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1. Le difficoltà della borghesia italiana di fronte alla pandemia e alla decomposizione
La pandemia da Covid-19, nonostante tutte le notizie rassicuranti dei media secondo cui ne saremmo praticamente fuori, continua a mietere morti in Italia e nel mondo, costituendo una delle più grandi sciagure dei tempi moderni per il genere umano, con quasi 5 milioni di morti di solo Covid - a parte tutti gli altri per le mancate cure di altre patologie dovute alla situazione di emergenza Coronavirus – e un aggravamento della crisi economica senza precedenti. Se si tiene conto del fatto che già la crisi cosiddetta finanziaria del 2008 aveva fatto arretrare la produzione mondiale e dell’Italia in particolare di diversi punti, tanto che il nostro paese all’inizio del 2020 non aveva ancora recuperato la situazione di pre-2008, si capirà come questa seconda botta sia stata il colpo fatale su un sistema che fa acqua da tutte le parti. Peraltro la borghesia italiana si è trovata ad affrontare la crisi pandemica e tutte le sue conseguenze con un governo piuttosto debole, il Conte bis, governo che era stato recuperato dopo la rottura tra i vecchi alleati M5S e Lega mettendo assieme forze che in passato avevano giurato di non voler stare assieme, M5S e PD. Non c’è dunque da meravigliarsi se il governo Conte bis, che ha dovuto gestire la fase più calda e difficile della crisi sanitaria, economica e sociale determinata dal Covid 19, di fatto dalla sua formazione fino al febbraio del 2021, abbia subito tutte le fibrillazioni di un quadro politico privo di unità, ma soprattutto incapace di avere un minimo di coerenza. Così, mentre il presidente della Repubblica, Mattarella, nel discorso di fine anno parlava di responsabilità, Renzi, ritirando i suoi ministri dal governo e creando la crisi di governo di inizio 2021 dopo un lungo periodo di erosione, ha mostrato la piena irresponsabilità dei politici che pretendono di governarci. Il quadro che si è così creato è stato uno dei più pericolosi per la borghesia italiana, ovvero una legislatura interrotta senza speranze di riconciliazione possibile ad opera della “politica”, con un quadro sanitario, economico e sociale completamente fuori controllo e senza nessuna via di uscita percepibile. Che fare?
2. Il governo Draghi e il ruolo dei settori “responsabili” della borghesia
Una soluzione dal punto di vista tecnico naturalmente ci stava, soluzione che le destre hanno invocato già alla caduta del primo governo Conte, cioè ricorrere a nuove elezioni. Ma chiamare la popolazione a votare per rinnovare il parlamento in una situazione di grande crisi, con una forte difficoltà da parte della borghesia ad orientare il voto e con il rischio per questa che i risultati potessero portare al potere delle forze ancora più irresponsabili[1] - dal punto di vista della gestione degli interessi borghesi, beninteso - ha creato un grande imbarazzo e ha richiesto un grande sforzo per mettere le cose a posto. Come è andata a finire lo sappiamo, ma è importante capirne fino in fondo il significato. La scelta di Mattarella non è stata casuale, né il governo da lui auspicato voleva essere un governo tecnico di ripiego. Al contrario, di fronte all’incapacità del mondo della politica di dare un governo all’azienda Italia, il capo dello Stato ha preso lui la decisione di proporre un nome a cui nessuno, o quasi, poteva dire di no, quello di Mario Draghi, il super-Mario della politica economica internazionale, una figura importante al di sopra delle parti, un elemento delle istituzioni italiane ed europee.
Il 13 febbraio 2021 si è così insediato il nuovo governo presieduto da Mario Draghi, ex presidente della BCE. E tutti sono rimasti zitti, nessuno ha fiatato, eccetto Fratelli d'Italia della Meloni, fiero di portare la bandiera dell'opposizione. Unico requisito richiesto ai partiti della maggioranza bulgara è stato appoggiare il governo, composto da un nucleo di ministri tecnici nei ministeri più importanti e lasciando gli altri ai vari partiti. Questa capacità della Presidenza della Repubblica nel gestire la vita politica della Nazione nei momenti decisivi non è una prerogativa di Mattarella, è una caratteristica della componente della borghesia italiana che ha radici storiche e che, nei momenti di maggiore difficoltà, ha saputo dare le risposte adeguate anche sacrificando parte degli interessi personali o di partito[2]. Come abbiamo detto più volte quella che la società attraversa in questo periodo, a livello mondiale, è non solo una fase di forte declino, di crisi permanente e completa decadenza economica, sociale e politica, ma in più questa decadenza si è talmente incancrenita da portare a un vero e proprio disfacimento della società, quello che noi definiamo fase di decomposizione, i cui effetti si fanno risentire sia sulla borghesia che sul proletariato. Per quanto riguarda la borghesia, uno dei segni più significativi è proprio la perdita di controllo sulla situazione politica del proprio paese e internazionale, l’irrazionalità nelle scelte politiche, la perdita di coerenza delle formazioni politiche. Il populismo, che caratterizza particolarmente i partiti di destra, è un’espressione di questa perdita di coerenza e personaggi come Trump negli USA, Johnson in Gran Bretagna o di Salvini in Italia ne sono importanti rappresentanti. È contro questa dinamica incoerente, distruttiva per gli stessi piani della borghesia, che si manifestano spesso in maniera discreta settori della borghesia più responsabili e consapevoli della necessità di sacrificare degli interessi particolari a favore degli interessi della propria classe. In particolare in Italia questi settori sono tradizionalmente ancorati a istituzioni come la presidenza della repubblica o a partiti moderati di sinistra e di centro.
3. Ma i problemi di fondo restano
Naturalmente il fatto che Mattarella sia riuscito a trovare la soluzione rispetto ad una specifica situazione non significa aver sanato il problema una volta per tutte. L’attuale relativa stabilità che la borghesia ha trovato con il governo Draghi è effimera perché, se nell’immediato funziona, nasconde una serie di problemi a livello sanitario, di instabilità politica, a livello di crisi economica e naturalmente a livello sociale. Il governo Draghi non è eterno e l’effetto narcotico sulle intemperanze dei partiti ha dei tempi limitati; già adesso si avvertono rumori di guerra con Salvini che copre sempre più un ruolo di governo e di opposizione in una logica di eterna campagna elettorale, rincorrendo l’alleata-concorrente Meloni che, come dimostrano le ultime elezioni amministrative, drena sempre più voti dalla Lega. Questa turbolenza politica dei partiti della borghesia non tarderà a manifestarsi in un prossimo futuro in forme più radicali, mettendo sempre più in discussione gli interessi del paese, anche quelli strettamente borghesi, con conseguenze disastrose per tutta la popolazione e la classe proletaria in particolare.
3.1 La pandemia è sempre sulla scena
D’altra parte la pandemia non è ancora finita, con i quasi 8000 morti al giorno a livello mondiale, di cui 2000 nella sola Europa, e non abbiamo nessuna garanzia che non riprenda un’ennesima volta a mietere decine di migliaia di morti al giorno, come ha fatto in varie fasi da oltre un anno e mezzo a questa parte. Infatti, nonostante tutti i discorsi di vittoria che si fanno sulle percentuali di dosi di vaccino somministrate in Italia, il problema è che solo un terzo della popolazione mondiale risulta vaccinata, con la conseguenza che la pandemia resta attiva nella maggior parte del pianeta e potrà tornare nei paesi, come l’Italia, dove si presumeva di aver raggiunto l’immunità di gregge, ma che dopo qualche tempo perderanno questa immunità per scadenza dell’efficacia del vaccino. È per questo che già si parla di terza dose … e poi di una quarta dose?... Rispetto a questa realtà, i mass-media del potere non solo trasmettono di continuo false rassicurazioni accompagnate da dati riferiti al giorno precedente e alla sola Italia, che non danno un’idea della dinamica di sviluppo globale della pandemia, ma soprattutto tacciono sul fatto che lo scoppio della pandemia è dovuto da una parte al degrado in cui versa la sanità nazionale e internazionale e dall’altra allo sfruttamento senza limiti della natura che viene letteralmente brutalizzata dal capitalismo decadente di questo periodo[3]. I 130 mila morti in Italia a causa della pandemia non sono dunque morti per caso, ma sono una diretta responsabilità di questo sistema fatiscente. Ma la pandemia non ha prodotto solo morte e danni permanenti a chi è sopravvissuto. L’isolamento sociale - e l’uomo è un animale sociale - è qualcosa che produce danni al cervello, ai rapporti umani, alla capacità di reagire, rafforzando la tendenza al ripiegamento su sé stessi, alla ricerca di un minimo di sicurezza per sé e chi gli sta intorno in un mondo che va a rotoli. A tutto questo bisogna aggiungere, prima di ogni cosa, la situazione disperata di chi faceva lavori marginali, artigianali o in nero, di chi non aveva una famiglia intorno e non è entrato nel circuito di assistenza sociale. Secondo l'osservatorio suicidi, dal primo gennaio di quest'anno se ne contano 413, mentre i tentati suicidi sono 348. “Al di là dei singoli casi, infatti, gli studi scientifici dimostrano che ogni qual volta siamo vittime di epidemie, crisi economiche, emergenze internazionali e cataclismi, assistiamo anche ad un incremento dei disturbi di natura mentale che possono portare, nei casi più estremi, a idee di auto-soppressione”[4].
3.2 La crisi non è scomparsa
Il lavoro di mistificazione svolto a proposito della pandemia continua sul piano dell’economia, dove le notizie trasmesse non smettono di parlare di incrementi vertiginosi della produzione e dei posti di lavoro rispetto ai mesi precedenti e all’anno precedente. La questione è che il miglioramento di cui si vantano è solo un’attenuazione del peggioramento che si è prodotto l’anno precedente. Infatti:
“La Banca mondiale stima che la pandemia da Covid-19 ha dato vita ad una delle peggiori recessioni economiche dal 1870, portando con sé un drammatico aumento dei livelli di povertà. (…) La perdita cumulata per l’economia mondiale, rispetto alle previsioni di crescita se non ci fosse stata la pandemia, ammonta a 11mila miliardi di dollari nel biennio 2020-21 e raggiungerà la somma di 28mila miliardi nel periodo 2020-25. (…) Secondo il Fondo Monetario Internazionale, quasi 90 milioni di persone potrebbero scendere sotto la soglia di deprivazione estrema quest’anno, cancellando tutti i progressi fatti negli anni precedenti per ridurre le disuguaglianze e la povertà.”[5].
In Italia “la crisi del coronavirus è costata 1,2 milioni di posti di lavoro persi nell’anno più duro delle restrizioni sanitarie e del lockdown. Basandosi sui dati al 30 giugno 2021 sappiamo che di quei posti se ne sono riguadagnati rispetto a 12 mesi prima ben 523 mila e ne mancano all’appello ancora 678 mila (di cui 336 mila al Nord). (…) Hanno perso il lavoro soprattutto i precari del terziario low cost (…), i giovani con contratto a termine, le donne e gli stranieri. Se torniamo ai 678 mila posti ancora da recuperare 570 mila infatti erano di donne e giovani (rispettivamente 370 e 200 mila)”.[6]
D’altra parte, a partire dalla revoca del blocco dei licenziamenti intervenuta il 1 luglio scorso, stiamo assistendo ad una falcidia di posti di lavoro. Le fabbriche chiuse e in lotta per rivendicare di che sopravvivere non si contano: citiamo solo i 150 licenziamenti alla Henkel di Lomazzo, i 350 alla Whirlpool di Napoli, i 422 alla GKN di Campi Bisenzio, il fallimento di Alitalia con 11000 esuberi, di cui Ita, la nuova compagnia, ne assume solo 2200 dimezzando gli stipendi. Almaviva di Palermo, call center di Alitalia, rischia di mandare a casa 570 lavoratori. A maggio Unioncamere e Svimez parlavano del rischio di chiusura di 73200 aziende, soprattutto nel mezzogiorno.
È chiaro che il peggio viene solo ora. Finiti i ristori di vario ordine e grado, è venuto il momento della verità. Lo Stato italiano, come quelli di tutto il mondo, non può continuare a sostenere finanziariamente la nazione come ha fatto finora, pena una procedura di fallimento, (default). Così adesso viene il momento di far ripartire la nazione applicando uno sfruttamento ancora più intenso sulla classe operaia, e se per qualche azienda è più conveniente sfruttare proletari “più docili” in altra parte del mondo, non c’è problema perché si può di nuovo licenziare tranquillamente. In questo i sindacati continuano a svolgere il loro sporco gioco, tenendo soffocata la lotta all’interno della fabbrica o comunque del settore. Ad esempio i lavoratori della Whirlpool sono stati portati a bloccare l'autostrada, poi ad occupare la fabbrica, infine a manifestare a Roma, ma senza mai cercare di allargare la lotta ad altre fabbriche. La CGIL si è spinta a invitare a formare delegazioni per andare a parlare in altre officine, ma solo della stessa azienda, il che, gestito dal sindacato, può significare chiedere di ripartire assieme l’onere dei licenziamenti con i famigerati contratti di solidarietà o cose simili.
3.3 Si accentua la tendenza alla perdita di controllo, da parte della borghesia delle dinamiche sociali
La forte astensione alle recenti elezioni amministrative (meno del 50% in diverse gradi città come Napoli, Torino e Milano) è in generale un segno importante della crescente perdita di fiducia e del malcontento crescente nella popolazione verso lo Stato e i suoi partiti.
Questo abbassamento della partecipazione al voto è anche una conseguenza del fatto che i due partiti populisti (Lega e M5S), che avevano attirato una certa attenzione dei disillusi dai partiti storici della borghesia, tutti e due stanno al governo e uno dei due, il M5S, ha perso, almeno nell’immediato, buona parte dei tratti del suo carattere populista, mentre l’altro, la Lega, è costretto necessariamente a contenerli. Questo scollegamento tra il malcontento rabbioso di certi strati di popolazione e i partiti che si erano posti come riferimento di questo ribellismo ha in un certo senso liberato ancora di più il malcontento della “folla indistinta” e tende a esprimersi in manifestazioni populiste come appunto quella del 9 ottobre a Roma con l’assalto alla sede nazionale della CGIL (vedi l’articolo “Manifestazioni contro il green pass e assalto alla CGIL a Roma” in questo stesso numero). E se le forze populiste sono un problema per la stessa borghesia[7], gestire una situazione sociale di questo tipo lo è altrettanto.
Inoltre, l’introduzione del green pass obbligatorio sui posti di lavoro, pena la sospensione dal lavoro e dal pagamento dello stipendio, rischia di aggravare la situazione e questo direttamente nel mondo del lavoro. I portuali di Trieste (dove sembra che la percentuale dei non vaccinati sia del 40%) hanno indetto uno sciopero No-Green Pass e la stessa protesta si prospetta per i porti di Genova e Gioia Tauro, nonostante il Viminale abbia chiesto alle imprese portuali di mettere a disposizione tamponi gratuiti derogando alla normativa nazionale proprio per scongiurare il blocco dei porti. Una situazione difficile si profila anche per il trasporto delle merci su ruota. Secondo le associazioni di categoria si rischia un blocco dei rifornimenti perché il 30% degli autotrasportatori non è munito di green pass e ben l'80% degli autisti stranieri che portano le materie prime in Italia non è vaccinato oppure ha avuto un vaccino non riconosciuto in Italia. Intanto sulle piattaforme social c’è tutto un proliferare di appelli a rifiutarsi di andare al lavoro.
Questo quadro di difficoltà crescente per la borghesia italiana a gestire gli effetti devastanti della pandemia che accrescono ed accelerano tutti gli aspetti di degrado del sistema capitalistico, non può che ripercuotersi pesantemente sul proletariato. La crisi economica non ha alcuna soluzione reale e porterà a sofferenze e privazioni enormi per la classe operaia. Sul piano politico tutto questo marasma sociale rende ancora più difficile per la classe restare ben salda sul proprio terreno di lotta, ma la situazione contiene oggettivamente tutti gli elementi per una presa di coscienza della crisi profonda del sistema e per una risposta di classe adeguata.
Rivoluzione Internazionale, 15 ottobre 2021
[1] Nuove elezioni avrebbero potuto dare il governo in mano alla Lega e a Fratelli d'Italia che, con il loro populismo, non avrebbero garantito una stabilità governativa, danneggiando pure i rapporti con l'Europa.
[2] Lo abbiamo visto già con lo stesso Mattarella quando col primo governo Conte si è rifiutato di accettare un ministro dell’economia, il prof. Savona, che aveva professato una fede anti-europeista, e prima ancora con Giorgio Napolitano che, alla fine della sua legislatura (semestre bianco) quando al presidente non è più concesso di sciogliere le camere e con un parlamento politicamente bloccato, si è dimesso in anticipo per poi farsi rieleggere ed agire con pieni poteri il tempo necessario per sistemare le cose, per poi dimissionare di nuovo in via definitiva.
[3] Vedi a tale proposito “Pandemia, assalto al Campidoglio a Washington: due espressioni dell’intensificazione della decomposizione capitalista”.
[5] https://www.fatebenefratelli.it/blog/crisi-economica-coronavirus-effetti-lavoratori-imprenditori-italiani.