L'articolo che segue è un contributo del compagno MC scritto in occasione del dibattito interno sviluppatosi negli anni 1980 per combattere certe posizioni centriste verso il consiliarismo che si erano sviluppate in seno alla CCI. MC è la firma di Marc Chirik (1907-1990), ex-militante della Gauche communiste (Sinistra comunista) e principale membro fondatore della CCI (vedere la Rivista Internazionale nn. 61 e 62[1]).
Può sembrare strano che un testo il cui titolo fa riferimento alla Conferenza di Zimmerwald tenutasi a settembre 1915 contro la guerra imperialista sia stato scritto nel contesto di un dibattito interno alla CCI sulla questione del consiliarismo. In realtà, come il lettore potrà constatare, questo dibattito è arrivato ad affrontare questioni più generali già poste cent’anni fa e che ancora oggi conservano tutta la loro attualità.
Abbiamo reso conto di questo dibattito sul centrismo verso il consiliarismo nei numeri da 40 a 44 della Rivista Internazionale (1985/86). In particolare, rinviamo il lettore al n°42 della Rivista dove l'articolo "Gli scivolamenti centristi verso il consiliarismo" offre la presentazione delle origini e dell'evoluzione di tale dibattito, presentazione riassunta qui di seguito affinché siano meglio comprensibili certi aspetti della polemica di MC.
All'epoca del V congresso della CCI, e soprattutto in seguito a questo, in seno all'organizzazione si era sviluppata una serie di confusioni nell'analisi della situazione internazionale, ed in particolare una posizione che, sulla questione della presa di coscienza del proletariato, riprendeva le posizioni consiliariste. Queste posizioni erano difese principalmente dai compagni della sezione in Spagna (nominata "AP" nel testo di MC) dal nome della pubblicazione di questa sezione, Acción Proletaria.
"I compagni che si sono identificati con queste analisi pensano di essere in accordo con le concezioni classiche del marxismo (e dunque della CCI) sul problema della coscienza di classe. In particolare, essi non hanno rigettato per niente in modo esplicito la necessità di un'organizzazione dei rivoluzionari nello sviluppo di quest'ultima. Ma, di fatto, sono stati indotti a far loro una visione consiliarista:
- facendo della coscienza un unico elemento determinato e mai determinante della lotta di classe;
- considerando che 'il solo ed unico crogiolo della coscienza di classe, è la lotta di massa ed aperta', ciò che non lascia alcun posto alle organizzazioni rivoluzionarie;
- negando ogni possibilità per queste di perseguire un lavoro di sviluppo e di approfondimento della coscienza di classe nei momenti di riflusso della lotta.
La maggiore ed unica differenza tra questa visione ed il consiliarismo è che quest'ultimo alla fine del suo percorso arriverà a rigettare esplicitamente la necessità delle organizzazioni comuniste, mentre i nostri compagni non si sono spinti fino a questo punto".
Uno dei temi maggiori di questo percorso, è stato il rigetto della nozione di "maturazione sotterranea della coscienza" che, nei fatti, esclude la possibilità per le organizzazioni rivoluzionarie di sviluppare ed approfondire la coscienza comunista all'infuori delle lotte aperte della classe operaia.
Appena apprese questo punto di vista dai documenti che lo esprimevano, il nostro compagno MC scrisse un contributo per combatterlo. Nel gennaio 1984, la riunione plenaria dell'organo centrale della CCI adottò una risoluzione che prese posizione sulle analisi erronee espresse precedentemente, in particolare sulle concezioni consiliariste:
"Quando fu adottata questa risoluzione, i compagni della CCI che avevano sviluppato la tesi della 'non maturazione sotterranea' con tutte le sue implicazioni consiliariste si resero conto del loro errore. Perciò si pronunciarono fermamente in favore di questa risoluzione ed in particolare sul suo punto 7 che aveva come funzione specifica il rigetto delle analisi che loro avevano elaborato precedentemente. Tuttavia, da parte di altri compagni sorsero dei disaccordi proprio sul punto 7 che li condussero o a rigettarlo in blocco, o a votarlo 'con riserva' rigettando alcune delle sue formulazioni. Si vide dunque apparire nell'organizzazione un atteggiamento che, senza sostenere apertamente le tesi consiliariste, che la risoluzione condannava, agiva da scudo, da ombrello a queste tesi rifiutandone la condanna o attenuandone la portata. Di fronte a questo atteggiamento, l'organo centrale della CCI fu costretto ad adottare nel marzo '84 una risoluzione che ricordava le caratteristiche:
a) dell'opportunismo in quanto manifestazione della penetrazione dell'ideologia borghese nelle organizzazioni proletarie e che si esprime particolarmente per:
- un rigetto o un'occultazione dei principi rivoluzionari e del quadro generale delle analisi marxiste;
- una mancanza di fermezza nella difesa di questi principi;
b) del centrismo in quanto forma particolare dell'opportunismo caratterizzato da:
- una fobia rispetto alle posizioni sincere, taglienti, intransigenti, che si spingono fino in fondo nelle loro implicazioni;
- l'adozione sistematica di posizioni intermedie tra posizioni opposte;
- una tendenza alla conciliazione tra queste posizioni;
- la ricerca di un ruolo d’arbitraggio tra queste;
- la ricerca dell'unità dell'organizzazione ad ogni costo ivi compreso quello della confusione, di concessioni sui principi, della mancanza di rigore, di coerenza e di continuità nelle analisi.' (…)
E la risoluzione concluse "che al momento in seno alla CCI esiste una tendenza al centrismo - e cioè alla conciliazione ed alla mancanza di fermezza - riguardo al consiliarismo". (Rivista Internazionale n.42, "Gli scivolamenti centristi verso il consiliarismo").
Di fronte a quest'analisi, un certo numero di "riservisti", piuttosto che prendere in considerazione in modo serio e rigoroso le analisi dell'organizzazione, preferì, adottando di fatto un comportamento tipicamente centrista, evitare le vere questioni dedicandosi a tutta una serie di contorsioni tanto spettacolari quanto penose. Il testo di McIntosh, al quale risponde il contributo di MC che pubblichiamo di seguito, è un'illustrazione flagrante di questo gioco di prestigio nel tentativo di difendere una tesi molto semplice (ed inedita): non può esistere un centrismo verso il consiliarismo nella CCI perché il centrismo non può esistere nel periodo di decadenza del capitalismo.
"Trattando nel suo articolo solo il problema del centrismo in generale e nella storia del movimento operaio senza riferirsi mai al modo con cui è stata posta la domanda nella CCI, evitò di portare a conoscenza del lettore il fatto che questa scoperta (di cui è l'autore) della non esistenza del centrismo nel periodo di decadenza fu ben accetta ai compagni "riservisti", che, all'epoca del voto della risoluzione di gennaio '84, si erano astenuti o avevano espresso alcune "riserve". La tesi di McIntosh alla quale si erano uniti all'epoca della costituzione della "tendenza", permise loro di ritrovare delle forze contro l'analisi della CCI sugli slittamenti centristi verso il consiliarismo di cui erano vittime, sfinendosi vanamente nel tentativo di dimostrare (uno dopo l'altro o simultaneamente) che "il centrismo è la borghesia", "esiste un pericolo di centrismo nelle organizzazioni rivoluzionarie ma non nella CCI", "il pericolo centrista esiste nella CCI ma non a riguardo del consiliarismo" (Rivista Internazionale n.43, "Il rigetto della nozione di "centrismo: la porta aperta all’abbandono delle posizioni di classe").
Così, come detto sopra, sebbene il dibattito del 1985 abbia avuto origine sulla questione del consiliarismo in quanto corrente e visione politica, si è poi allargato alla questione più generale del centrismo in quanto espressione del modo attraverso cui le organizzazioni della classe operaia subiscono l'influenza dell'ideologia dominante della società borghese. Come sottolinea MC nel seguente articolo, il centrismo in quanto tale non può sparire finché esiste la società di classe.
L'interesse di questo articolo pubblicato oggi all'esterno consiste innanzitutto nel fatto che esso riporta alla storia della Prima Guerra mondiale (questione che affrontiamo sotto differenti aspetti nella Revue Internationale dal 2014) ed in particolare sul ruolo dei rivoluzionari e sullo sviluppo della coscienza nella classe operaia e nella sua avanguardia di fronte a questo avvenimento. La conferenza di Zimmerwald, tenutasi 100 anni fa a settembre, fa parte della nostra storia, ma illustra anche in modo molto significativo le difficoltà e le esitazioni dei partecipanti a rompere non solo con i partiti traditori della Seconda Internazionale ma anche con tutta l'ideologia conciliatrice e pacifista con cui si sperava mettere fine alla guerra senza lanciarsi nella lotta esplicitamente rivoluzionaria contro la società capitalista che l'aveva generata. Ecco come Lenin presentava la questione nel 1917:
"Tre tendenze si sono delineate in tutti i paesi, in seno al movimento socialista ed internazionale, da oltre due anni di guerra ... Queste sono:
1) I social-sciovinisti, socialisti a parole, sciovinisti nei fatti (...) Questi sono i nostri avversari di classe. Sono passati alla borghesia (...).
2) La seconda tendenza e quella detta del "centro" che esita tra i social-sciovinisti ed i veri internazionalisti (...) Il 'centro', è il regno dell’espressione piccolo-borghese piena di buone intenzioni, dell'internazionalismo a parole, dell'opportunismo pusillanime e nei fatti della compiacenza per i social-sciovinisti. Il fondo della questione è che il 'centro' non è convinto della necessità di una rivoluzione contro il suo governo, non persegue una lotta rivoluzionaria intransigente, inventa per sottrarvisi le più false e banali vie di fuga, sebbene a risonanza archeo-'marxiste' (...) Il principale leader e rappresentante del 'centro' è Karl Kautsky che godeva nella 2a Internazionale (1889-1914) della più alta autorità e che dall'agosto 1914 offre l'esempio di un rinnegamento completo del marxismo, di un'accidia inaudita, di penose esitazioni e tradimenti.
3) La terza tendenza è quella dei veri internazionalisti che rappresenta il meglio de 'la sinistra di Zimmerwald'. Tuttavia, sarebbe più corretto dire, nel contesto di Zimmerwald, che la destra è rappresentata non dai "social-sciovinisti", per riprendere il termine di Lenin, ma da Kautsky ed amici - tutti quelli che formeranno più tardi la destra dell'USPD - mentre la sinistra è costituita dai bolscevichi ed il centro da Trotsky e dal gruppo Spartakus di Rosa Luxemburg. Il processo che conduce verso la rivoluzione in Russia ed in Germania è segnato proprio dal fatto che una grande parte del "centro" viene guadagnata alle posizioni bolsceviche.
In seguito, il termine centrismo non sarà utilizzato allo stesso modo da tutte le correnti politiche. Per i bordighisti, per esempio, Stalin e gli stalinisti negli anni 1930 erano comunque ritenuti "centristi", essendo considerata la politica di Stalin come "centro" tra le Sinistre dell'Internazionale (ciò che oggi si chiama la Sinistra comunista intorno a Bordiga e Pannekoek in particolare) e la Destra di Bukharin. Bilan ha mantenuto questa denominazione fino alla Seconda Guerra mondiale. Per la CCI, facendo suo il passo di Lenin, il termine centrista designa l'oscillazione tra la sinistra (rivoluzionaria) e la destra (opportunista, ma ancora appartenente al campo proletario): dunque lo stalinismo col suo programma del "socialismo in un solo paese" non è né centrista né opportunista, ma fa parte del campo nemico - del capitalismo. Come precisa l'articolo seguente, "il centrismo" non rappresenta una corrente politica su delle posizioni specifiche, piuttosto una tendenza permanente in seno alle organizzazioni politiche della classe operaia, nel cercare un "giusto campo" tra le posizioni rivoluzionarie intransigenti e quelle che rappresentano una forma di conciliazione verso la classe dominante.
Nel mio articolo "Il centrismo e la nostra tendenza informale" apparso sul precedente numero del Bollettino interno internazionale (116), ho cercato di dimostrare l'inconsistenza delle affermazioni di McIntosh concernente la definizione del centrismo nella 2a Internazionale.
Abbiamo potuto assistere alla confusione generata da McIntosh:
- identificando il centrismo al riformismo;
- riducendo il centrismo ad una base sociale che sarebbe costituita da "funzionari e permanenti dell'apparato della socialdemocrazia e sindacati" (la burocrazia);
- sostenendo che la "sua base politica" è data dall'esistenza di un "programma preciso" fisso;
- proclamando che l'esistenza del centrismo è legata esclusivamente ad un periodo determinato del capitalismo, il periodo ascendente;
- ignorando completamente la persistenza nel proletariato della mentalità e di idee borghesi e piccolo-borghesi (l'immaturità della coscienza), di cui quest’ultimo fa grande fatica a liberarsi;
- trascurando la costante penetrazione dell'ideologia borghese e piccolo-borghese in seno alla classe operaia;
- eludendo totalmente il problema di un processo possibile di degenerazione di un'organizzazione proletaria.
Ricordiamo questi punti, non semplicemente per riassumere l'articolo precedente ma anche perché molti di questi punti ci saranno necessari per smontare la nuova teoria di McIntosh sulla non esistenza del centrismo nel movimento operaio nel periodo di decadenza del capitalismo. (…)
McIntosh basa la sua affermazione che non possa esistere una corrente centrista nel periodo di decadenza sul fatto che con il cambiamento di periodo lo spazio occupato una volta (nel periodo ascendente) dal centrismo è oramai occupato dal capitalismo, in particolare dal capitalismo di Stato. Ciò è solo parzialmente vero. È vero per certe posizioni politiche difese una volta dal centrismo, ma è falso per quanto concerne "lo spazio" che separa il programma comunista del proletariato dall'ideologia borghese. Questo spazio (che rappresenta un terreno per il centrismo) determinato dall'immaturità (o dalla maturità) della coscienza di classe e dalla forza di penetrazione dell'ideologia borghese e piccolo-borghese nel suo seno, può tendere a restringersi, ma non sparire finché esistono le classi e, soprattutto, finché la borghesia resta la classe dominante della società. Ciò è valido anche dopo la vittoria della rivoluzione, perché, finché possiamo parlare del proletariato come classe, vuole dire che esistono anche altre classi nella società e dunque l'influenza della loro ideologia sulla classe operaia. Tutta la teoria marxista sul periodo di transizione è fondata sul fatto che, contrariamente alle altre rivoluzioni nella storia, la rivoluzione proletaria non chiude il periodo di transizione ma lo apre. Solo gli anarchici, ed in parte i consiliaristi, pensano che con la rivoluzione si salta, direttamente a piedi uniti, dal capitalismo al comunismo. Per i marxisti la rivoluzione non è che la condizione preliminare che dà la possibilità di realizzare il programma comunista della trasformazione sociale in una società senza classi. Questo programma comunista è difeso dalla minoranza rivoluzionaria organizzata in partito politico contro le posizioni delle altre correnti ed organizzazioni politiche che si trovano nella classe e che sono sul campo di classe, e ciò, prima, durante e dopo la vittoria della rivoluzione.
A meno di considerare che tutta la classe sia già comunista cosciente o lo diventi di colpo con la rivoluzione, ciò che renderebbe superflua, se non nociva, l'esistenza di ogni organizzazione politica nella classe (se non, al massimo, un'organizzazione con una funzione rigorosamente pedagogica, come sostiene il consiliarismo di Pannekoek) o decretare che la classe non può avere nel suo seno che un partito unico (come sostengono i bordighisti arrabbiati) dobbiamo, lo si voglia o no, riconoscere l'inevitabile esistenza nel proletariato, accanto all'organizzazione del partito comunista, di organizzazioni politiche confuse, più o meno coerenti, che veicolano idee piccolo-borghesi e che fanno certe concessioni politiche ad ideologie estranee alla classe. Dire ciò significa riconoscere l'esistenza in seno alla classe, in tutti i periodi, di tendenze centriste, E ciò perché il centrismo non è nient'altro che la persistenza nella classe di correnti politiche con programmi confusi, incongrui, incoerenti, che veicolano posizioni derivanti da ideologie piccolo-borghesi facendo a quest’ultime concessioni che oscillano tra queste ideologie e la coscienza storica del proletariato e che tentano continuamente di conciliarle.
Per il fatto che il centrismo non può essere definito in base ad un "programma preciso" (che non può avere), noi possiamo comprendere la sua esistenza permanente con la capacità di adattarsi ad ogni particolare situazione, di cambiare posizione in base alle circostanze del rapporto di forze esistente tra le classi.
Se parlare di centrismo in generale è un non senso, in astratto di una "base sociale" propria o di un "programma specifico preciso" ma che bisogna collocarlo rispetto ad altre correnti politiche più stabili (all'occorrenza, nel dibattito attuale, rispetto al consiliarismo), dobbiamo invece parlare di una costanza del comportamento politico che lo caratterizza: l’oscillare, l’evitare di prendere una posizione chiara e conseguente. (…)
Prendiamo un (…) esempio concreto (…) che definisce il comportamento centrista: McIntosh talvolta si riferisce nel suo testo alla polemica Kautsky-Rosa Luxemburg del 1910. Come è cominciata questa polemica? È cominciata da un articolo, scritto da Rosa contro la politica e la pratica opportunista della direzione del partito socialdemocratico, che oppone a quest’ultima la politica rivoluzionaria dello sciopero di massa. Kautsky, in qualità di direttore della Neue Zeit, organo teorico della socialdemocrazia, si rifiuta di pubblicare quest'articolo con il pretesto che, pure condividendo l'idea generale dello sciopero di massa, considera in quel preciso momento questa politica inadeguata, e ciò richiederebbe necessariamente una sua risposta ed una discussione tra due membri della tendenza marxista radicale di fronte alla destra del partito, cosa che lui considera completamente spiacevole. Davanti a questo rifiuto, Rosa pubblica il suo articolo nel Dortmunder Arbeiter Zeitung e ciò obbliga Kautsky a rispondere ed ad imbarcarsi nella polemica che conosciamo.
Quando a settembre ho annunciato, nel SI , la mia intenzione di scrivere un articolo che mettesse in luce il percorso consiliarista dei testi di AP, la compagna JA ha cominciato a chiedere delle spiegazioni sul contenuto e l'argomentazione di quest’articolo. Date queste spiegazioni, la compagna JA ha trovato l’articolo inopportuno e ha suggerito di aspettare che il SI si mettesse innanzitutto d’accordo. In altre parole a "correggerlo" prima di pubblicarlo, in modo tale che il SI nel suo insieme potesse firmarlo. Davanti a questo tipo di correzione, in cui si trattava di smussare gli angoli ed imbrogliare le carte, ho preferito pubblicarlo a mio nome. Una volta pubblicato, JA ha trovato quest’articolo assolutamente deplorevole per il fatto che avrebbe determinato agitazione nell'organizzazione. Fortunatamente JA non era la direttrice (del Bollettino interno) come lo era Kautsky [per la Neue Zeit] e non aveva il suo potere, altrimenti l'articolo non sarebbe mai stato pubblicato. Pertanto a distanza di 75 anni e di cambiamento di periodo (ascendente e decadente, ed ora stiamo in quest’ultimo) il centrismo pur cambiando faccia e posizione ha conservato lo stesso spirito e lo stesso atteggiamento: evitare di sollevare certi dibattiti per "non turbare" l'organizzazione.
In uno dei miei primi articoli polemici contro i riservisti ho detto che il periodo di decadenza è per eccellenza il periodo di manifestazione del centrismo. Un semplice colpo d'occhio sulla storia di questi 70 anni ci farà constatare immediatamente che in nessun altro periodo nella storia del movimento operaio il centrismo si è manifestato con tanta forza, con tante varianti e come non sia stato altrettanto devastante quanto in questo periodo di decadenza del capitalismo. Non possiamo essere che in assoluto accordo con la giusta definizione data da Bilan: che un'Internazionale non tradisce come tale ma muore, sparisce, smette di esistere e che sono i partiti divenuti "nazionali" a passare ciascuno dal lato della propria borghesia nazionale. Così, è fin dall'indomani del 4 agosto 1914, quando i partiti socialisti dei paesi belligeranti firmarono il loro tradimento votando i crediti di guerra, che cominciò a svilupparsi, in ogni paese, accanto alle piccole minoranze rimaste fedeli all'internazionalismo, un'opposizione sempre più numerosa, in seno ai partiti socialisti ed ai sindacati, contro la guerra e la politica di difesa nazionale. In Russia abbiamo i menscevichi internazionalisti di Martov e il gruppo di Trotsky. In Germania lo sviluppo dell'opposizione alla guerra la fa espellere dal partito SD per dare nascita all'USPD, in Francia abbiamo il gruppo sindacalista-rivoluzionario La Vie ouvrière (La Vita operaia) di Monatte, Rosmer e Merrheim, la maggioranza del partito socialista d'Italia e della Svizzera, ecc., ecc. Tutto ciò costituisce una corrente variegata pacifista-centrista incoerente che oppone alla guerra il nome della pace e non quello del disfattismo rivoluzionario e della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Fu questa corrente centrista che organizzò la conferenza socialista contro la guerra a Zimmerwald nel 1915 (dove la sinistra rivoluzionaria intransigente rappresentava una piccola minoranza ridotta ai Bolscevichi russi, i tribunisti olandesi ed i radicali di Brema in Germania) e quella di Kienthal nel 1916 ancora largamente dominata dalla corrente centrista, dove infine gli Spartakisti di Rosa e di Liebknecht raggiunsero la sinistra rivoluzionaria. Questa corrente centrista non pose in alcun modo la questione della rottura immediata con i partiti socialisti diventati partiti social-sciovinisti e anche guerrafondai, ma il problema del loro raddrizzamento in un'ottica di unità organizzativa.
La rivoluzione, iniziata a febbraio 17 in Russia trova un partito bolscevico (e dei soviet di operai e soldati che sostengono il governo Kerenski-Milioukov nella sua quasi totalità) in una posizione di sostegno condizionato al governo borghese di Kerenski. L'entusiasmo generale produsse nella classe operaia nel mondo intero, in seguito alla vittoria della rivoluzione d'Ottobre, un avanzamento che comunque non supererà di molto lo sviluppo di un'immensa corrente fondamentalmente centrista. I partiti ed i gruppi che costituiranno ed aderiranno all'Internazionale Comunista erano in grande maggioranza dei partiti ancora profondamente contrassegnati dal centrismo. Fin dal 1920 si noteranno i primi segni d'affanno della prima ondata rivoluzionaria che decrescerà rapidamente. Ciò si manifesterà sul piano politico con uno scivolamento centrista già molto visibile al 2° Congresso dell'IC, con la presa di posizioni ambigue ed erronee su questioni importanti come quella del sindacalismo, del parlamentarismo, dell'indipendenza e dell'auto-determinazione nazionale. Di anno in anno, l'IC ed i partiti comunisti che la costituiscono subiranno ad un ritmo accelerato un arretramento verso posizioni centriste e la degenerazione; le tendenze rivoluzionario-intransigenti, diventate velocemente minoritarie nei partiti comunisti, saranno a turno espulse da questi partiti e loro stesse subiranno l'impatto della cancrena centrista come accadde con differenti opposizioni generate dall'IC, in particolare l'opposizione di sinistra di Trotsky, che alla fine varcheranno le frontiere di classe con la guerra di Spagna e la 2a Guerra mondiale in nome dell'antifascismo e della difesa dello Stato operaio degenerato in Russia. Ogni piccola minoranza che restò fermamente sul campo di classe e del comunismo, come la Gauche Communiste Internationale (Sinistra Comunista Internazionale) e la Sinistra olandese subirà comunque il contraccolpo di questo periodo nero anche all'indomani della guerra, alcuni come i bordighisti si sclerotizzeranno gravemente in una regressione politica, altri, come la sinistra olandese, si decomporranno in un consiliarismo completamente degenerato. Bisogna aspettare la fine degli anni 60, con l'annuncio della crisi aperta e di una ripresa della lotta classe, per assistere alla ricomparsa di piccoli gruppi rivoluzionari che, cercando di liberarsi dall'immensa confusione del 68, cominceranno faticosamente a riannodarsi col filo storico del marxismo-rivoluzionario.
(…) Bisogna essere veramente colpiti da cecità universitaria per non vedere questa realtà. Bisogna ignorare completamente la storia del movimento operaio di questi 70 anni, dal 1914, per affermare perentoriamente, come ha fatto McIntosh, che il centrismo non esiste e non potrebbe esistere nel periodo di decadenza.
La magniloquente fraseologia radicale, le finte indignazioni, non potrebbe reggere nemmeno per un momento ad un argomento serio.
Certo è più comodo fare la politica dello struzzo, chiudendo gli occhi per non vedere la realtà ed i suoi pericoli, per poterli più facilmente negare. In tal modo ci si rassicura senza sforzi e ci si risparmiano molte riflessioni complesse. Questo non è il metodo di Marx che scriveva "I comunisti non vengono a consolare la classe operaia; ma per renderla ancora più miserabile nel renderla cosciente della sua miseria". McIntosh segue la prima via negando puramente e semplicemente, per la sua tranquillità e contro ogni evidenza, l'esistenza del centrismo nel periodo di decadenza. Per i marxisti quali noi dobbiamo essere si tratta di seguire l'altra via: aprire bene gli occhi per riconoscere la realtà, comprenderla e comprenderla nella sua dinamica e complessità. Tocca a noi spiegare possibilmente il perché il periodo di decadenza è innegabilmente anche un periodo che vede lo sviluppo di tendenze centriste.
(…) Il periodo di decadenza è l'entrata in una crisi storica, permanente, oggettiva, del sistema capitalista, che pone così il dilemma storico: la sua autodistruzione, e con lui la distruzione di tutta la società, o la distruzione di questo sistema per fare posto ad una nuova società senza classi, la società comunista. L'unica classe in grado di realizzare questo grandioso progetto di salvezza per l'umanità è il proletariato il cui interesse a liberarsi dallo sfruttamento lo spinge in una lotta a morte contro questo sistema di schiavismo salariale capitalista e che, d'altra parte, non può emanciparsi se non emancipando tutta l'umanità.
Contrariamente:
- alla teoria che è la lotta operaia che determina la crisi del sistema economico del capitalismo (GLAT);
- alla teoria che ignora la crisi permanente storica e riconosce solamente crisi congiunturali e cicliche che offrono la possibilità della rivoluzione e, in mancanza della sua vittoria, permette un nuovo ciclo di sviluppo del capitalismo, anche all'infinito (A. Bordiga);
- alla teoria pedagogica per la quale la rivoluzione non è legata ad una questione di crisi del capitalismo ma dipende dall'intelligenza degli operai acquisita durante le loro lotte (Pannekoek);
noi affermiamo con Marx che una società non sparisce finché non ha esaurito tutte le possibilità di sviluppo che essa contiene. Affermiamo con Rosa Luxemburg che è la maturazione delle contraddizioni interne al capitale a determinare la sua crisi storica, condizione obiettiva della necessità della rivoluzione. Affermiamo con Lenin che non basta che il proletariato non voglia più essere sfruttato, ma occorre ancora che il capitalismo non possa più vivere come prima.
La decadenza è il crollo del sistema capitalista sotto il peso delle sue contraddizioni interne. La comprensione di questa teoria è indispensabile per comprendere le condizioni in cui quest’ultime si svolgono ed in cui si svolge la rivoluzione proletaria.
A questa entrata in decadenza del suo sistema economico, che la scienza economica borghese non poteva né prevedere né comprendere, il capitalismo - senza potere dominare questa evoluzione obiettiva - ha risposto attraverso un'estrema concentrazione di tutte le sue forze politiche, economiche e militari con il capitalismo di Stato, sia per fare fronte all'esacerbazione estrema delle tensioni inter-imperialistiche che, soprattutto, per far fronte alla minaccia dell'esplosione della rivoluzione proletaria della quale aveva appena preso conoscenza con lo scoppio della rivoluzione russa nel 1917. Se l'entrata in decadenza significa la maturità storica oggettiva della necessità della scomparsa del capitalismo, non è così per quanto riguarda la maturazione della condizione soggettiva (la presa di coscienza per il proletariato) per poterla realizzare. Questa condizione è indispensabile perché, come dicevano Marx ed Engels: la storia non fa niente da sé stessa, sono gli uomini (le classi) che fanno la storia.
Al contrario, sappiamo che a differenza di tutte le rivoluzioni passate nella storia in cui la presa di coscienza delle classi che dovevano compierle ha giocato sempre un ruolo di secondo piano, per il fatto che si trattava solamente di un cambiamento di sistema di sfruttamento attraverso un altro sistema di sfruttamento, la rivoluzione socialista che segna la fine di ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo e di tutta la storia delle società di classi, esige e pone come condizione fondamentale l'azione cosciente della classe rivoluzionaria. Ora il proletariato non è solamente la classe a cui la storia impone la più grande esigenza mai posta ad alcun’altra classe né all'umanità, un compito che supera tutti i compiti che l'umanità abbia mai potuto affrontare, il salto dalla necessità alla libertà, ma anche quella che si trova davanti alle più grandi difficoltà. Ultima classe sfruttata, essa rappresenta tutte le classi sfruttate della storia di fronte a tutte le classi sfruttatrici rappresentate dal capitalismo.
È la prima volta nella storia che una classe sfruttata è portata ad assumere la trasformazione sociale e, di più, una trasformazione che porta in sé il destino ed il divenire di tutta l'umanità. In questa lotta titanica, il proletariato inizialmente si presenta in uno stato di debolezza, stato inerente ad ogni classe sfruttata, aggravato dalla pressione su di lui esercitata dalle debolezze di tutte le generazioni morte delle classi sfruttate: mancanza di coscienza, mancanza di convinzione, mancanza di fiducia, che hanno paura di ciò che osano pensare ed intraprendere, abitudine millenaria di sottomissione alla forza ed all'ideologia delle classi dominanti. È per tale motivo che, contrariamente al percorso delle altre classi che procede di vittoria in vittoria, la lotta del proletariato è fatta di avanzamenti e di indietreggiamenti e che solo in seguito ad una lunga serie di sconfitte giunge alla sua vittoria finale.
(…) Questo susseguirsi di avanzamenti ed indietreggiamenti della lotta del proletariato, di cui Marx ha già parlato all'indomani degli avvenimenti rivoluzionari del 1848, non fa che accentuarsi ed accelerarsi nel periodo di decadenza, per la stessa barbarie di questo periodo che pone al proletariato la questione della rivoluzione in termini più concreti, più pratici, più drammatici, e ciò si traduce, al livello della presa di coscienza della classe anche in un movimento accelerato e turbolento come lo scatenarsi delle onde in un mare agitato.
Sono queste condizioni (una realtà che vede la maturità delle condizioni obiettive e l'immaturità delle condizioni soggettive) che determinando le turbolenze nella classe danno nascita ad una moltitudine di correnti politiche diversificate e contraddittorie, convergenti e divergenti. Queste evolvendosi e regredendo, vanno a produrre in particolare le differenti varietà del centrismo.
La lotta contro il capitalismo è allo stesso tempo una lotta ed una decantazione politica all'interno della stessa classe nel suo sforzo verso la presa di coscienza, e questo processo è tanto più violento e tortuoso quanto più si svolge sotto il fuoco alimentato dal nemico di classe.
Le uniche armi che il proletariato possiede nella sua mortale lotta contro il capitalismo e che possono assicurargli la vittoria sono: la coscienza e la sua organizzazione. È in questo senso, e solo in questo, che deve essere compresa la frase di Marx: "Non si tratta di sapere che scopo questo o quel proletario, o anche l'intero proletariato, si raffigura momentaneamente, ma sapere ciò che il proletariato è e ciò che sarà obbligato a fare storicamente, in conformità a questo essere".
(…) I consiliaristi interpretano questa frase di Marx nel senso che è ogni lotta operaia che produce automaticamente la presa di coscienza della classe, negando la necessità di una lotta teorico-politica sostenuta all’interno della classe (esistenza necessaria dell'organizzazione politico-rivoluzionaria). I nostri riservisti sono deragliati nella stessa direzione, all'epoca dei dibattiti al BI plenario di gennaio 84 e del voto del punto 7 della risoluzione.
Oggi, (per sottrarsi a questo primo deragliamento), allineandosi sulla tesi aberrante di McIntosh dell'impossibilità dell'esistenza delle correnti centriste nella classe nel periodo di decadenza, non fanno che perseguire lo stesso scivolamento, si contentano semplicemente di rivoltare la stessa moneta dal lato dell’altra faccia.
Dire che in questo periodo [di decadenza del capitalismo] non potrebbe esistere, né prima, né durante, né dopo la rivoluzione alcun tipo di centrismo in seno alla classe, è o considerare da idealista la classe come uniformemente cosciente, assolutamente omogenea e totalmente comunista (rendendo inutile la stessa esistenza di un partito comunista, come fanno i consiliaristi coerenti) o decretare che nella classe possa esistere un unico partito, al di fuori del quale qualsiasi altra corrente è per definizione controrivoluzionaria e borghese, che, per una curiosa svolta, giunge alle peggiori manifestazioni della megalomania del bordighismo.
Come già visto, la corrente centrista non si presenta come una corrente omogenea con "un programma specifico preciso". È la meno stabile delle correnti politiche, la meno coerente, al suo interno è combattuta da un lato dall’influenza attrattiva del programma comunista e dall'altro dall’ ideologia piccolo-borghese. Ciò è dovuto a due fonti che allo stesso tempo la generano e, che intersecandosi tra loro, l'alimentano:
1) l'immaturità della classe nel suo processo di presa di coscienza;
2) la costante penetrazione dell'ideologia piccolo-borghese in seno alla classe.
Queste cause vanno e spingono le correnti centriste verso due direzioni diametralmente opposte.
In linea di massima è il rapporto di forze esistente tra le classi, in precisi periodi, flusso o riflusso della lotta di classe, a decidere il senso evolutivo o regressivo delle organizzazioni centriste. (…) McIntosh vede, nella sua congenita miopia, solo la seconda causa ed ignora magistralmente la prima, così come ignora le pressioni contrarie che vengono esercitate sul centrismo. Conosce il centrismo solo come "astrazione" e non nella realtà del suo divenire. McIntosh riconosce il centrismo solo quando quest'ultimo si è integrato definitivamente nella borghesia, in altre parole quando il centrismo ha cessato di essere centrismo. E proprio perché fino a quel momento non è stato in grado di riconoscerlo che lascia esplodere la sua furia e la sua indignazione.
È proprio ciò che spiega la natura dell’accanimento delle nostre minoranze sul cadavere della bestia feroce, che esse non hanno combattuto da viva e che oggi si guardano bene dal riconoscerla e dal combatterla.
Esaminiamo, dunque, il centrismo alimentato dalla prima causa, e cioè dall'immaturità alla presa di coscienza delle posizioni di classe. Prendiamo l'esempio dell'USPD, la bestia nera scoperta oggi dalle nostre minoranze e diventata il loro cavallo di battaglia.
La mitologia persiana racconta che il diavolo, stanco dei suoi insuccessi nel combattere il Bene e il Male, ha deciso, un bel giorno, di cambiare tattica procedendo diversamente, aggiungendo smisuratamente bene al Bene. Così quando Dio ha dato agli uomini il Bene dell'amore e del desiderio carnale, aumentando ed esasperando questo desiderio, il diavolo ha fatto sì che gli uomini si crogiolassero nella lussuria e lo stupro. Parimenti quando Dio ha dato come un bene il vino, il diavolo aumentando il piacere del vino ha creato l'alcolismo.
La nostra minoranza oggi fa esattamente la stessa cosa. Nell'incapacità di difendere il suo scivolamento centrista rispetto al consiliarismo, cambia tattica. "Voi dite centrismo, ma centrismo è la borghesia! Pretendendo di combattere il centrismo voi non fate che abilitarlo, collocandolo e dandogli il marchio di classe. Così localizzandolo nella classe voi vi fate il suo difensore ed i suoi apologeti".
Abile tattica di inversione di ruolo, riuscita perfettamente al diavolo. Purtroppo i nostri appartenenti alla minoranza non sono diavoli e tra le loro mani questa astuta tattica non può avere vita lunga. Chi, quale compagno può credere seriamente a questa assurdità che la maggioranza del BI plenario di gennaio '84 che ha scoperto e messo in evidenza l'esistenza di uno scivolamento centrista verso il consiliarismo nel nostro seno e, da un anno, non fa che combatterlo, sarebbe in realtà il difensore e l'apologeta del centrismo di Kautsky di 70 anni fa? I nostri stessi appartenenti alla minoranza non lo pensano. Cercano piuttosto di confondere il dibattito sul presente divagando sul passato.
Per ritornare alla storia dell'USPD bisogna cominciare ricordando lo sviluppo dell'opposizione alla guerra nella socialdemocrazia. La 'sacra unione' controfirmata dal voto unanime (eccetto il voto di Rühle) della frazione parlamentare dei crediti di guerra in Germania, stupefece molti membri di questo partito al punto di paralizzarli. La sinistra che darà nascita a Spartakus era ridotta ad un tale livello che il piccolo appartamento di Rosa risulterà grande per riunirsi all'indomani del 4 agosto 1914.
La sinistra non solo è ridotta, ma è anche divisa in più gruppi:
- la "sinistra radicale" di Brema che, influenzata dai Bolscevichi, spinge per l'uscita immediata dalla socialdemocrazia;
- quelli che sono raggruppati intorno a piccoli bollettini e riviste come quella di Borchardt (vicino alla "sinistra radicale");
- i delegati rivoluzionari (il più importante dei gruppi) che raccolgono i rappresentanti sindacali delle fabbriche metallurgiche di Berlino e che si trovavano politicamente tra il centro e Spartakus;
- il gruppo Spartakus;
- e poi infine il centro che darà nascita all'USPD.
Inoltre, ciascuno dei gruppi non rappresenterà un'entità omogenea ma conoscerà delle suddivisioni in molteplici tendenze che sovrapponendosi ed intrecciandosi, si avvicineranno e si allontaneranno continuamente. L'asse principale di queste divisioni resterà tuttavia sempre la regressione verso la destra e l'evoluzione verso la sinistra. Ciò ci dà già un'idea delle perturbazioni che si produrranno nella classe operaia in Germania fin dall'inizio della guerra (punto critico del periodo di decadenza) e che andranno accelerandosi durante quest'ultima. È impossibile nei limiti di questo articolo dare dettagli sullo sviluppo dei numerosi scioperi e manifestazioni contro la guerra in Germania. Nessun altro paese belligerante ha conosciuto un tale sviluppo, nemmeno la Russia. Possiamo accontentarci di dare solo alcuni punti di riferimento, tra altri la ripercussione politica di queste turbolenze sulla frazione più destrorsa della SD, la frazione parlamentare.
Il 4 agosto 1914, 94 su 95 deputati votarono i crediti di guerra. Un solo voto contrario, quello di Rühle; lo stesso Karl Liebknecht, sottoponendosi alla disciplina di partito, votò a favore. A dicembre 1914, in occasione di un nuovo voto ai crediti, Liebknecht ruppe con la disciplina e votò contro.
A marzo 1915, nuovo voto di bilancio ivi compreso i crediti di guerra. "Solo Liebknecht e Rühle voteranno contro, dopo che trenta deputati, in testa Haase e Ledebour (due futuri dirigenti dell'USPD), ebbero lasciato la sala" (O.K Flechtheim, Il partito comunista tedesco sotto la Repubblica di Weimar, Maspero, p. 38). Il 21 dicembre 1915, nuovo voto di crediti al Reichstag, F. Geyer dichiarò in nome di venti deputati del gruppo SD: "Rifiutiamo i crediti". "All'epoca di questo voto venti deputati rifiutarono i crediti e ventidue altri lasciarono la sala" (Ibid.).
Il 6 gennaio 1916, la maggioranza social-sciovinista del gruppo parlamentare espulse Liebknecht dalle sue file. Rühle solidarizzerà con lui e venne anche lui espulso. Il 24 marzo 1916, Haase rigettò, in nome della minoranza del gruppo SD al Reichstag, il bilancio di emergenza dello Stato; la minoranza pubblicò la seguente dichiarazione: "Il gruppo parlamentare socialdemocratico per 58 voti contro 33 e 4 astensioni ci ha tolto oggi i diritti che conseguono dell'appartenenza al gruppo… ci vediamo costretti a raggrupparci in una Comunità di lavoro socialdemocratico".
Tra i firmatari di questa dichiarazione, troviamo i nomi della maggior parte dei futuri dirigenti dell'USPD in particolare quello di Bernstein. La scissione e l'esistenza oramai di due gruppi SD al Reichstag, uno social-sciovinista e l'altro contro la guerra, corrispondono, pressappoco, a ciò che accade nel partito SD nel suo insieme, con le sue divisioni e lotte di tendenze accanite, come tra la classe operaia.
A giugno 1915 venne organizzata un'azione comune di tutta l'opposizione contro il comitato centrale del partito. Venne diffuso un testo sotto forma di volantino, firmato da centinaia di funzionari. In sintesi: "Esigiamo che il gruppo parlamentare e la direzione del partito denuncino infine l'Unione sacra ed impegnino su tutta la linea la lotta di classe sulla base del programma e delle decisioni del partito, la lotta socialista per la pace" (Op. citata).
Poco dopo apparve un Manifesto firmato da Bernstein, Haase e Kautsky intitolato "'L'imperativo dell'ora' in cui chiedevano che si mettesse fine alla politica del voto dei crediti" (Ibid.)
A seguito dell'espulsione di Liebknecht dal gruppo parlamentare, "la direzione dell'organizzazione SD di Berlino approverà per 41 voti contro 17 la dichiarazione della minoranza del gruppo parlamentare. Una conferenza che raggruppava 320 funzionari dell'VIII distretto elettorale di Berlino approvò Ledebour" (Ibid.)
Sul piano della lotta degli operai possiamo ricordare:
- 1915, alcune manifestazioni contro la guerra a Berlino che raggrupparono non più di 1000 persone;
- in occasione del 1° maggio 1916, Spartakus raggruppò in una manifestazione 10.000 operai delle fabbriche;
- agosto 1916, in seguito all'arresto e la condanna di K. Liebknecht per la sua azione contro la guerra, 55.000 metallurgici di Berlino entrarono in sciopero. Ci furono scioperi anche in parecchie città di provincia.
Questo movimento contro la guerra e contro la politica social-sciovinista, continuerà, estendendosi durante tutta la durata della guerra e guadagnerà sempre più masse operaie, con al loro interno una piccola minoranza di rivoluzionari (essa stessa barcollante), ed una forte maggioranza di una corrente centrista esitante e che andava a radicalizzarsi. È così che alla Conferenza nazionale della SD, nel settembre 1916 alla quale parteciparono una minoranza centrista ed il gruppo Spartakus, 4 oratori dichiararono: "L'importante non è l'unità del partito ma l'unità nei principi. Bisogna chiamare le masse a guadagnare la lotta contro l'imperialismo e la guerra ed imporre la pace adoperando tutti i mezzi materiali di cui dispone il proletariato" (Ibid.).
Il 7 gennaio 1917 si tenne una conferenza nazionale che raggruppò tutte le correnti di opposizione alla guerra. Su 187 delegati, 35 rappresentavano il gruppo Spartakus. Una conferenza che adottò all'unanimità un Manifesto… scritto da Kautsky ed una risoluzione di Kurt Eisner. I due testi dicevano: "Ciò che chiede (l'opposizione) è una pace senza vincitori né vinti, una pace di riconciliazione senza violenza".
Come spiegare che Spartakus votò una tale risoluzione, perfettamente opportunista, pacifista, lui che, per bocca del suo rappresentante Ernst Meyer, "pose la questione dell'arresto dei versamenti di quote dell'appartenenza al partito?"
Per McIntosh, nel suo semplicismo, una tale domanda non ha senso: essendo diventata borghese la maggioranza della socialdemocrazia, anche il centrismo è dunque borghese, e lo è anche Spartakus.
(…) Ma allora possiamo chiederci che ci facevano i Bolscevichi ed i Tribunisti olandesi nelle Conferenze di Zimmerwald e Kienthal, dove, pur proponendo la loro risoluzione di trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, alla fine hanno votato il manifesto e risoluzione che erano per la pace senza annessione né contributo? Nella logica di McIntosh, le cose sono o tutte bianche o tutte nere da sempre e per sempre. Non vede il movimento e ancora meno vede in che direzione va. Meno male che McIntosh non è medico perché sarebbe un medico per cui un malato sarebbe a priori condannato e già visto come cadavere.
Bisogna insistere ancora sul fatto che ciò che non è già valido per la vita di un uomo è un’assurdità completa a livello di un movimento storico come quello del proletariato. Qui il passaggio dalla vita alla morte non si misura in secondi né in minuti ma in anni. C' è una differenza fra il momento in cui un partito operaio firma la sua fine e la sua morte effettiva. Ciò può essere difficile da comprendere per un parolaio radicale, ma è del tutto comprensibile per un marxista che non ha l'abitudine di lasciare la barca come fanno i topi appena questa comincia ad imbarcare acqua.
I rivoluzionari sanno che cosa rappresenta storicamente un'organizzazione generata dalla stessa classe e, finché resta loro un alito di vita, lottano per salvarla, per conservarla alla classe. Una tale questione non esisteva, fino a qualche anno fa per la CWO, non esiste per un Guy Sabatier ed altri parolai per i quali l'Internazionale Comunista, il partito bolscevico sono stati sempre partiti borghesi. Non esiste neanche per McIntosh. I rivoluzionari possono sbagliarsi in un momento preciso ma per essi questa questione è estremamente importante. Per quale motivo? Perché i rivoluzionari non costituiscono una setta di ricercatori ma sono una parte di un corpo vivente quale è il movimento operaio, con i suoi momenti di alti e bassi.
La maggioranza social-sciovinista della SD comprendeva meglio di un McIntosh il pericolo che rappresentava questa corrente di opposizione all'Unione sacra ed alla guerra, infatti, all'occorrenza, effettuava massicce espulsioni. É proprio in seguito a queste espulsioni che l'8 aprile 1917 si costituì l'USPD. Solo dopo molte riserve ed esitazioni Spartakus diede la sua adesione a questo nuovo partito ponendo come condizione la rivendicazione di una "completa libertà di critica e d’azione indipendente". Più tardi, Liebknecht ha caratterizzato nel seguente modo i rapporti tra il gruppo Spartakus e gli USPD: "Abbiamo aderito all'USPD per spingerlo in avanti, averlo a portata della nostra influenza, strapparne i migliori elementi". Che questa strategia fu in quel momento valida, non ci sono dubbi, ma una cosa è chiara: una tale questione poteva porsi per Luxemburg e Liebknecht perché consideravano, a ragione, l'USPD come un movimento centrista nel proletariato e non come un partito della borghesia.
Non bisogna dimenticare che su 38 delegati che parteciparono a Zimmerwald, la delegazione tedesca fu costituita da dieci membri sotto la direzione di Ledebour e da 7 membri dell'opposizione centrista, 2 di Spartakus e 1 della sinistra di Brema e alla Conferenza di Kienthal ci furono, su 43 partecipanti, 7 delegati provenienti dalla Germania di cui 4 centristi, 2 di Spartakus e 1 della sinistra di Brema. Spartakus nell'USPD, conservava una completa indipendenza comportandosi più o meno come i Bolscevichi nelle Conferenze di Zimmerwald e Kienthal.
Non si può comprendere ciò che era l'USPD centrista senza localizzarlo nel contesto di un formidabile movimento di masse in lotta. Nell'aprile 1917 esplose uno sciopero di massa che coinvolse, solo a Berlino, 300.000 operai. Inoltre si verificò il primo ammutinamento di marinai. Nel gennaio 1918, in occasione delle trattative di pace di Brest-Litovsk, si ebbe un'ondata di scioperi stimata a 1 milione di operai. L'organizzazione dello sciopero era tra le mani dei delegati rivoluzionari molto vicini all'USPD (cosa non meno stupefacente è vedere Ebert e Scheidemann facenti parte del comitato di sciopero). Al momento della scissione, certi valutano gli aderenti alla SD a 248.000 e 100.000 all'USPD. Nel 1919 l'USPD contava nei grandi centri industriali circa un milione di aderenti. È impossibile riferire qui tutte le vicissitudini degli avvenimenti rivoluzionari nella Germania del 1918. Ricordiamo solamente che il 7 ottobre venne decisa la fusione tra Spartakus e la sinistra di Brema. Liebknecht che era stato appena liberato, entrò nell'organizzazione dei delegati rivoluzionari che si dedicò alla preparazione di un sollevamento armato per il 9 novembre. Ma intanto il 30 ottobre scoppiava il sollevamento di Kiel. A ben vedere, l'inizio della rivoluzione in Germania ricorda quello di febbraio 1917, in particolare per ciò che riguarda l'immaturità del fattore soggettivo, l'immaturità della coscienza nella classe. Proprio come in Russia, i congressi dei consigli daranno la loro investitura a quei "rappresentanti" che sono stati i peggiori guerrafondai durante tutta la guerra; Ebert, Scheidemann, Landsberg a cui si aggiungono tre membri dell'USPD: Haase, Dittman e Barth. Questi ultimi che fanno parte della destra centrista, considerando l'accidia, la vigliaccheria, l'esitazione, che li caratterizzano, serviranno da cauzione "rivoluzionaria" ad Ebert-Scheidemann, per poco tempo (dal 20/12 al 29/12 del 1919), ma sufficiente a permetter loro di organizzare, con l'aiuto dei junkers prussiani e dei corpi franchi, i massacri controrivoluzionari.
La politica di semi-fiducia semi-diffidenza in questo governo che sarà quello della direzione dell'USPD, somiglia stranamente a quella del sostegno condizionale al governo di Kerensky da parte della direzione del partito bolscevico fino a maggio 1917, fino al trionfo delle Tesi di aprile di Lenin. La grande differenza, tuttavia, non risiedeva tanto nella fermezza del partito bolscevico sotto la direzione di Lenin e di Trotsky quanto nella forza, l'intelligenza di una classe esperta, quale fu la borghesia tedesca che seppe raccogliere tutte le sue forze contro il proletariato, rispetto all'estrema senilità della borghesia russa.
Per ciò che riguarda l'USPD, questo fu dilaniato, come ogni corrente centrista, tra una tendenza di destra che cerca di reintegrarsi nel vecchio partito passato alla borghesia ed una tendenza sempre più forte alla ricerca di un terreno rivoluzionario. L'USPD si trovò così a gennaio 1919 affianco a Spartakus nelle sanguinose giornate della controrivoluzione a Berlino, e nei differenti scontri nelle altre città, come a Monaco, in Baviera.
L'USPD, come qualsiasi altra corrente centrista, non poteva reggere alle prove decisive della rivoluzione. Era condannato ad esplodere, ed esplose.
Fin dal suo Secondo Congresso, 6 marzo 1919, le due tendenze si affrontarono su parecchie questioni (sindacalismo, parlamentarismo) ma soprattutto sull’adesione all'Internazionale Comunista. La maggioranza rigettò l'adesione. La minoranza andava, tuttavia, a rafforzarsi, sebbene alla Conferenza nazionale che si tenne in settembre, non riuscì ancora a conquistare la maggioranza. Al Congresso di Lipsia, il 30 novembre dello stesso anno, la minoranza vinse sulla questione del programma d'azione (adottato all'unanimità) il principio della dittatura dei soviet, e si decise di avviare delle trattative con l'IC. Nel mese di giugno 1920, una delegazione si recò a Mosca per iniziare queste trattative e per partecipare al Secondo Congresso dell'IC.
Il CE dell'IC aveva preparato su questo argomento un testo contenente, all'origine, 18 condizioni e che fu rafforzato con l'aggiunta di altre 3 condizioni. In tutto le 21 condizioni di adesione all'Internazionale Comunista. Dopo violente discussioni interne, fu attraverso una maggioranza di 237 voti contro 156 che il congresso straordinario d’ottobre 1920 si pronunciò infine per l'accettazione delle 21 condizioni e l'adesione all'IC.
McIntosh, e con lui JA, ad agosto 1984, hanno scoperto la critica fatta da sempre dalla sinistra dell'IC, l’aver lasciato le maglie della rete troppo larghe per l'adesione all'Internazionale. Ma la scoperta tardiva dei nostri appartenenti alla minoranza è, come sempre, solo una caricatura che volge all'assurdo. Nessun dubbio che le stesse 21 condizioni contenevano certe posizioni erronee, già viste all'epoca e criticate dalla stessa sinistra e non a partire solo dal 1984. Che cosa prova ciò? Che l'IC era borghese? O che l'IC era infiltrata da posizioni centriste su molte questioni e fin dal suo inizio? L'indignazione improvvisa dei nostri appartenenti alla minoranza nasconde con difficoltà la loro ignoranza della storia che sembrano scoprire oggi insieme all'assurdità della loro conclusione sul fatto che il centrismo non può esistere nel presente periodo della decadenza.
Pur essendo dei miopi, non riuscendo a vedere lontano nel tempo, potrebbero almeno comprendere questa breve storia della stessa CCI. Da dove venivano i gruppi che infine si sono raggruppati nella CCI? Del resto, i nostri appartenenti alla minoranza non hanno da osservare che loro stessi e la loro traiettoria politica. Da dove venivano dunque RI o WR, o la sezione del Belgio, gli USA, Spagna, Italia, e la Svezia??? Non sono provenuti da una palude confusionista, anarchicheggiante e contestataria???
Non ci saranno mai maglie abbastanza strette da darci la garanzia assoluta contro la penetrazione di elementi centristi o la loro apparizione all'interno. La storia della CCI - senza voler parlare della storia del movimento operaio - è là per dimostrare che il movimento rivoluzionario è un processo di decantazione incessante. Basta guardare i nostri appartenenti alla minoranza per rendersi conto della somma di confusioni che sono stati capaci di portare in un anno.
Ecco che McIntosh ha scoperto che il flusso della prima ondata rivoluzionaria ha trasportato anche degli Smeral, dei Cachin, dei Frossard e dei Serrati. McIntosh ha mai visto dalla finestra della sua università ciò che è un flusso rivoluzionario?
Per ciò che riguarda il PCF, McIntosh scrive anche la storia a suo modo dicendo per esempio che il partito aderisce all'IC raggruppato intorno a Cachin-Frossard. Non sa niente dell'esistenza del Comitato della 3a Internazionale raggruppato intorno a Loriot e Suvarin, in opposizione al Comitato di ricostruzione di Faure e Longuet? Frossard e Cachin zigzagavano tra questi due comitati, per riunirsi alla fine alla risoluzione del Comitato della 3a Internazionale per l'adesione all'IC. Al Congresso di Strasburgo nel febbraio 1920, la maggioranza è ancora contro l'adesione. Al Congresso di Tours, dicembre 1920, la mozione per l'adesione all'IC ottiene 3208 voti, la mozione di Longuet l'adesione con riserva 1022 e l'astensione (gruppo Blum-Renaudel) 397 voti.
Le maglie non erano sufficientemente strette? Certamente. Ma ciò non deve impedirci di comprendere cio che è un flusso ascendente della rivoluzione. Discutiamo sul fatto di capire se i partiti (bolscevico, Spartakus ed altri partiti socialisti) che hanno costituito o aderito all'IC erano dei partiti operai o dei partiti della borghesia. Non discutiamo sui loro errori ma sulla loro natura di classe, ed in questo i Mic-Mac di Intosh non sono di alcun aiuto. Come McIntosh non sa vedere ciò che è una corrente in maturazione, che va dell'ideologia borghese verso la coscienza di classe, allo stesso modo non sa vedere che cosa la differenzia da una corrente che degenera, e cioè che va dalla posizione di classe verso l'ideologia borghese.
Nella sua visione di un mondo fisso, rigido, il senso del movimento non ha alcun interesse, né posto. È per tale motivo che lui non saprebbe comprendere ciò che vuole dire aiutare il primo che si avvicina criticandolo, o combattere senza pietà il secondo che si allontana. Ma soprattutto, non sa distinguere quando il processo degenerativo di un partito proletario è definitivamente concluso. Senza rifare tutta la storia del movimento operaio possiamo dargli un punto di riferimento: un partito è perso definitivamente per la classe operaia quando non emana più dal suo seno alcuna tendenza, alcun segno di vita proletaria. Ricordiamo il caso a partire dal 1921 dei partiti socialisti, e quello all'inizio degli anni 30 dei partiti comunisti. È con ragione che fino a quelle date si poteva parlare di loro con il termine di centrismo.
E per finire, bisogna ritenere che la Nuova teoria di McIntosh, che vuole ignorare l'esistenza del centrismo in periodo di decadenza, ricorda fortemente quelle persone che, al posto di curarsi, scelgono di ignorare quella che chiamano una "malattia vergognosa". Non si combatte il centrismo negandolo, ignorandolo. Il centrismo, come ogni altra piaga che può colpire il movimento operaio, non può essere curato nascondendolo, ma esponendolo, come diceva Rosa Luxemburg, in piena luce. La nuova teoria di McIntosh si basa sul timore superstizioso del potere malefico delle parole: meno si parla di centrismo meglio si sta. Per noi, al contrario, è necessario conoscere e riconoscere il centrismo, sapere in quale periodo, di flusso o di riflusso, si trova e comprendere in che senso evolve. Superare e combattere il centrismo è in ultima analisi il problema della maturazione del fattore soggettivo, della presa di coscienza della classe.
MC (Dicembre 1984)
[1] La Rivista Internazionale è pubblicata in inglese, francese e spagnolo sul nostro sito web.
Una volontà di fare il massimo di morti. Una carneficina. Venerdì 13 novembre Parigi e la sua periferia sono state il teatro macabro di atti sanguinari commessi da un pugno di terroristi imbottiti di esplosivi e armi da guerra. Il loro bersaglio? Tutti i "pervertiti" dallo "stile di vita occidentale"[1], e in modo particolare i giovani[2].
Lo scorso 11 gennaio, ammazzando i caricaturisti del giornale satirico Charlie Hebdo, l’ISIS ha ucciso dei "nonni"[3] di tendenza libertaria, marcata dal movimento sociale del maggio 68. Questa volta, attaccando i ritrovi festivi e alla moda (lo Stadio francese di San-Denis, i caffè e i ristoranti della X e XI circoscrizione di Parigi, la sala da concerto del Bataclan[4]), l’ISIS ha mirato volontariamente su una generazione che ai suoi occhi commette l'orribile crimine di amare, incontrarsi, discutere, bere, danzare e cantare liberamente, in altri termini: di amare la vita (ciò che la borghesia, approfittando dell'emozione e del lavaggio del cervello mediatico, cerca di far passare per patriottismo!). Questa è la stessa generazione movimento sociale del 2006 in Francia[5] che aveva sognato di riprendere la fiaccola dal maggio 68 e che aveva giustamente espresso la sua solidarietà agli artisti assassinati di Charlie Hebdo mobilitandosi nelle manifestazioni di gennaio[6].
Questi nuovi crimini freddamente pianificati, motivati da un'ideologia oscurantista e morbosa, degna del nazismo, non sono il frutto di alcuni "mostri" che basterebbe sradicare[7]; questa è la logica della borghesia. Essa serve solo a giustificare la guerra, a generare a sua volta più odio e crimini, e, soprattutto, a mascherare le vere cause di queste atrocità. Perché, in realtà, alla radice di questi mali si trova l'intero sistema capitalista, un sistema senza avvenire, senza prospettiva che si decompone trascinando poco a poco dietro di lui tutta l'umanità nel suo ingranaggio omicida.
L’ISIS è una manifestazione particolarmente rivelatrice di questa dinamica suicida del capitalismo. Lo Stato islamico è un puro prodotto della decadenza, direttamente secretato dalla fase attuale di decomposizione del capitalismo.
In questa cornice, l'aggravamento e la moltiplicazione dei conflitti imperialisti, lo sfaldamento accelerato della società hanno per principale radice l’affermazione a livello storico di assenza di prospettiva sociale. Delle due classi fondamentali e antagoniste, borghesia e proletariato, né l’una né l’altra riescono a imporre il loro progetto storico, rispettivamente la guerra mondiale o la rivoluzione comunista. Dalla metà degli anni 80, l’intera società resta così prigioniera dell'immediato, appare senza avvenire e imputridisce poco a poco[8]. Il crollo dell'URSS nel 1990, prodotto di questa dinamica, ha inasprito tutte le contraddizioni di questo sistema. Le espressioni di questa fase di decomposizione sono molteplici: individualismo e ciascuno per sé, gangsterismo, ripiego identitario e settario, oscurantismo, nichilismo e, soprattutto, accentuazione del caos guerriero. Ciò al punto da destabilizzare gli Stati più deboli e provocare il loro crollo, spingendo la logica dei conflitti a devastare intere regioni del pianeta. Tutto ciò implica la primaria responsabilità delle grandi potenze imperialiste, particolarmente in Africa e in Medio Oriente.
Un breve richiamo alla storia dei conflitti di queste regioni durante gli ultimi decenni illustra perfettamente questa realtà. Dal crollo dell'URSS, gli Stati Uniti fanno sempre più fatica a imporsi come "gendarme del mondo". Ciò può sembrare paradossale, ma l'esistenza del nemico russo imponeva agli avversari di quest'ultimo di proteggersi dietro il potere americano. Le nazioni del blocco occidentale erano costrette ad accettare la "disciplina del blocco" dello Zio Sam. Appena l'URSS è crollata, il blocco occidentale si è disgregato e ognuno ha tentato immediatamente di giocare la propria carta imperialista. Gli Stati Uniti hanno dunque dovuto sempre più imporre la loro leadership attraverso la forza. Tale è il senso dell'immensa dimostrazione di forza militare della Guerra del Golfo nel 1990, momento in cui la borghesia americana riuscì a costringere tutti i suoi "alleati" a unirsi a lei. Ma la situazione ha continuato a degradarsi per gli Stati Uniti che, sempre più isolati, hanno dovuto condurre la guerra in Afghanistan nel 2001 poi in Iraq nel 2003, col solo risultato della destabilizzazione geopolitica di queste due regioni. E’ questa dinamica che annunciavamo fin dall’ottobre 1990: "Quello che dunque mostra la guerra del Golfo, è che, di fronte alla tendenza al caos generalizzato proprio della fase di decomposizione, e alla quale il crollo del blocco dell'est ha dato un colpo d’acceleratore considerevole, non c'è altra uscita per il capitalismo, nel suo tentativo di mantenere al loro posto le differenti parti di un corpo che tende a smembrarsi, che l'imposizione di un busto di ferro costituito dalla forza delle armi. In questo senso, i mezzi stessi che utilizza per tentare di contenere un caos sempre più sanguinario sono un fattore di aggravamento considerevole della barbarie guerriera nella quale è immerso il capitalismo"[9].
L'intervento americano in Iraq nel 2003, al di là dei 500.000 morti che ha prodotto, ha fatto cadere il governo sunnita di Saddam Hussein[10] senza essere capace di sostituirlo con un nuovo Stato stabile. Di contro, l'allontanamento dal potere della frazione sunnita e la sua sostituzione con la frazione sciita ha creato un caos permanente. È su queste rovine, sul vuoto lasciato dalla decadenza dello Stato iracheno, che è nato l’ISIS. La sua creazione risale al 2006, quando Al-Qaïda formò con cinque altri gruppi djihadisti il "Consiglio consultivo dei moudjahidin in Iraq". E il 13 ottobre 2006, il Consiglio consultivo proclamò lo "Stato islamico dell'Iraq" che a partire da questa data si considerò il "vero Stato". Numerosi ex-generali di Saddam Hussein, competenti e animati dallo spirito di rivincita contro "l'Occidente", durante questo periodo raggiunsero le righe di quello che sarebbe diventando l’ISIS. In seguito, la destabilizzazione della Siria darà l'opportunità di un ulteriore sviluppo dello Stato islamico. Infatti, nel 2012, quest'ultimo comincia a estendersi in Siria e, il 9 aprile 2013, diventa lo "Stato islamico in Iraq e in Levante".
Ogni nuovo conflitto imperialista, in cui le grandi potenze giocano tutte un inevitabile ruolo, diventa quasi sempre occasione per l’ISIS di estendere il suo ascendente spargendo, su un terreno per lui fertile, odio e spirito di vendetta. Vanno così a prestargli fedeltà parecchi gruppi jihadisti, come Boko Haram nel Nord-est della Nigeria, Ansar Maqdis Chouras Chabab al-islam in Libia, Jund al-Khalifa in Algeria e Ansar Dawlat al-Islammiyya nello Yemen. Innegabilmente, la guerra imperialista ha nutrito lo Stato islamico. È questo un fenomeno che si è sviluppato ed esteso dalla metà degli anni 80: sotto il peso sia delle contraddizioni economiche e politiche interne che dei conflitti imperialisti, gli Stati più deboli crollano. All'Est negli anni 90, in particolare nei Balcani, ciò si è concretizzato con uno sbriciolamento delle nazioni e con conflitti cruenti, come l'esplosione della Iugoslavia. Dal Caucaso (Cecenia) fino all'Asia centrale (Afghanistan) o in Africa (con l'ex-Zaire, il Corno d'Africa, ecc.), l'instabilità statale ha lasciato il posto all'apparizione di proto-Stati paralleli e incontrollabili, diretti dai signori della guerra. L’ISIS è una nuova espressione di questo fenomeno cancrenoso, ma ad una scala geografica fino ad oggi ineguagliata.
La responsabilità delle grandi potenze non si ferma alla sola destabilizzazione delle regioni attraverso i loro interventi militari di ordine strategico o più semplicemente per la difesa di interessi sordidi. Esse molto spesso sono direttamente all'origine della creazione di tutte queste cricche omicide ed oscurantiste che cercano di strumentalizzare. Lo Stato islamico è composto dalle frazioni più radicali del sunnismo e dunque ha per nemico principale la grande nazione dello sciismo: l'Iran. Per questo tutti i nemici dell'Iran (l'Arabia saudita, gli Stati Uniti[11], Israele, il Qatar, il Kuwait…) hanno tutti sostenuto politicamente, finanziariamente e talvolta militarmente l’ISIS. La stessa Turchia ha appoggiato lo Stato islamico per servirsene contro i curdi. Quest’alleanza di circostanza ed eteroclita mostra che le differenze religiose non sono il reale fermento di questo conflitto: sono invece proprio le poste in gioco imperialiste e gli interessi nazionali capitalisti che determinano innanzitutto le linee di divisioni e trasformano le ferite del passato in odio moderno.
Comunque sia, alla fine tutti sono stati obbligati a ricredersi. L'Arabia saudita ha vietato ogni aiuto finanziario all’ISIS e ha condannato alla prigione tutti coloro che continuavano a giocare ai mecenati. E per lottare contro lo Stato islamico, gli Stati Uniti hanno iniziato ufficialmente un certo avvicinamento a… l'Iran! Perché un tale capovolgimento? La risposta la dice lunga sullo stato di decadenza del sistema capitalista. La dimensione oscurantista, religiosa e soprattutto distruttrice dell’ISIS è tale che questo gruppo sfugge ad ogni controllo. Certi Stati senza avvenire e dominati dalla Charia sono già esistiti, particolarmente in Africa centrale, ma sono sempre stati limitati ad una dimensione regionale. Ma ora, il fenomeno ISIS tocca una zona ben più vasta e soprattutto la parte altamente geostrategica e nevralgica del Medio Oriente[12].
Gli incessanti cambi di alleanze, questa politica di corta veduta e ogni volta più distruttrice, sono, così come l'esistenza di questo proto-Stato islamico, un indice della decomposizione dell'intero sistema, dell'impasse capitalista, dell'assenza di soluzione duratura e di ogni prospettiva per tutte le nazioni.
Anche qui, la bussola del marxismo ci ha permesso di comprendere fin dal 1990 che l’intera società stava prendendo questa rotta: "Nel nuovo periodo storico in cui siamo entrati, e gli avvenimenti del Golfo lo stanno confermando, il mondo si presenta come un'immensa giungla, dove giocherà a fondo la tendenza al "ciascuno per sé", dove le alleanze tra gli Stati non avranno affatto il carattere di stabilità che caratterizzava i blocchi, ma saranno dettate dalle necessità del momento. Un mondo di disordine omicida, di caos cruento in cui il gendarme americano tenterà di fare regnare un minimo di ordine attraverso l'impiego sempre più massiccio e brutale della sua potenza militare"[13].
Ultimo cambiamento di rotta in ordine di tempo: oggi, la Francia è pronta a sostenere, attraverso il suo avvicinamento alla Russia, Bachar el-Assad (ufficialmente responsabile di 200.000 morti dall'inizio della guerra civile!) contro l’ISIS mentre dal 2011 si era impegnata con tutto il suo peso diplomatico a sostenere "l'opposizione siriana". Poutin ed i suoi ignobili soprusi in Cecenia e poi in Ucraina ridivengono "frequentabili"!
Conducendo tutte queste guerre, seminando la morte e la desolazione, imponendo il terrore delle bombe ed attizzando l'odio in nome della "legittima difesa", sostenendo questo o quel regime assassino secondo le circostanze, non proponendo alcun altro avvenire se non sempre più conflitti, e tutto ciò per difendere solo i loro sordidi interessi imperialisti, le grandi potenze sono le prime responsabili della barbarie mondiale, compresa quella dell’ISIS. Questo presunto "Stato islamico", che ha per santa trinità lo stupro, il furto e la repressione sanguinaria, quando distrugge ogni cultura (lo stesso odio per la cultura del regime nazista[14]), quando vende donne e bambini, talvolta per i loro organi, non è nient’altro che una forma particolarmente caricaturale, senza artifici né abbellimenti, della barbarie capitalista di cui sono capaci tutti gli Stati del mondo, tutte le nazioni, piccole e grandi. "Sporca, disonorata, sguazzante nel sangue, coperta di grasso; ecco come si presenta la società borghese, ecco ciò che essa è. Non è quando, ripulita e rispettabile, si mostra aperta alla cultura e alla filosofia, alla morale e all'ordine, alla pace ed al diritto, ma è quando somiglia ad una bestia feroce, quando danza il sabba dell'anarchia, quando soffia la peste sulla civiltà e l'umanità che essa si mostra tutta nuda, come veramente è"[15].
Sono dunque proprio le grandi potenze che per prime hanno scatenato la loro barbarie sulla terra e nelle aree delle nazioni capitaliste più deboli (anche queste altrettanto barbare). Ed è questa stessa barbarie che, alla fine, sfugge al loro controllo e che ritorna indietro colpendo in pieno il cuore del sistema come un boomerang. Questo è il reale significato degli attentati del 13 novembre a Parigi. Essi non sono solo un ennesimo atto terroristico; manifestano un ulteriore passo in avanti nell'esacerbazione delle tensioni imperialiste e nel deterioramento della società capitalista. In effeti, se degli attentati decimano regolarmente le popolazioni dell'Africa e del Medio Oriente[16], l'attentato del centro storico del capitalismo è particolarmente significativo del degrado della situazione mondiale. All'epoca degli attentati che colpirono Parigi nel 1985 e 1986, scrivevamo: "ciò che evidenzia l’attuale ondata di attentati terroristici, è che questa decomposizione della società raggiunge oggi un livello tale che le grandi potenze sono sempre meno al riparo dalle sue manifestazioni più barbare, che per loro diventa sempre più difficile contenere nel Terzo Mondo queste estreme forme di convulsioni di un sistema in agonia. Così come le metropoli capitaliste hanno potuto, in un primo tempo, respingere verso la periferia le manifestazioni più catastrofiche di una crisi che ha comunque la sua origine nel cuore stesso del sistema, proprio in queste metropoli, esse hanno respinto verso questi stessi paesi periferici le forme più barbare - e in particolare gli scontri armati - delle convulsioni che questa crisi genera. Ma oggi, che la crisi torna a colpire con forza decuplicata i paesi centrali del capitalismo, essa si tira dietro una parte di questa barbarie che aveva scatenato nel Terzo Mondo"[17].
Questo processo, in atto dalla metà degli anni 1980 e soprattutto dall'attacco delle Twin Tower, ha continuato a svilupparsi. Gli attentati del 13 novembre vanno dunque a segnare un passo in più, qualitativamente importante, anche in rapporto agli stessi attentati di Madrid (2004), Londra (2005) e Boston (2013). Fino ad ora, il bilancio provvisorio è di 130 morti e 351 feriti di cui 98 gravi. Questa spaventosa ecatombe è tra le peggiori che abbiano colpito il cuore dell'Europa dalla Seconda Guerra mondiale, nonostante sia fallito l’attentato allo Stadio di Francia[18]. Ma la reale differenza non sta solo a questo livello quantitativo, del resto gli stessi attentati di Madrid hanno avuto un ampio numero di vittime: 200 morti e 1400 feriti. Questa volta, non si tratta di un atto isolato e istantaneo: lo Stato islamico è riuscito a colpire più luoghi ed a massacrare per tre ore in piena Parigi! Esso ha importato in Occidente, per un’intera serata, l'atmosfera di guerra che vive quotidianamente la popolazione in Siria, in Iraq, in Afghanistan, in Pakistan, nella Nigeria ecc., (da cui tenta disperatamente di fuggire). La sceneggiatura "minuziosamente"[19] preparata di questi attentati ha permesso di provocare una vera e propria ondata di choc e panico. La trasmissione in diretta degli avvenimenti da parte di tutte le televisioni del mondo, di queste immagini di guerra urbana, l'incertezza sul numero di vittime, sul numero degi attacchi e dei terroristi coinvolti…, tutto ciò ha creato un clima di terrore insopportabile. A milioni, gli spettatori impotenti sono restati davanti ai loro schermi scioccati e sono stati poi incapaci di chiudere gli occhi durante la notte. Qui lo Stato islamico è riuscito a dimostrare come una grande potenza economica e militare, qual è la Francia, sia stata incapace di impedire tali atti. Ed, infatti, lo Stato francese, pur aspettandosi degli attacchi imminenti, si è rivelato impotente ad evitare la carneficina.
Peggio ancora, l’ISIS si è potuto appoggiare su uomini e donne nati e vissuti in Francia e in Belgio, capaci di commettere i peggiori crimini in nome di un'ideologia irrazionale, nauseabonda e morbosa. In altre parole, è innanzitutto la stessa decomposizione della società che incancrenendo il centro del capitalismo ha generato direttamente una tale atrocità.
Numerosi sono i superstiti che, avendo visto da vicino i terroristi, hanno testimoniato dell'aspetto banale dei loro boia: giovani tra i 20 ed i 30 anni, tremanti di paura e gocciolanti sudore[20], ma determinati, che giustificano i loro inqualificabili atti omicidi con la necessità di "vendicare i crimini commessi dall'esercito francese in Siria". Questi atti orribili non sono stati commessi da mostri ma da esseri umani completamente stritolati ed indottrinati, per la maggior parte nati in un'Europa "civilizzata".
Molti jihadisti europei, oggi in Siria, vengono dalla piccola borghesia che, in assenza di prospettiva se non il declassamento, colma di gelosia nei confronti dei modelli della grande borghesia e, soprattutto, estranea a qualsiasi altro progetto sociale alternativo, è incancrenita dal nichilismo e dall'odio. Del resto, è questo stesso strato sociale che già negli anni 30 andò a costituire le truppe d'assalto del nazismo.
Un'altra parte non trascurabile dell'esercito dell’ISIS, proviene dalle periferie povere. Si tratta di ragazzini dal percorso caotico, umiliati da un sistema che li rigetta dalla sua sfera economica, oltre che culturale e sociale. Anche qui, la volontà di vendetta da un lato ed il nichilismo dall'altro, espressioni di una società senza avvenire, sono probabilmente le molle fondamentali della loro traiettoria. Attraverso questi massacri vili, ignobili ed assurdi, i più radicali hanno l'impressione di finalmente esistere e di prendersela con il sistema che li ha esclusi, anche a costo, senza importanza per loro, della morte.
Infine, un'ultima parte, soprattutto tra i kamikaze, è reclutata direttamente nella frangia che delinque. Spesso sono questi che, dopo avere rubato o aggredito a più riprese si ritrovano poi con il kalashnikov in mano a decimare, portando a pretesto un’ideologia di ispirazione religiosa tra le più dei più rigorose.
In altre parole, dall'Europa al Medio Oriente, come ovunque nel mondo, l'assenza di prospettiva e le sue conseguenze più gravi (la putrefazione sociale, il gangsterismo, lo sviluppo di una morale propria del sottoproletariato), sono il terreno fertile di questa deriva morbosa. L'incontro di questi giovani nati in Europa con gruppi iracheni e siriani, oscurantisti ed omicidi, con capacità strategiche e abilità militare, non è quindi per niente dovuto al caso.
Per riassumere, l'imperialismo e la decomposizione sono i due genitori che, accoppiandosi, generano il terrorismo attuale. Guerra, no-future, paura ed odio, cedimento morale, terrorismo… poi di nuovo guerra. Un circolo vizioso senza fine. Se non viene distrutto e superato da un'altra società, il capitalismo trascinerà in questo ingranaggio e nella sua caduta l'intera l'umanità, fino ad annichilire ogni forma di vita.
Quale è stata, quindi, la reazione di tutte le grandi nazioni la stessa sera degli attentati del 13 novembre? Le parole del Primo ministro francese socialista, Manuel Valls, pronunziate all'indomani del dramma sulla più grande catena televisiva del paese, ne danno il tono: "volontà di annientare l’ISIS"; "replicheremo colpo su colpo"; "saremo spietati"; "risponderemo allo stesso livello"; "siamo in guerra", una guerra che "potrebbe durare dei mesi e forse anche degli anni e che necessita di mezzi eccezionali", aggiungendo: "farò di tutto perché l'unità, perché l’union sacrée sia preservata", finendo con questo appello guerriero: "dobbiamo essere dei patrioti per abbattere il terrorismo".
E tutti i giornali nazionali a riprendere in coro questo "Adesso è guerra!", "è la Francia che è attaccata!", ecc. Questa campagna patriottica, nazionalista è stata ripresa a scala internazionale, orchestrata intorno alla bandiera blu-bianco-rossa e alla Marsigliese. Nel mondo, su tutti i grandi monumenti, ovunque, ma anche sui social network, negli stadi… è stata brandita la bandiera francese. Le parole della Marsigliese sono state pubblicate in tutti i giornali inglesi affinché il pubblico la intonasse il 18 novembre durante la partita Inghilterra-Francia a Wembley. Evidentemente in questo non c'è alcuna solidarietà reale delle grandi potenze verso la Francia, tutte queste nazioni si fanno tra loro una spietata concorrenza economica e talvolta militare.
No, ogni borghesia nazionale ha semplicemente utilizzato i 130 morti di Parigi, e la paura generata, per fare passare l'idea putrida che l'unità nazionale è la più bella e la più alta delle unità possibili, quella che fa il "vivere insieme", quella che ci protegge dall' "esterno". Ora, in verità, le bandiere nazionali sono sempre bandiere di guerra! Le bandiere nazionali, sono il simbolo dell'ideologia che salda le differenti classi della nazione contro le altre nazioni; fondamentalmente è la stessa ideologia di quella dello Stato islamico! Ed in Francia, è ora il Partito socialista al potere ad essere in prima linea in questo spirito guerrafondaio. Risultati: lo Stato Maggiore francese ha sganciato "in rappresaglia agli attentati" decine di bombe in pochi giorni e ha inviato la sua porta-aerei Charles de Gaulle a triplicare la capacità di fuoco dell'esercito francese in Siria. Questi attacchi si aggiungono, per esempio, ai 4111 bersagli colpiti dall'esercito russo negli ultimi quarantotto giorni. La stampa ogni giorno riferisce di vittime "collaterali" legate a questi bombardamenti[21], ma è impossibile avere accesso ad un bilancio serio. E’ così per tutte le guerre delle grandi nazioni democratiche che intervengono in nome della "pace", della "umanità", della "sicurezza dei popoli”. Ed ogni volta, il bilancio dei morti pubblicati dopo qualche anno è spaventoso. Un solo esempio. Secondo il rapporto Body Count, Casualty Figure after 10 years of the “War on Terro”[22], la "guerra contro il terrorismo" lanciata dagli Stati Uniti dopo gli attentati dell'11 settembre ha causato in dodici anni la morte di almeno 1,3 milioni di persone in tre paesi, Iraq, Afghanistan e Pakistan, con la precisazione che si tratta di "stime al ribasso" che non tengono conto degli altri conflitti (Yemen, Somalia, Libia, Siria). L'Iraq avrebbe pagato il tributo maggiore alla guerra contro il terrorismo, con circa un milione di morti, contro i 111.000 secondo i media americani e i 30.000 secondo l'ex-presidente George W. Bush. Il rapporto parla di un "crimine contro l'umanità vicino al genocidio". Ecco il vero volto della guerra imperialista! Ecco il vero e pesante tributo del fuoco "chirurgico!"
I colpi attuali sulla Siria forse metteranno a mal partito l’ISIS, e ciò renderà questo proto-Stato ancora più suicida e omicida, ma soprattutto in queste regioni, come ovunque nel mondo, essi alimenteranno la paura e l'odio. Il fenomeno rappresentato dall’ISIS e che ne è alla origine alla fine ne uscirà dunque rafforzato. La "risposta" della Stati di fronte al "terrorismo" può significare solamente un’impennata del militarismo e lo scatenamento della stessa barbarie sempre più irrazionale, nella spirale infernale di un caos sanguinario.
Imparando dagli attentati dello scorso 7 gennaio contro Charlie Hebdo, dove la borghesia, sorpresa dalle manifestazioni spontanee, fu obbligata a prendere velocemente il treno in corsa, lo Stato francese questa volta ha impedito che potessero esprimersi quegli stessi slanci spontanei di solidarietà che favoriscono la riflessione, le discussioni e inducono potenzialmente all'idea che "la strada" può rappresentare una forza politica. E’ stato vietato ogni assembramento e ognuno è stato invitato a restare a casa, a identificarsi con la "nazione", con la "patria", e ad accettare la logica di guerra! Oggi, ritorna in superficie l'idea stessa di servizio nazionale di leva e di una "guardia nazionale". Non perdendo l’occasione, il Partito socialista francese ha approfittato degli attentati per giustificare il rafforzamento dell'arsenale repressivo e di controllo. In particolare, per la prima volta dalla guerra d'Algeria (1958 e 1961), è stato decretato lo stato di emergenza, poi prolungato a 3 mesi, su tutto il territorio metropolitano, ed anche sui dipartimenti di oltremare (Guadalupa, Martinica, Guyana, la Riunion e Mayotte). Questo stato di emergenza è una situazione speciale, una condizione eccezionale che restringe le "libertà". Esso "conferisce alle autorità civili, nell'area geografica in cui si applica, eccezionali poteri di polizia"[23] come, ad esempio, la possibilità di fare perquisizioni a tappeto. In effetti, si tratta di abituare la popolazione a un drastico rafforzamento del controllo poliziesco e della repressione che la borghesia sa di poter utilizzare domani contro la classe operaia, e già sono in discussione una caterva di leggi per rafforzare la "sicurezza nazionale". La stessa campagna sulla sicurezza si sta facendo ora in tutto il mondo.
Per riassumere, lo Stato approfitta del terrorismo per presentarsi come il garante della pace per meglio fare… la guerra, come il protettore dei diritti umani per rafforzare… il controllo sulla popolazione e, evidentemente, come garante dell'unità sociale per alimentare… l’odio. Continuamente vengono incitate la xenofobia, l'odio del musulmano ed ogni altra divisione permettendo così all'ordine capitalista di regnare da padrone sui suoi sfruttati. In tutta Europa c’è una recrudescenza delle correnti politiche xenofobe. Si moltiplicano un po' ovunque atti anti-immigrati, come in Germania, dove sono stati incendiati dei ricoveri per immigrati ed organizzate spedizioni punitive contro i nord africani. In Francia i discorsi del Fronte nazionale e di una parte della destra, ad immagine di Nadine Morano (deputato francese), giocano sulle stesse molle dello Stato islamico: il ripiegamento su se stessi, la paura, l'esclusione e l'odio per l'altro.
In un tale contesto sociale, certi atti di solidarietà reale sembrano eroici. La sera del 13 novembre, nonostante i rischi ed il pericolo, alcune persone hanno portato immediatamente assistenza, dando spontaneamente soccorso ai feriti. Nei quartieri presi di mira, alcuni abitanti non hanno esitato ad aprire le loro porte per dare rifugio alle persone in preda al panico che si trovavano in strada. Un po' ovunque si è espressa una tendenza all'assembramento di solidarietà e d’indignazione, rapidamente soffocata dal divieto di manifestare. Tutto ciò mostra che "l'indifferenza" e "l'ignoranza dell'altro" che in tempo normale dominano nella società capitalista, possono essere superate quando si esprime la volontà cosciente di solidarietà, quella di portare assistenza a chi viene duramente colpito. Lo abbiamo visto anche questi ultimi mesi da parte di settori significativi della classe operaia con l'accoglienza dei migranti, in particolare all'inizio del loro arrivo in Germania. Ma come ci mostra anche l'attuale situazione, questo fragile slancio, a causa delle importanti debolezze della classe operaia, può essere molto facilmente deviato sul falso terreno del patriottismo e del nazionalismo, dietro la logica omicida e al fondo xenofoba degli Stati più democratici. Il clima di terrore e di paura come la propaganda dopo gli attentati di Parigi peserà notevolmenete sulla coscienza della classe operaia; l'“unione sacra” richiesta intorno allo Stato e alla nazione in pericolo non può che rafforzare il peso delle illusioni letali sulla difesa della democrazia e la frenesia di sicurezza a livello internazionale. Questo contribuirà a chiudere ancora un poco di più ogni prospettiva e quindi a rafforzare le forze suicide di questo capitalismo putrescente.
L'unica vera solidarietà per la classe operaia può esprimersi solo in modo autonomo, all'infuori di tutte le influenze dell'ideologia borghese benpensante, in particolare durante delle lotte operaie. La generazione che ha rappresenatato il bersaglio primario degli attentati del 13 novembre aveva del resto saputo dare inizio, all'epoca del movimento sociale del 2006, proprio a un ampio slancio di solidarietà in tutta la classe operaia. E quando alcuni giovani alla deriva, usciti dalle banlieue povere, andarono a rapinare i manifestanti, questa generazione di studenti e lavoratori precari riuscì a non cadere nella trappola della divisione. Andarono invece nei loro quartieri per cercare di guadagnarli alla lotta generale. Se capirono la necessità di fare agire così, è perché questo il movimento sociale seppe dotarsi di assemblee generali che permettevano la riflessione, la discussione e l'elaborazione collettiva, in altre parole la crescita della coscienza politica. E questa è anche la sola via possibile di fronte allo sviluppo dei peggiori effetti della decomposizione: la solidarietà nella lotta, il dibattito sincero ed aperto, lo sviluppo della coscienza operaia.
Alla fine, solo questa logica permetterà di ritrovare un'identità politica di classe, la prospettiva storica di un'altra società. Si aprirà allora la possibilità di un mondo senza classi, senza guerre né frontiere, dove la soddisfazione dei bisogni umani, in particolare il gusto per l'arte, la scienza e la cultura, e non la ricerca del profitto, sarà al centro della comunità umana mondiale.
"Questa follia, questo inferno insanguinato cesserà il giorno in cui gli operai (...) si tenderanno una mano fraterna, coprendo al tempo stesso il cuore bestiale dei guerrafondai imperialisti ed il rauco urlo delle iene capitaliste sollevando il vecchio e potente grido di guerra del lavoro: proletari di tutti i paesi, unitevi!"[24]
CCI, 21 novembre 2015
[1] Comunicato dell’ISIS che rivendica gli attentati.
[2] Grande parte delle vittime ha un'età compresa tra i 25 e i 35 anni. Leggi per esempio: "A Paris, une génération visée” o: "Bataclan: La jeunesse qui trinque", (Libération del 15.11.2015)
[3] Cabu (76 anni), Wolinski (80 anni), Bernard Maris (68 anni).
[4] . … "dove erano riuniti centinaia di idolatri in una festa di perversità", sempre secondo il comunicato dell’ISIS.
[5] Vedi il nostro articolo disponibile sul nostro sito web: Francia: Un saluto alle nuove generazioni della classe operaia! [4]".
[6] Vedi su questo argomento, "i ritratti strazianti delle vittime del 13 novembre", pubblicato sul sito del giornale Libération.
[7] "Se l'insieme dei paesi del mondo non è capace di sradicare 30.000 persone, che sono dei mostri, vuol dire che non abbiamo capito niente", Laurent Fabius, ministro degli Affari esteri del governo socialista in Francia (dichiarazione sulla radio France Inter del 20 novembre).
[8] La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [5], maggio 1990.
[9] Militarismo e decomposizione [6], 1991.
[10] . Ricordiamo che questi stessi Stati Uniti hanno contribuito ampiamente all'arrivo al potere di Saddam Hussein nel 1979 in Iraq, in quanto alleato contro l'Iran.
[11] "L’ISIS dispone di un vero e proprio “tesoro di guerra’ (2 miliardi di dollari secondo la CIA), di entrate cospicue e autonome, senza paragone rispetto a quelle di cui disponeva Al-Qaïda. L’ISIS dispone di numerose attrezzature militari, rudimentali ma anche pesanti e sofisticate. Più che ad un movimento terroristico, siamo confrontati ad un vero esercito inquadrato con militari professionisti. Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Affermiamolo chiaramente, perché questo ha delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interesse politico a breve termine, altri attori - di cui certi si mostrano amici dell'Occidente - altri attori dunque, per compiacenza o per volontà deliberata, hanno contribuito a questa costruzione ed al suo rafforzamento. Ma i primi responsabile sono gli Stati Uniti". (Discorso tenuto dal Generale Vincent Desportes, professore associato a Sciences Po Paris all'epoca della sua audizione da parte del Senato francese a proposito dell'operazione "Chammal" in Iraq. Disponibile sul sito web del Senato).
[12] Il califfato che pretende conquistare con le armi comprende anche: l'Iraq, la Siria, il Libano, il Kurdistan, il Kazakistan, i paesi del Golfo, lo Yemen, il Caucaso, il Magreb, l'Anatolia, l'Egitto, l'Etiopia, la Libia, tutto il corno d'Africa, l'Andalusia ed una parte dell'Europa. Questo progetto irrealizzabile è un'impresa suicida ma non per questo meno devastante.
[13] Militarismo e decomposizione [6], 1991
[14] Altro punto in comune con lo Stato islamico, il regime nazista aveva anche lui un obiettivo di conquista ed una politica irrealistica e suicida. È per tale motivo che il termine islamo-fascismo per qualificare l'ideologia dell’ISIS è particolarmente adatto.
[15] Rosa Luxemburg, Junius Brochure, 1915
[16] Il macabro elenco degli attentati nel mondo dopo quello delle Twin Towers nel settembre 2001 sarebbe lunghissimo. Basta menzionare l'attacco e la presa in ostaggio della clientela internazionale e del personale locale di un hotel al centro di Bamako nel Mali da parte di un gruppo legato ad Al-Qaïda una settimana dopo i massacri di Parigi che fatto minimo 27 morti.
[17] Attentati terroristici in Francia: un'espressione della barbarie e della decomposizione del sistema capitalista (Révolution internationale n°149, ottobre 1986).
[18] L'ampiezza dei massacri che colpiscono regolarmente i mercati del Medio Oriente con questo stesso tipo di attacco-suicidi, lascia presagire quale sarebbe stata la terribile carneficina se i terroristi fossero riusciti a penetrare all'interno dello stadio.
[19] Dal comunicato dell’ISIS che rivendica gli attentati
[20] Del resto, questi kamikaze vengono spesso drogati pesantemente prima di entrare in azione, come nel caso di quello che commesso il massacro all'hotel di Sousse a giugno in Tunisia
[21] Un esempio tra tanti: "Ieri, ‘Almeno 36 persone di cui 10 bambini, sono state uccise e altre decine sono state ferite durante gli oltre 70 raid effettuati dagli aerei russi e siriani contro diverse località di Deir Ezzor’, secondo Rami Abdel Rahmane, direttore dell'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo". (L'expresse del 20 novembre)
[22] Pubblicato dalle organizzazioni Associazione internazionale dei medici per la prevenzione della guerra nucleare (IPPNW, premio Nobel della pace nel 1985), Physicians for Sociale Responsibility et Physicians for Globale Survival
[23] Sénat, Étude de législation comparée no 156, gennaio 2006, L'état d'urgence
[24] Rosa Luxemburg, Junius Brochure, 1915
Mercoledì 7 ottobre, la nostra compagna Bernadette ci ha lasciato alla fine di una lunga e dolorosa malattia: un cancro polmonare. Bernadette era nata il 25 novembre 1949 nel Sud-est della Francia. Suo padre faceva l'operaio meccanico in una fabbrica metallurgica, sua madre non aveva un’attività salariata perché si è dovuta occupare dei suoi 8 bambini. Ciò per sottolineare le modeste condizioni di vita della sua famiglia: un'autentica famiglia operaia. Della realtà della condizione operaia, Bernadette aveva fatto direttamente esperienza fin dalla sua più giovane età. Ancora piuttosto giovane fu animata di un'ardente passione intellettuale, dal desiderio di comprendere il mondo e la società attuale. Era attirata dalla letteratura ed aveva una passione per la lettura in generale. Dopo il liceo, entrò all'università di Tolosa dove si è impadronìta della lingua e delle lettere. Successivamente fu assunta come impiegata al ministero dell'educazione nazionale.
Era ancora studentessa quando incontrò per caso un militante dellla CCI, a metà degli anni 1970. Quest'ultimo, vedendo le preoccupazioni che animavano Bernadette, le fece leggere il Manifesto comunista. Fu per lei una specie di "rivelazione": per la prima volta, aveva trovato una risposta chiara e coerente alle domande che si poneva: "è così, è esattamente così", ecco come esprimeva 40 anni dopo ciò che aveva provato alla lettura di questo testo. La lettura dei testi della CCI di cui volle prendere conoscenza in seguito, le provocòto un'impressione simile. Immediatamente, si convinse che la CCI, a differenza di altri gruppi che si proclamavano rivoluzionari ed anche comunisti, come i maoisti ed i trotskisti, che lei aveva incontrato, era una vera erede della tradizione marxista. Una volta impegnata nelle file della CCI nel 1976, Bernadette non ha mai deviato dalla sua convinzione che l'attività rivoluzionaria, la costruzione dell'organizzazione rivoluzionaria e della CCI in particolare, era un fattore assolutamente essenziale della liberazione della classe operaia.
È come militante della CCI che Bernadette è stata presente al nostro Secondo congresso internazionale.
Bernadette ha portato il suo contributo alla vita della CCI a molti livelli. Aveva una percezione acuta della situazione internazionale, delle manovre della borghesia e degli avanzamenti e dei riflussi della lotta di classe; le sue capacità redazionali, la sua buona padronanza del francese, l'hanno portata a lavorare nel Comitato di redazione della sezione della CCI in Francia. Era anche molto brava nello spiegare con molta chiarezza le nostre idee a livello più semplice, "in strada", ma anche presso altre persone che era portata ad incontrare come per esempio gli autisti d'ambulanza che, ogni settimana, la conducevano all'ospedale per le sue sedute di chemioterapia e che ci hanno detto: "Bernadette non ha un carattere facile, ma è sicuramente interessante quando si discute con lei".
Parimenti, nelle manifestazioni, lei sbalordiva i compagni che diffondevano con lei per il numero di pubblicazioni che riusciva a vendere, perché sapeva avvicinare i manifestanti trovando le parole ed il tono per convincerli a leggere la nostra stampa. Ma, indiscutibilmente, la sua più grande qualità era la sua comprensione dei principi organizzativi della CCI, in particolare della difesa della nostra organizzazione di fronte a tutti gli attacchi e le calunnie contro la CCI. Bernadette è sempre stata convinta pienamente che l'organizzazione rivoluzionaria è un corpo estraneo al capitalismo. Ed è anche per questo che era intransigente sul rispetto degli Statuti della CCI e particolarmente sulle questioni concernenti le misure di sicurezza dell'organizzazione.
Bernadette era una compagna della "vecchia generazione" tra le più aperte nell’appropriarsi dell'esperienza politica del compagno MC, il nostro legame vivente con le frazioni comuniste del passato. Sebbene perfettamente capace di porre i suoi interrogativi e di affermare i suoi disaccordi con MC, girava risolutamente la schiena all'ideologia piccolo-borghese della contestazione dei "vecchi" che è stata una delle debolezze particolari del movimento studentesco di Maggio 68. È per questo motivo, tra altri, che il nostro compagno MC aveva una grande stima politica per Bernadette. Ciò che lei ha appreso di MC, era la comprensione dell'importanza centrale della difesa dell'organizzazione in quanto questione politica a pieno titolo, e della necessità dell'adesione ai principi rigorosi (in effetti ad una morale proletaria) nei rapporti dei militanti con l'organizzazione e tra gli stessi militanti.
Bernadette aveva militato in parecchie sezioni della CCI: Tolosa, Parigi, Londra, Tours, Marsiglia e per parecchi anni ha lavorato anche in stretto legame con la sezione della CCI in Svizzera. Si è sempre considerata prima di tutto come militante non di questa o quella sezione locale ma della CCI come organizzazione internazionale. I compagni delle sezioni della CCI in Svizzera ed in Gran Bretagna sono stati testimoni della sua capacità a combattere il localismo, lo spirito dell'”ognuno è padrone a casa sua” aprendo continuamente una finestra sulla CCI in quanto organizzazione internazionale.
Come tutti gli esseri umani e tutti i militanti, Bernadette aveva evidentemente dei difetti che talvolta potevano esasperare certi compagni. Per esempio quando le sue facoltà di critica sembravano sfuggire al controllo e funzionare come una mitragliatrice, facendo fuoco in tutte le direzioni, mostrando in ciò il suo temperamento focoso ed appassionato.
Ma i suoi difetti erano anche le sue qualità. La sua testardaggine, la sua determinazione temperata nell'acciaio (che ha condotto i medici che si sono occupati di lei a descriverla come una "forza della natura") l'hanno resa estremamente tenace nella sua lotta contro il cancro che ha finito per prevalere. Durante i due ultimi anni della sua vita, Bernadette ha stupito il corpo medico restando in vita più tempo di quanto quest’ultimo aveva creduto possibile, e con tutta la sua coscienza, la sua capacità di riflessione e la sua volontà di comprendere. Lottava tanto contro la malattia non solo per continuare la sua lotta militante ma anche per approfittare del più bel regalo che suo figlio le aveva offerto: sua nipote Eloïse. La nascita della nipote, l'attaccamento che quest'ultima aveva per sua nonna e la gioia di vivere che le procurava, ha aiutato enormemente Bernadette a sopportare i tormenti della sua malattia...
Bernadette non ha mai concepito la sua attività come qualche cosa di rigorosamente politico nel "senso comune" del termine. Anche in altri campi manifestava la stessa passione e lo stesso impegno che caratterizzavano la sua vita militante. Aveva scelto il nome di "Flora" come militante nella CCI, a causa del suo amore per i fiori e la natura ed anche perché apprezzava molto i libri di Flora Tristan. Bernadette aveva una sensibilità di artista: amava la pittura, la letteratura, la poesia. Era anche molto dotata nell'arte culinaria che amava condividere con i compagni della CCI ed i suoi amici personali, accolti sempre con molta generosità e calore. Bernadette aveva il senso del bello che si rifletteva nell’elevato gusto con cui aveva arredato lo spazio dove viveva ed anche attraverso i regali che sceglieva per la sua famiglia, i suoi amici ed i suoi compagni.
Durante tutta la terribile malattia che l'ha uccisa, Bernadette ha conservato la sua passione dalla lettura e ciò le ha permesso di sopportare il dolore del cancro e le pesantissime cure a cui era sottoposta. Ha continuato fino alla fine della sua vita a rileggere i classici del movimento operaio, in particolare Marx e Rosa Luxemburg. Si è sforzata, finché le è stato possibile, di assimilare i testi teorici ed i contributi che generavano i dibattiti interni nella CCI, prendendo posizione, (anche se brevemente), ogni volta che le sue forze glielo permettevano.
Bernadette aveva un senso estremamente profondo della solidarietà. Mentre lei stessa soffriva di cancro, sapendosi condannata, continuava a preoccuparsi della salute di tutti i compagni, dando anche ad alcuni di essi dei consigli, esortandoli a fare degli esami e a non trascurare la loro salute. Così, non è stato che un giusto riconoscimento il fatto che i compagni di tutte le sezioni della CCI si siano mobilitati per portarle la loro solidarietà durante tutta la sua malattia, scrivendole, rendendole visita, aiutandola e portandole tutto il sostegno di cui aveva bisogno per finire nella più grande serenità.
Bernadette non aveva paura della propria morte, anche se amava appassionatamente la vita. Sapeva che ogni essere umano è un anello della lunga catena dell'umanità e che quelli che restano continueranno a lottare. Aveva dato in anticipo direttive ai medici che si sono occupati di lei:ha voluto andarsene con dignità fisica, intellettuale e morale rifiutando ogni "accanimento terapeutico." Ha sperato di finire pacificamente i suoi giorni, circondata dai suoi compagni di lotta e dall'affetto manifestatole da suo figlio e dalla sua nipotina. La sua volontà è stata rispettata. Bernadette ci ha lasciato in piena coscienza. Ancora tre settimane prima il suo decesso, si è sforzava di leggere i giornali e di seguire la situazione internazionale. E proprio perché viveva nella sua carne le sofferenze del proletariato essa ha potuto dire al medico incaricato del protocollo della sua fine di vita: "bisogna fermare il mio dolore e bisogna mettere fine alla barbarie del capitalismo!".
Fino alla fine, Bernadette ha dato prova di un coraggio, di una combattività e di una lucidità esemplari. Era realmente una "forza della natura". E questa forza, l'aveva attinta nella profondità della sua convinzione militante, nella sua devozione alla causa del proletariato e nella sua lealtà incrollabile verso la CCI. A suo figlio Thomas, alla sua nipotina Eloïse, alla nipote Emanuela ed all'insieme della sua famiglia, la CCI invia tutta la sua simpatia e la sua solidarietà.
CCI, 15 ottobre 2015
Il fenomeno dell’immigrazione, per dimensione e drammaticità, assume oggi un significato ben diverso da quello dei flussi migratori sempre presenti nel capitalismo.
Le migliaia di morti in mare, nelle estenuanti traversate via terra, lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti, non possono che suscitare dolore e indignazione per la sorte di esseri umani costretti a rischiare la propria vita e quella dei loro figli nel tentativo di sfuggire a una morte certa sotto le bombe, sotto il tiro incrociato degli eserciti e fazioni rivali o per la fame e le malattie frutto di questo inferno.
Ma tutto questo orrore ci pone anche delle domande:
- Quale è la causa di tutto questo? E’ solo la follia omicida di fanatici di etnie e religioni diverse o piuttosto la vera causa di questo dramma sta nella decomposizione di un sistema fatto di crescente sfruttamento, miseria e guerra?
- I media non cercano di dissimulare l’orrore di questa situazione. Al contrario, ne parlano continuamente mostrandoci immagini sempre più scioccanti, come quella del bambino di tre anni annegato. Perché? Quale è il messaggio che vogliono trasmetterci ?
- Come spiegare il cambiamento di comportamento degli Stati europei, primo tra tutti la Germania, rispetto ai rifugiati? Più in generale, le loro politiche più o meno “aperte” verso questa ondata di immigrazione da cosa sono dettate?
In Italia, in Germania, e in diversi altri paesi c’è stata una significativa reazione di solidarietà da parte della popolazione civile verso gli immigrati che arrivavano nel loro paese, in contrapposizione a episodi brutali di xenofobia. Questa solidarietà ha costretto una Merkel, ad esempio, ad ammorbidire l’atteggiamento di netta chiusura delle frontiere.
Ma la sola constatazione di queste azioni di solidarietà non basta. Occorre sviluppare una riflessione su qual è l’impatto di questo fenomeno di immigrazione di massa sul proletariato e sulla sua lotta. Quali sono gli effetti sul proletariato dei paesi da cui fuggono i migranti e sui migranti stessi, quali quelli sul proletariato dei paesi europei. Come la solidarietà umana, espressa fino ad ora, può trasformarsi in solidarietà di classe, dove rifugiati e autoctoni sentono di avere gli stessi interessi; comprendono di poter agire come un insieme rispetto ad una società che non offre alcuna prospettiva né agli uni né agli altri.
Porci queste questioni può aiutarci a capire quali sono gli ostacoli, le illusioni e le trappole a cui il proletariato deve far fronte nella sua lotta.
La CCI ti invita a discuterne insieme alla
Riunione Pubblica
che si terra a Napoli venerdì 30 ottobre, dalle 17.00 alle 20.00
presso il Centro Culturale: LA CITTÀ DEL SOLE, ex-asilo Filangieri,
Vico Giuseppe Maffei, 4 – 80138 Napoli
Articoli sull’argomento sul nostro sito: “L’immigrazione e il movimento operaio”, “Migranti e rifugiati: la crudeltà e l’ipocrisia della classe dominante”.
"In Siria, ogni giorno che passa apporta il suo nuovo carico di massacri. Questo paese si aggiunge alla lista delle guerre imperialiste del Medio Oriente. Dopo la Palestina, l'Iraq, l'Afghanistan e la Libia, è ora giunto il tempo della Siria. Purtroppo, questa situazione pone immediatamente una questione particolarmente inquietante. Che cosa accadrà nel prossimo futuro? In effetti, il Medio Oriente nel suo insieme sembra essere al limite di un incendio di cui difficilmente si scorge la conclusione. Nella guerra in Siria, oggi è l'Iran ad attizzare tutte le paure e gli appetiti imperialisti, ma tutti i principali briganti imperialisti sono impegnati a difendere i loro interessi nella regione infognata in una guerra irrazionale le cui drammatiche conseguenze potrebbero essere distruttrici per lo stesso sistema capitalista".
È così che esordiva l'articolo della Revue Internationale n°149, "La minaccia di un cataclisma imperialista in Medio Oriente", scritto quasi tre anni fa. La situazione da allora non ha fatto che peggiorare e la minaccia di una generalizzazione dei conflitti è sempre più forte.
Ad oggi, sono cinque anni che la guerra imperialista devasta la Siria: in essa sono implicate le grandi potenze Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia – ma anche potenze regionali come l'Iran, l'Arabia Saudita, la Giordania, Israele, ecc. Sembra che questo conflitto non abbia vie d’uscita e, al contrario, la guerra e l'instabilità si estendono. In particolare, lo Stato islamico ed il suo Califfato, espressione particolare dell'irrazionalità e della decomposizione capitalista, si rafforzano. A Tikrit, a Mossul, a Raqqa ed in altre regioni lo Stato islamico continua ad estendersi. A fine marzo, le forze jihadiste di al-Nosra hanno preso la seconda capitale provinciale della Siria, Idleb, solo alcuni giorni dopo che, nel Sud, al-Nosra, con l'aiuto di interventi militari israeliani che, de facto, lavorano con i jihadisti, aveva preso la vecchia capitale arabo-romana di Bosra nella regione di Deraa. Lo stesso tipo di cooperazione è stato osservato nell'immenso campo di profughi palestinesi di Yarmouk nei pressi di Damasco dove al-Nosra ha fatto da battistrada all'avanzata assassina dello Stato islamico in un'enclave, già soggetta a due anni di assedio e carestia, che può essere considerata come un microcosmo della decomposizione generale.
Ma un’alleanza del genere è fragile, come è sempre più effimera la stessa tendenza alle coalizioni imperialiste. Così a Yarmuk, le resistenze alla cooperazione con i jihadisti sono molto forti. E queste stesse alleanze in seno alle differenti frazioni sunnite sono congiunturali e pericolose per il fatto che molte frazioni sunnite si odiano tra loro, ancora più di quanto non odino gli sciiti. A Yarmuk, sta per esplodere una battaglia su tre o quattro fronti; sono coinvolte forze palestinesi pro-Assad così come il gruppo jihadista sunnita anti-regime di Aqnaf Beit al-Maqdis (il Consiglio Shura moujahidin dei dintorni di Gerusalemme - attivo anche nella penisola del Sinai) odiato al tempo stesso dallo Stato islamico e da al-Nosra.
Lo Stato islamico ha anche esteso la sua influenza in Africa settentrionale nelle regioni della Libia destabilizzata dagli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia e nella penisola sempre instabile del Sinai, malgrado l'intervento in queste due zone del regime militare egiziano. Tutto ciò ha delle conseguenze per nuovi attacchi terroristici in Europa ed oltre. L'instabilità e l'armamento libico, la disoccupazione massiccia in tutta la regione e l'ideologia religiosa irrazionale prodotta dalla deliquescenza generale della società capitalista ha aperto un grande corridoio ai gruppi legati ad al-Qaïda, Boko-Haram in Nigeria ed al-Shabaab in Kenya che continuano a diffondere terrore e guerra sia all'interno che all'esterno delle loro frontiere. I paesi che subiscono ciò sono la Somalia, il Sud-Sudan (dove sono presenti truppe cinesi), il Camerun (le cui forze speciali coinvolte da Israele sono mobilitate per combattere), ed il Ciad (le cui forze speciali anti-terroristiche con base a Forte Carson, Colorado, lavorano con istruttori britannici e con forze speciali francesi. Le forze dell'imperialismo francese sono state aumentate prima e dopo gli attentati di Parigi, attentati che si dice ispirati da al-Qaïda della penisola arabica (AQPA).
Le conseguenze dell’ascesa del jihadismo costituiscono una spirale di violenza e di distruzione senza precedenti in Medio Oriente ed in Africa. Per riprendere allo Stato islamico la città siriana di frontiera di Kobane, per esempio, dove i combattimenti proseguono ancora oggi nei villaggi vicini, le potenze occidentali ed i combattenti curdi hanno bombardato la città distruggendola totalmente; e la stessa cosa sembra essere avvenuta a Tikrit in Iraq. Alla politica di terra bruciata ed al terrore dello Stato islamico rispondono la terra bruciata ed il terrore dell'occidente e dei suoi alleati. La devastazione di tutta la regione supera ogni buon senso e mentre i democratici della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Francia, così come quel covo di briganti rappresentato dalle Nazioni Unite, denunciano ipocritamente la distruzione da parte dello Stato islamico degli antichi siti storici e culturali, i loro aerei non sono da meno.
Nonostante i bombardamenti che subisce, lo Stato islamico costituisce una forza enorme ed una minaccia in estensione. Patrick Cockburn, celebre giornalista de The Independant, scrive: "Lo Stato islamico non esploderà a causa del malcontento popolare che aumenta dentro le sue frontiere. I suoi nemici possono schernire le sue pretese di essere uno Stato vero ma, in ciò che riguarda la sua capacità ad arruolare delle truppe, ad aumentare le tasse ed ad imporre la sua brutale variante di islam, è più bravo dei suoi numerosi vicini regionali"[1]. L'esempio di Tikrit mostra fino a che punto è difficile sloggiare lo Stato islamico. In questa città, alcune centinaia di jihadisti hanno tenuto testa per settimane all'assalto coordinato di migliaia di forze speciali irachene e di milizie sciite e benché Bagdad abbia annunciato di avere ripreso Tikrit[2], lo Stato islamico ne controlla sempre delle parti così come le province ben più grandi di Anbar e di Ninive. E quel che è peggio è che l'assalto sembra avere provocato anche dei problemi tra il governo iracheno, gli Stati Uniti e le milizie sciite sostenute dall'Iran, dal momento che la conclusione è stata un aumento dei bombardamenti aerei americani e un sostegno de facto alle forze iraniane. Queste relazioni di cooperazione tra l’America e l'Iran sollevano una grande costernazione e grandi timori tra i vecchi alleati dell'ex-blocco dell'ovest, in particolare in Arabia Saudita ed in Israele.
Un avvicinamento è cominciato a delinearsi durante la guerra condotta dallo Stato islamico in Iraq ed in Siria perché l’ascesa dello Stato islamico ha posto alla politica guerriera degli Stati Uniti un dilemma ancora più grande. Se il regime di Assad fosse stato vinto, la strada di Damasco sarebbe stata aperta dallo Stato islamico. Recentemente, il direttore della CIA, John Brennan, l'ha riconosciuto esplicitamente quando ha dichiarato che non voleva che il governo di Assad crollasse[3], parole alle quali, alcuni giorni più tardi, il segretario di Stato John Kerry ha fatto eco durante le discussioni in vista di un accordo sul nucleare con gli ufficiali iraniani.
Le tensioni tra gli Stati Uniti ed Israele, in particolare con la cricca di Netanyau, sono emerse pubblicamente. Gli israeliani si sentono indeboliti e vulnerabili a causa di quello che certi politici israeliani chiamano la politica americana di "Perno verso la Persia", dopo la politica chiamata Perno verso l’Asia. O Assad o lo Stato islamico, o la peste o il colera, questo è l'insolubile dilemma al quale la politica estera americana è confrontata.
Se Israele si preoccupa dell'avvicinamento irano-americano -una cooperazione che in realtà è esistita fino alla fine degli anni 1970 quando lo Scià dell'Iran rappresentava il gendarme della regione al servizio della Gran Bretagna e degli Stati Uniti - anche l'Arabia Saudita è preoccupata ed è principalmente per tale motivo che si è spinta nell'attuale avventura nello Yemen. La "rivoluzione" islamica del 1979 che rovesciò lo Scià, cominciò a costituire una minaccia per l'Arabia Saudita, con i suoi "appelli agli oppressi" - arma dell'imperialismo iraniano per guadagnare vantaggio sui suoi rivali locali. Da allora, l'Iran ha perso i favori dell'occidente e, allo stesso tempo ed indipendentemente, il regime dell'Arabia Saudita ha sviluppato una linea dura di islam wahabita per promuovere ed incoraggiare i sentimenti e le attività anti-sciite estremiste[4]. Lo Stato Saudita, preoccupato per la possibilità che l'Iran diventi una potenza nucleare, ha espresso chiaramente le proprie aspirazioni al nucleare.
Un altro fattore che gioca in favore di un "asse" americano-iraniano - da cui siamo ancora lontani, anche se un accordo è stato ottenuto sulla capacità nucleare iraniana - è che questo sarebbe, per la Russia, principale alleato dell'Iran e sostenitore di Assad, un serio manrovescio. La Russia sarebbe respinta dentro i suoi territori, accerchiata e compressa. Ciò che farebbe dell'Europa un luogo ancora più pericoloso perché la minaccia dell' imperialismo russo a lungo termine aumenterebbe per cercare di rompere questo accerchiamento.
Anche rispetto a ciò che è abituale in Medio Oriente - conflitti tra comunità religiose, distruzione gratuita, macchinazioni e guerre imperialiste costanti e crescenti - l'attacco condotto dall'Arabia Saudita nello Yemen a marzo scorso ha raggiunto nuovi livelli di assurdità: l'Arabia Saudita dirige una coalizione musulmana sunnita di dieci nazioni in cui è compreso il Pakistan, un paese non-arabo che dispone dell'arma nucleare, per attaccare lo Yemen. I gangster locali, come gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait ed il Qatar sono implicati ma anche il dittatore egiziano al-Sissi così come la cricca genocida del Sudan di el-Béchir. Tutti questi despoti sono sostenuti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna che hanno offerto alla coalizione un sostegno "in logistica ed in informazioni". La forza di questa coalizione non è tuttavia chiara, dato che il Sultanato dell'Oman ha rifiutato di aderirvi, che il Qatar è esitante e che il Pakistan alla fine apparentemente sembrerebbe aver abbandonato. Ulteriore difficoltà, lo Yemen, per la sua situazione geografica, è una specie di Afghanistan, come le forze imperialistiche britanniche, egiziane ed altri nel passato hanno imparato a loro spese. Lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo. Si stima a dieci milioni il numero di bambini al limite della malnutrizione; la povertà e la corruzione sono endemici. Questo paese che non ha conosciuto gravi conflitti etnici nella sua storia, negli ultimi anni è stato succhiato fino al midollo dalle altre potenze imperialiste e da guerre, e adesso si continua con questa nuova guerra. A settembre scorso, il presidente Obama ha qualificato un'operazione di droni americani sul territorio un "successo anti-terrorista", ed anche un "modello"[5] nel genere. Lo Yemen e la sua popolazione che soffrono da molto, subiranno una nuova serie di tensioni e distruzioni che, con ogni probabilità, non faranno che rafforzare la posizione di al-Qaïda e dello Stato islamico nella penisola arabica.
I ribelli Huthi che attualmente si rafforzano nello Yemen vengono dalla setta zaïdista - ramo oscuro dell'islam sciita del clan al-Huthi del nord dove questa popolazione vive da mille anni. Sono nati all'inizio degli anni 1990 come movimento evangelista pacifico, chiamato "la Gioventù credente". Come molti altri, questo movimento si è radicalizzato in seguito all'invasione occidentale dell'Iraq nel 2003. L'Iran lo chiama la rivoluzione "Ansarullah" e certamente ha fornito un'assistenza sulla scala ridotta della situazione regionale. Gli Huthi non sono semplici marionette di Tehran. Hanno già battuto, fino ad ora, le forze governative americane ed il presidente Saleh, sostenuto dall’Arabia Saudita ed anche da truppe di AQPA. Il presidente Saleh ha dimissionato nel 2012, e lui, suo figlio e centomila suoi soldati sostengono l'avanzata degli huthi, un'avanzata che attualmente è stata facilitata dalla disperazione e dalla diffidenza verso le autorità. Il nuovo presidente yemenita Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita e dall’occidente, è fuggito di fronte all'avanzata degli huthi ad Aden dove sono restate alcune forze a lui favorevoli, e si dice che attualmente sarebbe a Ryad. L'affiliazione sunnita di Hadi è fuorilegge in Arabia Saudita, ciò che costituisce un altro elemento di contorsione di questa situazione. Le ambasciate sono state chiuse e le truppe americane sono scappate di fronte agli Huthi. Gli Huthi avanzano, ed hanno raccolto materiale militare, abbandonato dall'esercito americano, valutato mezzo miliardo di dollari. Altro fattore di instabilità: l'alleanza del presidente Saleh con gli Huthi è molto fragile, elementi delle sue truppe si sono riuniti in Arabia Saudita e sono scappati di fronte ai bombardamenti dei loro quartieri. Ciò indica che il rivolgimento di questo esercito contro gli Huthi è possibile, qualora si orientasse nuovamente verso l'Arabia Saudita ed i suoi vecchi sostenitori occidentali.
Certi giornalisti[6] specialisti del Medio Oriente hanno sottolineato la complessità ed i pericoli della guerra che si svolge nello Yemen. La qualificano "pluridimensionale", che è una descrizione chiara della decadenza in atto.
Ci sono gli Huthi, adesso ben armati, non grazie all'Iran ma agli Stati Uniti; l'AQPA- che da 15 anni è mortalmente efficace in questa regione contro i bersagli occidentali e locali, lo Stato islamico che ha annunciato l'apertura del suo ramo yemenita l'anno scorso ed ha finanziato l'attentato di una moschea il 21 marzo, uccidendo più di cento sciiti huthi; le forze sunnite, declinanti, sostenute dall’Arabia Saudita e la costa occidentale del paese in parte dominata dai pirati e dai signori della guerra. Ed è in questo inferno, che l'Arabia Saudita, fortemente armata dall'occidente, vuole condurre dei bombardamenti e mandare delle forze di invasione! L'Arabia Saudita sembra che stia mobilitando 150.000 soldati e prepara la sua artiglieria per attaccare lo Yemen. Le dimensioni militari, economiche e geo-strategiche del conflitto nello Yemen non sono ignorate dai giornalisti: da un lato, ci sono il mare Rosso ed il canale di Suez, dall'altro il golfo di Aden e lo stretto di Bab-el-Mandeb, e questa è un'altra ragione per la quale lo Yemen è una posta così importante nell'arena imperialistica. L'aviazione saudita ha cominciato a bombardare lo Yemen, colpendo inevitabilmente i campi profughi e le regioni civili. L'Arabia Saudita si preoccupa anche della sua popolazione e della stabilità del suo regime con l'approfondimento generale della crisi: è notorio che circa la metà dell'esercito saudita è composta di tribù yemenite.
L'Arabia saudita ha chiamato i suoi piani di guerra yemenita "Operazione Tempesta decisiva", in eco al nome di "Tempesta del deserto" dato all'operazione americana in Iraq nel 1991 che aveva determinato, tra gli altri, il massacro di soldati e di civili iracheni sulla famosa "Autostrada della morte" verso Bassora. L'Iran non apprezzerà l'implicazione dell'Arabia saudita e, secondo l'agenzia Reuters del 29/11/2010, è a conoscenza dell'appello che questa aveva fatto all'America - rivelata da Wikileaks nel novembre 2010 - "bisogna tagliare la testa del serpente" iraniano. Che ci sia o no un avvicinamento tra gli Stati Uniti e l'Iran, le tensioni e le guerre in questa regione non possono che esacerbarsi. Questo è il futuro che il capitalismo riserva a questa regione e, in fin dei conti, al mondo intero.
(Da World Revolution, organo di stampa della CCI in Gran Bretagna)
[1] 20/03/2015.
[2] The Guardian, 1/04/2015
[3] Middle East Eye, 14/03/2015
[4] È chiaro che le potenze imperialiste della regione e, evidentemente, le diverse gang armate sunnite e sciite hanno sostenuto un ruolo di primo piano suscitando le divisioni sunnite/sciite che nel passato erano ben meno importanti. Ma l'esacerbazione di queste divisioni è anche una produzione "spontanea" della decomposizione, di una società nella quale tutti i legami sociali si sciolgono e vengono sostituiti da un'atmosfera fetida di deterioramento.
[5] Il Sunday Telegraph ha pubblicato un articolo su un rapporto delle Nazioni Unite mostrando recentemente che nel 2011, il presidente Saleh, pure essendo sostenuto dall'occidente e dall'Arabia saudita, aveva incontrato dei rappresentanti di alta rango dell'AQPA ed aveva concesso loro un asilo sicuro nel sud del paese dove non sarebbero stati disturbati dai movimenti delle sue truppe. Ciò è tipico dei rapporti e delle combinazioni machiavelliche nella decomposizione del capitalismo. Come i suoi compari dello stesso stampo, Saleh e la sua cricca hanno scroccato anche miliardi di dollari.
[6] Vedere gli articoli di Nussalbah Younis in The Oberver del 29/03/2015 e di Robert Fisk in The Indipendent per esempio del 28/03/2015.
Questo fenomeno dei rifugiati supera oggi per dimensione gli esodi delle ore più buie del 20° secolo. Tuttavia dobbiamo riflettere su una cosa: i media non cercano di dissimulare l’orrore di questa situazione. Al contrario, non smettono di parlarne mostrandoci immagini sempre più scioccanti, come quella del bambino di tre anni annegato. Perché?
Alcuni fatti sono sufficienti ad illustrare l'orrore dell’attuale situazione dei migranti:
- il 27 Agosto, la scoperta in Austria, vicino al confine con l'Ungheria, di 71 corpi (tra cui 8 donne e 4 bambini) in avanzato stato di decomposizione, chiusi in un camion abbandonato ai bordi dell’autostrada;
- pochi giorni dopo, il corpo di un bambino di tre anni, annegato insieme a sua madre e al fratello, era disteso su una spiaggia di Bodrum, in Turchia.
In entrambi i casi si trattava di migranti della Siria in fuga dall'orrore di quattro anni di guerra. Questo fenomeno dei rifugiati, segnato da una diffusione mondiale senza precedenti, supera oggi in grandezza gli esodi delle ore più buie del XX secolo.
Una cosa, però, deve attirare l'attenzione e porre domande: i mezzi di comunicazione non cercano di nascondere l'orrore insopportabile della situazione. Invece essi lo pubblicano sulla prima pagina dei giornali e moltiplicano le immagini shock, come il bambino di tre anni annegato. Perché?
In realtà, la borghesia sfrutta per la sua propaganda, sia la barbarie di cui essa stessa è responsabile e l'indignazione che suscita, sia gli slanci di solidarietà spontanea tra lavoratori (locali e migranti), che cominciano a svilupparsi negli ultimi mesi in diverse parti d'Europa. Si tratta non solo di rompere sul nascere ogni possibilità di riflessione autonoma, ma anche di nutrire in modo insidioso le ideologie nazionaliste per imputridire le coscienze.
Agli occhi della classe dominante, i lavoratori, se lasciati liberi di agire, lo fanno “in modo strano” o in modo “irresponsabile”: essi si uniscono, si aiutano e si sostengono a vicenda. Così, nonostante il martellamento ideologico permanente e di fronte alle pressioni borghesi di ogni genere, spesso, quando i proletari sono in contatto diretto con i rifugiati, portano loro qualcosa che permetta di sopravvivere (bevande, cibo, coperte ...) e talvolta li ospitano. Tali esempi di solidarietà si sono manifestati a Lampedusa in Italia, a Calais in Francia e in diverse città in Germania e Austria. Ad esempio, all'arrivo dei treni di profughi finalmente liberati dalla loro prigionia dallo Stato ungherese, i migranti esausti sono stati accolti da migliaia di persone che sono venute per offrire comfort e sostegno materiale. Dei ferrovieri austriaci hanno anche offerto ore di lavoro straordinario gratuito per il trasporto dei profughi in Germania. A Parigi, migliaia di persone hanno manifestato sabato 5 settembre per protestare contro il trattamento riservato ai rifugiati. Gridavano slogan tipo “Siamo tutti figli di migranti”.
Sentendo una significativa e internazionale reazione di solidarietà apportata dalla popolazione civile, mentre gli Stati non facevano che bloccare e terrorizzare i rifugiati, la classe dominante alla fine ha dovuto reagire. La borghesia è stata costretta ovunque a cambiare il suo discorso anti-immigrati degli ultimi anni e adattarsi. In Germania, il voltafaccia della borghesia le ha permesso di rafforzare la sua immagine politica di democrazia “molto avanzata” e di allontanare meglio i fantasmi del passato di fronte ai suoi concorrenti che a loro volta non hanno mai perso l'occasione di rievocarli ancora.
E' anche il trauma della seconda guerra mondiale che spiega la maggiore sensibilità del proletariato in Germania nell’affrontare la questione dei migranti e il bisogno di solidarietà. Le autorità tedesche hanno dovuto sospendere l'applicazione del regolamento di Dublino che prevede l'espulsione dei richiedenti asilo. Agli occhi dei migranti e del mondo, la Merkel è diventata il “campione dell’apertura” e la Germania un “modello di umanità”. In Gran Bretagna, Cameron ha dovuto cambiare i suoi interventi “intransigenti”, e lo stesso hanno dovuto fare i peggiori tabloid che, poco prima, paragonavano i migranti a degli “scarafaggi”. Per la borghesia, una delle principali sfide è stata quello di reagire e nascondere il fatto che ci sono due logiche totalmente antagoniste che si confrontano: l’esclusione e “l’ognuno per sé” della concorrenza capitalista o la solidarietà proletaria; l’affossamento nella barbarie di questo sistema mortale o l'affermazione di una classe portatrice del futuro sviluppo dell'umanità. La borghesia non ha potuto fare a meno di rispondere ai sentimenti sinceri di indignazione e di solidarietà manifestati nei paesi dell'Europa centrale.
La situazione non è del tutto nuova. Nel 2012, l'Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) già contabilizzava 45,2 milioni di “sfollati”, e lanciava l'allarme di fronte alla portata della catastrofe umanitaria. Nel 2013, a sfuggire all’orrore in tutte le sue forme nel pianeta erano in 51,2 milioni. La soglia dei 50 milioni è stata superata per la prima volta dalla seconda guerra mondiale! L'UNHCR spiega questa terribile dinamica con “la moltiplicazione di nuove crisi” e “la persistenza delle vecchie crisi che non sembrano voler morire”. Risultato: il 2015 sta per segnare un nuovo record: 60 milioni di rifugiati nella sola Europa. Da gennaio, le domande d'asilo sono esplose, in crescita del 78%. In Germania, secondo il Ministro degli Interni, le domande di asilo sono quattro volte di più dell'anno scorso, raggiungendo la cifra record di 800.000. La Macedonia ha dichiarato lo stato di emergenza e chiuso momentaneamente i suoi confini. Ufficialmente, più di 2.800 esuli, uomini, donne e bambini, sono annegati nel Mediterraneo negli ultimi mesi. In Asia, il fenomeno è altrettanto massiccio. Per esempio, un numero crescente di persone originarie del Myanmar (ex Birmania) fugge dalla repressione e cerca disperatamente di raggiungere altri paesi del sud est asiatico. In America Latina, il livello di criminalità e la povertà sono tali che centinaia di migliaia di persone cercano rifugio negli Stati Uniti per sopravvivere. Un treno merci che attraversa il Messico dal sud al nord, soprannominato “La Bestia”, carica regolarmente migliaia di migranti. Essi non solo corrono il rischio di cadere dal tetto dei carri o essere spazzati via nelle gallerie, ma anche di subire l'assalto delle autorità, e ancora di più essere alla mercé di narcotrafficanti o gangster che li sequestrano, violentano, li immettono nella rete della prostituzione e spesso li uccidono. E, per coloro che hanno la possibilità di fuggire, lungo tutto il confine degli Stati Uniti si innalza un “muro” di filo spinato e torri di avvistamento che guardie armate fino ai denti sorvegliano continuamente per sparare a loro come fossero conigli!
In realtà, l'atteggiamento ipocrita degli Stati democratici, dal linguaggio civilizzato, ospita bene i peggiori discorsi xenofobi alimentando sentimenti di paura in alcuni casi, impotenza in altri, paralizzando la riflessione di tutti. Questa propaganda spazzatura si propone, infatti, di rompere qualsiasi slancio di solidarietà sottolineando l'impossibilità di accogliere questi “immigrati troppo numerosi”, presentando l'unica soluzione che è quella di bloccarli fin dalla partenza per evitare caritatevolmente i pericoli del viaggio, quando non incoraggia direttamente le reazioni di autodifesa e legittima le misure di “protezione efficace” contro questa “invasione”. Questa campagna pubblicitaria mira pertanto a distogliere la mente dal comprendere le vere cause di questo fenomeno.
Oramai intere aree del pianeta sono devastate e divenute inabitabili. Ciò è particolarmente vero per l'area che va dall'Ucraina verso l'Africa, attraversando il Medio Oriente. In alcune di queste zone di guerra, più della metà della popolazione è fuggita ammassandosi in giganteschi campi, preda di trafficanti senza scrupoli, un vero traffico organizzato su scala industriale. La vera causa di questo inferno è la decomposizione di questo sistema globale fatto di sfruttamento e guerre: il capitalismo decadente. L'entità del fenomeno dei rifugiati è oggi una chiara espressione della decadenza della società capitalistica che vede una proliferazione di conflitti, pogrom e violenze di ogni genere, l'impoverimento crescente legato alla crisi economica e ai disastri ambientali. Sappiamo che le guerre, le crisi e l'inquinamento sono fenomeni vecchi. Ad ogni guerra, per esempio, sì sapeva che della gente doveva fuggire per salvarsi la vita. Tuttavia, la portata e l'intensità di questi fenomeni è aumentata, alimentando una spirale di barbarie e distruzione. Fino alla prima guerra mondiale, il numero di rifugiati è rimasto relativamente limitato. Con quest'ultima, sono iniziati gli spostamenti di massa: “delocalizzazione”, “trasferimenti di popolazioni” etc. Questa spirale di guerre e distruzioni ha preso un'altra dimensione durante la seconda guerra mondiale, con un numero inedito di rifugiati e sfollati. Poi, durante la guerra fredda, i molteplici conflitti tra i due blocchi Est-Ovest, per interposti paesi, hanno generato a loro volta una grande quantità di rifugiati, insieme alle grandi carestie subsahariane degli anni 1970 e 1980. Ma dopo il crollo del blocco dell’est nel 1990, un vero e proprio vaso di Pandora è stato aperto. In effetti, lo scontro tra i blocchi imperialisti dell’est e dell’ovest imponeva un certo ordine e una certa disciplina, dovendo la maggior parte delle nazioni obbedire agli ordini dei rispettivi capi blocco, gli Stati Uniti o la Russia. Le guerre di questo periodo sono state disumane e criminali, ma anche “classiche” e “ordinate”. Dal momento che l'URSS è crollata, l'instabilità e lo sviluppo del caos hanno gradualmente portato ad una proliferazione dei conflitti locali, contrassegnati dall’instabilità delle alleanze e dall'essere senza fine e senza risultati, con la conseguente disintegrazione degli Stati, la nascita di signori della guerra e altri avventurieri mafiosi, la disgregazione di ogni tessuto sociale ..
E le contraddizioni tra le potenze imperialiste (segnate dall’aumento del ciascuno per sé, in cui ogni nazione gioca le proprie carte imperialiste e inoltre con obiettivi sempre più miopi) hanno condotto queste ultime ad interventi militari con una crescente regolarità, quasi permanente. Le grandi potenze sostengono ognuna una particolare cricca mafiosa, questo o quel signore della guerra, particolari gruppi fanatici nella difesa sempre più irrazionale dei loro interessi imperialisti. Ciò che oramai domina la società capitalista, è la disgregazione di intere regioni dove possono prosperare le espressioni più evidenti della decomposizione sociale: intere aree geografiche nelle mani di trafficanti di droga, l’emergere dello Stato islamico, con le sue barbare atrocità, e così via.
Principali responsabili della disgregazione sociale, ecologica e militare del mondo, questi Stati sono nello stesso tempo diventati delle vere “fortezze”. In un contesto di crisi e di disoccupazione di massa, le misure di sicurezza sono state, in effetti, rafforzate drasticamente e gli Stati si sono letteralmente chiusi in “bunker”. Solo gli emigranti più qualificati sono accettati per essere sfruttati, per abbassare i costi della forza-lavoro ed essere utilizzati per dividere il proletariato. La maggioranza dei rifugiati e dei migranti, quella degli “indesiderabili”, degli affamati senza risorse, è cinicamente pregata di rimanere a casa per morirvi senza disturbare nessuno. Gli Stati del nord li cacciano, letteralmente, come ancora quest’estate in Francia, vicino la “giungla” di Calais, lungo il tunnel sotto la Manica (vedi il nostro articolo in francese sul sito [12]). La società industriale incancrenita dalla crisi economica di sovrapproduzione non può più offrire prospettive. Invece di aprirsi, essa letteralmente si chiude; gli Stati barricano i loro confini, elettrificano e moltiplicano le recinzioni, costruiscono sempre più muri. Durante la guerra fredda, al tempo del Muro di Berlino, esistevano una quindicina di muri per difendere le frontiere. Oggi sono più di una sessantina che sono stati innalzati o sono in costruzione. Dal “muro dell'apartheid” costruito da Israele di fronte ai palestinesi, passando attraverso la barriera di 4.000 chilometri di filo spinato che separa l’India dal Bangladesh, gli Stati sono in preda ad una vera paranoia della sicurezza. In Europa, anche il fronte mediterraneo è fiancheggiato da muri e recinzioni. Durante l’ultimo mese di luglio, il governo ungherese ha iniziato la costruzione di una nuova barriera alta quattro metri. Per quanto riguarda l'area Schengen in Europa, il lavoro dell'agenzia Frontex o il dispositivo Triton, la loro efficienza militare e industriale è formidabile; una flotta permanente di navi di sorveglianza e da guerra impedisce ai rifugiati di attraversare il Mediterraneo. Un dispositivo simile è in atto lungo la costa australiana. Tutti questi ostacoli aumentano notevolmente la mortalità dei migranti, condannati ad assumersi sempre più rischi per passare.
Da un lato, lo Stato borghese si barrica. Alimenta al massimo i discorsi catastrofisti delle frazioni populiste più xenofobe, suscita sempre più odio, paure e divisioni. Di fronte alle degradate condizioni di vita, i settori più deboli del proletariato subiscono con forza questa propaganda nazionalista e xenofoba. Proteste, aggressioni fisiche e incendi dolosi contro le case dei profughi da parte di persone di destra sono stati segnalati in molti paesi. I rifugiati diventano il bersaglio di campagne contro lo “straniero”, contro coloro che “minacciano le nostre condizioni di vita”. Lo Stato legittima così le sue azioni di “protezione”: organizzare l'internamento in campi di detenzione (oltre 400 in Europa), sostenere i peggiori torturatori per controllare e rinchiudere le popolazioni, assicurando le deportazioni e le espulsioni di oggi ... Dall'altra parte, questo stesso Stato borghese si paga il lusso di una finta indignazione attraverso la voce dei suoi politici, parla di “sfida morale” di fronte alla tragedia, si presenta come il garante della “civiltà”, portando la sedicente “assistenza” e favorendo al meglio “l'accoglienza dei migranti”. In breve, lo Stato borghese, questo sinistro criminale, si avvolge della virtù del salvatore.
Ma, finché durerà il capitalismo, nessuna vera soluzione sarà possibile per i rifugiati e i migranti. Se noi non combattiamo contro questo sistema, se non andiamo in modo critico alla radice del problema, la nostra indignazione e la solidarietà non andranno oltre il riflesso di un pronto soccorso, questo sentimento umano profondo e nobile sarà anch’esso recuperato dalla borghesia come un semplice atto di carità, con squilli e telecamere, sopraffatto dallo spirito puzzolente di un nazionalismo insidioso. Quindi noi dobbiamo cercare di capire, arrivare alla radice del problema per poter offrire un punto di vista critico e rivoluzionario. Il proletariato deve sviluppare una tale riflessione critica su queste questioni.
Nei nostri prossimi articoli andremo più in profondità su questo problema storico.
WH, 5 Settembre 2015
Dopo quattro anni di guerra in Siria e da circa un anno dalla costituzione del "Califfato" dello Stato islamico (SI), abbiamo assistito, sostenuta pienamente dalle forze della NATO, a una nuova svolta della Turchia con la sua entrata in guerra, abbandonando i suoi precedenti alleati jihadisti e facendo fuoco sui suoi "partner di pace" curdi. Finora la Turchia era stata alquanto tollerante verso le forze jihadiste, permettendo loro di attraversare le sue frontiere per combattere il nemico, il regime di Assad in Siria. I capi dello SI si sono pavoneggiati apertamente per le città e i luoghi di villeggiature turchi. I suoi combattenti feriti hanno ricevuto cure ospedaliere e sono stati rinviati sui campi di battaglia, proprio come fa Israele con al-Nosra[1]; alcuni poliziotti turchi che avevano arrestato dei membri di alto rango dello SI sono stati, a loro volta, gettati in prigione. In più, ritornando indietro di alcuni anni, rapporti affidabili hanno indicato che, con l'aiuto dei servizi segreti turchi (il MIT) aerei caricati dalla CIA di jihadisti e di armi pesanti di provenienza dalla Libia, sono atterrati in Turchia e hanno attraversato la frontiera siriana per combattere le truppe di Assad e dei suoi alleati dell’Hezbollah. Non c'è alcun dubbio che tutti questi fatti, sebbene raramente vengano alla luce, abbiano causato forti tensioni nella NATO di cui la Turchia è membro, determinando altrettanta tensione nelle relazioni turco-americane, sebbene le stesse agenzie americane siano state implicate nel sostegno agli jihadisti. Questo nuovo fronte turco pone una serie di questioni: perché adesso questa svolta da parte della Turchia? Che cosa significa questa per il "processo di pace" turco-curdo e i suoi due anni di "cessate il fuoco”? Ci sono elementi tra le forze del nazionalismo curdo che rappresentano, in un modo o nell'altro, gli interessi della classe operaia? Questa evoluzione condurrà a una certa pausa o attenuazione nella crescente instabilità e conflittualità di tutta regione?
Il 20 luglio, a Suruç vicino alla frontiera turco-siriana, un attacco kamikaze ha ucciso 32 giovani attivisti e ferito parecchi altri che lavorano o sono in collegamento con la Federazione delle associazioni di giovani socialisti (gruppo della sinistra del capitale). Il kamikaze, un curdo partigiano della jihad è stato subito identificato dal MIT, ed è possibile che gli stessi servizi segreti turchi siano stati implicati nell'attentato. Ci sono dei precedenti in materia (Reyhanli, 2013) e benché la domanda "a chi giova il crimine?" possa non sempre funzionare, nella maggior parte dei casi essa resta valida. Comunque, qualunque siano le persone implicate in quest’atto, la cricca dirigente dell'AKP del presidente Recip Erdogan ha utilizzato gli attentati per rafforzare la sua posizione interna e, dal suo punto di vista, la difesa degli interessi imperialisti turchi. L'AKP di Erdogan, come ogni gang nazionalista, tende a proteggere i suoi interessi all’interno dello Stato e sembra essere sostenuta con decisione dall'esercito turco e dai servizi segreti, entrambi vitali per la permanenza della sua posizione al potere. Chiaramente lo SI non è un alleato affidabile. Le discussioni tra lo Stato turco e le amministrazioni americane su un confronto serio con un SI in espansione sono cominciate poco dopo le elezioni turche in giugno, in seguito allo shock della perdita della maggioranza assoluta da parte dell'AKP e il rafforzamento del Partito democratico dei popoli (il HDP) pro-curdo, che ha ottenuto il 13% dei suffragi e sembrava avere il vento in poppa. Altre tensioni sono aumentate nel partito di Erdogan e nell'esercito turco, quando si è visto l'esercito curdo del YPG[2] (le "Unità di protezione del popolo", il braccio armato del PYD) e del PKK[3] (l'organizzazione bizantina delle forze nazionaliste curde), agire come stretti alleati degli Stati Uniti nei suoi attacchi contro lo SI. È probabilmente una combinazione di questi due elementi (i problemi elettorali interni all'AKP e l’ascesa del YPG con il rafforzamento delle sue posizioni lungo la frontiera turco-siriana) che ha orientato la borghesia turca verso una certa intesa con gli Stati Uniti mettendo a disposizione le sue basi aeree per i caccia-bombardieri e i droni da combattimento americani, in particolare quella di Incirlik, allo scopo di continuare le missioni di bombardamento dello SI in Siria. Nei giorni successivi all'attentato di Suruç, i caccia-bombardieri e l'artiglieria turca hanno colpito una o due postazioni dello SI, parecchie postazioni del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan) in Turchia, nel nord dell'Iraq, ed anche postazioni del YPG alla frontiera siriana (BBC World News, 03/08/2015). La ferocia degli attacchi turchi contro i curdi e la loro sproporzione comparata agli attacchi contro lo SI, mostrano le reali intenzioni dell'AKP. La situazione d’insieme è quella di un vero vespaio e esprime il deterioramento delle relazioni internazionali e l'indebolimento dell'imperialismo americano: un membro della NATO sostiene apertamente il Califfato dello SI; elementi di un'organizzazione curda, etichettata come terrorista, risultano tra i più stretti alleati degli americani nella lotta contro lo SI; le forze jihadiste in continua crescita prendono per l'ennesima volta il sopravvento su forze controllate e attrezzate dagli Stati Uniti; la Turchia permette la libera circolazione dello SI ai due lati della frontiera con la Siria, mentre la stessa Turchia e "consiglieri" americani preparano, altrove, forze anti-SI. Aggiungiamo a ciò le divergenze e le tensioni tra le numerose e varie fazioni curde - come quelle del PKK, lo YPG e il governo del Kurdistan iracheno di Massoud Barzani in Iraq del nord. La totale assurdità della situazione complessiva è oggi la caratteristica principale della maggior parte dei conflitti imperialisti.
Come ogni "cessate il fuoco" o "processo di pace" capitalista, quello tra lo Stato turco e il PKK curdo sono solo momenti di pausa nell'intensificazione della guerra imperialista e della sua conseguente violenza. Questo è stato confermato dal fatto che, proprio dopo gli attentati di Suruç, le autorità turche hanno fermato solo un pugno di combattenti dello SI e fatto pochi assalti aerei contro le postazioni di questo. Di contro, i loro attacchi contro gli interessi curdi e la consecutiva repressione generale contro la popolazione sono stati ben più ampi. Solo alcuni giorni dopo gli attentati di Suruç, elicotteri militari turchi hanno applicato la politica di terra bruciata in zone curde, bastioni del PKK al sud della Turchia, incendiando le culture, il bestiame e le case, mentre installavano posti di controllo militare dove veniva fermato ogni “sospettato” (The Time, 05/08/2015). Da parte loro, le forze del nazionalismo curdo hanno lanciato immediatamente attacchi contro l'esercito turco, incluse azioni di sabotaggio, dove è stato ucciso, come minimo, un ferroviere turco nella provincia orientale di Kars (Agenzia AP, 31/07/2015). Come in qualsiasi azione di "resistenza", questi tipi di attacchi non solo sfaldano la popolazione curda ma provocano su di essa una rappresaglia generalizzata. Con la scusa di un attacco contro lo SI, le autorità turche portano avanti il loro obiettivo reale: l’attacco contro gli interessi curdi, aspettandosi, oltretutto, un possibile rafforzamento del nazionalismo turco e maggiori probabilità di ottenere una maggioranza AKP in caso di nuove elezioni, dando così un mandato aperto alla cricca dirigente. In ogni caso, l’ultima cosa che lo Stato turco si augura è la proclamazione di un nuovo Stato curdo che si rivelerebbe essere un altro "Califfato" etnico, un altro abominio nazionalista, un'altra struttura statale particolare, espressione della decomposizione sociale nella regione. I clan etnici e religiosi certamente hanno le loro specificità, ma hanno in comune l'essenziale: restano entità capitaliste che schiacciano gli interessi della classe operaia. E ciò è valido in generale, ben al di là del Medio Oriente. Guardiamo l'ultimo Stato-nazione del capitalismo, la Repubblica del Sudan del Sud che ha ottenuto la sua indipendenza nel 2011. La gang locale che lo dirige, è stata sostenuta e messa al comando attraverso i servizi segreti, l'assistenza militare e il forte finanziamento da parte dei principali paesi occidentali; dopo di che immediatamente è sprofondata brutalmente nella guerra, in lotte intestine, in corruzione e gangsterismo.
Questi ultimi avvenimenti hanno implicazioni importanti per la NATO. La Turchia possiede il secondo più grande esercito della NATO, forte di 700.000 uomini; la sua svolta contro il "terrorismo" (SI e PKK) è stata salutata dalle forze dominate dagli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, sanno bene quale valido aiuto possa apportare loro la Turchia, non solo mettendo a disposizione le sue basi ma anche liberando la zona controllata dallo SI tra la frontiera turca e Aleppo in Siria[4] e contribuendo ancora a indebolire l'influenza curda lungo la frontiera. Qui la Turchia agisce con una relativa posizione di forza nei negoziati con gli Stati Uniti, essendo questi ultimi a corto di opzioni. La NATO, malgrado alcune divergenze e dubbi al suo interno, ha salutato la decisione della Turchia durante un incontro straordinario a Bruxelles il 28 luglio. A dispetto di alcune parole alquanto mitigate che chiedevano di lasciare i curdi tranquilli, parole in seguito completamente ignorate da Ankara, il Segretario generale della NATO ha così riassunto l'opinione degli ambasciatori sulla riunione del 28: "Siamo uniti tutti nella condanna del terrorismo, in solidarietà con la Turchia" (Jens Stoltenberg, The Independent, 29/07/2015.) La contropartita immediata per la Turchia potrebbe essere proprio l'ottenimento di più missili Patriot, di aiuti maggiori, informazioni riservate e assistenza logistica da parte degli Stati Uniti. Dopo alcune resistenze poste da questi ultimi per un certo un tempo, un'altra concessione da parte loro. Concessione che potrebbe rafforzare l'AKP, potrebbe essere l’attuazione di una "zona di sicurezza", di una "zona cuscinetto" lungo la frontiera turco-siriana, attualmente largamente controllata dal YPG. Il territorio proposto taglierebbe in due quello tenuto dal YPG e sarebbe occupato interamente dall'esercito turco in Siria. Sarebbe de facto una zona di esclusione aerea. Ciò rappresenterebbe un’invasione della Siria e una nuova impennata della guerra così come un possibile trampolino per altre “attività” turche in Siria. A partire da questa potenziale annessione di territorio siriano (in realtà non esiste più un paese denominato "Siria"), sarebbe possibile lanciare altri attacchi, sebbene ciò non sia previsto nell'immediato.
Proprio come le cooperative operaie e le fabbriche autogestite che, anche con la migliore volontà del mondo, non possono sfuggire alle leggi della produzione capitalista, le "lotte" di liberazione nazionale vengono immediatamente fagocitate dall’imperialismo; così come ogni movimento nazionalista, pro-nazionalista o etnico non può che assumere le funzioni di uno Stato capitalista. E ciò è applicabile in particolare al cambiamento di rotta "libertario" del PKK e alle sue idee di un "mini-Stato" federalizzato, rappresentativo non di una certa coerenza ma, al contrario, del processo capitalista globale di smembramento e di frazionamento. In quanto tale, non può essere che pregiudizievole per ogni espressione indipendente della classe operaia.
Sul sito web "libcom", un sostenitore dei curdi etnici, un certo Kurremkarmerruk, mette in discussione l'esistenza di una qualsiasi rivendicazione o di qualsiasi altra cosa in favore di uno Stato da parte del movimento di liberazione curda. Noi ci siamo soffermati più estesamente sulla questione dell’emergere di nuovi Stati. Ma alla fine degli anni 80, il PKK è evoluto da un presunto "orientamento proletario" (con questa espressione il nazionalismo curdo intende un’organizzazione di tipo stalinista), da un modello "di Stato nazionale con un proprio governo", verso una forma di "vita sociale comunitaria con la libertà per le donne". Lasciamo da parte l'abuso sessuale sulle donne largamente diffuso nel PKK; questa "libertà per le donne" si esprime nei fatti con l’“eguaglianza” nella loro integrazione nelle truppe curde e di conseguenza nel loro essere carne da cannone nella guerra imperialista. I nuovi concetti di "comunitarismo nel quale l'individuo è preponderante" all'interno di una federazione "anti-autoritaria" rivendicata dai curdi non sono che un'altra forma di rapporti capitalisti tinteggiati di anarchismo - perfettamente compatibile con un movimento di liberazione nazionale o etnica. Qui non c'è assolutamente niente che metta in questione la società di classe o la guerra imperialista; al contrario, entrambi vengono rafforzati dai desideri nazionalisti curdi di avere un posto nel concerto della "comunità internazionale". Dalla Prima Guerra mondiale, il nazionalismo e l'etnicità hanno fatto dei curdi pedine e carne da cannone nei vari giochi imperialisti. Questo quadro etnico non ha proprio niente a che vedere col marxismo, né con nessuna componente del movimento operaio. Il PKK si basa sul terrore e in particolare verso la propria popolazione. Si basa sull'esclusione etnica e spesso ha giocato un ruolo considerevole sulla scacchiera imperialista. Come molti movimenti di "liberazione nazionale", è stato destabilizzato completamente, tanto materialmente che ideologicamente, dal crollo dello stalinismo alla fine degli anni 80; e niente di tutto questo è cambiato, dato che la componente "socialista" YPG è stata, fino a poco fa, il più stretto alleato dell'imperialismo americano nella regione. In passato, gli interessi etnici curdi sono stati utilizzati da Russia, Siria, Iran, Iraq, Armenia, Germania, Gran Bretagna e Grecia e hanno adottato e sviluppato i valori capitalisti di democrazia e di pacifismo. Ogni movimento nazionalista o etnico, o particolarmente "federato", resta essenzialmente un'organizzazione statale che lavora in seno al capitalismo e alle sue forze imperialiste. La difesa dell'etnicità curda, come di qualsiasi altra, si basa sull'esclusione. Quali che siano le mistificazioni e il linguaggio da sinistra radicale, l'obiettivo dell'etnicità curda resta la "patria comune", una struttura interamente capitalista.
Ora sembra che la cricca Erdogan/AKP, con l'esercito che l'appoggia, ne abbia avuto abbastanza dell'ascesa "pacifica e democratica" dei curdi all’interno della "comunità internazionale", in altre parole della scacchiera imperialista, e ha deciso di passare all'offensiva contro di essi rafforzando anche la posizione del suo partito all’interno dello Stato. E le forze curde a loro volta presenteranno tutto ciò come un attacco contro i loro sedicenti "principi socialisti" e andranno oltre nella loro "guerra di auto-difesa", agendo così da ulteriore fattore di divisione nella classe operaia.
Per la classe operaia dei maggiori paesi capitalisti della regione, la generalizzazione di questa guerra e le sue manifestazioni sono una notevole fonte d’inquietudine, a causa soprattutto dell'implicazione del loro "proprio" Stato e dell'espansione del militarismo in generale. Per le popolazioni locali e quelle circostanti del Medio Oriente, la situazione è quella dell’oscura certezza di più guerre, violenze, caos e instabilità. Lo SI estende il suo Califfato e forze simili gli fanno fronte, mentre a un altro livello persiste l'indebolimento dell'imperialismo americano che ha, tra l’altro, permesso alla Turchia di cambiare atteggiamento e diventare più aggressiva. Una delle debolezze degli Stati Uniti è dover contare sulle forze curde, una situazione che, a un certo punto, ha fatto precipitare ulteriormente la crisi. Nell'immediato, gli attacchi turchi contro i curdi non possono che indebolire la lotta contro lo SI. Ma esistono ancora pericoli più grandi. Adesso Obama, dopo un anno di bombardamenti da parte della coalizione con 5.000 incursioni aeree, 17.000 bombe che hanno ucciso almeno centinaia di civili aggiungendoli alla carneficina, mentre lo SI è rimasto relativamente indenne e più radicato, ha autorizzato una copertura aerea completa per le sue forze terrestri in Siria (World Socialist Website, 04/08/2015). Il problema per gli americani è che le forze terrestri su cui possono contare in Siria sono attualmente inesistenti. L'altra complicazione è che il regime di Assad possiede un sistema di missili di difesa aerea di fabbricazione russa molto sofisticata.
In questa miscela esplosiva d’irrazionalità, di rivalità interetniche e religiose supervisionate dall'imperialismo e dallo sviluppo del ciascuno per sé, l'indebolimento dell'influenza degli Stati Uniti ha contribuito a costringerli a concludere un accordo nucleare con l'Iran che ha conseguenze e implicazioni ben pesanti. L'accordo avrà un impatto sulla Turchia, sulle altre potenze regionali, sulla Russia e altri ancora. Ritorneremo in seguito sugli elementi dall'accordo irano-americano e le sue implicazioni.
Da World Revolution, organo di stampa della CCI in Gran Bretagna, 8 agosto 2015.
[1] L’ottobre scorso, l'analista del Medio Oriente Ehud Yaari ha riferito sulle relazioni tra Israele e al-Nosra
[2] La pagina Wikipedia del YPG descrive un autoritratto in rosa impregnato di "socialismo" e di tolleranza. Queste parole smielate sono smentite dalla sua coerenza etnica e dalla sua "pulizia" militare delle zone arabe, come la città di Tal Abyad dove 50.000 persone sono state cacciate dalle avanzate militari del YPG a giugno scorso e hanno ora raggiunto i milioni di profughi che non hanno più casa a causa della guerra. Il YPG è chiaramente membro di un esercito imperialista e, in quanto tale, la "pulizia etnica" fa parte del suo lavoro.
[3] Come per la guerra in Ucraina, numerosi elementi dell'anarchismo che sostengono il YPG e la presunta "Rivoluzione del Rojava" non fanno altro che mostrare il loro sostegno aperto alla guerra imperialista.
[4] La speranza particolare delle forze "indipendenti", sostenute dagli Stati Uniti, che si incaricano di questo è già naufragata in un altro rovescio: i combattenti di una forza anti-Assad non jihadista di base in Turchia, sostenuta dagli Stati Uniti, la Divisione 30, sono stati travolti dalle forze di al-Nosra (The Independent, 31/07/2015). Sicuramente saranno consegnati allo SI, interrogati, torturati, e la loro sorte è già segnata.
Il romanzo giallo che dura almeno dall'ultimo ciclo di negoziati lanciati a febbraio scorso occulta, in parte, la situazione economica catastrofica e le drammatiche condizioni di vita dei proletari in Grecia. L’impoverimento brutale, la disoccupazione di massa e la caduta vertiginosa di salari e pensioni, i ritardi e le minacce di mancato pagamento, lo sfacelo brutale degli ospedali, il crollo dell’assistenza e dei servizi sanitari, il razionamento drastico degli ultimi medicinali disponibili, il moltiplicarsi dei suicidi e delle depressioni, la tensione nervosa, la clochardizzazione strisciante e anche la fame in seguito alla chiusura delle banche e al razionamento, tutto ciò alimenta uno scenario terribile: il precipitare del capitalismo nella sua fase estrema di decomposizione. Sullo sfondo di una crisi economica cronica, dove per la prima volta uno Stato occidentale si ritrova in default di pagamento, assistiamo allo sfruttamento di quest’avvenimento che viene trasformato in maniera indecente in un grande spettacolo teatrale dai molteplici colpi di scena. Veniamo ancora una volta tenuti sul filo del rasoio con questo famoso “debito greco” sul quale si scatenano le rivalità delle grandi potenze dove ogni capitale tenta di difendere al meglio i suoi sordidi interessi nazionali. Tutti i media si sono adoperati a fare durare la suspense intorno alla "Grexit" fino al momento fatidico, quello dell'ora simbolica che una volta spaventava i bambini, lo scoccare della mezzanotte, del martedì 30 giugno. E dopo? La fata Carabina greca si sarebbe trasformata in zucca? No! Il FMI "apprendeva" che non sarebbe stato rimborsato dei 1,5 miliardi di euro che doveva versargli lo Stato greco. Un segreto di Pulcinella! Per condire il tutto, occorreva ancora la magia di un'altra suspense, quella del referendum voluto dal governo Tsipras: i greci avrebbero votato per il sì o per il no?
Alla fine, è il no che ha vinto la domenica del 5 luglio, dopo una serie di sondaggi accuratamente messi in scena giusto prima degli scrutini.
Una borghesia preparata di fronte agli avvenimenti
Contrariamente alle esagerazioni di un’ondata di panico per la possibile traiettoria della Grecia “verso un terreno sconosciuto”, talvolta rievocato da certi media per tentare di spaventare le popolazioni per meglio asservirle e attaccarle, la realtà è piuttosto quella di una degradazione dell'economia greca già esangue da anni, aggravata da misure anti-operaie assestate dallo stesso governo Syriza. Il risultato del referendum dunque non cambia niente. È per questa ragione che il gioco dei negoziati tra, da un lato, il FMI, le istanze politiche dell'UE, la BCE, e dall'altro, il governo greco anche lui in difesa dei suoi interessi nazionali, è in realtà un braccio di ferro tra delinquenti che accompagna tutto un maneggio politico-mediatico che supera lo scenario strettamente economico. Di fronte alla gravità della situazione la borghesia aveva già dovuto adattarsi e organizzarsi per far fronte in anticipo alle difficoltà economiche della Grecia e della zona euro, proprio come aveva fatto di fronte agli scossoni e alle conseguenze della precedente crisi finanziaria e bancaria detta dei subprime nel 2008. Allora ha saputo reagire in modo concertato per evitare le conseguenze peggiori del capitombolo della borsa. Prendendo delle misure a livello di Stati e banche centrali (Banca centrale europea o la Banca federale americana), riesce a sostenere i mercati ed evitare un prosciugamento troppo brutale delle liquidità. Nei fatti, la situazione della Grecia è perfettamente conosciuta e seguita. È evidente che le banche (in particolare la BCE) e gli Stati si sono largamente anticipati per organizzarsi, prendere delle misure di fronte alle difficoltà della Grecia. Tsipras del resto non vede nel risultato del no una rottura ma "il rafforzamento del nostro potere di negoziato".
Il declino storico del capitalismo ha generato, da un secolo, una tendenza universale al capitalismo di Stato, spingendo quest’ultimo a diventare un attore centrale dell'economia. Questa tendenza, iniziata per le necessità di fare fronte alle contraddizioni crescenti del sistema e al tempo stesso ai bisogni di mobilitazione per la guerra totale, si è accentuata fortemente in seguito al grande crac borsistico del 1929 e da allora non è mai cessata. E’ stata accumulata tutta un'esperienza attraverso la messa in opera del keynesianismo che si è perfezionata via via che ci si è dovuti confrontare con le sfide dei grandi soprassalti economici del 19° secolo. Dagli anni 1980 -1990 e la "mondializzazione", palliativi sempre più complessi, attuati attraverso meccanismi che hanno consentito di barare in tutti i modi con legge del valore, hanno permesso agli Stati capitalisti più potenti di rallentare gli effetti più disastrosi della crisi economica e soprattutto di far ricadere quelli più devastanti sugli Stati capitalisti rivali più deboli. In qualche modo, la Grecia è già una prima periferia in seno all'UE. Essa si trova ai margini sud dell'Europa e presenta tutte le debolezze sfruttate paradossalmente dagli Stati-squali che ipocritamente si chinano al suo capezzale. Molto prima del caso Grecia, lo stesso FMI aveva dovuto far fronte ad altre situazioni catastrofiche, come il caso Argentina all'inizio degli anni 2000. Inoltre il caso della Grecia, per preoccupante che sia, non rappresenta in realtà che l'1,8% del PIL della zona euro, ciò che limita parecchio i "rischi di contagio". Peraltro, le banche private hanno allegerito largamente il "debito greco" a profitto della BCE e dei principali attori pubblici quali sono gli Stati. Tutto questo mostra che la posta essenziale della messa in scena ha anche una dimensione politica.
Una messa in scena politica contro il proletariato
La principale ragione di tutta la mascherata mediatica che sfrutta la gravità della situazione è essenzialmente volere mistificare il proletariato, annebbiare le coscienze, soprattutto tentare di mascherare la natura borghese e nazionalista di Syriza e del governo Tsipras. E ciò anche per accreditare l'idea di una possibile "alternativa" credibile della "sinistra radicale" che progressivamente sta emergendo in Europa (come Podemos in Spagna, Die Linke in Germania, il NPA nuovo partito anticapitalista e il Fronte di sinistra in Francia, ecc.), di fronte ai partiti socialisti giudicati dei "traditori" che abbandonano i "valori della sinistra". Uno scopo essenziale è naturalmente anche far ingoiare la pillola dell'austerità e gli attacchi per tutti i lavoratori, e non solo in Grecia! Esporre al potere una frazione tanto "radicale" come l'estrema sinistra dell'apparato politico borghese non può che screditare le ideologie gauchiste necessarie all'inquadramento politico del proletariato. Tanto più che queste ideologie sono state abbastanza indebolite dal crollo del muro di Berlino a causa del loro sostegno, per parecchi decenni, ai regimi stalinisti (certo in modo "critico", ma non meno zelante). Tutta questa messa in scena, pur esprimendo alcune divergenze e rivalità politiche ben reali dei protagonisti del negoziato, ha costituito un sostegno al mantenimento dell'immagine della sinistra radicale di Syriza. Anche se sembra paradossale, l'atteggiamento degli uni e degli altri non fa che rafforzare l'immagine "di intransigenza" del governo greco e valorizzare la sua volontà di "rifiutare i diktat di Bruxelles" confortati dalla vittoria del no. La posizione molto ferma della Cancelliera Angela Merkel, e del FMI, e la volontà di mantenere negoziati più aperti da parte delle istanze europee che hanno un atteggiamento "più comprensivo" del presidente Hollande, più "aperto a sinistra" rispetto alla Grecia pur restando "fermo", permettono in fin dei conti di presentare il governo Syriza come "fedele al popolo", rifiutando in modo categorico "l'austerità". In fin dei conti, Syriza e Tsipras si confermano essere degli "eroi" e "vittime" dell'ex-Troica, istanza assimilata ai "capitalisti cattivi"[1]. In questo modo gli attacchi sempre più forti portati direttamente dallo Stato greco sembrano essere imposti da "l'esterno". Il governo greco che reprime e spreme i proletari come non mai, questo boia alla testa dello Stato borghese, ritrova in questo modo uno statuto di vero "combattente" che tiene testa ai "capitalisti" per attenuare la "sofferenza del popolo greco". Alla fine, Syriza, supportato da questo aiuto e dal suo "sostegno popolare", può continuare a beneficiare di un'immagine "operaia". E questa mistificazione è tanto più efficace quanto più viene ripercossa e sostenuta in Europa dai gauchisti (estremisti di sinistra del capitale con tutte le loro sfaccettature) che applaudono alla vittoria del no per puntellare meglio il loro discorso su una pretesa alternativa possibile all'austerità: "Dal 25 gennaio 2015 e dalla vittoria elettorale di Syriza in Grecia, la Troica UE-BCE-FMI usa una brutalità inaudita per far capitolare il governo Tsipras, affinché la scelta popolare di finire con l'austerità fallisca"[2].
Si tratta di una vera trappola ideologica che sta estendendosi in tutta l'Europa.
Un'altra conseguenza importante di tutte queste manipolazioni ideologiche è l'accentuazione delle divisioni in seno alla classe operaia. Innanzitutto, presentando i proletari greci come paria e vittime "a parte", la cui sorte è "estranea" agli altri proletari "benestanti" in Europa, i media cercano di isolare i proletari greci dai loro fratelli di classe. In fin dei conti, solo gli operai greci avrebbero una "ragione valida" di lottare, sebbene, per "saggezza", si deve fortemente raccomandare loro di accettare i "sacrifici necessari" per "uscire della crisi". Questo porta anche a snaturare completamente la solidarietà riducendola a un semplice sostegno elettorale in favore del no: "Occorrono mobilitazioni di solidarietà massicce, affinché la fiducia aumenti, affinché il No vinca in Grecia" (ibid). Tale è la "solidarietà" dei gauscisti: né più né meno che un sostegno al governo greco che difende i suoi sordidi interessi capitalisti nazionali! Infine, attraverso questa ideologia democratica che inquadra e motiva il referendum, le divisioni all'interno dello stesso proletariato greco si sono rafforzate con il divario si/no, anche se il no vince con una netta maggioranza.
In fin dei conti, come dicevamo in uno dei nostri articoli precedenti, "Il fatto che i gauchisti descrivano Syriza come una spece di alternativa al capitalismo è una vera e propria frode. Giusto prima delle elezioni, un gruppo di diciotto economisti distinti (inclusi due vincitori del Premio Nobel e un vecchio membro del Comitato di politica monetaria d'Inghilterra) ha scritto al Financial Time di approvare certi aspetti della politica economica di Syriza (…) Come fa notare un commento sul sito della rivista The New Statesman: "il programma di Syriza (…), è macro-economia classica. Il partito Syriza ha semplicemente l'intenzione di applicare ciò che i manuali suggeriscono". E dunque, seguendo i manuali, Syriza ha negoziato con i creditori europei della Grecia, in primo luogo per prolungare il piano di salvataggio e le sue condizioni (...)"[3].
Syriza e i gauchisti che lo difendono, la famosa troica e consorti, i media che li mettono in scena, tutti continuano a portare avanti le loro mistificazioni. Appartengono allo stesso mondo, quello del capitalismo decadente. Sono i commissari politici difensori dello Stato, di un ordine borghese al servizio dello sfruttamento più brutale.
WH, 6 luglio 2015
[1] L'ex-ministro Varoufakis ha anche accusato i creditori di Atene di "terrorismo!" Dimettendosi all'indomani del referendum’ nonostante la vittoria del "no", permette all'apparato politico di conservare un'ala sinistra che, di fronte alle inevitabili nuove misure di austerità del governo Tsipras, potrà far valere il suo "vero" radicalismo.
[2] Detto dal NPA, un sedicente nuovo partito anticapitalista francese.
[3] Grèce: les gauchistes cachent la nature bourgeoise de Syriza [14]
Pubblichiamo qui la reazione di un nostro contatto in spagna che esprime bene l'indignazione e la collera che tutti i proletari e i rivoluzionari devono sentire di fronte a questo avvenimento che ha provocato la morte e intossicato centinaia di operai in Cina (dove un'altra esplosione, il 23 agosto, in una fabbrica di prodotti chimici nel sud del paese, vicino alla città di Zibo, ha provocato un altro morto e altri 9 feriti) e che costituiscono, come il nostro simpatizzante dice, un odioso assassinio perpetrato dal sistema capitalista in fase di decomposizione.
Questa denuncia è tanto più necessaria perchè questo tragico avvenimento sta alimentando una campagna ideologica che punta il dito sulle sole autorità cinesi, sull'arcaismo e la vetustà delle infrastrutture, sull'incuria e la negligenza dei “regimi dei paesi dell'Est”, esattamente come al momento della catastrofe di Chernobyl di sinistra memoria. Si fa anche conto sulla “dimenticanza delle masse” per cercare di oscurare il fatto che le testimonianze implacabili delle catastrofi strettamente legate alla follia del capitalismo e alla sua insaziabile avidità di profitti marcano i drammi dei paesi situati nel cuore stesso del sistema capitalista, da Fukushima alla fabbrica AZF di Tolosa, passando per Seveso o Three Mile Island. Sì, nelle loro lotte e con la loro determinazione a battersi contro il capitalismo il proletari devono “apprendere da ogni cosa” e “non dimenticare niente”...
Il 12 agosto scorso, alle 22 e 50, veniva segnalato un piccolo incendio nei depositi del quartiere di Bihai, nella città portuale di Tianjin, in Cina. Dei pompieri si portano sul posto. Una quarantina di minuti più tardi avveniva una esplosione terrificante, equivalente a quella di 3 tonnellate di TNT, e qualche secondo dopo un'altra brutale esplosione, equivalente questa volta a 21 tonnellate di TNT, che è stata rilevata anche dai satelliti che girano intorno alla terra.
Come si è potuta produrre una tale esplosione? Questi depositi non erano dei depositi qualsiasi, si trattava di capannoni dove erano stipati prodotti pericolosi pari a più di 3.000 tonnellate di prodotti potenzialmente nocivi per l'essere umano, situati in una zona industriale, dove, ovviamente, vivono solo operai. Presumibilmente, il carburo di calcio stoccato lì ha potuto provocare una reazione esplosiva mescolandosi con l'acqua riversata dai pompieri che cercavano di spegnere l'incendio, trasformandosi così in acetilene esplosivo. L'esplosione di questo acetilene avrebbe fatto da detonatore sufficiente a innescare una reazione a catena tra gli altri prodotti stoccati, provocando un'esplosione molto più forte. Per il momento il bilancio provvisorio è di 114 morti e, inizialmente, 720 persone sono state ricoverate in ospedale. Bisogna infine aggiungere che il deposito conteneva 700 tonnellate di cianuro di sodio, una sostanza altamente tossica per l'essere umano, che si è liberato e ha contaminato tutta la zona.
Ma al di là delle cifre, delle cause tecniche della catastrofe, degli eventi e dei fatti, una cosa viene accuratamente nascosta: è la logica inumana del capitale che ha portato un nuovo colpo alla classe operaia che paga con il suo sangue, è questo nuovo oltraggio a tutta l'umanità che continua a vivere su questo pianeta. Nel 1915, nel suo opuscolo Il nemico è nel nostro paese, il rivoluzionario Karl Liebknecht già diceva: “I nemici del popolo contano sulla dimenticanza delle masse, ma noi combattiamo la loro speculazione con la seguente parola d'ordine: apprendere da ogni cosa, non dimenticare niente, non perdonare niente!”.
Questa indicazione resta oggi assolutamente valida. Perchè esistono depositi di questo tipo, se non a causa della necessità di ridurre i costi di produzione dell'accumulazione capitalista? Perchè degli operai sono obbligati a vivere a fianco di queste mostruose bombe potenziali se non per ottimizzare al massimo lo spazio o ammucchiare una popolazione da sfruttare e sacrificare sull'altare del Moloch capitalista?
Nella sua fase di decomposizione il capitalismo perde quel poco di controllo e di funzionamento “ragionevole” che gli restava. E' per questo che invia dei pompieri a spegnere un incendio con estintori ad acqua in un deposito pieno di sostanze che potevano reagire con violenza a contatto con essa.
Così il capitalismo ha perduto allo stesso tempo i suoi magazzini, le sue infrastrutture industriali e si è anche fermata l'attività di un porto per il quale transitavano il 40% dei veicoli importati; il gigante dell'industria mineraria BHP Billiton ha dovuto sospendere ogni sua attività portuale; la Renault ha perduto 1500 vetture, la Hyundai 4.000; Toyota e John Deere sono stati costretti ad interrompere la loro produzione; 17.000 edifici sono danneggiati, ecc. La follia capitalista dell'accumulazione si è rivoltata come un gigantesco boomerang e il capitalismo dimostra ogni volta di più la sua incapacità a perpetuare il suo modo di produzione.
Ma se la borghesia ha subito dei danni in questa catastrofe, provocata dal mostro sanguinario su cui cavalca, quelli che hanno perduto di più sono i proletari. Cosa conta tutta la produzione industriale di Toyota, John Deere e BHP Billiton a confronto della vita di un solo proletario? A confronto con tutti gli operai che si sono ritrovati senza alloggio e, ancor peggio, con gli operai che l'infame governo cinese cerca di rialloggiare in un perimetro completamente contaminato dal cianuro? Niente!
Di fronte a questa dura realtà, di fronte a queste umiliazioni continue da parte della borghesia e del governo cinese, ci sono state delle deboli proteste. Ma soprattutto si tratta di proteste immerse in un pantano di democraticismo e di legalità, che puntano sul fatto che non si conosceva la natura dei prodotti immagazzinati mentre lo si sarebbe dovuto sapere, che questi erano troppo vicini, che non rispettavano le norme di sicurezza previste dalla legge...
In Cina si deve ancora alzare un vera voce proletaria, una voce che dica chiaramente: no all'assassinio dei nostri fratelli di classe, no a queste condizioni di vita, una vita da servi e umiliante vissuta in città-fabbriche, no alla immonda logica del capitale!
In sostanza, deve alzarsi una voce che parli di quello che resta di umano nell'uomo. Perciò, noi vogliamo, noi dobbiamo essere questa voce che afferma: “Imparare da ogni cosa, non dimenticare niente! Non perdonare niente! Tianjin è un assassinio!”
Comunero, 24 agosto 2015
Il 12 e 19 aprile, due imbarcazioni di fortuna, sovraccariche di migranti in fuga dalla miseria più terribile, sono affondate nelle profondità del Mediterraneo, portando con sé più di 1.200 vite umane[1]. Queste tragedie ricorrono da decenni: nel 1990, lo stretto di Gibilterra, questa fortezza ultra sicura, era già la tomba di molti migranti. Dal 2000, circa 22 000 persone sono scomparse nel tentativo di raggiungere l'Europa via mare. E dopo la tragedia di Lampedusa nel 2013, dove morirono 500 persone, questa migrazione e le sue conseguenze fatali hanno conosciuto una crescita senza precedenti. Con quasi 220.000 attraversamenti e 3500 morti, il 2014 ha polverizzato i "record" (sic!). In quattro mesi, dal 1° gennaio 2015, il mare ha già inghiottito 1.800 migranti.
In questi ultimi anni, stiamo assistendo ad una sorta di industrializzazione di questo traffico di esseri umani. Le testimonianze sono talvolta edificanti: campi profughi, attraversamento di zone di guerra, saccheggi, percosse, stupri, schiavitù, etc. La brutalità e il cinismo dei "contrabbandieri" sembrano non avere alcun limite. E tutto ciò per essere accolti in un’Europa in condizioni indegne e, riprendendo le parole del capo dell’operazione Triton impegnato a "salvare" i migranti dalle onde, come un "peso"!
Se degli uomini sono disposti a sopportare tali prove, significa che fuggono da qualcosa di peggiore. All'origine dell'aumento dei flussi migratori, vi sono le condizioni di esistenza insostenibile in sempre più regioni del pianeta.
Queste condizioni non sono nuove, ma peggiorano a vista d’occhio. La fame e le malattie colpiscono ancora. Ma è soprattutto da una società in decomposizione che fuggono queste migliaia di persone: la decomposizione accelerata dell’Africa e del Medio Oriente, con i loro conflitti inestricabili, le bande armate mafiose e fanatiche, la persistente insicurezza, il racket, la disoccupazione di massa.
Le grandi potenze, spinte dalla logica di un capitalismo sempre più irrazionale e assassino nel difendere i loro interessi imperialistici con i mezzi più sordidi, hanno una parte importante di responsabilità nella terribile situazione in molte parti del mondo. Il caos libico è caricaturale: le bombe occidentali hanno rimpiazzato un tiranno con milizie disorganizzate senza fede e senza legge. Oltre al fatto che questo illustra perfettamente l'unica prospettiva che il capitalismo è in grado di offrire all'umanità, la dislocazione del paese ha favorito la creazione di organizzazioni di "contrabbandieri" senza scrupoli, spesso legati a diversi interessi imperialistici: cricche mafiose, jihadiste e persino governi autoproclamati in lotta gli uni contro gli altri, che appartengono speso alla prima o alla seconda categoria, o anche ad entrambi.
Come i migranti che attraversano il Mediterraneo, lo sradicamento è registrato nella storia della classe operaia. Dall'inizio del capitalismo, una parte della popolazione rurale medioevale fu strappata alla terra per formare la prima forza lavoro manifatturiera. Spesso vittime di espropri brutali, questi paria del sistema feudale, troppo numerosi per essere assorbiti tutti dal Capitale emergente, venivano già trattati come criminali: "La legislazione li trattava come criminali volontari; supponeva che dipendesse dalla loro libera volontà di continuare a lavorare come prima e come se non ci fosse stato alcun cambiamento nella loro condizione" (Karl Marx, Il Capitale). Con lo sviluppo del capitalismo, il bisogno crescente di manodopera generò innumerevoli flussi migratori. Nel XIX secolo, quando il capitalismo prosperò, milioni di migranti presero la via dell'esodo per riempire le fabbriche. Con il declino storico del sistema, a partire dalla prima guerra mondiale nel 1914, gli spostamenti di popolazioni non sono mai cessati e sono addirittura aumentati. Guerre imperialiste, crisi economiche o disastri climatici, ci sono molte ragioni per sperare di sfuggire all'inferno.
E con la crisi permanente del sistema, i migranti ora si scontrano con il fatto che il capitale è incapace di assorbire molta più forza lavoro. Ostacoli amministrativi, di polizia e giudiziari, si sono moltiplicati poco alla volta per impedire agli immigrati di raggiungere i territori degli Stati più sviluppati: limitazione della durata del soggiorno, rimpatri di massa con charter, molestie legali, stalking di polizia, pattuglie marittime e aeree alle frontiere, campi di detenzione, ecc. Così, mentre gli Stati Uniti, alla ricerca di una numerosa forza lavoro, erano, prima della 1a Guerra Mondiale, il simbolo di una terra d’asilo, ora il territorio degli Stati Uniti è bloccato da una muraglia gigantesca e mortale al confine con il Messico. L'Europa non è ovviamente sfuggita a questa dinamica. Dal 1980, i democratici Stati europei hanno iniziato a schierare una flotta di navi da guerra nel Mediterraneo e non hanno esitato a lavorare a stretto contatto con la "Guida della Rivoluzione" Muammar Gheddafi e i suoi stimati omologhi, sua Maestà il re del Marocco e il Presidente a vita dell’Algeria, Abdelaziz Bouteflika, per respingere i migranti nel deserto, con metodi di estrema crudeltà. Mentre la borghesia abbatteva trionfante la cortina di ferro, altri "muri della vergogna" venivano eretti un po’ dappertutto alle frontiere. L'ipocrisia della libertà democratica di circolazione all'interno dello spazio Schengen appare in modo esplicito. Quanto a coloro che alla fine riescono nella traversata c’è stalking, umiliazione e condizioni vili di detenzione. In ultima analisi, dietro le loro lacrime di coccodrillo, il cinismo degli Stati non è minore di quello dei "contrabbandieri".
I naufragi delle imbarcazioni di fortuna sono tristemente comuni da decenni, i migranti vengono detenuti come criminali, ridotti in schiavitù o uccisi ogni giorno. L'esplosione del numero delle vittime nel Mediterraneo non risale all’ultimo mese. E allora perché ora c’è una tale frenesia dei media?
Ciò risponde a una logica di intossicazione ideologica che mobilita tutte le frazioni della borghesia. Parallelamente alla trasformazione degli Stati in fortezze, ha messo radici una nauseante ideologia anti immigrati, cercando di rendere gli “stranieri" responsabili degli effetti della crisi e di presentarli come orde di delinquenti che disturbano la quiete pubblica. Queste campagne a volte isteriche sono di una idiozia abissale e mirano a dividere il proletariato facendogli prendere le difese degli interessi della nazione, cioè quelli della classe dirigente, sulla base di un malvagio lavaggio di cervello secondo il quale la divisione dell'umanità in nazioni sarebbe normale, naturale ed eterna. Inoltre, l'ipocrisia di filtrare tra "buoni" e "cattivi" immigrati risponde pienamente a questa logica, sono considerati "buoni" quelli che possono essere utili per l'economia nazionale, gli altri sarebbero dannosi o dei pesanti fardelli.
Ma, come testimoniano le ondate di solidarietà dei lavoratori italiani nei confronti dei migranti che riescono a raggiungere le coste siciliane, molti proletari sono indignati del destino che la borghesia riserva agli immigrati. E quale modo migliore per inquadrare e incanalare questa rabbia nei vicoli ciechi fatta da esperti patentati in materia: la sinistra dell’apparato politico borghese? Anche in questo caso, i cosiddetti "amici del popolo" sfruttano l'indignazione generalizzata per gettare la classe operaia, legata mani e piedi, nella bocca dello Stato capitalista. Le ONG, questi veri esploratori imperialisti non hanno avuto parole abbastanza forti per chiedere sempre di più leggi repressive e più "mezzi" militari agli stessi Stati che pianificano da anni i massacri, il tutto in nome dei "Diritti dell'Uomo"e della dignità umana. Dopo gli attacchi della"guerra umanitaria" in Africa, ecco quelli del "controllo caritatevole delle frontiere"! Che vile ipocrisia! In Francia, l'esilarante organizzazione trotzkista Lutte Ouvrière brilla nuovamente nel suo articolo, "L'Europa capitalista condanna a morte i migranti" ( ): "Riducendo il numero e la portata delle pattuglie, i leader dell' UE hanno scelto di lasciar morire chi tenta la traversata. È la mancata assistenza a persone in pericolo. Le diciotto navi e i due elicotteri, che sono stati inviati sui luoghi del dramma dopo il naufragio, raggiungono l'ignominia". In poche parole, questo partito borghese, che si presenta come marxista, richiede più navi da guerra per "salvare" i migranti. Così la borghesia sfrutta anche l'ecatombe per rafforzare gli strumenti di repressione contro i migranti con la crescente sofisticazione dei mezzi della Agenzia Frontex incaricata di coordinare il dispiegamento militare ai confini dell'Europa e le operazioni anti immigrati sul territorio: sostegno alla polizia su larga scala, schedature, incursioni e charter; la borghesia sembra avere tutto organizzato per "portare assistenza" ai migranti. Sono stati presi in considerazione anche gli attacchi aerei in Libia! Dietro a tutto questo, la borghesia cerca anche di rafforzare ulteriormente il clima d'ansia e minaccioso che essa utilizza con cura per facilitare l'applicazione delle misure repressive che si moltiplicano in tutto il mondo contro la classe operaia.
Truth Martini, 5 maggio 2015
(Editoriale del settimanale) Lutte ouvrière No. 2438, 24 aprile 2015.
[1] Da allora il numero dei morti continua a crescere giorno dopo giorno.
Quando il governo greco ha deciso in tempi brevi di indire un referendum, era chiaro che le differenze tra la coalizione guidata da Syriza e la troika costituita da BCE, CE e FMI erano minime.
Quando si è arrivati alla campagna referendaria le differenze tra No e Sì, nonostante tutto il linguaggio melodrammatico, erano pertanto altrettanto limitate. Il ministro delle Finanze greco Varoufakis ha accusato la Troika di cercare di “umiliare” la Grecia. “Perché ci hanno forzato a chiudere le banche? Per spaventare la gente. E quando si tratta di diffondere il terrore, questo si chiama terrorismo.” (El Mundo 4/7/15). Syriza sostiene che lo scopo del referendum era di migliorare la posizione negoziale dello stato greco. Nel frattempo, i sostenitori del Sì hanno messo in guardia rispetto alle conseguenze disastrose di un'uscita dalla eurozona e alla possibilità di lasciare l'Unione europea.
Entrambe le parti hanno mobilitato la popolazione come tanti individui atomizzati che seguono ciecamente le campagne della borghesia. Un professore greco citato dal New York Times (3/7/15) ha detto: “Non c'è alcuna discussione sui problemi reali ... Stanno esasperando i sentimenti di paura e di angoscia e stanno creando un'atmosfera che rende impossibile per chiunque pensare con chiarezza”. Pensare con chiarezza è qualcosa che la borghesia scoraggia sempre. Quello di cui ha bisogno sono invece milioni di persone intruppate in seggi elettorali per esprimere la loro passività di fronte agli attacchi economici della borghesia.
Negoziare l’austerità
Quando la coalizione guidata da Syriza ha assunto la guida del governo dopo le elezioni di gennaio, ha affermato che avrebbe chiuso con l’austerità. Molti credevano ingenuamente che questo fosse possibile. I negoziati con la Troika sono stati intrapresi in un’atmosfera di accuse e controaccuse. Tuttavia, poiché si avvicinava la scadenza del 30 giugno che segnava il default della Grecia se non ci fosse stato alcun accordo che producesse nuovi fondi, sembrava che un accordo fosse imminente. Ma il governo greco interruppe i colloqui pochi giorni prima della scadenza. Ed anche dopo tale scadenza Syriza ha continuato a fare concessioni sulle misure proposte dalla Troika.
Alla fine i punti critici erano questioni di dettaglio. Il governo greco aveva accettato la maggior parte delle modifiche proposte per l'IVA, con l'eccezione del trattamento speciale delle isole greche. Aveva accettato ugualmente gran parte degli attacchi alle pensioni, anche se non tutti. Sui tagli alla difesa non c’è stata inizialmente alcuna concessione fatta da Syriza. Dopotutto la difesa nazionale è una delle preoccupazioni centrali di ogni Stato capitalista, che sia guidato da un partito di sinistra, di destra o di centro. Alla fine ciò che è stato offerto dallo Stato greco era prossimo a quanto era stato richiesto dalla Troika.
Per quanto riguarda l'austerità provata in Grecia negli ultimi cinque anni, la prospettiva è solo verso un peggioramento. Gli Stati Uniti e il FMI potrebbero parlare di più di ristrutturazione del debito, la CE/BCE di più delle particolari misure da introdurre, e Syriza di più sulle sofferenze del popolo greco. Nessuno può offrire alcun miglioramento alle condizioni di vita di quelli che vivono oggi in Grecia. Entrambe le campagne per il SI e per il NO, oltre a descrivere gli orrori impossibili nel sostegno dell’altro campo, insistevano sul fatto che seguendo loro sarebbe stato restituito l’orgoglio greco. Entrambe le parti avevano posto le cose in termini di nazione greca, di popolo greco e di economia greca. I nazionalisti ci dicono che i lavoratori greci dovrebbero essere orgogliosi del fatto che i greci hanno le giornate lavorative più lunghe d'Europa, nonostante il fatto che questo dimostri anche che sono tra i meno produttivi. La qualità dell'agricoltura greca è spesso esaltata, tuttavia il 70% del cibo consumato in Grecia viene importato. In ultima analisi il capitalismo greco si è dimostrato non competitivo e ha perso colpi rispetto ad economie più grandi e più forti. I problemi dell'economia greca non sono dovuti a particolari problemi di corruzione della Grecia o all’evasione delle tasse (per quanto siano diffusi), ma sono un’espressione della crisi internazionale del capitalismo decadente.
In realtà in Grecia non vi è alcuna prospettiva di una riduzione della disoccupazione, molte tasse aumentano, i salari e le pensioni saranno ulteriormente ridotti, l’età pensionabile salirà a 67 anni, e altri servizi pubblici diminuiranno per la mancanza di redditività. In pratica, con tutto il suo parlare di opposizione all’austerità, Syriza ha dimostrato di essere in continuità con i governi di Nuova Democrazia e del Pasok che lo hanno preceduto.
Fomentare le divisioni all’interno della classe operaia
Se la popolazione in Grecia ha sofferto i rigori di una austerità sostenuta, essa non è stata la sola. Via via che la crisi economica del capitalismo peggiora, questa spinge la classe capitalista a farne pagare il conto alla classe operaia, e ad altri strati non-sfruttatori della popolazione, attraverso ... salari ridotti, la perdita di posti di lavoro, prezzi più elevati, servizi tagliati e, infine, la stessa guerra imperialista. La retorica anti-austerità dei partiti, come quella di Syriza, viene smascherata come una fanfaronata, non appena fanno parte del governo. Ma la classe operaia non soffre solo di privazioni e pauperizzazione, essa subisce anche l'ideologia del capitalismo e del suo apparato democratico. In Grecia, in passato ci sono stati molti scioperi generali “contro l'austerità”, ma questi sono stati in grande misura avviati, controllati e divisi dalle federazioni sindacali rivali. Lungi dallo sviluppare un qualunque senso di identità di classe o la possibilità di un’azione autonoma, i sindacati hanno spinto i lavoratori a fare affidamento su fazioni parlamentari e a sostenere i partiti di sinistra. Questo è stato il caso, per il passato, dei socialdemocratici del Pasok e degli stalinisti greci del KKE, più di recente, di Syriza.
La feroce polarizzazione della politica borghese greca continua ad avere un’eco nella classe operaia. Colpi di stato e contro-colpi di stato nel 1920 e negli anni '30, la dittatura di Metaxas, la guerra civile negli anni ‘40, il regime dei colonnelli (1967-1974), l'emergere del Pasok e di Nuova Democrazia - tutte queste espressioni di divisione del passato all’interno della classe dirigente hanno trovato i lavoratori raccolti dietro le diverse frazioni della borghesia piuttosto che contro di essa. Sebbene la domanda posta nel referendum fosse di una complessità bizantina, la risposta era ridotta a una scelta tra ΝΑΙ o ΟΧΙ (Si o No). ΟΧΙ non è un termine neutro nella moderna cultura greca. Ogni 28 ottobre in Grecia si celebra il giorno dell’ΟΧΙ, una festa nazionale che ricorda il rifiuto di Metaxas di fronte all’ultimatum posto dalle potenze dell'Asse e l’entrata della Grecia nella Seconda Guerra Mondiale.
In Grecia oggi i partiti politici della borghesia fanno a gara per mostrare le loro credenziali nazionaliste. Nessuno di loro può offrire altro se non ulteriore austerità e guerra. Sarà un grande passo in avanti per la classe operaia quando si renderà conto che i suoi interessi sono diametralmente opposti a quelli della borghesia. In passato ci sono state minoranze politiche in Grecia che hanno difeso la prospettiva della rivoluzione della classe operaia. Negli anni 1940 il gruppo intorno ad Agis Stinas ha difeso una posizione internazionalista contro la Seconda Guerra Mondiale. Più di recente ci sono state delle voci internazionaliste durante i movimenti sociali del 2009-2011. La via da seguire per la classe operaia in Grecia, anche se non è una prospettiva immediata, è di collegare la propria lotta con quella della classe operaia mondiale e di sviluppare una vera e propria prospettiva internazionalista e rivoluzionaria.
Car 4/7/15
Tradotto da World Revolution No. 370.
"Da viventi, i grandi rivoluzionari vengono ricompensati dalle classi dominanti con incessanti persecuzioni; esse accolgono la loro dottrina con il più selvaggio furore, con il più feroce degli odi, le più furibonde campagne di menzogne e di calunnie. Dopo la loro morte, tentano di farne icone inoffensive, in un certo senso di canonizzarli, di cingere il loro nome di una certa aureola per "consolare" le classi oppresse e mistificarle; in tal modo si svuota del suo contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, la si svilisce e ne si smussa la incisività rivoluzionaria. È su questo "adattamento" del marxismo che oggi gli opportunisti del movimento operaio si congiungono alla borghesia" (Lenin, Stato e rivoluzione, 1917)[1].
Il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg viene assassinata insieme al suo compagno di lotta Karl Liebknecht, dai corpi franchi del governo tedesco. Allora, questa soldatesca era agli ordini del ministro Noske, membro dell' SPD (la socialdemocrazia tedesca), il quale aveva dichiarato "se occorre un cane sanguinario, io lo sarò!". Ad orchestrare la repressione sanguinosa dell'insurrezione operaia a Berlino e l’assassinio di una delle più grandi figure del movimento operaio internazionale, sono i socialisti al potere, alla testa dello Stato democratico.
Questo odioso omicidio era stato preparato da lunga data attraverso una serie di calunnie contro Rosa Luxemburg. "Rosa la rossa", "Rosa l'incendiaria", "Rosa la sanguinaria", "Rosa, l'agente dello zarismo"… ; in vita, non è stato mai risparmiato alcun attacco menzognero contro la sua persona, per culminare con appelli al pogrom dalla fine 1918, inizio 1919, specialmente all'epoca della "settimana di sangue" a Berlino.
Ma solo alcuni mesi dopo il suo assassinio, la borghesia e gli opportunisti del movimento operaio hanno cominciato a farne un'icona inoffensiva, per canonizzarla, svuotare la sua dottrina rivoluzionaria del suo contenuto, svilirla e smussandone l'incisività rivoluzionaria. Necessitava innanzitutto che Rosa Luxemburg non dovesse rimanere la militante intransigente ed esemplare quale fu; doveva morire una secondo volta, snaturata in una sorte di democratica pacifista e femminista. Tale è lo scopo reale, da decenni, del lavoro di "memoria" che mira a "riabilitare", (cioè a mistificare) questa grande combattente della rivoluzione.
Una campagna costante per snaturare la lotta di Luxemburg e di Lenin
Negli anni 1930, in Francia, per esempio, si sviluppò tutta una corrente intorno a Lucien Laurat, corrente che ha ceduto sempre più nettamente alle sirene della democrazia per arrivare alla fine ad affermare che, fin dagli inizi della "rivoluzione bolscevica", "il verme" Lenin era nel "frutto" del progetto rivoluzionario. Questa ideologia farà logicamente l'apologia dell'esercito repubblicano nella guerra della Spagna del 1936-39, saluterà il coinvolgimento degli operai nella seconda macelleria mondiale con la scusa della lotta contro il fascismo.
Saprà sostenere il POUM in Spagna ed i trotskisti nel loro "eroismo" nazionale di resistenti! Questa nauseabonda propaganda democratica fu portata al suo parossismo dopo la Seconda Guerra mondiale da persone come René Lefeuvre, fondatore delle edizioni Spartacus. Questi, in una raccolta di testi di Rosa Luxemburg[2] dalla prefazione puramente ideologica ed dal titolo-montaggio prefabbricato, Marxismo contro dittatura (titolo che non è mai stato utilizzato da Rosa Luxemburg) presentò nel 1946 questa combattente della rivoluzione come radicalmente ostile al bolscevismo, cosa che risulta essere solamente una grossolana menzogna. Nell'introduzione alla raccolta, scrisse ancora: "tutti i grandi teorici marxisti di rinomanza internazionale: Karl Kautsky, Émile Vandervelde, Rodolphe Hilferding, Karl Renner, Giorgio Plekhanov – per non citarne che qualcuno – hanno denunciato tanto quanto Rosa Luxemburg tutta la dottrina totalitaria di Lenin come assolutamente contraria ai principi del marxismo".
Stalin mummificò Lenin e snaturò il suo pensiero in un dogma terribile. Rosa Luxemburg, la "sanguinaria", diventa qui una specie di santa apostolo della democrazia! La controrivoluzione stalinista andava a generare velocemente attraverso i suoi miasmi queste due nuove ideologie putride e complementari: l'esca "luxemburghismo" da un lato ed il malvagio "marxismo-leninismo" dall'altro. Si tratta in realtà delle due facce della stessa medaglia, o piuttosto delle due mascelle della stessa trappola: rigettare i bolscevichi rappresentati con i coltelli tra i denti e glorificare la figura offerta da Rosa "pacifista" alla stessa stregua di come ci fanno ammirare i leoni "selvaggi" hollywoodiani, mutilati, senza zanne né artigli.
Nel 1974, nella Germania appartenente al campo democratico, la RFT, l'effige di Rosa Luxemburg è stata persino stampata su dei francobolli postali!
Una nuova campagna contro il proletariato e le sue organizzazioni rivoluzionarie
Dopo il crollo del blocco dell'Est e la scomparsa dell'URSS, questa vasta campagna ideologica è stata esumata e si è amplificata per alimentare la pretesa "morte del comunismo", decretata con zelo al momento della caduta del muro di Berlino. L'ideologia ufficiale persegue qui la più grande menzogna della storia che assimila falsamente il comunismo allo stalinismo. Si tratta questa di un'arma ideologica particolarmente efficace alle mani della classe dominante. Perché se dal 1990 il proletariato ha tante difficoltà a riconoscersi come forza sociale, a sviluppare la sua coscienza e la sua organizzazione, è proprio perché è tagliato del suo passato, ha perso la sua identità, non sa più da dove viene, chi è e dove può andare. Se il comunismo è lo stalinismo, questo orrore finalmente fallito, perché battersi? Perché studiare la storia del movimento operaio dal momento che è stato proprio quest'ultimo a condurci alla catastrofe stalinista? E’ questa logica ed è questo veleno che la borghesia fa entrare nelle teste! E la presentazione di Rosa come "pacifista, repubblicana e nemica di Lenin", questo pro - "dittatore del proletariato", questo "padre spirituale di Stalin", è uno dei capitoli neri di questa ignobile propaganda. Quelli che vi partecipano, in modo cosciente o no, lottano contro la classe operaia!
Oggi sui blogs, sui forum (come per esempio Libcom in Gran Bretagna dove propositi viscidi sono stati realizzati intorno a Rosa Luxemburg), nelle librerie e nelle edicole, un po' dappertutto in Europa e nel mondo, ritorna in superficie una nuova campagna nauseabonda per snaturare ancora una volta l'immagine della militante Rosa Luxemburg. Ed è così che, in alcuni programmi televisivi, Rosa Luxemburg recentemente è apparsa con i soli tratti di "donna" e "pacifista". A settembre 2013, il famoso e stimato giornale Le Monde, ha pubblicato un articolo realizzato da un certo Jean-Marc Daniel, professore dell'ESCP Europa, dal titolo evocatore: "Rosa Luxemburg, marxista pacifista". Quest'associazione delle parole "marxista" e "pacifista" può lasciare allibiti: il "vero marxista" è per la classe dominante quello che abdica davanti alla guerra di classe che rinuncia all'insurrezione ed al capovolgimento del capitalismo!
Attualmente vengono pubblicati numerosi libri, fino nella letteratura per bambini, dove Rosa Luxemburg è presentata di nuovo come l'accanita avversaria dei bolscevichi e del "dittatore" Lenin. Dibattiti e conferenze sono organizzate un po' ovunque, ed ultimamente a Parigi sotto la guida di storici democratici "lussemburghiani" del gruppo "Critica sociale". Anche con le arti, il premio MAIF 2014 di scultura è toccato a Nicolas Milhé per il suo progetto "Rosa Luxemburg!" Una vera ovazione per Rosa… a patto di opporla ai suoi compagni di lotta, ai bolscevichi, alla Rivoluzione russa, in breve, alla rivoluzione. Il recupero di Rosa Luxemburg per farne una "icona inoffensiva" è una grande campagna di intossicazione ideologica. Mira ad inoculare l'idea che il proletariato deve battersi per costruire non la società comunista mondiale ma una società "più democratica", ispirandosi all'opera misconosciuta di Rosa Luxemburg presentata in modo menzognera come una nemica dei bolscevichi. Dopo l'odiosa propaganda del Libro nero del comunismo, è oramai questo discorso che è insegnato con molta serietà ed ufficialmente nei programmi scolastici[3] (3).
Oggi, la posta in gioco per la borghesia è proprio quella di convincere gli elementi più critici ed i ricalcitranti che non esiste altro avvenire che la difesa della democrazia borghese. Ma dietro questo c'è anche, nella campagna di recupero di Rosa Luxemburg da parte di "democratici" di ogni risma, un altro obiettivo - ed inconfessato! -: quello di screditare - "demonizzandole" una volta di più - le reali posizioni delle organizzazioni rivoluzionarie.
Olga
[1] 1. Questo passaggio magistrale di Lenin è altrettanto valido per la sorte che la borghesia ha riservato a Jean Jaurès. Vedi: https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201409/9133/jean-jaures-et-mouvement-ouvrier [19]
[2] 2. "Problemi dell'organizzazione socialista" (1904), "Masse e capi", o "Speranze deluse" - 1903, "Libertà della critica e della scienza" (1899)
[3] Vedere l'articolo "La falsificazione della storia nei programmi scolastici." https://it.internationalism.org/cci/201502/1327/la-falsificazione-della-... [20]
Un testo degli ex-membri della sezione della CCI in Turchia è disponibile (in inglese) sul loro nuovo sito web con il titolo “A proposito della nostra uscita dalla Corrente Comunista Internazionale”, (https://palebluejadal.tumblr.com/ [21])
La Corrente Comunista Internazionale critica il fatto che questi compagni abbiano lasciato l'organizzazione in maniera prematura e non abbiano prima risposto alle nostre ripetute richieste di presentare le loro critiche all'interno dell'organizzazione, come è costume nella tradizione storica dei gruppi della Sinistra Comunista. Noi deploriamo ancora che i compagni abbiano rifiutato il nostro invito a partecipare al prossimo Congresso internazionale della CCI, che è l'istanza suprema della nostra organizzazione, per difendere le loro posizioni, presentare e cercare di convincere gli altri compagni della fondatezza delle loro critiche.
Dobbiamo dire chiaramente che oltre a non aver preso sufficientemente le loro responsabilità per condurre un dibattito politico all'interno dell'organizzazione, il testo pubblicato adesso contiene una versione dei fatti per lo meno molto diversa dall'esperienza che ne hanno tirato gli altri membri della CCI.
La CCI risponderà in maniera dettagliata a questo testo entro qualche settimana.
Insistiamo ancora sul fatto che gli ex-membri della sezione in Turchia devono avere una dibattito serio con noi. CCI
Avendo letto sul sito della Tendenza Comunista Internazionalista il comunicato del 12 aprile 2015 intitolato “A proposito di alcune infami calunnie”[1] la CCI esprime la sua piena solidarietà alla TCI ed i suoi militanti che sono particolarmente sotto mira con questi attacchi da parte di ex militanti della sezione della TCI in Italia, il Partito Comunista Internazionalista.
Tutti coloro che si considerano parte della Sinistra Comunista o che sono interessati a questa corrente, conoscono i disaccordi tra la CCI e la TCI, su questioni di analisi generale (come sul corso storico), sul modo in cui interpretiamo l'esperienza storica (come il lavoro della Frazione Italiana tra il 1928 e il 1945 e la fondazione del Partito Comunista Internazionalista nel 1943-1945) o - e per noi questa è la cosa più importante - sulle relazioni che devono esistere oggi tra i gruppi che si considerano parte della Sinistra Comunista. Non abbiamo mai nascosto questi disaccordi o rinunciato a nostre critiche vigorose delle posizioni politiche della TCI (e in passato del BIPR), che giudichiamo essere negative per la lotta della Sinistra Comunista. Ma ai nostri occhi questo non può influenzare l'espressione della nostra totale solidarietà con la TCI e la fermezza con cui condanniamo le calunnie che oggi sono state rivolte all'organizzazione e ad alcuni dei suoi militanti. Si tratta di un atteggiamento che fa parte della tradizione del movimento operaio.
La CCI non conosce l'identità di questi elementi che oggi attaccano il PCInt-TCI, né gli esatti termini delle loro accuse. Tuttavia, la CCI ha completa fiducia nel comunicato pubblicato dalla TCI e ritiene che le informazioni che contiene siano valide. Questa fiducia si basa sui seguenti fatti:
Questo tipo di accusa deve essere combattuto e denunciato nella maniera più ferma possibile, soprattutto perché introduce il sospetto all'interno dell'organizzazione, ma anche nell'intero ambiente proletario. È per questo che la CCI si dichiara disposta ad offrire tutto l'aiuto possibile alla TCI, con le modalità che essa potrà giudicare utili, al fine di smascherare le calunnie rivolte ad alcuni dei suoi militanti e per ristabilire il loro onore.
La CCI fa appello a tutti gli elementi e gruppi che lottano sinceramente per la rivoluzione comunista, e in particolare a quelli che si sentono come appartenenti alla Sinistra Comunista (specialmente a quelli che fanno riferimento alla corrente animata da Bordiga dopo il 1952) per offrire una indefettibile solidarietà alla TCI contro questi sordidi attacchi. Fa parte dell'onore della Sinistra Comunista aver combattuto contro questi tipi di metodi, di cui lo stalinismo è stato il grande specialista, nei momenti più bui della controrivoluzione. Partecipare alla lotta della Sinistra Comunista non significa solo difendere le sue posizioni politiche. Significa anche denunciare un comportamento politico, come voci, bugie, calunnie e ricatti, che sono tutti diametralmente opposti alla lotta del proletariato per la sua emancipazione.
CCI, 17-4-2015
[1] https://www.leftcom.org/it/articles/2015-04-12/a-proposito-di-alcune-infami-calunnie [23]
Contro tutte le commemorazioni asettiche e ipocrite dei vari uomini di Stato, partiti e mass media per i 100 anni dallo scoppio della I GM, la CCI vi invita ad un incontro dove poter sviluppare in maniera ampia ed approfondita un confronto ed una riflessione collettiva su questo avvenimento storico. Una discussione che possa permetterci di acquisire una chiarezza maggiore sui problemi che questa società ci pone e sulla prospettiva che a noi, come proletari ed esseri umani, preme costruire.
La I G.M. costituisce la prima manifestazione eclatante della natura decadente del sistema capitalista e della barbarie insita in esso. E’ stato un evento che ha costituito un punto di svolta, determinando un assetto mondiale i cui effetti persistono tutt’oggi. Ha rappresentato un passaggio di fase storica fondamentale da un sistema capitalista in pieno sviluppo all’inizio del suo declino. Un passaggio che ha comportato cambiamenti di fondo a tutti i livelli (economico, politico e sociale) per la borghesia ma anche per il proletariato e le sue organizzazioni politiche. Esaminare le cause economiche e imperialiste della I GM è quindi importante per capire la natura del capitalismo e quale prospettiva futura questo può dare all’umanità. Ma una chiave di lettura altrettanto importante sta nel rapporto di forza tra proletariato e borghesia in quel periodo, prima, durante e dopo la I GM. Perché una guerra di dimensioni mondiali possa esserci, non sono sufficienti le sole condizioni oggettive (economiche e imperialiste). E’ indispensabile anche il fattore soggettivo. E’ necessario cioè che la borghesia riesca a far accettare la guerra e la sua barbarie, riesca a mobilitare per essa la società e in particolare il proletariato, che costituisce il perno centrale dello sforzo bellico, sia fisicamente che attraverso il suo lavoro salariato nelle retrovie. Andare a fondo su questo aspetto è essenziale per arrivare ad una più ampia comprensione delle difficoltà che incontriamo oggi come proletariato nel percorso verso la riappropriazione di una prospettiva diversa dalla barbarie di questo sistema.
E per farlo dobbiamo chiederci:
Tutti riconoscono che la I GM ha costituito una tappa storica fondamentale. Ma da quale punto di vista? Cosa ha determinato?
Come ci arriva la borghesia a questo conflitto? Come ci arrivano il proletariato e le sue avanguardie? Quali sono le debolezze del movimento operaio che permettono lo scoppio della guerra? Ad esempio, quale peso ha avuto sul proletariato lo sviluppo del riformismo, la perdita di credibilità dell’idea rivoluzionaria nella sua avanguardia rivoluzionaria che porta alla vigilia della guerra con la maggioranza dei partiti operai ormai conquistati da un’ideologia borghese, tanto da votare crediti di guerra?
Ma c’è da riflettere anche sul fatto che, in pochi anni di guerra, la situazione cambia. Si fa strada un’ondata rivoluzionaria che vede la sua espressione massima in Russia, ma è presente in Germania e anche in altri paesi. E la Grande guerra finisce. Come è stato possibile? Oggi sarebbe possibile? E perché non lo è stato dopo la II guerra mondiale? Possiamo trovare una spiegazione della chiusura della I G.M. in qualche episodio strategico o non dobbiamo cercare la risposta anche qui in un rapporto di forze che si era rovesciato, stavolta a favore del proletariato?
Come per ogni nostro incontro pubblico, anche questa giornata di discussione vuole essere un luogo e un momento dove tutte le persone sinceramente interessate al confronto, indipendentemente dal loro punto di vista politico sociale o culturale di partenza, possano incontrarsi e discutere assieme con l’esigenza comune di capire come fare per uscire dalle sofferenze che procura questa società.
Vi invitiamo caldamente a questa giornata che si terrà a Napoli il giorno sabato 14 febbraio dalle ore 9,00 alle ore 19,00.
Chiediamo a chi intende partecipare all’incontro, anche da fuori Napoli, di scriverci all’indirizzo contatti@hushmail.com [25] per potergli trasmettere le ulteriori indicazioni rispetto al luogo della riunione, il materiale di preparazione alla discussione (riferimenti ad articoli, testi e contributi al dibattito di altri compagni) e permettere a noi di organizzare al meglio questo incontro.
Corrente Comunista Internazionale
Cabu, Charb, Tignous, Wolinski, questi quattro nomi tra la ventina dei morti iscritti al bilancio delle carneficine di Parigi del 7 e 9 gennaio sono un simbolo. Sono loro a essere stati presi principalmente di mira. Perché? Perché rappresentavano l’intelligenza contro la stupidità, la ragione contro il fanatismo, la rivolta contro la sottomissione, il coraggio contro la vigliaccheria[1], la simpatia contro l’odio, e queste qualità specificamente umane che sono l’umorismo e il riso contro il conformismo e il grigiore benpensante. Si potevano rigettare e combattere certe loro posizioni politiche (alcune pienamente borghesi)[2]. Ma quello che è stato colpito è proprio la loro migliore espressione. Questo scatenamento barbaro di violenza contro semplici vignettisti o inoffensivi clienti di un supermercato ha provocato una grande emozione, non solo in Francia ma nel mondo intero, e questo è normale. L’uso che tutti i rappresentanti patentati della democrazia borghese fanno oggi di questa emozione non deve nascondere il fatto che l’indignazione, la collera e la profonda tristezza che hanno colpito milioni di uomini e donne, che li ha spinti a scendere in piazza spontaneamente il 7 gennaio, è stata una reazione sana ed elementare contro questo ignobile atto di barbarie.
Un puro prodotto della decomposizione del capitalismo
Il terrorismo non data ieri[3]. La novità sta nella forma che ha preso e per il fatto che si è fortemente sviluppato a partire dalla metà degli anni 80 per diventare un fenomeno planetario senza precedenti. La serie di attentati ciechi che colpì Parigi nel 1985-86, e che, in modo evidente, non erano la semplice azione di piccoli gruppi isolati, ma portavano la firma di uno Stato, inaugurava un periodo nuovo nell’utilizzazione del terrorismo che, da allora, ha preso un’ampiezza mai conosciuta nella storia facendo un numero crescente di vittime.
Neanche gli attentati terroristici perpetrati da fanatici islamisti sono una cosa nuova. La storia di questo inizio di secolo ne è regolarmente testimone, e con un’ampiezza ben maggiore degli attentati di Parigi di oggi.
Gli aerei kamikaze contro le Twin Towers di New York l’11 settembre 2001 hanno aperto una nuova epoca. Per noi è chiaro che i servizi segreti americani hanno lasciato fare e anche favorito questi attentati che hanno permesso alla potenza imperialistica americana di giustificare e scatenare la guerra in Afghanistan e in Iraq. Proprio come l’attacco giapponese contro la base navale di Pearl Harbor nel dicembre 1941, previsto e voluto da Roosevelt, servì da pretesto per l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale[4]. Ma è anche chiaro che quelli che pilotavano gli aerei erano dei fanatici completamente deliranti che pensavano di guadagnare il paradiso con le uccisioni di massa e il sacrificio della propria vita.
L’11 marzo 2004, meno di tre anni dopo New York, Madrid fu teatro di un massacro spaventoso: bombe “islamiche” provocarono 200 morti e più di 1500 feriti nella stazione di Atocha; alcuni corpi umani erano talmente lacerati che per identificarli si fece ricorso all’esame del DNA. L’anno seguente, 7 luglio 2005, fu colpita Londra: quattro esplosioni simultanee nei trasporti pubblici provocarono 56 morti e 700 feriti. Anche la Russia ha conosciuto parecchi attentati islamici durante gli anni 2000: quello del 29 marzo 2010 ha fatto 39 morti e 102 feriti. Beninteso, i paesi periferici non sono stati risparmiati, come l’Iraq dopo l’intervento americano nel 2003 e come abbiamo potuto vedere ancora recentemente nel Pakistan, a Peshawar, dove nello scorso dicembre 141 persone, di cui 132 bambini, sono stati uccisi in una scuola.
Quest’ultimo attentato, dove i bersagli sono specificamente dei bambini, illustra in tutto il suo orrore la barbarie crescente di questi adepti della “Jihad”. Ma l’attentato di Parigi del 7 gennaio, sebbene molto meno cruento e atroce di quello del Pakistan, esprime una dimensione nuova nella barbarie.
In tutti i casi precedenti, per quanto rivoltanti possano essere i massacri di popolazioni civili, e in particolare di bambini, c’era una certa “razionalità”: si trattava di esercitare delle rappresaglie o di cercare di far pressione su degli Stati e le loro forze armate. Il massacro di Madrid del 2004 voleva “punire” la Spagna per il suo impegno in Iraq accanto agli Stati Uniti. La stessa cosa per gli attentati di Londra nel 2005. Nell’attentato di Peshawar, si trattava di fare pressione sui militari pakistani massacrando i loro figli. Ma nel caso dell’attentato di Parigi del 7 gennaio, non c’è il minimo “obiettivo militare”, anche illusorio, di questo tipo. Si sono assassinati i vignettisti di Charlie Hebdo e i loro colleghi per “vendicare il profeta” di cui questo giornale aveva pubblicato delle caricature. E questo, non in un paese devastato dalla guerra o sottomesso all’oscurantismo religioso, ma nella Francia “democratica, laica e repubblicana”.
L’odio e il nichilismo sono sempre un motore essenziale nell’azione dei terroristi, e particolarmente di quelli che deliberatamente sacrificano la loro vita per uccidere quanta più gente possibile. Ma quest’odio che trasforma degli esseri umani in fredde macchine omicide, senza la minima considerazione per gli innocenti che uccidono, ha per bersaglio principale quelle altre “macchine di morte” che sono gli Stati. Niente di ciò il 7 gennaio a Parigi: l’odio oscurantista e il desiderio fanatico di vendetta sono qui allo stato puro. Il suo bersaglio è l’altro, quello che non pensa come me, e soprattutto quello che pensa, perché io ho deciso di non pensare più, di non esercitare più questa facoltà propria alla specie umana.
È per questa ragione che la carneficina del 7 gennaio ha provocato un tale impatto. In un certo senso ci si è dovuti confrontare con l’impensabile: come hanno potuto delle menti umane, educate in un paese “civilizzato”, formulare un progetto così barbaro e assurdo che somiglia a quello dei nazisti più fanatici quando bruciavano i libri e sterminavano gli ebrei?
E il peggio è ancora da venire. Il peggio è che l’atto estremo dei fratelli Kouachi, Amedy Coulibaly e dei loro eventuali complici è solamente la punta di un iceberg, di tutto un clima che prospera sempre più nelle periferie povere, un clima che si è manifestato quando un certo numero di giovani ha espresso l’idea che “Charlie Hebdo se l’era cercata insultando il profeta”, e che l’assassinio dei vignettisti era qualcosa di “normale”.
Anche questa è una manifestazione dell’avanzamento della barbarie, della decomposizione all’interno delle nostre società “civilizzate”. Questo affondare di una parte della gioventù, e non solamente quella generata dall’immigrazione, nell’odio e l’oscurantismo religioso è un sintomo, tra molti altri ma particolarmente significativo, della crisi estrema, del deterioramento della società capitalista.
Oggi, un po' ovunque, (anche in Europa e particolarmente in Francia), molti giovani senza avvenire, dal percorso caotico, umiliati da continui fallimenti, dalla miseria culturale e sociale, diventano facili prede di reclutatori senza scrupoli (legati spesso a degli Stati o espressioni politiche come Daesh), che drenano nei propri ambiti queste “anime perse” dalle conversioni tanto inattese quanto repentine, trasformandoli in potenziali sicari o in carne da cannone per la “jihad”. In assenza di una propria prospettiva alla crisi attuale del capitalismo, una crisi economica ma anche sociale, morale e culturale, col deterioramento della società che traspira morte e distruzione da tutti i pori, la vita di un buon numero di questi giovani è diventata per loro stessi senza scopo e senza valore. Questo prende spesso e rapidamente la colorazione religiosa di una sottomissione cieca e fanatica che ispira ogni tipo di comportamento irrazionale ed estremo, barbaro, alimentato da un potente nichilismo suicida. L’orrore della società capitalista in decomposizione, che ha forgiato altrove bambini-soldati in massa (per esempio in Uganda, nel Congo o nel Ciad, soprattutto dall’inizio degli anni 90), adesso genera nel cuore stesso dell’Europa giovani psicopatici, assassini professionisti dal sangue freddo, resi totalmente insensibili e capaci del peggio senza neanche attendersi una retribuzione per quello che fanno. In breve, questa società capitalista in putrefazione, lasciata alla propria dinamica morbosa e barbara, non può che trascinare progressivamente tutta l’umanità verso il caos sanguinario, la follia omicida e la morte. Come mostra il terrorismo, essa continua a fabbricare un numero crescente di individui totalmente disperati, stritolati e capaci delle peggiori atrocità; fondamentalmente essa confeziona questi terroristi a sua immagine. Se esistono dei tali “mostri” è perché la società capitalista è diventata “mostruosa”. E se tutti i giovani che sono presi da questa deriva oscurantista e nichilista non si arruolano nella “Jihad”, il fatto che molti di loro considerano come “eroi” o “giustizieri” quelli che hanno compiuto un tale passo, costituisce una prova del carattere sempre più di massa della disperazione e della barbarie che invade la società.
L’odioso recupero “democratico”
Ma la barbarie del mondo capitalista attuale non si esprime solamente in questi atti terroristici e nella simpatia per questi atti suscitano in una parte della gioventù. Si esprime anche nell’ignobile recupero che la borghesia sta facendo di questi drammi.
Nel momento in cui scriviamo quest’articolo, il mondo capitalista, con alla testa i principali dirigenti “democratici”, si appresta a compiere una delle operazioni più sordide di cui è capace. A Parigi, domenica 11 gennaio, si sono dati appuntamento per un’immensa manifestazione di strada, intorno al Presidente Hollande e a tutti i dirigenti politici del paese di ogni colore, Angela Merkel, David Cameron, i capi di governo di Spagna, Italia e di altri paesi d’Europa, ma anche il Re di Giordania, Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità palestinese, e Benyamin Netanyahou, Primo ministro di Israele[5].
Mentre centinaia di migliaia di persone scendevano spontaneamente in strada, la sera del 7 gennaio, i politici, a cominciare da François Hollande, e i media francesi hanno iniziato la loro campagna: “è la libertà di stampa e la democrazia a essere prese di mira”, “bisogna mobilitarsi e unirsi per difendere questi valori della nostra repubblica”. Sempre più, negli assembramenti che hanno seguito quello del 7 gennaio, abbiamo dovuto ascoltare l’inno nazionale francese, la “Marsigliese, il cui ritornello dice: “Che un sangue impuro abbeveri i nostri solchi!”. “Unità nazionale”, “difesa della democrazia”, ecco i messaggi che la classe dominante vuole far entrare nelle nostre teste, cioè le stesse parole d’ordine che hanno giustificato il reclutamento e il massacro di decine di milioni di proletari nelle due guerre mondiali del XX secolo. Del resto, Hollande l’ha anche detto nel suo primo discorso: mandando l’esercito in Africa, in particolare nel Mali, la Francia si è già impegnata nella lotta contro il terrorismo (proprio come Bush quando spiegò che l’intervento militare americano nel 2003 in Iraq aveva lo stesso obiettivo). Gli interessi imperialistici della borghesia francese non avrebbero evidentemente niente a vedere con questi interventi!
Poveri Cabu, Charb, Tignous, Wolinski! Dei fanatici islamici li hanno uccisi una prima volta. Bisognava che venissero uccisi una seconda volta da tutti questi rappresentanti e “fan” della “democrazia” borghese, tutti questi capi di Stato e di governo di un sistema mondiale putrido che è il principale responsabile della barbarie che invade la società umana: il capitalismo. Dirigenti politici che non esitano a usare essi stessi il terrore, gli assassinii, la rappresaglia contro le popolazioni civili quando si tratta di difendere gli interessi di questo sistema e della sua classe dominante, la borghesia.
La fine della barbarie, di cui sono espressione le carneficine di Parigi, non potrà certamente venire da quelli che sono i principali difensori e garanti del sistema economico che genera questa barbarie. Essa potrà risultare solamente dal capovolgimento di questo sistema da parte del proletariato mondiale, e cioè dalla classe che produce in modo associato l’essenziale delle ricchezze della società. Potrà risultare solo dalla sostituzione questo sistema con una vera comunità umana universale non più basata sul profitto, la concorrenza e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma basata sull’abolizione di queste vestigia della preistoria umana. Una società basata su “un’associazione dove il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”[6]., la società comunista.
Révolution Internationale (11/01/2014)
(organo della CCI in Francia)
[1] Questi vignettisti già da anni ricevevano regolarmente minacce di morte.
[2] Wolinski, il sessantottino, non aveva in seguito collaborato à “l’Huma” per parecchi anni? Del resto lui stesso ha scritto: “Abbiamo fatto il maggio 68 per non diventare quello che siamo diventati”.
[3] Nel XIX secolo ne hanno fatto uso piccole minoranze in rivolta contro lo Stato, come i populisti in Russia e degli anarchici in Francia o in Spagna. Queste azioni violente e sterili sono sempre state utilizzate dalla borghesia contro il movimento operaio per giustificare la repressione e delle “leggi scellerate”.
[4] Vedi: “Pearl Harbor 1941, Twin Towers 2001: il machiavellismo della borghesia”, Rivoluzione Internazionale n.124
[5] L’appello a quest’assembramento “d’Unione Nazionale” è unanime da parte di sindacati e partiti politici(solo il Fronte nazionale non sarà presente) ma anche da parte dei media. Persino il giornale sportivo L’Équipe chiama a manifestare!
[6] Marx, Il Manifesto comunista, 1848.
L'articolo che ho tradotto dalla pagina della CCI on line in francese, spiega accuratamente il ruolo ideologico della storia, geografia ed educazione civica nelle scuole e nei licei francesi, nei quali vi sono innumerevoli esempi della realtà francese. Ma il suo contenuto può ovviamente essere esteso anche alla realtà spagnolo o di qualsiasi altro paese del mondo.
Dal momento che l'istruzione pubblica è svolta in uno stato borghese, si fa uso di una formazione fortemente ideologica, al fine di preservare e presentare come naturale la produzione delle merci.
Nel curriculum di studio dello Stato francese si legano storia, geografia ed educazione civica. Questo aspetto democratico e “cittadinista” è ripetutamente presente anche nel piano di formazione dello Stato spagnolo (o la LOE approvato sotto un governo "socialista" o LOMCE approvato dal PP) e allo stesso tempo è stata un’occasione di contrasto tra le diverse fazioni della borghesia. Il PP, attraverso LOMCE, ha eliminato dall’istruzione il corso di cittadinanza con il quale la sinistra borghese intendeva indottrinare i giovani lavoratori con i valori costituzionali dell’astrazione democratica, dando carattere accademico al tema della religione, ma introducendo contemporaneamente una materia alternativa chiamata Valori sociali e civici e Valori etici nella scuola primaria e secondaria. Inutile dire, che i piani di studio per valori etici, intendono quelli atomizzati e isolati del cittadino borghese.
Un altro aspetto interessante di questo articolo è il ruolo che svolge l'educazione borghese (statale, sovvenzionata dallo Stato o privata) nel disciplinare i giovani a lavorare, per abituarli all’alienazione del lavoro salariato, mentre nel contempo cerca di indebolire il loro pensiero critico, anche se per fortuna molti di loro non cessano di denunciare alcuni degli effetti più perversi del dominio borghese. Le scuole e gli istituti, il sistema di istruzione pubblica svolgono quindi la funzione di riproduzione della forza lavoro, al fine di soddisfare le esigenze di formazione che saranno essenziali una volta che la borghesia l’acquisirà come merce utile per l’accumulazione del capitale.
Utilizzando la mistificazione che l’istruzione pubblica compensi le disuguaglianze, in realtà si realizza una macchina enorme per riprodurre le differenze strutturali di classe. Attraverso la ghettizzazione permanente, suddividendo tra istruzione pubblica e privata concertata all'interno delle classi, si classifica e si fa capire ciò che le istituzioni pensano di alunni ed alunne. Separati in più o meno capaci, inseriti in classi che possono svolgere o meno attività extrascolastiche o nelle quali poter impartire o meno insegnamenti bilingue (comunque frazionate al loro interno), con queste suddivisioni e classificazioni, le disuguaglianze sociali, lungi dall’essere compensate vengono marchiate a fuoco.
Il presupposto iniziale che consente la riproduzione e la logica della merce, con le sue eguaglianze formali ed astratte, è presente quindi in tutte le classi di allievi/e, nelle quali vige quella parità astratta che identifica falsamente tutti come studenti, indipendentemente dalla loro vita, origine, reddito, livello culturale delle famiglie, ecc. Tale astrazione analoga a quella dell'economia capitalista o della politica democratica è imposta in maniera coercitiva nell’istruzione, inserendo in modo forzato il suo feticcio, reificandolo nelle persone (sei le note che ottieni, le competenze, gli obiettivi e i contenuti con cui ti si valuta) e personificando le istituzioni, come in questo caso il sistema scuola.
Il tutto in un'epoca di decadenza del capitalismo che vive la sua fase ultima di decomposizione, con la sua logica di degrado morale, la sua tendenza a raggrupparsi per bande e una violenza sempre più sfrenata, tutte puntualmente presenti nelle aule scolastiche, descritte invece ideologicamente dalla borghesia come un regno astratto e neutro della conoscenza.
Pertanto, come conclude l'articolo tradotto, la vera educazione e la formazione passa solo per il recupero delle autentiche tradizioni storiche, teoriche e morali del proletariato.
Andrei, Ottobre 2014
Nelle società divise in classi, l'educazione è uno strumento di controllo. La società capitalista non sfugge a questa logica anzi amplifica il fenomeno razionalizzandolo. La funzione del sistema scolastico è quella di formare i futuri lavoratori docili e utili agli interessi della borghesia.
Per fare questo, le scuole cercano di formattare ideologicamente le menti dei giovani studenti, ma anche di formare i giovani corpi per adattarli alle esigenze del lavoro salariato. La scuola è dunque un ente disciplinare da tutti i punti di vista. In nessun caso, permette la crescita personale e lo sviluppo del pensiero critico[1].
L'insegnamento della storia, della geografia e dell'educazione civica nelle scuole secondarie mostra ad esempio come il sistema educativo borghese è parte integrante dell'ideologia dominante. I programmi di storia sono sempre stati costruiti per e dalla propaganda di stato. La loro struttura è stata progettata per ancorare la "realtà" dell'ordine sociale borghese. Infatti, l'insegnamento di questa disciplina partecipa alla falsificazione del vero passato delle società umane. Quindi, le giovani generazioni di lavoratori sono mantenute in un clima di ignoranza favorevole alla perdita del pensiero critico. Bisogna perciò denunciare la propaganda svolta dallo Stato borghese nella formazione dei futuri lavoratori.
Come sapere accademico, la storia comincia con la comparsa della scrittura verso la metà del IV millennio a.C. In linea con questo, la conoscenza delle società del passato nei programmi scolastici inizia nello stesso periodo tant’è che il primo capitolo della storia descrive le civiltà egizie e mesopotamiche. Queste società hanno già raggiunto un determinato livello di sviluppo:
- Sono disuguali e divise in classi sociali.
- Lo Stato ha raggiunto un notevole livello di sofisticazione.
- L’importanza di re e sacerdoti come simboli politici e ideologici è profondamente radicata
Se seguiamo la logica dei programmi, le società umane sono originariamente organizzate in questo modo. Senza alcun motivo apparente, inducono un giovane studente a pensare che l'Egitto delle piramidi o le città di Ur e Babilonia rappresentano le prime tracce di vita delle società umane. Tuttavia, la nostra specie è vecchia di centinaia di migliaia di anni e la scelta di eliminarne la quasi totalità non è affatto arbitraria. Prendendo come punto di partenza l'Egitto dei Faraoni e le città della Mesopotamia, la borghesia vuole evidenziare la natura deterministica delle disuguaglianze sociali. Si vuole consolidare l'idea che le società, da “tempo immemorabile" sono divise tra dominanti e dominati. Questa visione profondamente conservatrice serve a legittimare l'ordine sociale capitalista e ancorarlo nella mente dei ragazzi. In termini semplici, questo è il messaggio che lo Stato chiede all'insegnante di fornire agli studenti: “le disuguaglianze, il dominio, gli Stati, i capi sono sempre esistiti e non potrà essere altrimenti anche in futuro. In altre parole gli uomini sono naturalmente inclini a dominarsi fra loro.”
Ma le conquiste della scienza e del marxismo offrono una visione molto diversa dei primi tempi dell'umanità. Infatti, "per la maggior parte della sua storia, per centinaia di migliaia, forse milioni di anni, l'umanità ha vissuto in una società senza classi, forme di comunità dove la maggior parte della ricchezza è stata condivisa senza nessun uso di scambio o denaro; una società organizzata non da re o preti, nobili o dalla macchina statale, ma dall'assemblea tribale. È a questo tipo di società che fanno riferimento i marxisti quando parlano di 'comunismo primitivo'”[2].
Questa visione è profondamente sconcertante per l’ideologia borghese. Così, a scuola e altrove, il comunismo primitivo è negato o minimizzato, per affermare che il comunismo rimane nella realtà un irraggiungibile ideale. Senza magnificare queste società noi diamo indicazioni opposte[3]. Cioè che gli uomini sono in grado di mettere la solidarietà, il sostegno reciproco e la condivisione al centro dell’organizzazione sociale. Nella sua ricerca della verità, il marxismo ci ha permesso di capire che l'emergere dello sfruttamento è il risultato di un processo storico. Nel negare il movimento della storia, la borghesia falsifica l'evoluzione dell'umanità. Essa non incoraggia le giovani generazioni a mettere in discussione le origini della nostra specie. La classe dominante è ben consapevole del fatto che senza comprendere il nostro passato, è molto difficile vedere le possibilità di una società futura. Quindi fa di tutto per reprimere la curiosità e il pensiero critico degli studenti su questi temi.
Per i marxisti, "la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe."[4]. In effetti, da molti millenni, gli antagonismi di classe formano il "motore della storia", il suo movimento dinamico. Oppressori e oppressi portano avanti "una continua lotta, che finisce sempre o con una trasformazione rivoluzionaria della società nel suo insieme o la rovina comune delle classi in lotta"[5]. Naturalmente, il sistema scolastico borghese respinge totalmente questo punto di vista. La prova: l'importanza data alle rivolte o ai movimenti di capovolgimento dell'ordine sociale nel corso del tempo è praticamente inesistente nei curriculum e nei libri di testo. Le rivolte degli schiavi nella società antica, i movimenti eretici o le rivolte contadine nella società feudale, le lotte del movimento operaio fin dal XIX secolo, sono ben lungi dal costituire il cuore dei capitoli trattati durante l'anno.
Oppure, questi eventi vengono elaborati attraverso una problematica che distorce completamente il significato. Prendiamo l'esempio della Comune di Parigi del 1871. Questo argomento è discusso nella quarta classe nel capitolo "L'evoluzione politica della Francia (1815-1914)". L'obiettivo è quello di mostrare come la Repubblica si è imposta in Francia dal 1870. In primo luogo, l'accento sulla Comune di Parigi è minimo. In secondo luogo, le cause dell'evento sono presentate come una reazione al vecchio ordine bonapartista.
Ecco come un manuale presenta i fatti (Belin et al.): "La Repubblica proclamata a Parigi il 4 settembre 1870 appare abbastanza incerta, infatti l'Assemblea Nazionale eletta nel 1871 è per lo più realista. Il popolo di Parigi, che teme una restaurazione della monarchia e vuole continuare a lottare contro la Prussia, si rivolta durante la Comune di Parigi: questa è repressa nel sangue ". Traducete, gli operai parigini si erano ribellati solo contro la monarchia e gli invasori prussiani (per difendere la Repubblica e la Patria) ma date l’ampiezza e le prospettive rivoluzionarie che essa trasmetteva fu “repressa nel sangue".
Visto che la borghesia non può nascondere questo episodio del movimento rivoluzionario e la sua terribile repressione, deve deviarne il suo significato. Nei programmi, la Comune è separata dal movimento rivoluzionario internazionale. I documenti evidenziano il progresso sociale e democratico prodotti da questo movimento. Essa è presentata come un laboratorio utile per la costruzione della Repubblica. Ma la Comune di Parigi non può essere ridotta a un movimento patriottico, né a una lotta per le libertà repubblicane. Essa è soprattutto la manifestazione del ruolo del proletariato come l'unica forza capace di rovesciare il capitalismo[6]. La borghesia è ben consapevole di questo e cerca di nasconderlo ai futuri lavoratori.
Lo stesso vale per l'ondata rivoluzionaria degli anni 1920, studiata nella classe terza. La Rivoluzione d'Ottobre del 1917 compare nel programma e anche nella lista dei punti di riferimento storici che lo studente dovrebbe apprendere nel proprio corso di studi. Ma cosa realmente impara? Questo evento è "un colpo di stato organizzato da Lenin, il leader del Partito Bolscevico"[7]. o una "rivoluzione bolscevica guidata da Lenin."[8]. Di nuovo, la borghesia nega la forza rivoluzionaria delle masse lavoratrici e presenta la rivoluzione d’ottobre come l'opera di un partito e di un uomo, mentre fu la realizzazione delle masse lavoratrici.
Inoltre, i programmi conservano la grande menzogna di equiparare lo stalinismo al comunismo. Fino al 2013, questa falsificazione è stata chiaramente spiegata nelle linee guida ufficiali. L'URSS è stata presentata come "un regime comunista, fondato da Lenin, che vuole creare una società senza classi ed esportare la rivoluzione (Terza Internazionale)[9]. Con lo sviluppo del programma del terzo anno al rientro dell'anno scolastico 2013, questa direttiva non è più scritta " nero su bianco", ma l'assimilazione resta molto presente soprattutto nei libri di testo: "Dopo la morte di Lenin nel 1924, Stalin si presenta come suo unico erede. Solo al potere a partire dal 1929, decide di accelerare l'attuazione del comunismo in Unione Sovietica e la trasformazione dell'economia."[10]. Tuttavia, le caratteristiche della società stalinista non hanno niente a che fare con la prospettiva (ancora all'ordine del giorno) stabilita da il Manifesto comunista nel 1848. Il vero volto dell'URSS era il capitalismo di Stato in cui una nuova borghesia ha continuato lo sfruttamento del proletariato russo. I mezzi di produzione non erano affatto condivisi e lo Stato non fu abolito ma al contrario utilizzato al massimo.
Presentare il comunismo come una società già realizzata nel XX secolo in URSS, Cuba o la Cina è una mistificazione ancora efficace anche se la borghesia ritiene utile non farne un suo cavallo di battaglia. Questa menzogna insopportabile, che continua a causare grande confusione nella classe operaia, deve essere condannata e denunciata, in nome del fine ultimo del proletariato: la riunificazione della società umana.
Ma l'arma più efficace contro la lotta di classe rimane la propaganda democratica e civile. I Programmi di educazione civica nelle scuole medie e superiori sono stati progettati per martellare le "virtù" della democrazia "l’eguaglianza repubblicana è fondamentale per compensare e correggere le disuguaglianze. Le leggi proteggono le persone e le proprietà e stabiliscono il quadro della vita nella società "[11]. O ancora la necessità di essere cittadini responsabili nel rispetto dei propri diritti e doveri per garantire l'armonia sociale. Il ruolo dello Stato è fuorviato, perché lo si presenta come entità che "protegge contro i grandi rischi e garantisce la sicurezza del territorio."[12]. Ciò che si nasconde agli studenti è che lo Stato è uno strumento di conservazione sociale che permette alla classe dominante di garantire i propri interessi. In una classe di quarta, un capitolo è dedicato a "l'esercizio della libertà in Francia." Anche in questo caso, la borghesia mostra tutto il suo cinismo e ipocrisia, in quanto il programma si concentra sulla libertà di opinione e di coscienza (di religione, laicità ...), ma lo sfruttamento della classe operaia e della sua alienazione sono ovviamente ignorate. Tante sono le mistificazioni che si trasmettono agli alunni e distruggono il loro spirito critico. Per Jules Ferry, l'insegnamento dell'educazione civica doveva garantire l’inquadramento ideologico per i figli dei lavoratori, “No, naturalmente, lo stato non è un dottore in matematica, dottore in lettere o chimica. [...] Se retribuisce gli insegnanti, questo non è per creare o diffondere le verità scientifiche, non è per questo che si occupa di istruzione: se ne occupa per mantenere una determinata morale, una determinata dottrina di stato, indispensabili alla sua conservazione. [...] Quindi non abbiate paura di esercitare questo apostolato della scienza, della giustizia e della verità, che bisogna opporre risolutamente da ogni parte a questo altro apostolato, a questa retorica violenta e ingannevole, [...] questa utopia criminale e reazionaria che chiamano guerra di classe!”
L'attuale borghesia è molto meno esplicita quando stabilisce formalmente i suoi progetti in materia di istruzione. Tuttavia, le mistificazioni democratiche e civili sono molto più profonde e sofisticate rispetto ai tempi di Jules Ferry. I programmi di educazione civica sono sviluppati in modo tale che lo studente possa assimilare tutti gli artifici che nascondono la lotta di classe. La complementarietà dei programmi di educazione civica e di storia fa in modo da negare la natura della borghesia come classe sfruttatrice. Per essa il capitalismo si è imposto e la democrazia rappresentativa raffigura la forma più perfetta di organizzazione sociale. In definitiva, la storia è finita ed è questo che dobbiamo insegnare agli studenti. Non c'è bisogno di intravedere le alternative, la società capitalista e democratica è la più perfetta che l’uomo sia in grado di costruire. Di fronte a queste menzogne, l'esperienza e la conoscenza teorica del movimento operaio permettono di dire la verità. No! La società non è organizzata come somma di individui "liberi e uguali", ma in classi antagoniste con interessi diversi. In tutto il mondo, anche nei paesi democratici, i lavoratori sono sfruttati e vittime. Un profondo senso di disgusto li assale alla vista dei privilegi e delle malversazioni dei padroni o degli uomini politici. E poi, come ho potuto sperimentare, gli studenti non sono ingannati. Alcuni di loro sono pronti a denunciare la corruzione e l'ineguaglianza quando gli si espone la società ideale in cui dovremmo vivere. Si potrebbe sperare che la realtà non deluda queste giovani menti.
Fin dall'inizio della scuola repubblicana, patriottismo e "romanzo nazionale" acquistano un posto centrale nei programmi. La Comune di Parigi aveva scosso notevolmente la borghesia che reagì amplificando la cappa ideologica sulla classe operaia. Si adoperò a distruggere l'internazionalismo sviluppato dal proletariato francese nel 1871. Per il ministro dell'Istruzione Jules Simon, una delle lezioni del "test" che la Francia ha appena vissuto è la necessità che "la Francia conosca la Francia, meglio di come possano conoscerla gli stranieri"[13]. Forse più di altre discipline, la storia e la geografia posseggono un ruolo ideologico importante nel sistema scolastico. All'alba del XX secolo, la storia viene insegnata in tutti i livelli di istruzione. Lo sciovinismo, il nazionalismo e il militarismo stanno avvelenando le menti dei futuri lavoratori. Tra il 1871 e il 1914, l'insegnamento della storia è condizionato da uno spirito di vendetta contro la Prussia, dopo la sconfitta di Sedan nel settembre 1870. Sulle mappe della Francia affisse nelle aule, i territori di Alsazia e Lorena (persi nel 1870 a favore della Prussia), sono delimitati da un tratteggio per escluderli ma di colore viola in modo tale da individuare un esagono. A poco a poco, la borghesia utilizza la scuola per imbrigliare la classe operaia in un conflitto globale inevitabile e dividerla sul piano internazionale. Permea le menti di un ideale nazionale mescolando l'ardore marziale e la religione come Emile Zola ha denunciato nel suo romanzo Verità nel 1903, quando descrive un insegnante e la sua classe: "Quattro quadri appesi al muro, illuminati violentemente, l’irritavano: S. Genoveffa che consegna Parigi, Giovanna d'Arco che ascolta le sue voci, San Luigi che guarisce i malati, Napoleone che passa a cavallo su un campo di battaglia. Sempre il miracolo e la forza, sempre le menzogne religiose e la violenza militare dati in esempio e gettati come seme nel cervello dei bambini."
Per i paesi dell'Intesa, la vittoria del 1918 permetterà di contenere l'impulso rivoluzionario della classe operaia. E per questo, la borghesia utilizzerà tutto il suo cinismo per "saldare la nazione", mescolando la compassione per i morti, l'orgoglio di aver difeso la patria e la promozione della convivenza pacifica. Immediatamente lo Stato stabilisce la commemorazione obbligatoria da parte degli studenti ai monumenti dedicati ai caduti. Nel manuale Lavisse del 1934, la guerra si presenta come una fatalità che è stata imposta alla borghesia, "dal 1914 al 1918, i francesi sono stati costretti a entrare in guerra con la Germania, come nel 1870." Il patriottismo non è scomparso nei programmi fino ad oggi, ma ha assunto una dimensione più insidiosa in quanto il sentimento patriottico non appare come tale. Ora i programmi della scuola media e del liceo presentano la storia della Francia, nel XIX e XX secolo, come l'avvento e la consacrazione della democrazia e della "libertà" dal 1789. Si è omesso che nella società capitalista, l'unica libertà della classe operaia è di vendere la sua forza-lavoro. D'altra parte, per legittimare la "benedizione" di nuove istituzioni globali (UE, ONU), lo Stato ha inventato il concetto di cittadinanza europea, anzi cittadinanza addirittura mondiale. Ancora una volta, lo scopo è deviare il vero ruolo delle sue istituzioni che esistono solo per portare una parvenza di ordine in un caos generalizzato. Ad esempio, gli studenti sono tenuti a rispettare l'idea che la "creazione dell'Onu risponde a un desiderio di pace."[14]. Se la borghesia adatta la sua ideologia, resta il fatto che il patriottismo rimane un potente vaccino contro l'emergere dell’internazionalismo all’interno della classe operaia.
I programmi aprono la porta all’idealismo e alla scomparsa del pensiero critico. La loro architettura è caratterizzata da una serie di eventi o periodi tematicamente affrontati senza spiegare la causa e l'effetto. La storia è raccontata, ma non si analizza il significato dei fatti, il che provoca la perdita dello spirito critico.
I programmi incoraggiano a recitare la storia del passato ma non a capirla e trarne le lezioni. La borghesia ha perso ogni visione coerente e obiettiva della storia e questo si riflette nell'idealismo degli insegnamenti. Ad esempio, si consideri come si insegna la storia delle religioni. Solo le tre grandi religioni monoteistiche sono studiate in dettaglio e le indicazioni impongono di riferirsi alle "storie sacre" staccate da ogni contesto. In nome della laicità, è impossibile da spiegare in una cornice materialista l'apparizione e la vera natura delle credenze divine. La scuola è uno strumento essenziale per la diffusione dell'ideologia dominante tra i ranghi della classe operaia. In sostanza, il suo ruolo è quello di oscurare la realtà della società capitalistica. Quale può essere la risposta della classe operaia a riguardo? Lo sviluppo della solidarietà e dell'unità nella lotta.
È attraverso la pratica che i lavoratori scoprono di essere sfruttati dal capitale. È attraverso le umiliazioni quotidiane che scoprono che la visione del mondo presentata dalla borghesia non corrisponde alla realtà. Come scrisse Lenin, "solo l'azione educa la classe sfruttata, solo essa le dà la misura della sua forza, ampliando il suo orizzonte, migliorando le sue abilità, chiarendo la sua intelligenza e temprando la sua volontà.” (Lenin. Rapporto sul 1905. 22 gennaio 1917). La lotta "la costringe a comprendere la struttura del sistema economico, a conoscere ciò che è la società, dove sono i suoi nemici e alleati"[15]. Dunque è lo sviluppo della coscienza di classe che immunizza contro l'ideologia borghese e fa acquisire consapevolezza della propria identità e del ruolo da svolgere per superare l'attuale società. "È una consapevolezza di sé. E questa presa di coscienza è sempre sinonimo di lotta di classe. La coscienza di classe è quindi semplicemente l'affermazione del proletariato come classe rivoluzionaria, cioè l’essere consapevole."[16].
Nella sua presa di coscienza il proletariato non ha bisogno delle falsificazioni storiche della scuola borghese. La sua educazione passa attraverso la trasmissione di generazione in generazione di una storia, un'esperienza, una teoria, una morale, una identità che appartengono solo alla classe operaia. Perché non bisogna dimenticare che
"l'emancipazione dei lavoratori è opera dei lavoratori stessi."
Venceslas.
[1] "La soppressione della storia e geografia è un attacco economico e ideologico", Révolution Internationale, n° 408
[2] "Il comunismo non è un bell'ideale ma una necessità materiale”, Revue Internationale, n°68
[3] Ibid.
[4] F. Engels, K. Marx, Manifesto del Partito comunista, cap. 1. Quando venne scritto questo testo nel 1847, le conoscenze sulle società preistoriche erano minime. L’organizzazione sociale precedente, basata sulla proprietà comune della terra, era sconosciuta.
[5] Ibid.
[6] Per un’analisi più approfondita sul significato della Comune di Parigi consultare: "La Comune di Parigi, primo assalto rivoluzionario del proletariato" in Internationalisme, n° 351.
[7] Manuale Nathan del programma di terza.
[8] Manuale Magnard del programma di terza.
[9] Programma di terza, Bollettino ufficiale speciale n° 6 del 28 agosto 2008.
[10] Manuale di storia, geografia, educazione civica, Nathan 2014.
[11] Presentazione del programma di educazione civica del quinto Bollettino Ufficiale Speciale n°6 del 28 agosto 2008.
[12] Bollettino Ufficiale Speciale n°6 del 28 agosto 2008.
[13] Patrick Garcia, Jean Leduc, L'insegnamento della storia in Francia dal Vecchio Regime ai nostri giorni, Armand Colin, 2003.
[14] Gestione del programma di storia-geografia-educazione civica, septembre 2013.
[15] "Ideologia et coscienza di classe", dall'opuscolo Organizzazione comunista e coscienza di classe.
[16] Idem.
Pubblichiamo un contributo firmato da “Compagni algerini (Lettori di RI)”. Partendo da un argomento riguardante i problemi di salute, i compagni pongono uno sguardo storico e critico che porta in modo militante alla rimessa in discussione del sistema capitalista: "Le malattie non sono delle calamità naturali, ma catastrofi sociali legate al modo di produzione capitalista". Noi condividiamo l'indignazione dei compagni, salutiamo la loro volontà di fare appello alla riflessione, alla coscienza rivoluzionaria degli operai ed incoraggiamo a proseguire questo lavoro prezioso. Tuttavia, a parte critiche secondarie[1], la nostra principale critica cade sulla forma ripetitiva del loro appello inviato con questo contributo ai "proletari algerini". Ciò che descrivono i compagni supera in realtà il quadro della situazione in Algeria. Ma soprattutto interpellare il proletariato di una nazione, l'Algeria, non ci sembra il modo migliore di procedere per difendere al meglio l'unità internazionale della lotta e partire dal movimento come un tutto. In tal modo si tende ad attenuare il reale significato internazionalista del contributo. Preferiamo dunque concludere sottolineando a maggior ragione la formulazione senza ambiguità della fine del testo: "questa trasformazione comunista della società non può farsi senza una rivoluzione che permetterà il capovolgimento del capitalismo a livello mondiale".
Secondo l’OMS[2] “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solamente in un’assenza di malattie o di infermità”.
Per Erodoto[3], i Berberi[4] erano una “razza di Uomini dal corpo sano, agile, resistente alla stanchezza; la maggior parte di essi periscono in vecchiaia, salvo quelli che periscono per il ferro o per le bestie, perché è raro che la malattia li colpisca”[5].
Si vede bene, in Erodoto, che i berberi vivevano a lungo, morivano di vecchiaia e raramente di malattia. Quale è lo stato di salute dei proletari algerini oggi?
Non si tratta di vedere come il sistema attuale di salute risponde alle attese dei cittadini perché sappiamo, e lo vedremo dopo, che oggi, e ciò è valido in tutti i paesi capitalisti di questo mondo, la medicina non può niente di fronte alle malattie dette degenerative.
Impegnata in un processo di sviluppo la cui apertura all'investimento straniero è quella più visibile, l'Algeria ha adottato particolari opzioni sui piani economici e sociali, e ciò ha implicato mutazioni nella struttura sociale del paese e lo sconvolgimento delle abitudini e dei comportamenti alimentari. Beninteso, sugli aspetti che abbiamo appena citato, è possibile stilarne un lungo elenco attraverso tutte le modifiche ed i soqquadri vissuti dalla società algerina.
Se queste mutazioni hanno aumentato il livello di vita degli algerini, ci sono comunque conseguenze per la salute della popolazione. La situazione sanitaria merita un esame attento perché, se la speranza di vita alla nascita sembra migliore, è anche vero che giorno dopo giorno lo stato di salute si degrada.
La popolazione algerina è stata stimata, nel 2012, a poco più di 38 milioni di abitanti. Circa il 60% della popolazione vive in centri urbani. Ma oggi non c'è nessuna differenza tra la vita in campagna e quella nelle città; le abitudini ed i comportamenti alimentari sono identici; praticamente in ogni casa troviamo almeno un veicolo e ciò significa che le persone camminano poco e si spostano in automobile.
Dall’inizio degli anni 2000 i tassi prevalenti delle malattie croniche sono in pieno rialzo in Algeria. L’ipertensione arteriosa, le malattie cardiovascolari, il diabete, le affezioni respiratorie croniche (asma, bronchite cronica …), le malattie digestive (ulcere, litiasi biliare, colonpatie), l’insufficienza renale cronica, i cancri, le malattie mentali, il morbo di Crohn (malattia infiammatoria cronica dell'intestino), restano le principali minacce per lo stato di salute degli algerini. Seguono le cause legate all'ambiente sociale come i suicidi, gli incidenti stradali e sul lavoro.
Sono stati censiti in Algeria circa 20 milioni di malati cronici di cui 9 milioni di ipertesi rappresentano un quarto della popolazione, mentre il 44,5% dei decessi sono dovuti a malattie cardiache.
Il numero di diabetici è passato da un milione di persone nel 1993 a più di 2,5 milioni nel 2007. Nel 2011, secondo il Ministero della Salute, il diabete colpisce 5,1 milioni di persone, (che sono invece 7,1 milioni secondo la federazione delle associazioni dei diabetici), di cui 80.000 bambini. Il tasso dei colpiti è dell’1% presso le famiglie povere e del 3,5% presso le famiglie agiate.
Il presidente della Rete delle Associazioni delle Malattie Croniche ha stimato che oltre 5 milioni di persone sarebbero colpite da epatite.
Sul cancro poi, secondo una conclusione del gabinetto di consultazione e ricerca, l’OBG[6], i risultati sono allarmanti. L’OBG ha rivelato che il tasso[7] del cancro è passato da 80 casi ogni 100.000 persone negli anni 1990 a 120 casi nel 2008. E la prospettiva è che raggiunga 300 casi ogni 100.000 persone durante i prossimi dieci anni, eguagliando i tassi che attualmente si ritrovano negli Stati Uniti (400 casi per 100000), in Canada ed in Francia, (300 casi per 100 000). In media, annualmente, sono censiti 40.000 nuovi casi di cancro. Bisogna ricordare che gli esperimenti nucleari effettuati dalla Francia[8] a Reggane[9] sono in parte responsabili di alcuni tipi di cancro, in particolare del seno nelle giovani donne.
Il paese conta inoltre 2,5 milioni di asmatici e 5 milioni di persone che soffrono di rinite allergica. L’asma è la prima malattia cronica del bambino. La prevalenza di questa patologia sarebbe del 10-15% nei paesi avanzati e del 5-10% nel Magreb.
Nel 2007, secondo la società algerina di neurologia, l’Algeria contava circa 100.000 persone colpite dalla malattia di Alzheimer e circa 300.000 epilettici.
Proletari algerini,
queste cifre dimostrano da sole l’assenza di prevenzione e di soluzioni efficaci per invertire la tendenza. Le vittime di queste malattie sono sempre le stesse; sono i salariati: “Questi ospiti di ricoveri, vittime di aringhe putride o di torcibudella adulterati, chi sono? Un impiegato di commercio, un operaio edile, un tornitore, un meccanico: operai, operai, nient'altro che operai. E chi sono questi esseri senza nome che la polizia non ha potuto identificare? Operai, nient'altro che operai, ossia uomini quali sono stati fino a ieri”.[10]
Le malattie non sono calamità naturali, ma catastrofi sociali legate al modo di produzione capitalista che induce dei comportamenti e delle abitudini alimentari. Per rendersi conto di questa evidenza, basta guardare le statistiche: più un paese è sviluppato e più il numero dei malati cronici è in rialzo. O ancora, basta guardare le statistiche algerine e vedere come la percentuale degli ammalati di cancro algerini che vivono in Francia o in Canada è più elevata di quelli che vivono in Algeria.
Lo stile di vita (alimentazione, …), le condizioni ambientali, costituiscono fattori di rischio importanti per le malattie non contagiose. Secondo l’OMS esistono fattori determinanti che influenzano lo stato di salute di una popolazione:
Questo aumento di malattie croniche, quelle già descritte come degenerative, è dovuto ai succitati fattori di rischio i quali determinano il deterioramento dei meccanismi auto riparativi dell’organismo. Le grandi città, (Algeri, Constantine, Oran, Annaba, …) e quelle provviste di industrie inquinanti, costituiscono zone a rischio per lo sviluppo di queste malattie. È da notare che ritroviamo queste malattie anche nei campi rurali con le stesse proporzioni delle città.
Le malattie sono dunque (ed è la stessa OMS - che è un'organizzazione borghese - ad ammetterlo) determinate dal modo e dalle condizioni di vita (dai ritmi lavorativi, l’alimentazione, lo stress, l’aria che si respira, ...) determinate a loro volta dalle esigenze della produzione. Ciò che ci spinge a dire che ogni modo di produzione, e dunque ogni forma sociale che quest’ultimo genera, ha le sue specifiche malattie.
Le malattie come il diabete, lo stress, l’ipertensione, ecc. sono fattori di rischio della malattia di Alzheimer. Infatti l'Alzheimer apparirebbe a seguito dell’effetto combinato di queste malattie che, superando una certa soglia, impedirebbe ai meccanismi riparativi del cervello di funzionare normalmente.
Il responsabile di tutte queste malattie è il capitalismo, è lui che inquina, che ci nutre, che aumenta i ritmi lavorativi e che ci stressa: “I Signori Consiglieri medici possono pur ricercare al microscopio il germe mortale negli intestini degli intossicati ed isolare le loro “culture pure”: il vero bacillo, quello che ha causato la morte degli ospiti del rifugio notturno berlinese, è l'ordine sociale capitalista allo stato puro”.[12]
Viviamo in una società in cui tutti i comportamenti e le merci, come la cattiva alimentazione, gli alloggi pieni di prodotti tossici (basti pensare all’amianto), l’inquinamento (l’aria diventa sempre più tossica), le alterazioni climatiche …, sono determinati dalle necessità della produzione capitalista. Una società stressata, uno stress che è generato dal lavoro salariato e da uno sfruttamento sempre più feroce dei lavoratori.
Anche la borghesia è cosciente di questo pericolo ma resta impotente e tenta giusto di limitare i danni. Non può fare prevenzione perché farla significa proiettarsi nel futuro, e la società capitalista è una società immediatista nel senso che non ha programma e non può dominare dunque il suo futuro: “Nella società borghese, il passato domina dunque il presente”[13]. Se il presente è dominato dal passato, allora il futuro è dominato dal presente.
La società borghese agisce in funzione degli avvenimenti, non è più padrona del suo destino, sono le leggi del capitalismo a dettare la via da prendere. Ci si può dire che il capitalismo non è una persona, certo!, ma “Il capitale non è dunque un potere personale; è un potere sociale”[14].
Una volta un discepolo disse a Gesù: “Maestro, ti seguirò ovunque tu andrai, ma permettimi di seppellire prima mio padre”. E Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”. Ciò significa più cose. Per esempio, che una società che non ha prospettive, che non può proiettarsi nel futuro, è una società morta. All’epoca Gesù rappresentava la prefigurazione della società futura e la società di allora che rappresentava il presente era già morente.
Inoltre, per la borghesia, l’uomo non è che una macchina, ha un disprezzo verso i proletari e la natura, questa idea è presa da Hobbes: “che cosa è il cuore se non una pompa, i nervi se non altrettanti cordoni, le articolazioni se non altrettante ruote?”[15]. Si vede bene il disprezzo che ha Hobbes per l’uomo. Hobbes è anche quello che diceva che l’uomo è un lupo per sé stesso.
Partendo dall’idea che l’uomo è una macchina, ed in assenza di ogni prospettiva e di ogni prevenzione, la medicina si contenta di riparare i malati per sfruttarli in seguito. Proprio come fa il meccanico che ripara le automobili cambiando dei pezzi affinché siano riutilizzabili dai rispettivi proprietari, la medicina è ridotta al solo compito della manutenzione affinché i lavoratori possano essere sfruttati di nuovo dal loro proprietario (padrone).
Ciò non vuole dire che la medicina non sia capace di fare prevenzione, ma essa ne è impedita dalle esigenze del capitale che indicano il percorso da seguire. Lo sviluppo dell’industrializzazione è il solo fattore che spiega lo sviluppo della salute pubblica: da una parte, attraverso semplici criteri di produttività degli operai, dall’altra parte attraverso la pressione dei lavoratori.
Ciò prova che la scienza in una società divisa in classi sociali è una scienza della classe dominante, nel senso che è orientata al servizio degli interessi di quest’ultima. Ed è questo che, giustamente, ricorda Rosa Luxemburg in risposta al revisionismo di Bernstein: “Questa dottrina composta da frammenti di tutti i sistemi possibili senza distinzione sembra ad un primo sguardo completamente libera di pregiudizi. Infatti, Bernstein non vuole sentire parlare di una scienza di partito o, più precisamente, di una scienza di classe, non più di un liberismo di classe o di una morale di classe. Crede rappresentare una scienza astratta universale, umana, un liberismo astratto, una morale astratta. Ma la società vera è costituita da classi che hanno degli interessi, delle aspirazioni, delle concezioni diametralmente opposte, ed una scienza umana universale nel campo sociale, un liberismo astratto, una morale astratta sono per il momento dei ricorsi fantasiosi e pura utopia. Ciò che Bernstein prende per sua scienza, sua democrazia, sua morale universale talmente umana, sono semplicemente tutte quelle della classe dominante, in altre parole la scienza, la democrazia, la morale dei borghesi”.[16]
Proletari algerini,
davanti a questa disgrazia che ci cade addosso, ascolteremo due voci che tenteranno di consolarci. Esse ci sembreranno differenti ed opposte, ma in realtà sono le due facce di una stessa medaglia.
La prima è la voce degli amici e delle amiche del popolo, degli esperti opportunisti, quella dei gauchisti, dei campioni dell’individualismo come i trotskisti, i maoisti, gli stalinisti, gli anarchici, i libertari, gli ecologisti o altro fronte di sinistra. Questa voce ci dirà: mangiate bio e consumate meno e se non faremo così saremo additati come stupidi. Il loro assurdo ragionamento li ha spinti a lanciare una parola d'ordine reazionaria e piccolo-borghese: “Soluzione locale per un disordine globale”. In altre parole: occupiamoci della nostra piccola vita e della nostra bocca ed al diavolo il resto dell'umanità.
La seconda è quella del grande capitale che ci dirà: non vi preoccupate, fidatevi della scienza, essa troverà le soluzioni. Ma abbiamo visto con Rosa Luxemburg che non c’è scienza universale, che la scienza è una scienza a servizio degli interessi della classe dominante e che risponde agli imperativi della produzione ed alla logica del profitto, è cioè al servizio del capitale.
Questa seconda voce tenterà di ingannarci ancora facendoci balenare una speranza legata al fatto che, proprio grazie al progresso della scienza e del capitalismo, la durata di vita degli algerini è passata dai 50 anni nel 1962 a quasi 73 anni nel 2010.
Per rispondere a questa menzogna da tanto tempo propagandata dalla borghesia, preferiremmo lasciare parlare un cristiano che ha saputo decifrare i testi biblici, invece di prenderli alla lettera come fa il religioso ordinario o di rigettarli come fa il libero pensatore borghese ordinario. Ed ecco ciò che dice:
“Una cosa ancora comunemente ammessa in questa fine dei secoli è l’immensa menzogna sostenuta dalla maggior parte degli scienziati nell'affermare che la durata della vita media dell’uomo sia aumentata di più di trent’anni! Da quarant’anni, dicono, quale una volta era la sua durata di vita, oggi l’abbiamo portata a settantacinque anni! Di conseguenza, dicono: gli scienziati sono degli dei che hanno il potere di allungare la vita delle creature! Sosteniamoli nelle loro ricerche che ci porteranno alla vita eterna.
La loro affermazione è una vanità ed un’ulteriore confusione perché, nei tempi antichi, la durata di vita degli uomini era uguale a quella di oggi. Mosé lo dimostra nel novantesimo salmo, quando prega il Padre di rivolgere i suoi sguardi su di loro. Lui dice:
Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo corruccio;
Vediamo i nostri anni svanire come un suono.
I giorni dei nostri anni si alzano a settant'anni,
E, per i più robusti, ad ottanta anni;
E l'orgoglio che ne traggono non è che pena e miseria,
Perché passa rapidamente, e noi voliamo via.
Poiché Mosé menziona chiaramente che la durata di vita degli uomini era una volta mediamente di settantacinque anni, e non quarant'anni, come osano allora gli scienziati del presente pretendere di averla portata a settantacinque anni? Ancora un poco, ed essi potranno strombazzare che gli esseri viventi sono opera delle loro mani!
Sappiate che prima di Mosé gli uomini determinavano la loro età in anni lunari. Ad ogni nuova luna, aggiungevano un anno al numero dei loro anni. Basta allora dividere, diciamo, per tredici, i tredici mesi lunari, per comprendere che Adamo che visse novecentotrenta anni, secondo la scrittura, visse poco più di settantuno dei nostri anni attuali. Seth visse novecentododici anni, ossia settant'anni. Enosch visse novecentocinque anni, ossia sessantanove anni e sei mesi. E così via per tutte le età date in anni lunari”.[17]
Si vede bene che non solo il capitalismo non ha portato niente all’umanità in termini di speranza di vita ma, al di là di questa menzogna che vediamo sfaldarsi sotto i nostri occhi, siamo in diritto di affermare che questo sistema priva anche coloro che potrebbero godere di buona salute di esserlo, e la fine della vita come conclusione della vitalità umana e del passaggio dalla vita alla morte diventa un esercizio di orrore e di sofferenza sia per quelli che muoiono che per le loro famiglie.
La seguente citazione è forse lunga per il lettore, ma non abbiamo resistito al desiderio di citarla per intero perché ci sembra riassumere e proiettare una luce folgorante sullo stato in cui il capitalismo ha messo il mondo:
“Sì, è probabile che vi giungiate se le menzogne e le calamità del mondo che ne sono le conseguenze non vi sfuggono:
Certamente regnano gli intelligenti, ma le nazioni bruciano!
Gli uomini si ammucchiano come le cavallette nelle città e si corrompono;
La violenza progredisce;
I paesi si riempiono di armi diaboliche e di militari avidi di sangue;
Le minacce aumentano, le guerre si moltiplicano;
Le città erodono le parti vicine sviluppandosi come i tumori;
Alcune zone sono sfigurate, altre contaminate o interdette;
E la campagna oramai spaventa.
La schiavitù si intensifica;
I deboli sono disprezzati, oppressi o rigettati;
I poveri sono abbandonati, ed i bambini manipolati;
I vecchi sono abbandonati;
Popoli interi soffrono di carestia.
Le specie sono snaturate da coloro che ignorano completamente la creazione;
Tutto ciò che è naturale sparisce o diventa abominevole agli occhi di tutti.
Il mare è saccheggiato;
La superficie della Terra è sporcata e devastata, le sue viscere sono sconvolte;
Le foreste spariscono;
I corsi di acqua si putrefanno;
L'acqua potabile diminuisce;
Le macchine di ferro irrompono su uomini e bestiame, spesso schiacciandoli ed uccidendoli;
Le malattie proliferano, si aggravano ed aumentano la loro estensione;
Le specie animali si rarefanno, molte non sono più che dei ricordi;
L'ordine della natura è scosso gravemente.
I valori dell'esistenza sono calpestati;
La fede e la speranza sono volate via;
La saggezza ed il buonsenso non esistono più;
I giovani si disperano, un grande numero si dà la morte.
E voi non siete in grado di rimettere in discussione le vostre convinzioni?
Oh! Uomo, dov’è la tua gloria?"[18].
Malgrado la sua appartenenza alla religione cristiana, i fatti e la descrizione che dà del nostro mondo calzano perfettamente la realtà. È per questa ragione che siamo andati oltre la sua dottrina. La conclusione di questa citazione invia l’uomo ad un ritorno verso la gloria attraverso la fede, ma voi, cari proletari, come noi, sapete che è qua giù sulla terra che risiede la lotta dell’uomo.
Proletari algerini,
Di fronte a questa menzogna espressa dalle voci precedenti, esiste un'altra voce, quella della Sinistra comunista, la voce del marxismo autentico, quella del marxismo rivoluzionario. La sinistra comunista è anti-riformista, antirevisionista, antistalinista ed anti-trotskista. Questa voce ci dice: “Soluzione globale (che è il comunismo) contro il disordine globale (che è il capitalismo)”.
Nella società comunista, “è il presente che domina il passato”.[19] E dunque il futuro va a dominare il presente. La produzione sarà orientata in funzione dei bisogni dell’umanità e non in funzione dei bisogni del capitale ed essa sarà rispettosa della natura e dunque dell'uomo: “Tuttavia, non dobbiamo lusingarci troppo per le nostre vittorie sulla natura. Per ogni vittoria ottenuta la natura si vendica su noi. Certamente ogni vittoria ci dà in prima istanza le conseguenze da noi aspettate, ma essa ha anche effetti del tutto differenti, imprevisti che spesso distruggono le prime conseguenze. Le persone che, in Mesopotamia, in Grecia, in Asia minore ed altri luoghi distruggevano le foreste per guadagnare terre arabili, non avrebbero mai potuto immaginare che stavano buttando le basi dell’attuale desolazione di questi paesi perché, con la distruzione delle foreste, si distruggono i centri di accumulazione e di conservazione dell’umidità. Gli italiani che, sul versante sud delle Alpi, saccheggiavano le foreste di abeti, conservate con tanta cura sul versante nord, non si rendevano conto che in tal modo minavano l'allevamento di alta montagna sul loro territorio; ed ancora meno sospettavano che, facendo ciò, privavano di acqua le loro fonti di montagna per la maggior parte dell’anno e che quest’ultime, durante la stagione delle piogge, avrebbero scaricato sulla pianura torrenti particolarmente furiosi. Quelli che seminarono la patata in Europa non sapevano che con i tuberi farinosi essi seminavano anche la scrofolosi. E così i fatti ci ricordano continuamente che non regniamo per niente sulla natura come regna un conquistatore su un popolo straniero o come esseri al di sopra della natura, ma che le apparteniamo con la nostra carne, il nostro sangue, il nostro cervello, che siamo nel suo seno, e che tutto il nostro dominio su di essa risiede solo nel vantaggio che abbiamo sull'insieme delle altre creature, e nel conoscere le sue leggi e potercene servire giudiziosamente”.[20]
“I vestiti ed i prodotti cosmetici, per esempio, saranno fabbricati rispettando le funzioni biologiche del corpo come la traspirazione, parimenti per il cibo, i pesticidi saranno banditi. Lo stress al lavoro sarà eliminato perché il lavoro non sarà più un'esigenza del capitale ma come diceva Marx sarà “il primo svago dell'uomo”. La diminuzione drastica del tempo di lavoro permetterà a ciascuno di dedicare del tempo alla lettura ed ad altri svaghi come la pesca, la musica, lo sport, gli studi, l'arte, … Ciò permetterà la fine della divisione sociale del lavoro che, per un periodo storico, è stata un motore di sviluppo ma che, oggi, rappresenta un freno per l'umanità. Ciò permetterà anche la fine della specializzazione: non ci saranno più muratori, medici, artisti, professori … ma ciascuno di noi potrà essere nello stesso tempo tutti questi.”[21].
Ma questa trasformazione comunista della società non può farsi senza una rivoluzione che permetterà il capovolgimento del capitalismo a livello mondiale.
La classe operaia, con il suo partito politico di classe, è la sola classe capace di compiere la rivoluzione comunista. La lotta rivoluzionaria conduce necessariamente la classe operaia a scontrarsi con lo Stato capitalista. Per distruggere il capitalismo, la classe operaia dovrà rovesciare tutti gli Stati e stabilire la dittatura del proletariato a scala mondiale attraverso il potere internazionale dei consigli operai, che raggruppano l’insieme del proletariato.
La trasformazione comunista della società da parte dei consigli operai non significa né “autogestione”, né “nazionalizzazione” dell'economia. Il comunismo necessita dell’abolizione cosciente da parte della classe operaia dei rapporti sociali capitalisti: il lavoro salariato, la produzione di merci, le frontiere nazionali. Esige la creazione di una comunità mondiale la cui attività sia completamente orientata verso la piena soddisfazione dei bisogni umani.
Il cancro è per il corpo ciò che il capitalismo è per la società.
Perché essendo generati dalla natura, necessariamente ci siamo snaturati.
Compagni algerini (Lettori di RI[22])
[1] In particolare l'idea che sta alla base del contributo secondo il quale la speranza di vita non sarebbe per niente progredita dall'epoca di Mosè. Questa visione schematica ci sembra completamente errata, riduttrice e caricaturale, perché sembra rigettare in blocco i progressi della medicina, ivi compreso nel capitalismo, che sono proprio nel 19° e 20° secoli reali e verificabili.
[2] Organizzazione Mondiale della Sanità.
[3] Erodoto, nato verso il 484 prima della nostra era ad Alicarnasso in Carie, attualmente Bodrum in Turchia, morto verso il 420 a.c. Thourioi, è uno storico greco. Nel suo quarto libro enumera tutti i popoli che, secondo lui, vivevano in Africa settentrionale e nel Sahara.
[4] “I Berberi (Imazighen, al singolare Amazigh), sono un insieme di etnie autoctone dell’Africa settentrionale. Occupavano, in una certa epoca, un largo territorio che andava dal versante occidentale della valle del Nilo fino all'oceano Atlantico, le isole Canarie e l’insieme del Sahara, dove fondarono potenti regni formati da tribù confederate. Erano conosciuti nell’antichità sotto i nomi di libici, mori, Gétules, Garamanti o ancora Numidi. Tutto il paese che si estende dall’Egitto fino al lago Tritonis è abitato dai libici nomadi […]. I popoli ad occidente del lago Triton non sono nomadi”. Erodoto, IV, 186-187.
[5] Kaddache (Mahfoud), L'Algeria degli algerini, dalla preistoria al 1954, pagina 20.
[6] Oxford Business Group.
[7] In epidemiologia, la prevalenza è una misura dello stato di salute di una popolazione ad un dato momento.
[8] Negli anni 1960 l’esercito francese realizzò le prime prove nucleari al Centro Sahariano di Sperimentazioni Militari (CSEM), situato nella regione di Reggane, in Algeria.
[9] Reggane è un comune del wilaya di Adrar, situata a nord del deserto del Tanezrouft.
[10] Rosa Luxemburg, Nel ricovero notturno, 1 gennaio 1912.
[11] Una radiazione ionizzante è capace di depositare abbastanza energia nella materia che attraversa tanto da ionizzarla. Queste radiazioni ionizzanti, quando sono controllate, si prestano a molti usi pratici benefici (campi della salute, industria, …). Ma per gli organismi viventi, a lungo andare, per dosi elevate sono potenzialmente nocivi e mortali.
[12] Rosa Luxemburg, Nel ricovero notturno, op. cit.
[13] Marx, Engels Il Manifesto del partito comunista, 1848.
[14] Marx/Engels, Ibid.
[15] Hobbes, Il Leviatano.
[16] Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione, 2a parte, capitolo "Il crollo", 1898.
[17] Il Libro di Vita dell’Agnello. Dal 15 dicembre 2000, la versione originale di questo lavoro si trova sul sito: www.lelivredevie.com [28].
[18] Ibid.
[19] Marx, Engels, Manifesto del partito comunista.
[20] Engels, “Il ruolo del lavoro nella trasformazione della scimmia in uomo”, ne “La dialettica della natura” 1876.
[21] Engels, Ibid.
[22] Révolution internationale (organo di stampa della Corrente Comunista Internazionale in Francia).
In un precedente articolo[1] di giugno 2013 abbiamo mostrato come la borghesia italiana abbia attraversato un periodo di grandi difficoltà, con una perdita crescente di controllo sull’elettorato e con la difficoltà a garantire un esecutivo stabile e credibile. Nel frattempo le cose sono andate avanti e sono cambiate in maniera significativa. Una situazione politica che sembrava dover portare necessariamente a nuove elezioni, con una crescente incertezza per il futuro, si è tramutata in una situazione di relativa stabilità politica, con la prospettiva di portare addirittura la legislatura attuale fino alla fine del mandato. Come è stato possibile un tale miracolo? Facciamo un piccolo passo indietro per ricordare le condizioni economiche, sociali e politiche in cui versa il Paese in questo momento.
Dopo la recessione del 2007-08, l'Italia non si è mai rialzata. Dal 2007-8, il PIL, tranne che nel 2010 quando è stato leggermente positivo, è stato sempre negativo o nullo. La produzione industriale del 2014 è stata del 30% inferiore a quella del 2007, con una discesa continua del volume e con tutto l'aumento della disoccupazione che ne consegue. Dal punto di vista del bilancio statale, nonostante l'aumento delle tasse e i tagli alle spese - anzitutto di quelle sociali - questo debito ha continuato ad aumentare. Il problema evidentemente non è la spesa, ma la crisi di sovrapproduzione, cioè la difficoltà da parte dell’Azienda Italia ad averla vinta sui concorrenti. Per cui i tagli alla spesa non riescono a compensare le mancate entrate fiscali legate alla riduzione del PIL. Ed è qui che l'Italia ha difficoltà perché il suo apparato produttivo ha perso competitività da decenni a questa parte, da prima dell’avvento dell’euro. Solo che prima dell'euro si poteva “recuperare” competitività ogni tanto con la svalutazione della moneta, cosa che oggi non si può più fare se non a livello europeo. Di qui gli attriti continui con la Germania.
Ciò detto, non bisogna pensare che la borghesia se ne stia con le mani in mano e che non sia capace di avere dei piani, sia a livello economico che politico. Apparentemente il governo Renzi sembra non avere cambiato nulla rispetto a quello Letta nella misura in cui la maggioranza governativa e le opposizioni sono esattamente le stesse, mentre invece è cambiato molto.
Anzitutto Renzi ha implementato la dimensione del populismo. Mentre Letta si presentava con il grigiore del vecchio staff politico e aveva scarse capacità di presa sul popolo italiano, Renzi si presenta oggi come un Superman che ha le idee buone, è energico, sa quello che vuole e lo impone, contrapponendosi in questo modo al Berlusconi con le sue stesse armi.
Ma c’è anche da dire che l’azione del governo Renzi tende a incidere concretamente sulla situazione economica, ma non solo. Per capire come, passiamo anzitutto in rivista il pacchetto di leggi in approvazione in parlamento in questi giorni per vedere come si è sviluppato l’attacco della borghesia.
Di fronte all’aggravarsi inarrestabile della crisi economica, i tentativi della borghesia tendono a mascherare il fatto che questa è una crisi storica, di sistema, e perciò senza vie d’uscita, senza soluzione. Di conseguenza ogni governo nuovo cerca di tirare qualche coniglio dal cappello per far credere che, cambiando le alleanze o solo le persone fisiche, ci possa essere un vero miglioramento, creando così nella popolazione una situazione di attesa, di accettazione dei sacrifici in vista di un futuro migliore. E questo è probabilmente il motivo maggiore della formazione del nuovo governo Renzi, con un leader che ricorda il Berlusconi della prima ora, capace com’è di promettere tanto, di sembrar credibile nelle sue promesse, soprattutto se accompagna le promesse con qualche misura di sicuro effetto mediatico, come gli 80 euro in busta paga per un buon numero di lavoratori, o la voce grossa verso la politica di austerità della UE. Ma in realtà il governo Renzi, rispetto a quelli immediatamente precedenti, sta andando anche più a fondo in una politica di attacco non solo sul piano economico, ma anche su quello della stessa coscienza operaia.
Legge di stabilità (finanziaria 2015)
La manovra finanziaria, che per quest’anno si aggira sui 36 miliardi di euro, prevede misure che puntano al taglio del costo del lavoro agendo con sgravi dell’IRAP per 3 miliardi di euro, uno all’anno, con cui ridurre i contributi previdenziali che le aziende devono versare in caso di assunzione, a tempo indeterminato, di nuovi addetti. Così un nuovo assunto costerà all’azienda 8mila euro in meno all’anno, per tre anni consecutivi. E’ questo che ha spinto il governo a dichiarare, tramite il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, di attendersi molto dall’entrata in vigore di questa manovra. Se per il presidente del Consiglio,“ora gli imprenditori non hanno più scuse per non assumere”, il responsabile del Tesoro si è addirittura augurato che entro pochi mesi vengano creati 800mila nuovi posti di lavoro.[2] C’è poi il rinnovo dei bonus IRPEF in busta paga da 80 euro per i dipendenti, che per le fasce minime di reddito (sotto i 24.000 euro) non sono da buttare via. L’introduzione della possibilità di anticipo di parte del TFR, fino al 50%, in busta paga è un’idea da veri strozzini. Infatti, profittando delle condizioni disagiate di gran parte della popolazione, si porta avanti una doppia fregatura perché: a) quello che percepisci viene tassato più di quanto sarebbe stato come TFR; b) i lavoratori che sono costretti ad accettare questa cosa perdono in maniera secca dei soldi arrivando poi a fine rapporto di lavoro con un TFR più basso. Si prevede poi una spending review di circa 10-12 miliardi, che si ripercuoteranno su ministeri, istruzione ed enti pubblici, particolarmente sulle province (6 miliardi fino al 2017) condannate ormai a scomparire. Ovviamente tutto questo si accompagna con il prolungamento del blocco degli stipendi dei dipendenti statali, condannati ormai all’erosione continua del proprio stipendio da parte dell’inflazione, blocco che però non si applica a Polizia, Carabinieri e ad altri corpi dello Stato che dovrebbero vedersi confermato lo sblocco dei salari a partire da gennaio (un miliardo per l’intervento). Sono infine previste 150mila assunzioni nelle scuole con uno stanziamento di un miliardo per procedere alla prima tranche.
Jobs Act
La legge-delega sul lavoro, quella che per qualche motivo viene chiamata Jobs Act, comporta un ulteriore attacco alle condizioni di vita dei proletari. “Dal prossimo anno, per i lavoratori neo-assunti, rimarrà l'obbligo di reintegro soltanto quando un licenziamento è discriminatorio, cioè legato a pregiudizi ideologici, razziali, sessuali o politici nei confronti del lavoratore. Se invece il dipendente viene lasciato a casa per ragioni economiche (per esempio in caso di crisi aziendale) non ci sarà il reintegro. Nel caso in cui il licenziamento risulti ingiustificato, il lavoratore avrà diritto soltanto a un indennizzo in denaro, proporzionale agli anni di carriera che ha alle spalle.”[3] C’è poi anche lo “scarso rendimento” del lavoratore che rientrerà con tutta probabilità nella categoria dei licenziamenti economici, per i quali cioè si prevede solo l’indennizzo, e viene eliminata la possibilità del reintegro. In questa stessa legge si tende inoltre a introdurre dei meccanismi di verifica dell'operatività nell'azienda, anche attraverso strumenti telematici, che oggi sono in molti casi proibiti dalla legge. I controlli non riguarderanno i singoli lavoratori ma soltanto i reparti e gli impianti, per non ledere il diritto alla privacy dei dipendenti.
La buona scuola
La legge che enfaticamente viene chiamata della “buona scuola” non è altro che un’azione di propaganda basata sul nulla. Intanto le 150mila assunzioni di cui tanto si vanta il governo non sono altro che la stabilizzazione di lavoratori che già lavorano da diversi anni, ma che venivano finora licenziati anno per anno, senza alcuna garanzia per l’anno successivo. Se il governo si è deciso ad assumere a tempo indeterminato questi lavoratori, oltre ad una razionalizzazione evidente che risulta per il settore scuola (non più supplenze ad ogni inizio anno che si prolungano a volte per mesi …), è soprattutto perché forzato da una sentenza della Corte Europea che aveva messo in mora il governo italiano proprio per la perpetuazione del tutto illegittima di un rapporto di lavoro precario nelle scuole italiane, ma anche da alcuni ricorsi vincenti fatti da singoli lavoratori. In secondo luogo le scuole, come le università e tutto quanto una volta costituiva un valore di cultura nel nostro paese, nella misura in cui lo era, sono ormai diventate delle aziende dove il dirigente scolastico è costretto a cercare le risorse per tirare avanti attraverso contratti con strutture di vario tipo del territorio. In ogni caso quello che resta è una struttura scolastica con insegnanti completamente demotivati perché mal pagati e operanti in un’istituzione che materialmente cade a pezzi.
Italicum
Per finire la nuova legge elettorale in dirittura di arrivo per il 7 gennaio prossimo. Nonostante tutte le critiche, soprattutto da sinistra, questa è una legge che, per gli scopi della borghesia, funziona. Qual è infatti il problema più grosso per la borghesia rispetto alle elezioni? Avere la garanzia che, qualunque sia l’esito delle elezioni, possa uscire da queste un quadro politico che garantisca la governabilità. L’esperienza delle ultime elezioni politiche è stata fin troppo traumatica con l’esito elettorale che vedeva come primo partito a livello nazionale il M5S e una maggioranza che sembrava impossibile da realizzare. C’è voluta tutta la maestria del vecchio Napolitano, fine manovratore della politica borghese, per uscire da un’impasse piuttosto pericolosa. Perciò adesso l’Italicum, cui Renzi tiene tanto, costituisce la soluzione a tutti questi problemi. Il criterio è quanto mai semplice: al primo turno si presentano tutti i partiti, senza alleanze. Se un partito al primo turno riesce a raggiungere una percentuale del 40%, accede al premio di maggioranza che consente di conquistare 340 deputati su 617. Altrimenti le prime due liste accedono al secondo turno e chi vince conquista il 53% dei seggi e può governare in monocolore con 327 deputati su 617.
L’Italicum ha pensato non solo alla governabilità, ma anche a garantire comunque una rappresentanza delle minoranze in parlamento. Sensibile com’è la borghesia a garantire la presenza di una opposizione in parlamento che simuli la difesa degli interessi dei proletari, questo progetto di legge si è preoccupato di abbassare la soglia di eleggibilità dei parlamentari dall’8% inizialmente proposto al 3% attuale (nella precedente legge elettorale, detta Porcellum, erano del 4% alla Camera e dell’8% al Senato).
C’è poi la questione delle preferenze su cui, come ricordiamo, è stato montato un falso dibattito cercando di far credere che alla gente veramente potesse importare qualcosa votare per Tizio piuttosto che per Caio quando ormai non esiste più, e da anni ormai, alcuna fidelizzazione degli elettori neanche nei confronti dei partiti. La stessa sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune parti della legge Calderoli (il famoso Porcellum) anche per l’impossibilità dell’elettore di fornire una preferenza, ha partecipato a questa messa in scena. E’ evidente che la borghesia ha promosso questa propaganda per contrastare la diserzione che si manifesta con sempre maggiore frequenza alle urne. Così l’Italicum ha anche il merito di riportare nelle urne il voto di preferenza, ma con un trucco, anzi due. Il primo è che il capolista, scelto dalla segreteria del partito, è il primo ad essere eletto, comunque siano distribuite le preferenze all’interno della lista. Il secondo è che le circoscrizioni passano da 27 a 100, quattro volte tanto, il che permette ai vari partiti di piazzare in posizione sicura i propri uomini, come capolista, meglio di prima avendo adesso 4 posti sicuri contro 1 solo posto se fossero rimaste le vecchie circoscrizioni. Questo fa capire quanto sia importante per la borghesia avere il controllo più minuzioso possibile sull’esito delle elezioni politiche.
Naturalmente tutte queste misure, benché mascherate e presentate in maniera mistificata, corrono il rischio di produrre delle reazioni nella classe operaia. E’ per questo che i sindacati hanno preventivamente creato una mobilitazione, occupando tutto il terreno della lotta e lasciando ai proletari in apparenza come unica alternativa quella di partecipare allo sciopero oppure di restare al lavoro seguendo l’indirizzo della CISL secondo cui “lo sciopero generale non è la soluzione adatta per fronteggiare i temi del lavoro” (Anna Maria Furlan, CISL). Così il 12 dicembre, giorno della protesta indetta da Cgil, Uil e Ugl, si è visto un milione e mezzo di persone in piazza nei vari cortei organizzati in 54 città. I leader sindacali hanno attaccato l'esecutivo di Matteo Renzi come non avevano fatto neanche con i governi Berlusconi, senza fare alcuno sconto: “Nel Jobs Act ci sono norme da anni '20”; “Non trovo nulla di moderno in una condizione in cui chi lavora è ricattabile”; “Se il messaggio di Renzi è 'tiriamo dritto' sappia che sappiamo tirare dritto anche noi. Non abbiamo bisogno di sentirci minacciati”. (Susanna Camusso, CGIL); “La lotta continuerà. Non ci fermiamo, Renzi può mettere tutte le fiducie che vuole, anche una al giorno, la lotta continuerà”; “Quando la logica è che il lavoro lo puoi scambiare con i soldi, allora il lavoro diventa una merce.” (Landini, leader FIOM); “Blocchiamo il Paese per farlo ripartire. Faremo una nuova Resistenza” (Carmelo Barbagallo, UIL). Va anche segnalato che una parte della minoranza del PD, tra cui Stefano Fassina, ha scelto di scendere in piazza con i sindacati e lo stesso Massimo D’Alema, ex premier della guerra contro la Iugoslavia, si schiera dalla parte dei manifestanti e invita l’esecutivo a fermarsi: “La situazione del Paese è grave e spero che il governo ascolti questa piazza e tenga conto della richiesta che viene dai lavoratori”.
E non è mancata neanche l’alternativa dello scontro di piazza, con una serie di tafferugli con la polizia in varie piazze come Milano e Torino dove le forze dell'ordine hanno caricato studenti e manifestanti in genere.
E’ chiaro che c’è da rimanere confusi da questo incrocio di canti delle sirene, tutte quante che fanno appello alla lotta, ma alla loro maniera, tutte quante alla maniera sbagliata.
In questa fase certamente non sono le lotte che mancano, anzi si stanno anche intensificando, ma queste lotte sono: 1) molto divise tra loro; 2) molto localizzate mancando di qualunque dimensione politica. E, poiché la situazione dei lavoratori sta peggiorando, in questi ultimi mesi assistiamo anche ad una più forte presenza dei sindacati che hanno l'obiettivo, da una parte, di incanalare le lotte e, dall'altra, di aumentare le divisioni in queste lotte. C'è una grossa mobilitazione del sindacalismo di base, che è sfociato nello sciopero sociale del 14 novembre, ma anche dei sindacati storici che si sono mobilitati e della FIOM che ha proclamato 2 giorni di sciopero generale, il 14 al nord ed il 21 al sud.
Come si vede l’attacco alla classe operaia viene condotto su due versanti diversi: da parte del governo e delle “opposizioni”, ed è un attacco che, mentre tende a far passare degli attacchi sul piano economico, punta anche a far fronte alla ribellione che cresce tra i proletari, a domare le coscienze dei lavoratori. Per esempio Craxi nel 1984 fece cadere il tabù della scala mobile, Renzi oggi vuole far crollare quello dell'art. 18 e con esso il concetto di qualunque garanzia residua sul diritto al lavoro. Quindi, al di là dell'effetto immediato, certe misure costituiscono anche un attacco alla coscienza. Da questo punto di vista è interessante l'esistenza di tutte queste opposizioni a Renzi, innanzitutto da parte dei sindacati. Landini, che mette in guardia contro il pericolo che il lavoro diventi una merce, lo fa per nascondere il fatto banale che il lavoro, nel capitalismo, è già di per sé una merce. Ma anche le convulsioni interne al PD, se sono per certi versi la manifestazione di difficoltà interne, sono anche l'espressione della necessità di avere qualcuno all’interno dell’apparato che si assume il compito di chi recepisce le insoddisfazioni della classe sfruttata.
Non va poi dimenticato che la borghesia, contrariamente alla classe operaia, nonostante le sue divisioni nazionali, nei confronti del suo nemico storico – il proletariato – si muove sempre sul piano internazionale. Così spesso lo stesso malessere che potrebbe mettere insieme i proletari di più paesi viene presentato dalle varie borghesie con delle letture “nazionali” in modo da smussare completamente questo potenziale fattore di aggregazione. Così ad esempio se i proletari greci o italiani o spagnoli si lamentano delle forti misure di austerità, il governo di turno si accalora ad insistere che purtroppo è tutta colpa della Germania che si è fissata con una linea di austerità a tutti i costi. (Non è un caso che Renzi abbia riscosso non pochi consensi proprio perché si è mostrato come uno che parla faccia a faccia con la Merkel). Ma allo stesso tempo va detto che in Germania, dove le condizioni di vita non sono più quelle che venivano decantate fino a poco tempo fa, viene fatto giusto il discorso opposto, cioè che se il governo deve ridurre i benefici e l’assistenza alla popolazione è proprio perché occorre soccorrere paesi come la Grecia, l’Italia e la Spagna.
Tutto questo ci deve far riflettere quando ascoltiamo in giro che la classe operaia si è addormentata, o che è insensibile a tutti gli attacchi che riceve. Il problema per i proletari non è quello di una mancanza di sensibilità agli attacchi che si ripetono sempre più in profondità, tanto che le lotte non sono scomparse. Il problema è che i proletari non sanno più che fare. Una volta c’erano i partiti di sinistra, c’erano i sindacati che, sebbene già completamente imborghesiti, avevano ancora un’aura proletaria che faceva colpo sulla gran parte della classe operaia. Oggi i “partiti della classe operaia” non esistono più, i sindacati sono ancora più manifestamente asserviti al padronato, per cui i proletari fanno fatica a capire come muoversi in alternativa. In più il crollo dello stalinismo alla fine degli anni ’80 ha permesso lo sviluppo di tutta una serie di propagande contro il comunismo (identificato con il terrore stalinista) e sulla fine della lotta di classe e della stessa classe operaia che ha eroso non soltanto la coscienza di classe, ma anche la stessa identità di classe nel proletariato. Di qui delle reazioni timide, localizzate e prive di forza.
Tuttavia va ricordato che la crisi resta il miglior alleato della classe operaia e che la presa di coscienza è un processo che si sviluppa anche nelle fasi di rallentamento della combattività operaia. La classe non è ferma, ma è come se fosse in ascolto, a percepire i segnali provenienti da questa società per capire come muoversi. Questo è dunque il momento in cui tutti i proletari che hanno sviluppato un minimo di coscienza non solo devono evitare di scoraggiarsi, ma devono mettersi a lavorare per fare loro stessi un’analisi critica della situazione e capire quali sono i problemi che in questo momento vanno affrontati e risolti. Di fronte a questa situazione non esistono soluzioni miracolose. D’altra parte le difficoltà e le esitazioni che la classe esprime oggi nell’affrontare questa sfida vanno rapportate all’opera titanica a cui è chiamata oggi. La classe ha infatti di fronte a sé un compito di non poco conto: per la prima volta nella storia plurimillenaria della civiltà moderna, la classe sfruttata della società è chiamata a cancellare per sempre la società divisa in classi e a instaurare una società libera, una società comunista.
Ezechiele 28 dicembre 2014
[1] La crisi politica in Italia è un’espressione del fallimento della società capitalista [30], Rivoluzione Internazionale n°179, giugno 2013.
[2] www.leggioggi.it/legge-stabilita-2015-tutte-misure-manovra-renzi [31]
[3] https://www.panorama.it/economia/jobs-act-articolo-18 [32] (sottolineatura nostra).
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/tag/2/39/organizzazione-rivoluzionaria
[2] https://it.internationalism.org/tag/7/109/sinistra-comunista
[3] https://it.internationalism.org/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/movimento-di-zimmerwald
[4] https://it.internationalism.org/rivoluzioneinternazionale/200604/122/francia-un-saluto-alle-nuove-generazioni-della-classe-operaia
[5] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[6] https://it.internationalism.org/node/974
[7] https://it.internationalism.org/tag/4/70/francia
[8] https://it.internationalism.org/tag/3/54/terrorismo
[9] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[10] https://it.internationalism.org/tag/4/83/medio-oriente
[11] https://it.internationalism.org/tag/3/48/guerra
[12] https://fr.internationalism.org/node/9255
[13] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[14] https://fr.internationalism.org/node/9206
[15] https://it.internationalism.org/tag/4/73/grecia
[16] https://it.internationalism.org/tag/4/61/cina
[17] https://it.internationalism.org/tag/3/42/ambiente
[18] https://it.internationalism.org/tag/3/47/economia
[19] https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201409/9133/jean-jaures-et-mouvement-ouvrier
[20] https://it.internationalism.org/cci/201502/1327/la-falsificazione-della-storia-nei-programmi-scolastici
[21] https://palebluejadal.tumblr.com/
[22] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[23] https://www.leftcom.org/it/articles/2015-04-12/a-proposito-di-alcune-infami-calunnie
[24] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[25] mailto:contatti@hushmail.com
[26] https://it.internationalism.org/tag/5/102/prima-guerra-mondiale
[27] https://it.internationalism.org/tag/3/45/cultura
[28] https://www.lelivredevie.com
[29] https://it.internationalism.org/tag/4/55/africa
[30] https://it.internationalism.org/node/1293
[31] http://www.leggioggi.it/legge-stabilita-2015-tutte-misure-manovra-renzi
[32] https://www.panorama.it/economia/jobs-act-articolo-18
[33] https://it.internationalism.org/tag/4/75/italia
[34] https://it.internationalism.org/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia