli Stati Uniti hanno continuato a giocarlo dopo il crollo del loro rivale nella Guerra fredda, come si è visto in Jugoslavia, in particolare alla fine degli anni ’90 e soprattutto in Medio Oriente dall’inizio del 21° secolo (in particolare con l’Afganistan e l’Iraq). Essi hanno ugualmente assunto questo ruolo in Europa integrando nuovi paesi nell’organizzazione militare che essi controllano, la NATO, paesi che precedentemente facevano parte del Patto di Varsavia o addirittura dell’URSS (Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia). La questione che era già posta nel 1990 con la fine della divisione del Mondo tra il blocco occidentale e il blocco dell’est, era quella dell’instaurazione di una nuova divisione del mondo come era avvenuto dopo la Seconda Guerra mondiale: “Finora, nel periodo di decadenza, una tale situazione di dispersione degli antagonismi imperialisti, di assenza di una divisione del mondo (o delle sue zone decisive) tra due blocchi, non si è mai prolungata. La sparizione delle due costellazioni imperialiste che erano uscite dalla seconda guerra mondiale porta con sé la tendenza alla ricomposizione di due nuovi blocchi.” (“After the collapse of the Eastern Bloc, destabilization and chaos”, International Review n.61).
Allo stesso tempo questo testo segnalava tutti gli ostacoli che si presentavano rispetto a un tale processo, e in particolare quello rappresentato dalla decomposizione del capitalismo: “la tendenza a una nuova divisione del mondo tra due blocchi militari è contrastata, e forse anche definitivamente compromessa, dal fenomeno sempre più profondo e generalizzato di decomposizione della società che noi abbiamo già messo in evidenza.” Questa analisi era sviluppata nel testo Militarismo e decomposizione [26], e, 3 decenni dopo, l’assenza di una tale divisione del Mondo tra due blocchi militari l’ha confermata.
Il testo "The significance and impact of the war in Ukraine [72]" sviluppa questa questione appoggiandosi largamente sul testo del 1990 per mettere in evidenza che la ricostituzione di due blocchi imperialisti che si dividano il mondo continua a non essere all’ordine del giorno. Può valere la pena di ricordare quello che scrivevamo nel 1990:
" All'inizio del periodo di decadenza, e fino ai primi anni della seconda guerra mondiale, poteva esistere una certa "parità" tra differenti! partner di una coalizione imperialista, benché il bisogno di un capo gruppo si sia sempre fatto sentire. Per esempio, nella prima guerra mondiale, non esisteva, in termini di potenza militare operativa, una fondamentale disparità tra i tre “vincitori”: Gran Bretagna, Francia e USA. Questa situazione era già cambiata in modo molto importante nel corso della seconda guerra, dove i "vincitori" erano posti sotto la dipendenza stretta degli Stati Uniti che manifestavano una considerevole superiorità sui loro "alleati". Essa si accentuava ulteriormente durante il periodo di "guerra fredda" (appena terminato), dove ogni capo blocco, Stati Uniti e URSS, soprattutto per il controllo degli armamenti nucleari più sofisticati, disponeva di una superiorità che soverchiava completamente quella degli altri paesi del proprio blocco. Una tale tendenza si spiega con il fatto che, con l'affossamento del capitalismo nella sua decadenza:
Questo ultimo fattore è come il capitalismo di Stato: più le differenti frazioni di una borghesia nazionale tendono ad affrontarsi tra di loro, con l'aggravamento della crisi che accresce la loro concorrenza, e più lo Stato deve rinforzarsi per poter esercitare la sua autorità su di esse. Allo stesso modo, più la crisi storica, e la sua forma aperta, produce danni, più un capo blocco deve essere forte per contenere e controllare le tendenze al suo smembramento tra le differenti frazioni nazionali che lo compongono. Ed è chiaro che nella fase ultima della decadenza, quella della decomposizione, un tale fenomeno non può che aggravarsi ancora fino a dimensioni considerevoli.
È per questo insieme di ragioni, e soprattutto per l'ultima, che la ricostituzione di una nuova coppia di blocchi imperialisti non solo non è possibile prima di molti anni, ma può benissimo non aver mai più luogo, intervenendo prima la rivoluzione o la distruzione dell’umanità.”
Oggi questa analisi resta completamente valida ma bisogna segnalare che nel testo del 1990 avevamo completamente omesso di considerare che la Cina potesse diventare un giorno una nuova testa di blocco, mentre è oggi chiaro che questo paese sta diventando il principale rivale degli Stati Uniti. Dietro questa omissione c’era un errore maggiore di analisi: non avevamo previsto che la Cina potesse diventare una potenza economica di primo piano, che è una pre-condizione perché un paese possa pretendere di assumere il ruolo di leader di un blocco imperialista. D’altra parte è quello che ha capito la borghesia cinese: essa non potrà fare concorrenza alla borghesia americana sul piano militare se non si dota di una potenza economica e tecnologica capace di sostenere la sua potenza militare, per non conoscere la stessa sorte che ha conosciuto l’Unione Sovietica alla fine degli anni ’80. È anche per questa ragione che la Cina, anche se allarga in maniera crescente le sue ambizioni militari (in particolare rispetto a Taiwan), non può ancora, e per un buon momento ancora, pretendere di raggruppare intorno a sé un nuovo blocco imperialista.
5) La guerra in Ucraina ha rinnovato le inquietudini rispetto a una Terza Guerra mondiale, in particolare con le allusioni di Putin sull’arma nucleare. È importante notare che per la guerra mondiale non è lo stesso che per i blocchi imperialisti. Nei fatti, una guerra mondiale costituisce la fase ultima della costituzione dei blocchi. Più precisamente, è l’esistenza di blocchi imperialisti costituiti che fa sì che una guerra che, in partenza, non coinvolge che un numero limitato di paesi, degenera, attraverso il gioco delle alleanze, in una conflagrazione generalizzata. Così, lo scoppio della Prima Guerra mondiale, le cui cause storiche profonde derivano dall’acutizzarsi delle rivalità imperialiste fra le potenze europee, prende la forma di un intreccio di situazioni in cui i differenti alleati entrano progressivamente nel conflitto: l’Austria-Ungheria, con il sostegno del suo alleato tedesco, vuole mettere a profitto l’uccisione a Sarajevo dell’erede al trono, il 28 giugno 1914, per mettere al passo il Regno di Serbia, accusato di attizzare il nazionalismo delle minoranze serbe nell’Impero austro-ungarico. Questa riceve immediatamente il sostegno del suo alleato russo che, da parte sua, ha firmato con la Gran Bretagna la “Triplice Intesa”. All’inizio di agosto del 1914 tutti questi paesi entrano in guerra l’uno contro l’altro, trascinando in seguito altri paesi, come il Giappone, l’Italia nel 1915 e gli Stati Uniti nel 1917. Analogamente, nel settembre del 1939, quando la Germania attacca la Polonia, è un trattato del 1920 tra la Polonia, il Regno Unito e la Francia che porta questi due paesi a dichiarare guerra alla Germania, mentre le loro borghesie non si auguravano un tale conflitto, come dimostrato dalla firma del trattato di Monaco un anno prima. Il conflitto fra le tre principali potenze europee si estende rapidamente all’insieme del mondo.
Oggi, l’articolo 5 del trattato NATO stabilisce che un attacco contro uno dei suoi membri sarà considerato come un attacco contro tutti gli alleati. È per questo che i paesi che prima del 1989 appartenevano al Patto di Varsavia (e anche all’Unione Sovietica, come i paesi baltici) hanno aderito con entusiasmo alla NATO: questo costituiva la garanzia che la vicina Russia non avrebbe provato ad attaccarli. Lo stesso atteggiamento che assumono adesso la Finlandia e la Svezia dopo decenni di “neutralità”. Perciò Putin non poteva accettare una situazione in cui lo Stato ucraino rischiava di aggiungersi alla NATO, come scritto nella sua Costituzione.
Quindi l’assenza di una divisione del Mondo in due blocchi significa che una terza guerra mondiale non è attualmente all’ordine del giorno, e forse non lo sarà mai più. Tuttavia sarebbe irresponsabile sottostimare la gravità della situazione mondiale. Come scrivevamo nel gennaio 1990:
“È per questo che è fondamentale mettere in evidenza che, se la soluzione del proletariato – la rivoluzione comunista – è la sola che possa opporsi alla distruzione dell’umanità (che è la sola “soluzione” che la borghesia possa apportare alla sua crisi), questa distruzione non risulterebbe necessariamente da una terza guerra mondiale. Essa potrebbe anche risultare dal procedere fino alle sue estreme conseguenze di questa decomposizione (catastrofi ecologiche, epidemie, carestie, guerre locali, ecc.).
L’alternativa storica “Socialismo o Barbarie”, messa in evidenza dal marxismo, dopo essersi concretizzata sotto la forma di “Socialismo o Guerra imperialista mondiale” per la maggior parte del 20° secolo, si era precisata sotto la terrificante forma di “Socialismo o Distruzione dell’umanità” nel corso degli ultimi decenni a causa dello sviluppo delle armi atomiche. Oggi, dopo il crollo del blocco dell’Est, questa prospettiva resta del tutto valida. Ma bisogna precisare che una tale distruzione può provenire dalla guerra imperialista O dalla decomposizione della società.” ("After the collapse of the Eastern Bloc, destabilization and chaos, idem)
I tre decenni successivi all’adozione di questo documento da parte della CCI hanno ben messo in evidenza che anche al di fuori di una terza guerra mondiale, “le catastrofi ecologiche, le epidemie, le carestie, le guerre locali” sono i quattro cavalieri dell’apocalisse che minacciano la sopravvivenza dell’umanità.
6) Il Testo di orientamento “Militarismo e decomposizione” si concludeva con una parte su “Il proletariato di fronte alla guerra imperialista”. Tenuto conto dell’importanza di questa questione, può valere la pena di citare larghi estratti di questa parte, piuttosto che parafrasarlo:
"Più che mai dunque la questione della guerra resta centrale nella vita del capitalismo e costituisce, di conseguenza, un elemento fondamentale per la classe operaia. L'importanza di questa questione non è evidentemente nuova. Essa era già centrale sin dalla prima guerra mondiale (come messo in evidenza dai congressi internazionali di Stoccarda nel 1907 e di Basilea nel 1912). Essa diventa ancora più decisiva, evidentemente, nel corso del primo macello imperialista, come messo in evidenza dall'azione di Lenin, di Rosa Luxemburg, di Liebknecht, nonché dalla rivoluzione in Russia e Germania. Essa conserva tutta la sua acutezza tra le due guerre mondiali, in particolare durante la guerra di Spagna, senza parlare, evidentemente, dell'importanza che essa riveste nel corso del più grande olocausto di questo secolo, tra il 1939 e il 1945. Essa ha conservato infine tutta la sua importanza nel corso delle differenti guerre di "liberazione nazionale" dopo il 1945, momenti dello scontro tra i due blocchi imperialisti. Nei fatti, dopo l'inizio del secolo, la guerra è stata la questione più decisiva che abbiano affrontato il proletariato e le sue minoranze rivoluzionarie, molto prima della questione sindacale o parlamentare, per esempio. E non poteva che essere così nella misura in cui la guerra costituisce la forma più concentrata della barbarie del capitalismo decadente, quella che esprime la sua agonia e la minaccia che fa pesare sulla sopravvivenza dell'umanità.
Nel periodo attuale in cui, più ancora che nei decenni passati, la barbarie guerriera sarà un dato permanente e onnipresente della situazione mondiale, implicando in modo crescente i paesi sviluppati (nei soli limiti che potrà fissarle il proletariato di questi paesi), la questione della guerra è ancora più essenziale per la classe operaia. È noto che la CCI ha messo in evidenza da molto tempo che, contrariamente al passato, lo sviluppo di una prossima ondata rivoluzionaria non verrà fuori dalla guerra, ma dall'aggravamento della crisi economica. Questa analisi resta del tutto valida: le mobilitazioni operaie, i punti di partenza dei grandi scontri di classe, proverranno dagli attacchi economici. Nello stesso modo, sul piano della presa di coscienza, l'aggravamento della crisi sarà un fattore fondamentale rivelando il fallimento storico del modo di produzione capitalista. Ma, proprio su questo piano della presa di coscienza, la questione della guerra è chiamata, ancora una volta, a giocare un ruolo di prim'ordine:
È vero che la guerra può essere utilizzata contro la classe operaia molto più facilmente che la stessa crisi e gli attacchi economici perché:
Oggi, la guerra in Ucraina provoca effettivamente un sentimento di impotenza tra i proletari, quando non si trasforma in una drammatica irreggimentazione e nel trionfo dello sciovinismo, come è il caso in questo paese e anche, in parte, in Russia. Nei paesi occidentali essa permette anche un certo rafforzamento dell’ideologia democratica grazie ai fiumi di propaganda veicolati dai mezzi di informazione. Secondo questi, noi saremmo di fronte ad uno scontro tra, da un lato, il “male”, la “dittatura” (Putin) e dall’altro il “bene”, la “democrazia” (Zelensky e i suoi sostenitori occidentali). Una tale propaganda era evidentemente meno efficace nel 2003 quando il “boss” della “Grande democrazia americana”, Bush junior, ha fatto la stessa cosa di Putin scatenando la guerra contro l’Iraq (utilizzazione di una grande menzogna, violazione della “legge internazionale” dell’ONU, uso di armi “proibite”, bombardamento delle popolazioni civili, “crimini di guerra”).
Ciò detto, è necessario avere presente l’analisi che la CCI ha sviluppato sulla questione dell’”anello debole”, mettendo avanti la differenza tra il proletariato dei paesi centrali, e in particolare quello dell’Europa occidentale, e quello dei paesi della periferia e del fu blocco “socialista” (vedere in particolare gli articoli “Critica della teoria dell’anello debole: il proletariato dell’Europa occidentale al centro della generalizzazione della lotta di classe”, Rivista Internazionale n.7, novembre 1983 – e: “Debate: On the critique of the theory of the "weakest link" [73], International Review n.37). La guerra fra la Russia e l’Ucraina sottolinea la grande debolezza politica del proletariato di questi paesi. La guerra attuale avrà un impatto politico negativo anche sul proletariato dei paesi centrali ma questo non significa che il bombardamento sulle idee democratiche a cui è sottoposto lo paralizzi definitivamente. In particolare, già adesso esso subisce le conseguenze di questa guerra attraverso gli attacchi economici che accompagnano la spettacolare crescita dell’inflazione (che era cominciata prima della guerra, ma accentuata da questa). Necessariamente esso dovrà riprendere il cammino della lotta di classe contro questi attacchi.
“Nell'attuale situazione storica, l'intervento dei comunisti all'interno della classe è determinato, oltre che dall'aggravarsi considerevole della crisi economica e degli attacchi che ne risultano contro l'insieme del proletariato, da:
È importante dunque che questa questione figuri in permanenza in primo piano nella propaganda dei rivoluzionari. E nei periodi, come quelli attuali, in cui questa questione si trova nei primi piani dell'attualità internazionale, è importante che essi mettano a profitto la particolare sensibilizzazione degli operai a questo riguardo, dandovi una priorità ed una insistenza tutta particolare.
In particolare, le organizzazioni rivoluzionarie avranno il dovere di vegliare e:
7) Questi orientamenti formulati più di 30 anni fa restano interamente validi oggi. Ma, nella nostra propaganda di fronte alla guerra imperialista, è anche necessario ricordare la nostra analisi sulla condizione della generalizzazione delle lotte rivoluzionarie, analisi sviluppata in particolare nel nostro testo del 1981 “Le condizioni storiche della generalizzazione della lotta della classe operaia” (Rivoluzione Internazionale n.27 e 28). Per decenni i rivoluzionari, basandosi sugli esempi della Comune di Parigi (seguita alla guerra franco-prussiana), della rivoluzione del 1905 in Russia (durante la guerra russo-giapponese), del 1917 in questo stesso paese, del 1918 in Germania, hanno pensato che la guerra imperialista creava le migliori condizioni per la rivoluzione proletaria, o anche che questa non poteva scaturire che dalla guerra mondiale. È un’analisi ancora molto diffusa fra i gruppi della Sinistra Comunista, cosa che spiega in parte la loro incapacità a capire la questione del corso storico. Solo la CCI ha rimesso chiaramente in discussione questa analisi per tornare all’analisi “classica” sviluppata da Marx ed Engels ai loro tempi (e in parte da Rosa Luxemburg) che considerava che la lotta rivoluzionaria del proletariato sarebbe scaturita dal crollo economico del capitalismo e non dalla guerra fra Stati capitalisti.
Possiamo riassumere così gli argomenti posti a sostegno della nostra analisi:
1. Se in un paese la guerra provoca delle reazioni di massa da parte del proletariato, la borghesia dispone di una carta maggiore per tagliare l’erba sotto i piedi di queste reazioni: l’arresto delle ostilità, l’uscita dalla guerra. È quello che è avvenuto nel novembre del 1918 in Germania, dove la borghesia, istruita dall’esempio della rivoluzione in Russia, ha immediatamente firmato l’armistizio con i paesi dell’Intesa qualche giorno dopo l’insurrezione dei marinai del Baltico. Invece nessuna borghesia è capace di superare le convulsioni economiche che sarebbero alla base delle lotte di massa e generalizzate del proletariato.
2. “… la guerra produce dei vincitori come dei vinti, nello stesso momento in cui si sviluppa la collera rivoluzionaria contro la borghesia si sviluppa nella popolazione anche una tendenza alla vendetta. E questa tendenza vendicativa penetra fino nei ranghi dei rivoluzionari, come testimoniato dalla tendenza del “nazional-comunismo” nel KAPD e la lotta contro il trattato di Versailles che diventerà l’asse della propaganda del KPD. Peggio ancora è l’effetto prodotto sugli operai dei paesi vincitori. Come dimostrato già dal primo dopoguerra e ancora di più dal secondo, quello che prevale, affianco a una reale e lenta ripresa della lotta di classe, è uno spirito di rilassamento, se non un puro e semplice spirito sciovinista”. (Rivoluzione Internazionale n. 27 e 28)
3. La borghesia ha tirato gli insegnamenti della Prima Guerra mondiale e dell’ondata rivoluzionaria che questa provocò. Da una parte essa ha constatato che aveva bisogno di uno schiacciamento politico profondo del proletariato nei paesi centrali prima di impegnarsi nella Seconda Guerra mondiale. È quello che fu realizzato con l’istaurazione del terrore nazista in Germania e dell’arruolamento antifascista nei paesi degli Alleati. Dall’altra parte la classe dominante ha preso molteplici misure per prevenire o soffocare all’origine ogni sollevazione proletaria nel corso o alla fine della guerra, in particolare nei paesi vinti.
"In Italia, dove più forte era il pericolo, la borghesia, come abbiamo visto, si affretta a cambiare regime e poi alleanze. Nell'autunno del 1943 l'Italia è divisa in due, con il sud in mano agli alleati e il resto occupato dai nazisti; su consiglio di Churchill ("bisogna lasciar cuocere l'Italia nel suo brodo"), gli alleati ritardano la loro avanzata verso il nord ottenendo così due risultati: da un lato si lascia all'esercito tedesco il compito di reprimere il movimento proletario, dall'altro si consente alle forze "antifasciste" il compito di deviare questo stesso movimento dal terreno di una lotta anticapitalista a quello della lotta antifascista.(…)
In Germania, forte dell'esperienza del primo dopoguerra, la borghesia mondiale ha condotto un'azione sistematica per evitare il ritorno di avvenimenti simili a quelli del 1918-19. In primo luogo, poco prima della fine della guerra, gli Alleati procedono a uno sterminio di massa delle popolazioni dei quartieri operai attraverso bombardamenti senza precedenti di grandi città come Amburgo o Dresda, dove, il 13 febbraio 1945, 135.000 persone (il doppio di Hiroshima) muoiono sotto le bombe. Questo obiettivo non aveva nessun valore militare (e d'altra parte le armate tedesche erano già in piena rotta): si tratta in realtà di terrorizzare ed impedire ogni organizzazione del proletariato. In secondo luogo, gli Alleati rigettano ogni proposta di armistizio fino a che non hanno occupato la totalità del territorio tedesco: essi vogliono amministrare direttamente questo territorio sapendo che la borghesia tedesca vinta rischia di non essere capace di controllare da sola la situazione. Infine, dopo la capitolazione di questa, e in stretta collaborazione con essa, gli Alleati trattengono per lunghi mesi i prigionieri di guerra tedeschi, al fine di evitare la miscela esplosiva che il loro ricongiungimento con la popolazione civile avrebbe potuto costituire.
In Polonia, nel corso della seconda metà del 1944, è l'Armata Rossa che lascia lo sporco compito di massacrare gli operai insorti a Varsavia alle forze naziste: l'Armata Rossa aspettò dei mesi a pochi chilometri da Varsavia che le truppe tedesche soffocassero la rivolta. La stessa cosa avvenne a Budapest all'inizio del 1945.” (La lotta di classe contro la guerra imperialista. Le lotte operaie nell'Italia del 1943 [74], Rivista Internazionale n. 17).
4. L’insurrezione rivoluzionaria del proletariato durante la Prima Guerra mondiale era stata favorita dalle caratteristiche di questa: predominanza di scontri tra fanterie, guerra di trincea che favoriva la fraternizzazione tra i soldati dei due campi che si trovavano per lunghi periodi a qualche metro gli uni dagli altri. La Seconda Guerra mondiale non ha preso la forma di una guerra di trincea; essa è stata caratterizzata dall’uso massiccio di mezzi meccanici e tecnologici, in particolare i blindati e l’aviazione, una tendenza che da allora non ha fatto che rafforzarsi in maniera crescente; gli Stati ricorrono ad eserciti di mestiere capaci di utilizzare armi sempre più sofisticate, il che limita in maniera maggiore la possibilità di fraternizzazione diretta fra i combattenti dei due campi. Infine, ultimo ma non meno importante, una terza guerra mondiale farebbe ricorso, prima o poi, all’arma nucleare, cosa che risolve in maniera radicale la questione di un’insurrezione proletaria durante il suo svolgimento.
8) In passato abbiamo fatto la critica della parola d’ordine del “disfattismo rivoluzionario”. Questa parola d’ordine avanzata nel corso della Prima Guerra mondiale, in particolare da Lenin, si basava su una preoccupazione fondamentalmente internazionalista: la denuncia delle menzogne dei socialsciovinisti che affermavano che era necessario che il proprio paese vincesse la guerra per permettere ai proletari di questo paese di impegnarsi nella lotta per il socialismo. Di fronte a queste menzogne, gli internazionalisti affermarono che non era la vittoria di un paese che favoriva la lotta dei proletari di questo paese contro la loro borghesia, ma, al contrario, la sua sconfitta (come avevano mostrato gli esempi della Comune di Parigi dopo la sconfitta di fronte alla Prussia e della Rivoluzione del 1905 seguita alla sconfitta della Russia rispetto al Giappone). In seguito questa parola d’ordine del “disfattismo rivoluzionario” è stato interpretato come l’augurio da parte del proletariato di ogni paese di vedere la sconfitta della propria borghesia al fine di favorire la lotta per il rovesciamento di questa, cosa che, evidentemente, volta le spalle a un vero internazionalismo. In realtà Lenin stesso (che nel 1905 aveva salutato la sconfitta della Russia di fronte al Giappone) ha soprattutto messo avanti la parola d’ordine di “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile” che costituiva una concretizzazione dell’emendamento che aveva presentato, in compagnia di Rosa Luxemburg e di Martov, e fatto adottare al Congresso di Stoccarda dell’Internazionale Socialista nel 1907: “Nel caso in cui la guerra scoppiasse [i partiti socialisti] hanno il dovere di mobilitarsi immediatamente per farla subito cessare e di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare gli strati popolari più profondi e accelerare la caduta del domino capitalista.”
La rivoluzione in Russia del 1917 ha costituito una concretizzazione eclatante della parola d’ordine “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile”. I proletari hanno rivolto contro i loro sfruttatori quelle armi che questi ultimi gli avevano fornito per massacrare i loro fratelli di classe degli altri paesi. Ciò detto, come detto prima, anche se non è escluso che dei soldati possano ancora rivolgere le loro armi contro i loro ufficiali (durante la guerra in Vietnam è successo che dei soldati americani uccidessero “per caso” dei superiori gerarchici), tali fatti non potrebbero essere che di un’ampiezza molto limitata e non potrebbero in alcun modo costituire la base di un’offensiva rivoluzionaria. È per questo motivo che nella nostra propaganda conviene mettere avanti non solo la parola d’ordine “disfattismo rivoluzionario” ma anche quello della “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile”.
Più in generale, è responsabilità dei gruppi della Sinistra Comunista fare il bilancio delle prese di posizione dei rivoluzionari di fronte alla guerra in passato, mettendo in evidenza quello che resta valido (la difesa dei principi internazionalisti) e quello che non lo è più (le parole d’ordine “tattiche”). In questo senso se la parola d’ordine “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile” non può d’ora in avanti costituire una prospettiva realista, bisogna al contrario sottolineare la validità dell’emendamento adottato al Congresso di Stoccarda del 1907, e in particolare l’idea che i rivoluzionari “hanno il dovere di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare gli strati popolari più profondi e accelerare la caduta del domino capitalista.” Questa parola d’ordine non è evidentemente realizzabile nell’immediato, data la situazione attuale di debolezza del proletariato, ma resta una potente indicazione per l’intervento dei comunisti nella classe.
CCI, maggio 2022
[1] Tutti gli articoli citati dalla International Review sono disponibili anche in spagnolo e francese nei rispettivi numeri della Rivista in queste lingue
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“Quando è troppo è troppo”. Questo grido è risuonato da uno sciopero all'altro nelle ultime settimane nel Regno Unito. Questo movimento di massa, soprannominato “L'estate del malcontento”, in riferimento a “L’inverno del malcontento” del 1979, ha coinvolto ogni giorno i lavoratori di un numero sempre maggiore di settori: le ferrovie, la metropolitana di Londra, la British Telecom, le Poste, i portuali di Felixstowe (un porto chiave nel sud-est della Gran Bretagna), i lavoratori della nettezza urbana e gli autisti di autobus in varie parti del Paese, i lavoratori di Amazon, ecc. Oggi sono i lavoratori dei trasporti, domani potrebbero essere gli operatori sanitari e gli insegnanti.
Tutti i giornalisti e i commentatori parlano di questa come della più grande azione della classe operaia in Gran Bretagna da decenni a questa parte; solo i grandi scioperi del 1979 hanno prodotto un movimento più grande e più diffuso. Un'azione di questa portata in un Paese grande come la Gran Bretagna non è significativa solo a livello locale, ma è un evento di portata internazionale, un messaggio per gli sfruttati di ogni Paese.
Decennio dopo decennio, come in altri Paesi sviluppati, i governi britannici che si sono succeduti hanno attaccato senza sosta le condizioni di vita e di lavoro con un'unica conseguenza: rendere tali condizioni più precarie e flessibili per migliorare la competitività e il profitto nazionale. Questi attacchi hanno raggiunto un livello tale negli ultimi anni che la mortalità infantile in Gran Bretagna ha avuto “un aumento senza precedenti a partire dal 2014” (secondo la rivista medica BJM Open[1]).
Ecco perché l'attuale impennata dell'inflazione è un vero e proprio tsunami. Con un aumento dei prezzi del 10,1% su base annua a luglio, del 13% previsto a ottobre e del 18% a gennaio, i danni sono devastanti. L'NHS (Servizio sanitario inglese) ha avvertito che “molte persone potrebbero essere costrette a scegliere tra saltare i pasti per poter riscaldare la casa, o dover vivere al freddo e all'umidità”. Con un aumento dei prezzi di gas ed elettricità del 54% il 1° aprile e del 78% il 1° ottobre, la situazione è di fatto insostenibile.
La portata della mobilitazione dei lavoratori britannici oggi è finalmente all'altezza degli attacchi che stanno affrontando, quando negli ultimi decenni, soffrendo per i contraccolpi degli anni della Thatcher, non avevano la forza di reagire.
In passato i lavoratori britannici sono stati tra i più combattivi al mondo. “L’inverno del malcontento” del 1979, in base al conteggio delle giornate di sciopero registrate, è stato il movimento più massiccio di qualsiasi altro paese dopo il Maggio 1968 in Francia, persino superiore a “l’autunno caldo” del 1969 in Italia. Il governo Thatcher riuscì a reprimere in modo duraturo questa enorme combattività infliggendo ai lavoratori una serie di cocenti sconfitte, in particolare durante lo sciopero dei minatori del 1985. Questa sconfitta segnò un punto di svolta, con un prolungato declino della combattività operaia nel Regno Unito, e preannunciò addirittura il declino generale della combattività operaia in tutto il mondo. Cinque anni dopo, nel 1990, con il crollo dell'URSS, falsamente descritta come un regime “socialista”, e il non meno falso annuncio della “morte del comunismo” e del “definitivo trionfo del capitalismo”, è stato sferrato un colpo di grazia ai lavoratori di tutto il mondo. Da allora, privati di una prospettiva, con la fiducia e l'identità di classe erose, i lavoratori britannici, più gravemente che altrove, hanno subito gli attacchi dei governi che si sono succeduti senza essere in grado di reagire realmente.
Tuttavia, di fronte agli attacchi della borghesia, la rabbia si è accumulata e oggi la classe operaia britannica dimostra di essere nuovamente pronta a lottare per la propria dignità, a rifiutare i sacrifici costantemente richiesti dal capitale. Questo è inoltre indicativo di una dinamica internazionale: lo scorso inverno, gli scioperi hanno iniziato a manifestarsi in Spagna e negli Stati Uniti; quest'estate, anche la Germania e il Belgio ci sono stati scioperi; e ora, i commentatori prevedono “una situazione sociale esplosiva” in Francia e in Italia nei prossimi mesi. Non è possibile prevedere dove e quando la combattività dei lavoratori riemergerà su scala massiccia nel prossimo futuro, ma una cosa è certa: la portata dell'attuale mobilitazione dei lavoratori in Gran Bretagna è un evento storico significativo. I giorni della passività e della sottomissione sono passati. Le nuove generazioni di lavoratori stanno alzando la testa.
L'importanza di questo movimento non sta solo nel fatto che sta ponendo fine a un lungo periodo di passività. Queste lotte si sviluppano in un momento in cui il mondo si trova ad affrontare una guerra imperialista su larga scala, una guerra che contrappone sul terreno la Russia all'Ucraina, ma che ha un impatto globale con, in particolare, una mobilitazione dei Paesi membri della NATO. Un impegno in armi ma anche a livello economico, diplomatico e ideologico. Nei paesi occidentali, i governi chiedono sacrifici per “difendere la libertà e la democrazia”. In concreto, ciò significa che i proletari di questi paesi devono stringere ancora di più la cinghia per “dimostrare la loro solidarietà con l'Ucraina” - in realtà con la borghesia ucraina e la classe dirigente dei paesi occidentali.
I governi hanno spudoratamente giustificato i loro attacchi economici facendo leva sulla catastrofe del riscaldamento globale e sui rischi di scarsità di energia e di cibo (“la peggiore crisi alimentare di sempre” secondo il Segretario Generale delle Nazioni Unite). Invitano alla “sobrietà” e dichiarano la fine dell'“abbondanza” (per usare le inqualificabili parole del presidente francese Macron). Ma allo stesso tempo stanno rafforzando la loro economia di guerra: la spesa militare globale ha raggiunto i 2.113 miliardi di dollari nel 2021! Mentre il Regno Unito è tra i primi cinque Stati per spesa militare, dallo scoppio della guerra in Ucraina, tutti i Paesi del mondo hanno accelerato la propria corsa agli armamenti, compresa la Germania, una novità assoluta sin dal 1945!
I governi ora chiedono “sacrifici per combattere l'inflazione”. E’ uno scherzo infame, nel momento in cui non fanno altro che peggiorare la situazione aumentando le spese per la guerra. Questo è il futuro che stanno promettendo il capitalismo e le sue borghesie nazionali in concorrenza: più guerre, più sfruttamento, più distruzione, più miseria.
E, anche se i lavoratori non ne sono sempre pienamente consapevoli, gli scioperi dei lavoratori in Gran Bretagna ci stanno indicando proprio questo: il rifiuto di sacrificarsi sempre di più per gli interessi della classe dominante, il rifiuto di sacrificarsi per l'economia nazionale e per lo sforzo bellico, il rifiuto di accettare la logica di questo sistema che porta l'umanità verso la catastrofe e, in ultima analisi, alla sua distruzione.
Le alternative sono chiare: il socialismo o la distruzione dell'umanità.
La capacità dei lavoratori di prendere questa strada è tanto più significativa se si considera che la classe operaia del Regno Unito è stata colpita negli ultimi anni dall'ideologia populista, che mette gli sfruttati l'uno contro l'altro, dividendoli in “nativi” e “stranieri”, bianchi e neri, uomini e donne, fino a far credere loro che il ripiegamento il ripiegamento isolazionista della Brexit potrebbe essere una soluzione ai loro problemi.
Ma ci sono altre trappole, ben più insidiose e pericolose, tese dalla borghesia sul cammino delle lotte della classe operaia.
La stragrande maggioranza degli scioperi attuali è stata indetta dai sindacati, che si presentano come l'organo più efficace per organizzare la lotta e difendere gli sfruttati. I sindacati sono molto efficaci, sì, ma solo per difendere la borghesia e organizzare la sconfitta della classe operaia.
Basta ricordare quanto la vittoria della Thatcher sia stata possibile grazie al sabotaggio dei sindacati. Nel marzo 1984, quando vennero bruscamente annunciati 20.000 tagli di posti di lavoro nell'industria del carbone, la reazione dei minatori fu immediata: il primo giorno di sciopero vennero chiusi 100 pozzi su 184. Ma un cordone sindacale d'acciaio accerchiò rapidamente gli scioperanti. I sindacati dei ferrovieri e dei marinai diedero un sostegno simbolico allo sciopero. Il potente sindacato dei portuali si limitò a lanciare due appelli tardivi all'azione di sciopero. Il TUC (il congresso nazionale dei sindacati) si rifiutò di sostenere lo sciopero. I sindacati degli elettricisti e dei lavoratori dell'acciaio si opposero. In breve, i sindacati sabotarono attivamente ogni possibilità di lotta comune. Ma soprattutto il sindacato dei minatori, il NUM (National Union of Mineworkers), completò questo lavoro sporco spingendo i minatori in inutili battaglie contro la polizia nel tentativo di impedire lo spostamento del carbone dai depositi di cokeria (e questo è durato per più di un anno!). Grazie a questo sabotaggio sindacale, a questi sterili e interminabili scontri con la polizia, la repressione dello sciopero fu condotta con intensa violenza. Questa sconfitta sarebbe stata una sconfitta per l'intera classe operaia.
Se oggi, nel Regno Unito, questi stessi sindacati usano un linguaggio radicale e fingono di sostenere la solidarietà tra i vari settori, brandendo persino la minaccia di uno sciopero generale, è perché sono consapevoli delle preoccupazioni della classe operaia e vogliono appropriarsi di ciò che anima i lavoratori, la loro rabbia, la loro combattività e il loro sentimento di dover lottare insieme, in modo da poter meglio sterilizzare e deviare questa dinamica. In realtà, sul campo, stanno orchestrando gli scioperi separandoli tra loro; dietro lo slogan unitario di salari più alti per tutti, i diversi settori sono rinchiusi e divisi in negoziati corporativi; soprattutto, si preoccupano di evitare qualsiasi discussione reale tra i lavoratori dei diversi settori. Non esistono vere e proprie assemblee generali intersettoriali. Quindi non lasciamoci ingannare quando Liz Truss, la prima candidata a sostituire Boris Johnson, dice che “non permetterà che la Gran Bretagna sia tenuta in ostaggio dai sindacalisti militanti” se diventerà Primo Ministro. Sta semplicemente seguendo le orme del suo modello di riferimento, Margaret Thatcher; sta dando credibilità ai sindacati presentandoli come i rappresentanti più combattivi dei lavoratori per meglio, insieme, condurre la classe operaia alla sconfitta.
In Francia, nel 2019, di fronte all'aumento della combattività e all'esplosione della solidarietà tra le generazioni, i sindacati hanno già utilizzato lo stesso stratagemma sostenendo la “convergenza delle lotte”, un sostituto di un movimento unitario, in cui i manifestanti che marciavano in strada erano raggruppati per settore e per azienda.
Nel Regno Unito, come altrove, per costruire un rapporto di forze che ci permetta di resistere agli attacchi incessanti alle nostre condizioni di vita e di lavoro, che domani diventeranno ancora più violenti, dobbiamo, ovunque sia possibile, riunirci per discutere e proporre i metodi di lotta che hanno reso forte la classe operaia e le hanno permesso, in alcuni momenti della sua storia, di scuotere la borghesia e il suo sistema:
- la ricerca di sostegno e solidarietà al di là della “nostra” fabbrica, della “nostra” azienda, del “nostro” settore di attività, della “nostra” città, della “nostra” regione, del “nostro” paese;
- l'organizzazione autonoma delle lotte dei lavoratori, in particolare attraverso assemblee generali, e impedendo il controllo delle lotte da parte dei sindacati, i “cosiddetti specialisti” nell'organizzazione delle lotte dei lavoratori;
- sviluppare la discussione più ampia possibile sulle esigenze generali della lotta, sulle lezioni positive da trarre dalle lotte passate - comprese le sconfitte, perché ci saranno sconfitte, ma la sconfitta più grande è subire gli attacchi senza reagire ad essi; l'entrata in lotta è la prima vittoria degli sfruttati.
Se il ritorno di estesi scioperi nel Regno Unito segna il ritorno della combattività del proletariato mondiale, è anche fondamentale che vengano superate le debolezze che ne hanno segnato la sconfitta nel 1985: il corporativismo e le illusioni nei sindacati. L'autonomia della lotta, la sua unità e la sua solidarietà sono i parametri indispensabili per preparare le lotte di domani!
E per questo, dobbiamo riconoscerci come membri della stessa classe, una classe la cui lotta è unita dalla solidarietà: la classe operaia. Le lotte di oggi sono indispensabili non solo perché la classe operaia si difende dagli attacchi, ma anche perché indicano la strada per il recupero dell'identità di classe a livello mondiale, per preparare il rovesciamento di questo sistema capitalista, che può solo portarci impoverimento e catastrofi di ogni tipo.
Non ci sono soluzioni all’interno capitalismo: né alla distruzione del pianeta, né alle guerre, né alla disoccupazione, né alla precarietà, né alla povertà. Solo la lotta del proletariato mondiale, sostenuta da tutti gli oppressi e gli sfruttati del mondo, può aprire la strada all'alternativa.
I massicci scioperi in Gran Bretagna sono una chiamata all'azione per i proletari di tutto il mondo.
Corrente Comunista Internazionale, 27 agosto 2022
Data l'importanza degli scioperi in Gran Bretagna e l'assoluto silenzio operato dai media in Italia e altrove, chiediamo ai nostri lettori di diffondere il più possibile questo volantino scaricando il testo in formato pdf allegato
[1] bmjopen.bmj.co.
In risposta alla guerra assassina in Ucraina, la CCI ha ripetutamente sottolineato la necessità di una risposta comune da parte dell'espressione più coerente dell'internazionalismo proletario - la Sinistra comunista - al fine di creare un chiaro polo di riferimento per tutti coloro che cercano di opporsi alla guerra imperialista su basi di classe.
Sebbene l'appello per una dichiarazione congiunta, e il testo che ne è scaturito, sia stato accolto positivamente da tre gruppi[1], i gruppi bordighisti hanno più o meno ignorato il nostro appello, mentre la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI), pur dichiarandosi in linea di principio favorevole a questo tipo di dichiarazioni congiunte degli internazionalisti, ha respinto il nostro appello per ragioni che a nostro avviso restano poco chiare: prima hanno parlato di disaccordi sull'analisi, poi sono emerse divergenze di vedute su ciò che costituisce l'autentica Sinistra comunista e un rifiuto della nostra concezione del parassitismo. Riprenderemo queste argomentazioni in altra sede; qui intendiamo concentrarci sulla proposta alternativa della TCI, che è quella di spingere per la formazione di gruppi locali/nazionali “No War but the Class War”, che loro vedono come punto di partenza per un'azione internazionalista contro la guerra su una scala molto più ampia rispetto ad una dichiarazione comune firmata dai gruppi della Sinistra comunista.
Esaminando il testo del primo appello per la costituzione di gruppi No War but the Class War in risposta alla guerra in Ucraina[2], pubblicato dal NWCW di Liverpool, possiamo dire che esso è chiaramente internazionalista, in quanto si oppone a entrambi i campi imperialisti, rifiuta le illusioni pacifiste e insiste sul fatto che la discesa del capitalismo nella barbarie militare può essere fermata solo dalla lotta rivoluzionaria della classe operaia. Riteniamo tuttavia che nel testo vi sia un preciso elemento di immediatismo, nel paragrafo seguente: “Le sparute azioni contro la guerra di cui si è parlato finora - proteste in Russia, soldati che disobbediscono agli ordini in Ucraina, rifiuto di eseguire le spedizioni da parte dei portuali nel Regno Unito e in Italia, sabotaggio da parte dei ferrovieri in Bielorussia - devono assumere la prospettiva della classe operaia per essere veramente contro la guerra, per evitare che vengano strumentalizzate da una parte o dall'altra. Sostenere la Russia o l'Ucraina in questo conflitto significa sostenere la guerra. L'unico modo per porre fine a questo incubo è che i lavoratori fraternizzino al di là delle frontiere e abbattano la macchina bellica”.
L'affermazione è corretta nel sottolineare che proteste isolate contro la guerra possono essere recuperate da varie fazioni o ideologie borghesi. Ma si dà l'impressione che la classe operaia, nella sua situazione attuale, sia nelle zone di guerra che nei Paesi capitalistici più centrali, possa essere in grado di sviluppare una prospettiva rivoluzionaria a breve termine e di “abbattere la macchina bellica” per porre fine all'attuale guerra. E dietro a ciò si nasconde un'altra ambiguità: che la formazione dei gruppi NWCW potrebbe essere un momento verso questo improvviso salto dall'attuale stato di disorientamento della classe operaia a una vera e propria reazione contro il capitale. Se esaminiamo il coinvolgimento della CWO (Communist Workers’ Organisation), l'affiliata britannica della TCI, nei precedenti progetti del NWCW, è evidente che tali illusioni esistono tra questi compagni.
Presto pubblicheremo un'analisi più approfondita delle prospettive della lotta di classe in questa fase di accelerazione della barbarie, spiegando perché non pensiamo che un movimento di massa della classe operaia direttamente contro questa guerra sia una possibilità realistica. La TCI potrebbe rispondere che l'appello del NWCW mira principalmente a raggruppare tutte quelle minoranze che difendono posizioni internazionaliste e non a scatenare alcun tipo di movimento di massa. Ma anche a questo livello, è necessaria una reale comprensione della natura del progetto NWCW per evitare errori di carattere opportunistico, in cui la coerenza propria della Sinistra comunista si perde in un labirinto di confusione fortemente influenzato da idee anarchiche o addirittura gauchiste.
L'obiettivo di questo articolo è quindi quello di esaminare criticamente la storia dell'idea di NWCW per trarne insegnamenti chiari per il nostro intervento attuale. Questa dimensione è del tutto assente dalla proposta della TCI. Nel 2018, quando la CWO ha lanciato un appello simile e ha organizzato una serie di incontri sotto la bandiera del NWCW con l’Anarchist Communist Group (ACG) e una o due altre formazioni anarchiche, in uno di questi incontri abbiamo spiegato perché non potevamo accettare il loro invito a “unirci” a questo gruppo. La ragione principale era che questa nuova formazione era stata messa insieme senza alcun tentativo di comprendere gli insegnamenti, per lo più negativi, dei precedenti tentativi di costituire gruppi NWCW. La mancanza di un esame critico dell'esperienza si è ripetuta quando il gruppo è semplicemente scomparso senza alcuna spiegazione pubblica da parte della CWO o dell'ACG.
Per quanto riguarda la più recente implicazione della TCI in questo progetto, abbiamo specificamente invitato i compagni a partecipare ai nostri ultimi incontri pubblici sulla guerra in Ucraina e a fornire la loro valutazione dell'evoluzione del progetto NWCW fino ad ora. Purtroppo i compagni non hanno partecipato a questi incontri e si è persa l'opportunità di portare avanti il dibattito. Tuttavia, offriamo questo esame del background e della storia dell’idea NWCW come nostro contributo all'avanzamento del dibattito.
L'idea di creare gruppi NWCW è emersa per la prima volta nell'ambiente anarchico britannico. A nostra conoscenza, il primo tentativo di creare un gruppo di questo tipo è stato in risposta alla prima guerra del Golfo nel 1991. Ma è stato con la formazione di nuovi gruppi NWCW in risposta alla guerra nell'ex-Jugoslavia e alle invasioni dell'Afghanistan e dell'Iraq nel 2001 e nel 2003 che abbiamo potuto fare un'esperienza diretta della composizione e delle dinamiche di questa iniziativa.
La nostra decisione di partecipare agli incontri organizzati da questi gruppi, principalmente a Londra, si basava sul riconoscimento della natura “paludosa” dell'anarchismo, che comprende una serie di tendenze che vanno dal vero e proprio gauchisme borghese al genuino internazionalismo. A nostro avviso, questi nuovi gruppi del NWCW, pur essendo estremamente eterogenei, contenevano elementi che cercavano un'alternativa proletaria alle mobilitazioni “Stop the War" organizzate dalla sinistra del capitale.
Il nostro intervento nei confronti di questi gruppi si è basato sui seguenti obiettivi:
- Chiarire i principi dell'internazionalismo proletario e la necessità di una netta demarcazione dalla sinistra del capitale e dal pacifismo.
- Concentrarsi sul dibattito politico e sul chiarimento contro le tendenze attiviste che, in pratica, significavano dissolversi nelle manifestazioni di Stop the War (STW).
- Nonostante le accuse che il nostro approccio, che enfatizzava il primato della discussione politica, fosse puramente “monastico” o “inattivo”, che fossimo interessati solo alla discussione fine a se stessa, abbiamo avanzato alcune concrete proposte di azione, in particolare la possibilità di convocare un “incontro internazionalista” a Trafalgar Square al termine della grande marcia Stop the War del novembre 2001. Ciò sarebbe stato in diretta opposizione ai discorsi gauchisti provenienti dal palco di STW. Questa proposta è stata in parte accolta, non dal NWCW in quanto tale, ma dalla CWO[3]. Torneremo sul significato di questo punto più avanti.
Nel 2002, anche la CWO è intervenuta in questo processo, in particolare a Sheffield, dove ha svolto un ruolo centrale nella formazione di un nuovo gruppo NWCW, che ha assunto posizioni vicine e persino indistinguibili da quelle della Sinistra comunista. Nel nostro articolo Revolutionary intervention and the Iraq war [76] (WR, n.264), che mirava a tracciare un bilancio del nostro intervento nei confronti del NWCW, abbiamo accolto con favore questo fatto, ma abbiamo anche criticato la sopravvalutazione da parte della CWO del potenziale della rete NWCW, in particolare del suo gruppo principale a Londra, nel pensare di poter agire come una sorta di centro organizzativo per l'opposizione proletaria alla guerra, attraverso il collegamento ad alcune piccole espressioni di lotta di classe che si stavano svolgendo parallelamente al movimento “contro la guerra”[4].
Contro questa idea, il nostro articolo chiarisce che “non abbiamo mai pensato che il NWCW fosse foriero di una rinascita della lotta di classe o di un preciso movimento politico di classe a cui ci fossimo ‘uniti’. Al massimo poteva essere un punto di riferimento per una piccolissima minoranza che si poneva domande sul militarismo capitalista e sulle frodi elitarie e pacifiste che lo accompagnano. Per questo motivo abbiamo difeso le sue posizioni di classe - seppur limitate - contro gli attacchi reazionari dei gauchisti come Workers Power (in WR 250) e abbiamo insistito fin dall'inizio sull'importanza del gruppo come forum di discussione, mettendo in guardia contro le tendenze a “l’azione diretta” e alla chiusura del gruppo alle organizzazioni rivoluzionarie”.
Per le stesse ragioni, in un altro articolo In defence of discussion groups [77], (WR 259), abbiamo spiegato le nostre differenze con la CWO sulla questione degli “intermediari” tra la classe e l'organizzazione rivoluzionaria. Ci siamo sempre opposti all'idea, sviluppata dal Partito Comunista Internazionalista (oggi affiliato italiano della TCI) e poi ripresa dalla CWO, dei “gruppi di fabbrica”, definiti “strumenti del partito” per impiantarsi nella classe e persino per “organizzare” le sue lotte. Ci sembrava una regressione alla nozione di cellule di fabbrica come base dell'organizzazione politica, propugnata dall'Internazionale Comunista nella fase della “bolscevizzazione” degli anni ‘20 e fortemente contrastata dalla Sinistra comunista italiana. L'evoluzione successiva dell'idea dei gruppi di fabbrica nell'appello ai gruppi territoriali e poi ai gruppi contro la guerra ha cambiato la forma ma non il contenuto. L'idea della CWO che NWCW potesse diventare un centro organizzativo per la resistenza di classe contro la guerra tradiva un'analoga incomprensione di come si sviluppa la coscienza di classe nel periodo della decadenza capitalistica. Certamente, accanto all'organizzazione politica in sé c'è una tendenza alla formazione di gruppi più informali, che emergono dalle lotte sul posto di lavoro o dall'opposizione alla guerra capitalista, ma tali gruppi - che non fanno parte dell'organizzazione politica comunista - rimangono espressione di una minoranza che cerca di chiarirsi e di diffondere questa chiarezza all'interno della classe, e non possono sostituirsi o pretendere di essere gli organizzatori di movimenti più generali della classe. Su questo, a nostro avviso, la TCI resta ambigua[5].
Sebbene nelle prime fasi dei gruppi NWCW ci siano state alcune discussioni fruttuose, è diventato chiaro che, in quanto espressione dell'anarchismo, i NWCW erano soggetti a ogni sorta di pressioni contraddittorie: una vera e propria ricerca di posizioni e pratiche internazionaliste, ma anche l'influenza del gauchisme e di quello che chiamiamo parassitismo, gruppi ed elementi motivati essenzialmente dalla volontà di isolare e persino distruggere le autentiche correnti rivoluzionarie. Tali elementi hanno avuto un peso crescente in entrambe le fasi dei raggruppamenti NWCW. Nel 1999 la CCI è stata esclusa (anche se con un margine ristretto) dalla partecipazione al gruppo con la motivazione che eravamo leninisti, dogmatici, dominavamo le riunioni, ecc.[6]; e i principali elementi che hanno spinto per questa esclusione sono stati quelli come Juan McIver e “Luther Blisset”, che hanno prodotto due pamphlet estremamente diffamatori che denunciano la CCI come una setta paranoica stalinista, come ladruncoli di poso conto, ecc.
Nel 2002 abbiamo assistito a un'altra serie di manovre contro la Sinistra comunista, questa volta guidata da K, un elemento vicino a Luther Blisset. In Revolutionary Perspective n.27 la stessa CWO parla del ruolo irresponsabile di K e della sua “cerchia di amici” all'interno del NWCW, dopo che K aveva fatto del suo meglio per escludere sia il suo gruppo di Sheffield che la CCI dalle riunioni del NCWC. Questa volta il meccanismo utilizzato non è stato un voto “democratico” come nel 1999, ma la decisione dietro le quinte di tenere riunioni a porte chiuse, con luoghi e orari non comunicati alla CCI e al gruppo di Sheffield.
Cosa dimostra tutto ciò? Che in un ambiente dominato dall'anarchismo i gruppi della Sinistra comunista devono condurre una dura battaglia contro le tendenze distruttive e anche borghesi che saranno inevitabilmente presenti e spingeranno sempre in una direzione negativa. Dovrebbe essere una risposta elementare dei gruppi della Sinistra comunista stare insieme contro le manovre di coloro che cercano di escluderli dalla partecipazione alle formazioni temporanee ed eterogenee prodotte dal tentativo di lottare contro l'ideologia dominante. L'esperienza della stessa CWO nel 2002 dovrebbe ricordare loro che questi pericoli sono reali. Dobbiamo aggiungere che i gruppi che dicono di far parte della Sinistra comunista ma che agiscono in modo distruttivo, meritano l'etichetta di “parassitismo politico” e non dovrebbero avere diritto di cittadinanza da parte degli autentici gruppi della Sinistra comunista.
L'accusa che l'atteggiamento della CCI nei confronti dell'intervento durante questi episodi sia stato “monastico” è stata mossa dalla CWO nel suo articolo su Revolutionary Perspectives n.27, riferendosi a una manifestazione svoltasi nel settembre 2002. Ma prima della grande manifestazione che si sarebbe svolta nel novembre 2001, la CWO ci aveva scritto sostenendo la nostra proposta di un incontro internazionalista specifico a Trafalgar Square, e durante la manifestazione stessa c'è stata una proficua collaborazione tra i due gruppi. Come si leggeva nel nostro articolo su WR 264, avevamo sopravvalutato il potenziale del gruppo NWCW nell'organizzare un incontro di opposizione su larga scala a Trafalgar Square, dal momento che la maggior parte dei partecipanti (anche se non tutti) preferiva marciare con un “Blocco Anticapitalista” che aveva poca o nessuna differenza dagli organizzatori di Stop the War. Ma se alla fine c'è stata una piccola riunione è stato soprattutto grazie all'iniziativa della CCI e della CWO, sostenuta da alcuni membri del NWCW, di mettere i nostri megafoni a disposizione di quelli che erano disposti a sostenere un'alternativa internazionalista a quella dei gauchisti sul palco principale. Un'ulteriore prova che il modo migliore per aiutare coloro che sono al di fuori della sinistra comunista ad avvicinarsi a una chiara posizione e pratica internazionalista è che i gruppi della Sinistra comunista agiscano insieme.
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Tornando all'attuale progetto NWCW, in un recente articolo su un incontro NWCW a Glasgow, la TCI sostiene che il progetto sta riscuotendo un notevole successo: “Il primo gruppo si è formato a Liverpool qualche settimana fa e da allora il loro messaggio è stato raccolto da compagni di tutto il mondo, dalla Corea, passando per la Turchia, il Brasile, la Svezia, il Belgio, l'Olanda, la Francia, la Germania, l'Italia, il Canada e altri luoghi”.
Non siamo in grado di valutare la reale consistenza di questi gruppi e iniziative. L'impressione che ricaviamo dai gruppi di cui sappiamo qualcosa è che si tratti principalmente di “duplicati” della TCI o dei suoi affiliati. In questo senso, quelli di oggi non sono certo un progresso rispetto ai gruppi apparsi negli anni ‘90 e 2000, che, pur con tutte le loro confusioni, esprimevano almeno un certo movimento proveniente da elementi che cercavano un'alternativa internazionalista al gauchisme e al pacifismo. Ma su questa questione dovremo tornare in un prossimo articolo, intanto continuiamo a chiedere alla TCI di dare un contributo alla discussione.
Amos, luglio 2022
[1] Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra Comunista Internazionale sulla guerra in Ucraina [47]
[3] Vedi l’articolo “Communists work together at ‘anti-war’ demo”, in World Revolution n.250
[4] Vedi per esempio l’artiolo Communism Against the War Drive [79]” in Revolutionary Perspectives n.27
[5] The organisation of the proletariat outside periods of open struggle (workers' groups, nuclei, circles, committees) | International Communist Current (internationalism.org) [80]; vedi anche also “Factory Groups and ICC intervention” su World Revolution n.26.
[6] “Political parasitism sabotages the discussion”, World Revolution n.228
Pubblichiamo qui di seguito uno scambio di lettere principalmente tra gruppi della Sinistra comunista, dalla proposta iniziale alla stesura, alla finalizzazione e alla pubblicazione della Dichiarazione congiunta.
La corrispondenza all'interno del movimento marxista è sempre stata un aspetto importante del suo sviluppo e del suo intervento nella classe operaia. La Sinistra comunista ha continuato questa tradizione. La corrispondenza che segue è particolarmente significativa perché rende noto il processo di contatto e discussione tra i gruppi che costituiscono la Sinistra comunista sui principi e le procedure per la realizzazione di un'azione comune come la Dichiarazione congiunta sulla guerra in Ucraina.
Il fatto che gran parte della corrispondenza sia intercorsa tra la CCI e la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI) in merito al rifiuto di quest'ultima di partecipare e firmare la Dichiarazione congiunta aiuterà i lettori a comprendere le argomentazioni contrastanti riguardanti le motivazioni della dichiarazione, i criteri di inclusione dei gruppi in essa, la questione di come affrontare le diverse analisi della situazione imperialista nella dichiarazione e altre questioni. Sebbene la TCI abbia posto fine a questo aspetto della corrispondenza, le questioni vitali in questione rimangono da chiarire e discutere[1].Includiamo qui alla fine anche la corrispondenza con due gruppi che non provengono dalla tradizione della Sinistra comunista: il KRAS, un gruppo anarco-sindacalista russo, e Internationalist Communist Perspective della Corea. Abbiamo chiesto loro di sostenere la Dichiarazione congiunta visto il loro rifiuto internazionalista della guerra in Ucraina. Per il resto, la corrispondenza è presentata in ordine cronologico.
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La CCI ai gruppi del Milieu Politico Proletario, 25/02/2022
La CCI a:
- la TCI
- Partito Comunista Internazionale (Programma Comunista)
- Il Partito Comunista Internazionale (Il Comunista)
- Istituto Onorato Damen
- Internationalist Voice
- Fil Rouge
Compagni,
la guerra imperialista ha colpito ancora una volta l'Europa su vasta scala. Ancora una volta, la guerra in Ucraina ci ricorda in modo drammatico la vera natura del capitalismo, un sistema le cui contraddizioni portano inevitabilmente a scontri militari e a massacri delle popolazioni, soprattutto di quelle sfruttate. Dall'inizio del 20° secolo, le organizzazioni politiche del proletariato, al di là delle loro differenze, hanno unito le loro forze per denunciare la guerra imperialista e per invitare il proletariato di tutti i paesi a impegnarsi nella lotta per il rovesciamento del sistema che la genera, il capitalismo. I congressi di Stoccarda del 1907, di Basilea del 1912, di Zimmerwald del 1915 e di Kienthal del 1916 aprirono la strada che avrebbe portato alla rivoluzione comunista dell'Ottobre 1917 in Russia e alla fine del massacro imperialista. Negli anni '30 e durante il secondo massacro imperialista, è onore della Sinistra comunista aver brandito con fermezza la bandiera dell'internazionalismo proletario di fronte a tutti coloro che invitavano i proletari a combattersi tra loro in nome de “l’antifascismo”, della “difesa della democrazia” o della “difesa della patria socialista”. Oggi, è responsabilità dei gruppi che affermano di far parte di questa Sinistra comunista difendere fermamente l'internazionalismo proletario e, in particolare:
- denunciare le menzogne di tutti i settori nazionali della classe dominante che mirano a coinvolgere i proletari nella guerra imperialista o per associarli alle loro politiche imperialiste chiamandoli a schierarsi con questo o quel campo imperialista;
- chiamare i proletari di tutto il mondo a rifiutare tutti i sacrifici che la classe dominante e i suoi Stati vogliono imporre loro, a condurre la lotta di classe contro questo sistema che li sfrutta ferocemente e mira a renderli carne da macello;
- ricordare l'importanza e l'attualità dei vecchi slogan del movimento operaio: “I proletari non hanno patria”, "Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
Siamo convinti che la vostra organizzazione, come la nostra, non mancherà di assumersi la propria responsabilità internazionalista di fronte alla guerra in corso. Tuttavia, la CCI ritiene che l'affermazione dell'internazionalismo avrebbe un maggiore impatto se le posizioni assunte da ciascuna delle nostre organizzazioni fossero sostenute da una posizione comune delle nostre organizzazioni basata sulle posizioni fondamentali che tutti condividiamo. Vi chiediamo quindi di pronunciarvi sulla nostra proposta e, se siete favorevoli, di contattare al più presto la nostra organizzazione per preparare questa posizione comune. Ricevete, compagni, i nostri saluti comunisti e internazionalisti.
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Programma Comunista alla CCI, 01/03/2022
Cari amici,
non è il momento delle chiacchiere, ma di mettere in pratica le immutate e immutabili direttive della preparazione rivoluzionaria: lavorare per preparare il disfattismo rivoluzionario, staccare la classe proletaria dall'egemonia borghese e piccolo-borghese e, in prospettiva, trasformare la guerra imperialista in guerra di classe.
Cordiali saluti, Programma Comunista
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TCI alla CCI, 02/03/2022
Compagni,
Abbiamo discusso la vostra proposta. Nessuno può essere in disaccordo con la necessità che le organizzazioni della Sinistra comunista rispondano al nuovo e ancora più pericoloso corso che questo mondo imperialista ha preso e noi stessi abbiamo già risposto in vari modi.
Né siamo in disaccordo con la vostra descrizione delle posizioni proletarie di base.
“- denunciare le menzogne di tutti i settori nazionali della classe dominante che mirano a coinvolgere i proletari nella guerra imperialista o per associarli alle loro politiche imperialiste chiamandoli a schierarsi con questo o quel campo imperialista;
- chiamare i proletari di tutto il mondo a rifiutare tutti i sacrifici che la classe dominante e i suoi Stati vogliono imporre loro, a condurre la lotta di classe contro questo sistema che li sfrutta ferocemente e mira a renderli carne da macello;
- ricordare l'importanza e l'attualità dei vecchi slogan del movimento operaio: “I proletari non hanno patria”, "Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
Tuttavia, dobbiamo andare oltre questi importanti punti propagandistici. In passato abbiamo sempre constatato che le nostre prospettive completamente diverse rendono impossibile qualsiasi dichiarazione congiunta più profonda e ciò si è accentuato anziché diminuire nel tempo. Quindi, anche se in linea di principio non siamo contrari a una qualche forma di dichiarazione congiunta, potremmo trovarci di fronte agli stessi vecchi problemi. La domanda è: qual è la vostra posizione su queste prospettive? Ci permetterebbero di produrre un documento significativo che possa essere una guida per l'azione?
La nostra seconda domanda riguarda: a chi altri state proponendo questa iniziativa congiunta? Sappiamo che tutti i partiti bordighisti non solo rifiuteranno, ma si compiaceranno di dirci che loro sono IL partito. E forse è necessario guardare anche al di là della “Sinistra comunista” (che nonostante la nostra recente crescita rimane tristemente piccola), ma a coloro che condividono la nostra prospettiva di classe, se non proprio la nostra politica. Lo slogan “No War But the Class War” non solo pone questa domanda agli altri gruppi politici, ma li avvicina ulteriormente alla prospettiva della Sinistra comunista. Ma soprattutto è un appello alla lotta per la classe operaia in generale, che collega la lotta contro gli attacchi quotidiani del capitalismo con l'orrendo futuro che il capitalismo sta preparando per noi. Un futuro che sembra essere più vicino che mai. Abbiamo diffuso l'annuncio della riunione a tutti i nostri compagni. Saluti internazionalisti
Il Bureau Internazionale della TCI
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Risposta di Internationalist Voice, 3 marzo 2022
Cari compagni!
Accogliamo con favore la vostra iniziativa di fare una dichiarazione congiunta sulla guerra e concordiamo con voi sul fatto che una dichiarazione congiunta avrebbe un impatto molto maggiore. Tuttavia, un punto essenziale per noi è chi ha ricevuto questa lettera, e possiamo confidare che solo i rivoluzionari l'abbiano ricevuta. Una dichiarazione è già stata pubblicata; vedi allegato, e la versione inglese sarà presto disponibile.
Saluti internazionalisti, Internationalist Voice
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Lettera dell'Istituto Onorato Damen, 03/03/2022
Compagni,
Accogliamo con favore la vostra proposta.
Pensiamo, come voi, che i comunisti internazionalisti di tutto il mondo abbiano la responsabilità di chiarire le cause della guerra imperialista e di prendere posizione sulla guerra. La nostra organizzazione ritiene che la prospettiva politica comunista, basata sull'internazionalismo proletario, sul disfattismo rivoluzionario e sul rifiuto di tutti i campi imperialisti, rappresenti sempre più l'unica risposta possibile della classe operaia al massacro imperialista e alla barbarie capitalista. È l'unica possibilità di futuro per l'umanità, in una società finalmente umana: una società comunista. Accogliamo con favore l'idea che i rivoluzionari, al di là delle differenze tra le organizzazioni, debbano essere uniti nel denunciare la guerra imperialista e nel sostenere tra il proletariato mondiale la prospettiva della rivoluzione comunista internazionale. La nostra organizzazione è quindi d'accordo con la preparazione di una dichiarazione comune, sostenuta da differenti gruppi comunisti rivoluzionari internazionalisti, in aggiunta alle dichiarazioni e alle analisi che ogni organizzazione pubblicherà indipendentemente. Tale dichiarazione rappresenterebbe una voce internazionalista più forte; pensiamo inoltre che possa rappresentare un passo avanti sulla strada di un confronto fraterno e franco tra i comunisti, nella prospettiva di costruire il futuro Partito Comunista Mondiale, sulla base di una chiarezza programmatica. Per quanto riguarda le modalità di preparazione di questa dichiarazione comune, suggeriamo alla CCI di preparare una bozza su cui lavorare insieme. Con i nostri fraterni saluti comunisti.
IOD
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La CCI al Campo Politico Proletario in merito all'appello, 13 marzo 2022
La CCI a:
Tendenza Comunista Internazionalista
PCI (Programma Comunista)
PCI (Il Comunista)
PCI (Il Partito Comunista)
Istituto Onorato Damen
Internationalist Voice
PCI (Le Prolétaire)
Cari compagni,
Vi scriviamo a seguito della nostra lettera del 25 febbraio 2022 che proponeva una dichiarazione pubblica comune dei fondamentali principi internazionalisti contro la guerra in Ucraina, condivisi dalla tradizione della Sinistra comunista nel suo insieme. Abbiamo ricevuto un sostegno positivo a questa proposta dall'Istituto Onorato Damen e da Internationalist Voice. Anche la Tendenza Comunista Internazionalista ha risposto positivamente ai principi fondamentali che abbiamo proposto per la dichiarazione, ma ha posto alcune domande sull'analisi della situazione, sugli invitati e sulla possibilità di altre iniziative comuni. Il PCI (Programma) ha risposto brevemente rifiutando la proposta e affermando che “è tempo di azione, non di chiacchiere”. Gli altri invitati non hanno ancora risposto. Il compito principale della Sinistra comunista oggi è quello di parlare con voce unita sui principi internazionalisti fondamentali della nostra tradizione riguardo alla natura imperialista della guerra, alla denuncia delle illusioni pacifiste e alla prospettiva alternativa della lotta della classe operaia che porta al rovesciamento del capitalismo. Dobbiamo affermare l'unica tradizione politica che ha sostenuto questi principi nelle prove del fuoco del passato.
A nostro avviso, la funzione della dichiarazione non è quindi quella di approfondire l'analisi della situazione, sulla quale esistono indubbiamente differenze di valutazione tra le organizzazioni che rivendicano l'appartenenza alla Sinistra comunista; non è nemmeno il luogo in cui pensiamo di approfondire le questioni relative ad altre iniziative comuni. Una dichiarazione comune dei gruppi della Sinistra comunista non sarebbe comunque un ostacolo alla discussione in altri contesti di differenze e approcci alternativi.
I compagni dello IOD hanno suggerito che sia la CCI a redigere la dichiarazione comune. Per accelerare il processo abbiamo accettato questo suggerimento e la bozza dell'appello è allegata a questa lettera. Abbiamo cercato di presentare i principi internazionalisti in un modo che tutti i firmatari possano accettare. Tuttavia, i compagni sono invitati a proporre formulazioni alternative a quelle esistenti, al fine di raggiungere l'obiettivo comune della dichiarazione. Ci auguriamo però che i compagni, consapevoli che il tempo stringe, si limitino alle modifiche che ritengono essenziali per la realizzazione del progetto comune, in modo che la versione finale possa essere prodotta rapidamente. Siamo certi che la dichiarazione comune della Sinistra comunista farà conoscere meglio questi principi e questa tradizione alla classe operaia di oggi.
In attesa di una vostra rapida risposta.
Saluti comunisti, CCI
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TCI alla CCI, 21 marzo 2022
Sulla proposta di dichiarazione congiunta sulla guerra in Ucraina
Compagni
Grazie per averci inviato la bozza di appello e per averci informato con chi intendete firmare. Purtroppo, dobbiamo dire che non possiamo accettare né l'una né l'altra. La dichiarazione proposta contiene diversi difetti (oltre a errori di fatto che per ora lasciamo da parte) ed è inadeguata come guida politica per la classe operaia su come combattere la guerra. In primo luogo, non affronta il significato reale di questa guerra in questo momento. Manca inoltre un'analisi coerente di ciò che sta accadendo. In quanto tale, non fornisce alcuna guida. È una dichiarazione puramente cartacea e noi dobbiamo offrire qualcosa di più. Come Lenin ha affermato molto tempo fa, “senza teoria rivoluzionaria non c'è pratica rivoluzionaria”. Un esempio di questa debolezza è che la bozza di dichiarazione fa riferimento al fatto che “la classe operaia mondiale non può evitare di sviluppare la sua lotta contro il deterioramento dei salari e dei livelli di vita”, ma non dice perché, dopo decenni in cui è accaduto il contrario, la lotta di classe dovrebbe riprendere ora. Ciò che lega l'attuale guerra e i continui attacchi ai mezzi di sussistenza dei lavoratori è la crisi economica capitalista che, dopo quasi 50 anni, rimane irrisolta. Questa guerra è una nuova e chiara indicazione che le opzioni strettamente economiche si stanno esaurendo per il capitalismo e che il mondo è molto più avanti sulla strada inter-imperialista verso la sua “soluzione” finale. Non c'è alcuna percezione nel progetto che c’è una nuova e pericolosa partenza nella storia del capitalismo. (Lo conferma, ad esempio, l'assenza di qualsiasi riferimento alla Cina e il fatto che la guerra in Ucraina abbia già contribuito a definire un più chiaro schieramento imperialista su scala globale).
Questa astratta atemporalità di fronte a una realtà emergente è rafforzata da lunghi passaggi sulla storia della Sinistra comunista. Per quanto i dettagli possano essere indiscutibili, non viviamo nello stesso mondo dei nostri predecessori e questo documento emana la sensazione che sia stato scritto solo per "il milieu", come lo chiamate voi. La Sinistra comunista può avere una storia di principio di opposizione alla guerra di cui possiamo essere orgogliosi, ma come la dichiarazione in ultima analisi ammette, oggi abbiamo poca influenza nella classe. Dalla nostra attuale posizione di oscurità politica, voi pensate che annunciare "Oggi, di fronte all'accelerazione del conflitto imperialista in Europa, solo le organizzazioni della Sinistra comunista hanno il diritto di tenere alta la bandiera di un coerente internazionalismo proletario e di fornire un punto di riferimento per coloro che sono alla ricerca dei principi della classe operaia", estenderà la nostra influenza? Non viviamo ai tempi della Seconda o della Terza Internazionale, quando c'era un seguito di massa che si è concluso con il tradimento dei lavoratori e il coinvolgimento nella guerra imperialista. Il nostro compito non è quello di reagire ai tradimenti storici di presunte Internazionali dei lavoratori, ma di continuare a gettare le basi di una nuova Internazionale. Abbiamo il compito molto più difficile di ricostruire dalle fondamenta. Questo ci porta alla vostra lista di potenziali firmatari. È molto ristretta, e ancora più ristretta di quanto sembri, dato che sappiamo tutti che ogni “partito” bordighista si considera l'unico partito internazionale possibile. Non approfondite il motivo di questa selezione così ristretta tra i gruppi della Sinistra comunista, ma sul vostro sito web troviamo questo. “Controverses, IGCL, Internationalist Perspective, Matériaux Critiques e alcuni altri appartengono al milieu parassitario e non hanno nulla a che fare con l'internazionalismo proletario, anche se ne scrivono e anche se presentano esattamente la stessa posizione. La loro attività è caratterizzata dal sabotaggio delle attività comuniste e ostacola la possibilità di un'azione unitaria dell'autentica Sinistra comunista. I gruppi che appartengono alla Sinistra comunista sono: Il Partito Comunista, Il Programma Comunista, Istituto Onorato Damen, Il Comunista, Tendenza Comunista Internazionalista e Internationalist Voice”. Quindi, quello che ci chiedete di sottoscrivere è la vostra particolare definizione di chi è, o non è, nella Sinistra comunista e, inoltre, la vostra logica di lunga data secondo cui qualsiasi organizzazione formata da coloro che hanno lasciato la CCI deve essere colpevole di “parassitismo”. Vi abbiamo a lungo criticato per questa etichetta distruttiva. Anche noi abbiamo criticato questi raggruppamenti in alcune occasioni, ma sempre in termini politici, con l'obiettivo di fare chiarezza e non con un'etichetta volta ad annientare il loro diritto di esistere.
In ogni caso, la vostra proposta è anche troppo limitata. Anche se fossimo d'accordo su chi fa parte della Sinistra comunista, non abbiamo il monopolio della verità su questa questione. L'influenza delle idee internazionaliste (spesso come risultato di tutti i nostri sforzi passati per promuovere l'internazionalismo) è penetrata in organizzazioni politiche provenienti da tradizioni diverse. In questa situazione dovremmo cercare di coinvolgerle in un movimento più ampio contro la guerra.
Per certi versi, il dibattito è una ripresa di quello che la CCI tenne nel Regno Unito con la CWO sulla promozione di No War But the Class War come organismo organizzato di resistenza di classe alla guerra. In effetti, all'epoca eravamo critici nei confronti del vostro approccio limitato proprio come lo siamo ora. Allora la CWO scrisse che riconoscevamo: “l'assoluta debolezza delle forze comuniste in tutto il mondo e certamente in Gran Bretagna. A differenza della CCI, non ci gonfiamo di autodefinizioni come movimento internazionale che è sopravvissuto più a lungo di tutte e tre le internazionali nella storia del movimento operaio. Riconosciamo il nostro dovere centrale di salvaguardare e sviluppare la teoria e la pratica comunista, ma questo è un compito impossibile se rimaniamo isolati e introversi. I comunisti possono difendere e arricchire il loro programma e la loro organizzazione solo interagendo con la realtà sociale. Dobbiamo riconoscere l'attualità delle forze che si sviluppano e sviluppare la teoria e la pratica in relazione a tali sviluppi. Questo vale sia per gli sviluppi di fondo dell'economia mondiale sia per quegli elementi che sono coinvolti in tutti i tipi di movimenti sociali e che sono ricettivi al programma comunista” (Vedi https://www.leftcom.org/en/articles/2002-12-01/communism-against-the-war... [81]
Oggi la TCI vede nella promozione di questa forma di organizzazione su scala internazionale il modo migliore per contribuire a un vero movimento di classe contro le guerre che questo sistema inevitabilmente produce. E come abbiamo detto prima, non basta fare dichiarazioni sulla carta (anche se sono un inizio necessario), dobbiamo trovare il modo di portare la questione alla classe operaia in generale, e certamente di impegnarci con i suoi elementi più interessati. Non c'è più molto tempo a disposizione e, dato l'arretramento di quattro decenni della classe, le sfide da affrontare sono enormi. Con l'aggravarsi della crisi, una nuova generazione si sta avvicinando alla Sinistra comunista e noi dobbiamo dare loro qualcosa in cui possano lavorare per costruire un vero movimento. Ciò significa che abbiamo bisogno di qualcosa di più chiaro e concreto della proposta che state avanzando ora.
Saluti internazionalisti,
Il Bureau Internazionale della Tendenza Comunista Internazionalista
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Alla TCI dalla CCI, 22.04.2022
Cari compagni
La CCI condivide i fondamentali principi internazionalisti contenuti nell'appello della TCI “No War but the Class War” sulla guerra in Ucraina. Poiché a coloro che sono in ampio accordo viene chiesto di rispondere all'appello, sottolineiamo il nostro sostegno ai principi della Sinistra comunista in esso contenuti:
- la guerra in Ucraina è di natura interamente imperialista e non è in alcun modo una guerra di difesa nazionale. La classe operaia non può sostenere nessuna parte in questa carneficina di cui è la principale vittima;
- l'attuale periodo di guerre imperialiste del capitalismo, che la guerra in Ucraina esemplifica, sta avvicinando l'estinzione dell'umanità;
- solo il rovesciamento del capitalismo può porre fine alle guerre imperialiste. Le illusioni pacifiste in un capitalismo pacifico affossano la prospettiva rivoluzionaria della classe operaia che è l'unica soluzione all'imperialismo;
- la strada verso la rivoluzione proletaria può basarsi solo sulla lotta della classe operaia per difendere le proprie condizioni di vita (e contro i sindacati, come voi sottolineate) e sull'impegno nel processo che porta alla formazione del partito politico internazionale della classe operaia. Questo processo esclude necessariamente le tradizioni controrivoluzionarie socialdemocratiche, staliniste e trotzkiste.
Dopo aver affermato il nostro accordo di fondo su queste questioni, c'è un problema legato all'appello della TCI che è importante chiarire.
Dato questo stretto accordo sulle questioni di principio internazionaliste espresse nell'appello della TCI, era perfettamente possibile per la TCI firmare la Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra comunista (pubblicata sui siti dei firmatari) che si basava proprio su questi principi e lasciava da parte i punti di disaccordo secondari tra i gruppi. La Dichiarazione congiunta, dal punto di vista del principio internazionalista, avrebbe potuto essere firmata dalla TCI anche se la vostra organizzazione la riteneva di per sé insufficiente per la lotta contro la guerra imperialista (torneremo in dettaglio sulle ragioni che ci avete inviato nella vostra lettera di rifiuto di firmare la Dichiarazione congiunta). Forse ritenete che non sia opportuno fare riferimento, in questo appello, all'esperienza e alla tradizione del movimento operaio dopo la Conferenza di Zimmerwald e in particolare alla tradizione della Sinistra comunista. Se è così, potete dirci perché? Se, al contrario, ritenete valida questa preoccupazione di iscrivere la posizione degli internazionalisti sulla guerra in Ucraina in continuità con quella dei nostri predecessori, non vediamo, sulla base delle chiare posizioni internazionaliste che condividiamo, perché non potreste sostenere la Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra comunista.
Forse la proposta iniziale di dichiarazione congiunta che vi abbiamo inviato non era sufficientemente chiara sul fatto che non doveva essere un'iniziativa esclusiva contro la guerra imperialista. I firmatari potevano svolgere altre attività - come i comitati NWBCW che proponete nel vostro appello, ad esempio - che gli altri firmatari non condividono o i cui obiettivi e modalità non sono ancora chiari per loro.
I firmatari potevano anche non essere d'accordo sull'analisi della situazione mondiale, ma erano comunque d'accordo sul fatto che il capitalismo non ha alternative alla discesa nella barbarie. Ma una necessità importante in questa situazione è quella di fare una dichiarazione comune e quindi una più forte affermazione dell'internazionalismo da parte della Sinistra comunista. Naturalmente, questi principi comuni avrebbero potuto essere riformulati o rafforzati rispetto alla bozza proposta (così come è stato fatto dallo IOD) e i criteri per i gruppi che firmano la dichiarazione avrebbero potuto essere discussi. Vi chiediamo quindi di riconsiderare il vostro rifiuto di firmare la Dichiarazione congiunta.
Al momento l'Appello della TCI, per quanto riguarda il “pubblico”, sembra essere in competizione con la Dichiarazione congiunta, cosicché coloro che si avvicinano alle posizioni di classe internazionaliste della Sinistra comunista si troveranno di fronte a due "unità" distinte e rivali.
Siamo d'accordo che questa situazione ambigua è una debolezza per l'intero campo internazionalista?
Aspettiamo i vostri suggerimenti per risolvere questo problema.
Saluti comunisti, la CCI
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Alla CCI dalla TCI, 24 aprile 2022
Compagni
Se volete sul serio cercare di convincerci a firmare la vostra dichiarazione, state sbagliando strada. In primo luogo, non affrontate il punto centrale della nostra decisione di rifiutare di firmare la dichiarazione, ovvero che non accettiamo la vostra ristretta definizione di chi fa e chi non fa parte del “milieu”. Non siamo mai stati d'accordo con la vostra idea di “parassitismo” e non vogliamo nemmeno approvarla implicitamente.
Notiamo anche che voi accettate i principi dell'appello del NWBCW, ma l'obiettivo del NWBCW non è quello di rivolgersi semplicemente alla Sinistra comunista, bensì di riunire chiunque o qualsiasi organizzazione sia genuinamente internazionalista e contraria alla guerra imperialista in modo pratico. Ci stiamo avvicinando a un punto critico della storia mondiale, in cui il sistema capitalista ha preso una svolta decisiva verso nuovi e più ampi conflitti. Assumere una posizione basata su posizioni internazionaliste è un punto di partenza necessario, ma l'obiettivo è andare oltre l'asserzione di principi. Dobbiamo generare un movimento tra la classe operaia in generale che possa preparare la strada a una risposta politica agli orrori che il sistema sta già infliggendo ad alcuni e che alla fine porterà a tutti i lavoratori.
Notiamo che la versione della dichiarazione che ci avete chiesto di firmare non è quella attualmente presente sul vostro sito web. Il 6 aprile, avete proposto quella versione con le firme delle altre organizzazioni. Oggi la versione sul vostro sito è stata modificata. È sparita la frase che avevamo criticato nella nostra precedente risposta, in cui si affermava che: “solo le organizzazioni della Sinistra comunista hanno il diritto di tenere alta la bandiera di un coerente internazionalismo proletario”. È stata eliminata anche la frase che affermava che: “la lotta persistente e consapevole della classe operaia contro il peggioramento dell'austerità che la guerra imperialista comporta è quindi l'unico serio ostacolo all'accelerazione del militarismo”. Non c'è stato alcun riconoscimento pubblico di ciò e non sappiamo se tutti i gruppi che hanno firmato la dichiarazione il 6 aprile siano stati consultati in merito alle modifiche. È difficile avere un dialogo serio se i termini del dibattito continuano a cambiare.
In ogni caso, la nostra posizione sulla firma della “dichiarazione congiunta” resta la stessa.
Saluti internazionalisti, la TCI
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La CCI alla TCI, 29 aprile 2022
Cari compagni
Grazie per la vostra risposta del 24 aprile. Ci dispiace che vi rifiutiate ancora di firmare la Dichiarazione congiunta della Sinistra comunista sulla guerra in Ucraina. Notate che la versione finale della dichiarazione congiunta della Sinistra comunista non è del tutto uguale alla bozza che abbiamo inviato per l’approvazione vostra e degli altri gruppi il 13 marzo. In quest'ultima comunicazione abbiamo chiesto ai gruppi della Sinistra comunista commenti e formulazioni alternative alla bozza, per cui era del tutto normale e logico discutere poi le modifiche alla bozza con i cofirmatari disposti a farlo per concordare la versione finale della dichiarazione congiunta. Ovviamente, i cofirmatari sono stati poi consultati e la versione finale è stata modificata a seguito di una discussione comune. Naturalmente avreste potuto partecipare a questo processo di modifica comune, ma avete deciso di non accettare l'idea di una dichiarazione congiunta nella vostra lettera del 21 marzo. (Per inciso, notiamo che il primo appello No War but the Class War sul sito web della TCI del 6 aprile aveva dodici punti da condividere, mentre il secondo del 23 aprile ne ha solo cinque. Che fine hanno fatto gli altri sette?).
Ovviamente, non c'era bisogno di pubblicare la bozza di dichiarazione congiunta della Sinistra comunista; lo scopo di una dichiarazione congiunta è che i cofirmatari si accordino su una versione finale prima della sua pubblicazione, come espressione della loro azione comune. Quindi non c'è stata alcuna “modifica” dei termini del dibattito, come voi sostenete. I termini sono rimasti gli stessi dalla prima lettera della proposta di dichiarazione congiunta alla sua realizzazione finale. In ogni caso, voi ammettete che non avreste comunque firmato la dichiarazione congiunta, quindi questi cambiamenti dalla bozza alla versione finale non sono stati il motivo del vostro rifiuto di firmare la dichiarazione comune.
Ma quali sono le ragioni del vostro rifiuto di firmare la dichiarazione comune? La vostra lettera è ancora oscura su questo punto fondamentale.
La vostra lettera mette in evidenza la motivazione della TCI alla base dell'appello No War but the Class War. A prescindere dai meriti di questo appello - siamo d'accordo con i suoi principi internazionalisti - o dalle sue debolezze, era ed è perfettamente possibile per la TCI firmare anche la dichiarazione congiunta che contiene gli stessi principi internazionalisti. Il gruppo coreano, Internationalist Communist Perspective, ha dimostrato nella pratica questa possibilità. Ma la vostra lettera non risponde a questa possibilità posta nella nostra precedente lettera. Né risponde al problema posto dall'esistenza di due appelli internazionalisti che potrebbero essere visti come in competizione tra loro.
La necessità fondamentale per il campo rivoluzionario è che i gruppi della Sinistra comunista non si limitino a produrre dichiarazioni internazionaliste separatamente, ma uniscano le loro forze nello spirito di Zimmerwald e dell'unità proletaria nell'azione. Perché rifiutate risolutamente questo principio fondamentale?
La concezione del campo della Sinistra comunista che sta dietro alla dichiarazione congiunta è troppo ristretta per voi.
È stato davvero per il fatto di voler escludere i falsi gruppi della Sinistra comunista e i blogger che attaccano questo campo piuttosto che la borghesia imperialista, che vi siete rifiutati di firmare la dichiarazione congiunta? Pur non condividendo la caratterizzazione della falsa sinistra comunista come “parassita”, voi avete comunque riconosciuto il suo ruolo negativo nella recente corrispondenza con la CCI. Quindi il rifiuto del termine “parassita” non è certo un motivo per eludere l'importante responsabilità di contribuire a unificare la vera Sinistra comunista contro la guerra imperialista.
Infine, voi affermate che stiamo percorrendo la “strada sbagliata” per convincervi a firmare la dichiarazione congiunta. Diteci quale sarebbe il “modo giusto” per convincervi.
Saluti comunisti, la CCI
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La TCI alla CCI, 30 aprile 2022
Compagni
Nella nostra precedente corrispondenza abbiamo chiaramente affermato che, pur sostenendo tutte le dichiarazioni internazionaliste contro la guerra, il vostro appello era caratterizzato dalla ristrettezza del suo obiettivo. Non solo escludete tutti i gruppi che considerate “parassiti”, ma il documento iniziale diceva che “solo le organizzazioni della Sinistra comunista hanno il diritto di tenere alta la bandiera di un coerente internazionalismo proletario” e questa era la versione che avete pubblicato il 6 aprile. Ora sostenete che il vostro Appello è della “Sinistra comunista”, il che vi mette sullo stesso livello dei Bordighisti.
Non crediamo che condividiate davvero la nostra preoccupazione per la gravità della situazione attuale. Notiamo che sul vostro sito c'è un articolo che afferma che non ci sarà una guerra imperialista generale perché “i blocchi non sono stati formati” [cfr. https://en.internationalism.org/content/17151/ruling-class-demands-sacrifices-altar-war [82]]. Il mondo ha preso una svolta decisiva verso la guerra imperialista che la Sinistra comunista sapeva sarebbe stata il risultato di questa lunga crisi del ciclo di accumulazione del capitale. Anche se si dovesse arrivare a una pace sull'Ucraina (che sembra sempre meno probabile), si tratterà solo di una tregua. Le crescenti contraddizioni del sistema stanno ora dettando la rotta che il capitalismo imperialista sta seguendo. Ci è voluto più tempo di quanto pensassimo, ma non è l'unica questione importante. Come abbiamo detto nel nostro Appello all'azione, la classe operaia è in ritirata da decenni e, come avevamo previsto, non c'è ancora un movimento di massa che porti a una confluenza teorica di punti di vista in grado di produrre una possibile nuova Internazionale. La nostra idea circa NWBCW è quella di cercare concretamente di riunire gli internazionalisti di tutte le tendenze per resistere sia alla guerra imperialista che a tutte le false risposte della sinistra capitalista (compreso il pacifismo), oltre a estendere alla più ampia classe operaia la critica internazionalista del capitalismo come generatore di guerre imperialiste. In breve, mentre il vostro Appello guarda all'interno, noi cerchiamo di guardare all'esterno.
Di certo non vogliamo essere associati in alcun modo alla vostra opinione, da sempre sostenuta, che alcuni altri gruppi siano “parassiti” ed è disonesto da parte vostra anche solo insinuare che condividiamo il vostro punto di vista su questo.
Abbiamo mosso critiche ad altri gruppi del campo proletario, ma su questioni specifiche (come la classe operaia che frena la guerra, per esempio), ma non neghiamo il loro diritto di esistenza politica né crediamo, come voi dite in questa lettera, che siano “falsi”. Allo stesso modo, non giudichiamo altri gruppi come fate voi. L'ICP coreano può prendere le proprie decisioni su ciò che deve fare e abbiamo accettato la spiegazione che ci ha inviato per firmare il vostro Appello. Il fatto importante è che anche loro possano vedere il valore reale del tentativo di sviluppare l'opposizione alla guerra e al capitalismo nel modo più ampio possibile. A questo proposito, non ci aspettiamo che tutti siano d'accordo con tutti i nostri dodici punti dell'“Appello all'Azione”, che includevano le motivazioni della TCI per la convocazione dei comitati NWBCW. Tuttavia, come nel 2002 con i gruppi NWBCW della CWO contro la guerra in Iraq, abbiamo sempre avuto una serie di criteri internazionalisti operativi che hanno permesso ad altri di unirsi a loro. In effetti, se insistessimo sulla necessità che tutti siano d'accordo su come la TCI vede il mondo, ripeteremmo il vostro errore.
Questa è la nostra ultima parola sulla questione. Finché siete disposti a considerare solo pochi eletti come degni di riconoscimento, non abbiamo altro da dire. Al contrario, abbiamo lanciato un Appello all'Azione che offre a tutti gli internazionalisti l'opportunità di rispondere. In questo modo potremmo fare un piccolo passo verso un vero movimento di classe internazionale contro il capitale prima che il tempo finisca per l'umanità.
Saluti internazionalisti, la TCI
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La CCI alla TCI, 16 maggio 2022
Compagni,
Purtroppo, la vostra ultima lettera (30 aprile) ancora una volta non spiega adeguatamente perché la TCI si rifiuta di firmare la Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra comunista sulla guerra in Ucraina, anche se la vostra organizzazione, in quanto parte della Sinistra comunista, è pienamente d'accordo con i principi internazionalisti proletari della dichiarazione.
Comprendiamo che la TCI voglia un “Appello all'Azione” sulla guerra imperialista, ma non capiamo perché, in termini di posizione comune del campo della Sinistra comunista, la TCI rimanga inattiva. La vostra organizzazione vuole un appello “ampio” in contrapposizione a quello “ristretto” della Dichiarazione congiunta. Ma rifiutando di firmare la Dichiarazione congiunta avete limitato l'impatto più ampio di una posizione comune della Sinistra comunista. Peggio ancora, poiché la TCI si rifiuta di firmare la Dichiarazione congiunta, l'appello No War but the Class War della TCI sembra creare una competizione all'interno della Sinistra comunista. Abbiamo chiesto una vostra risposta a questo problema nelle lettere precedenti, ma finora non è arrivata alcuna risposta. L'“Appello all'Azione” della TCI, a giudicare dalla vostra ultima lettera, sembra essere sempre più flessibile: coloro che sono d'accordo con esso non devono necessariamente condividere tutti i suoi 12 punti, a condizione che la TCI sia in possesso di “una serie di criteri internazionalisti operativi”. Ma nei confronti dei gruppi della Sinistra comunista, la TCI è implacabilmente rigida nel suo rifiuto di una dichiarazione comune.
Ancora una volta pretendete di essere stati ingannati sul contenuto della Dichiarazione congiunta. La realtà è che avete rifiutato il processo di revisione della bozza di dichiarazione che vi è stato offerto quando vi è stata inviata per avere suggerimenti alternativi. Il vero problema per voi non era questa o quella formulazione, ma è la volontà di avere una dichiarazione comune, il principio stesso di uno sforzo unitario, che avete rifiutato.
Ancora una volta, le differenze di analisi della situazione mondiale da parte della TCI vengono addotte come giustificazione del rifiuto. Ma le differenze sull'interpretazione degli eventi recenti non sono un ostacolo alla dichiarazione comune che la Sinistra comunista condivide sulla bancarotta del capitalismo mondiale e sull'inevitabilità della diffusione e dell'intensificazione della guerra imperialista. La Dichiarazione congiunta che difende l'asse fondamentale comune dell'analisi dell'imperialismo mondiale da parte della Sinistra comunista non preclude un successivo dibattito sulle differenze di interpretazione di questo asse. Al contrario, la Dichiarazione congiunta è la base di tale dibattito, una precondizione vitale.
Secondo voi la definizione di Sinistra comunista nel progetto della Dichiarazione Comune era troppo ristretta e quindi impossibile da sottoscrivere perché escludeva i blogger parassiti e i finti gruppi politici che rivendicano falsamente questa tradizione. Ma la TCI ha messo in discussione l'inclusione dei partiti bordighisti nella proposta originale della Dichiarazione congiunta, che sono un importante filone della tradizione della vera Sinistra comunista con cui condividete un'origine comune. L'esclusione dei gruppi bordighisti dall'invito all'appello avrebbe creato una base di partecipazione molto più ristretta e di fatto inadeguata. Naturalmente, i criteri per stabilire chi debba essere incluso in una dichiarazione congiunta della Sinistra comunista è una discussione importante. Tuttavia, la questione dei criteri non può essere usata di per sé come giustificazione per abbandonare il tentativo di forgiare una dichiarazione comune della Sinistra comunista. L'accordo su questi criteri fa parte del processo di discussione che porta a una posizione comune. Ciò che è essenziale è la volontà di raggiungerla, che è stata costantemente assente nell'atteggiamento della TCI nei confronti della Dichiarazione congiunta. In una situazione analoga, la CCI, nel rispondere positivamente all'appello di Battaglia Comunista nel 1976 per la convocazione di conferenze di discussione congiunte tra gruppi della Sinistra comunista, espresse la propria disponibilità allo sforzo, ma si rammaricò che l'iniziativa di Battaglia non contenesse alcun criterio per decidere quali gruppi avrebbero dovuto partecipare alle conferenze. Questo rammarico non ha impedito alla CCI di proseguire il lavoro comune e di partecipare alla prima Conferenza. Come scrivemmo a Battaglia all'epoca: “A questo proposito non possiamo che rammaricarci del fatto che non abbiate ritenuto utile comunicare i nomi dei gruppi invitati a questo incontro, né sulla base di quali criteri sia stata fatta la scelta di questi gruppi. Tuttavia, questa mancanza di informazioni non ci impedisce di partecipare a questo incontro con la nostra migliore volontà rivoluzionaria. Inoltre, avremmo voluto, come abbiamo già espresso, che prima dell'incontro fosse preparato e distribuito ai partecipanti un bollettino contenente le lettere di risposta e altri testi dei vari gruppi invitati” (1 marzo 1977)
Fortunatamente per la Seconda Conferenza della Sinistra comunista, furono concordati un insieme di criteri proposti dalla CCI e i partiti bordighisti furono invitati.
L'insegnamento di questo episodio di sforzo per un lavoro comune di questa natura è che non tutte le sue condizioni non sono necessariamente soddisfatte in anticipo e che i disaccordi che sorgono non devono essere usati come scusa per ritirarsi dal progetto. Ciò che è fondamentale, e che costituisce una delle principali lezioni del fallimento finale delle Conferenze Internazionali degli anni ‘70, è che è mancata la convinzione del principio di uno sforzo comune e la volontà di mantenere un forum per la discussione delle differenze nella Sinistra comunista. In effetti, la Terza Conferenza della Sinistra comunista non riuscì a fare una dichiarazione internazionalista congiunta, proposta dalla CCI, contro l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'URSS di allora.
Nella vostra lettera del 24 aprile 2022 avete affermato che la CCI vi chiedeva di riconsiderare il vostro rifiuto di firmare la Dichiarazione congiunta nel “modo sbagliato”. Nella nostra risposta vi abbiamo quindi chiesto quale fosse il “modo giusto”. La vostra ultima lettera non risponde a questa domanda. Nel recente incontro pubblico della CCI a Londra, sabato 7 aprile, è stata posta la stessa domanda alla TCI: cosa dovrebbe fare la CCI per convincervi a firmare la Dichiarazione congiunta della Sinistra comunista contro la guerra imperialista? Il compagno della TCI presente all'incontro ha ammesso di non avere una risposta nemmeno a questa domanda.
La mancanza di risposta a questa domanda è il motivo per cui anche voi dichiarate perentoriamente che la vostra ultima lettera era la vostra “parola finale” sull'argomento? Da parte sua, la CCI rimane aperta a discutere con voi le nostre divergenze sul rifiuto della TCI di firmare la Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra comunista contro la guerra in Ucraina.
Saluti comunisti, CCI
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La CCI al Partito Comunista Internazionale (Il Partito), 20/4/2022
Cari compagni,
abbiamo letto sul vostro sito l’annuncio della Conferenza Pubblica che avete organizzato a Genova per il giorno venerdì 22 aprile sul tema della guerra in Ucraina. Abbiamo altresì letto i cinque temi che suggerite per la discussione, che ci trovano completamente d’accordo nella loro impostazione di base. Come voi giustamente affermate, la guerra è una costante del capitalismo, tanto più in questa fase di declino storico. Consideriamo pertanto la scelta della vostra organizzazione di tenere una Conferenza Pubblica su questo tema una scelta importante e responsabile per far fronte alla campagna borghese che tende a spingerci ad appoggiare uno dei due fronti in lotta, nel caso specifico l’Ucraina, come paese aggredito e dunque da aiutare inviando … armi. La propaganda borghese, attraverso un colpevole pacifismo, sta cercando di intrupparci tutti nell’orrore della guerra in corso. Tutto questo va denunciato con forza e siamo sicuri che voi lo farete nell’ambito della vostra Conferenza. Purtroppo noi abbiamo appreso tardi della tenuta di questo incontro e ci dispiace di non potervi partecipare fisicamente, né vediamo che è possibile una partecipazione da remoto tramite internet. Tuttavia permetteteci di inviarvi il testo della Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra Comunista Internazionale sulla guerra in Ucraina, una dichiarazione che abbiamo proposto anche ad altre componenti della Sinistra comunista e che pensiamo sia importante da mostrare oggi al proletariato come espressione di ciò che unisce le organizzazioni rivoluzionarie di fronte alle varie mistificazioni borghesi. Come vi abbiamo scritto in una precedente lettera, noi vi chiediamo di sottoscrivere questa dichiarazione, non per fare numero, ma per aprire, a partire dal reciproco riconoscimento dell’appartenenza allo stesso campo rivoluzionario, un processo di confronto e di discussione pubblica capace di produrre nel tempo una decantazione delle posizioni e una chiarificazione politica di fronte alla classe. Cogliamo ugualmente l’occasione per annunciarvi la tenuta di nostre prossime riunioni pubbliche su un analogo tema, che si terranno tramite internet, dunque facilmente raggiungibili, per il momento in lingua italiana, il giorno 4 maggio, e in lingua inglese, l’8 maggio. L’avviso di queste riunioni apparirà quanto prima – già domani quella in italiano – sul nostro sito web. Con la presente quindi vi invitiamo ufficialmente a queste riunioni che potrebbero offrire un’occasione preziosa per un confronto tra organizzazioni autenticamente rivoluzionarie.
In attesa di ricevere una vostra risposta vi inviamo i nostri fraterni saluti
Corrente Comunista Internazionale
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Dalla Corrente Comunista Internazionale al KRAS
Cari compagni
Vi inviamo i link alla Dichiarazione congiunta sulla guerra imperialista in Ucraina (in inglese e russo), firmata da tre gruppi della Sinistra comunista e da un altro gruppo vicino a questa tradizione. Joint statement of groups of the international communist left about the war in Ukraine [83];
Совместное заявление групп Интернациональной коммунистической левой о войне на Украине [84]
Comprendiamo che provenite da una tradizione politica diversa, ma abbiamo sempre riconosciuto che difendete con coerenza e coraggio - soprattutto nelle attuali condizioni della Russia - le posizioni internazionaliste contro le guerre del capitalismo, e per questo abbiamo recentemente pubblicato sul nostro sito web la vostra dichiarazione sulla guerra in Ucraina in diverse lingue (cfr. Una dichiarazione internazionalista dall'interno della Russia [64].
Vi chiediamo quindi di sostenere la nostra dichiarazione, sia firmandola direttamente sia annunciando il vostro ampio accordo con essa nonostante le differenze, e di pubblicarla sul vostro sito web e sugli altri mezzi di comunicazione a vostra disposizione. Saremo inoltre lieti di ricevere qualsiasi commento o critica in merito alla dichiarazione.
In solidarietà, la CCI
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Risposta del Kras 14 aprile 2022
Salve compagni,
Grazie per aver diffuso la nostra dichiarazione sulla guerra. Non possiamo di aderire alla dichiarazione che avete fatto insieme ad altre organizzazioni Marxiste della Sinistra comunista - certo non perché non condividiamo il suo orientamento internazionalista, ma a causa di disaccordi teorici, ad esempio al riferimento in positivo alla “dittatura del proletariato” - un concetto che non condividiamo. Ciononostante, abbiamo tradotto e messo sul nostro sito web (con una prefazione e una menzione dei disaccordi) il vostro testo, “Contro la guerra imperialista - lotta di classe” con le valutazioni e l'approccio internazionalista con i quali siamo fondamentalmente d'accordo:
https://aitrus.info/node/5949 [85]
In solidarietà, KRAS-IWA
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La CCI all'ICP (Corea)
Cari compagni,
Vi inviamo l'introduzione alla dichiarazione congiunta: “Le organizzazioni della sinistra comunista devono difendere in modo unitario il loro patrimonio comune di adesione ai principi dell'internazionalismo proletario soprattutto in un momento di grande pericolo per la classe operaia mondiale. Il ritorno della carneficina imperialista in Europa nella guerra in Ucraina è un tale momento. Per questo pubblichiamo qui di seguito, con altri firmatari provenienti dalla tradizione della sinistra comunista (e un gruppo con una traiettoria diversa che sostiene pienamente la dichiarazione), una dichiarazione comune sulle prospettive fondamentali per la classe operaia di fronte alla guerra imperialista”
La pubblicheremo, come già detto, mercoledì 6 aprile
2) Proponiamo di avere come "firmatari" i seguenti gruppi: Corrente Comunista Internazionale
Istituto Onorato Damen
Internationalist Voice
Internationalist Communist Perspective (Corea) sostiene pienamente la dichiarazione congiunta.
Va bene per voi?
[1] Alcuni gruppi della tradizione bordighista del PCI invitati a partecipare, come Il PCInt-Il Partito e Le Proletaire/Il Comunista, non hanno risposto alla lettera di invito e quindi non ci sono loro lettere. Il PCInt-Programma comunista ha risposto solo con un breve rifiuto che viene qui incluso. Non ha risposto nemmeno il gruppo Fil Rouge. Il nome del PCInt-Il Partito è stato omesso per errore dall'elenco dei destinatari nella originale lettera di proposta, ma la proposta è stata comunque inviata loro. Il loro nome è stato incluso tra i destinatari delle lettere successive. È stata inviata un'altra lettera a Il Partito, inclusa verso la fine, che contiene la richiesta di firmare la dichiarazione. Inoltre la CCI ha chiesto a Il Partito perché non aveva risposto all'invito all'appello in occasione di un suo incontro online sulla guerra in Ucraina il 22 maggio. Anche a questa richiesta non c'è stata risposta.
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Il capitalismo continua la sua barbarie militarista in Ucraina con migliaia di morti e distruzioni irreversibili, che si aggiungono al pericolo nucleare, sia per "incidenti" nelle numerose centrali sul territorio ucraino, sia per il dispiegamento di armi nucleari tattiche. Una guerra che a sua volta intensifica le tensioni e gli scontri imperialisti tra gli Stati centrali del capitalismo.
L’aggravamento della crisi economica mondiale, con l’aumento dell'inflazione e della precarietà del lavoro, le conseguenze sempre più devastanti del cambiamento climatico, si abbattono pesantemente su tutti i lavoratori.
Oggi ai proletari dei paesi occidentali i governi chiedono nuovi sacrifici, per far fronte all'inflazione e alla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina, mentre aumentano le spese militari per le loro ambizioni imperialiste.
Questo è il primo polo delle contraddizioni del capitalismo. Il polo della barbarie e della distruzione incarnato dal capitalismo.
Ma l'altro polo è la lotta di classe del proletariato. Il proletariato come classe storica ha il potenziale e la forza di distruggere il capitalismo ponendo fine alla guerra, alla miseria, alla distruzione ecologica, alla barbarie.
I recenti scioperi in Gran Bretagna, insieme ad altri momenti di lotta in Germania, Cile, Tunisia, Belgio, Spagna, sono i segni embrionali, ma significativi, dell’inizio di una risposta della classe operaia sul proprio terreno di classe della difesa delle condizioni di vita e di lavoro, nonostante la guerra e nonostante le campagne borghesi sullo stringere la cinghia per la difesa della pace e della democrazia.
Su questi temi la CCI ha organizzato una serie di incontri pubblici a livello internazionale.
Ti invitiamo a partecipare all’incontro in lingua italiana
L’incontro sarà tenuto via internet. Tutti coloro che vorranno partecipare sono invitati a inviare un messaggio a [email protected] [17] per poter ricevere istruzioni sulle modalità tecniche per partecipare alla riunione.
Sul nostro sito https://world.internationalism.org/ [88], sono disponibili numerosi articoli, in diverse lingue, per un approfondimento in preparazione al dibattito. Segnaliamo in particolare:
Gli scontri imperialisti in Ucraina intensificano il caos e la barbarie della guerra [89]
Vertice della NATO a Madrid: un vertice di guerra per la guerra [90]
Corrente Comunista Internazionale
Per iniziare questa presentazione, vorremmo innanzitutto ripercorrere le cause di questa guerra, che abbiamo già sviluppato nei nostri precedenti incontri pubblici e nella nostra stampa:
- gli Stati Uniti vogliono mantenere e rilanciare il loro ruolo di potenza leader nel mondo;
- per questo hanno ingannato la Russia per farle invadere l'Ucraina, dicendo che in caso di invasione non sarebbero intervenuti;
-dopo l'invasione, hanno scatenato una campagna di sostegno all'Ucraina, costringendo i Paesi europei a schierarsi dietro di loro;
- l'obiettivo immediato è indebolire la Russia in modo significativo, sia militarmente che economicamente, e per farlo contano su una guerra di lunga durata, che esaurirà la Russia su entrambi i fronti;
- in questo modo, indeboliscono anche la Cina, indebolendo il suo più importante alleato, e lanciano un avvertimento alla Cina su cosa può aspettarsi in caso di invasione di Taiwan (gli Stati Uniti hanno dichiarato che avrebbero difeso l'indipendenza di Taiwan);
- infine, costringono i Paesi europei ad allinearsi dietro di loro, cosa che non è esattamente l'ambizione di questi Paesi (in particolare di Francia e Germania).
Oggi, dopo 6 mesi di guerra, sembra che nulla di tutto ciò sia stato messo in discussione: la guerra continua, ed è altamente probabile che continui per molti altri mesi, se non per anni. In effetti la Russia non può porvi fine senza firmare la propria condanna a morte come attore principale sulla scena internazionale. E anche se riuscisse a ottenere il controllo totale del Donbass, dovrebbe mantenere una forte presenza militare per far fronte alla guerra “partigiana” che l'Ucraina, con l'aiuto degli Stati Uniti, scatenerebbe contro di lei.
Gli Stati Uniti, d'altra parte, hanno interesse a far proseguire la guerra per raggiungere il più possibile il loro obiettivo di dissanguare la Russia. Da parte russa come da parte statunitense, il costo, i danni materiali, i morti e le devastazioni non contano: la guerra deve continuare fino alla fine.
Il recente vertice della NATO (che ha annunciato la volontà di intervenire in tutto il mondo); la provocazione nei confronti della Cina attraverso il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan; l'assassinio del leader di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, a Kabul; il viaggio di Biden in Arabia Saudita: tutto ciò conferma la volontà degli USA di imporsi come unica potenza globale, a qualunque costo.
Questa guerra conferma quindi pienamente il quadro di analisi che il movimento operaio ha sviluppato sulla guerra nella decadenza e che la CCI, in continuità con questa, ha sviluppato su cosa è la guerra nella fase finale della decadenza, quella della decomposizione:
- non c'è più alcuna razionalità economica per la guerra, al contrario. Nell'ascesa del capitalismo, se potevano esistere guerre senza uno scopo economico dominante (cioè con scopi prevalentemente politici), la maggior parte di esse era finalizzata all'espansione del controllo della ricchezza e dei mercati. Nella decadenza, la guerra stessa è diventata sempre più un'aberrazione economica.
Al di là degli orribili effetti diretti delle operazioni militari, questa guerra ha importanti ripercussioni sull'economia globale: l'accelerazione della recessione, l'aumento dell'inflazione e le crescenti difficoltà a mantenere la globalizzazione che aveva permesso un certo livello di crescita economica. Ha conseguenze sul piano sociale, con le carestie che provoca per la mancanza di cereali sul mercato, con l'ondata di profughi che fuggono direttamente dalla guerra o dalle sue conseguenze economiche. Ha conseguenze ambientali, con la distruzione ecologica in Ucraina (per non parlare del pericolo di incidenti nucleari con il bombardamento di aree contenenti centrali nucleari). Infine, implica una corsa all'aumento delle spese militari (la Germania che aggiunge 100 miliardi al suo bilancio militare, Francia, Italia e Giappone che aumentano i loro bilanci), e quindi uno sviluppo dell'economia di guerra, cioè la tendenza ad assoggettare l'economia alle esigenze della guerra;
- la guerra nella decadenza e nella decomposizione è quindi caratterizzata da una totale irrazionalità: nessuna parte in guerra e nessuna potenza coinvolta ne trarrà alcun vantaggio, anzi. Dell'Ucraina rimarrà solo una terra desolata e le enormi spese sostenute saranno irrecuperabili. Anche se ci fossero mercati da recuperare, gas di scisto da vendere, quanti anni, decenni, secoli addirittura, ci vorrebbero perché i profitti compensino le spese sostenute nella guerra? Gli aiuti occidentali all'Ucraina ammontano oggi a più di 75 miliardi di dollari, e non è finita!
- infine, anche in questo caso si conferma la caratteristica fondamentale delle relazioni imperialiste in fase di decomposizione: lo sviluppo del ciascuno per sé. Al di là del successo immediato ottenuto dagli USA, la loro volontà di rimanere l'unico leader del mondo è e sarà sfidata non solo da Cina e Russia, ma anche dai loro attuali “alleati” che non vogliono rinunciare a difendere i propri interessi sul piano imperialista. La Turchia lo sta già facendo in modo aperto, ma anche l'aumento delle spese militari di Germania, Francia e forse Giappone sono un chiaro segnale che questi paesi non rinunciano alle proprie ambizioni, il che significa un'esacerbazione delle tensioni imperialiste. Oggi, l'allineamento delle grandi potenze europee dietro gli Stati Uniti è un'alleanza forzata e congiunturale, che non ha affatto spento la volontà di ciascuno di questi paesi di prendere il proprio posto sulla scena imperialista.
Questa guerra è parte di una serie di fenomeni: le tensioni belliche in tutto il mondo, la pandemia, il cambiamento climatico, gli incendi incontrollabili e la forte minaccia nucleare contenuta in questa guerra... questi fenomeni non sono isolati e congiunturali, ma esprimono il fatto che il capitalismo si trova in un periodo specifico della sua decadenza, un'ulteriore fase segnata dalla decomposizione generale della società che porta in sé la minaccia dell'annientamento dell'umanità. L'unico futuro che il capitalismo promette all'umanità è quello del caos, della miseria, della fame e della disperazione. E infine, l'estinzione.
Questa è la posta in gioco nell'attuale situazione storica e i rivoluzionari hanno il dovere di mostrarlo al proletariato. Abbiamo cercato di farlo con la nostra stampa web e cartacea, con un volantino internazionale distribuito in tutti i paesi in cui è stato possibile, con incontri pubblici in presenza e online e con l'appello al campo politico proletario che ha dato vita alla Dichiarazione congiunta di tre gruppi del campo internazionalista, disponibile sulla nostra stampa.
Ma sarebbe illusorio pensare che il proletariato possa, oggi, recepire a pieno i nostri appelli e rispondere sul proprio terreno di classe alla guerra (il che significherebbe sviluppare la rivoluzione).
Innanzitutto perché la guerra non è un terreno favorevole per la classe operaia. Lo vediamo con il proletariato ucraino, che sta subendo le conseguenze peggiori della guerra, perché ha subito una grave sconfitta politica, venendo trascinato dietro la borghesia nella “difesa della patria”. Questo è anche una chiara conferma che il proletariato dei paesi periferici non è il più attrezzato per resistere al peso dell'ideologia nazionalista, democratica e bellicista della borghesia.
Nemmeno il proletariato russo è riuscito a opporsi alla guerra: anche se non è stato totalmente trascinato dietro la propria borghesia, non ha abbastanza forza per dimostrare attivamente la propria ostilità alla guerra.
Infine, anche se il proletariato dei paesi occidentali è quello che ha il maggior potenziale per opporsi alla guerra, la guerra ha comunque prodotto un momento di paralisi che, addizionandosi all'impatto della pandemia, ha interrotto la tendenza alla ripresa della combattività dimostrata dalla lotta contro la riforma delle pensioni in Francia e dagli scioperi in diversi paesi (USA, Italia, Iran, Spagna).
Anche oggi la situazione dimostra che il principale alleato della classe operaia nella sua lotta storica è la crisi. E la guerra in Ucraina, che segue la pandemia Covid, sta producendo effetti devastanti a questo livello: inflazione, un'economia orientata alla guerra che richiede aumenti di produttività, un debito sempre maggiore, ecc. La borghesia non avrà altra scelta che attaccare la classe operaia e si sta già preparando. La classe operaia di questi paesi, già sottoposta a enormi pressioni per pagare il conto della pandemia, già colpita direttamente dall'inflazione, subirà nuovi pesanti attacchi.
Ma il proletariato dei paesi occidentali non è sconfitto, non è pronto ad accettare i sacrifici che la crisi economica del capitale gli impone (e ovviamente ancor meno i sacrifici che una guerra che coinvolga direttamente questi paesi comporterebbe). Lo ha dimostrato prima della pandemia, lo ha dimostrato alla fine del 2021, sta iniziando a dimostrarlo di nuovo attraverso una serie di scioperi e manifestazioni che si stanno sviluppando in diversi paesi, alcuni dei quali come non si vedevano da diversi anni, che dimostrano che la rabbia accumulata sta iniziando a trasformarsi in volontà di lotta.
Questi scioperi e manifestazioni si sono sviluppati in diversi paesi: Stati Uniti, Spagna, lo scorso autunno e inverno, Francia, Germania, Belgio quest'estate, e sono previsti in altri paesi, come Francia e Italia. Ovunque si sta preparando un autunno caldo.
Ma innanzitutto è la classe operaia in Gran Bretagna a dirci che la classe operaia sta iniziando a reagire con determinazione alle conseguenze della crisi. Questo movimento di massa chiamato “L'estate del malcontento”, in riferimento al “L’inverno del malcontento” del 1979, coinvolge ogni giorno i lavoratori di un numero sempre maggiore di settori: i treni, poi la metropolitana di Londra, British Telecom, le Poste, i portuali di Felixstowe (un porto vitale della Gran Bretagna), i netturbini e gli autisti di autobus in diverse parti del paese, Amazon, ecc. Oggi lavoratori dei trasporti, domani operatori sanitari e insegnanti.
Tutti i giornalisti e i commentatori notano che questo è stato il più grande movimento della classe operaia in questo paese da decenni; bisogna risalire ai grandi scioperi del 1979 per trovare un movimento più grande e più esteso. Un movimento di questa portata in un paese importante come il Regno Unito non è un evento “locale”, come abbiamo detto nel nostro volantino pubblicato alla fine di agosto, è un evento di portata internazionale, un messaggio agli sfruttati di tutti i paesi.
Questi scioperi sono una risposta a decenni di attacchi e decenni di apatia da parte della classe operaia britannica, che non solo ha pagato lo smarrimento che ha colpito la classe operaia mondiale con il crollo del blocco orientale e le campagne sulla “morte del comunismo” che ne sono seguite, ma anche la pesante sconfitta dei minatori a metà degli anni ‘80. In particolare, sono una risposta alla perdita di potere d'acquisto causata dall'inflazione e dalla stagnazione dei salari. Le lotte di oggi sono indispensabili non solo per difenderci dagli attacchi, ma anche per riconquistare la nostra identità di classe su scala globale, per preparare il rovesciamento di questo sistema, che è sinonimo di miseria e catastrofi di ogni genere.
In tutto il mondo, la classe operaia vive in una situazione in cui l'inflazione erode il suo potere d'acquisto, soffre per le inondazioni e le siccità causate dal cambiamento climatico, per la precarizzazione del lavoro, ecc. Oggi ai proletari dei paesi occidentali i governi chiedono nuovi sacrifici, per far fronte all'inflazione e alla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina, mentre aumentano le spese militari per le loro ambizioni imperialiste. Questo è anche ciò di cui gli scioperi proletari nel Regno Unito sono portatori, anche se i lavoratori non ne sono sempre pienamente consapevoli: il rifiuto di sacrificarsi sempre di più per gli interessi della classe dominante, il rifiuto di fare sacrifici per l'economia nazionale e per lo sforzo bellico, il rifiuto di accettare la logica di questo sistema che sta portando l'umanità verso la catastrofe e, in ultima analisi, alla sua distruzione.
Se le attuali lotte nel Regno Unito annunciano questa rinascita della combattività e tutto il potenziale che essa contiene, non dobbiamo dimenticare tutti gli ostacoli e le trappole che si frappongono alla classe e che la borghesia mette in atto per impedire lo sviluppo di questo potenziale.
A livello ideologico, con:
- l'ideologia nazionalista per sostenere una parte contro un'altra, sotto la bandiera della “difesa della democrazia” contro le “autocrazie”;
- l'ideologia pacifista di fronte alla distruzione e alla morte;
Sul piano delle lotte stesse:
- il pericolo di lotte interclassiste (la crisi colpisce anche gli strati piccolo-borghesi);
- l'azione di sabotaggio dei partiti di sinistra e soprattutto dei sindacati. La grande maggioranza degli scioperi in corso è stata indetta dai sindacati, che si presentano così come indispensabili per organizzare la lotta e difendere gli sfruttati. I sindacati sono indispensabili, sì, ma per la difesa dell'ordine borghese e per organizzare la sconfitta della classe operaia. Sappiamo che i sindacati si mobilitano per impedire alla classe di lottare autonomamente, il loro compito è proprio quello di controllare e sabotare la combattività dei lavoratori. Prendendo l’iniziativa, questi servitori dello Stato borghese mirano a evitare di essere travolti dalla rabbia dei lavoratori.
Oggi dobbiamo evitare il pericolo di lasciarci prendere e cadere nell'attivismo. Dobbiamo avere chiaro che la classe operaia non ha la capacità immediata di porre fine alla guerra. Si tratta di un processo lento e accidentato che comporterà il doversi confrontare con il sabotaggio sindacale, con l'impossibilità della borghesia di concedere miglioramenti significativi alle condizioni di vita dei proletari e anche con la repressione dello Stato borghese. È attraverso questo processo che il proletariato potrà avanzare nella sua coscienza. E, sempre più spesso, di fronte a tutte le diverse manifestazioni della bancarotta del sistema (e quindi anche alla questione della guerra), il proletariato sarà costretto a riflettere sulla necessità di uno scontro frontale con il capitalismo.
I rivoluzionari hanno un ruolo essenziale da svolgere in questo processo, denunciando la guerra, evidenziando la responsabilità centrale del capitalismo nella situazione e per le sue conseguenze, insistendo sulla necessità che la classe operaia si opponga ai sacrifici imposti dalla classe dominante.
Ciò che il movimento operaio dichiarò nel 1907 al Congresso di Stoccarda della Seconda Internazionale rimane assolutamente attuale: “i rivoluzionari hanno il dovere di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per smuovere gli strati popolari più profondi e accelerare la caduta del dominio capitalista", L'internazionalismo proletario è un principio che deve essere difeso senza concessioni: “nessun sostegno a una parte o all'altra, i proletari non hanno patria”.
Questo slogan deve permeare il nostro intervento fin da oggi, senza alcuna illusione sul suo impatto immediato all'interno di un proletariato profondamente disorientato, ma senza il minimo dubbio sul fatto che l'alternativa oggi rimane “socialismo o distruzione dell'umanità” e che non c'è altra forza che la classe operaia in grado di fermare il precipitare del capitalismo nel caos e nella barbarie.
Corrente Comunista Internazionale, settembre 2022
Dal 27 settembre, sempre più lavoratori dei gruppi petroliferi TotalEnergies ed Esso-ExxonMobil sono in lotta. Mentre andiamo in stampa, sette raffinerie su otto sono bloccate. La loro richiesta principale è chiara: per far fronte all'impennata dei prezzi, chiedono un aumento di stipendio del 10%.
Tutti i salariati, i pensionati, i disoccupati e gli studenti precari, che oggi soffrono per l'inflazione, per l'aumento vertiginoso dei prezzi dei generi alimentari e dell'energia, si trovano di fronte allo stesso problema: stipendi, pensioni o indennità che non permettono più di vivere dignitosamente. La determinazione degli scioperanti delle raffinerie, la loro rabbia e la loro combattività, incarnano e concretizzano ciò che l'intera classe operaia sente, in tutti i settori, pubblici o privati.
I media possono far scorrere infinite volte le immagini delle code interminabili davanti alle stazioni di servizio, possono moltiplicare i servizi sul calvario degli automobilisti che vogliono raggiungere il loro posto di lavoro (loro!), ma niente da fare: questa lotta suscita, per il momento, più che della simpatia nei ranghi proletari, fa anche nascere la sensazione che i lavoratori di tutti i settori siano sulla stessa barca!
Allora i media possono anche sbraitare “Guardate questi ricconi che prendono più di 5.000 euro al mese!” ma onestamente, chi può credere a una simile menzogna? Soprattutto perché fanno la stessa cosa ogni volta che c'è uno sciopero dei lavoratori delle ferrovie o delle compagnie aeree... 5.000, 7.000, 10.000... Chi offre di più? In realtà, questi salariati non prendono più di 2.000 euro all'inizio, alcuni arrivano a 3.000 a fine carriera, come gli insegnanti, gli infermieri, gli operai specializzati, ecc. Ma questa propaganda sta diventando sempre meno ascoltata con il passare dei mesi, perché nella classe operaia sta crescendo l'idea che siamo tutti colpiti dal deterioramento dei salari e da attacchi sempre più insopportabili.
Non sorprende quindi l'aumento tangibile della rabbia e della combattività in molti settori in Francia nelle ultime settimane. Questo fa parte di una dinamica più ampia, più estesa, una dinamica internazionale, il cui segnale più significativo è stata la lotta dei lavoratori del Regno Unito di quest'estate (che continua ancora). Nel nostro volantino internazionale del 27 agosto abbiamo scritto: “Questo è il più grande movimento della classe operaia in questo Paese da decenni a questa parte; bisogna risalire ai grandi scioperi del 1979 per trovare un movimento più grande e più massiccio. Un movimento di questa portata in un Paese grande come il Regno Unito non è un evento "locale". È un evento di portata internazionale, un messaggio agli sfruttati di tutti i Paesi. [...] I massicci scioperi nel Regno Unito sono una chiamata all'azione per i proletari di tutto il mondo”. Da allora, gli scioperi in Germania o quelli annunciati in Belgio, ad esempio, hanno confermato questa tendenza.
Tuttavia, la classe operaia si trova di fronte a una debolezza: la frammentazione delle lotte. Negli ultimi due mesi sono scoppiati scioperi nel settore dei trasporti (a Metz il 7 ottobre, a Digione l'8 ottobre, a Saint Nazaire l'11 ottobre, a livello nazionale dal 17 al 23 ottobre), nel settore dell'assistenza all'infanzia e nella funzione pubblica locale (il 6 ottobre), una giornata di manifestazione il 29 settembre soprattutto nel settore pubblico, ecc.
Perché questa divisione? Perché oggi i sindacati hanno in mano l'organizzazione di questi movimenti e li stanno sparpagliando e separando in tante diverse corporazioni, settori e richieste specifiche. Perché si spartiscono il lavoro di inquadramento dei lavoratori tra organizzazioni sindacali “radicali” e “concilianti”, giocando su divisioni che finiscono per generare dubbi e sfiducia tra gli operai.
Di fronte a Macron e al suo governo, i sindacati si presentano adesso come radicali, come paladini della lotta... per meglio inquadrarci e separarci gli uni dagli altri. Dando credito all'idea di “tassare i superprofitti” e di meglio “distribuire la ricchezza”, denunciando la prescrizione degli scioperanti da parte dello Stato ed esaltando le virtù di un vero e proprio negoziato, questi “partner sociali”, attraverso il gioco della “opposizione”, stanno dando una mano allo Stato, che cerca proprio di apparire come il garante di un arbitrato benevolo. E i media, i leader della classe borghese, puntellano la loro azione presentando la CGT e le FO come “ribelli irresponsabili”, per dargli credibilità agli occhi degli sfruttati attribuendo loro una presunta combattività, mentre questi organismi sono essi stessi organi statali, perfettamente istituzionalizzati.
Oggi apprendiamo che anche i salariati della centrale nucleare di Gravelines, la più potente dell'Europa occidentale, sono in sciopero. Proprio come i lavoratori della SNCF, della RATP e della grande distribuzione. Anche loro chiedono aumenti salariali! Tra pochi giorni, il 18 ottobre, è prevista una giornata “interprofessionale” di sciopero e manifestazioni nel settore della formazione professionale, nelle cliniche, negli EHPAD privati (case di riposo per anziani) ... In altre parole, ognuno nel suo angolo, separato dagli altri. Inoltre, ai microfoni di BFM TV, il leader della CGT, Philippe Martinez, mostra di non volere soprattutto un movimento unitario della classe. Ecco perché, brandendo lo “sciopero generale”, orchestra la moltiplicazione delle azioni locali: “E’ necessario che in tutte le aziende si discuta delle azioni e generalizzare gli scioperi. Questo significa che ci devono essere scioperi ovunque”. È chiaro: i sindacati organizzano la divisione e la dispersione, azienda per azienda, con il pretesto “generalizzazione”.
Ricordiamoci della debolezza del movimento sociale contro la riforma delle pensioni nel 2019: c'era grande simpatia per i ferrovieri in sciopero, ma questa solidarietà è rimasta platonica, limitandosi a dare soldi alle casse “di solidarietà” messe su dalla CGT nei cortei dei manifestanti. Ma la forza della nostra classe non è l'incoraggiamento da lontano o la giustapposizione di scioperi isolati l'uno all'altro.
No! La nostra forza è l'unità, la solidarietà nella lotta! Non si tratta di “convergere”, di mettersi l'uno accanto all'altro. La lotta operaia è un unico movimento: scioperare e andare in delegazioni massicce a incontrare i lavoratori più vicini geograficamente (la fabbrica, l'ospedale, la scuola, il centro amministrativo...) per incontrare, discutere e conquistare sempre più lavoratori alla lotta; organizzare assemblee per discutere; unirsi su richieste comuni. È questa presa in mano delle lotte da parte dei lavoratori stessi, questa dinamica di solidarietà, estensione e unità che ha sempre fatto tremare la borghesia nel corso della storia. Insomma, l'esatto contrario di quello che fanno i sindacati.
Oggi è ancora molto difficile per gli sfruttati condurre da soli le loro lotte; gli sembra addirittura impossibile, tanto è forte l'idea inculcata in permanenza che la direzione di queste lotte debba essere affidata agli “specialisti” del sindacato. Ma la storia dei lavoratori dimostra il contrario! È quando la direzione della lotta è stata presa in mano dalle assemblee generali, che hanno deciso collettivamente la condotta della lotta, nominando comitati di sciopero eletti e revocabili, responsabili nei confronti delle assemblee e non delle diverse centrali sindacali che non esitano a mostrare le loro divisioni per demoralizzare i lavoratori, che questi ultimi sono stati i più forti e hanno potuto far indietreggiare i loro sfruttatori.
Corrente Comunista Internazionale, 13 ottobre 2022
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Un piccolo promemoria...
Macron e dietro di lui tutta la borghesia francese, come anche i sindacati, vorrebbero farci credere che lo Stato è lo strumento del “l’interesse comune”, un organismo al di sopra delle classi e dei loro piccoli interessi particolari. Ma in realtà “lo Stato moderno, qualunque sia la sua forma, è una macchina essenzialmente capitalista: lo Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Più forze produttive porta sotto la sua proprietà e più diventa un capitalista collettivo di fatto, più cittadini sfrutta. I lavoratori rimangono salariati, proletari. Il rapporto capitalistico non viene abolito, ma piuttosto spinto al suo limite” (Engels, Anti-Dühring, 1878). È infatti lo Stato capitalista, che sia padrone o meno, che ha contribuito al degrado dei nostri salari e delle nostre condizioni di vita, che ha intensificato per decenni lo sfruttamento dei lavoratori!
Mentre le truppe russe si precipitavano in Ucraina, il presidente Biden, nel suo discorso del 24 febbraio, ha affermato che “Putin ha commesso un attacco i principi stessi che proteggono la pace mondiale”. Il mondo si troverebbe così di fronte alla fatalità di una nuova tragedia di guerra a causa della follia di un solo uomo. Questa propaganda, che presenta l’Ucraina e gli “occidentali” come vittime che lavorano solo per la “pace” di fronte alla barbarie dell’unico orco in Russia, è una menzogna.
In realtà, questo conflitto omicida è un puro prodotto delle contraddizioni di un mondo capitalista in crisi, di una società in decomposizione e soggetta al regno del militarismo. La guerra in corso, come ogni guerra nella decadenza del capitalismo, è il risultato di un rapporto di forza imperialista permanente, che colpisce tutti i protagonisti, grandi o piccoli, coinvolti direttamente o indirettamente in questo conflitto[1]. Nella cinica lotta all’interno di questo nido di vipere planetario, gli Stati Uniti sono, in quanto unica superpotenza, in prima linea nella barbarie, non esitando a diffondere caos e miseria per difendere i loro sordidi interessi e frenare l’inevitabile declino della loro leadership.
Dopo la Guerra Fredda, parallelamente al loro desiderio di tenere sotto controllo gli ex alleati nel blocco occidentale, gli Stati Uniti non hanno mai abbandonato la loro strategia di contenimento dei territori dell’ex URSS. Il 15 febbraio 1991, è stato costituito il Gruppo di Visegrad, composto da ex paesi dell’Europa orientale (Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia), al fine di promuovere la loro integrazione nella NATO e in Europa. Tale pressione ha portato del resto le potenze europee ad esprimere la loro grande preoccupazione di non “umiliare la Russia”. Questa insistenza rivelava già una contestazione latente rispetto agli Stati Uniti.
Mentre il crollo del muro di Berlino annunciava simbolicamente la fine della Guerra Fredda, una nuova guerra, la prima Guerra del Golfo, iniziata dagli Stati Uniti[2], prefigurava il caos del secolo successivo. Lungi dall’essere una “guerra per il petrolio”, per la potenza americana si trattava, dopo la bancarotta del nemico comune (l’URSS), di esercitare questa volta pressioni direttamente sui suoi più potenti ex alleati, per tenerli sotto il controllo della sua autorità trascinandoli in questa barbara avventura militare.
Poiché il mondo aveva cessato di essere diviso in due campi imperialisti disciplinati, un paese come l’Iraq pensava di poter mettere le mani su un ex alleato dello stesso blocco, il Kuwait. Gli Stati Uniti, alla guida di una coalizione di 35 paesi, lanciarono un’offensiva omicida volta a scoraggiare ogni futura tentazione di imitare le azioni di Saddam Hussein. Pertanto, l'operazione “Tempesta del deserto”, guidata da una “coalizione internazionale” contro l'Iraq, era in realtà un’impresa dell'imperialismo americano intesa a mettere in riga i loro ex alleati che avrebbero potuto sfidare la sua leadership, affermandosi come unico “gendarme del mondo”. Tutto questo a costo di diverse decine di migliaia di morti.
Naturalmente, la vittoria del presidente Bush (padre) che prometteva “pace, prosperità e democrazia” non avrebbe ingannato a lungo. L’apparente stabilità, conquistata a costo di ferro e sangue, fu momentanea, confermando certamente gli Stati Uniti come “gendarme del mondo”, ma conservando i germi di crescenti contraddizioni e tensioni.
Mentre la Guerra del Golfo aveva momentaneamente soffocato i primi tentativi di aperta opposizione alla politica americana, questi si sono poi espressi abbastanza rapidamente, in particolare con il conflitto nell’ex Jugoslavia (dal 1991 al 2001). All'inizio degli anni ‘90, il governo del cancelliere Helmut Kohl, spingendo e sostenendo l’indipendenza di Croazia e Slovenia per dare alla Germania l'accesso al Mediterraneo, si oppose direttamente alla potenza americana, ma anche agli interessi di Francia e Regno Unito. Con le sue audaci iniziative, la Germania avviò il processo che avrebbe portato alla disgregazione della Jugoslavia.
Di fronte all’aperta contestazione alla sua autorità, gli Stati Uniti non sono rimasti a guardare. Nell’estate del 1995 hanno lanciato una vasta controffensiva, facendo affidamento sulla loro principale risorsa: la potenza militare. Gli Stati Uniti costituirono così la propria forza armata, la Implementation Force (IFOR) estromettendo l’ONU e le truppe europee, esibendo così la loro schiacciante superiorità e la loro impressionante logistica. Questa dimostrazione di forza, pilotata e accompagnata diplomaticamente sotto l’autorità del presidente Clinton, avrebbe portato ad imporre agli europei, nel dicembre 1995, la firma degli Accordi di Dayton. Anche in questo caso, il conflitto ha causato decine di migliaia di vittime.
Certo, questi accordi, firmati alle condizioni imposte dagli Stati Uniti, dalla pressione delle armi e da una diplomazia aggressiva, che giocava in particolare sulle divisioni tra Stati europei, continueranno ad essere sabotati da questi stessi Stati. La Germania, ad esempio, ha continuamente messo i bastoni tra le ruote agli Stati Uniti nei Balcani, in particolare in Bosnia, anche attraverso approcci diplomatici che tendevano a infastidire Washington, in particolare i legami intessuti tra la cancelleria turca e quella iraniana.
Anche in Medio Oriente, nonostante il controllo dello Zio Sam, i rivali europei sono stati progressivamente in grado di ostacolare la politica americana. Una simile sfida ha conquistato anche i luogotenenti più fedeli degli Stati Uniti, a cominciare da Israele, soprattutto dopo che Netanyahu ha preso il potere nel 1996, quando la Casa Bianca ha scommesso sul laburista Shimon Peres. Allo stesso modo, l’Arabia Saudita esprimeva sempre più apertamente la sua riluttanza di fronte ai diktat americani nella regione.
Successive battute d’arresto per lo zio Sam si sono quindi verificate solo pochi mesi dopo la sua riuscita controffensiva nell’ex Jugoslavia. In tutte le aree strategiche del pianeta, gli interessi americani erano sempre più contrastati.
All’alba del nuovo secolo si conferma ampiamente quello che affermavamo già a metà degli anni. Gli Stati Uniti sono stati addirittura colpiti sul proprio suolo con gli attentati omicidi dell’11 settembre 2001 a New York. Lo spaventoso e simbolico crollo delle Torri Gemelle ha segnato una nuova dimensione nello sviluppo dell’orrore e del caos capitalista.
Ma questi attacchi hanno rappresentato anche una formidabile opportunità per gli Stati Uniti di difendere i propri interessi imperialisti in una guerriera fuga in avanti. Pure in questo caso la politica americana è stata quella di impegnarsi in rappresaglie e operazioni militari sempre più vaste nel tentativo di mantenere la propria autorità, in nome della “lotta al terrorismo”. L'amministrazione di Georges W. Bush Junior, con le sue forze armate, si lancia rapidamente in attacchi aerei, poi in un’operazione di terra contro Al Qaeda ed i talebani in Afghanistan, impresa poi sostenuta da ex alleati.
Ben presto, però, la nuova crociata prospettata da Washington in Iraq, contro “l'asse del male”, sarà oggetto di critiche virulente e crescenti. Nel 2003, promuovendo la diffusione di false informazioni sulle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein per stimolare il sostegno della sua popolazione e quella dei suoi ex partner, gli Stati Uniti si sono trovati sempre più isolati nella loro nuova impresa bellica[3]. La Francia, questa volta, sfida apertamente gli Stati Uniti, anche avvalendosi del suo diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell'ONU.
Questa nuova dimostrazione di forza, destinata ad eliminare il terrorismo e arginare il declino della leadership americana, ha invece ulteriormente aperto il vaso di Pandora e gli attentati che ne sono seguiti in tutto il mondo hanno messo in evidenza l’irrazionalità di queste imprese militari, che in realtà hanno alimentato la stessa spirale infernale, aumentando la contestazione, il caos e la barbarie.
Gli Stati Uniti hanno proseguito, nel contempo, una determinata politica verso l'Est, con i viaggi del Segretario di Stato Condoleezza Rice a favore del “cambiamento” e della “democrazia”. Il suo lavoro avrebbe portato frutti. Nel 2003, l’imperialismo americano stava chiaramente facendo avanzare le sue pedine nel Caucaso sostenendo la “rivoluzione delle rose” in Georgia, che avrebbe consentito l’espulsione del filo-russo Shevardnadze rimpiazzato con una cricca filo-americana. La “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan nel 2005 faceva parte della stessa strategia. Tassello centrale per la Russia, l’Ucraina era già afflitta da acute tensioni politiche. Dietro la “rivoluzione arancione” del 2004, come quella del 2014, il tema principale non era quello di una presunta “lotta per la democrazia”, ma un obiettivo strategico nel gioco delle influenze delle grandi potenze e della NATO[4].
Ma la colossale forza militare e il crescente uso delle armi non potevano permettere all’imperialismo americano di sradicare la contestazione della loro leadership. Lungi dall'assicurare “pace e prosperità”, gli Stati Uniti si sono impantanati in tutti i principali punti strategici che hanno cercato di stabilizzare e difendere a proprio vantaggio.
Il ritiro americano dall’Iraq nel 2011 ha ulteriormente accentuato lo sviluppo del ciascuno per sé, nello stesso anno in cui la guerra civile in Siria ha contribuito all’esplosione del caos in una regione del mondo diventata del tutto incontrollabile. Anche il ritiro dall'Afghanistan nel 2021 è stato accompagnato da una situazione di caos inestricabile, che ha persino portato al potere i talebani. Ognuna di queste operazioni, volte a imporre “l'ordine” della Pax americana, non ha fatto che rafforzare il caos e la barbarie, costringendo gli Stati Uniti alla continua fuga in avanti bellicista.
Le ragioni del ritiro delle truppe americane dall’Iraq e dall'Afghanistan non stanno solo in questi fallimenti[5]. In effetti, già nel 2011, unendo parole e fatti, il segretario di Stato Hillary Clinton annunciava l’adozione di un “perno strategico verso l'Asia”.
Lungi da un presunto "disimpegno" dagli affari mondiali, questo orientamento politico del mandato di Barack Obama è stato ripreso da Donald Trump con lo slogan “America first”. La Cina, che in passato occupava un posto secondario nell’arena mondiale, ha gradualmente assunto le dimensioni di un vero sfidante, preoccupando e minacciando sempre più apertamente una borghesia americana determinata a preservare il suo status di leader. Di fronte all’ascesa della Cina, l’obiettivo che la frazione attorno a Joe Biden doveva perseguire e rafforzare era chiaramente posto: “porre l'Asia al centro della politica americana”. Ma lungi dall'aver “abbandonato” gli altri grandi punti caldi, questo riposizionamento ha permesso di dare nuova linfa all’imperialismo americano.
L’impressione di “disimpegno” ha portato alcuni rivali degli Stati Uniti a impegnarsi nelle proprie imprese imperialiste, dove lo zio Sam non era più apertamente presente. Molti, come la Russia, stanno pagando a caro prezzo questa sottovalutazione! Lanciando le sue truppe in una ridicola invasione militare in Ucraina, la Russia aveva in programma di allentare il cappio che ora la sta sempre più soffocando. Ma è caduta in una trappola tesa dalla borghesia americana[6].
In realtà, il disimpegno americano corrisponde a una visione planetaria, a più lungo termine, dettata dalla volontà di contenere la Cina, diventata una potenza imperialista che minaccia i suoi interessi vitali. Di conseguenza, l’attuale offensiva degli Stati Uniti, attraverso la pressione che esercita sui paesi europei, come attraverso la spettacolare controffensiva dell’Ucraina resa possibile da un sofisticato supporto logistico e materiale o il mantenimento della pressione diplomatica sull’Iran (circa il programma nucleare) e nel continente africano, con i viaggi del suo capo della diplomazia Antony Blinken, di fronte agli appetiti di Russia e Cina, restano ancora mirati a lottare contro lo storico declino della loro leadership. Contrastando le “Nuove Vie della Seta” della Cina verso l'Europa, con la guerra in Ucraina e controllando ulteriormente le rotte marittime del Pacifico meridionale, gli Stati Uniti sono riusciti, per ora, a costringere la Cina a estendere le proprie ambizioni solo via terra e in una sfera limitata.
Consapevoli che la Cina è ancora lontana dall’essere in grado di eguagliare la sua potenza militare, gli Stati Uniti stanno approfittando di questa debolezza per mantenere la pressione e persino permettersi delle provocazioni come quella del viaggio, molto politico e simbolico, della democratica Nancy Pelosi a Taiwan. Questo affronto senza precedenti, che rivela la relativa impotenza della Cina, potrebbe ripetersi in futuro, rischiando forse di spingere Pechino in pericolose avventure militari, anche se, finora, la borghesia cinese ha prudentemente evitato ogni confronto diretto con gli Stati Uniti.
Da tutta questa evoluzione legata alle azioni dell'imperialismo americano, possiamo trarre alcune lezioni:
– lungi dall’essere basata sulla semplice ragione o anche sulla semplice ricerca di un profitto economico immediato, il motivo dell’azione dell'imperialismo americano, come quello delle altre grandi potenze, è quello di difendere la propria posizione, in un mondo sempre più caotico, contribuendo così a rafforzare la confusione, il caos e la distruzione;
– per garantire questo obiettivo sempre più irrazionale, gli Stati Uniti non esitano a seminare il caos in Europa, come si è visto con la trappola tesa alla Russia, le armi sofisticate e gli aiuti militari che forniscono all'Ucraina per far proseguire la guerra esaurendo il rivale;
– per difendere la loro posizione l’unica forza su cui contare è quella delle armi. Lo dimostra tutta la traiettoria dello zio Sam, che negli ultimi decenni è diventato la punta di diamante del militarismo, dell’ognuno per sé e del caos bellico. Stiamo già vivendo il più grande caos nella storia delle società umane.
Nella sua fase finale di decomposizione, il capitalismo precipita il mondo nella barbarie e conduce inesorabilmente verso una gigantesca distruzione. Questo quadro spaventoso e l'orrore che è parte della vita quotidiana ci mostrano quanto siano cruciali la posta in gioco e la responsabilità della classe operaia globale.
Oggi è davvero in gioco a sopravvivenza della specie umana.
WH, 15 settembre 2022
[1] Per un approfondimento vedere l’Attualizzazione del testo di orientamento del 1990 Militarismo e decomposizione (maggio 2022) [93]
[2] War in the Gulf: Capitalist massacres and chaos, [94]International Review n. 65 (anche in spagnolo e francese)
[3] A parte il sostegno del Regno Unito, nessuna grande potenza militare ha preso parte a questo conflitto a fianco delle truppe americane.
[4] Le masse che hanno sostenuto Viktor Yushchenko o che si sono schierate dietro a Viktor Yanukovich, erano solo pedine, manipolate e spinte dietro l'una o l'altra delle frazioni borghesi rivali per conto di questo o quell'orientamento imperialista.
[5] Del resto, come dimostra l'assassinio del leader di Al Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, il 31 luglio 2022, gli Stati Uniti non hanno affatto rinunciato a influenzare la situazione di questo Paese
[6] “Report on imperialist tensions (May 2022). The significance and impact of the war in Ukraine”, International Review, 169 (sul nostro sito anche in spagnolo e francese)
Alcuni eventi hanno un significato che non si limita a livello locale o immediato, ma sono di portata internazionale. Per il numero di settori interessati, la combattività dei lavoratori coinvolti nella lotta e l'ampio sostegno all'azione tra i lavoratori, l'ondata di scioperi che si è diffusa in Gran Bretagna quest'estate è un evento di innegabile importanza a livello nazionale. Ma dobbiamo anche capire che il significato storico di queste lotte va ben oltre la loro dimensione locale o che sia un singolo evento. Per decenni la classe operaia degli Stati europei ha subito la pressione soffocante della decomposizione del capitalismo. Più concretamente, dal 2020 ha subito una serie di ondate di Covid e poi l'orrore della guerra barbara in Europa con l'invasione russa dell'Ucraina. Sebbene questi eventi abbiano pesato sulla combattività dei lavoratori, non l'hanno fatta scomparire, come hanno mostrato anche le lotte negli Stati Uniti, in Spagna, Italia, Francia, Corea e Iran alla fine del 2021 e all'inizio del 2022. Tuttavia, l'ondata di scioperi in Gran Bretagna in risposta agli attacchi al loro tenore di vita causati dall'aggravarsi della crisi economica, accentuata dalle conseguenze della crisi sanitaria e, soprattutto, dalla guerra in Ucraina, è di portata diversa. In circostanze difficili, i lavoratori britannici stanno inviando un chiaro segnale ai lavoratori di tutto il mondo: dobbiamo lottare, anche se abbiamo subito attacchi e accettato sacrifici senza poter reagire; ma oggi “quando è troppo è troppo” non lo accettiamo più, dobbiamo lottare. Questo è il messaggio inviato ai lavoratori degli altri Paesi. In questo contesto, l'entrata in lotta del proletariato britannico costituisce un evento di portata storica su diversi piani
Questa ondata di lotta è guidata da una frazione del proletariato europeo che ha sofferto più di altri l'arretramento generale della lotta di classe dal 1990. Infatti, se negli anni '70, anche se con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi come la Francia, l'Italia o la Polonia, i lavoratori britannici hanno sviluppato lotte molto importanti, culminate nell'ondata di scioperi del 1979 (“l'inverno del malcontento”), il Regno Unito è stato il Paese europeo in cui il declino della combattività è stato più marcato negli ultimi 40 anni. Negli anni '80, la classe operaia britannica ha subito un'efficace controffensiva da parte della borghesia, culminata nella sconfitta dello sciopero dei minatori del 1985 da parte della Thatcher, la “Lady di ferro” della borghesia britannica. Inoltre, la Gran Bretagna è stata particolarmente colpita dalla deindustrializzazione e dal trasferimento delle industrie in Cina, India e Europa orientale. Così, quando nel 1989 la classe operaia ha subito un declino generalizzato a livello mondiale, questo è stato particolarmente marcato in Gran Bretagna. Inoltre, negli ultimi anni, i lavoratori britannici hanno subito l'assalto dei movimenti populisti e soprattutto l'assordante campagna per la Brexit, stimolando la divisione al loro interno tra “chi resta” e “chi lascia”, e poi la crisi di Covid che ha pesato molto sulla classe operaia, soprattutto in Gran Bretagna. Infine, e più di recente, si è trovata di fronte a un intenso battage democratico pro-ucraino e a un'abietta propaganda bellica intorno alla guerra in Ucraina. La “generazione Thatcher” ha subito una grande sconfitta, ma oggi si affaccia sulla scena sociale una nuova generazione di proletari, che non risente più come la generazione precedente del peso di queste sconfitte e che sta alzando la testa, dimostrando che la classe operaia è in grado di rispondere con la lotta a questi grandi attacchi. Pur mantenendo il senso delle proporzioni, stiamo assistendo a un fenomeno del tutto paragonabile (ma non identico) a quello che ha visto emergere la classe operaia francese nel 1968: l'arrivo di una giovane generazione meno colpita dei suoi genitori dal peso della controrivoluzione.
L'“estate della rabbia” non può che essere un incoraggiamento per tutti i lavoratori del pianeta e questo per diversi motivi: si tratta della classe operaia della quinta potenza economica mondiale e di un proletariato anglofono, le cui lotte possono avere un impatto importante in Paesi come gli Stati Uniti, il Canada o in altre regioni del mondo, come l'India o il Sudafrica. Essendo l'inglese la lingua della comunicazione mondiale, l'influenza di questi movimenti supera necessariamente quella delle lotte in Francia o in Germania, ad esempio. In questo senso, il proletariato inglese indica la strada non solo ai lavoratori europei, che dovranno essere all'avanguardia nella ripresa della lotta di classe, ma anche al proletariato mondiale, e in particolare a quello americano. Nella prospettiva delle lotte future, la classe operaia britannica può quindi fungere da collegamento tra il proletariato dell'Europa occidentale e quello americano. Questa importanza può essere misurata anche dalla reazione preoccupata della borghesia, soprattutto in Europa occidentale, al pericolo dell'estensione del “deterioramento della situazione sociale”. È il caso in particolare di Francia, Belgio e Germania, dove la borghesia, contrariamente all'atteggiamento della borghesia britannica, ha adottato misure più decise per porre un tetto agli aumenti del petrolio, del gas e dell'elettricità o per compensare l'impatto dell'inflazione e dell'aumento dei prezzi attraverso sussidi o tagli alle tasse, pur proclamando a gran voce di voler proteggere il potere d'acquisto dei lavoratori. D'altra parte, l'ampia copertura mediatica della morte della regina Elisabetta e delle cerimonie funebri aveva lo scopo di contrastare le immagini della lotta di classe e di mostrare invece l'immagine di una popolazione britannica unita, avvolta da un fervore nazionalista e rispettosa dell'ordine costituzionale borghese. Da allora, i media borghesi hanno applicato un ampio blackout sulla continuazione dei movimenti di sciopero. La borghesia sa perfettamente che l'aggravarsi della crisi e le conseguenze della guerra continueranno ad accentuarsi. Tuttavia, il fatto che si stia già sviluppando un movimento di massa di fronte ai primi attacchi, che sono simili per tutti i settori del proletariato, non solo in Inghilterra, ma in Europa e persino nel mondo, attacchi che la borghesia è costretta a imporre nel contesto attuale, non può che preoccupare profondamente la borghesia.
Anche se il proletariato dell'Europa occidentale non è stato sconfitto negli ultimi quarant'anni, a differenza di quanto accaduto prima delle due guerre mondiali, il riflusso della sua coscienza di classe dopo il 1989 (conseguenza in articolare dalla campagna sulla “morte del comunismo”) è stato comunque estremamente importante. In secondo luogo, l'approfondimento della decomposizione a partire dagli anni '90 ha inciso sempre più sulla sua identità di classe e questa tendenza non ha potuto essere invertita dai movimenti di lotta o espressioni di riflessione tra le minoranze della classe nei primi due decenni del XXI secolo, come la lotta contro il Contratto di Primo Impiego (Contrat Premier Emploi - CPE) in Francia nel 2006, il movimento degli “Indignados” in Spagna nel 2011, le lotte alla SNCF e ad Air France nel 2014 e il movimento contro la riforma delle pensioni nel 2019 in Francia o lo “Striketober” negli Stati Uniti nel 2021. Inoltre, nel corso dei primi due decenni del XXI secolo, tutta la classe operaia ha dovuto affrontare nelle sue lotte il pericolo dei movimenti interclassisti, come in Francia con le azioni dei “Gilet Jaunes”, il peso delle mobilitazioni populiste, come il movimento MAGA (“Make America Great Again”) negli Stati Uniti, o le campagne borghesi come le “marce per il clima” o il movimento “Black Lives Matter” e le mobilitazioni a favore dei diritti all'aborto negli Stati Uniti e altrove. Più recentemente, di fronte alle prime conseguenze della crisi, sono scoppiate numerose rivolte popolari in vari paesi dell'America Latina contro l'aumento del prezzo del carburante e di altri beni di prima necessità. Tutti questi movimenti costituiscono un pericolo per i lavoratori, nella misura in cui li trascinano su un terreno interclassista, dove vengono sommersi dalla massa dei “cittadini” o trascinati su un terreno completamente borghese.
Ma solo il proletariato offre un'alternativa ai disastri che segnano la nostra società. E proprio a differenza di questi movimenti che portano i lavoratori su terreni falsi, il contributo fondamentale dell'ondata di scioperi dei lavoratori britannici è l'affermazione che la lotta contro lo sfruttamento capitalista deve essere situata su un chiaro terreno di classe e avanzare chiare rivendicazioni operaie contro gli attacchi al tenore di vita dei lavoratori. “Ma in più, ed è questo l’elemento che determina in ultima istanza l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che si trova all’origine dello sviluppo della decomposizione, cioè l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità.” (Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [7]). Lo sviluppo di questa estesa combattività nelle lotte per la difesa del potere d'acquisto è, per il proletariato mondiale, una condizione ineludibile per superare la profonda battuta d'arresto subita dal crollo del blocco orientale e dei regimi stalinisti, e per recuperare la propria identità di classe e la propria prospettiva rivoluzionaria.
In breve, sia dal punto di vista storico che del contesto attuale in cui si trova la classe operaia, questa ondata di scioperi in Gran Bretagna costituisce quindi una rottura nella dinamica della lotta di classe, in grado di mettere in moto un “cambiamento nell'atmosfera sociale”.
L'importanza di questo movimento non si limita al fatto che pone fine a un lungo periodo di relativa passività. Queste lotte si sviluppano in un momento in cui il mondo si trova ad affrontare una guerra imperialista su larga scala, una guerra che oppone la Russia e l'Ucraina sul territorio europeo ma che ha una portata globale con, in particolare, una mobilitazione dei Paesi membri della NATO che è una mobilitazione non solo in armi ma anche a livello economico, diplomatico e ideologico. Nei Paesi occidentali, i governi chiedono sacrifici per “difendere la libertà e la democrazia”. In concreto, ciò significa che i proletari di questi Paesi devono stringere ancora di più la cinghia per “dimostrare la loro solidarietà con l'Ucraina”, in realtà con la classe dirigente ucraina e i governanti dei Paesi occidentali. Di fronte al conflitto in Ucraina, chiedere una mobilitazione diretta dei lavoratori contro la guerra è illusorio in Europa occidentale o negli Stati Uniti. Tuttavia, dal febbraio 2022, la CCI ha evidenziato che la reazione dei lavoratori si manifesterà sulla base dell'attacco ai loro salari, conseguenza dell'accumulazione e dell'interconnessione delle crisi e dei disastri dell'ultimo periodo, e contro la campagna che chiede l'accettazione di sacrifici a sostegno del “l’eroica resistenza del popolo ucraino”. Inoltre la mobilitazione contro l'austerità capitalista contiene in definitiva anche un'opposizione alla guerra. Gli scioperi della classe operaia nel Regno Unito, anche se i lavoratori non ne sono sempre pienamente consapevoli, racchiudono in embrione questo elemento: il rifiuto di fare sempre più sacrifici per gli interessi della classe dominante, il rifiuto di sacrifici per l'economia nazionale e per lo sforzo bellico, e il rifiuto di accettare la logica di questo sistema che porta l'umanità verso la catastrofe e alla sua distruzione.
In breve, anche se le lotte si limitano al momento a un solo Paese, anche se si esauriscono e anche se probabilmente non dobbiamo aspettarci una serie di grandi sviluppi simili in diversi paesi nel prossimo futuro, è stata posta una pietra miliare. Il risultato essenziale della lotta dei lavoratori britannici è quello di risollevarsi e lottare, perché la peggiore sconfitta è subire l'impoverimento senza lottare. È su questa base che si possono trarre delle lezioni e che la lotta può andare avanti. In questa prospettiva, gli scioperi rappresentano un cambiamento qualitativo e preannunciano una svolta nella situazione della classe operaia nei confronti della borghesia. Segnano uno sviluppo della combattività su un terreno di classe che può essere l'inizio di un nuovo episodio di lotta, perché è attraverso le sue massicce lotte economiche che la classe operaia potrà recuperare progressivamente la propria identità di classe, erosa dalla pressione di più di trent’anni di decomposizione, dal riflusso delle lotte e della coscienza, dalle sirene dei movimenti interclassisti, del populismo e delle campagne ambientaliste. È su questa base che la classe operaia potrà aprire una prospettiva per l'intera società. Da questo punto di vista, c'è un “prima” e un “dopo” l'estate del 2022.
R. Havanais, 22 settembre 2022
Da tre anni assistiamo contemporaneamente all’aggravarsi delle varie crisi e catastrofi che stanno accelerando lo sfacelo della società capitalista: guerra, crisi economica, crisi ecologica, pandemia... Si intravede più seriamente e concretamente che mai la minaccia dell'annientamento della specie umana.
La pandemia di Covid-19, di cui è in corso l'ottava ondata, ha costituito dal 2020 una nuova tappa nello sprofondamento della società nella fase finale della sua decadenza, quella della decomposizione. Cristallizza, infatti, tutta una serie di fattori di caos che fino ad allora sembravano non avere alcun legame tra loro[1]. La negligenza della classe dirigente si è rivelata ovunque più chiaramente con il crollo dei sistemi sanitari (mancanza di mascherine, letti e operatori sanitari) responsabile della carneficina planetaria le cui cifre oscillano finora tra 17 e 27 milioni di morti. La pandemia ha colpito in modo permanente anche la filiera produttiva globale, accentuando le carenze e l’inflazione. Ha anche rivelato le crescenti difficoltà della borghesia nell'organizzare una risposta coordinata alla pandemia così come alla crisi.
La guerra in Ucraina si sta già incistando come un cancro fatale alle porte dell'Europa e costituisce un ulteriore livello di sprofondamento accelerato della società capitalista nella decomposizione, in particolare attraverso l'esacerbazione del militarismo su scala planetaria. Il grande dovuto all’instabilità nei paesi dell'ex URSS, gli attacchi che rischiano di danneggiare la centrale nucleare di Zaporijjia, le ripetute minacce dell'uso di armi nucleari[2], le catastrofiche perdite dei gasdotti Nord Stream nel Baltico a seguito di probabili atti di guerra, la parziale mobilitazione avventuristica di Putin che si è trasformata in un fiasco, i terrificanti rischi di escalation di un regime russo disperato, tutto ciò suggerisce solo un futuro capitalista apocalittico in tutto il pianeta. Oggi, la voragine della spesa militare che ha preceduto e accompagna ulteriormente la guerra in Ucraina e le tensioni nel Pacifico, come l'indebitamento abissale degli Stati che si sgretolano sotto il peso dell'economia di guerra, si traducono in un aggravamento accelerato nella crisi economica.
La crisi, unita al catastrofico riscaldamento globale, sta già facendo precipitare milioni di esseri umani nella malnutrizione, non solo in Ucraina ma in molte regioni del globo; le carenze si moltiplicano e l'inflazione condanna gran parte della classe operaia alla povertà. I “sacrifici” richiesti dalla borghesia fanno già presagire mali ben peggiori. Il militarismo, che sta crescendo selvaggiamente davanti ai nostri occhi, incarna quindi tutta l'irrazionalità di un capitalismo che può portare solo alla rovina e a un sanguinoso caos. A cominciare dalla logica degli Stati Uniti, il cui desiderio di preservare il proprio rango di prima potenza mondiale richiede il continuo rafforzamento della supremazia militare, che la porta in questa guerra, come altrove, ad aumentare sempre più il caos e la destabilizzazione.
Disastri di ogni tipo, sempre più frequenti, interagiscono e si alimentano più intensamente, formando una vera e propria spirale distruttiva. Gli ultimi mesi hanno notevolmente rafforzato questa traiettoria apocalittica, sia per l'intensificarsi della guerra e delle sue devastazioni, sia per la spettacolare evoluzione delle manifestazioni del cambiamento climatico[3]. Oltre alle distruzioni, alla terra bruciata, ai massacri e agli esodi forzati, assistiamo ad una diminuzione della produzione agricola a livello mondiale. La disponibilità di acqua sta diminuendo, le carenze e le carestie sono in aumento, mentre il mondo, contaminato da inquinamenti di ogni tipo, sta diventando invivibile. Le risorse che si esauriscono tendono a trasformarsi quasi esclusivamente e senza alcuno scrupolo in armi strategiche, come il gas o il grano, soggetti a un vero e proprio saccheggio e a un mercanteggiamento sfrenato il cui esito resta il conflitto militare e la sofferenza umana. Questa tragedia non è casuale. È il prodotto dell'irrimediabile fallimento del modo di produzione capitalistico e dell'azione cieca di una borghesia che ha perso il controllo. Un modo di produzione minato da più di cento anni dalle sue contraddizioni e dai suoi limiti storici, che da oltre trent'anni sprofonda nella sua fase finale di decomposizione. Il mondo sta ora precipitando ancora più velocemente in un processo di frammentazione, distruzione accelerata su scala più ampia, in un immenso caos. La borghesia non riesce a offrire una prospettiva praticabile perché sempre più divisa e di incapace di avere un minimo di collaborazione come faceva un decennio fa nei suoi vertici mondiali anti-crisi. Resta priva di lungimiranza, intrappolata nei suoi paraocchi e nella sua avidità, minata dalle forze centrifughe di un crescente “ciascuno per sé”. La vittoria in Italia del partito di destra di Giorgia Meloni è un altro esempio della tendenza della borghesia a perdere il controllo del proprio apparato politico. Sempre più spesso la classe dirigente si trova a essere governata da cricche più pericolose e irresponsabili che mai.
D’altro canto la borghesia resta determinata a voler aumentare lo sfruttamento, a far pagare al proletariato la sua crisi insolubile e la sua guerra. Tuttavia, d'ora in poi non si potrà non tenere conto della lotta di classe.
Nonostante l'accelerazione della decomposizione con la pandemia sia stata un freno allo sviluppo della combattività, espressa ad esempio in Francia nell'inverno 2019-2020, e nonostante le lotte si siano notevolmente ridotte dopo l'invasione dell'Ucraina, esse non sono mai del tutto scomparse. L’inverno scorso sono scoppiati scioperi in Spagna e negli Stati Uniti. Questa estate anche in Germania ci sono stati scioperi. Ma soprattutto, di fronte alla crisi, alla disoccupazione e al ritorno dell'inflazione, l'ampiezza della mobilitazione operaia nel Regno Unito costituisce una vera e propria rottura con la situazione sociale che l'ha preceduta e un'espressione di combattività a livello internazionale che esprime un cambiamento di stato d’animo. Questi scioperi costituiscono un nuovo evento di dimensione storica. Infatti, dopo quasi quarant'anni di “calma piatta” in Gran Bretagna, da giugno si sono moltiplicati scioperi molto significativi che hanno messo in moto nuove generazioni di lavoratori pronti ad alzare la testa e a lottare per la propria dignità, fungendo da stimolo e incoraggiamento per altri futuri movimenti. Nonostante la campagna ideologica internazionale che ha accompagnato il funerale reale, i portuali di Liverpool, che erano stati sconfitti negli anni '90, hanno annunciato nuove mobilitazioni. I sindacati stanno già prendendo il comando e stanno diventando più radicali, svolgendo il loro lavoro di sabotaggio e divisione. Anche se questo movimento subirà necessariamente un declino, costituisce già una vittoria per sua natura esemplare. Ma il cammino della lotta internazionale del proletariato resta ancora lungo prima che quest'ultimo possa ritrovare la propria identità di classe e difendere in modo determinato la propria prospettiva rivoluzionaria. Il suo percorso è disseminato di insidie. C’è il rischio, soprattutto nei paesi periferici, di allontanarsi dal proprio terreno di classe diluendosi in lotte interclassiste con la piccola borghesia colpita anch’essa dalla crisi o in lotte parcellari, al seguito di movimenti piccolo-borghesi o borghesi, come quello avviato da movimenti femministi o antirazzisti. Per esempio, in Iran, l'immenso scoppio di rabbia contro il regime dei Mullah, a seguito dell'assassinio di Mahsa Amini, è stato spinto sul terreno borghese delle rivendicazioni democratiche, con la classe operaia diluita nel “popolo iraniano” invece di combattere per le proprie rivendicazioni di classe. In Russia, nonostante il proliferare di manifestazioni al grido di “No alla guerra!” e le espressioni di rabbia dei coscritti inviati al fronte senza armi né cibo, la situazione resta confusa e l'opposizione alla mobilitazione militare resta più individuale che collettiva. Dimostrazione che solo la classe operaia può offrire una prospettiva a tutti gli oppressi e che, in assenza di una risposta di classe, la borghesia potrà occupare il terreno sociale.
Ma più in generale, le condizioni per lo sviluppo delle lotte di classe internazionali di fronte agli attacchi futuri, in particolare a causa dell'aumento dell'inflazione, della disoccupazione e dell'estrema precarietà, aprono la possibilità di individuare le condizioni necessarie per l'affermazione della prospettiva comunista, soprattutto nei paesi centrali del capitalismo, dove il proletariato è più esperto e si è già trovato di fronte alle trappole più sofisticate della borghesia.
L’inizio del nuovo decennio lascia intatta per il momento la possibilità dell’affermazione storica del proletariato, anche se il tempo non gioca più in suo favore di fronte vista la devastazione generata dal capitalismo. Questo decennio, iniziato con le lotte operaie e con la realtà di un’accelerazione della barbarie e del caos crescenti, molto probabilmente consentirà alla classe operaia di sviluppare più profondamente la coscienza dell'unica alternativa storica rimasta: la rivoluzione comunista mondiale o la distruzione dell'umanità.
WH, 28 settembre 2022
[2] L'uso delle armi nucleari non è frutto del capriccio di un “dittatore pazzo”, come afferma la borghesia per spaventare e far accettare alla popolazione i “sacrifici necessari”. Richiede un certo consenso all'interno della borghesia nazionale. Ma sebbene un tale uso equivarrebbe a un suicidio volontario della borghesia russa, il livello di irrazionalità e imprevedibilità in cui si immerge il capitalismo non rende più del tutto impossibile il suo uso. D’altra parte le vecchie centrali ucraine, una vera e propria voragine finanziaria, rimangono, dopo decenni dal disastro di Chernobyl, spaventose bombe a orologeria.
[3] Incendi di proporzioni senza precedenti hanno colpito il pianeta durante l'estate, siccità e picchi di caldo record che hanno raggiunto i 50°C (come in India) insieme a terribili inondazioni, come quella che ha quasi sommerso le superfici coltivate in Pakistan.
La caduta del governo Draghi
In piena crisi Covid, lo scorso anno, la borghesia italiana deve fare i conti ancora una volta con le forze centrifughe operanti nel suo apparato politico che determinano la caduta del governo Conte bis. Riesce tuttavia a farvi fronte con la formazione del governo Draghi che coinvolge tutti i partiti, tranne Fratelli d’Italia, impegnandoli nella necessaria assunzione di responsabilità rispetto alla situazione estremamene difficile per le ripercussioni sul piano economico, sanitario e sociale della pandemia. Tuttavia, come abbiamo detto all’epoca “… il fatto che Mattarella sia riuscito a trovare la soluzione rispetto ad una specifica situazione non significa aver sanato il problema una volta per tutte. L’attuale relativa stabilità che la borghesia ha trovato con il governo Draghi è effimera perché, se nell’immediato funziona, nasconde una serie di problemi a livello sanitario, di instabilità politica, a livello di crisi economica e naturalmente a livello sociale. Il governo Draghi non è eterno e l’effetto narcotico sulle intemperanze dei partiti ha dei tempi limitati… Questa turbolenza politica dei partiti della borghesia non tarderà a manifestarsi in un prossimo futuro in forme più radicali, mettendo sempre più in discussione gli interessi del paese, anche quelli strettamente borghesi, …”[1]. Ed ecco che a metà luglio scorso cade il governo Draghi, in una situazione resa ancora più difficile dallo scoppio della guerra in Ucraina e le pressioni degli USA sulla EU a cui l’Italia non può sottrarsi e i cui effetti si aggiungono e aggravano quelli dovuti alla pandemia. Nonostante il governo Draghi stesse portando avanti una politica adeguata agli interessi nazionali della borghesia sul piano economico e nelle relazioni internazionali, non ha però potuto arginare quella che è una dinamica tipica di questa fase del capitalismo, cioè la tendenza alla perdita di coesione dello Stato e delle sue forze politiche. Una tendenza al prevalere degli interessi immediati e di cappella dei partiti, in particolare dei partiti populisti, a scapito dell’assunzione di responsabilità degli interessi più generali del capitale nazionale, con una conseguente sempre minore capacità della borghesia come classe dominante di controllare e disporre del proprio apparato politico secondo queste esigenze. Lo abbiamo visto con il governo Trump negli USA[2], con la Brexit e l’attuale caos politico in Gran Bretagna e in Italia con le convulsioni nell’apparato politico che hanno dato vita al governo Conte prima e Conte bis in seguito[3].
Di nuovo, vicini alla scadenza per le nuove elezioni politiche e di fronte alla perdita di consensi da parte del proprio elettorato, il M5S, la Lega e Forza Italia, fortemente penalizzati dall’aver partecipato alle misure del governo Draghi di peggioramento delle condizioni di vita, hanno cercato di recuperare terreno. Conte, cercando di recuperare la vecchia immagine di “movimento contro” dell’M5S, Lega e Forza Italia sperando di poter trovare più spazio in una coalizione di destra con un partito come Fratelli d’Italia che invece guadagnava sempre più terreno elettorale essendo stato sempre all’opposizione e potendo quindi vantare una propria coerenza politica di lunga data.
Di cosa è espressione il risultato elettorale?
Nella campagna elettorale dell’estate scorsa c’è stata tutta una focalizzazione da parte dei media e delle forze di sinistra sul “pericolo” per le istituzioni e i diritti democratici che avrebbe costituito la vittoria della destra, in particolare di Fratelli d’Italia, fino a paventare il pericolo di un ritorno del fascismo. Una campagna che ha avuto un certo peso nell’ambiente medio-piccolo borghese di sinistra spaventati della “svolta a destra” della società. Ma, se il voto espresso nel chiuso di un’urna non è mai stato un indicatore reale del sentire politico, in particolare dei proletari, da diversi anni esso non esprime neanche più un orientamento seppur momentaneo verso una precisa proposta politica programmatica, ma piuttosto il tentare “il meno peggio” e vedere come va.
Innanzitutto, un dato elettorale importante è stato l’astensione che si può dire corrisponde al primo partito italiano. Il “partito” dell’astensione infatti è arrivato al 36.1% degli aventi diritto al voto, con un crollo in soli 4 anni di 9 punti percentuali, confermando un trend al ribasso che si sta manifestando dalla fine degli anni ’80 e che ha fatto perdere da allora 12 milioni di voti. Il che è sintomo della crescente perdita di fiducia nel voto come strumento di cambiamento. Inoltre alla riduzione del numero di votanti si accompagna un altro fenomeno che è quello della crescente volatilità del voto, per cui si assiste, elezione dopo elezione, ad una sempre più massiccia migrazione di voti verso quale sia stato il partito che promette di più e che è stato più decisamente all’opposizione, visto che chi sta al governo non può che garantire sacrifici, povertà e mancanza di prospettive. Questa volatilità si accompagna naturalmente a una perdita di fedeltà ai partiti che a loro volta hanno sempre meno una propria identità storica e di principi e sono sempre più raccolti intorno alla figura di un leader carismatico. Così nella misura in cui nel precedente governo Draghi erano impegnati tutti i partiti tranne che Fratelli d’Italia, quest’ultimo risulta il vincitore assoluto mentre tutti gli altri perdono punti, e in maniera vistosa. Negli stessi partiti della coalizione vincente di destra, i due partiti partner perdono essi stessi a favore del partito della Meloni, che strappa quasi 2 milioni e mezzo di voti alla Lega e 900.000 a Forza Italia, una sorta di cannibalismo politico.
Sul fronte opposto in realtà solo il PD riesce a tenere, mantenendo sostanzialmente la stessa percentuale del 2018. Mentre, per esempio, il M5S ha ottenuto la metà dei voti rispetto alle elezioni precedenti riuscendo a recuperare nella fase finale rispetto ai sondaggi che lo davano al 10% solo grazie alla rottura dell’ultimo minuto con il governo Draghi e la politica di distinguo sugli aiuti all’Ucraina e la politica verso la Russia. Non è un caso che il gruppo di Di Maio, che si era staccato dal M5S facendo un proprio gruppo politico ma rimanendo fedele al governo Draghi, sia stato letteralmente cancellato in queste elezioni e che lui stesso, ex-ministro degli Esteri, non sia riuscito a farsi rieleggere. Allo stesso tempo un gruppo come quello di Calenda, sorto dal nulla, guadagna l'8% e nella fase pre-elettorale diventa l’elemento decisivo per la formazione o meno di una coalizione di sinistra capace di scalzare quella di destra, mentre adesso nicchia alla Meloni pronto a sostenerla nel caso sia necessario.
Il nuovo governo Meloni risponde alle esigenze della borghesia italiana?
La caduta del governo Draghi e la formazione del nuovo governo sono avvenuti in un momento di forte accelerazione della crisi economica, della guerra in Ucraina che investe tutte le potenze imperialiste e i rapporti di forza tra gli Stati a livello della NATO e dell’Unione Europea, con ripercussioni per ogni Stato anche a livello di politica economica interna e quindi con problemi sul piano sociale. Per far fronte a tutto questo ogni borghesia nazionale avrebbe bisogno di un governo solido e autorevole.
Riguardo all’Italia, in passato abbiamo messo in evidenza come, dal punto di vista borghese, la Lega fosse un partito poco affidabile per il suo carattere populista, la mancanza di coerenza e le simpatie per la Russia di Putin. Ugualmente abbiamo mostrato come Forza Italia fosse una creatura di Berlusconi, altro amico di Putin, una struttura a uso e consumo di un gruppo di potenti. Per quanto riguarda il terzo partito di governo, quello della Meloni, non è una forza populista ma ha delle radici storiche nell’estrema destra[4] e pertanto ha una sua visione della gestione del capitalismo e orientamenti non del tutto in linea con quelli finora portati avanti in Italia ed in Europa, ad esempio rispetto al problema dell’immigrazione o anche sulla stessa UE sulla quale mantiene una visione più federalista che di unità europea. I suoi riferimenti in Europa sono ai sovranisti di Orban, Vox, Le Pen e oltreoceano Trump.
La vittoria di una tale coalizione poneva quindi delle preoccupazioni alla borghesia italiana e alla stessa UE, da qui tutte le insistenze pre-elettorali di Draghi, Mattarella e Von der Leyen sul fatto che qualsiasi nuovo governo non avrebbe potuto distaccarsi dalla politica economica e di politica internazionale del governo Draghi. L’atteggiamento deciso e senza ambiguità della Meloni in campagna elettorale rispetto alle deviazioni e ai distinguo di Salvini e Berlusconi sul ruolo dell’Italia nella guerra in Ucraina, sulla Russia, l’attestazione di fedeltà alla NATO e all’UE, ha dato una certa assicurazione più di quanto, ad esempio, avesse dato in passato il governo populista M5S-Lega. Resta comunque un governo sotto sorveglianza speciale.
Lo si è visto sul divieto, a firma del nuovo ministro della difesa Crosetto e di Salvini di far sbarcare in Italia 179 profughi salvati in mare dalla Humanity, così come per la Ocean Viking, che ha creato frizioni tra l’Italia e l’UE, in particolare con la Francia. Caso sul quale è stato necessario un incontro tra i due presidenti, Mattarella e Macron, per appianare la situazione attraverso un comunicato congiunto dove si ribadiva “la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell'Unione Europea”. La questione dell’immigrazione resta un cavallo di battaglia della coalizione di governo che tende a essere usato per mostrare al proprio elettorato che comunque si è capaci di fare la voce grossa in Europa per far intendere le “proprie ragioni”.
Sul piano di politica economica invece, dopo gli effetti devastanti della pandemia, le ripercussioni dell’impegno militare nella guerra in Ucraina, delle sanzioni contro la Russia e il necessario aumento delle spese militari che l’acuirsi delle tensioni imperialiste impone, non lasciano molti margini di manovra al nuovo governo. Il disegno di legge di bilancio per il 2023 presentato in questi giorni segue in sostanza le direttive del precedente governo Draghi. Anche rispetto alle promesse elettorali fatte dai suoi alleati di coalizione, Salvini e Berlusconi, la Meloni ha tenuto a dire chiaramente che “ogni passo va ragionato e accompagnato dalla sostenibilità dei conti”, “è una questione di serietà” perché non ci sono fondi e bisogna rinunciare, almeno nell’immediato, a molte delle promesse fatte in campagna elettorale. Le misure previste tendono essenzialmente a far fronte al caro energia e al mantenimento di sostegni alle fasce più deboli nel, disperato, tentativo di arginare l’impoverimento crescente della popolazione perché questo ha un effetto nefasto non solo a livello sociale, ma anche a livello di entrate per lo Stato e per le aziende, che a loro volta non riuscendo a realizzare utili non possono che chiudere, aumentando la povertà in un circolo infernale.
Cosa possono aspettarsi i proletari dal governo Meloni?
Sul piano economico e delle condizioni di vita, nient’altro che un peggioramento. I sussidi per le famiglie povere, la riduzione dell’IVA al 5% sui pannolini per i bambini e gli assorbenti e altre misure simili, a fronte di un’inflazione all’11,8%, non serviranno a evitare un ulteriore impoverimento delle famiglie così come una flat tax al 15% per le partite IVA non cambierà la situazione della massa di lavoratori che sono solo nominalmente autonomi o che, per il lavoro che fanno, vengono pagati poco e in tempi lunghissimi. Così come il reddito di cittadinanza, se ha dato un minimo di sospiro, non è certo servito a vivere dignitosamente o a uscire dalla precarietà e la miseria. E la sua riduzione ricadrà non sulle migliaia di truffatori e malviventi finora beneficiari, ma su quelli che veramente ne avevano bisogno per sopravvivere facendo al contempo altri lavoretti al nero.
In un intervento all’assemblea di Confcommercio Campania, il presidente di Confcommercio Sangalli ha dichiarato che nel primo trimestre 2023 “almeno 120mila piccole imprese potrebbero cessare l’attività con la perdita di oltre 370mila posti di lavoro” entro il prossimo anno. Questo perché, come spiegato, le situazioni di emergenza che si stanno sviluppando su più fronti – economico, geopolitico etc. – si sommano alla “debolezza strutturale della crescita e dei consumi …”. La Whirlpool ha fermato la produzione nello stabilimento di Napoli da oltre 8 mesi e il 15 luglio ha avviato la procedura di licenziamento collettivo dei circa 350 lavoratori. Il gruppo siderurgico ArcelorMittal, ex Ilva di Taranto ha messo in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane 4 mila addetti a Taranto e quasi mille in Liguria. Nel solo mese di luglio: 422 dipendenti della Gkn Italia hanno saputo della chiusura totale dello stabilimento e la procedura di licenziamento così come i 106 lavoratori della Timken di Villa Carcina in provincia di Brescia e i 152 lavoratori della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, in provincia di Monza e Brianza, Mentre alla Blutec di Termini Imerese (Palermo) ci sono 635 dipendenti in cassa integrazione a rischio licenziamento.
Il governo Meloni come qualsiasi altro governo, non può trovare soluzione a tutto questo, perché le cause di fondo stanno nella crisi economica strutturale del capitalismo che la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno aggravato ulteriormente.
Così come non può far fronte ai disastri ambientali, alle ondate di fango, alle alluvioni, agli incendi, alla distruzione della produzione agricola per il troppo calore, eventi che ormai ogni anno mietono vittime, distruggono abitazioni e il tessuto economico di interi territori, e impoveriscono migliaia di persone. Anche questi infatti sono il prodotto del modo di produzione capitalista.
La nuova legge di bilancio, così come tutte quelle precedenti, non è fatta per migliorare la condizione dei lavoratori ma solo per permettere allo Stato italiano di preservare la sua capacità concorrenziale rispetto agli altri Stati. Per rendersene conto basta considerare che a fronte di una spesa militare di 28,8 miliardi per il 2022 e degli altri 38 miliardi che saranno necessari per raggiungere il famoso obiettivo del 2% del PIL entro qualche anno[5], la spesa sanitaria prevista per il 2023 è di soli 1,5 miliardi, per gli aiuti alle famiglie 1 miliardo, per la riduzione del cuneo fiscale 5 miliardi, per le pensioni 800 milioni.
Come sempre, le spese dell’ulteriore inevitabile peggioramento economico, imperialista e ambientale ricadranno principalmente sui proletari italiani e di tutto il mondo.
Un’altra conseguenza importante che peserà sui proletari sarà sul piano della mistificazione.
L’avvento della Meloni, se non si verificano incidenti di percorso, può anche fare gioco alla borghesia. Infatti questo governo ha una maggioranza abbastanza solida che gli permette di governare indisturbato, portare gli attacchi più forti contro i lavoratori e usare la mano pesante se necessario. Inoltre, scaricare sulla destra una serie di scelte difficili sul piano sociale ed economico potrà permettere alle forze della sinistra del capitale di ridarsi una facciata di radicalità in difesa dei proletari. In particolare per il PD, che si è notevolmente screditato nel periodo precedente dovendo assumere in prima persona la responsabilità di tutte le misure più impopolari, come quelle prese durante la pandemia.
In Spagna, il fatto che la sinistra sia al potere, crea una situazione scomoda tanto che una parte del PSOE si trova a dover dare orientamenti di opposizione al sindacato anche se è al governo. Il fatto che in Italia la sinistra sia libera di non dover attaccare essendo all’opposizione, può permetterle ad esempio di riproporre battaglie antifasciste contro Fratelli d’Italia per deviare il malcontento e la rabbia e impedire che la classe operaia possa muoversi sul suo terreno di classe. In effetti, lo spauracchio del “pericolo fascista” sventolato nella campagna elettorale è servito essenzialmente per spingere gli esitanti alle urne, per arginare il dilagare della comprensione che, elezione dopo elezione, le condizioni di vita non hanno fatto che peggiorare, sotto qualsiasi governo, di qualsiasi colore. Non a caso l’allerta per la difesa della democrazia è restata in piedi anche dopo le elezioni, con manifestazioni e scontri di piazza salutate e sostenute dal PD, da Sinistra Italiana e Europa Verde, Radicali e via dicendo. E sicuramente sarà una carta da utilizzare ancora nel loro attuale ruolo di opposizione al governo.
Del resto, i segnali di una forte rabbia nella classe operaia internazionale e la ripresa delle lotte in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Spagna, in Belgio[6], contro lo stesso aumento dell’inflazione, lo stesso aumento dei prezzi, lo stesso peggioramento che subiscono qui i proletari, non possono che suonare un campanello d’allarme sulla necessità per la borghesia di avere una copertura a sinistra che possa prevenire o per lo meno arginare delle risposte più ampie anche in Italia. Dei primi toni più “combattivi” già si mostrano da parte del PD rispetto al governo di destra, ma ancora di più questo inizio di radicalismo lo si avverte in tutte quelle situazioni di lotta che abbiamo citato prima, all’ex-Ilva, alla Whirlpool, ecc. dove l’azione dei sindacati ufficiali, ma soprattutto dei vari sindacati e comitati di base, è molto attiva nel settorializzare la lotta, nell’indicare in questa o quella multinazionale o nella delocalizzazione il nemico e soprattutto nel fare appello allo Stato perché si faccia difensore non dei lavoratori in quanto tali, ma in quanto lavoratori di una azienda che potrebbe essere redditizia ma che l’incapacità gestionale o l’ingordigia dei proprietari porta alla chiusura.
I proletari in Italia, come i proletari di ogni paese non possono farsi illusioni sui cambi di governo, su questo o quel partito della classe dominante. L’unica forza che può cambiare lo stato di cose presente sta nelle mani del proletariato, nella lotta di difesa delle sue condizioni di vita, nell’unità delle sue lotte al di là di ogni logica sindacale.
Eva, 12 dicembre 2022
[1] Perdita di controllo e tentativo di recupero da parte della borghesia sulla situazione politica italiana [97]
[2] Trump presidente: il segno di un sistema sociale moribondo [98];
Degli scivoloni per la borghesia che non presagiscono niente di buono per il proletariato [99]; The “Tory crisis” expresses the impasse of the whole ruling class [100]
[3] Il populismo al governo in Italia, un fattore d’instabilità per l’Unione Europea [101]; Come si è arrivati al Governo Conte bis, ovvero… “la via italiana al contrasto del populismo” [102]
[4] Movimento Sociale Italiano [103]di Almirante, divenuto in seguito Alleanza Nazionale [104] con Fini, fino al 2008 quando insieme a Berlusconi fu fondato il nuovo partito Il Popolo della Libertà [105]. Fratelli d’Italia viene fondato nel 2012 da La Russa, Crosetto e Meloni che lo presiede dal 2014.
[5] https://www.geopolitica.info/spese-militari-nuovo-corso-italia/ [106], la corsa agli armamenti è un obiettivo di tutti gli Stati: la Germania prevede uno stanziamento di circa 100 miliardi entro il 2024, il budget per la difesa della Francia nel 2023 sarebbe di 43,9 miliardi di euro, con un aumento di 3 miliardi di euro rispetto al 2022, ben oltre il 2% del PIL deciso dalla NATO.
Pubbichiamo qui un articolo della nostra sezione in Francia di denuncia della campagna dello Stato francese che mira a corrorresponsabilizzare i proletari rispetto alla crisi energetica, una denuncia che possiamo rivolgere alle borghesie di tutti i paesi, compresa quella italiana che attraverso i media, i dibattiti televisivi e le misure paventate mira allo stesso scopo: far pagare ai proletari i costi della crisi economica e della guerra imperialista in Ucraina.
“Dobbiamo tutti darci da fare”! “Bobbiamo cambiare le nostre abitudini e il nostro comportamento in modo sostenibile”, "resistere”, “accettare di pagare il prezzo della nostra libertà e dei nostri valori”, accettare “la fine dell'abbondanza”. È quanto sostiene da quasi due mesi Macron per giustificare le possibili penurie causate “dall'assenza di gas russo”. Ma tranquillizziamoci, per “resistere” il governo ha programmato tutto: basta abbassare il riscaldamento, staccare il Wi-Fi, spegnere le luci quando si è via (secondo il saggio consiglio di Olivier Veran, portavoce del governo…), indossare maglioni a collo alto (secondo Bruno Le Maire, Ministro dell’economia e delle Finanze) o mettere un coperchio per far bollire più velocemente l'acqua per la pasta... E, per indicarci meglio la strada, il Castello di Versailles, la Piramide del Louvre e la Torre Eiffel saranno spenti più presto la sera. Grazie al cielo, siamo salvi!
Sembra l'inizio di uno sketch umoristico, invece no: è proprio il discorso pronunciato su tutti i canali televisivi e radiofonici dai principali rappresentanti dello Stato. La società si autodistrugge, i disastri ecologici si susseguono, il caos bellico si amplifica, la povertà continua ad aumentare, i prezzi salgono… ma partecipando attivamente al piano di sobrietà energetica dello Stato, facendo ognuno un “piccolo sforzo”, andrà tutto bene nel migliore dei mondi possibili.
La realtà di tutta questa ridicola propaganda è un attacco ideologico molto più subdolo, portato avanti dal governo così come da tutti i partiti borghesi di sinistra e ecologisti. Lo Stato approfitta, infatti, dell'atomizzazione dei proletari per catechizzare l’opinione pubblica con lo scopo di sostenere sul piano ideologico e far accettare gli effetti della crisi economica, per preparare gli animi ad attacchi successivi ancora più brutali, come la legge sull’ indennità di disoccupazione o quella sulle pensioni che mirano né più né meno che a ridurre l'importo delle pensioni e ad aumentare i tempi di pensionamento. In un contesto dove la rabbia è ancora forte, dove la lotta del proletariato nel Regno Unito può trovare risonanza in altri paesi come la Francia, la borghesia non abbassa la guardia. Ad esempio, attraverso il famoso “scudo energetico” che consente di limitare il prezzo dell'energia, lo Stato francese si presenta come il buon samaritano preoccupato per la sorte dei più poveri nel nome della “solidarietà nazionale” di fronte alla guerra e di una pretesa salvaguardia dell'ambiente! “Bisogna essere presenti all'appuntamento della solidarietà e della sobrietà”, insiste il presidente. Il discorso è tanto più efficace in quanto gioca su paure legittime: quelle delle ristrettezze, dell'accelerazione della crisi ecologica, dei blackout, della crisi economica e della guerra. Si tratta, in sostanza, di instillare nei lavoratori il dovere di sostenere lo Stato democratico nella sua presunta ricerca della giustizia, della pace e della salvaguardia dell'ambiente, anche attraverso i sacrifici per la guerra e l'economia di guerra. Questa è sempre stata la logica della borghesia. Churchill nel 1940 non aveva nulla da offrire alla classe operaia britannica tranne “sangue, lavoro duro, sudore e lacrime”. Macron offre la “fine dell'abbondanza” e sacrifici per aiutare, a suo dire, i “più fragili” il cui numero continua ad aumentare.
Questa marea di bugie riversate da tutta la borghesia (partiti politici, media, imprenditori, sindacati, ecc.) mirano solo a far credere che lo Stato sia lo strumento de “l’interesse comune”, un organismo al di sopra delle classi e dei loro piccoli interessi particolari. In altre parole, uno “Stato sociale”! In realtà, questo organo, nato con lo sviluppo delle società di classe, è sempre al servizio della classe dirigente! Come sosteneva Engels nell’Anti-Dühring: “Lo Stato moderno, qualunque sia la sua forma, è una macchina essenzialmente capitalista: lo Stato capitalista, il capitalista collettivo ideale. Più forze produttive porta nella sua proprietà e più diventa di fatto un capitalista collettivo, più cittadini sfrutta. Gli operai restano proletari salariati. Il rapporto capitalista non viene soppresso, anzi viene spinto al culmine”. È proprio lo Stato capitalista, che sia padrone o no, ad aver contribuito al deterioramento dei nostri salari e delle nostre condizioni di vita, ad aver rafforzato da decenni lo sfruttamento dei lavoratori!
Inoltre, con slogan come “tutti hanno un ruolo da svolgere”, “la soluzione è nelle nostre mani”, il governo rende ogni lavoratore responsabile del “sovra-consumo” di energia e della distruzione del pianeta. Gli chiede di sacrificarsi e di fare del proprio meglio per lo sforzo nazionale alimentando il senso di colpa. La borghesia non mancherà di spiegare, quando gli attacchi si faranno ancora più insopportabili, che tutta la colpa è del “popolo egoista” che non ha “collaborato”. Mentre in realtà la predazione e l'accaparramento forsennato delle risorse sono essenzialmente da attribuire al complesso industriale dell’industria pesante al servizio della macchina da guerra, all’agricoltura intensiva, al saccheggio delle risorse per l’approvvigionamento dei metalli delle terre rare, alla deforestazione, all’anarchia della produzione, ecc., cioè a un sistema che non può esistere senza la costante ricerca del profitto e dell'accumulazione.
La famosa “sobrietà” è, in effetti, unicamente al servizio dei bisogni e degli interessi della classe dirigente, non è altro che una delle conseguenze dello sviluppo dell'economia di guerra e assume la forma di un vero e proprio insulto per tutti gli sfruttati che conoscono le situazioni più estreme di precarietà e vivono quotidianamente, sulla loro pelle, la “sobrietà” delle condizioni di esistenza imposte dallo sfruttamento della forza lavoro da parte del capitalismo sulla faccia della terra.
Perché mentre il budget della Difesa lievita (aumentando di 3 miliardi di euro tra il 2022 e il 2025) a dimostrazione delle tendenze sempre più bellicose di tutti gli Stati che alimentano una concorrenza selvaggia, i lavoratori devono stringere ancora di più la cinghia e pagarne le conseguenze: inflazione galoppante, future ristrettezze, sistema sanitario morente, sistema scolastico esausto, precarietà dei contratti di lavoro, prossima riforma delle pensioni, ecc. Che indecenza chiedere di “abbassare la temperatura nelle case” quando una parte sempre crescente della popolazione vive in alloggi scarsamente isolati, quando il prezzo dell'energia è tale che milioni di persone riescono a malapena a riscaldarsi, mentre milioni di altri sprofondano ogni giorno un po' di più nella “povertà energetica” a mano a mano che aumentano i prezzi del gas e dell'elettricità!
Nel capitalismo, un sistema che può sopravvivere solo distruggendo il pianeta, non c'è soluzione: né al riscaldamento globale, né alle guerre, né alla disoccupazione, né alla precarietà, né alla miseria. Solo la lotta del proletariato mondiale sostenuto da tutti gli oppressi e sfruttati del mondo può aprire la strada ad un'alternativa.
Jeanne, ottobre 2022
Il capitalismo è sempre più soffocato da un insieme di contraddizioni che interagiscono e si rafforzano a vicenda, minacciando la società con convulsioni di una frequenza e di una portata finora sconosciute. Di fronte a queste calamità, la borghesia ha sempre avuto come principale preoccupazione il rigetto, screditandola, di ogni spiegazione che mettesse in discussione la responsabilità del sistema. Il suo scopo è nascondere alla classe operaia la causa delle guerre, del disordine globale, dei cambiamenti climatici, delle pandemie, della crisi economica mondiale...
La sovrapproduzione è identificata da Marx come l'origine delle crisi cicliche del capitalismo nel XIX secolo[1]. Già il Manifesto del Partito Comunista del 1848 indica che “scoppia un'epidemia sociale che, in qualsiasi altro momento, sarebbe sembrata assurda: l'epidemia della sovrapproduzione”. Ma, nella fase ascendente del capitalismo, questa contraddizione ha costituito un fattore di espansione del capitalismo attraverso la ricerca di sbocchi per vendere la produzione delle potenze industriali.
Al contrario, nella sua fase di decadenza, la sovrapproduzione è all'origine dell'impasse economica segnata dalla depressione mondiale degli anni '30, dal susseguirsi di recessioni sempre più profonde dalla fine degli anni '60, ma anche dal vertiginoso sviluppo del militarismo perché “la sola strada percorribile dalla borghesia per cercare di allentare la morsa di questa impasse è quella di una fuga in avanti con altri mezzi […] che possono essere solo militari”[2]. Tragiche illustrazioni di questa impasse: due guerre mondiali e, fin dalla Prima, un susseguirsi quasi ininterrotto di guerre locali tra Stati.
La causa della sovrapproduzione è stata evidenziata ben presto da Marx nel Manifesto. Spinta dalla concorrenza ad espandersi sempre più, pena la morte, la produzione tende permanentemente ad essere eccessiva, non in rapporto ai reali bisogni degli uomini, ma in relazione ai salari dei proletari e al reddito dei capitalisti. “Né gli operai né i capitalisti come insieme potranno mai assorbire tutte le merci da loro stessi prodotte. E a ragione, poiché parte del prodotto del lavoro dell'operaio, quello che non è né restituito sotto forma di salario né consumato dai capitalisti, ma che è destinato a essere reinvestito, cioè trasformato in nuovo capitale, non può trovare acquirenti nella sfera capitalista”[3]. Non esiste quindi una soluzione alla sovrapproduzione all'interno del capitalismo. In sostanza, quest'ultima può essere eliminata solo con l'abolizione del lavoro salariato, la cui condizione è l'instaurazione di una società senza sfruttamento.
Domande e incomprensioni su questo tema sono state espresse negli incontri pubblici della CCI. Per un compagno la sovrapproduzione potrebbe essere ridotta o addirittura eliminata sotto l'influenza di contraddizioni " inverse" che portano alla penuria di determinati merci. In realtà, se una carenza interessa alcuni settori della produzione mondiale, dovuta, ad esempio, a carenze nelle filiere, altri settori continueranno a risentire della sovrapproduzione.
Se gli ingranaggi dell'economia mondiale non si sono fermati del tutto di fronte alla tendenza permanente e crescente alla sovrapproduzione, è perché la borghesia ha fatto ricorso massicciamente al debito non rimborsato per creare domanda, determinando un accumulo di un debito globale colossale, che costituisce una spada di Damocle sospesa sull'economia globale.
La caduta tendenziale del saggio del profitto, anch’essa evidenziata da Marx è un ulteriore ostacolo all'accumulazione. In effetti, di fronte all'inasprimento della concorrenza e per mantenere in vita le loro attività, i capitalisti sono costretti a produrre merci a costi bassi. A tal fine, devono aumentare la produttività utilizzando sempre più macchinari nel processo di produzione. Ma ciò ribalta la composizione organica del capitale (rapporto tra capitale costante o fisso e capitale variabile) tale che la componente fissa (macchinari, manutenzione, ecc.) diventa maggiore rispetto alla componente variabile (manodopera). Di conseguenza, ogni merce così prodotta contiene sempre meno lavoro vivo (quella parte del lavoro dell'operaio non pagata dal capitalista), e quindi meno plusvalore. Tuttavia, gli effetti della caduta del saggio di profitto possono essere compensati da vari fattori, compreso l'aumento del volume di produzione, ma ciò non fa che aumentare la sovrapproduzione[4]. Se la caduta tendenziale del saggio del profitto non si è presentata sin dall'inizio nella vita del capitalismo come un freno assoluto all'accumulazione, è perché esistevano degli sbocchi nella società, prima reali e poi basati sull'aumento del debito in tutto il mondo, che ne consentivano la compensazione. Nel contesto di una sovrapproduzione cronica e generalizzata legata alla decadenza del sistema capitalistico, da tendenziale, questa caduta del saggio di profitto, diventa sempre più effettiva.
L'ipertrofia delle spese improduttive generate dal capitalismo di Stato
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, il capitalismo entrò in un nuovo periodo della sua vita, la sua decadenza, in cui l'esacerbarsi delle sue contraddizioni imposero l'instaurarsi di un capitalismo di Stato che aveva come compito quello di mantenere la coesione della società, di fronte a queste, in particolare:
Questo tipo di spese del capitalismo di Stato, essendo totalmente improduttive, lungi dal contribuire all'accumulazione, costituiscono al contrario una sterilizzazione di capitale. Anche qui sono sorte delle incomprensioni. La produzione e la vendita di armamenti sono state viste come un contributo all'accumulazione, conferendo così una certa razionalità economica alla guerra.
In effetti, l'argomento utilizzato a sostegno di questa tesi “la vendita di tali merci implica la realizzazione del plusvalore” non è marxista. Per convincersene basta tornare a Marx: “Gran parte del prodotto annuo viene consumato come reddito e non torna più alla produzione come mezzo di produzione […] si tratta di prodotti (valore d'uso) […] che sono destinati esclusivamente al consumo improduttivo e che di fatto, in quanto oggetti, non hanno valore d'uso per il processo di riproduzione del capitale”[5]. In quest'ultima categoria rientrano sia i prodotti di lusso destinati alla borghesia che le armi, che ovviamente non ritornano alla produzione come mezzo di produzione. Dall'inizio del 20° secolo le spese improduttive sono sempre aumentate, in particolare quelle militari.
L'inflazione
L'inflazione non va confusa con un altro fenomeno della vita del capitalismo che si traduce nell'evoluzione al rialzo del prezzo di alcune merci per effetto di un'offerta insufficiente. Quest'ultimo fenomeno ha recentemente assunto una dimensione particolare a causa della guerra in Ucraina, che ha colpito l'offerta di un volume significativo di vari prodotti agricoli, la cui privazione è già un fattore di aggravamento della miseria e della fame nel mondo.
L'inflazione non è una delle contraddizioni insite nel modo di produzione capitalistico, come nel caso della sovrapproduzione, per esempio. Tuttavia, essa è un dato permanente del periodo di decadenza del capitalismo che incide pesantemente sull'economia. Pur riflettendosi, come l'insufficienza dell'offerta, nell'aumento dei prezzi, è in realtà la conseguenza del peso delle spese improduttive nella società, il cui costo si scarica su quello delle merci prodotte.
In effetti, "nel prezzo di ogni merce, accanto al profitto e ai costi della forza lavoro e del capitale costante consumato nella sua produzione, intervengono, in modo sempre più massiccio, tutte le spese (e quindi i costi) essenziali alla sua vendita su un mercato ogni giorno più saturo (dalla remunerazione del personale dei servizi di marketing alle imposte destinate a pagare la polizia, i dipendenti pubblici e le armi del paese produttore). Nel valore di ogni oggetto, la quota dovuta al lavoro necessario alla sua produzione diminuisce di giorno in giorno rispetto alla quota dovuta al lavoro umano imposta dalle necessità della sopravvivenza del sistema. La tendenza del peso di queste spese improduttive ad annientare i profitti di produttività del lavoro si riflette nel continuo slittamento al rialzo del prezzo delle merci”[6].
Infine, un altro fattore di inflazione è la conseguenza della svalutazione delle valute derivante dall'uso di stampare moneta e che accompagna l'aumento incontrollato del debito mondiale, che attualmente si avvicina al 260% del PIL mondiale.
La crisi ecologica
Se la borghesia si avventa avidamente sulle risorse naturali incorporandole nelle forze produttive è perché queste presentano una particolarità molto gradita dai padroni quella di essere “gratuite” per il capitalismo. Ma per quanto sia stato inquinante, cruento e sfruttatore il capitalismo nella sua fase ascendente, quando conquistava il mondo, questo non è niente in confronto alla spirale infernale di distruzione della natura che opera dalla prima guerra mondiale, come conseguenza di feroci attacchi economici e competizione militare. La distruzione ambientale ha così raggiunto nuove vette poiché le imprese capitaliste, private o pubbliche, hanno aumentato l'inquinamento ambientale e il saccheggio delle risorse del pianeta come mai prima d'ora. Inoltre anche le guerre e il militarismo hanno apportato il loro contributo all'inquinamento e alla distruzione dell'ambiente naturale[7]. Durante la seconda metà del 20° secolo, si è imposta chiaramente una nuova dimensione al disastro che il capitalismo ha in serbo per l'umanità attraverso il cambiamento climatico, minacciando l'esistenza stessa dell'umanità. Le sue cause sono economiche e, di ritorno, lo sono anche le sue conseguenze. Il riscaldamento globale sta avendo un impatto sempre maggiore sulla vita umana e sull'economia: incendi giganteschi, inondazioni, ondate di caldo, siccità, violenti fenomeni meteorologici ... colpiscono in modo drammatico non solo la produzione agricola, ma anche la produzione industriale, l'habitat e, di fatto, penalizzano sempre più pesantemente l'economia capitalista.
Un tale pericolo può essere scongiurato solo rovesciando il capitalismo. Ma c'è l'idea che la borghesia potrebbe evitare il disastro climatico attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie “pulite”. Non c'è dubbio che la borghesia è ancora capace di fare progressi considerevoli e anche decisivi in questo campo. Al contrario, è completamente incapace di cooperare a livello mondiale per rendere operativi tali progressi tecnologici e farli funzionare.
Non è la prima volta nella storia che una tale illusione nei confronti della borghesia si manifesta. Essa si apparenta in una certa maniera alla tesi del “super imperialismo”, difesa da Kautsky alla vigilia della Prima Guerra mondiale, destinata a “dimostrare” che le grandi potenze potevano mettersi d’accordo al fine di stabilire un dominio comune e pacifico sul mondo. Tale concezione, tutt’oggi adottata dal pacifismo, è stata ovviamente una delle punte di diamante delle menzogne pacifiste, per far credere agli operai che sia possibile porre fine alle guerre senza dover distruggere il capitalismo. Questa visione però elude la competizione mortale che esiste tra le potenze capitaliste. Sembra ignorare che il livello più alto di unificazione delle diverse frazioni della borghesia è quello della nazione, rendendole del tutto incapaci di costruire una vera autorità politica e un'organizzazione della società veramente sovranazionale.
La realtà è esattamente l'opposto dell'illusione di una borghesia capace di evitare il disastro climatico. Quello che si impone è la persistenza, anzi l'aggravamento della più totale irrazionalità e irresponsabilità di fronte al cambiamento climatico, che si esprimono sia attraverso l'apertura di nuovi conflitti imperialisti, come la guerra in Ucraina, (catastrofica per le persone ma anche per il pianeta) che attraverso altre aberrazioni minori ma altamente significative, come la gestione del Bitcoin, il cui consumo energetico annuo è equivalente a quello della Svizzera.
La decomposizione corrisponde al periodo ultimo della vita del capitalismo, avviato da una situazione di stallo tra le due classi antagoniste, nessuna delle quali in grado di portare una propria soluzione alla crisi storica del capitalismo. L'aggravarsi della crisi economica determina allora un fenomeno di putrefazione della società. Ciò colpisce tutta la vita sociale attraverso lo sviluppo del ciascuno per sé nell'insieme delle relazioni sociali, in particolare all'interno della borghesia. L'epidemia da Covid lo ha magistralmente illustrato soprattutto attraverso:
Anche se al fondo della decomposizione c’è la crisi economica, succede che, di converso, quest’ultima si trova ormai colpita in maniera crescente, dall’inizio degli anni 2020, dalle manifestazioni più gravi della decomposizione. Il corso della crisi economica è aggravato in particolare dallo sviluppo del ciascuno per sé, in tutti i campi, in particolare nei rapporti internazionali tra le grandi potenze. Tale situazione non mancherà di ostacolare gravemente l'attuazione di politiche economiche concertate di fronte alla prossima recessione.
In effetti, la situazione è molto più allarmante rispetto a due anni fa. La combinazione di un insieme di fattori attesta piuttosto un rischio elevato di notevoli sconvolgimenti nella sfera economica e, di conseguenza, anche su altri piani:
– Tutte le contraddizioni del capitalismo sul piano economico menzionate in questo articolo (riduzione dei mercati solvibili, corsa sfrenata alla produttività, intensificazione della guerra commerciale, ecc.) sono esacerbate.
– Il capitalismo si trova nella quasi-certezza di dover assumere nuove considerevoli spese: dappertutto nel mondo, in particolare nell’Europa occidentale, l’accelerazione del militarismo genera una forte crescita delle spese improduttive. Ancora, su un altro piano, l’invecchiamento delle infrastrutture causate dal mancato investimento per decenni da parte degli Stati, fragilizza la società con la minaccia di spese enormi non programmate di fronte a dei problemi che pure erano prevedibili;
– Ci sono potenziali fattori scatenanti (detonatori) di un cataclisma economico come la crisi immobiliare cinese (responsabile di una crescita zero nel secondo trimestre del 2022) in cui fallimenti come quello di Evergrande potrebbero non limitarsi a questo paese ma avere pesanti ripercussioni internazionali, tanto è indebolita l'economia mondiale. L'impennata dell'inflazione, oltre a incidere pesantemente sulla vita degli sfruttati, costituisce un freno al commercio internazionale già minato dalle tensioni imperialiste. Tanto che, di fronte alla prospettiva che sembra inevitabile di un rialzo dei tassi di interesse in un certo numero di paesi industrializzati, sembra inevitabile la recessione. Una minaccia di cui la borghesia sembra non osare evocare la gravità perché si situa nel contesto di una situazione economica fortemente degradata e dell’impazzare del ciascuno per sé e anche, in qualche caso, dell’aperta ostilità tra le principali potenze.
Oggi, dopo più di un secolo di decadenza capitalista, possiamo constatare quanto fossero preveggenti le parole dell'Internazionale Comunista sulla "disintegrazione interna" del capitalismo mondiale che non scomparirà da solo, ma trascinerà l'umanità nella barbarie, se il proletariato non vi mette fine. È di nuovo tempo che il proletariato reagisca come classe all'apocalisse che il capitalismo ha in serbo per noi. C'è ancora tempo per farlo.
Silvio, 5 ottobre 2022
[2] War, militarism and imperialist blocs in the decadence of capitalism, Part 2 [111], International Review, n.53 (anche nella versione in spagnolo e francese sul nostro sito)
[3] Crise économique : la surproduction, maladie congénitale du capitalisme [112], Révolution Internationale, n.331
[4] Ci sono anche altre controtendenze alla tendenza alla caduta tendenziale del saggio di profitto, come l'aumento dello sfruttamento
[5] Marx, Materiali per l'economia “Lavoro produttivo e lavoro improduttivo”
[6] Surproduction et inflation [113], Révolution internationale (nouvelle série) n. 6 (1973).
[7] Capitalism is poisoning the earth [114], International Review n.63; Disastri ambientali, inquinamento, variazioni climatiche. Il mondo sulla soglia di un collasso ambientale. 1a parte [115], Rivista internazionale n.30; Il mondo sulla soglia di un collasso ambientale (II). Di chi è la responsabilità? [116], Rivista Internazionale n.31
Pubblichiamo qui un articolo del gruppo Internationalist Voice, che si oppone con forza ai tentativi della borghesia internazionale di indirizzare la crescente rabbia della popolazione iraniana verso l'illusione di una "emancipazione delle donne" all'interno dei confini della società capitalista. L'articolo è stato scritto prima della fine della breve esperienza di governo di Liz Truss, ma il punto è ancora valido: l'oppressione delle donne non finirà con un cambio di governo o di regime politico, o con l'inserimento di donne in posizioni di potere, ma solo attraverso il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo.
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Con l'inizio delle proteste di piazza contro la borghesia islamica criminale, accompagnate da un movimento contro la sua sovrastruttura ideologica, le tendenze borghesi di destra e di sinistra stanno lottando per ridurre le manifestazioni al livello di quelle riguardanti l'hijab obbligatorio e le libertà civili, dalla campagna dei Mercoledì Bianchi alla rivoluzione delle donne[1]. Togliere il velo è considerato un simbolo della liberazione delle donne, come se le donne in Turchia, Bangladesh, Filippine, America, ecc., non siano vincolate dalle catene del capitalismo e siano "libere". Le operaie del Bangladesh non devono indossare il velo, ma devono lavorare dalle 10 alle 14 ore al giorno nel XXI secolo. Il nuovo primo ministro britannico, Liz Truss, vuole seguire le orme della Lady di Ferro, Margaret Thatcher, e ha sguainato la spada per distruggere i lavoratori attraverso politiche antioperaie. Questo è particolarmente importante perché la classe operaia britannica ha iniziato a lottare. La neofascista Giorgia Meloni sarà il primo ministro donna nella storia dell'Italia. La signora Meloni ha dichiarato che si opporrà ai rifugiati africani e chiuderà i porti italiani ai barconi dei rifugiati. Questa donna civilizzata non ha mai nascosto la sua opposizione all'aborto e all'omosessualità e attuerà politiche antioperaie nella stessa misura della signora Truss. Queste donne civilizzate non hanno mai dovuto indossare il velo e sono state "libere" per tutta la vita di schierarsi contro la classe operaia in piena libertà e di presentare la dittatura del capitalismo alla classe operaia e alle altre persone sotto la veste di democrazia e civiltà. Contrariamente ai demagoghi delle tendenze di destra e di sinistra del capitalismo, il mondo della donna lavoratrice è estraneo a quello borghese. La vita della donna lavoratrice comporta un doppio sfruttamento e oppressione, così come umiliazione, inferiorità, rabbia repressa e lacrime soffocate - in sostanza, l'inferno terrestre e reale che il capitalismo offre all'umanità. La radice dell'oppressione delle donne è il sistema di classe e i rapporti di produzione capitalistici. Solo con la scomparsa delle sue basi materiali, cioè i rapporti di produzione capitalistici e la schiavitù salariale, scompariranno anche le fondamenta del dominio economico di questo tipo di oppressione. L'oppressione delle donne non può essere eliminata solo cambiando i governi borghesi. Per la vera liberazione delle donne, il brutale sistema capitalista deve essere rovesciato. Solo la lotta congiunta delle donne lavoratrici e degli uomini lavoratori come un unico corpo, come una sola classe e nel coinvolgimento nelle battaglie di classe può creare una vita umana dignitosa, non solo per le donne della classe operaia, ma per l'umanità. L'unico orizzonte futuro per la vera liberazione delle donne dall'oppressione sessuale è la lotta della classe operaia, e la vera emancipazione delle donne è possibile solo in una società comunista senza classi. Firoz Akbary, 1 ottobre 2012
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[1] Dopo essere emigrato in America, un giornalista che era un sostenitore dell'ex presidente Khatami ha lanciato la campagna White Wednesdays con il sostegno delle istituzioni borghesi occidentali. In questa campagna, donne e ragazze si sono tolte individualmente il velo e hanno inviato i video al giornalista per essere mostrati alla TV satellitare. Anche alcuni esponenti della sinistra del capitale ritengono che le donne siano la forza materiale della futura rivoluzione, per cui parlano di rivoluzione femminile. Gli obiettivi delle tendenze di destra e di sinistra del capitale sono gli stessi: incanalare la rabbia nascosta delle donne in linea con le proteste anti-regime e pro-democrazia.
Le diffuse proteste in Iran possono essere state innescate dall'omicidio in carcere di una giovane donna arrestata per aver “indossato male il velo” dalla polizia morale del regime, ma esprimono un malcontento molto più profondo in tutta la popolazione iraniana, con centinaia di migliaia di persone che si sono riversate nelle strade e hanno affrontato la polizia. Oltre a un disgusto generalizzato per l'oppressione aperta e legale delle donne da parte della Repubblica islamica, esse sono una reazione all'inflazione vertiginosa e alla penuria esacerbata dalle sanzioni imposte dall'Occidente contro l'Iran e fortemente aggravata dal pesante e annoso peso di un'economia di guerra gonfiata dall'incessante perseguimento da parte dell'Iran delle sue ambizioni imperialiste. Sono anche una reazione alla sordida corruzione dell'élite al potere, che può mantenersi solo attraverso una brutale repressione di tutte le forme di protesta, compresa la resistenza della classe operaia alla stagnazione dei salari e alle miserevoli condizioni di lavoro. Il Parlamento iraniano ha appena approvato nuove leggi che sanciscono le esecuzioni per crimini "politici" e centinaia, se non migliaia, di manifestanti sono stati uccisi o feriti dalla polizia di Stato e da quelle che in modo erroneo e grottesco vengono chiamate “Guardie rivoluzionarie”.
Questo ricorso alla repressione diretta è un segno della debolezza del regime dei Mullah, non della sua forza. È vero che l'esito disastroso degli interventi statunitensi in Medio Oriente a partire dal 2001 ha creato una breccia che ha permesso all'imperialismo iraniano di far avanzare le sue pedine in Iraq, Libano, Yemen e Siria, ma gli Stati Uniti e i loro alleati più affidabili (in particolare la Gran Bretagna) hanno risposto a tono, alimentando l'esercito saudita nella guerra dello Yemen e imponendo sanzioni paralizzanti all'Iran con il pretesto di opporsi alla sua politica di sviluppo di armi nucleari. Il regime è diventato sempre più isolato e il fatto che ora fornisca alla Russia droni per attaccare le infrastrutture e i civili in Ucraina non farà che inasprire le richieste occidentali di trattare l'Iran, insieme alla Russia, come uno Stato paria. Il rapporto dell'Iran con la Cina è un altro motivo per cui le potenze occidentali vogliono vederlo indebolito ancor di più di quanto non lo sia già. Allo stesso tempo, stiamo assistendo a uno sforzo concertato da parte dei governi degli Stati Uniti e dell'Europa occidentale per strumentalizzare le proteste, in particolare facendo leva sullo slogan più noto delle proteste, “Donne, Vita, Libertà”:
“Il 25 settembre 2022, il quotidiano francese Libération ha decorato la sua prima pagina con lo slogan "Donne, Vita, Libertà" in persiano e francese, insieme a una foto della manifestazione. Durante un discorso sulla repressione dei manifestanti in Iran, una deputata del Parlamento dell'Unione Europea si è tagliata i capelli pronunciando le parole 'Donna, Vita, Libertà' nell’emiciclo del Parlamento dell'Unione Europea”[1]. Si potrebbero fare molti altri esempi.
Data la debolezza del regime, si parla molto di una nuova “rivoluzione” in Iran, soprattutto da parte di gauchisti e anarchici di vario genere, questi ultimi in particolare parlano di una “insurrezione femminista”[2], mentre le fazioni borghesi dominanti pongono l’accento su un ribaltamento più “democratico”, con l'insediamento di un nuovo regime che abbandoni l'ostilità verso gli Stati Uniti e i loro alleati. Ma come abbiamo scritto in risposta a tutta la mistificazione della “rivoluzione” del 1978-9: “gli eventi in Iran servono a dimostrare che l'unica rivoluzione all'ordine del giorno oggi, nei Paesi arretrati come nel resto del mondo, è la rivoluzione proletaria”[3]. A differenza della rivoluzione russa del 1917, che si considerava parte della rivoluzione mondiale, le attuali proteste in Iran non sono guidate da una classe operaia autonoma, organizzata in propri organi unitari e in grado di offrire una prospettiva a tutti gli strati e le categorie oppresse della società. È vero che nel 1978-9 abbiamo intravisto il potenziale della classe operaia in grado di offrire una tale via d'uscita: “Sulla scia delle lotte operaie in diversi Paesi dell'America Latina, in Tunisia, in Egitto, ecc. gli scioperi dei lavoratori iraniani furono l'elemento politico principale che portò al rovesciamento del regime dello Scià. Nonostante le mobilitazioni di massa, quando il movimento ‘popolare’ - che raggruppava quasi tutti gli strati oppressi dell'Iran - cominciò ad esaurirsi, l'entrata in lotta del proletariato iraniano all'inizio dell'ottobre 1978, soprattutto nel settore petrolifero, non solo alimentò l’agitazione, ma pose un problema praticamente insolubile per il capitale nazionale”[4].
Eppure sappiamo che anche allora la classe operaia non era politicamente abbastanza forte da impedire il dirottamento del malcontento di massa da parte dei Mullah, sostenuti da una schiera di sinistra “antimperialista”. La lotta di classe internazionale, pur entrando in una seconda ondata di movimenti operai dopo il maggio '68 francese, non era ancora al livello di sollevare la prospettiva della rivoluzione proletaria su scala mondiale, e i lavoratori iraniani - come quelli polacchi un anno dopo - non erano in grado di porre da soli l'alternativa rivoluzionaria. Pertanto, la questione di come relazionarsi con gli altri strati oppressi rimase irrisolta. Come si legge nella nostra dichiarazione: “La posizione decisiva occupata dal proletariato negli eventi in Iran pone un problema essenziale che deve essere risolto dalla classe se vuole portare a termine con successo la rivoluzione comunista. Questo problema è incentrato sul rapporto del proletariato con gli strati non sfruttatori della società, in particolare quelli senza lavoro. Questi eventi dimostrano quanto segue:
- nonostante il loro numero elevato, questi strati non possiedono di per sé una vera forza nella società;
- molto più del proletariato, questi strati sono aperti a diverse forme di mistificazione e di controllo capitalistico, comprese quelle più obsolete, come la religione;
- ma, nella misura in cui la crisi colpisce anche la classe operaia nello stesso momento in cui aggredisce questi strati con crescente violenza, essi possono essere una forza nella lotta contro il capitalismo, a condizione che il proletariato possa, e lo faccia, porsi alla testa della lotta.
Di fronte a tutti i tentativi della borghesia di incanalare il loro malcontento in un vicolo cieco senza speranza, l'obiettivo del proletariato nel trattare con questi strati è far capire loro che nessuna delle ‘soluzioni’ proposte dal capitalismo per porre fine alla loro miseria porterà loro sollievo. Solo seguendo la scia della classe rivoluzionaria potranno soddisfare le loro aspirazioni, non come strati particolari - storicamente condannati - ma come membri della società. Una simile prospettiva politica presuppone l'organizzazione e l'autonomia politica del proletariato, il che significa, in altre parole, il rifiuto da parte del proletariato di tutte le 'alleanze' politiche con questi strati”.
Oggi, le mistificazioni che portano il movimento popolare in uno stallo non sono tanto quelle religiose – il che è comprensibile quando le masse possono facilmente vedere il volto brutale e corrotto di uno Stato teocratico - ma ideologie borghesi più “moderne” come il femminismo, la libertà e la democrazia. Ma soprattutto c’è il pericolo ancora maggiore che la classe operaia si dissolva come massa di individui in un movimento interclassista che non ha la capacità di resistere ai piani di recupero delle fazioni borghesi rivali. Questo è sottolineato dal contesto internazionale della lotta di classe, dove la classe operaia sta appena iniziando a risvegliarsi dopo un lungo periodo di arretramento in cui l'avanzare della decomposizione della società capitalista ha intaccato sempre di più il sentirsi del proletariato come una classe.
Questo non significa negare il fatto che il proletariato in Iran abbia una lunga tradizione di lotta combattiva. Gli eventi del 78-79 sono lì a dimostrarlo; nel 2018-19 ci sono state lotte molto diffuse che hanno coinvolto i lavoratori del settore saccarifero di Haft Tappeh, i camionisti, gli insegnanti e altri; nel 2020-21 i lavoratori del settore petrolifero hanno iniziato una serie di scioperi combattivi a livello nazionale. Al loro apice, questi movimenti hanno dato chiari segni di solidarietà tra diversi settori di fronte alla repressione statale e alle forti pressioni per far tornare i lavoratori al lavoro. Inoltre, di fronte alla natura apertamente pro-regime dei sindacati ufficiali, ci sono stati anche importanti segnali di auto-organizzazione dei lavoratori in molte di queste lotte, come abbiamo visto con i comitati di sciopero nel 78-79, le assemblee e i comitati di sciopero a Haft Tappeh e più recentemente nei campi petroliferi. Non c'è dubbio, inoltre, che i lavoratori stiano discutendo su cosa fare in merito alle proteste in corso e ci sono state richieste di sciopero per protestare contro la repressione dello Stato. Abbiamo visto, ad esempio nel maggio del '68, che l'indignazione contro la repressione dello Stato, anche quando non è inizialmente rivolta ai lavoratori, può essere una sorta di miccia per l'ingresso dei lavoratori sulla scena sociale, a condizione che lo facciano sul proprio terreno di classe e utilizzando i propri metodi di lotta. Ma per il momento questi riflessi di classe, questa rabbia per la brutalità del regime, sembrano essere sotto il controllo degli organi sindacali di base e della sinistra borghese, che cercano di creare un falso legame tra la classe operaia e le proteste popolari, aggiungendo richieste “rivoluzionarie” agli slogan di queste ultime. Come ha scritto Internationalist Voice:
“La frase ‘donna, vita, libertà’ è radicata nel movimento nazionale e non ha alcun peso di classe. Ecco perché questo slogan viene ripreso dall'estrema destra all'estrema sinistra, e i suoi echi riecheggiano anche dai parlamenti borghesi. Le sue componenti non sono concetti astratti, ma una funzione dei rapporti di produzione capitalistici. Questo slogan fa delle donne lavoratrici l'esercito nero del movimento democratico. La questione diventa un problema per la sinistra del capitale, che utilizza il termine radicale di ‘rivoluzione’, e suggerisce di ‘salvare’ questo slogan aggiungendovi delle estensioni avanzando i seguenti suggerimenti:
- Donna, vita, libertà, amministrazione dei consigli (Trotzkisti)
- Donna, vita, libertà, socialismo
- Donna, vita, libertà, governo dei lavoratori”[5].
Questo appello ai consigli o al potere dei soviet circola in Iran almeno dal 2018. Anche se ha avuto origine dagli sforzi reali ma embrionali di auto-organizzazione a Haft Tappeh e altrove, è sempre pericoloso scambiare l'embrione per un essere umano pienamente cresciuto. Come spiegava Bordiga nella sua polemica con Gramsci durante le occupazioni delle fabbriche in Italia nel 1920, i consigli operai o i soviet rappresentano un passo importante al di là di organi difensivi come i comitati di sciopero o i consigli di fabbrica, poiché esprimono un movimento verso una lotta unitaria, politica e offensiva della classe operaia. I gauchiste che sostengono che questo è all'ordine del giorno oggi stanno ingannando i lavoratori, con l'obiettivo di mobilitarli in una lotta per una forma “di sinistra” di governo borghese, ammantata “dal basso” da falsi consigli operai.
Come afferma Internationalist Voice:
“Contrariamente alla sinistra del capitale, il compito dei comunisti e dei rivoluzionari non è quello di salvare gli slogan contro la dittatura, ma di renderne trasparente l'origine e il contenuto. Anche in questo caso, in opposizione ai demagoghi della sinistra del capitale, prendere le distanze da questi slogan e sollevare le rivendicazioni di classe del proletariato è un passo in avanti verso lo sviluppo della lotta di classe”.
Questo è vero anche se significa che i rivoluzionari devono nuotare controcorrente nei momenti di euforia “popolare”. Purtroppo, non tutti i gruppi della sinistra comunista sembrano essere immuni da alcuni degli inganni più radicali che vengono iniettati nelle proteste. Qui possiamo individuare due esempi preoccupanti nella stampa della Tendenza Comunista Internazionalista (TCI). Nell'articolo “Workers’ Voices on the protests in Iran”[6], la TCI pubblica le dichiarazioni sulle proteste del Sindacato dei lavoratori della canna da zucchero di Haft Tappeh, del Consiglio per l'organizzazione delle proteste dei lavoratori a contratto del settore petrolifero e del Consiglio di coordinamento delle organizzazioni sindacali degli insegnanti iraniani. Senza dubbio queste dichiarazioni rispondono a una reale discussione in corso nei luoghi di lavoro su come reagire alle proteste, ma il primo e il terzo di questi organismi non fanno mistero di essere sindacati (anche se possono avere origine da veri e propri organi di classe, diventando permanenti non possono che aver assunto una funzione sindacale) e quindi non possono svolgere un ruolo indipendente dalla sinistra del capitale che, come abbiamo detto, non si batte per la reale autonomia della classe ma cerca di usare il potere dei lavoratori come strumento per il “cambio di regime”. Parallelamente, la TCI non si distingue dalla retorica gauchista sul potere sovietico in Iran. Infatti, l'articolo “Iran: Rivalità imperialiste e il movimento di protesta Donna, Vita, Libertà”[7], pur fornendo alcuni materiali importanti riguardo ai tentativi delle potenze imperialiste esterne all'Iran di recuperare le proteste, promette un seguito: “Nella nostra prossima nota, sosterremo un'alternativa diversa: Pane, Lavoro, Libertà - Potere Sovietico! Ci occuperemo della lotta dei lavoratori e dei compiti dei comunisti e, alla luce di ciò, delineeremo la prospettiva internazionalista".
Ma non siamo a Pietrogrado nel 1917, e invocare i soviet in una situazione in cui la classe operaia si trova di fronte alla necessità di difendere i suoi interessi più elementari, di fronte al pericolo di dissolversi nelle proteste di massa, e alla necessità di difendere ogni forma embrionale di auto-organizzazione dal recupero da parte della sinistra e dei sindacalisti di base, significa nel migliore dei casi valutare male l'attuale livello della lotta di classe e nel peggiore attirare i lavoratori nelle mobilitazioni della sinistra del capitale. La Sinistra comunista non svilupperà la sua capacità di intervento reale di classe cadendo nell'illusione di guadagni immediati a scapito dei principi fondamentali e di una chiara analisi del rapporto di forza tra le classi.
Un recente articolo di Internationalist Voice sottolinea che attualmente in Iran si stanno svolgendo diversi scioperi dei lavoratori in concomitanza con le proteste di piazza:
“Negli ultimi giorni abbiamo assistito a manifestazioni e scioperi dei lavoratori, e la caratteristica comune di tutti è stata la protesta contro i bassi salari e la difesa del loro tenore di vita. Lo slogan degli operai dell’azienda siderurgica Esfahan Steel Company in sciopero, ‘basta con le promesse, la nostra tavola è vuota’, riflette le difficili condizioni di vita dell'intera classe operaia. Alcuni esempi di scioperi dei giorni scorsi che hanno avuto o hanno la stessa richiesta sono i seguenti: sciopero degli operai della Esfahan Steel Company; sciopero della fame dei dipendenti effettivi delle aziende di raffinazione e distribuzione di petrolio, gas e prodotti petrolchimici; sciopero degli operai del complesso Esfahan City Centre; sciopero degli operai della fabbrica di cemento Abadeh nella provincia di Esfahan; sciopero degli operai dell'acqua minerale Damash nella provincia di Gilan; sciopero degli operai della Pars Mino Company; sciopero degli operai dell'azienda industriale Cruise; protesta degli operai del gruppo siderurgico National”[8].
Sembra che questi movimenti siano ancora relativamente dispersi e mentre i democratici e gli esponenti della sinistra aumentano gli appelli allo “sciopero generale”, ciò che intendono non ha nulla a che fare con una reale dinamica verso lo sciopero di massa, ma sarebbe una mobilitazione controllata dall'alto dell'opposizione borghese e mescolata con gli scioperi dei commercianti e di altri strati non proletari. Questo non fa che sottolineare la necessità per i lavoratori di rimanere sul proprio terreno e di sviluppare la propria unità di classe come base minima per bloccare la repressione omicida del regime islamico.
Amos, novembre 2022
[1] https://en.internationalistvoice.org/the-continuation-of-the-social-protests-and-the-entry-of-the-working-class-into-the-demonstrations/ [120]
[2] Vedi per esempio https://libcom.org/article/revolt-iran-feminist-resurrection-and-beginni... [121]
[3] Dichiarazione CCI, “The lessons of Iran”, 17.2.79, in World Revolution 23
[4] Idem
Questa riunione sarà a tema aperto. Non ci sarà quindi una presentazione della CCI su di un tema specifico, ma la discussione si svilupperà a partire dalle questioni e riflessioni che i partecipanti vorranno sottoporre al dibattito. Tuttavia, basandoci su delle preoccupazioni e riflessioni suggerite da compagni in contatto con l’organizzazione, riteniamo che un argomento di interesse possa essere un esame della situazione in Italia nel quadro di una situazione internazionale caratterizzata dalla guerra in Ucraina, da una accelerazione della crisi economica e tutte le conseguenze che ne derivano sul piano politico e sociale. In questo quadro, come analizzare il risultato delle ultime elezioni? Come si caratterizza il nuovo governo e quale politica economica, imperialista e sociale porterà avanti? Quali le conseguenze per i lavoratori?
Il dibattito sarà tenuto via internet e tutti coloro che vorranno partecipare potranno inviare un messaggio a: [email protected] [17] o alla sezione Contatti del nostro sito per poter riceve istruzioni sulle modalità tecniche per partecipare alla riunione.
La rapidità con cui Svezia e Finlandia hanno aderito alla NATO è un chiaro segnale del rapido sviluppo della militarizzazione nel Nord Europa dopo l'invasione dell’Ucraina nel febbraio scorso.
Questo processo, avviato dalla Finlandia, ha portato il governo svedese a uno storico cambio di rotta, abbandonando una politica di non allineamento vecchia di oltre 200 anni, che risaliva alla fine delle guerre napoleoniche.
Questa politica, così come la “neutralità” ufficiale della Svezia, in effetti non è mai stata altro che una cortina fumogena intesa a nascondere la sua appartenenza di lunga data al blocco occidentale dalla fine della Seconda Guerra mondiale.
Il rapido svolgersi degli eventi in seguito all’invasione russa dell'Ucraina ha portato a una grave intensificazione della propaganda militarista in entrambi i paesi, senza precedenti nella loro storia contemporanea. Il mito dei paesi nordici “pacifici” è chiaramente smascherato e la NATO ne approfitterà per rafforzare il proprio fronte settentrionale, il che avrà l’effetto di estendere l'accerchiamento della Russia e non potrà che portare a un ulteriore inasprimento dei conflitti imperialisti in Europa
La Finlandia, che condivide un ampio confine con la Russia (circa la stessa distanza tra Lubecca e Monaco), ha un’esperienza di “neutralità” completamente diversa rispetto alla Svezia. Dopo che la Svezia perse la Finlandia nei confronti della Russia, questa divenne un Granducato facendo parte della Russia zarista nel 1809 fino al 1917.
Le lotte rivoluzionarie in Finlandia nel 1917-1918, che presero la forma di una guerra civile tra il campo rivoluzionario e i Bianchi, furono schiacciate con l’aiuto dell'esercito tedesco. A causa dell’invasione della Russia nel 1939 e della “Guerra d'Inverno” del 1939-40, ma anche della guerra contro la Russia a fianco della Germania fino alla sconfitta del 1944, la Finlandia ha dovuto sottoporsi a pesanti riparazioni di guerra a partire da questo stesso periodo. Ciò significa che la Finlandia fu costretta, dopo la seconda guerra mondiale, a mantenere un “rapporto privilegiato” con la Russia sovietica e a portare avanti una politica di “neutralità” forzata, che durò quasi cinquant’anni, fino alla caduta del vecchio blocco dell’Est.
La Finlandia era un paese verso cui l’URSS esercitava un controllo significativo senza ricorrere al potere militare, come avveniva nei paesi baltici. La politica di “finlandizzazione” ha permesso all'URSS di avere l’ultima parola nell’elezione di governi e presidenti, sebbene la Finlandia avesse ufficialmente una democrazia di tipo occidentale.
La perdita della Finlandia a profitto della Russia nel 1809 (considerata “la metà orientale del Regno di Svezia” sin dall’alto medioevo) assestò il colpo finale alle ambizioni della Svezia di mantenere il suo precedente status di grande potenza locale. Durante il 18° secolo, la Svezia perse gradualmente i suoi antichi possedimenti intorno al Mar Baltico e il nuovo re in carica, il generale francese Jean-Baptiste Bernadotte, dichiarò nel 1818 che la Svezia, per mantenere la pace con la Russia, doveva rimanere “neutrale” evitando di contrarre alleanze con altre potenze europee. Questa politica di “neutralità” fu rigorosamente applicata durante le due guerre mondiali, anche se la maggior parte della borghesia mostrava una netta preferenza per il campo tedesco.
Questo permise il trasporto delle truppe tedesche attraverso il paese nel nord della Norvegia e nella Finlandia settentrionale durante i primi anni della Seconda Guerra mondiale. Quando scoppiò la guerra in Finlandia, la Svezia sostenne il suo vicino inviando cibo, munizioni, armi e medicine. Fu solo verso la metà della guerra, dopo Stalingrado, che la borghesia svedese effettuò una svolta “opportunistica” iniziando a sostenere il campo alleato.
Mentre i settori tradizionali della borghesia svedese mantenevano stretti legami con la Germania, i socialdemocratici, sempre più influenti grazie alla loro egemonia al potere tra il 1933 e il 1976, svilupparono forti legami con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dopo la Seconda Guerra mondiale. La politica di “neutralità” ora significava che la Svezia (senza riconoscerlo ufficialmente) assisteva la NATO e il blocco occidentale nelle loro operazioni di intelligence contro l’Unione Sovietica durante gli anni 1950 e 1960. Fu solo all'inizio degli anni 2000 che questo “segreto di stato” fu scoperto, in seguito alla caduta del blocco dell’Est.
Il ruolo della Svezia negli anni ’60 e ‘70, al culmine della Guerra Fredda, può essere illustrato dal ruolo svolto da Olof Palme e dalla sua eloquente critica della politica americana in Vietnam.
Essere un “alleato essenziale” degli Stati Uniti era una risorsa importante per il blocco occidentale, poiché la presunta neutralità della Svezia poteva essere utilizzata per influenzare ex colonie che rischiavano di cadere nella sfera del blocco orientale. Dopo la caduta del blocco dell’Est, la Svezia ha riorganizzato le sue forze militari e abolito il servizio militare obbligatorio per più di due decenni, solo per ripristinarlo nel 2017.
Con la crescente minaccia dalla Russia nell’ultimo decennio, Svezia e Finlandia hanno sviluppato un’affiliazione militare con i paesi della NATO denominata “Partnership for Peace” e ci sono state discussioni su una possibile collaborazione militare tra Finlandia e Svezia, ma la questione dell’adesione esplicita alla NATO non era nell'agenda politica dei due paesi fino all’invasione dell’Ucraina. In meno di due mesi, i socialdemocratici svedesi hanno abbandonato la politica di “neutralità” e di non allineamento, nonostante le forti critiche all’interno del partito stesso.
Mentre la questione dell’allineamento con la NATO non era presente nell’agenda politica e veniva apertamente difesa solo da una minoranza di partiti in Parlamento, vale a dire il Partito Liberale, dopo l’invasione dell’Ucraina, una forte maggioranza del Parlamento svedese ha proclamato il suo sostegno al “processo NATO”.
La questione NATO non è stata neanche menzionata nelle campagne elettorali svedesi di quest’anno.
Dopo le elezioni la situazione non è cambiata. I socialdemocratici sono stati sostituiti da una coalizione di destra, nella quale i democratici di estrema destra avrebbero giocato un ruolo significativo. E quindi questo partito da una storia di posizioni e connessioni filo-russe, durante la primavera ha cambiato la sua posizione sulla NATO.
L’unico partito apertamente contrario all'adesione alla NATO è rimasto il partito di sinistra, l’ex Partito Comunista.
Allo stesso modo, quando il primo ministro finlandese Sanna Marin ha dichiarato che la Finlandia avrebbe dovuto aderire alla NATO, si è avuta una rottura completa con la politica di “neutralità” e con la precedente sottomissione alla vicina Russia perpetuata durante la Guerra Fredda.
Oggi, il rafforzamento della NATO sul suo fronte settentrionale presenta il rischio di un’escalation di un conflitto militare nel nord Europa. È un altro esempio della politica statunitense a lungo termine, tendente ad imporre il proprio ordine mondiale accerchiando i suoi principali rivali imperialisti. Una strategia che di fatto crea un caos ancora maggiore, come hanno dimostrato le guerre in Afghanistan, Iraq e Ucraina.
L’argomento principale per l’allineamento con la NATO è stato quello di “mantenere la pace e la sicurezza” e quindi alimentare una secolare paura della Russia, il nemico giurato dei paesi scandinavi.
L’affermazione del ministro degli Esteri svedese Ann Linde secondo la quale l’adesione alla NATO “eviterebbe i conflitti” e porterebbe a una situazione più pacifica e serena in Europa è palesemente falsa. Il rafforzamento della NATO sul fronte settentrionale significherà soprattutto un rafforzamento degli Stati Uniti attraverso un gigantesco scudo contro la Russia negli Stati nordici e baltici.
L’allineamento con la NATO e il conseguente, obbligato, aumento dei bilanci militari al 2% del PIL (che significa un impulso all’industria militare svedese, Bofors e SAAB), porterà a una maggiore instabilità e insicurezza per la classe operaia e per l’intera popolazione. Con la sua tattica ipocrita di apparire come un “difensore della pace”, mentre alimenta le fiamme della guerra e del caos, questo capovolgimento strategico delle classi dirigenti svedesi e finlandesi è un chiaro segno dell’escalation della situazione in pochi mesi.
La crescente militarizzazione della società nei paesi scandinavi (illustrata questa primavera dall’ex primo ministro svedese Magdalena Andersson in bella mostra con un elmetto in un carro armato durante un’operazione congiunta a guida NATO) porterà solo a una maggiore destabilizzazione e distruzione.
Edvin, 19 ottobre 2022
Un lettore che ha recentemente partecipato a un incontro pubblico online della CCI ci ha posto delle domande circa la nostra posizione sui sindacati, sulla rivoluzione russa e su altre questioni vitali. Pubblichiamo qui una parte della corrispondenza relativa alla questione dei sindacati.
“La giustificazione storica dei comunisti di sinistra che non partecipano ai sindacati si basa esclusivamente sulle condizioni della Germania di allora. La SPD e i sindacati avevano iniziato a diventare reazionari e a sostenere lo status quo. Tuttavia, teorici come Pannekoek non sostenevano che non dovessimo partecipare ai sindacati, uno dei migliori strumenti che il proletariato ha per ottenere guadagni economici a breve termine, ma non possiamo fare affidamento su di essi come organizzazione socialista. Non capisco perché nelle 'posizioni di base' che sostenete non dovremmo partecipare ai sindacati”.
Caro compagno, la posizione della Sinistra comunista sui sindacati non è limitata a un tempo e a un luogo particolari, come tu sostieni, ma si basa sul passaggio storico del capitalismo mondiale dal periodo ascendente a quello decadente, chiaramente segnato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Gli opportunisti della socialdemocrazia, seguiti dalla maggior parte dei sindacati, hanno chiarito la loro fedeltà al campo capitalista aiutando a reclutare la classe operaia per la guerra, un fenomeno che non era affatto limitato alla Germania. La graduale burocratizzazione dei sindacati, già in atto da decenni, passò a una fase qualitativamente nuova, in cui i sindacati cessarono di essere strumenti di difesa della classe e divennero organi statali incaricati di controllare la classe operaia. Pannekoek, in Rivoluzione mondiale e tattica comunista (1920), diceva che la classe operaia avrebbe dovuto distruggere i sindacati insieme allo Stato capitalista nel suo complesso; e, ancora una volta, non parlava solo della Germania, ma delle esigenze della rivoluzione mondiale: “Ciò che Marx e Lenin hanno più volte detto a proposito dello stato, cioè che la sua modalità di funzionamento, nonostante l’esistenza di una formale democrazia, non consente di utilizzarlo come uno strumento della rivoluzione proletaria, si può quindi estendere allo stesso modo ai sindacati. Il loro potere controrivoluzionario non sarà annientato né tanto meno intaccato da un cambiamento di dirigenti, o dalla sostituzione dei capi reazionari con uomini di sinistra o ‘rivoluzionari’. È proprio la forma dell’organizzazione stessa che induce le masse all’impotenza o quasi e che impedisce loro di farne lo strumento della propria volontà. La rivoluzione non può trionfare se questa forma di organizzazione non è abbattuta o, meglio, riplasmata da cima a fondo, in modo da diventare una cosa totalmente diversa”[1].
Una posizione che non abbandonò mai. In un testo scritto nel 1936 definisce i sindacati come strumenti della classe dominante, sergenti reclutatori per la guerra e fondamentalmente contrari al comunismo: “Eppure il sindacalismo, in periodo di guerra, non può che trovarsi a fianco del capitalismo. Ciò perché i suoi interessi sono legati a quelli del capitalismo. Non può che sperare nella vittoria di quest’ultimo. Si dedica dunque a risvegliare gli istinti nazionalisti e il campanilismo. Aiuta la classe dirigente a trascinare i lavoratori nella guerra ed a reprimere ogni resistenza.
Il sindacalismo ha in orrore il comunismo, che rappresenta una minaccia permanente alla propria esistenza. In un regime comunista, non ci sono padroni né, di conseguenza, sindacati. Certo, nei paesi dove esiste un potente movimento socialista, e dove la grande maggioranza dei lavoratori sono socialisti, i dirigenti del movimento operaio devono anch’essi essere socialisti. Ma si tratta di socialisti di destra che si limitano a desiderare una repubblica nella quale onesti dirigenti sindacali, verrebbero a sostituire i capitalisti assetati di profitti, nella conduzione della produzione. II sindacalismo ha in orrore la rivoluzione che sconvolge i rapporti fra padroni e operai. Nel corso di scontri violenti, la rivoluzione spazza via regolamenti e convenzioni che reggono il lavoro; davanti all’enorme spiegamento di forza, i modesti talenti da negoziatori dei dirigenti sindacali, vengono superati. Ecco perché il sindacalismo mobilita tutte le sue forze per opporsi alla rivoluzione e al comunismo”[2].
La funzione capitalistica dei sindacati non si manifesta solo nei momenti di guerra e di rivoluzione. Dopo essere nati come organizzazioni per la lotta quotidiana contro lo sfruttamento, nel nuovo periodo diventano strumenti della classe dominante per sabotare le lotte dei lavoratori e imporre gli attacchi della borghesia al tenore di vita della classe operaia: “Il sindacalismo aveva il compito e la funzione di sollevare i lavoratori dalla loro impotente miseria e di conquistare per loro un posto riconosciuto nella società capitalista. Doveva difendere i lavoratori dal crescente sfruttamento del capitale. Ora che il grande capitale si consolida più che mai in un potere monopolistico di banche e imprese industriali, questa antica funzione del sindacalismo è finita. Il suo potere è inferiore rispetto a quello formidabile del capitale. I sindacati sono ora organizzazioni gigantesche, con un posto riconosciuto nella società; la loro posizione è regolata dalla legge, e i loro accordi tariffari hanno valore legale per l'intera industria. I loro leader aspirano a far parte del potere che governa le condizioni industriali. Sono l'apparato attraverso il quale il capitale monopolistico impone le sue condizioni all'intera classe operaia. Per questo capitale ormai onnipotente è normalmente molto più preferibile mascherare il proprio dominio in forme democratiche e costituzionali che mostrarlo nella nuda brutalità della dittatura. Le condizioni di lavoro che ritiene adatte ai lavoratori saranno accettate e rispettate molto più facilmente sotto forma di accordi stipulati dai sindacati che non sotto forma di imposizioni arroganti. In primo luogo, perché ai lavoratori viene lasciata l'illusione di essere padroni dei propri interessi. In secondo luogo, perché tutti i legami di attaccamento, che come loro stessa creazione, creazione dei loro sacrifici, della loro lotta, della loro euforia, rendono i sindacati cari ai lavoratori, ora sono asserviti ai padroni. Così, nelle condizioni moderne, i sindacati si trasformano più che mai in organi del dominio del capitale monopolista sulla classe operaia”[3]. Questo passaggio è tratto dall'opuscolo del 1947, Consigli dei lavoratori, in cui Pannekoek sviluppa un tema che aveva già iniziato a elaborare prima della Prima guerra mondiale: la necessità per la classe operaia di creare nuovi organi per la lotta contro il capitale, sia nella fase difensiva che in quella offensiva. Organi come le assemblee di massa e i comitati di sciopero eletti e revocabili, precursori dei consigli. A nostro avviso, il ruolo dei rivoluzionari in ogni lotta è quello di spingere i lavoratori a prendere il controllo del loro movimento e a diffonderlo ad altri lavoratori, al di fuori e contro l'apparato sindacale che li divide in una miriade di categorie e settori, e li sottopone alle leggi repressive della classe dominante (votazioni di sciopero per scrutinio piuttosto che assemblee di massa, limiti al numero di picchetti, divieto di picchetti secondari, ecc.), esattamente come stiamo vedendo nelle attuali lotte nel Regno Unito. Come dimostriamo nel nostro recente volantino internazionale[4], queste lotte sono estremamente importanti nonostante siano generalmente controllate dai sindacati; ma i rivoluzionari devono difendere una prospettiva di lotta per andare avanti, e questo può solo significare uno scontro con i sindacati sui loro tentativi di limitare e dividere il movimento di classe. Non pensiamo che proporre una prospettiva di questo tipo sia compatibile con il lavoro all'interno dei sindacati (ad esempio, accettando il ruolo dei delegati sindacali, facendo campagna per una leadership più radicale, ecc.)
La nostra posizione generale sui sindacati è spiegata nel nostro opuscolo, disponibile in versione cartacea ma anche online[5].
Fraternamente, Afl per la CCI.
[1]) https://www.marxists.org/archive/pannekoe [125]k [125]/1920/communist-tactics.htm [125]
Collegamenti
[1] https://fr.internationalism.org/content/10230/theories-du-complot-poison-contre-conscience-classe-ouvriere
[2] https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2779310
[3] https://it.internationalism.org/content/1617/rapporto-su-pandemia-e-sviluppo-della-decomposizione
[4] https://it.internationalism.org/content/1645/lotte-negli-stati-uniti-iran-italia-corea-ne-la-pandemia-ne-la-crisi-economica-hanno
[5] https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021
[6] https://it.internationalism.org/content/1479/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2019-conflitti-imperialisti-vita-della
[7] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[8] https://it.internationalism.org/tag/3/49/imperialismo
[9] https://it.internationalism.org/rivistainternazionale/200803/578/tesi-sulla-crisi-economica-e-politica-in-urss-e-nei-paesi-dellest
[10] https://www.express.co.uk/news/world/1536856/World-War-3-warning-Russia-Ukraine-invasion-Vladimir-Putin-latest-attack-Kyiv-Moscow
[11] https://www.international-communist-party.org/CommLeft/CL36.htm#UkraineLeaf
[12] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwj56IHT_c31AhWFIMUKHbY_ApAQFnoECAQQAw&url=https%3A%2F%2Fwww.ecocultura.it%2Fserpente-mucca-pasto-esplosione%2F&usg=AOvVaw2kMwX5w-SHibefsek8-Mt8
[13] https://www.youtube.com/watch?v=TU3t9n1UlxE
[14] https://www.euronews.com/2021/12/28/the-west-must-stand-firm-to-combat-russia-s-threats-to-ukraine-view
[15] https://it.internationalism.org/tag/4/91/russia-caucaso-asia-centrale
[16] https://it.internationalism.org/files/it/volantino_internazionale.pdf
[17] mailto:[email protected]
[18] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/interventi
[19] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria
[20] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[21] https://it.internationalism.org/tag/3/48/guerra
[22] https://en.internationalism.org/ir/117_decompo.html
[23] https://en.internationalism.org/international-review/201609/14090/national-question-100-years-after-easter-rising
[24] https://en.internationalism.org/ir/121_decadence
[25] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[26] https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[27] https://it.internationalism.org/content/1659/il-capitalismo-e-guerra-guerra-al-capitalismo
[28] https://it.internationalism.org/tag/3/50/internazionalismo
[29] https://www.telegraph.co.uk/opinion/2022/02/23/world-sliding-new-dark-age-poverty-irrationality-war/
[30] https://it.internationalism.org/content/1653/crisi-russia-ucraina-la-guerra-e-lo-stile-di-vita-del-capitalismo
[31] https://it.internationalism.org/content/1656/ucraina-acutizzazione-delle-tensioni-guerriere-nellest-europa
[32] https://it.internationalism.org/content/1658/ukraina-militarismo-e-decomposizione
[33] https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/feb/27/liberal-democracies-must-defend-their-values-and-show-putin-that-the-west-isnt-weak
[34] https://iwa-ait.org/content/kras-iwa-against-war
[35] https://iwa-ait.org/content/lets-turn-capitalist-wars-workers-revolution
[36] https://iwa-ait.org/content/peace-cottages-war-palaces
[37] https://en.internationalism.org/wr/263_russia_int.htm
[38] https://it.internationalism.org/content/volantino-del-kras-russia-sulla-guerra-georgia
[39] https://en.internationalism.org/icconline/2011/07/kras-statement-war-libya
[40] https://en.internationalism.org/worldrevolution/201403/9565/internationalist-declaration-russia
[41] https://it.internationalism.org/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/anarchismo-internationalista
[42] https://it.internationalism.org/files/it/locandina_riunione_pubblica.pdf
[43] mailto:[email protected]
[44] https://it.internationalism.org/tag/7/109/sinistra-comunista
[45] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[46] https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1915/oct/11.htm
[47] https://it.internationalism.org/content/1665/dichiarazione-congiunta-dei-gruppi-della-sinistra-comunista-internazionale-sulla-guerra
[48] https://www.leftcom.org/it/articles/2022-04-07/non-c-%C3%A8-altra-guerra-che-la-guerra-di-classe-%E2%80%93-un-appello-all-azione
[49] https://en.internationalistvoice.org;
[50] https://www.istitutoonoratodamen.it/
[51] https://www.leftcom.org/en
[52] https://it.internationalism.org/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/movimento-di-zimmerwald
[53] https://es.internationalism.org/content/4781/debate-la-lucha-de-los-revolucionarios-contra-la-suplantacion-de-la-continuidad-del
[54] https://www.elsaltodiario.com/guerra-en-ukrania/putin-otan-grito-asamblea-popular-contra-guerra-madrid
[55] https://es.internationalism.org/content/4784/kazajistan-las-luchas-obreras-se-ahogan-en-los-combates-entre-facciones-burguesas
[56] https://en.internationalism.org/content/2653/economic-theories-and-struggle-socialism
[57] https://it.internationalism.org/rint/19_BIPR
[58] https://it.internationalism.org/tag/2/25/decadenza-del-capitalismo
[59] https://www.dw.com/es/onu-hay-m%C3%A1s-de-100-millones-de-personas-desplazadas-en-el-mundo/a-61896573
[60] https://www.economistjurist.es/actualidad-juridica/la-promesa-incumplida-de-la-otan-a-la-urss-de-no-expandirse-mas-alla-del-este-de-alemania/
[61] https://www.elperiodico.com/es/internacional/20220616/polonia-desconfia-rusia-prepara-guerra-13844955
[62] https://fr.internationalism.org/content/9800/route-soie-chine-vers-domination-imperialiste
[63] https://fr.internationalism.org/rinte84/tensions.htm
[64] https://it.internationalism.org/content/1663/una-dichiarazione-internazionalista-dallinterno-della-russia
[65] https://en.internationalism.org/content/17185/between-internationalism-and-defence-nation
[66] https://libcom.org/article/ukrainian-anarchists-take-part-relief-population-massacred-kyiv-suburbs
[67] https://nl.crimethinc.com/2022/02/26/russian-anarchists-on-resisting-the-invasion-of-ukraine-updates-and-analysis
[68] https://www.leftcom.org/en/articles/2022-06-13/about-anarchists-who-forget-the-principles
[69] https://www.anarchistcommunism.org/2022/06/08/anarchists-who-forget-the-principles-statement-by-kras-iwa/
[70] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[71] https://en.internationalism.org/content/2736/historic-course
[72] https://en.internationalism.org/content/17207/significance-and-impact-war-ukraine
[73] https://en.internationalism.org/content/2962/debate-critique-theory-weakest-link
[74] https://it.internationalism.org/rint/17_1943
[75] https://it.internationalism.org/files/it/estate_di_rabbia_in_gran_bretagna.pdf
[76] https://en.internationalism.org/wr/264_nowar.htm
[77] https://en.internationalism.org/worldrevolution/200412/696/defence-discussion-groups
[78] http://www.leftcom.org/en/articles/2022-04-06/no-war-but-the-class-war-a-call-for-action
[79] https://www.leftcom.org/en/articles/2002-12-01/communism-against-the-war-drive
[80] https://en.internationalism.org/ir/021_workers_groups.html
[81] https://www.leftcom.org/en/articles/2002-12-01/communism-against-the-war-drive%5d
[82] https://en.internationalism.org/content/17151/ruling-class-demands-sacrifices-altar-war
[83] https://en.internationalism.org/content/17159/joint-statement-groups-international-communist-left-about-war-ukraine
[84] https://ru.internationalism.org/content/319/sovmestnoe-zayavlenie-grupp-internacionalnoy-kommunisticheskoy-levoy-o-voyne-na-ukraine
[85] https://aitrus.info/node/5949
[86] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[87] https://it.internationalism.org/files/it/locandina_riunione_pubblica_0.pdf
[88] https://world.internationalism.org/
[89] https://it.internationalism.org/content/1691/gli-scontri-imperialisti-ucraina-intensificano-il-caos-e-la-barbarie-della-guerra
[90] https://it.internationalism.org/content/1688/vertice-della-nato-madrid-un-vertice-di-guerra-la-guerra
[91] https://it.internationalism.org/content/1694/unestate-di-rabbia-gran-bretagna-la-classe-dominante-chiede-altri-sacrifici-la-risposta
[92] https://it.internationalism.org/tag/4/70/francia
[93] https://it.internationalism.org/content/1693/militarismo-e-decomposizione-maggio-2022
[94] https://en.internationalism.org/content/3343/war-gulf-capitalist-massacres-and-chaos
[95] https://it.internationalism.org/tag/4/72/gran-bretagna
[96] https://it.internationalism.org/content/1590/rapporto-sulla-pandemia-covid-19-e-il-periodo-di-decomposizione-capitalista-luglio-2020
[97] https://it.internationalism.org/content/1636/perdita-di-controllo-e-tentativo-di-recupero-da-parte-della-borghesia-sulla-situazione
[98] https://it.internationalism.org/cci/201707/1386/trump-presidente-il-segno-di-un-sistema-sociale-moribondo
[99] https://it.internationalism.org/cci/201703/1377/degli-scivoloni-per-la-borghesia-che-non-presagiscono-niente-di-buono-per-il-proleta
[100] https://en.internationalism.org/content/17267/tory-crisis-expresses-impasse-whole-ruling-class
[101] https://it.internationalism.org/content/1425/il-populismo-al-governo-italia-un-fattore-dinstabilita-lunione-europea
[102] https://it.internationalism.org/content/1492/come-si-e-arrivati-al-governo-conte-bis-ovvero-la-italiana-al-contrasto-del-populismo
[103] https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_Sociale_Italiano_-_Destra_Nazionale
[104] https://it.wikipedia.org/wiki/Alleanza_Nazionale
[105] https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Popolo_della_Libert%C3%A0
[106] https://www.geopolitica.info/spese-militari-nuovo-corso-italia/
[107] https://it.internationalism.org/content/1702/il-ritorno-della-combattivita-del-proletariato-mondiale
[108] https://it.internationalism.org/tag/4/75/italia
[109] https://it.internationalism.org/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[110] https://it.internationalism.org/content/decadenza-del-capitalismo-le-contraddizioni-mortali-della-societa-borghese
[111] https://en.internationalism.org/ir/53/decadence_war
[112] https://fr.internationalism.org/ri331/crise.html
[113] https://fr.internationalism.org/content/10764/surproduction-et-inflation
[114] https://en.internationalism.org/ir/63_pollution
[115] https://it.internationalism.org/rint/30/disastri-ambientali
[116] https://it.internationalism.org/content/il-mondo-sulla-soglia-di-un-collasso-ambientale-ii-di-chi-e-la-responsabilita
[117] https://it.internationalism.org/tag/3/47/economia
[118] mailto:[email protected]
[119] https://www.internationalistvoice.org/
[120] https://en.internationalistvoice.org/the-continuation-of-the-social-protests-and-the-entry-of-the-working-class-into-the-demonstrations/
[121] https://libcom.org/article/revolt-iran-feminist-resurrection-and-beginning-end-regime
[122] http://www.leftcom.org/en/articles/2022-11-02/iran-imperialist-rivalries-and-the-protest-movement-of-woman-life-freedom
[123] https://en.internationalistvoice.org/the-continuation-of-the-protests-labour-strikes-and-general-strike/
[124] https://it.internationalism.org/tag/4/84/iran
[125] https://www.marxists.org/archive/pannekoe/1920/communist-tactics.htm
[126] https://www.edizionianarchismo.net/library/anton-pannekoek-il-sindacalismo
[127] https://www.marxists.org/archive/pannekoe/1947/workers-councils.htm#h13
[128] https://en.internationalism.org/pamphlets/unions.htm