Nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, la CCI ha tenuto il suo 24° Congresso Internazionale e possiamo trarne un bilancio positivo. Come abbiamo sempre fatto, e in conformità con la pratica del movimento operaio, attraverso questo articolo vogliamo fornire una panoramica generale dei suoi lavori, dopo aver già pubblicato una serie di documenti, rapporti e risoluzioni, che orienteranno la nostra attività e il nostro intervento nei prossimi due anni[1]. Il Congresso si è svolto con il pieno riconoscimento della gravità della situazione storica attuale, caratterizzata da una delle pandemie più pericolose della storia, che è lungi dall'essere superata.
La cosa peggiore sarebbe sottovalutare questa situazione in un momento in cui i governi proclamano che “tutto è sotto controllo”, che “siamo tornati alla normalità”, mentre allo stesso tempo un'orda di negazionisti Covid e no-Vax (l'altra faccia delle bugie del governo, altrettanto menzognera) che sminuiscono la realtà con i loro discorsi di “cospirazioni” e “manovre oscure” e usano un fatto reale - il rafforzamento del controllo totalitario dello Stato - per cavalcare l’onda in nome della “difesa delle libertà democratiche”, dissimulando così l’importanza dei pericoli per la vita umana che la pandemia comporta.
La cosa più grave della pandemia sta nel modo in cui tutti gli Stati hanno reagito: in maniera totalmente irresponsabile, prendendo misure contraddittorie e caotiche, senza alcun piano, senza alcun coordinamento, giocando più cinicamente che mai con la vita di milioni di persone[2]. E questo non è successo negli Stati solitamente etichettati come “Stati canaglia”, ma negli Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia, i paesi “più avanzati”, dove si suppone ci sia “civiltà e progresso”. La pandemia ha messo in evidenza la decadenza e la decomposizione del capitalismo, il marciume delle sue strutture sociali e ideologiche, il disordine e il caos che proviene dai suoi stessi rapporti di produzione, l’assenza di futuro di un modo di produzione attanagliato da contraddizioni sempre più violente e che non può superare.
Peggio ancora, la pandemia è foriera di nuove e più profonde convulsioni in tutti i paesi, di tensioni imperialiste, distruzione ecologica e crisi economica... Il proletariato mondiale non può essere ingannato da vaghe promesse di un “ritorno alla normalità”. Ha bisogno di guardare in faccia la realtà, capire che il volto della barbarie è stato chiaramente delineato dalla pandemia e sarà definito con ancora più virulenza nei tempi a venire.
Il 24° Congresso della CCI si è svolto, come i congressi delle organizzazioni rivoluzionarie nel corso della storia, in un contesto di fraternità e di dibattito profondo. Questo aveva la responsabilità di confermare il quadro di analisi della decomposizione del capitalismo, correggendo eventuali errori o valutazioni non sufficientemente elaborate. Il Congresso doveva rispondere a una serie di domande necessarie:
Questo Congresso ha confermato che l'analisi della decomposizione è in continuità con il marxismo. Nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, i marxisti identificarono l'entrata del capitalismo nella sua epoca di decadenza, analisi confermata nel 1919 dalla piattaforma dell'Internazionale Comunista, che parlava de “l’epoca della disgregazione del capitalismo, del suo collasso interno”. Fedele a questo approccio la CCI, più di tre decenni fa, ha identificato una fase specifica e terminale della decadenza del capitalismo: la sua decomposizione. Questa fase di decomposizione si caratterizza per l'accumulo di una serie di contraddizioni che la società capitalista non è stata in grado di risolvere, come descritto al punto 3 delle Tesi sulla Decomposizione[3]: “Nella misura in cui le contraddizioni e le manifestazioni della decadenza del capitalismo che, una dopo l’altra, marcano i diversi momenti di questa decadenza, non scompaiono col tempo ma si mantengono e si vanno pure ad approfondire, la fase di decomposizione appare come quella risultante dall’accumulazione di tutte queste caratteristiche di un sistema moribondo, quella che chiude degnamente tre quarti di secolo di agonia di un modo di produzione condannato dalla storia. Concretamente, non solo nella fase di decomposizione restano la natura imperialista di tutti gli Stati, la minaccia di guerra mondiale, l’assorbimento della società civile da parte del Moloch statale, la crisi permanente dell’economia capitalista, ma addirittura questa fase rappresenta la conseguenza ultima, la sintesi completa di tutti questi elementi”.
Questa analisi, sviluppata per la prima volta 30 anni fa, è stata confermata con una forza e una gravità tali da portandoci a concludere nella Risoluzione sulla Situazione Internazionale del 24° Congresso della CCI che “la maggior parte degli avvenimenti importanti degli ultimi tre decenni hanno in effetti confermato la validità di questo quadro, come lo testimoniano l’esacerbazione del ciascuno per sé a livello internazionale, il rimbalzo dei fenomeni della decomposizione verso i centri del capitalismo mondiale attraverso lo sviluppo del terrorismo e la crisi dei rifugiati, l’ascesa del populismo e la perdita di controllo politico da parte della classe dirigente, la putrefazione progressiva dell’ideologia attraverso la propagazione della ricerca del capro espiatorio, del fondamentalismo religioso e delle teorie complottiste. (…) l’attuale pandemia di Covid-19 è la distillazione di tutte le manifestazioni-chiave della decomposizione, e un fattore attivo della sua accelerazione”[4]. Da quando il nostro Congresso ha terminato i suoi lavori, gli eventi si sono succeduti con una virulenza senza precedenti, confermando chiaramente la nostra analisi: guerre imperialiste in Etiopia, Ucraina, Yemen, Siria…; intensificazione dello scontro tra USA e Cina; enorme impronta della crisi ecologica nel mondo, in particolare attraverso il moltiplicarsi di inondazioni e incendi catastrofici. Oggi, la pandemia vede una nuova impennata di infezioni e la minaccia molto pericolosa della variante Omicron; allo stesso tempo, la crisi economica si aggrava... La difesa del quadro di analisi marxista della decomposizione è oggi più che mai necessaria di fronte alla cecità di altri gruppi della Sinistra comunista e all'infiltrazione nell'ambiente rivoluzionario di ogni tipo di posizioni moderniste, scettiche, nichiliste che chiudono gli occhi sulla gravità della situazione. In questo momento stiamo assistendo all’emergere in diversi paesi di lotte operaie combattive che hanno più che mai bisogno della forza e della lucidità di questo quadro di analisi.
Il 24° Congresso ha potuto identificare l'accelerazione della decomposizione capitalista esaminando in profondità le radici e le conseguenze della pandemia: “la prima di una tale ampiezza dopo l’epidemia dell’influenza spagnola, è il momento più importante nell’evoluzione della decomposizione capitalista dopo l’apertura di questo periodo nel 1989. L’incapacità della classe dirigente a impedire dai 7 ai 12 milioni e più di morti che ne risultano conferma che il sistema capitalista mondiale, se lasciato libero, trascina l’umanità verso l’abisso della barbarie, verso la sua distruzione e che solo la rivoluzione proletaria mondiale può fermare questa deriva e condurre l’umanità verso un futuro diverso” (idem).
La pandemia ha dimostrato e confermato le seguenti realtà:
Il 24° Congresso è arrivato alla conclusione che la pandemia non può essere ridotta a una “calamità” o vista solo come una crisi sanitaria (tipo quelle che si verificavano periodicamente nei modi di produzione pre-capitalisti e nello stesso capitalismo durante il 19° secolo). Si ratta di una crisi globale, che si manifesta a molti livelli: sanitario, economico, sociale e politico, così come morale e ideologico. È una crisi della decomposizione del capitalismo in quanto prodotto dell'accumulazione delle contraddizioni del sistema degli ultimi 30 anni, come evidenziato nel nostro Rapporto su Pandemia e Decomposizione per il 24° Congresso[7]. Più precisamente, la pandemia è il risultato:
“La CCI è praticamente sola a difendere la teoria della decomposizione. Altri gruppi della Sinistra Comunista la rigettano completamente, o perché, come nel caso dei bordighisti, non accettano che il capitalismo possa essere un sistema in declino (o, nel migliore dei casi, sono incoerenti e ambigui su questo punto); o, come per la Tendenza Comunista Internazionalista, perché parlare di una fase “finale” del capitalismo suona troppo apocalittico, o perché definire la decomposizione come una discesa verso il caos sarebbe una deviazione dal materialismo che, secondo loro, cerca di trovare le radici di ogni fenomeno nell’economia e soprattutto nella tendenza alla caduta del saggio di profitto”. (Risoluzione sulla situazione internazionale, 24° Congresso) (Idem). La Risoluzione sulle attività, del 24° Congresso, sottolinea che “la pandemia Covid19 cominciata all'inizio del 2020 ha confermato in modo eclatante l'accelerazione dell'impatto del periodo di decomposizione sociale del capitalismo”.
La crisi pandemica ha mostrato un avanzamento della decomposizione: 1) ha colpito con particolare forza i paesi centrali, specialmente gli USA; 2) c'è una combinazione e una concomitanza tra i diversi effetti della decomposizione, a differenza dei periodi precedenti in cui erano contenuti localmente e non si influenzavano a vicenda. Ciò che questa crisi annuncia sono convulsioni sempre più violente e un inasprimento delle tendenze alla perdita di controllo della società da parte dello Stato. Il decennio 2020 è pieno di gravi incertezze, di catastrofi sempre più frequenti e interconnesse. Lo scivolamento del capitalismo verso la barbarie avrà un volto sempre più terrificante.
Le prospettive per il proletariato devono essere analizzate nel quadro della decomposizione capitalista. La risoluzione sul rapporto di forze tra le classi adottata dal nostro precedente congresso[8] ha analizzatoo le difficoltà e le debolezze della classe operaia negli ultimi 30 anni. Con il crollo del blocco orientale, la CCI ha identificato l'apertura della fase finale di decomposizione del capitalismo e le sue conseguenze per il proletariato in termini di maggiori difficoltà nello sviluppo delle sue lotte, difficoltà che sono state ulteriormente aggravate dalle campagne della borghesia sulla “morte del comunismo” e la “scomparsa della classe operaia”. Tuttavia, la CCI ha preso atto al suo 24° Congresso, come aveva fatto nei Congressi precedenti, che la classe operaia non è sconfitta: “Nonostante gli enormi problemi a cui è confrontato il proletariato, noi rigettiamo l’idea che la classe è già vinta a livello mondiale, o che essa sia sul punto di subire una sconfitta comparabile a quella del periodo di controrivoluzione, un tipo di sconfitta da cui il proletariato non sarebbe più capace di riprendersi. Il proletariato, in quanto classe sfruttata, non può evitare di passare per la scuola delle sconfitte, ma la questione centrale è sapere se il proletariato è già stato così sommerso dall’avanzata implacabile della decomposizione da intaccare effettivamente il suo potenziale rivoluzionario. Misurare una tale sconfitta nella fase di decomposizione è un compito ben più complesso rispetto al periodo che ha preceduto la Seconda Guerra mondiale, quando il proletariato si era apertamente sollevato contro il capitalismo ed era stato schiacciato da una serie di sconfitte frontali” (Risoluzione sulla situazione Internazionale)
È chiaro che dobbiamo affinare le nostre capacità analitiche per individuare questa situazione di 'non ritorno' perché “la fase di decomposizione contiene in effetti il pericolo che il proletariato non riesca più a rispondere e sia soffocato sul lungo periodo – una morte lenta invece che in uno scontro di classe frontale” (Idem)
Tuttavia, il congresso ha affermato che “ci sono ancora sufficienti elementi che mostrano che malgrado l’avanzata incontestabile della decomposizione, malgrado il fatto che il tempo non gioca a favore della classe operaia, il potenziale di una profonda rinascita proletaria – che potrebbe portare a una riunificazione tra le dimensioni economiche e politiche della lotta di classe – non è scomparso” (idem).
Il congresso ha individuato “piccoli ma significativi segni di una maturazione sotterranea della coscienza, che si manifestata con un inizio di riflessione globale sul fallimento del capitalismo e la necessità di un’altra società in certi movimenti (soprattutto gli Indignados nel 2011), ma anche con l’emergere di giovani elementi in ricerca di posizioni di classe e che si indirizzano verso l’eredità della Sinistra comunista” (Idem)
Dobbiamo anche tener presente che la situazione alla quale è confrontata la classe operaia non è la stessa di quella che seguì il crollo del blocco russo e la conferma della fase di decomposizione nel 1989. A quel tempo la borghesia ha potuto presentare questi eventi come prova della morte del comunismo, della vittoria del capitalismo e dell'inizio di un futuro luminoso per l'umanità. Trent'anni di decomposizione hanno seriamente minato questa frode ideologica, e la pandemia in particolare ha messo in evidenza l'irresponsabilità e la negligenza di tutti i governi capitalisti, così come la realtà di una società profondamente divisa economicamente in cui non siamo affatto “tutti sulla stessa barca”. Al contrario, la pandemia e il lockdown hanno mostrato le condizioni della classe operaia, sia come vittima principale della crisi sanitaria sia come fonte di tutto il lavoro e la produzione materiale e, in particolare, di tutto ciò che riguarda la soddisfazione dei bisogni umani fondamentali. Questo può essere la base per una futura riappropriazione da parte del proletariato della sua identità di classe. E questo, insieme alla crescente consapevolezza che il capitalismo è un modo di produzione totalmente obsoleto, è già stato un elemento nell'emergere di minoranze politicizzate la cui motivazione è soprattutto quella di comprendere la drammatica situazione in cui versa l'umanità.
Nonostante l'atomizzazione sociale dovuta alla decomposizione, nonostante i tentativi deliberati di frammentare la forza lavoro attraverso stratagemmi come la “green economy” o campagne ideologiche che mirano a presentare le frazioni più istruite del proletariato globale come “classe media” e spingerle verso l'individualismo, i lavoratori rimangono una classe che negli ultimi anni è cresciuta ed è globalmente interconnessa, anche se, con l'avanzare della decomposizione, è anche vero che l'atomizzazione e l'isolamento sociale si stanno intensificando. Questo è un fattore che, per il momento, rende più difficile al proletariato ritrovare la propria identità di classe. Solo attraverso le lotte sul proprio terreno di classe il proletariato potrà sviluppare la forza collettiva di cui avrà bisogno per rovesciare il capitalismo su scala mondiale. I lavoratori sono riuniti dal capitale nel processo di produzione, il lavoro associato si svolge sotto costrizione, ma il carattere rivoluzionario del proletariato implica il rovesciamento dialettico di queste condizioni in una lotta collettiva. La lotta collettiva contro lo sfruttamento, guidata dalla coscienza comunista che nasce dal proletariato, contiene il potenziale per la liberazione del carattere sociale del lavoro, per una società che sappia utilizzare coscientemente tutto il potenziale dell'attività associata. Questa società per la quale il proletariato mondiale dovrà lottare è la società comunista.
“Contrariamente alla visione bordighista, l’organizzazione dei rivoluzionari non può essere “monolitica”. L’esistenza di divergenze al suo interno è la manifestazione del suo essere un organismo vivente che non ha delle risposte sempre pronte da fornire immediatamente ai problemi che si pongono alla classe. Il marxismo non è né un dogma, né un catechismo (…). Come qualunque riflessione umana, quello che presiede allo sviluppo della coscienza proletaria non è un processo lineare e meccanico, ma un processo contraddittorio e critico, che implica necessariamente la discussione e il confronto degli argomenti”[9]
Già prima del 23° Congresso Internazionale, all'interno della CCI sono state espresse divergenze su diverse questioni: le tensioni imperialiste portano a una nuova guerra mondiale? Il proletariato è già sconfitto? Qual è il compito del momento per l'organizzazione? Questo solleva la questione di cosa si intende per attività come frazione[10] nella fase attuale di decomposizione. Le divergenze sull'analisi della situazione internazionale hanno portato alla prima pubblicazione del testo “Divergenze con la risoluzione sulla situazione internazionale del 23° Congresso della CCI”[11]. La risoluzione sulle attività del nostro recente congresso sottolinea che “l'organizzazione si è sforzata a tutti i livelli - al congresso, nelle riunioni degli organi centrali, nelle riunioni di sezione e in circa 45 contributi individuali nei bollettini interni internazionali negli ultimi quattro anni - di rispondere alle divergenze dei compagni e ha anche iniziato a portare il dibattito all'esterno. Lo sforzo fatto dall'organizzazione in questo periodo per affrontare le divergenze esprime una volontà positiva di rafforzare la difesa nella discussione delle sue posizioni e analisi”.
Le divergenze si sono precisate al 24° Congresso:
• La polarizzazione delle tensioni imperialiste, principalmente tra Stati Uniti e Cina, prepara il terreno per una terza guerra mondiale?
• Le brutali misure di isolamento adottate dagli Stati non sono forse un modo nascosto di preparare la popolazione alla guerra imperialista?
• La pandemia è semplicemente un fenomeno “socio-naturale” che gli Stati possono sfruttare per il controllo della popolazione o, al contrario, esprime e accelera la decomposizione generale del capitalismo?
• Come può il proletariato far fronte a questa grave situazione storica? Ha bisogno come prima cosa di una chiara coscienza di cosa è il comunismo? O la situazione richiede lo sviluppo di lotte sul suo terreno di classe, la maturazione della sua coscienza e il rafforzamento della capacità delle sue organizzazioni comuniste di intervenire?
Queste e altre divergenze sono state discusse al Congresso e, al fine di ottenere la massima chiarezza possibile nella loro espressione, saranno presentate pubblicamente in documenti di discussione. Questa è una pratica del movimento operaio che la CCI ha preso molto sul serio, come sottolinea il testo citato sopra:
“Nella misura in cui i dibattiti che attraversano l'organizzazione riguardano in generale tutto il proletariato, è opportuno che l'organizzazione li porti all'esterno, rispettando le seguenti condizioni:
• questi dibattiti devono riguardare questioni politiche generali e devono aver raggiunto una maturità sufficiente perché la loro pubblicazione costituisca un reale contributo alla presa di coscienza della classe operaia;
• il posto dato a questi dibattiti non deve mettere in discussione l'equilibrio generale delle pubblicazioni
• è l'organizzazione nel suo insieme che decide e si fa carico di questa pubblicazione secondo i criteri validi per la pubblicazione di qualsiasi articolo sulla stampa: qualità di chiarezza e di forma editoriale, interesse che presenta per la classe operaia.”.
Il congresso ha fatto un bilancio positivo dell'attività dell'organizzazione negli ultimi due anni, sottolineando in particolare la solidarietà con tutti i compagni colpiti dalla pandemia o dalle gravi conseguenze economiche del lockdown (molti compagni hanno perso i loro mezzi di sussistenza).
Questa valutazione positiva non deve farci abbassare la guardia. L'organizzazione comunista è soggetta a molteplici pressioni. I passi avanti - che sono costosi da realizzare - possono essere rapidamente persi. Come sottolinea la risoluzione sulle attività adottata dal Congresso, “l'accelerazione della decomposizione pone grandi problemi alla militanza, alla teoria e al tessuto organizzativo”.
Questi problemi non sono nuovi, sono l'espressione dell'impatto della decomposizione sul funzionamento e la militanza delle organizzazioni comuniste poiché “I diversi elementi che costituiscono la forza del proletariato si scontrano direttamente con le varie sfaccettature di questa decomposizione ideologica:
• l'azione collettiva, la solidarietà, trovano di fronte a loro l'atomizzazione, il ciascuno per sé, “l'iniziativa individuale”;
• il bisogno di organizzazione si confronta con la decomposizione sociale, con la distruzione delle relazioni che sono alla base di ogni vita sociale;
• la fiducia nel futuro e nelle proprie forze è permanentemente minata dalla disperazione generale che pervade la società, dal nichilismo, dal “no future”;
• la coscienza, la lucidità, la coerenza e l'unità di pensiero, il gusto per la teoria, trovano un cammino difficile in mezzo alla fuga verso le chimere, le droghe, le sette, il misticismo, il rifiuto della riflessione, la distruzione del pensiero che caratterizzano la nostra epoca”. (Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [1], Tesi 13).
Di fronte a questi pericoli, il nostro compito è soprattutto quello di preparare il futuro. L'obiettivo fondamentale della CCI, che è quello di costruire un ponte verso il futuro partito comunista mondiale del proletariato, è stato definito alla sua Conferenza di fondazione nel 1975 e riaffermato al 23° Congresso. Ma la natura di questo obiettivo è stata chiarita negli ultimi anni da diversi fattori: l'accelerazione della decomposizione e le difficoltà della lotta di classe del proletariato intensificano sempre più le sfide per l'organizzazione dei rivoluzionari; l'invecchiamento e allo stesso tempo l'emergere di nuovi militanti che entrano nell'organizzazione nel contesto della decomposizione; i crescenti attacchi del parassitismo all'organizzazione; il peso dell'opportunismo e del settarismo nei gruppi provenienti dalla Sinistra comunista.
Al suo 24° Congresso la CCI ha voluto identificare le prospettive, le difficoltà e i pericoli che deve affrontare per adempiere al suo ruolo di trasmissione. Ora, di fronte a questa situazione, la preparazione del futuro può essere compresa solo con la consapevolezza di andare controcorrente.
Storicamente, il movimento marxista ha potuto svilupparsi solo affrontando con successo eventi epocali e quindi si è sempre basato su uno spirito combattivo, sulla volontà di superare tutti gli ostacoli che la società borghese pone sul suo cammino. L'esperienza della CCI non è diversa in questo senso. Le organizzazioni a cui la storia chiede di svolgere un ruolo di trasmissione hanno dovuto dare prova di sé di fronte a vere e proprie prove decisive: la corrente marxista della metà del XIX secolo, nonostante la prigionia, l'esilio e la grande povertà dei suoi militanti dopo la sconfitta del 1848, servì da trampolino per la creazione della Prima Internazionale negli anni 1860. Bilan e la Sinistra Comunista in Francia hanno superato le prove della controrivoluzione degli anni '30, '40 e '50, lo stalinismo, il fascismo e l'antifascismo, e la seconda guerra mondiale per mantenere viva la fiamma rivoluzionaria per le generazioni future. È chiaro che il periodo di decomposizione costituisce la prova decisiva per la CCI.
La capacità di analizzare il mondo e la situazione storica è uno dei pilastri della nostra prospettiva immediata; il metodo marxista del materialismo storico e il costante riferimento al patrimonio delle acquisizioni precedenti, così come il confronto delle divergenze, fanno parte della preparazione del futuro. La nostra attività di intervento, di elaborazione teorica, di difesa dell'organizzazione si basa sulla trasmissione e lo sviluppo delle acquisizioni storiche di un secolo di lotta della Sinistra comunista e solo su questa solida base si può realizzare la preparazione del futuro partito comunista mondiale del proletariato.
Nel quadro della preparazione del futuro c'è anche la lotta senza compromessi contro il parassitismo. Lo sforzo degli ultimi anni mostra la necessità di continuare questa lotta, denunciando il parassitismo come ha fatto la CCI di fronte alla classe operaia, ai suoi contatti e al campo della Sinistra Comunista.
La lotta contro l'opportunismo nelle organizzazioni della Sinistra comunista, in legame alla lotta contro il parassitismo[12] sarà importante nel prossimo periodo perché c'è un grande pericolo che il potenziale della futura unità dei rivoluzionari possa essere perso e atrofizzato. L'esperienza degli ultimi due anni nella difesa dell'organizzazione contro gli attacchi del parassitismo e per rompere il cordone sanitario che questo cerca di costruire intorno alla CCI, dimostra che la lotta contro l'opportunismo e il settarismo è sinonimo di conoscenza e difesa della nostra storia.
Nel prossimo periodo la CCI intende migliorare la sua stampa. Negli ultimi decenni la preoccupazione di polemizzare con l'ambiente politico proletario è diminuita. L'organizzazione intende invertire questa situazione e il nostro lavoro tipo frazione è anche quello di preparare il futuro allargando la polemica e permettendole di attingere a ciò che furono la prima fase di Iskra o i primi numeri di Internazionalisme, la pubblicazione della GCF, dedicati alla polemica contro Vercesi e la sua deriva opportunista. In risposta alla putrefazione dell'ideologia borghese, all'oscurantismo delle sue mistificazioni, la stampa deve poter costituire un punto di riferimento contro l'intossicazione ideologica che emana dalla decomposizione ideologica del capitalismo e presentare alla classe operaia una prospettiva razionale e concreta del rovesciamento del capitalismo. Dobbiamo quindi rafforzare la distribuzione della nostra stampa cartacea e digitale.
L'obiettivo centrale del 24° Congresso è stato la preparazione del futuro attraverso le lezioni degli errori del passato, la lotta senza tregua contro il parassitismo e l'opportunismo, la comprensione più rapida possibile dei continui sviluppi dell'evoluzione storica, la difesa dell'organizzazione e del suo funzionamento unitario, fraterno e centralizzato. Questo significa basarsi fermamente e criticamente sulla continuità storica delle organizzazioni comuniste, come dice la Risoluzione sulle attività del Congresso:
“Nella transizione tempestosa verso un futuro di 'guerre e rivoluzioni', Rosa Luxemburg dichiarò al congresso di fondazione del Partito Comunista Tedesco nel 1919 [che il partito] 'stava tornando sotto la bandiera del marxismo'. (...) Mentre la classe operaia in Russia si preparava per la prima volta nella storia a rovesciare lo Stato borghese, Lenin ricordava le acquisizioni di Marx ed Engels sulla questione dello Stato in 'Stato e rivoluzione' (...) La CCI, mentre si prepara ad affrontare l'instabilità e l'imprevedibilità senza precedenti della putrefazione del capitalismo mondiale, deve recuperare l'eredità, l'esempio militante e l'esperienza organizzativa di MC[13], trent'anni dopo la sua morte. Cioè, ritornare alla tradizione e al metodo della Sinistra comunista che la CCI ha ereditato (...) Questa tradizione è vivente e deve essere riappropriata con spirito critico, nei fatti è l'unica che può guidare la CCI e la classe operaia attraverso la prova del fuoco che verrà”.
CCI, dicembre 2021
[1] Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione [2]
Rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso della CCI [3]
Rapporto sulla lotta di classe internazionale [4]
Risoluzione sulla situazione internazionale (2021) [5]
A breve pubblicheremo anche un rapporto sui conflitti imperialisti adottato dall'organo centrale internazionale della CCI a novembre.
[2] Tutti i modi di sfruttamento che hanno preceduto il capitalismo (dispotismo asiatico, schiavitù, feudalesimo,) hanno giocato in modo criminale con la vita di migliaia di persone, ma il capitalismo ha portato questa barbarie alle sue espressioni più estreme. Cos'è la guerra imperialista? Milioni di esseri umani usati come carne da cannone, come giocattoli, per i sordidi interessi economici e imperialisti di nazioni, Stati, capitalisti. Non è quindi una novità che la gestione della pandemia sia stata concepita dai governi come un gioco irresponsabile sulla vita di milioni di persone.
[5] https://www.amnesty.org [6]: “COVID-19: Le morti degli operatori sanitari salgono ad almeno 17.000 mentre le organizzazioni chiedono una rapida distribuzione dei vaccini”.
[6] Il capitalismo si basa, come abbiamo sottolineato prima, sulla concorrenza mortale tra gli Stati e tra i capitalisti. Ecco perché il “ciascuno per sé” è inscritto nel suo DNA. Ma questa caratteristica è stata acuita a livelli mai visti prima con la fase di decomposizione capitalista.
[9] Rapporto sulla struttura e sul funzionamento delle organizzazioni rivoluzionarie - conferenza internazionale (gennaio 82) [8]
[13] Marc Chirik: Principale fondatore della CCI che si è distinto in particolare per la sua capacità di mantenere vive le acquisizioni teoriche del movimento rivoluzionario, in particolare quelle elaborate dalla Frazione di sinistra del Partito Comunista d'Italia. In questo modo ha potuto orientarsi criticamente e lucidamente nell'analisi dell'evoluzione della situazione mondiale. Questo "fiuto" politico, basato sull'analisi globale del rapporto di forze tra le classi, gli permise di mettere in discussione alcuni “dogmi” del movimento operaio, senza allontanarsi dall'approccio e dal metodo marxista del materialismo storico, ma ancorandolo invece alla dinamica dell'evoluzione della realtà storica concreta. Su questo argomento vedi gli articoli “MARC : De la révolution d'octobre 1917 à la deuxième guerre mondiale [12]” et MARC : De la deuxième guerre mondiale à la période actuelle [13].
In un certo senso, “la Sinistra comunista si trova oggi in una situazione simile a quella di Bilan degli anni ‘30, nel senso che è costretta a comprendere una nuova situazione storica senza precedenti” (Résolution sur la situation internationale [15], 13° Congresso della CCI, Revue internationale n. 97, 1999).
Questa osservazione, più che mai adeguata, richiederebbe intensi dibattiti tra le organizzazioni dell’ambiente proletario per analizzare il significato della crisi del Covid-19 nella storia del capitalismo e le conseguenze che ne derivano. Ora, di fronte all’estensione fulminea degli avvenimenti, i gruppi dell’ambiente politico proletario appaiono totalmente impotenti e disarmati: invece di cogliere il metodo marxista come una teoria vivente, lo riducono a un dogma invariante in cui la lotta di classe è vista come una ripetizione immutabile di schemi eternamente validi senza poter mostrare non solo ciò che persiste ma anche ciò che è cambiato. Così, i gruppi bordighisti o quelli consiliaristi ignorano ostinatamente l’entrata del sistema nella sua fase di decadenza. D’altra parte, la Tendenza Comunista Internazionale (TCI) rigetta l’analisi della decomposizione come una visione cataclismica e limita le sue spiegazioni al fatto che il profitto è responsabile della pandemia e all’idea illusoria che quest’ultima è solo un evento aneddotico, una parentesi, negli attacchi della borghesia per massimizzare i suoi profitti. Questi gruppi dell’ambiente politico proletario si contentano di recitare gli schemi del passato senza analizzare le circostanze specifiche, i tempi e l’impatto della crisi sanitaria. Di conseguenza, il loro contributo alla valutazione del rapporto di forze tra le due classi antagoniste nella società, i pericoli o le opportunità che la classe e le sue minoranze devono affrontare è ormai irrisorio.
Un approccio marxista fermo è tanto più necessario in quanto la sfiducia verso i discorsi ufficiali sta facendo emergere numerose “spiegazioni alternative” fallaci e fantasiose degli eventi. Teorie complottiste, una più fantasiosa dell’altra, stanno emergendo e sono condivise da milioni di persone: la pandemia e ora la vaccinazione di massa sarebbero una macchinazione dei Cinesi per assicurare la loro supremazia, un complotto della borghesia mondiale per preparare la guerra o ristrutturare l’economia mondiale, una mossa per il potere da parte di un’internazionale segreta di virologi o ancora una nebulosa cospirazione mondiale dell’élite (sotto la direzione di Soros o Gates). ... Questa atmosfera generale provoca persino un disorientamento dell’ambiente politico proletario, un vero “Corona blues”[1].
Per la CCI, il marxismo è “un pensiero vivo per il quale ogni avvenimento storico importante è occasione di un arricchimento. In effetti tali avvenimenti permettono o di confermare il quadro e le analisi sviluppate anteriormente, o di rimettere in discussione alcune di esse, imponendo uno sforzo di riflessione per riaggiustare degli schemi prima validi ma ormai superati, oppure, apertamente, di elaborarne di nuovi, adatti a rendere conto della nuova realtà. Le organizzazioni ed i militanti rivoluzionari hanno la responsabilità specifica e fondamentale di compiere questo lavoro di riflessione, avendo cura, come fecero i nostri predecessori, di avanzare allo stesso tempo con prudenza e audacia:
appoggiandosi in modo risoluto sulle acquisizioni di base del marxismo;
esaminando la realtà senza paraocchi e sviluppando il pensiero senza "alcun divieto o ostracismo" (Bilan).
In particolare, di fronte a tali avvenimenti storici, è importante che i rivoluzionari sappiano distinguere le analisi che sono diventate superate da quelle che restano valide, per evitare un doppio pericolo: o sclerotizzarsi o “gettare il bambino con l’acqua sporca”. (Testo di orientamento Militarismo e decomposizione [16], 1991).
Da allora, la crisi da Covid-19 ha imposto alla CCI la necessità di confrontare gli elementi salienti di questo grande evento con il quadro della decomposizione che l’organizzazione ha proposto da più di 30 anni per comprendere l’evoluzione del capitalismo. Questo quadro è chiaramente ricordato nel seguente passaggio della Risoluzione Internazionale del 23° Congresso della CCI:
“30 anni fa, la CCI ha evidenziato che il sistema capitalista era entrato nella fase finale della sua decadenza e della sua esistenza, quella della decomposizione. Quest’analisi si basava su una serie di fatti empirici, ma allo stesso tempo ha fornito un quadro per la comprensione di questi fatti: "in una situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si affrontano tra loro senza riuscire nessuna delle due ad imporre la sua risposta decisiva, la storia non si sarebbe potuta fermare. Ancor meno degli altri modi di produzione che l'hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo "un congelamento", una "stagnazione" della vita sociale. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l'incapacità della borghesia di offrire la minima prospettiva per la società nel suo insieme e l'incapacità del proletariato di affermare apertamente la sua nel futuro immediato non possono che tradursi in un fenomeno di decomposizione diffusa, di imputridimento dell’intera società". (La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [1], punto 4, Rivista Internazionale n. 14). La nostra analisi ha avuto cura di chiarire i due significati del termine "decomposizione"; da un lato, si applica a un fenomeno che colpisce la società, soprattutto nel periodo di decadenza del capitalismo e, in secondo luogo, designa una particolare fase storica di quest'ultimo, la sua fase finale: “... È essenziale evidenziare la differenza fondamentale tra gli elementi di decomposizione che hanno colpito il capitalismo dall'inizio del secolo [XX secolo] e la decomposizione generalizzata in cui attualmente sta sprofondando questo sistema e che non potrà che aggravarsi. Anche qui, al di là dell'aspetto rigorosamente quantitativo, il fenomeno della decomposizione sociale sta ora raggiungendo una tale profondità e una tale ampiezza da acquisire una nuova e singolare qualità che mostra l'ingresso del capitalismo decadente in una fase specifica – la fase finale – della sua storia, quella in cui la decomposizione diventa un fattore, se non il fattore decisivo nell'evoluzione della società" (Ibid., punto 2). È soprattutto quest'ultimo punto (il fatto che la decomposizione tende a diventare il fattore decisivo dell'evoluzione della società, e quindi di tutte le componenti della situazione mondiale, un'idea che non è per niente condivisa dagli altri gruppi della Sinistra comunista) a costituire l'asse principale di questa risoluzione.”[2]
In questo contesto, l’obiettivo di questo rapporto è valutare l’impatto della crisi da Covid-19 sull’approfondimento delle contraddizioni all’interno del sistema capitalista e le sue implicazioni rispetto all’approfondimento della fase di decomposizione.
1. La crisi da Covid-19 rivela la profondità della putrefazione del capitalismo
La pandemia infuria nel cuore del capitalismo: una prima, poi una seconda, addirittura una terza ondata di infezioni sta travolgendo il mondo e in particolare i paesi industrializzati; i loro sistemi ospedalieri sono sull’orlo dell’implosione e sono costretti a imporre ripetutamente confinamenti più o meno radicali. Dopo un anno di pandemia, le cifre ufficiali, ampiamente sottostimate in molti paesi, contano più di 500.000 morti negli Stati Uniti e più di 650.000 nell'Unione Europea e in America Latina.[3]
Durante gli ultimi dodici mesi, in questo modo di produzione che ha capacità scientifiche e tecnologiche illimitate le borghesie, non solo dei paesi periferici ma soprattutto dei principali paesi industrializzati, si sono dimostrate incapaci di:
impedire la diffusione della pandemia, e poi la sua ripresa attraverso una seconda, terza, .... ondata;
evitare la saturazione dei sistemi ospedalieri, come in Italia, Spagna, ma anche Gran Bretagna e Stati Uniti;
mettere in atto tecniche e strumenti per controllare e contenere le diverse ondate;
coordinare e centralizzare la ricerca di un vaccino e mettere in atto una politica di una sua produzione, distribuzione e somministrazione pianificata e ben studiata per tutto il pianeta.
Invece le varie borghesie hanno fatto a gara nell’adottare misure incoerenti e caotiche e hanno fatto ricorso, per disperazione, a misure adottate in tempi lontanissimi nella storia, come il confinamento, la quarantena e il coprifuoco. Queste stesse borghesie hanno condannato a morte centinaia di migliaia di persone selezionando chi tra i malati di Covid dovesse essere ammesso negli ospedali sovraffollati o rimandando a una data lontana il trattamento di altre patologie gravi.
Il corso catastrofico della crisi pandemica è fondamentalmente legato alla pressione inesorabile della crisi storica del modo di produzione capitalista. L’impatto delle misure di austerità, ulteriormente accentuato dalla recessione del 2007-2011, la concorrenza economica spietata tra gli Stati e la priorità accordata, soprattutto nei paesi industrializzati, al mantenimento delle capacità produttive a scapito della salute della popolazione in nome del primato dell'economia, hanno favorito la portata della crisi sanitaria e costituiscono un ostacolo permanente al suo contenimento. Questa immensa catastrofe che è la pandemia non è il prodotto del destino o dell’insufficienza delle conoscenze scientifiche o degli strumenti sanitari (come poteva essere il caso nei modi di produzione precedenti); né arriva come un fulmine a ciel sereno, né costituisce una parentesi passeggera. Essa esprime invece l’impotenza fondamentale del modo di produzione capitalista in declino, che va al di là dell’incuria di questo o quel governo, ma che è, al contrario, indicativa del blocco e della putrefazione della società borghese. Soprattutto essa rivela l’ampiezza di questa fase di decomposizione che si sta approfondendo ormai da 30 anni.
1.1 La sua comparsa evidenzia 30 anni di sprofondamento nella decomposizione
La crisi da Covid-19 non sorge dal nulla; essa è al tempo stesso l’espressione e la risultante di 30 anni di una fase di decomposizione che hanno messo in evidenza una tendenza alla moltiplicazione, all’approfondimento e alla convergenza sempre più evidente delle varie manifestazioni di degrado del sistema.
(a) L’importanza e il significato della dinamica di decomposizione sono stati compresi dalla CCI già alla fine degli anni ‘80:
“Mentre la borghesia non ha le mani libere per imporre la sua "soluzione": la guerra imperialista generalizzata, e la lotta di classe non è ancora sufficientemente sviluppata per permettere di avanzare la sua prospettiva rivoluzionaria, il capitalismo è bloccato in una dinamica di decomposizione, di imputridimento che si manifesta su tutti i piani della sua esistenza:
degrado delle relazioni internazionali tra gli Stati che si manifesta con lo sviluppo del terrorismo;
catastrofi tecnologiche e cosiddette naturali a ripetizione;
distruzione della sfera ecologica;
carestie, epidemie, espressioni dell’impoverimento assoluto che si generalizza;
esplosione delle “nazionalità”;
vita della società segnata dallo sviluppo della criminalità, della delinquenza, dei suicidi, della follia, dell'atomizzazione individuale;
decomposizione ideologica segnata, tra l’altro, dallo sviluppo del misticismo, del nichilismo, dell’ideologia del “ciascuno per sé”, ecc.”[4]
(b) L'implosione del blocco sovietico marca un’accelerazione spettacolare del processo nonostante le campagne per nasconderlo. Il crollo dall’interno di uno dei due blocchi imperialisti che si fronteggiavano, senza che questo sia il prodotto né di una guerra mondiale tra i blocchi, né dell’offensiva del proletariato, può essere compreso solo come una espressione di rilievo dell’entrata nella fase di decomposizione. Tuttavia, le tendenze alla perdita di controllo e l’esacerbazione del ciascuno per sé che questa implosione manifesta sono state in gran parte nascoste e contrastate:
in un primo tempo anzitutto dal recupero di prestigio della “democrazia”, dovuto alla sua “vittoria sul comunismo” (campagne sulla morte del comunismo e sulla superiorità dei governi democratici);
poi, dalla prima guerra del Golfo (1991), intrapresa in nome delle Nazioni Unite contro Saddam Hussein, che ha permesso a Bush senior di imporre una “coalizione internazionale di Stati” sotto la guida degli USA e di rallentare così la tendenza al ciascuno per sé;
infine, dal fatto che il crollo economico risultante dall’implosione del blocco orientale ha colpito solo i paesi dell’ex blocco russo, una parte particolarmente arretrata del capitalismo, e ha risparmiato ampiamente i paesi industrializzati.
(c) All’inizio del XXI secolo, l’estensione della decomposizione si manifesta soprattutto nell’esplosione del ciascuno per sé e del caos imperialista. L’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono da parte di Al Qaeda l’11 settembre 2001 e la risposta militare unilaterale dell’amministrazione Bush hanno scoperchiato il “vaso di Pandora” della decomposizione: con l’attacco e l’invasione dell’Iraq nel 2003, in spregio alle convenzioni e alle organizzazioni internazionali e senza tener conto dell’avviso dei suoi principali “alleati”, la prima potenza mondiale è passata dal ruolo di gendarme dell’ordine mondiale a quello di principale causa del ciascuno per sé e del caos. L’occupazione dell’Iraq, seguita dalla guerra civile in Siria (2011), alimenteranno potentemente il caos imperialista non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo. Essi accentuano anche la tendenza al declino della leadership statunitense, mentre la Russia torna alla ribalta, soprattutto attraverso un ruolo imperialista “destabilizzante” in Siria, e la Cina acquista potenza come sfidante della superpotenza statunitense.
(d) Nei primi due decenni del XXI secolo, la crescita quantitativa e qualitativa del terrorismo, favorita dalla diffusione del caos e della barbarie bellica nel mondo, ha assunto un ruolo centrale nella vita della società come strumento di guerra tra gli Stati. Ciò ha condotto addirittura alla costituzione di un nuovo Stato, lo “Stato Islamico” (Daesh), con il suo esercito, la sua polizia, un’amministrazione, le scuole, per il quale il terrorismo è l’arma prediletta e che ha scatenato un’ondata di attentati suicidi in Medio Oriente così come nelle metropoli dei paesi industrializzati. “La costituzione di Daesh nel 2013-14 e gli attacchi in Francia nel 2015-16, in Belgio e Germania nel 2016 rappresentano un’altra tappa di primo piano di questo processo.” (Rapporto sulla decomposizione oggi, 22° Congresso della CCI, maggio 2017) [17]. L’espansione di questo terrorismo “kamikaze” va di pari passo con l’aumento del radicalismo religioso irrazionale e fanatico in tutto il mondo, dal Medio Oriente al Brasile, dagli Stati Uniti all’India.
(e) Nel 2016-17, il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e la presidenza Trump negli Stati Uniti mettono in evidenza lo tsunami populista che costituisce una nuova manifestazione particolarmente saliente dell’aggravarsi della decomposizione “L’ascesa del populismo costituisce, nelle attuali circostanze, un’espressione della crescente perdita di controllo da parte della borghesia sul funzionamento della società, risultante fondamentalmente da ciò che sta al centro della decomposizione, l’incapacità delle due classi fondamentali della società di rispondere alla crisi insolubile in cui l’economia capitalista sta sprofondando. In altre parole, la decomposizione è fondamentalmente il risultato di un’impotenza da parte della classe dirigente, che trova la sua fonte nell’incapacità di superare la crisi del suo modo di produzione e che tende sempre più a influenzare il suo apparato politico. Tra le cause attuali dell’ondata populista ci sono le principali manifestazioni di decomposizione sociale: la crescita della disperazione, il nichilismo, la violenza, la xenofobia, insieme a un crescente rifiuto delle “élite” (i “ricchi”, i politici, i tecnocrati) e in una situazione in cui la classe operaia non è in grado di presentare, anche in modo embrionale, un’alternativa.” (Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [18], 23° Congresso della CCI, punto 4, Rivista Internazionale n° 34). Se questa ondata populista colpisce in particolare le borghesie dei paesi industrializzati, essa si manifesta anche nelle altre regioni del mondo sotto forma dell’arrivo al potere di leader forti e “carismatici” (Orban, Bolsonaro, Erdogan, Modi, Duterte, ...) spesso tramite l’appoggio di sette o di movimenti estremisti di ispirazione religiosa (chiese evangeliste in America Latina o in Africa, i Fratelli musulmani in Turchia, movimenti identitari razzisti indù nel caso di Modi).
La fase di decomposizione ha già 30 anni di storia e la breve carrellata fatta mostra come la putrefazione del capitalismo si sia estesa e approfondita attraverso fenomeni che hanno progressivamente interessato sempre più aspetti della società e che costituiscono gli ingredienti che hanno provocato il carattere esplosivo della crisi planetaria da Covid-19. È vero che durante questi 30 anni la progressione dei fenomeni è stata discontinua, ma si è svolta su diversi livelli (crisi ecologica, ciascuno per sé sul piano imperialista, frammentazione degli Stati, terrorismo, rivolte sociali, perdita di controllo da parte dell’apparato politico, putrescenza ideologica), minando sempre più i tentativi del capitalismo di Stato di contrastare la sua avanzata e mantenere un certo quadro condiviso. Tuttavia, mentre i vari fenomeni stavano raggiungendo un livello apprezzabile di intensità, apparivano fino ad allora come “una proliferazione di sintomi senza un’apparente interconnessione, in contrasto con i precedenti periodi di decadenza capitalistica che erano definiti e dominati da marcatori evidenti come la guerra mondiale o la rivoluzione proletaria” (Rapport sur la pandémie Covid-19 et la période de décomposition capitaliste [19] (luglio 2020). È proprio il significato della crisi da Covid-19 ad essere, come l’implosione del blocco dell’Est, altamente emblematica della fase di decomposizione accumulando assieme tutti i fattori di putrefazione del sistema.
1.2 Il suo impatto risulta dall’interazione delle manifestazioni di decomposizione che promuove
Come le varie manifestazioni della decadenza (guerre mondiali, crisi economiche generali, militarismo, fascismo e stalinismo, ...), c'è quindi anche un accumulo di manifestazioni della fase di decomposizione. L’ampiezza dell’impatto della crisi da Covid-19 si spiega non solo con questo accumulo, ma anche attraverso l’interazione delle espressioni ecologiche, sanitarie, sociali, politiche, economiche e ideologiche della decomposizione in una specie di spirale mai vista prima, che ha portato a perdere il controllo di sempre più aspetti della società e all’esplosione di ideologie irrazionali, estremamente pericolose per il futuro dell’umanità.
a) Covid-19 e distruzione della natura
La pandemia è chiaramente un’espressione della rottura del rapporto tra l’uomo e la natura, che ha raggiunto un’intensità e una dimensione planetaria senza pari con la decadenza del sistema e, in particolare, con l’ultima fase di questa decadenza, quella della decomposizione, più specificamente attraverso la crescita urbana incontrollata (proliferazione di baraccopoli sovraffollate) nelle regioni periferiche del capitalismo, la deforestazione e il cambiamento climatico. Per esempio, nel caso del Covid-19, uno studio recente di ricercatori delle Università di Cambridge e delle Hawaii e del Potsdam Institute for Climate Impact Research (pubblicato sulla prestigiosa rivista Science of the Total Environment) indicherebbe che i cambiamenti climatici nella Cina meridionale nel secolo scorso avrebbero favorito la concentrazione nella regione di specie di pipistrelli, che sono portatori di migliaia di coronavirus, e permesso la trasmissione del SARS-CoV-2, probabilmente attraverso il pangolino, agli esseri umani[5].
Da decenni, la distruzione irrimediabile del mondo naturale genera un pericolo crescente di disastri ambientali ma anche sanitari, come già illustrato dalle epidemie di SARS, H1N1 o Ebola che, per fortuna, non sono diventate pandemie. Eppure, sebbene il capitalismo abbia la forza tecnologica di inviare uomini sulla Luna, di produrre armi mostruose capaci di distruggere il pianeta decine di volte, non è stato capace di dotarsi dei mezzi necessari per far fronte ai problemi ecologici e sanitari che hanno portato allo scoppio della pandemia da Covid-19. L’uomo è sempre più separato dal suo “corpo organico” (Marx) e la decomposizione sociale accentua questa tendenza.
(b) Covid-19 e recessione economica
Allo stesso tempo, le misure di austerità e di ristrutturazione della ricerca e dei sistemi sanitari, intensificate in seguito alla recessione del 2007-2011, hanno ridotto le disponibilità ospedaliere e rallentato, se non arrestato, le ricerche sui virus della famiglia del Covid, anche se diverse epidemie precedenti avevano messo in evidenza la loro pericolosità. D’altra parte, durante la pandemia, l’obiettivo primario dei paesi industrializzati è sempre stato quello di mantenere intatte il più possibile e il più a lungo possibile le capacità produttive e, come estensione di questo, gli asili, l'istruzione primaria e secondaria per permettere ai genitori di andare al lavoro, pur sapendo che aziende e scuole costituiscono una fonte non trascurabile di contagio, nonostante le misure adottate (indossare mascherine, mantenere le distanze, ecc.). In particolare, durante la fase di riduzione del confinamento dell’estate 2020, la borghesia ha giocato cinicamente con la salute delle popolazioni in nome del primato dell’economia, che ha sempre prevalso, anche se a rischio dell’emergere di una nuova ondata di pandemia, della ripetizione dei confinamenti e dell’aumento del numero di ricoveri e di morti.
(c) Covid-19 e caos imperialista
Fin dall’inizio, la crescente divisione tra gli Stati ha costituito un potente stimolo alla diffusione della pandemia e incoraggiato persino la sua utilizzazione a fini egemonici. A partire dai tentativi iniziali della Cina di nascondere il sorgere dell’epidemia e dal suo rifiuto di trasmettere informazioni all’OMS che hanno largamente favorito la diffusione iniziale della pandemia. In secondo luogo, la persistenza della pandemia e delle sue varie ondate, così come il numero di vittime, sono stati favoriti dal rifiuto di molti paesi di “condividere” le loro scorte di materiale sanitario con i loro vicini, dal crescente caos nella cooperazione tra diversi paesi, anche e soprattutto all’interno dell’UE, per armonizzare le politiche di controllo delle infezioni o le politiche di progettazione e approvvigionamento dei vaccini, e ancora dalla “corsa al vaccino” tra i giganti farmaceutici in competizione (con profitti lucrosi per i vincitori) invece di mettere insieme tutte le competenze mediche e farmacologiche disponibili. Infine, la “guerra dei vaccini” è in pieno svolgimento tra gli Stati: per esempio, la Commissione europea aveva inizialmente rifiutato di riservare 5 milioni di dosi di vaccino supplementari proposte da Pfizer-BioNTech sotto pressione della Francia, che ha chiesto un ordine supplementare equivalente per la società francese Sanofi; il vaccino AstraZeneca della Oxford University è stato riservato prioritariamente all’Inghilterra senza rispettare gli ordini dell’UE; inoltre, i vaccini cinesi (Sinovac), russi (Sputnik V), indiani (BBV152) o americani (Moderna) sono stati ampiamente sfruttati da questi stati come strumenti di politica imperialista. La competizione tra gli Stati e l’esplosione del “ciascuno per sé” hanno accentuato il caos spaventoso nella gestione della crisi pandemica.
(d) Covid-19 e perdita di controllo della borghesia sul proprio apparato politico
La perdita di controllo sull’apparato politico era già una delle caratteristiche che avevano segnato l’implosione del blocco dell’Est, ma era apparsa allora come una specificità legata al carattere particolare dei regimi stalinisti. La crisi dei rifugiati (2015-16), l’emergere di rivolte sociali contro la corruzione dell’élite e soprattutto la marea populista (2016), tutte manifestazioni che erano già presenti ma meno prominenti nei decenni precedenti, hanno messo in evidenza a partire dalla seconda metà del decennio 2010-2020 l’importanza di questo fenomeno come espressione della progressione della decomposizione. Questa dimensione giocherà un ruolo determinante nell’estensione della crisi da Covid-19. Il populismo, e in particolare i leader populisti come Bolsonaro, Johnson o Trump, hanno favorito con la loro politica vandalica la diffusione e l’impatto letale della pandemia: essi hanno banalizzato il Covid-19 come una semplice influenza, hanno favorito un’applicazione incoerente della politica di limitazione dei contagi, esprimendo apertamente il loro scetticismo nei suoi confronti, e hanno sabotato ogni collaborazione internazionale. Ad esempio, Trump ha trasgredito apertamente le misure sanitarie raccomandate, ha incolpato apertamente la Cina (il "virus cinese") e ha rifiutato qualunque cooperazione con l’OMS.
Questo “vandalismo” esprime in maniera emblematica la perdita di controllo della borghesia sul proprio apparato politico: dopo essersi dimostrate incapaci già all’inizio di limitare la diffusione della pandemia, le varie borghesie nazionali non sono riuscite a coordinare le loro azioni e a mettere in atto un ampio sistema di controllo e tracciamento dell’epidemia per controllare e limitare nuove ondate di contagio Covid-19. Infine, lo sviluppo lento e caotico della campagna di vaccinazione evidenzia ancora una volta le difficoltà dello Stato a gestire adeguatamente la pandemia. Il susseguirsi di misure contraddittorie e inefficaci ha alimentato scetticismo e sfiducia crescenti nelle popolazioni nei confronti delle direttive dei governi: “Possiamo constatare che, rispetto alla prima ondata, i cittadini fanno più fatica ad aderire alle raccomandazioni” (D. Le Guludec, presidente dell'Alta autorità francese per la salute, LMD 800, novembre 2020). Questa preoccupazione è molto presente nei governi dei paesi industrializzati (da Macron a Biden), esortando la popolazione a seguire le raccomandazioni e le direttive delle autorità.
(e) Covid-19 e rifiuto dell’élite, ideologie irrazionali e crescita della disperazione
I movimenti populisti non solo si oppongono all’élite, ma alimentano anche lo sviluppo di ideologie nichiliste e i settarismi religiosi più retrogradi, già rafforzati dall’approfondirsi della fase di decomposizione. La crisi da Covid-19 ha provocato un’esplosione senza precedenti di visioni cospirative e antiscientifiche, che alimentano la contestazione delle politiche sanitarie statali. Le teorie cospirative abbondano, diffondendo nozioni totalmente fantasiose sul virus e la pandemia. Inoltre, leader populisti come Bolsonaro o Trump hanno apertamente espresso il loro disprezzo per la scienza. La diffusione esponenziale del pensiero irrazionale e della messa in discussione della razionalità scientifica durante la pandemia è un’illustrazione impressionante dell’accelerazione della decomposizione.
Il rifiuto populista dell’élite e le ideologie irrazionali hanno esacerbato una contestazione sempre più violenta, ma su un terreno puramente borghese, delle misure governative, come il coprifuoco e il confinamento. Questa rabbia anti-élite e anti-Stato ha stimolato il nascere di raduni (Danimarca, Italia, Germania) o di rivolte “vandaliche”, nichiliste e anti-Stato contro le restrizioni (al grido di “Libertà!”, “Per i nostri diritti e la nostra vita”), contro la “dittatura del confino” o ancora l’“inganno di un virus che non esiste”, come quelli scoppiati in gennaio in Israele, Libano, Spagna e soprattutto in molte città olandesi[6].
1.3 La crisi da Covid-19 mostra che le manifestazioni della decomposizione si concentrano nei paesi centrali del capitalismo
Gli effetti della fase di decomposizione hanno prima colpito duramente le aree periferiche del sistema: i paesi dell’Est con l’implosione del blocco sovietico e dell’ex Jugoslavia, le guerre in Medio Oriente, la recrudescenza delle tensioni belliche in Asia (Afghanistan, Corea, conflitto di confine sino-indiano), le carestie, le guerre civili, il caos in Africa. La situazione cambia con la crisi dei rifugiati, che ha portato a un flusso massiccio di richiedenti asilo in Europa, o con l’esodo di popolazioni disperate dal Messico e dall’America centrale verso gli Stati Uniti, poi con gli attacchi jihadisti negli Stati Uniti e nel cuore dell’Europa e infine con lo tsunami populista del 2016. Nel secondo decennio del XXI secolo, il centro dei paesi industrializzati è sempre più colpito e questa tendenza è confermata in maniera spettacolare dalla crisi da Covid-19.
La pandemia sta colpendo fortemente il cuore del capitalismo, e particolarmente gli Stati Uniti. Rispetto all’implosione del blocco dell’Est del 1989, che ha aperto la fase di decomposizione, la situazione attuale presenta una differenza cruciale che è il fatto che la crisi da Covid-19 ha praticamente risparmiato una parte particolarmente arretrata del mondo capitalista e pertanto non può essere presentata come una vittoria del “capitalismo democratico” poiché colpisce al contrario il centro del sistema capitalista attraverso le democrazie dell’Europa e degli Stati Uniti. Come un boomerang, i peggiori effetti della decomposizione, che il capitalismo aveva spinto per anni alla periferia del sistema, stanno tornando a colpire duramente i paesi industrializzati, che sono ora al centro delle turbolenze e ben lontani dall’essere esenti da tutti i suoi effetti. Questo impatto sui paesi industrializzati centrali era già stato segnalato dalla CCI a livello di controllo del gioco politico, soprattutto a partire dal 2017, ma oggi le borghesie americana, britannica e tedesca (e successivamente quelle degli altri paesi industrializzati) sono al centro dell’uragano pandemico e delle sue conseguenze a livello sanitario, economico, politico, sociale e ideologico.
Tra i paesi centrali, è il più potente tra loro, la superpotenza americana, a subire di più l’impatto della crisi da Covid.19: il più alto numero assoluto di infezioni e morti al mondo, una situazione sanitaria deplorevole, un’amministrazione presidenziale “vandalica” che ha gestito in modo catastrofico la pandemia e che, a livello internazionale, ha isolato il paese dai suoi precedenti alleati, un’economia in profonda difficoltà, un presidente che ha screditato le elezioni, chiamato a marciare contro il parlamento, approfondito le divisioni all’interno del paese e alimentato la sfiducia nella scienza e nei dati razionali, etichettati come fake news. Oggi, gli Stati Uniti sono l’epicentro della decomposizione.
Come spiegare che la pandemia sembra effettivamente colpire meno la “periferia” del sistema (sia in termini di infezioni che di morti), e in particolare l’Asia e l’Africa? Ci sono naturalmente diverse ragioni circostanziali: il clima, la densità della popolazione o l’isolamento geografico (come dimostrano i casi della Nuova Zelanda, dell’Australia o della Finlandia in Europa), ma anche la relativa affidabilità dei dati: per esempio, la cifra dei morti per Covid-19 nel 2020 in Russia risulta essere tre volte superiore a quella ufficiale (185.000 invece di 55.000) secondo uno dei vice primi ministri, Tatjana Golikova, sulla base della mortalità in eccesso (De Morgen, 29.12.2020).
Più fondamentalmente, il fatto che l’Asia e l’Africa hanno una esperienza di gestione delle pandemie (H1N1, Ebola) ha certamente giocato a loro favore. Poi, ci sono varie spiegazioni di natura economica (la maggiore o minore densità di scambi e di contatti internazionali, la scelta di confinamenti localizzati che permettono di continuare l’attività economica), sociale (una popolazione anziana “parcheggiata” a centinaia nelle “case di riposo”), medica (una maggiore o minore durata media della vita: cfr. Francia: 82,4, Vietnam: 76, Cina: 76,1, Egitto: 70,9, Filippine: 68,5, Congo: 64,7 e maggiore o minore resistenza alle malattie). Inoltre, i paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina subiscono e subiranno un pesante impatto indiretto dalla pandemia in seguito ai ritardi nella vaccinazione alla periferia, gli effetti economici della crisi da Covid-19 e il rallentamento del commercio mondiale, come indicato dall’attuale pericolo di carestia in America Centrale, dovuto all'arresto dell’economia. Infine, il fatto che i paesi europei e gli Stati Uniti evitino il più possibile di imporre confinamenti e controlli drastici e brutali, come quelli decretati in Cina, è senza dubbio legato anche alla prudenza delle borghesie nei confronti di una classe operaia, certamente disillusa ma non sconfitta, che non è pronta a lasciarsi “rinchiudere” dallo Stato. La perdita di controllo da parte della borghesia del suo apparato politico e la rabbia all’interno di una popolazione confrontata con il collasso dei servizi sanitari e il fallimento delle politiche sanitarie rendono ancora più necessario agire con circospezione.
2. La crisi da Covid-19 annuncia una potente accelerazione del processo di decomposizione
Di fronte ad un ambiente politico proletario che, dopo aver negato le passate espressioni della decomposizione, considera la crisi pandemica come un episodio transitorio, la CCI sottolinea, al contrario, che l’ampiezza della crisi da Covid-19 e delle sue conseguenze implica che non ci sarà un “ritorno alla normalità”. Anche se l’approfondimento della decomposizione, come nel caso della decadenza, non è lineare, anche se la partenza del populista Trump e l’arrivo al potere di Biden nella prima potenza mondiale possono, in un primo momento, fornire l’immagine di una stabilizzazione illusoria, bisogna essere coscienti che le diverse tendenze che si sono manifestate durante la crisi del Covid-19 segnano un’accelerazione del processo di sgretolamento e di distruzione del sistema.
2.1. Il decadimento della sovrastruttura sta infettando la base economica
Nel 2007, la nostra analisi concludeva ancora che “Paradossalmente, la situazione economica del capitalismo è l’aspetto di questa società meno colpito dalla decomposizione. Ciò perché è proprio questa situazione economica che determina, in ultima istanza, gli altri aspetti della vita di questo sistema, compresi quelli che sono espressione della decomposizione. (...). Oggi, nonostante tutti i discorsi sul “trionfo del liberalismo” e sul “libero esercizio delle leggi di mercato”, gli Stati non hanno rinunciato né a intervenire nelle economie dei loro rispettivi paesi, né a utilizzare strutture che regolino in qualche misura le relazioni tra loro, creandone anche di nuove, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio” (Résolution sur la situation internationale [20], Revue internationale n° 130, 2007). Fino ad allora, la crisi economica e la decomposizione erano state separate dall’azione dello Stato, con la prima apparentemente non influenzata dalla seconda.
In effetti, i meccanismi internazionali del capitalismo di Stato, dispiegati nel quadro dei blocchi imperialisti (1945-89), erano stati mantenuti a partire dagli anni ‘90 su iniziativa dei paesi industrializzati come palliativo alla crisi e come scudo protettivo contro gli effetti della decomposizione. La CCI aveva interpretato i meccanismi multilaterali di cooperazione economica e una certa coordinazione delle politiche economiche non come un’unificazione del capitale a livello mondiale, né come una tendenza al super-imperialismo, ma come una collaborazione tra borghesie a livello internazionale allo scopo di regolare e organizzare il mercato e la produzione mondiale, di rallentare e ridurre il peso del precipitare nella crisi, di evitare l’impatto degli effetti della decomposizione sul terreno nevralgico dell’economia e infine di proteggere il cuore del capitalismo (gli Stati Uniti, la Germania, ... ). Tuttavia, questo meccanismo di resistenza contro la crisi e la decomposizione tendeva ad erodersi sempre di più. Dal 2015, diversi fenomeni hanno cominciato ad esprimere tale erosione: una tendenza verso un notevole indebolimento della coordinazione tra i paesi, in particolare per quanto riguarda la ripresa dell’economia (e che contrasta chiaramente con la risposta coordinata messa in atto di fronte alla crisi del 2008-2011), una frammentazione delle relazioni tra e all’interno degli Stati. Dal 2016, il voto a favore della Brexit e la presidenza Trump hanno aumentato la paralisi e il rischio di frammentazione dell’Unione europea e intensificato la guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, ma anche le tensioni economiche tra gli Stati Uniti e la Germania.
Una delle principali conseguenze della crisi da Covid-19 è che gli effetti della decomposizione, l’accentuazione del ciascuno per sé e la perdita di controllo, che fino ad ora avevano colpito principalmente la sovrastruttura del sistema capitalista, ora tendono a colpire direttamente la base economica del sistema, la sua capacità di gestire gli shock economici nell’affondamento della sua crisi storica. “Quando abbiamo sviluppato la nostra analisi della decomposizione, abbiamo considerato che questo fenomeno avrebbe influenzato la forma dei conflitti imperialisti (vedi “Militarismo e decomposizione [16]”, Rivista Internazionale n°15) e anche la presa di coscienza del proletariato. Di contro, abbiamo considerato che non avrebbe avuto un impatto reale sull’evoluzione della crisi del capitalismo. Se l’attuale ascesa del populismo dovesse portare al potere questa corrente in alcuni dei principali paesi d’Europa, potremmo assistere allo sviluppo di un tale impatto della decomposizione.” (Rapporto sulla decomposizione oggi, 22° Congresso della CCI, maggio 2017) [17]. In effetti, la prospettiva avanzata nel 2017 è diventata rapidamente una realtà e ora dobbiamo considerare che la crisi economica e la decomposizione interferiscono e si influenzano sempre di più.
Per esempio, i tagli di bilancio nelle politiche sanitarie e nell’assistenza ospedaliera hanno favorito la diffusione della pandemia, che a sua volta ha portato a un crollo del commercio mondiale e delle economie, in particolare nei paesi industrializzati (i PIL dei principali paesi industrializzati presentano nel 2020 dei tassi negativi mai raggiunti dalla seconda guerra mondiale). La recessione economica fornirà a sua volta uno stimolo per l’ulteriore decadimento della sovrastruttura. D’altra parte, l’aumento del ciascuno per sé e la perdita di controllo che caratterizzano globalmente la crisi da Covid-19 intaccano già da ora l’economia. Colpisce la mancanza di concertazione internazionale tra i paesi centrali sul fronte economico (nessuna riunione del G7, G8 o G20 nel 2020) e il mancato coordinamento delle politiche economiche e sanitarie tra i paesi dell’UE. Di fronte alla pressione delle contraddizioni economiche all’interno dei paesi centrali del capitalismo, e di fronte alle esitazioni della Cina sulla sua politica (continuare ad aprirsi al mondo o iniziare un ritiro strategico nazionalista in Asia), gli shock a livello della base economica tenderanno a diventare sempre più forti e caotici.
2.2. I paesi centrali al centro della crescente instabilità delle relazioni all’interno delle borghesie e tra le borghesie
Negli anni precedenti abbiamo assistito ad un’acutizzazione delle tensioni all’interno delle borghesie e tra le borghesie. In particolare, con l’arrivo al potere di Trump e l’attuazione della Brexit, queste tensioni si sono manifestate soprattutto a livello delle borghesie americana e inglese, precedentemente considerate le più stabili ed esperte del mondo: le conseguenze della crisi da Covid-19 non potevano che acuire ancora di più tali tensioni:
La borghesia inglese sta entrando nella nebbia post-Brexit avendo perso l’appoggio del grande fratello americano a causa della sconfitta di Trump, mentre subisce con forza tutte le conseguenze della pandemia. Per quanto riguarda la Brexit, l’insoddisfazione per l’accordo poco chiaro con l'UE appare tanto tra coloro che non volevano questo accordo (scozzesi, nordirlandesi) quanto tra coloro che volevano una hard Brexit (pescatori), mentre non c’è un accordo (ancora?) con l’UE per i servizi (80% del commercio) e le tensioni tra UE e Regno Unito stanno aumentando (sui vaccini, per esempio). Per quanto riguarda la crisi da Covid-19, l’Inghilterra è dovuta ricorrere di nuovo e in tutta fretta al confinamento, ha superato la soglia dei 120.000 morti, con dei servizi sanitari sottoposti a una terribile pressione. Nel frattempo, la situazione nei suoi principali partiti politici, i Tories e il Labour, è catastrofica, entrambi in preda a una grave crisi interna.
L’acutizzazione delle tensioni tra gli Stati Uniti e gli altri Stati è stata evidente sotto l’amministrazione Trump: “Il comportamento da vandalo di un Trump che può rinnegare dall’oggi al domani gli impegni internazionali americani sfidando regole consolidate rappresenta un nuovo e potente fattore d’incertezza e impulso del ciascuno per sé. Ciò costituisce un ulteriore indice della nuova tappa che il sistema capitalista attraversa nello sprofondamento nella barbarie e nell’abisso del militarismo senza limiti.” (Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [18], punto 13, 23° Congresso della CCI). Ma anche all’interno della stessa borghesia americana le tensioni sono elevate. Questo si era già manifestato a proposito della strategia da adottare per assicurare il mantenimento della sua supremazia durante la catastrofica avventura irachena di Bush Junior: “L’arrivo nel 2001 alla guida dello Stato americano dei neoconservatori ha rappresentato una vera catastrofe per la borghesia americana. (...). Infatti, l’arrivo dell’equipe Cheney, Rumsfeld e compagnia alla guida dello Stato non è stato semplicemente il risultato di un monumentale “errore di casting” da parte di questa classe. Se ha peggiorato considerevolmente la situazione degli Stati Uniti sul piano imperialista, questo era già la manifestazione dell’impasse in cui si trovava questo paese di fronte alla perdita crescente della propria leadership, e più in generale allo sviluppo del ciascuno per sé nelle relazioni internazionali che caratterizza la fase di decomposizione” (Résolution sur la situation internationale [20], 17° Congresso della CCI, Revue internationale n° 130, 2007). Ma con le politiche “vandaliche” di Trump e la crisi da Covid-19, le opposizioni all’interno della borghesia americana sono apparse molto più ampie (immigrazione, economia) e soprattutto, la capacità dell’apparato politico di mantenere la coesione di una società frammentata sembra minata. In effetti, l’“unità” e l’“identità” nazionali hanno delle debolezze congenite che le rendono vulnerabili alla decomposizione. Così, l’esistenza di grandi comunità etniche e migranti, che hanno subito discriminazioni razziali fin dalle origini degli Stati Uniti e alcune delle quali sono escluse dalla vita “ufficiale”, il peso delle chiese e delle sette che propagano un pensiero irrazionale e antiscientifico, la grande autonomia di gestione degli Stati dell’“Unione americana” rispetto al potere federale (esiste, per esempio, un movimento indipendentista in Texas), l’opposizione sempre più netta tra gli Stati della costa orientale e occidentale (California, Oregon, Washington, New York, Massachusetts, ecc.), profittando pienamente della “mondializzazione”, e gli Stati del Sud (Tennessee, Louisiana, ecc.), la Rust Belt (Indiana, Ohio, ecc.) e il centro profondo (Oklahoma, Kansas, ecc.), che sono molto più favorevoli a un approccio più protezionista, tendono a favorire una frammentazione della società americana, anche se lo Stato federale è ancora lontano dall’aver perso il controllo della situazione. Tuttavia, il teatrino della contestazione del processo e dei risultati delle ultime elezioni presidenziali così come l’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump di fronte al mondo intero come in una qualsiasi repubblica delle banane conferma l'accentuazione di questa tendenza alla frammentazione.
Per quanto riguarda il futuro inasprimento delle tensioni all’interno e tra le borghesie, due punti sono degni di nota.
(a) La nomina di Biden non cambia la radice dei problemi degli Stati Uniti
L’avvento dell’amministrazione Biden non significa affatto la riduzione delle tensioni intra- e inter-borghesi e in particolare la fine dell’impronta del populismo trumpiano sulla politica interna ed estera: da un lato, quattro anni di imprevedibilità e vandalismo di Trump, da ultimo per quanto riguarda la gestione catastrofica della pandemia, hanno segnato profondamente la situazione interna degli Stati Uniti, la frammentazione della società americana, così come il suo posizionamento internazionale. Inoltre, Trump ha fatto di tutto nell’ultimo periodo della sua presidenza per rendere la situazione ancora più caotica per il suo successore (cfr. la lettera degli ultimi 10 ministri della difesa che ingiungono a Trump di non coinvolgere l’esercito nella contestazione dei risultati elettorali nel dicembre 2020 con l’occupazione del Congresso da parte dei suoi sostenitori). In secondo luogo, il risultato elettorale ottenuto da Trump mostra che circa la metà della popolazione condivide le sue idee e in particolare la sua avversione per le élite politiche. Infine, la presa di Trump e delle sue opinioni su gran parte del partito repubblicano annunciano una gestione difficile per la poco popolare (al di fuori delle élite politiche) amministrazione Biden. La sua vittoria è stata dovuta più alla polarizzazione anti-Trump che all’entusiasmo per l’agenda del nuovo presidente.
Inoltre, se a livello di forma e in settori specifici, come la politica sul clima o l’immigrazione, l’amministrazione Biden tenderà a rompere con la politica di Trump, la sua politica interna di “vendetta” delle élite delle due coste contro l’“America profonda” (le questioni dei combustibili fossili e del “muro” sono proprio legate a questo) e la politica estera, segnata dalla continuazione della politica di Trump in Medio Oriente e da un rafforzamento del confronto con la Cina (cfr. l’atteggiamento duro di Biden nei confronti di Xi durante la loro prima conversazione telefonica e la richiesta degli Stati Uniti all’UE di rivedere il suo trattato commerciale con la Cina) può solo portare a lungo termine a una maggiore instabilità all’interno della borghesia statunitense e tra le borghesie.
(b) La Cina non è il grande vincitore della situazione
Ufficialmente, la Cina si presenta come il “paese che ha sconfitto la pandemia”. Qual è la sua situazione nella realtà? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo valutare l’impatto a breve termine (controllo effettivo della pandemia) e a medio termine della crisi da Covid-19.
La Cina ha una responsabilità schiacciante nell’emergere e nell’espandersi della pandemia. Dopo l’epidemia di SARS nel 2003, sono stati stabiliti protocolli per le autorità locali per avvertire le autorità centrali; già con l'epidemia di peste suina nel 2019, è diventato chiaro che questo non funzionava perché, nel capitalismo di Stato stalinista, i funzionari locali temono per le loro carriere/promozioni se annunciano cattive notizie. Lo stesso è successo all’inizio del Covid-19 a Wuhan. Sono state le “opposizioni democratiche cittadine” che alla fine hanno trasmesso la notizia e, di conseguenza, con ritardo, hanno portato la notizia a livello centrale. Il “livello centrale” si è inizialmente distinto per la sua assenza: non ha avvisato l’OMS e, per tre settimane, Xi è stato assente, tre preziose settimane perse. Da allora, inoltre, la Cina ha sempre rifiutato di fornire all’OMS dati verificabili sullo sviluppo della pandemia sul suo territorio.
L’impatto a breve termine è principalmente indiretto. A livello diretto, le cifre ufficiali delle infezioni e dei decessi non sono affidabili, (quest’ultime vanno da 30.000 a diversi milioni) e, secondo il New York Times [21], lo stesso governo cinese potrebbe non essere a conoscenza dell’estensione dell’epidemia poiché le autorità locali mentono sul numero di infezioni, di test e morti per paura di rappresaglie da parte del governo centrale. Tuttavia, l’imposizione di spietate e barbare serrate su intere regioni, chiudendo letteralmente milioni di persone nelle loro case a volte per settimane (imposte di nuovo regolarmente negli ultimi mesi), paralizza totalmente l’economia cinese per diverse settimane, portando a una disoccupazione massiccia (205 milioni a maggio 2020) e conseguenze disastrose sui raccolti (in combinazione con siccità, inondazioni e invasioni di cavallette). Per il 2020, la crescita del PIL scende di oltre il 4% rispetto al 2019 (da +6,1% a +1,9%); il consumo interno è stato mantenuto solo grazie a un pieno rilascio del credito da parte dello Stato.
A più lungo termine, l’economia cinese deve affrontare una delocalizzazione delle industrie strategiche da parte degli Stati Uniti e dei paesi europei e le difficoltà della “Nuova Via della Seta” a causa dei problemi finanziari legati alla crisi economica e accentuati dalla crisi da Covid-19 (i finanziamenti cinesi, ma soprattutto il livello di indebitamento dei paesi “partner” come lo Sri-Lanka, il Bangladesh, il Pakistan, il Nepal, etc.), ma anche a causa della crescente diffidenza di molti paesi e della pressione anticinese degli Stati Uniti. Pertanto, non è sorprendente che nel 2020, c’è stato un crollo del valore finanziario degli investimenti fatti nel progetto “Nuova Via della Seta” (-64%).
La crisi da Covid-19 e gli ostacoli incontrati dalla “Nuova Via della Seta” hanno anche accentuato le tensioni, che sono sempre più evidenti, alla testa dello stato cinese. La fazione “economista” si affida soprattutto alla globalizzazione economica e al “multilateralismo” per perseguire l’espansione capitalista della Cina. La fazione “nazionalista” chiede invece una politica più muscolosa e mette avanti la forza (“La Cina che ha sconfitto il Covid”) di fronte alle minacce interne (gli uiguri, Hong Kong, Taiwan) ed esterne (tensioni con gli Stati Uniti, l’India e il Giappone). In vista del prossimo Congresso del Popolo del 2022, che dovrebbe nominare il nuovo (o confermare il vecchio) presidente, la situazione in Cina è quindi anche particolarmente instabile.
2.3. Il capitalismo di Stato come fattore di acutizzazione delle contraddizioni
“Come sottolineava la CGF nel suo organo di stampa Internationalisme nel 1952, il capitalismo di Stato non è una soluzione alle contraddizioni del capitalismo, anche se può ritardarne gli effetti, ma ne è l’espressione. La capacità dello Stato a mantenere insieme una società in declino, per quanto pervasiva, è quindi destinata a indebolirsi nel tempo e a diventare alla fine un fattore aggravante delle stesse contraddizioni che cerca di contenere. La decomposizione del capitalismo è il periodo in cui una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante e del suo Stato diventa la tendenza dominante nell’evoluzione sociale, cosa che il Covid rivela così drammaticamente” (Rapport sur la pandémie Covid-19 et la période de décomposition capitaliste [19] (luglio 2020)). Con la crisi pandemica, si esprime in maniera particolarmente acuta la contraddizione tra la necessità di un massiccio interventismo da parte del capitalismo di Stato per cercare di limitare gli effetti della crisi e una tendenza opposta alla perdita di controllo, alla frammentazione, a sua volta esacerbata da questi tentativi dello Stato di mantenere il controllo.
In particolare, la crisi da Covid-19 ha segnato un’accelerazione nella perdita di credibilità degli apparati statali. Mentre il capitalismo di Stato è intervenuto in maniera massiccia per far fronte agli effetti della crisi pandemica (misure sanitarie, confinamenti, vaccinazioni di massa, compensi finanziari generalizzati per attutire l’impatto economico, ecc.), le misure prese sui diversi piani si sono spesso rivelate inefficaci o hanno provocato nuove contraddizioni (ad es. la vaccinazione ha acuito l’opposizione contro lo Stato dei “no-vax”, i compensi economici per un settore hanno suscitato il malcontento di altri). Quindi, se è vero che lo Stato dovrebbe rappresentare l’intera società e mantenere la sua coesione, ciò è qualcosa che è sempre meno vista come tale dalla società: di fronte all’incuria e all’irresponsabilità crescenti della borghesia, sempre più evidente anche nei paesi centrali, la tendenza è quella di vedere lo Stato come una struttura a servizio delle élite corrotte, ed anche come una forza di repressione. Di conseguenza, esso ha sempre più difficoltà a imporre delle regole: in molti paesi europei, come l’Italia, la Francia o la Polonia, e anche negli Stati Uniti, ci sono state manifestazioni contro le misure governative di chiusura delle imprese o di confinamento delle persone. Ovunque, soprattutto tra i giovani, stanno nascendo campagne sui social media per opporsi a queste regole, come l’hashtag, “Non voglio più giocare”, in Olanda.
L’incapacità degli Stati a far fronte alla situazione è simboleggiata e influenzata dall’impatto del “vandalismo” populista. La perturbazione del gioco politico della borghesia nei paesi industrializzati si manifesta in maniera evidente dall’inizio del XXI secolo con movimenti e partiti populisti, spesso vicini all’estrema destra. Per esempio, la scalata a sorpresa di Le Pen alle elezioni presidenziali del 2002 in Francia, la spettacolare affermazione della “lista Pim Fortuyn” nei Paesi Bassi nel 2001-2002, i governi Berlusconi con l’appoggio dell’estrema destra in Italia, l’ascesa di Jorg Haider e del FPÖ in Austria, o l’ascesa del Tea Party negli Stati Uniti. All’epoca, la CCI tendeva a legare tale fenomeno alla debolezza delle borghesie: “Dipendono dalla forza o dalla debolezza della borghesia nazionale. In Italia, le debolezze e le divisioni interne della borghesia, anche da un punto di vista imperialista, tendono a far risorgere una significativa destra populista. In Gran Bretagna, invece, la quasi inesistenza di un partito specifico di estrema destra è legata all’esperienza e alla superiore padronanza del gioco politico da parte della borghesia inglese [sic!]” (Montée de l’extrême droite en Europe: existe-t-il un danger fasciste aujourd'hui? [22] Revue Internationale n° 110, 2002). Se la tendenza alla perdita di controllo è mondiale e ha segnato la periferia (paesi come il Brasile, il Venezuela, il Perù in America Latina, le Filippine o l’India in Asia), ora sta colpendo duramente i paesi industrializzati, le borghesie storicamente più forti (Gran Bretagna) e oggi soprattutto gli Stati Uniti. Mentre l’ondata populista cavalca la contestazione dell’establishment, l’arrivo al potere dei populisti mina e destabilizza ulteriormente le strutture statali attraverso le loro politiche “vandaliche” (ad esempio Trump, Bolsonaro, ma anche il “governo populista” M5S e Lega in Italia), in quanto non sono né disposti né in grado di assumere responsabilmente gli affari dello Stato.
Queste osservazioni contrastano con la tesi secondo cui la borghesia, attraverso queste misure, promuove una mobilitazione e una sottomissione della popolazione in vista della marcia verso la guerra generalizzata. Al contrario, le caotiche politiche sanitarie e l’incapacità degli Stati di far fronte alla situazione esprimono la difficoltà delle borghesie dei paesi centrali di imporre il loro controllo sulla società. Lo sviluppo di questa tendenza può alterare la credibilità delle istituzioni democratiche (senza che questo implichi nel contesto attuale il minimo rafforzamento del terreno di classe) o al contrario vedere lo sviluppo di campagne per la difesa di queste istituzioni, o anche per la restaurazione di una “vera democrazia”: così, durante l’assalto al Campidoglio, c’era chi voleva recuperare la democrazia “presa in ostaggio dalle élite” (“il Campidoglio è casa nostra”) e chi difendeva la democrazia contro un putsch populista.
Il fatto che la borghesia sia sempre meno capace di presentare una prospettiva per tutta la società genera anche una esplosione di ideologie alternative irrazionali e un crescente disprezzo per un approccio scientifico e ragionato. Naturalmente, la decredibilizzazione dei valori della classe dirigente non è cosa nuova. Essa è apparsa dalla fine degli anni ‘60, ma lo sprofondamento progressivo nella decomposizione, nel caos e nella barbarie ha favorito l’ascesa dell’odio e della violenza di ideologie nichiliste e di settarismi religiosi tra i più retrogradi. La crisi da Covid-19 stimola l’estensione su larga scala di tali ideologie. Movimenti come QAnon, Wolverine Watchmen, Proud Boys o il movimento Boogaloo negli Stati Uniti, le sette evangeliche in Brasile, in America Latina o in Africa, le sette musulmane sunnite o sciite, ma anche sette indù o buddiste, diffondono teorie del complotto e concezioni totalmente fantasiose sul virus, la pandemia, l’origine (creazionismo) o il futuro della società. La diffusione esponenziale del pensiero irrazionale e del rifiuto dei contributi della scienza tenderà ad accelerare.
2.4. La moltiplicazione delle rivolte antistatali e dei movimenti interclassisti
Le esplosioni di rivolte popolari contro la miseria e la barbarie guerriera erano presenti dall’inizio della fase di decomposizione e si stanno accentuando nel XXI secolo: l’Argentina (2001-2002), le periferie francesi nel 2005, l’Iran nel 2009, Londra e altre città inglesi nel 2011, lo scoppio di rivolte nel Maghreb e nel Medio Oriente nel 2011-12 (la “primavera araba”). Una nuova ondata di rivolte sociali scoppia in Cile, Ecuador o Colombia (2019), Iran (nel 2017-18 e di nuovo nel 2019-2020), Iraq, Libano (2019-2020), ma anche in Romania (2017) e Bulgaria (2013 e 2019-2020) o in Francia con il movimento dei “gilet gialli” (2018-2019) e, con caratteristiche specifiche, a Ferguson (2014) e Baltimora (2016) negli USA. Queste rivolte manifestano la crescente disperazione delle popolazioni che soffrono per la destrutturazione dei rapporti sociali, sottoposte alle conseguenze traumatiche e drammatiche dell’impoverimento legato al collasso economico o a delle guerre senza fine. Inoltre, esse prendono sempre più di mira la corruzione delle cricche al potere e, più in generale, le élite politiche.
Sulla scia della crisi da Covid-19, tali esplosioni di rabbia si stanno moltiplicando, prendendo la forma di manifestazioni e persino di rivolte. Esse tendono a cristallizzarsi intorno a tre poli:
a) dei movimenti interclassisti che esprimono una rivolta di fronte alle conseguenze economiche e sociali della crisi da Covid-19 (esempio dei “gilet gialli”);
b) dei movimenti identitari, di origine populista (MAGA) o parcellari, tendenti a esacerbare le tensioni tra componenti della popolazione (come le rivolte razziali (BLM), ma anche i movimenti di ispirazione religiosa (in India per esempio), ecc.;
c) dei movimenti anti-establishment e anti-Stato in nome della “libertà individuale”, di tipo nichilista, senza reali “alternative”, come i “no-vax” o i movimenti cospirativi (“recuperare le mie istituzioni dalle mani delle élite”).
Questi tipi di movimenti sfociano spesso in rivolte e saccheggi, servendo da valvola di sfogo per bande di giovani provenienti da quartieri afflitti dal degrado. Se questi movimenti mettono in evidenza la grave perdita di credibilità delle strutture politiche della borghesia, nessuno di essi offre in alcun modo una prospettiva per la classe operaia. Non tutte le rivolte contro lo Stato sono un terreno favorevole al proletariato: al contrario, esse lo deviano dal suo terreno di classe verso un terreno che non gli è proprio.
2.5. L’utilizzo della minaccia ecologica nelle campagne della borghesia
La pandemia illustra il drammatico peggioramento del degrado ambientale, che sta raggiungendo livelli allarmanti secondo i risultati e le previsioni che sono ormai unanimemente accettati negli ambienti scientifici e che la maggioranza degli stessi settori borghesi di tutti i paesi hanno fatto proprie (Accordo di Parigi, 2015): inquinamento urbano dell’aria e dell’acqua degli oceani, alterazione del clima con fenomeni meteorologici sempre più violenti, desertificazione che avanza, scomparsa accelerata di specie vegetali e animali che minaccia sempre più l’equilibrio biologico del nostro pianeta. “Tutte queste calamità economiche e sociali, se sono in generale un’espressione della decadenza del capitalismo, per il grado di accumulazione e l’ampiezza raggiunti costituiscono la manifestazione dello sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione. Un sistema in cui le politiche economiche, le ricerche, gli investimenti, tutto è realizzato sistematicamente a discapito del futuro dell’umanità e, pertanto, a discapito del futuro del sistema stesso.” (Punto 7 delle Tesi sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [1]).
La classe dominante non è in grado di attuare le misure necessarie a causa delle stesse leggi del capitalismo e più specificamente dell’acuirsi delle contraddizioni provocate dallo sprofondamento nella decomposizione; di conseguenza, la crisi ecologica non può che peggiorare e generare nuove catastrofi in futuro. Tuttavia, negli ultimi decenni, la borghesia ha recuperato la dimensione ecologica nel tentativo di proporre una prospettiva di “riforme nel sistema”. In particolare, le borghesie dei paesi industrializzati pongono la “transizione ecologica” e l’“economia verde” al centro delle loro attuali campagne per far accettare una prospettiva di austerità draconiana nel quadro delle loro politiche economiche “post-Covid” volte a ristrutturare e rafforzare la posizione di concorrenza dei paesi industrializzati. Così, sono al centro dei “piani di ripresa” della Commissione europea per i paesi dell’UE e delle misure di rilancio dell’amministrazione Biden negli Stati Uniti. Nei prossimi anni, quindi, l’ecologia sarà più che mai una grande mistificazione che i rivoluzionari dovranno combattere.
3. Conclusioni
Questo rapporto ha dimostrato che la pandemia non inaugura un nuovo periodo, ma che è anzitutto un indicatore del livello di disfacimento raggiunto durante 30 anni di decomposizione, un livello spesso sottovalutato fino ad oggi. Allo stesso tempo, la crisi pandemica preannuncia anche una significativa accelerazione di vari effetti della decomposizione nel prossimo periodo, come illustrato in particolare dall’impatto della crisi da Covid-19 sulla gestione dell’economia da parte degli Stati e dai suoi effetti devastanti sui paesi industriali centrali, in particolare sulla superpotenza americana. Ci sono possibilità di controtendenze specifiche, che possono imporre una pausa o anche una certa ripresa di controllo da parte del capitalismo di Stato, ma questi eventi specifici non significheranno che la dinamica storica di sprofondamento nella fase di decomposizione, evidenziata in questo rapporto, sia messa in discussione.
Se la prospettiva non è quella di una guerra mondiale generalizzata (tra blocchi imperialisti), l’attuale caduta nel “ciascuno per sé” e la frammentazione porta comunque la cupa promessa di una moltiplicazione di conflitti bellici cruenti, di rivolte senza prospettive annegate nel sangue o di catastrofi per l’umanità:
“Il corso della storia è irreversibile: la decomposizione porta, come indica il nome stesso, alla dislocazione ed alla putrefazione della società, al niente. Lasciata alla sua propria logica, alle sue ultime conseguenze, essa conduce l’umanità allo stesso risultato di una guerra mondiale. Essere annientati brutalmente da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, la radioattività delle centrali nucleari, la fame, le epidemie ed i massacri delle differenti guerre locali (dove potrebbe anche essere usata l’arma atomica), il risultato è lo stesso. La sola differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più rapida mentre la seconda è più lenta e quindi molto più sofferta.” (Tesi 11 sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [1]).
La progressione della fase di decomposizione può anche portare a ridurre la capacità del proletariato a condurre la sua azione rivoluzionaria. Quest’ultimo è così impegnato in una corsa col tempo contro lo sprofondamento della società nella barbarie di un sistema storicamente obsoleto. Certo, le lotte operaie non possono impedire il progredire della decomposizione, ma possono creare un freno ai suoi effetti, sul “ciascuno per sé”. Ricordiamo che “la decadenza del capitalismo era necessaria perché il proletariato fosse in grado di rovesciare questo sistema; al contrario, l’apparizione del fenomeno storico della decomposizione, risultato del perpetuarsi della decadenza in assenza della rivoluzione proletaria, non costituisce affatto una tappa necessaria per il proletariato sul cammino della sua emancipazione.” (Tesi 12 Tesi 11 sulla Decomposizione, La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [1])
La crisi da Covid-19 genera così una situazione ancora più imprevedibile e confusa. Le tensioni sui diversi piani (sanitario, socio-economico, militare, politico, ideologico) genereranno grandi sconvolgimenti sociali, massicce rivolte popolari, rivolte distruttive, intense campagne ideologiche, come quella sull’ecologia. Senza un solido quadro di comprensione degli eventi, i rivoluzionari non saranno in grado di svolgere il loro ruolo di avanguardia politica della classe, ma contribuiranno invece alla sua confusione, al declino della sua capacità di realizzare la sua azione rivoluzionaria.
[1] Termine usato a livello internazionale per indicare la forma di depressione prodotta dalla pandemia da Corona virus.
[2] Risoluzione sulla situazione internazionale (2019): conflitti imperialisti, vita della borghesia, crisi economica [18].
[3] Purtroppo le cifre sono continuamente cresciute da quando il rapporto è stato scritto e oggi, secondo il Ministero della Salute, si contano più di 4 milioni di morti in tutto il mondo, di cui 600 mila negli USA, 1 milione tra India e Brasile ed oltre 1 milione in Europa.
[4] 8° Congresso della CCI. La Situazione internazionale: presentazione e risoluzione, 1989, Rivista internazionale n. 13.
[5] Questo testo è stato scritto nel luglio 2020, e non ha potuto tener conto di una recente informazione che considera plausibile la tesi che l’epidemia abbia avuto la sua origine in un incidente di laboratorio a Wuhan, in Cina (Vedi a questo proposito il seguente articolo: “Origines du Covid-19: l’hypothèse d’un accident à l’Institut de virologie de Wuhan relancée après la divulgation de travaux inédits [23]”). Detto questo, questa ipotesi, se verificata, non diminuirebbe in alcun modo la nostra analisi che la pandemia è un prodotto della decomposizione del capitalismo. Al contrario, illustrerebbe che questo non risparmia la ricerca scientifica in un paese la cui crescita fulminea negli ultimi decenni porta proprio il marchio della decomposizione.
[6] Queste manifestazioni continuano ancor oggi prendendo spunto in particolare dalla decisione di adottare il green pass per accedere alle varie attività o ambiti quali ristoranti, spettacoli, musei, concorsi pubblici, etc.
Il presente rapporto fa seguito al rapporto adottato dal 24° Congresso della nostra sezione in Francia[1], in cui vengono adeguatamente trattati diversi aspetti, tra cui le misure adottate in campo economico di fronte alla pandemia; la violenta incursione della decomposizione sul terreno economico e l'attacco alle condizioni di vita dei lavoratori che sta diventando un vero incubo. In questo rapporto non svilupperemo questi elementi ma ci concentreremo sulla prospettiva: dove sta andando l'economia mondiale dopo il grande cataclisma scoppiato con la pandemia Covid-19?
Il rapporto sulla crisi economica adottato dal 23° congresso annunciava: “dobbiamo prendere in considerazione la possibilità di scosse significative nell’economia mondiale per il 2019-2020. I fattori negativi si accumulano: un debito sempre più incontrollabile; la guerra commerciale che si scatena; svalutazioni brutali degli attivi finanziari sopravvalutati; contrazione dello 0,1% dell’economia tedesca nel terzo trimestre 2018; la discesa dell’economia cinese ad un ritmo di crescita il più basso dell’ultimo decennio”.
Per il 2020 la Banca Mondiale ha registrato una caduta della produzione del 5,2% a livello globale, del 7% per le 23 prime economie del mondo e del 2,5% per le “economie in via di viluppo”. Secondo la Banca Mondiale questa diminuzione della produzione è la peggiore dal 1945 e “per la prima volta dopo il 1870 un numero senza precedenti di paesi conosceranno una diminuzione della loro produzione per abitante”[2]. Un fenomeno molto importante è il crollo del commercio mondiale. Un indicatore è la diminuzione del commercio marittimo mondiale, che è diminuito del 10% nel 2020. Ma, paradossalmente, “i prezzi dei container sono mediamente quadruplicati nel corso dei due ultimi mesi. Da circa 1.500 dollari a quasi 5.000 dollari. E in certi casi hanno raggiunto anche i 12.000 dollari. La spiegazione di questo fatto è che paesi come la Cina utilizzano le loro navi e i loro container per il loro proprio uso, sottraendoli al traffico mondiale”[3].
Per il 2021 è previsto un rimbalzo dell’economia mondiale, a condizione però che la pandemia sia vinta entro giugno, altrimenti le previsioni sono molto più pessimiste. Ci saranno degli aumenti consistenti della crescita, ma al di là di questo, le previsioni più serie indicano una stabilizzazione dell’economia mondiale solo a partire dal 2023. L’esperienza della ripresa dopo il 2008 è che essa ci ha messo del tempo per realizzarsi (a partire dal 2013), che è stata piuttosto anemica e nel 2018 ha mostrato segni di esaurimento. Come vedremo in questo rapporto le condizioni attuali dell’economia mondiale sono molto peggiori del 2008 e, piuttosto che fare predizioni, l’importante è comprendere questo importante deterioramento.
Da un lato, gli “esperti” danno un’immagine ingannevole degli effetti della crisi pandemica sull’economia. Essi partono dall’assioma secondo cui una tale crisi non avrà effetti irreversibili sull’apparato economico e che l’economia si rialzerà ad un livello superiore a quello del periodo precedente. Una tale ipotesi sottostima l’importante deterioramento di lunga data del tessuto produttivo, finanziario e commerciale, che la crisi pandemica rischia di indebolire profondamente. Si stima che il 30% delle imprese nei paesi dell’OCSE potrebbe sparire definitivamente. Siamo di fronte a più 100 anni di decadenza del capitalismo, con un’economia deformata dall’economia di guerra e dagli effetti della distruzione dell’ambiente, profondamente alterata nei suoi meccanismi di riproduzione dall’indebitamento e dalle manipolazioni statali, erosa dalla pandemia e sempre più toccata dagli effetti della decomposizione. In queste condizioni è illusorio pensare che l’economia si raddrizzerà senza nessuna conseguenza.
D’altra parte la profonda debolezza della “ripresa” proclamata del 2013-2018 già annunciava la situazione attuale. Al di fuori degli Stati Uniti, della Cina e, in misura minore, della Germania, la produzione di tutti i grandi paesi del mondo ha stagnato o è diminuita (secondo le stime della banca Mondiale), cosa che non verificava dalla Seconda Guerra Mondiale.
Già al 22° Congresso avevamo constatato il crescente impatto degli effetti della decomposizione sul terreno economico e in particolare sulla gestione capitalista di Stato sulla crisi. Notavamo ancora questa tendenza nel rapporto sulla crisi economica adottato al 23° Congresso che segnalava questa irruzione della decomposizione come uno dei principali fattori dell’evoluzione della situazione economica e, infine, il rapporto sulla questione adottato dal 24° congresso di Révolution Internationale approfondiva questa analisi centrata sulla pandemia in un doppio senso: come risultato della decomposizione e dell’aggravamento della crisi economica ma allo stesso tempo come un potente acceleratore di quest’ultima.
E’ importante ricordare il nostro approccio alla questione: una delle caratteristiche della decadenza è che il sistema capitalista tende ad estendere tutte le possibilità contenute nei suoi rapporti di produzione fino ai loro limiti estremi, anche a rischio di violare le sue stesse leggi economiche. Così, “una delle contraddizioni maggiori del capitalismo è quella che deriva dal conflitto tra la natura sempre più mondiale della produzione e la struttura necessariamente nazionale del capitale. Spingendo verso gli estremi limiti le possibilità delle ‘associazioni’ di nazioni sul piano economico, finanziario e produttivo, il capitalismo ha ottenuto una boccata di ossigeno significativa nella sua lotta contro la crisi che lo corrode, ma allo sesso tempo si è messo in una situazione rischiosa” (Rapporto del 23° Congresso). Questa situazione “rischiosa” ha dimostrato le sue gravi conseguenze legate all’impatto della decomposizione sul terreno economico, in particolare nel corso degli ultimi cinque anni del precedente decennio.
La pandemia rappresenta una accelerazione della decomposizione e, allo stesso tempo, un aggravamento di questa. Il rapporto sulla crisi economica è centrato su questa realtà fondamentale. La risoluzione sulla situazione in Francia (Bollettino interno) mostra bene questo asse centrale: “Nel 2008, al momento della ‘crisi dei Subprime’, la borghesia aveva saputo reagire in maniera coordinata a scala internazionale. I famosi G7, G8,….G20 (tutti di attualità) simbolizzavano questa capacità degli Stati a estendersi per tentare di rispondere alla ‘crisi del debito’. 12 anni più tardi, la divisione, la ‘guerra delle mascherine’ e poi la ‘guerra dei vaccini’, la dissonanza regnante nelle decisioni di chiusura delle frontiere contro la propagazione del Covid-19, l’assenza di concertazione a scala internazionale (al di fuori dell’Europa che cerca con difficoltà di proteggersi contro i suoi concorrenti) per limitare il crollo economico, segnano l’avanzata del ciascuno per sé e lo scivolamento delle più alte sfere politiche del capitalismo in una gestione sempre più irrazionale del sistema”. Questa tendenza è particolarmente forte negli Stati Uniti in cui in cui una lunga tendenza al declino economico si combina con un aggravamento senza precedenti della decomposizione del suo apparato politico e del suo tessuto sociale.
Tuttavia sarebbe un errore pensare che questa tendenza si limiti agli Stati Uniti. In Europa la Germania sembra aver reagito, ma le tensioni esistenti in seno all’Unione Europeo sono sempre più evidenti e lo choc della Brexit avrà delle conseguenze che non sono ancora uscite in superficie. La “stabilità” della Cina è più apparente che reale.
Conseguentemente possiamo dire che gli effetti della rottura nella sfera economica e nella gestione statale dell’economia proseguiranno e avranno un’influenza sempre più forte sugli sviluppi dell’economia. E’ vero che la borghesia cercherà di mettere in atto delle contromisure (per esempio gli accordi per la mutualizzazione dei debiti nella UE, o l’annullamento da parte di Biden di certe misure adottate da Trump), tuttavia, al di là dei freni e delle giravolte, il peso della decomposizione sull’economia e sulla sua gestione statale è destinato a rafforzarsi con conseguenze che al momento sono difficili da prevedere. Ma piuttosto che fare delle previsioni, noi dobbiamo seguire da vicino l’evoluzione della situazione e tirarne delle conclusioni nel quadro più generale che abbiamo predisposto.
Con la risposta che il capitale nella maggior parte dei paesi è stato costretto a prendere (e il confinamento non è ancora finito), si è verificata una delle peggiori recessioni della storia.
Per evitare un crollo generalizzato, la borghesia (gli Stati borghesi) è stata costretta a iniettare miliardi nell’economia. Questo le ha permesso di “uscirne”, di “resistere alla tempesta”[4]. Bisogna “salvare l’economia mondiale”. E come si svilupperà questa difficile operazione?
Possiamo dire che si farà in condizioni ben peggiori che nel 2008, che implicherà una violenta dose di austerità e che l’economia mondiale si ritroverà in uno stato molto più degradato, con una minore capacità di ripresa, e con un caos e convulsioni importanti.
Cinque fattori spiegano perché le condizioni saranno peggiori:
Di fronte alla pandemia abbiamo assistito a una risposta caotica e irrazionale degli Stati, a cominciare dai più grandi e dai più potenti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata ignorata da tutti gli Stati, ostacolando così la necessaria strategia internazionale basata su dei criteri scientifici. Ogni Stato ha cercato di fermare la propria economia il più tardi possibile per non perdere i suoi vantaggi competitivi e imperialisti sui suoi rivali. Ancora, le economie sono state riaperte allo scopo di guadagnare dei vantaggio sui propri rivali, e le chiusure provocate dall’aggravamento della pandemia sono state ostaggio della contraddizione tra la necessità di mantenere e aumentare la produzione rispetto ai propri rivali e quella di evitare che l’apparato produttivo e la coesione sociale non fossero attaccati da nuove ondate di contagi.
La guerra delle maschere ha dato luogo a uno spettacolo indecoroso: Stati considerati “seri”, come la Francia o la Germania, hanno rubato in maniera flagrante carichi di maschere destinati ad altri capitali nazionali. Lo stesso è avvenuto per attrezzature come respiratori, ossigeno, equipaggiamenti per la protezione individuale, etc.
Nell’attuale guerra dei vaccini, la loro fabbricazione, la loro distribuzione e le vaccinazioni stesse sono altrettanti indici del disordine crescente in cui sprofonda l’economia mondiale.
Nel campo della ricerca e della fabbricazione dei vaccini, abbiamo assistito a una corsa caotica tra Stati in concorrenza spietata. La Gran Bretagna, la Cina, la Russia, gli Stati Uniti… si sono lanciati in una corsa contro il tempo per essere i primi a disporre del vaccino. Il coordinamento internazionale è mancato completamente. I vaccini sono stati sperimentati in un tempo record, senza una reale garanzia di efficacia.
La stessa distribuzione è stata caotica. Il conflitto fra la UE e la società britannica AstraZeneca ne sono una testimonianza. I paesi più ricchi hanno lasciato i più poveri senza protezione. Israele ha vaccinato i suoi cittadini trascurando completamente i Palestinesi. La Russia utilizza una propaganda ingannevole per presentare il suo vaccino come il migliore. Questo prova che il vaccino è utilizzato come uno strumento di influenza imperialista. La Russia e la Cina non lo nascondono e dichiarano apertamente che li offriranno a un prezzo più basso ai paesi che si piegheranno alle loro esigenze economiche, politiche e militari.
Infine, la maniera in cui la popolazione viene vaccinata è veramente incredibile per la disorganizzazione e l’indisciplina. In Francia, in Germania, in Spagna, in Italia, per non citare che qualche esempio, si constata una mancanza costante di approvvigionamenti, ritardi nelle vaccinazioni anche per i gruppi considerati come prioritari (personale sanitario, persone di più di 65 anni). I piani di vaccinazione hanno subito ritardi in molte occasioni. Spesso la prima dose e somministrata mentre la seconda è rimandata sine die, annullando così l’efficacia del vaccino. I dirigenti, i politici, gli uomini d’affari, i militari, ecc., hanno riempito le liste dei gruppi prioritari e sono stati vaccinati per primi.
Questo spettacolo degradante intorno ai vaccini ci mostra una tendenza crescente del capitalismo a demolire la capacità di “cooperazione internazionale “che era riuscita ad attenuare la crisi economica nel periodo 1990-2008. Il capitalismo è basato su una concorrenza a morte – e questa caratteristica costitutiva del capitalismo non è scomparsa con l’apogeo della “mondializzazione” – ma quella che vediamo oggi è una concorrenza esacerbata, che prende come campo d’azione qualcosa di così sensibile come la salute e le epidemie. Se nel periodo ascendente del capitalismo la concorrenza tra i capitali e tra le nazioni era un fattore di espansione e di sviluppo del sistema, nella decadenza essa è al contrario un fattore di distruzione e di caos. Distruzione con la barbarie della guerra imperialista. Caos (che comprende anche la distruzione e le guerre) soprattutto con l’irruzione visibile degli effetti della decomposizione sul terreno economico e sulla sua gestione da parte degli Stati. Questo caos colpirà sempre più le catene di produzione e di approvvigionamento mondiali, la pianificazione della produzione, la capacità a combattere fenomeni “inattesi” come le pandemie o altre catastrofi.
Il rimpatrio della produzione nei paesi di origine da parte delle multinazionali era già in atto nel corso del 2017, ma sembra essersi accelerata con la pandemia: “Uno studio pubblicato questa settimana dalla Banca d’America, riguardante 3.000 imprese che sommano una capitalizzazione di borsa di 22.000 miliardi di dollari e si situano nei 12 maggiori settori produttivi nel mondo, indica che l’80% di queste imprese ha dei piani di trasferimento per rimpatriare una parte della loro produzione dall’estero. ‘E’ la prima svolta rispetto a una tendenza che dura da decenni’, dichiarano gli autori. Nel corso degli ultimi 3 anni, 153 imprese sono ritornate negli Stati Uniti, mentre 208 lo hanno fatto nella UE”[5].
Queste misure sono irreversibili? Stiamo assistendo alla fine della fase di “mondializzazione”, cioè una produzione mondiale, fortemente interconnessa con una divisione internazionale del lavoro, con catene di produzione, di trasporto e di logistica organizzate a livello mondiale?
La prima considerazione è che la pandemia dura da più tempo del previsto. Il 28 settembre 2020 è stata raggiunta la cifra di un milione di morti; il 15 gennaio 2021, meno di 4 mesi dopo, i morti erano 2 milioni. Benché la vaccinazione sia in corso, la direttrice scientifica dell'OMS, Soumya Awaminathan prevede che bisognerà aspettare il 2022 per raggiungere in Europa un’immunizzazione ragionevole. E’ probabile che le perturbazioni e le interruzioni di produzione proseguiranno lungo tutto il 2021.
In secondo luogo, se noi esaminiamo l’esperienza storica, possiamo constatare che le misure di capitalismo di Stato che furono prese in risposta alla Prima Guerra Mondiale non sono completamente sparite dopo la guerra, e 10 anni dopo, con la crisi del 1929, esse hanno fatto un salto considerevole, confermando la carretta previsione del primo congresso dell’Internazionale Comunista: "tutti questi problemi fondamentali della vita economica non sono regolati dalla libera concorrenza, nè dalla combinazione di trust e di consorzi nazionali e internazionali, bensì dal potere militare che in tali questioni interviene direttamente ai fini della propria ulteriore conservazione. Se la totale subordinazione del potere statale alla forza del capitale finanziario ha condotto l’umanità al macello imperialistico, il capitale finanziario, attraverso questo macello di massa, ha militarizzato non solo lo Stato, ma anche se stesso, tanto da non essere più in grado di attendere alle sue funzioni economiche essenziali se non col ferro e col sangue"[6].
Ancora, è probabile che le misure prese in risposta alla pandemia sul terreno economico resteranno in piedi, anche se ci saranno dei parziali ritorni indietro.
Questo è confermato dal fatto che dal 2015, come abbiamo precisato nel rapporto del 23° Congresso, la Cina, la Germania e gli Stati uniti si orientano in questa direzione. Le misure prese durante la pandemia non fanno che accentuare un orientamento che era già presente nel secondo decennio del 2000. Il fatto che le grandi potenze non abbiano, al momento, coordinato le loro risposte finanziarie ed economiche al pericolo di fallimenti ne è la prova. Mentre durante la crisi del 2008 le riunioni del G8, del G20, ecc., si sono moltiplicate, oggi questo tipo di riunioni sono praticamente assenti[7].
Tuttavia la struttura mondializzata della produzione mondiale offre dei vantaggi maggiori alle economie più potenti, ed esse prenderanno delle misure per correggere le principali perturbazioni descritte prima. Un chiaro esempio: il piano di mutualizzazione dei debiti nella UE conviene particolarmente alla Germania che così consoliderà le sue esportazioni verso la Spagna, l’Italia, ecc. Questi ultimi paesi, presentati come i “grandi beneficiari” di queste misure, saranno invece il grandi perdenti, perché il loro tessuto industriale sarà indebolito dalla concorrenza schiacciante delle esportazioni tedesche. Nei fatti la mutualizzazione dei debiti aiuterà la Germania a contrastare la presenza cinese nei paesi del sud dell’Europa, che si è rafforzata a partire dal 2013. Quello che è in atto non è uno smantellamento della mondializzazione, ma piuttosto un suo crescente indebolimento – per esempio attraverso la tendenza alla frammentazione in zone regionali -, un peso molto più importante delle tendenze protezioniste, il trasferimento delle zone di produzione, la moltiplicazione delle misure che ogni paese prende per sé, in violazione degli accordi internazionali. In breve, una tendenza ad un caos crescente nel funzionamento dell’economia mondiale.
Durante il periodo 2009-2015 la Cina ha giocato un ruolo essenziale, con i suoi acquisti e i suoi investimenti, nel debole rilancio dell’economia mondiale dopo i grandi sconvolgimenti del 2008. Nella situazione attuale la Cina può giocare lo stesso ruolo di locomotiva dell’economia mondiale? Noi pensiamo che questa possibilità è molto poco probabile per almeno 4 ragioni:
Il processo di distruzione ecologica (la devastazione e l’inquinamento dell’ambiente e delle risorse naturali) non è cominciato ieri. La guerra imperialista e l’economia di guerra hanno contribuito in grande misura a questo processo. La questione che vogliamo porre qui è di sapere in che misura questo processo ha influenzato negativamente l’economia capitalista ostacolando l’accumulazione.
Non possiamo dare una risposta elaborata nel corso di questo rapporto. Tuttavia è probabile che nel contesto delle crescenti difficoltà di collaborazione tra i paesi, con le misure nazionaliste che ogni Stato prende, la distruzione ecologica avrà un impatto sempre più negativo sulla riproduzione del capitale e contribuirà a rendere i futuri momenti di ripresa economica molto più deboli e instabili rispetto al passato.
Si stima che l’inquinamento atmosferico uccida 7 milioni di persone ogni anno. Il consumo di acqua contaminata provoca circa 485.000 morti all’anno[9].
Nel corso del 20° secolo, 260 milioni di persone sono morte per l’inquinamento dell’aria interna nel terzo mondo, cioè circa due volte il numero di vittime di tutte le guerre del secolo. Questa cifra è più di 4 volte superiore a quella delle morti dovute all’inquinamento dell’aria esterna.[10]
I fenomeni meteorologici estremi, le estinzioni di massa, la diminuzione dei rendimenti in agricoltura e la tossicità dell’aria e dell’acqua nuocciono già all’economia mondiale, il solo inquinamento costa 4.600 miliardi di dollari all’anno[11].
Anche la protezione delle città situate lungo le coste richiederà somme considerevoli – uguali, se non superiori, a quelle di tutti i piani di salvataggio che si sono dovuti adottare per la pandemia di Covid-19. Le implicazioni economiche di questo caos sono molto concrete. L’impatto di questo processo di autodistruzione è stupefacente. Si calcola che se il cambiamento climatico provocasse un aumento della temperatura media di 4°C, il PIL mondiale scenderebbe del 30% rispetto al 2010 (si pensi che la diminuzione provocata dalla depressione degli anni ‘30 arrivò al 26,7%), e si potrebbero perdere 1,2 miliardi di posti di lavoro. Queste cifre non tengono conto dell’aggravamento della crisi economica e dell’impatto del Covid.
Tutti questi danni sono considerevolmente aggravati dalla crisi pandemica, anche se ci vorrà del tempo per valutarne l’impatto. In effetti il Covid stesso esprime chiaramente quali conseguenze ha sull’economia la distruzione ecologica: "La colonizzazione delle specie naturali e il contatto umano con gli animali portatori di virus e di agenti patogeni è il primo anello della catena che spiega le pandemie. La distruzione degli habitat forestali nelle zone tropicali permette la trasmissione agli umani di numerosi agenti patogeni che erano prima confinati in luoghi inaccessibili. Le persone incontrano delle specie con cui prima non avevano contatti, cosa che aumenta il rischio di essere infettati da malattie di origine animale. I mercati di animali, i trasporti e la mondializzazione ne favoriscono poi la propagazione"[12].
Istituzioni come la Banca Mondiale mettono chiaramente in guardia contro le conseguenze della distruzione ecologica, per esempio l’espansione della povertà: "Secondo nuove stime il cambiamento climatico potrebbe trascinare da 68 a 135 milioni di persone nella povertà entro il 2030. Questa è una minaccia particolarmente grave per l’Africa subsahariana e l’Asia del sud, le due regioni che concentrano la maggior parte dei poveri del pianeta. In un certo numero di paesi, come il Nepal, il Camerun, la Liberia e la Repubblica centrafricana, una gran parte dei poveri vivono in zone che sono allo stesso tempo preda di conflitti guerrieri e di inondazioni."[13]
Il fallimento della cooperazione internazionale sull’epidemia di Covid è un annuncio dell’atteggiamento di ciascuno per sé che predominerà di fronte al cambiamento climatico. La concorrenza economica acuita conseguente al Covid non può che accelerare questa dinamica. La capacità del capitalismo a limitare l’aumento della temperatura globale si indebolisce.
“Un’azione rapida contro l’aumento delle temperature e un impegno rinnovato in favore della mondializzazione permetterebbero all’economia mondiale di raggiungere una produzione di 185.000 miliardi dollari nel 2050. Se si rimandano le misure per ridurre le emissioni di anidride carbonica e se si lasciano allentare i legami transfrontalieri, potrebbe arrivare a 149.000 miliardi di dollari, il che significherebbe dire addio alla totalità del PIL degli Stati Uniti e della Cina dello scorso anno.”[14]
La contraddizione tra gli interessi della nazione capitalista e dell’insieme del sistema capitalista e l’avvenire dell’umanità non potrebbe essere più chiaro. Se vengono prese delle misure sufficienti contro i cambiamenti climatici le tensioni imperialiste ed economiche si intensificheranno qualitativamente con la crescita della Cina come principale economia mondiale. Se non viene presa nessuna misura l’economia mondiale si contrarrà del 30% con tutte le conseguenze che questo implicherà. Cosa che non può che sviluppare in maniera esponenziale la distruzione dell’ambiente da parte del capitalismo e preparare il terreno per altre pandemie man mano che se ne svilupperanno le condizioni, come sviluppato da molti compagni in contributi interni[15].
L’economia di guerra, come ricordatoci da Internationalisme (l’organo della Sinistra Comunista di Francia), è un peso morto per l’economia mondiale. Nonostante la chiara posizione del testo di orientamento Militarismo e decomposizione[16] ci sono state parti dell’organizzazione che hanno avuto tendenza a pensare che nel quadro della decomposizione le spese di guerra avrebbero avuto tendenza a essere ridotte e non avrebbero avuto l’impatto enorme che esse avevano avuto all’epoca dei blocchi e della Guerra fredda. Questa visione è falsa, come sottolineato nel rapporto adottato al 23° Congresso: “Le spese militari mondiali hanno conosciuto, nel 2019, il loro più forte aumento in dieci anni. Nel corso del 2019 le spese militari hanno raggiunto 1.900 miliardi di dollari (1.800 miliardi di euro) nel mondo, cioè un aumento del 3,6% in un anno, il più importante dal 2010. ‘Le spese militari hanno raggiunto il loro più alto livello dalla fine della guerra fredda’, ha dichiarato Nan Tian, ricercatore del SIPRI”[17].
La necessità di far fronte al Covid non ha rallentato le spese per gli armamenti. Il budget per la Germania cresce del 2,8% per il 2021, la Spagna aumenta le sue spese militari del 4,7%, la Francia del 4,5%, e il Regno Unito le aumenta di 18,5 miliardi di euro[18].
Negli Stati Uniti, in un clima di isteria anti-Cina, il Senato ha approvato un aumento astronomico delle spese militari, che raggiungeranno i 740 miliardi di dollari nel 2021. In Giappone “il primo ministro Yoshihide Suga ha approvato lunedì il nono rialzo consecutivo del budget militare, stabilendo un nuovo record storico a 5.340 miliardi di yen (circa 51,7 miliardi di dollari), pari ad un aumento dell’1,1% rispetto all’anno precedente.”[19]
"Le guerre americane in Afghanistan, Iraq, Siria e Pakistan sono costate ai contribuenti americani 6.400 miliardi di dollari dal loro inizio nel 2001. Questo valore supera di 2 miliardi di dollari l’insieme delle spese del governo federale nel corso dell’ultimo anno fiscale.”[20]
Non ci sono dati disponibili per la Cina nel 2021, ma sembrerebbe che le spese militari sono aumentate nel 2020 meno che nel 2019. Tuttavia “l’Esercito popolare di liberazione ha raggiunto due risultati maggiori, varando la sua prima portaerei 100% indigena e il suo primo missile balistico intercontinentale capace di raggiungere gli Stati Uniti. La Cina ha anche costruito la sua prima base militare all’estero, a Gibuti nel 2017, e messo in cantiere una nuova generazione di cacciatorpediniere e di missili per rafforzare la sua capacità di dissuasione contro i suoi vicini asiatici e la marina americana.”[21]
La Russia ha aumentato in maniera spettacolare le sue spese militari nel corso del triennio 2018-2021, l’Australia “nel corso dei due ultimi anni ha lanciato un ambizioso programma navale finalizzato a creare una marina di dodici nuovi sottomarini, nove fregate, due navi di appoggio logistico e dodici motovedette; riceverà anche 72 aerei da combattimento americani F-35 entro il 2020. Le autorità australiane prevedono anche di raddoppiare il proprio budget in un decennio per portarlo a 21 miliardi di dollari all’anno”. I paesi scandinavi “considerano che le minacce russe sui loro spazi aerei e nell’Artico si fanno sempre più reali, e la Svezia ha annunciato il ristabilimento del servizio militare obbligatorio e significativi aumenti del budget della difesa”[22]
Questo giro nella giungla sanguinosa delle spese militari mostra che l’economia di guerra e gli armamenti, al di là dell’impulso che possono dare inizialmente, finiscono per costituire un peso sempre più grande per l’economia, e si può prevedere che esse parteciperanno alla tendenza a rendere più fragile e convulsa la ripresa economica che il capitalismo ricerca per il periodo post-Covid[23].
Nel 1948 il piano Marshall ha significato un montante di prestiti di 8 miliardi di dollari; il piano Brady per salvare le economie sudamericane nel 1985 ha implicato 50 miliardi di dollari; le spese per uscire dalla tempesta del 2008 hanno raggiunto l’astronomica cifra di 750 miliardi di dollari.
Le cifre attuali sono ancora più consistenti. L’Unione Europea ha impiegato un programma da 750 miliardi di euro. In Germania “il governo ha stabilito il più grande piano di aiuti della storia della Repubblica Federale. Per finanziare questo programma la Federazione contratterà nuovi debiti per un totale di circa 156 miliardi di euro.”[24] Biden ha proposto al Congresso un programma di sostegno e di rilancio dell’economia di 1.900 miliardi di dollari. Il totale delle misure di rilancio versate nell’economia americana nel 2020 è stimata in 4.000 miliardi di dollari.
Il debito mondiale nel terzo trimestre del 2020 era di 229.000 miliardi di dollari, cioè il 365% del PIL mondiale (un nuovo record storico). Questo debito raggiunge il 382% del PIL nei paesi industrializzati. Secondo l’Istituto della finanza internazionale questa scalata si accelera dal 2016 con un aumento negli ultimi 4 anni di 44.000 miliardi di dollari. E’ in questo quadro che noi dobbiamo abbordare le conseguenze della crescita attuale dell’indebitamento mondiale.[25]
L’accumulazione del capitale (la riproduzione allargata definita da Marx) ha per base di sviluppo i mercati extra-capitalisti e le zone poco integrate nel capitalismo. Se gli uni e gli altri si riducono, la sola via d’uscita per il capitale, organizzata dallo Stato, è l’indebitamento, che consiste nel gettare somme sempre più importanti nell’economia come anticipazione della produzione attesa negli anni seguenti.
Se non ci sono choc inflazionisti nelle grandi economie è per 3 ragioni:
Uno dei fattori che hanno permesso al capitale globale di ammortizzare gli effetti del debito era il coordinamento internazionale delle politiche monetarie, un certo livello di coordinamento e di organizzazione delle transazioni finanziarie a scala mondiale. Se questo fattore comincia a indebolirsi e il “ciascuno per sé” prevale, quali sono le conseguenze che ci si può attendere?
Il capitalismo ha utilizzato l’equivalente di tre anni e mezzo di produzione mondiale con il debito. Si tratta di una cifra insignificante che potrebbe essere reiterata all’infinito? Assolutamente no. Questa gigantesca cancrena è il terreno di coltura non solo di folli spinte speculative che hanno finito per istituzionalizzarsi nel labirinto indecifrabile che sono le transazioni finanziarie, ma anche delle crisi monetarie, dei giganteschi fallimenti di imprese e banche, perfino di Stati di una certa importanza. Logicamente questo processo implica che il mercato interno per il capitale non può crescere all’infinito, anche se non c’è nessun limite preciso in materia. E’ in questo contesto che la crisi di sovrapproduzione allo stadio attuale del suo sviluppo pone un problema di redditività al capitalismo. La borghesia stima che circa il 20% delle forze produttive mondiali sono inutilizzate. La sovrapproduzione dei mezzi di produzione è particolarmente visibile e tocca l’Europa, gli Stati Uniti, l’India, il Giappone, ecc.[26]
Dal 1985, data in cui gli Stati Uniti hanno abbandonato la loro posizione di creditori per diventare uno dei più grandi debitori, l’economia mondiale soffre di una situazione aberrante: praticamente tutti i paesi sono indebitati, i più grossi creditori sono a loro volta i più grandi debitori, e tutti lo sanno. Oggi, dopo decenni di debiti giganteschi, i recenti piani di salvataggio hanno superato tutti gli interventi precedenti. Con il livello attuale di indebitamento di tutti i grandi attori economici il rischio di esplosioni del debito aumenta. L’attuale situazione di tassi di interesse nulli facilita ancora la politica di aumento del peso del debito, ma – anche mettendo da parte tutti gli altri fattori – se i tassi di interesse aumentano… qualche cosa crollerà…
L’ arresto brutale della produzione ha delle conseguenze. Innanzitutto la Cina e la Germania, come altri grandi paesi produttori, si ritrovano con un’enorme sovra-capacità di produzione che non può essere compensata immediatamente. In generale, il settore delle macchine, l’elettronica, l’informatica, l’approvvigionamento di materie prime, i trasporti, ecc., si ritrovano con degli stock enormi di fronte a una ripresa lenta della domanda.
Anche se ci saranno indubbiamente dei momenti di ripresa della produzione (che saranno applauditi con entusiasmo dalla propaganda capitalista) e anche se ci saranno delle controtendenze che i settori più intelligenti del capitale metteranno in atto[27], quello che è indiscutibile è che l’economia mondiale sarà scossa e indebolita durante il prossimo decennio.
Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, il capitalismo ha mostrato una capacità a “sopravvivere” di fronte ai numerosi sconvolgimenti che ha subito (1975, 1987, 1998, 2008). Tuttavia le condizioni globali che abbiamo analizzato ci permettono di suggerire che questa capacità si è notevolmente indebolita. Non ci sarà – come sperano i consiliaristi e i bordighisti – il Grande Crollo Finale, ma poiché il cuore dell’economia mondiale è fortemente destabilizzato – in particolare gli USA e in maniera crescente certe parti dell’Europa – sarà più difficile coordinare una risposta alla crisi a livello internazionale, cosa che, insieme al peso travolgente del debito, fornisce una conferma chiara della prospettiva descritta nel rapporto del 23° Congresso sulla crisi: "Peso destabilizzatore di un indebitamento senza freni; saturazione crescente dei mercati; difficoltà crescenti della ‘gestione globalizzatrice’ dell’economia mondiale provocate dall’ascesa del populismo, ma anche l’acuirsi della concorrenza e il peso degli enormi investimenti richiesti dalla corsa agli armamenti; infine, fattore che non bisogna trascurare, gli effetti sempre più negativi della distruzione accelerata dell’ambiente e lo scombussolamento incontrollato degli equilibri ‘naturali’ del pianeta".
Una delle politiche che gli Stati metteranno in atto per dare una spinta all’economia sono i cosiddetti piani per una “economia verde”. Questi sono motivati dalla necessità di rimpiazzare la vecchia industria pesante e i combustibili fossili con l’elettronica, l’informatizzazione, l’intelligenza artificiale, i materiali leggeri e le nuove fonti di energia che permettano una più grande produttività, una riduzione dei costi e della mano d’opera. Per un certo tempo gli investimenti importanti che un tale rilancio dell’economia richiedono – che coinvolgerà anche la produzione di armi – potranno dare una spinta alle economie dei paesi meglio piazzati nel processo, ma lo spettro della sovrapproduzione tornerà ancora una volta a tormentare l’economia mondiale.
Il deterioramento delle condizioni di vita degli operai è stato relativo nel corso del periodo 1967-1980, ma ha cominciato ad accelerarsi negli anni ’80, quando le prestazioni sociali hanno cominciato ad essere limitate, si sono avuti licenziamenti massicci ed è cominciata a realizzarsi la precarietà del lavoro.
Nel corso del periodo 1990-2008 il deterioramento è proseguito: la riduzione sistematica degli operai al lavoro è diventata “normale”. E’ anche iniziata una crisi degli alloggi. La migrazione di massa ha costituito una pressione al ribasso dei salari e delle condizioni di lavoro nei paesi centrali. Tuttavia il peggioramento delle condizioni di vita nei paesi centrali restava graduale e limitata. C’era qualcosa di perverso che mascherava il peggioramento: lo sviluppo massiccio del credito nelle famiglie proletarie.
Nel rapporto adottato dal 23° Congresso abbiamo mostrato l’enorme degradazione del livello di vita del proletariato nei paesi importanti, gli attacchi importanti alle pensioni, al sistema sanitario, all’istruzione, ai servizi sociali, alle prestazioni sociali, l’aumento della disoccupazione e soprattutto lo sviluppo spettacolare della precarietà del lavoro. Gli anni seguiti al 2010 hanno significato un’ulteriore avanzata della degradazione della vita professionale nei paesi centrali. Gli attacchi graduali a cui abbiamo assistito tra il 1970 e il 2008 si sono accelerati nel decennio 2010-2020.
La crisi pandemica ha intensificato gli attacchi contro le condizioni di vita degli operai. Innanzitutto in tutti i paesi gli operai sono stati mandati al macello perché costretti ad andare al lavoro in mezzi di trasporto pubblico sovraffollati e si sono ritrovati senza mezzi di protezione sui loro luoghi di lavoro (e ci sono state un certo numero di proteste in fabbriche, uffici, ecc. all’inizio del confinamento proprio per questo). Conviene tuttavia notare che i lavoratori della sanità e delle case per anziani hanno subito un numero elevato di infezioni e di decessi. Anche i lavoratori dell’industria alimentare sono stati duramente toccati[28], come pure i lavoratori agricoli, che sono in gran parte immigrati[29].
Gli attacchi contro la classe operaia in tutti i paesi, ma in particolare nei paesi centrali, sono chiaramente all’ordine del giorno. Il rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Commercio “Il Covid19 e il mondo del lavoro” è molto chiaro: “il Covid-19 ha generato la crisi più grave mai registrata nel mondo del lavoro dopo la Grande depressione degli anni ‘30”.
La disoccupazione. L’eccessiva capacità produttiva delle industrie e la lenta e debole ripresa della domanda spingono verso licenziamenti di massa. Durante il periodo di confinamento stretto le enormi sovvenzioni dello Stato ai disoccupati a tempo parziale hanno mascherato la gravità della situazione di molti operai che soffrivano una drastica riduzione dei loro redditi. Tuttavia una “normalizzazione” graduale del funzionamento economico comporterà una nuova degradazione delle condizioni di vita degli operai, rendendola in molti casi irreversibile. Secondo l’OIC, le stime mondiali per il 2021 sono quelle di una perdita che può andare da 36 milioni di posti, nel caso migliore, a 130 milioni nel peggiore.[30]
Significativa in proposito un’analisi sulle grigie prospettive per l’industria dell’automobile: “Un esperto dell’industria automobilistica tedesca ha avanzato la seguente previsione: è pensabile che tutte i grandi mercati automobilistici conosceranno una contrazione in percentuale a due cifre. La Francia e l’Italia saranno le più toccate, con una diminuzione del 25% ciascuna, la Spagna con il 22%, la Germania, gli Stati Uniti e il Messico con il 20% ciascuno. Per il più grande mercato dell’automobile del mondo, la Cina, Dudenhoffer prevede una diminuzione delle vendite di circa il 15%. Nelle fabbriche tedesche si ha un’improvvisa eccedenza da 1,3 a 1,5 milioni di veicoli. La cassa integrazione non può coprire che dei brevi periodi. Nessuna impresa potrebbe conservare delle capacità produttive inutilizzate per più anni. E’ perciò che in Germania sono 100.000 degli 830.000 posti nella costruzione e negli accessori di automobili ad essere minacciati –‘secondo delle ipotesi ottimistiche’- scrive Dudenhoffer."[31]
La precarietà. L’OIC chiama la precarietà “lavoro sottoutilizzato” e stima che ci sono 473 milioni di lavoratori in questa situazione nel mondo (dato 2020). Il lavoro informale è altrettanto importante: “più di due miliardi di lavoratori sono impegnati in attività economiche che sono o insufficientemente coperte, o per niente coperte da disposizioni formali di diritto o di pratica.” Secondo l’OIC, “più di 630 milioni di lavoratori nel mondo non guadagnano abbastanza per poter far uscire se stessi e le loro famiglie dalla povertà”[32].
I salari. Per quanto riguarda i salari, l’OIC ha valutato la diminuzione globale dei salari nel mondo dell’8,3% fino al 2020. Malgrado le misure di sostegno governative, i salari sono diminuiti, secondo l’OIC, del 56,2% in Perù, del 21,3% in Brasile, del 6,9% in Vietnam, del 4,0% in Italia, del 2,9% nel Regno Unito e del 9,3% negli Stati Uniti.
Nel rapporto citato prima l’OIC previene che “La crisi ha avuto degli effetti particolarmente devastanti su numerose categorie di popolazioni vulnerabili e di settori nel mondo. I giovani, le donne, le persone debolmente remunerate e i lavoratori poco qualificati dispongono di un potenziale inferiore per agganciare la ripresa economica, e i rischi di ferite di lunga durata e di allontanamento dal mercato del lavoro sono ben reali per loro”.
Il livello incredibile di indebitamento nazionale non può essere mantenuto indefinitamente; a partire da un certo punto esso condurrà necessariamente a misure di austerità drastiche nei settori dell’istruzione, della sanità, delle pensioni, dei sussidi, delle prestazioni sociali, ecc.
Non ci si può aspettare niente dalla “gestione intelligente” del capitalismo di Stato, solo austerità, miseria, caos e nessun avvenire. Il futuro dell’umanità è nelle mani del proletariato, la sua resistenza contro l’austerità, e la politicizzazione di questa resistenza saranno la chiave del futuro periodo.
[2] https://www.banquemondiale.org/fr/news/press-release/2020/06/08/covid-19-to-plunge-global-economy-into-worst-recession-since-world-war-ii [27]
[3] https://www.lavanguardia.com/economia/20210207/6228774/precios-comercio-maritimo-mundial-cuadruplican-covid.html?utm_term=botones_sociales_app&utm_source=social-otros&utm_medium=social [28]
[4] Per fare solo degli esempi : in Italia più di cento miliardi di euro nei vari decreti « sostegno » del governo, , in aggiunta l’Europa ha stanziato circa 800 miliardi per il cosiddetto PNRR (di cui circa 200 andranno all’Italia per il cosiddetto Piano di ripresa e resilienza), negli Stati Uniti il governo ha stanziato (sempre a debito) più di 2000 miliardi di dollari,…
[5] https://www.aeutransmer.com/2020/03/02/el-80-de-las-multinacionales-tiene-planes-para-repatriar-su [29]
[6] Manifesto del [30]1 [30]° Congresso dell’Internazionale Comunista, Editori Riuniti, pag. 61
[7] Biden ha proposto di convocare una riunione del G10 non per un coordinamento economico, ma per isolare la Cina.
[8] Le imprese zombie sono quelle che devono continuamente rifinanziare il loro debito, cosi che il rimborso di questo debito assorbe tutti i loro profitti e le obbliga anche a contrarre nuovi debiti.
[12]Rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente, https://www.lavanguardia.com/natural/20200908/483359329249/degradacion-ambiental-catapulta-pandemias.htm [34]l [34]
[15] "la conquista sconsiderata di territori « selvaggi » da parte del capitale, (…) l’urbanizzazione crescente, lo sfruttamento di ogni centimetro quadro del pianeta (…) conduce a una coesistenza forzata delle specie”(D.). “C’è effettivamente tendenza a sottostimare a qual punto la pandemia è un prodotto della dimensione ecologica, altra caratteristica fondamentale della decomposizione. La citazione da Le Fil rouge è interessante: la maniera in cui la tendenza alle pandemie è legata allo scambio metabolico con la natura (Marx) – che ha raggiunto delle proporzioni deformate dallo sviluppo del capitalismo nella decadenza e nella decomposizione. – conduce alle radici sociali che sono in atto."(B.)
[16]Rivista Internazionale n. 15, https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione [16]
[17] Rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI) pubblicato il 27/04/2020. Fonte : https://www.dw.com/es/gasto-militar-mundial-tuvo-su-mayor-aumento-en-una-d%C3%A9cada-seg%C3%BAn-sipri/a-53254197 [37]
[18] Fonte: https://www.infodefensa.com/mundo/2020/12/01/noticia-alemania-incrementa-millones-presupuesto-defensa.html [38]
[20] https://www.cnbc.com/2019/11/20/us-spent-6point4-trillion-on-middle-east-wars-since-2001-study.html [40]
[22] https://www.abc.es/internacional/abci-china-y-rusia-doblan-gasto-militar-decada-201711121042_noticia.html [42]
[23] L'economia di guerra può inizialmente stimolare l’economia. Ma questo stimolo è ingannevole, e lo si può constatare se si guarda sul lungo termine. C’è l’esempio della Russia e, più recentemente, quello della Turchia che dopo un rilancio spettacolare è oggi sempre più indebolita dal peso soffocante dello sforzo di guerra. Stessa cosa per le economie dell’Iran e dell’Arabia Saudita, che prese da una rivalità estrema sono sempre più indebolite.
[24] Citazione dal comunicato della nostra sezione sulla situazione in Germania.
[26] Rapporto sulla crisi economica adottato dal 24° Congresso di Révolution Internationale.
[27] Vedere in proposito il rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso di RI.
[28] "La situazione dell’industria del trattamento della carne ha rivelato un’immagine simile a quella dei macelli di Chicago un secolo fa. Ora si sono conosciuti gli elevati tassi di infezione tra il personale dei macelli. Si è saputo che si trattava di aziende di moderna miseria in Germania, con una mano d’opera a molto buon mercato proveniente dall’Europa dell’est, che viveva in baracche o in appartamenti fatiscenti e sovraffollati – affittati dai gestori dei macelli. Centinaia di loro si sono infettati, a causa del loro ammassamento al lavoro come negli alloggi." (Comunicato della sezione in Germania).
[29]Ad aprile 2020, in Spagna, i raccoglitori di fragole, per la maggior parte operai originari del Marocco e dell’Africa hanno tentato di fare sciopero contro l’insopportabile affollamento dei loro quartieri e il governo di coalizione di sinistra ha immediatamente inviato la Guardia Civile.
[30] https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/documents/briefingnote/wcms_767223.pdf [44]
[31] Citato dal comunicato sulla situazione in Germania.
Continuiamo la pubblicazione dei principali rapporti sulla situazione mondiale adottati dal 24° Congresso della CCI. Questo rapporto esamina alcune delle questioni principali a cui è confrontata la lotta di classe internazionale nella fase di decomposizione del capitalismo: il problema della politicizzazione dei movimenti di classe, i pericoli connessi all’interclassismo, la maturazione della coscienza e il significato delle sconfitte in questo periodo.
Parte 1: Costruire sulla base del lavoro del nostro 23° Congresso
Al suo 23° Congresso Internazionale, la CCI ha chiarito che bisogna distinguere tra il concetto di rapporto di forza tra le classi e il concetto di corso storico. Il primo si applica a tutte le fasi della lotta di classe, sia nel periodo ascendente del capitalismo che in quello decadente, mentre il secondo si applica solo alla decadenza, e solo nel periodo tra l'avvicinarsi della prima guerra mondiale e il crollo del blocco dell’est nel 1989. L'idea di un corso storico ha senso solo in quelle fasi in cui diventa possibile prevedere il movimento generale della società capitalista verso la guerra mondiale o verso decisivi scontri di classe. Così, negli anni '30, la sinistra italiana fu in grado di riconoscere che la sconfitta del proletariato mondiale avvenuta negli anni '20 aveva aperto la strada alla seconda guerra mondiale, mentre dopo il 1968 la CCI aveva ragione a sostenere che, senza una sconfitta frontale di una classe operaia in ripresa, il capitalismo non sarebbe stato in grado di arruolare il proletariato per una terza guerra mondiale. D'altra parte, nella fase di decomposizione, prodotto di un'impasse storica tra le classi, anche se la guerra mondiale non è all’ordine del giorno per il prossimo futuro a causa della disintegrazione del sistema dei blocchi, il sistema può scivolare in altre forme di barbarie irreversibile senza uno scontro frontale con la classe operaia. In una tale situazione, diventa molto più difficile riconoscere quando un "punto di non ritorno" è stato raggiunto e la possibilità della rivoluzione proletaria è stata sepolta una volta per tutte.
Ma l'"imprevedibilità" della decomposizione non significa che i rivoluzionari non si preoccupino più di valutare l'equilibrio generale del rapporto di forza tra le classi. Questo punto è affermato dal titolo della risoluzione del 23° Congresso sulla lotta di classe: "Risoluzione sul rapporto di forza tra le classi". Ci sono due elementi chiave di questa risoluzione che dobbiamo sottolineare qui:
Questi temi costituiscono il “filo rosso” della risoluzione, come detto al suo inizio:
“Alla fine degli anni ’60, con l’esaurirsi del boom economico del dopoguerra, la classe operaia era ritornata sulla scena sociale in risposta alla degradazione delle sue condizioni di vita. Le lotte operaie sviluppatesi su scala internazionale avevano così messo fine al periodo più lungo di controrivoluzione della storia. Esse avevano aperto un nuovo corso storico verso scontri di classe, impedendo così alla classe dominante di rispondere alla sua maniera alla crisi acuta del capitalismo: una 3a guerra mondiale. Questo nuovo corso storico era stato segnato dallo svilupparsi di lotte di massa, in particolare nei paesi centrali dell’Europa occidentale con il movimento del Maggio 68 in Francia, seguito da quello dell’“autunno caldo” in Italia nel 1969 e molte altre ancora, come in Argentina nel 1969 e in Polonia nell’inverno 1970-71. In questi movimenti di massa, vasti settori della nuova generazione che non aveva conosciuto la guerra avevano posto di nuovo la questione della prospettiva del comunismo come possibilità.
In rapporto con questo movimento generale della classe operaia alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, si deve segnalare anche il risveglio internazionale, su scala molto piccola ma comunque significativa, della Sinistra Comunista organizzata: la tradizione che era rimasta fedele alla bandiera della rivoluzione proletaria mondiale durante la lunga notte della controrivoluzione. In questo risveglio la costituzione della CCI ha significato un rinnovamento ed un impulso importante per la Sinistra Comunista nel suo insieme.
Di fronte a una dinamica che tende alla politicizzazione delle lotte operaie, la borghesia (che si era lasciata sorprendere dal movimento del maggio 68) ha immediatamente sviluppato una controffensiva di grande ampiezza e di lungo termine, al fine di impedire alla classe operaia di rispondere alla crisi storica dell’economia capitalista con la rivoluzione proletaria."[1]
Successivamente la risoluzione ritraccia le grandi linee di come la borghesia, classe machiavellica per eccellenza, ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per bloccare questa dinamica:
“Nel primo periodo, offrendo alla classe operaia un'alternativa politica puramente borghese. Alla fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, deviando le sue aspirazioni verso la falsa prospettiva di governi di sinistra capaci di umanizzare il capitalismo e persino di stabilire una società socialista, e dalla fine degli anni '70 in poi, con la divisione del lavoro tra una destra dura al potere che portava avanti i brutali tagli agli standard di vita della classe operaia richiesti dalla crisi economica, e una "sinistra all'opposizione" meglio posizionata per assorbire la minaccia posta dalle ondate di lotta che hanno caratterizzato questo periodo;
- L'uso massiccio dell'estrema sinistra del capitale (maoisti, trotskisti, ecc.) per recuperare la crescente ricerca di risposte politiche da parte di una minoranza significativa della nuova generazione;
- L'uso del sindacalismo radicale e persino di forme di organizzazione "extra-sindacale" manipolate dall'estrema sinistra per sconfiggere il crescente disincanto dei lavoratori nei confronti dei sindacati e il pericolo che i lavoratori arrivassero a una comprensione politica del ruolo dei sindacati nell'epoca della decadenza;
- L'uso dell'ideologia corporativista e nazionalista per isolare importanti lotte operaie e, se necessario, per schiacciarle attraverso la repressione diretta dello Stato (cfr. lo sciopero dei minatori in Gran Bretagna e, su scala molto più ampia, lo sciopero di massa in Polonia nel 1980).
- La cosciente riorganizzazione della produzione e del commercio globale che prese piede a partire dagli anni '80: la politica della "globalizzazione", pur essendo fondamentalmente determinata dalla necessità di rispondere alla crisi economica, conteneva anche un elemento direttamente antioperaio in quanto cercava di abbattere i tradizionali centri di combattività proletaria e minare l'identità di classe;
- Rivolgendo la decomposizione stessa della società capitalista contro la classe operaia. Così, la tendenza all’"ognuno per sé", amplificata in questa nuova fase, è stata utilizzata per rafforzare l'atomizzazione sociale e le divisioni corporativiste. Soprattutto, il crollo del "socialismo reale" nel blocco orientale è stato il trampolino di lancio per una gigantesca campagna intorno alla morte del comunismo, che ha approfondito ed esteso le difficoltà della classe operaia a sviluppare la propria prospettiva rivoluzionaria.”
Se queste difficoltà erano già aumentate negli anni '80 - ed erano all'origine dell'impasse tra le classi - gli eventi del 1989 non solo aprirono definitivamente la fase di decomposizione ma portarono ad un profondo arretramento della classe a tutti i livelli: nella sua combattività, nella sua coscienza, nella sua stessa capacità di riconoscersi come classe specifica nella società borghese. Inoltre, ha accelerato tutte le tendenze negative di decomposizione sociale che avevano già iniziato a giocare un ruolo nel periodo precedente: la crescita cancerosa dell'egoismo, del nichilismo e dell'irrazionalità che sono i prodotti naturali di un ordine sociale che non può più offrire all'umanità alcuna prospettiva per il futuro[2]. Da notare che la risoluzione del XXIII Congresso riafferma anche che, nonostante tutti i fattori negativi della fase di decomposizione che pesano sulla bilancia, ci sono ancora segni di una controtendenza proletaria. In particolare, il movimento degli studenti contro il CPE in Francia nel 2006, e il movimento degli "Indignados" in Spagna nel 2011, così come la ricomparsa di nuovi elementi alla ricerca di posizioni autenticamente comuniste, forniscono prove concrete che il fenomeno della maturazione sotterranea della coscienza, lo scavo della "Vecchia Talpa", è ancora operativo nella nuova fase. La voglia di una nuova generazione di proletari di comprendere l'impasse della società capitalista, la rinascita dell'interesse per i movimenti precedenti che avevano sollevato la possibilità di un'alternativa rivoluzionaria (1917-23, maggio 68 ecc.) confermano che la prospettiva di una futura politicizzazione non è stata annegata nel fango della decomposizione. Ma prima di procedere verso una migliore comprensione del rapporto di forze tra le classi negli ultimi dieci anni, e soprattutto sulla scia della pandemia di Covid, è necessario approfondire cosa intendiamo esattamente con il termine politicizzazione.
Parte 2: Il significato della politicizzazione
Nel corso della sua storia, l'avanguardia marxista del movimento operaio ha lottato per chiarire l'interrelazione tra i diversi aspetti della lotta di classe: economico e politico, pratico e teorico, difensivo e offensivo. Il profondo legame tra la dimensione economica e quella politica fu sottolineato da Marx nella sua prima polemica con Proudhon:
“Non si dica che il movimento sociale esclude il movimento politico. Non vi è mai un movimento politico che non sia sociale nello stesso tempo.
Solo in un ordine di cose in cui non vi saranno più classi né antagonismi di classi le evoluzioni sociali cesseranno di essere rivoluzioni politiche”[3]
Questa polemica continuò nel periodo della Prima Internazionale nella lotta contro le dottrine di Bakunin. A quel tempo, la necessità di affermare la dimensione politica della lotta di classe era principalmente legata alla lotta per le riforme, e quindi all'intervento nell'arena parlamentare della borghesia. Ma il conflitto con gli anarchici, così come l'esperienza pratica della classe operaia, sollevò anche questioni sulla fase offensiva della lotta, specialmente gli eventi della Comune di Parigi, il primo esempio di potere politico della classe operaia.
Durante il periodo della Seconda Internazionale, soprattutto nella sua fase di degenerazione, fu lanciata una nuova battaglia: la lotta delle correnti di sinistra contro la crescente tendenza a separare rigorosamente la dimensione economica, considerata la specialità dei sindacati, e la dimensione politica, sempre più ridotta agli sforzi del partito per conquistare seggi nei parlamenti borghesi e nei comuni.
All'alba dell'era decadente del capitalismo, la spettacolare apparizione dello sciopero di massa nel 1905 in Russia, e l'emergere dei soviet, riaffermarono l'unità essenziale della dimensione economica e politica, e la necessità di organi di classe indipendenti che combinassero i due aspetti. Come disse la Luxemburg nel suo pamphlet sullo sciopero di massa, che era essenzialmente una polemica contro le concezioni superate della destra e del centro socialdemocratico:
«Non ci sono due lotte di classe differenti della classe operaia, una economica e una politica, ma una sola lotta di classe, che mira allo stesso tempo alla limitazione dello sfruttamento capitalista in seno alla società borghese e all’abolizione dello sfruttamento insieme alla società borghese stessa.»[4] Tuttavia, è necessario ricordare che queste due dimensioni, pur facendo parte di un'unità, non sono identiche, e la loro unità spesso non viene colta dai lavoratori impegnati nelle lotte reali. Così, anche quando uno sciopero intorno a rivendicazioni economiche può rapidamente confrontarsi con l'opposizione attiva degli organi dello stato borghese (governo, polizia, sindacati, ecc.), il contesto politico "oggettivo" della lotta può restare visibile solo a una minoranza combattiva dei lavoratori coinvolti.
Inoltre, ciò significa che nel movimento di presa di coscienza della posta in gioco politica della lotta, sono in atto due diverse dinamiche: da un lato, quella che potremmo chiamare la politicizzazione delle lotte, e dall'altro, l'emergere di minoranze politicizzate che possono o meno essere legate all'immediata ascesa della lotta aperta.
E di nuovo, nel primo caso, siamo di fronte a un processo che passa attraverso diverse fasi. Nella decadenza, se non ci può più essere un intervento proletario nella sfera politica borghese, ci possono ancora essere richieste politiche difensive e dibattiti che non pongono ancora la questione del potere politico o di una nuova società, come, per esempio, quando i proletari discutono su come rispondere alla violenza della polizia, come durante gli scioperi di massa in Polonia nel 1980 o il movimento "anti-CPE" nel 2006. È solo in una fase molto avanzata della lotta che i lavoratori possono considerare la presa del potere politico come un obiettivo reale del loro movimento. Tuttavia, ciò che generalmente caratterizza la politicizzazione delle lotte è lo sviluppo di una massiccia cultura del dibattito, dove il posto di lavoro, l'angolo della strada, la piazza pubblica, le università e le scuole sono lo scenario di discussioni appassionate su come portare avanti la lotta, sui nemici della lotta, sui suoi metodi organizzativi e sugli obiettivi generali, come Trotsky e John Reed hanno descritto nei loro libri sulla rivoluzione russa del 1917, e che furono forse il principale "segnale d'allarme" per la borghesia sui pericoli posti dagli eventi del maggio-giugno 1968 in Francia.
Per il marxismo, la minoranza comunista è un'emanazione della classe operaia, ma della classe operaia come forza storica nella società borghese; non è un prodotto meccanico delle sue lotte immediate. Certamente, l'esperienza di un aspro conflitto di classe può spingere singoli lavoratori a conclusioni rivoluzionarie, ma i comunisti possono anche essere "formati" dalla riflessione sulle condizioni generali del proletariato e del capitalismo in generale, e possono anche avere le loro origini sociologiche in strati esterni al proletariato. Marx lo esprime così ne L'ideologia tedesca:
“Nello sviluppo delle forze produttive si presenta uno stadio nel quale vengono fatte sorgere forze produttive e mezzi di relazione che nelle situazioni esistenti fanno solo del male, che non sono più forze produttive ma forze distruttive (macchine e denaro) e, in connessione con tutto ciò, viene fatta sorgere una classe che deve sopportare tutti i pesi della società, forzata al più deciso antagonismo contro le altre classi ; una classe che forma la maggioranza di tutti i membri della società e dalla quale prende le mosse la coscienza della necessità di una rivoluzione che vada al fondo, la coscienza comunista, la quale naturalmente si può formare anche fra le altre classi, in virtù della considerazione della posizione di questa classe” (Libro primo, I Feuerbach)
Ovviamente, la convergenza delle due dinamiche - la politicizzazione delle lotte e lo sviluppo della minoranza rivoluzionaria - è essenziale per l'emergere di una situazione rivoluzionaria; e possiamo anche dire che tale convergenza, come notato all'inizio della risoluzione a proposito del maggio '68 in Francia, può anche essere l'espressione di un cambiamento nel corso della storia verso grandi scontri di classe. Allo stesso modo, i progressi nella lotta generale della classe operaia e l'emergere di minoranze politicizzate sono entrambi, alla base, prodotti della maturazione sotterranea della coscienza, che può continuare anche quando la lotta aperta è scomparsa dalla vista. Ma mescolare le due dinamiche può anche portare a conclusioni errate, compresa una sopravvalutazione del potenziale immediato della lotta di classe. Come dice il proverbio, "una rondine non fa primavera".
La risoluzione (punto 6) ci avverte anche delle notevoli difficoltà che impediscono alla classe operaia di prendere coscienza del fatto che essa è "rivoluzionaria o niente". Parla della natura della classe operaia come una classe sfruttata soggetta a tutte le pressioni dell'ideologia dominante, per cui “la coscienza di classe non può avanzare di vittoria in vittoria, ma può unicamente svilupparsi in modo ineguale verso la vittoria attraverso una serie di sconfitte”. Rileva anche che la classe affronta ulteriori difficoltà nella decadenza, per esempio la non permanenza di organizzazioni di massa in cui i lavoratori possano mantenere e sviluppare una cultura politica; l'inesistenza di un programma minimo, il che significa che la lotta di classe deve raggiungere le altezze vertiginose del programma massimo; l'uso dei vecchi strumenti delle organizzazioni operaie contro la lotta di classe che -nel caso dello stalinismo in particolare- ha contribuito a creare un fossato tra le organizzazioni comuniste genuine e la massa della classe operaia. Altrove, la risoluzione, facendo eco alle nostre Tesi sulla Decomposizione, evidenzia le nuove difficoltà imposte dalle condizioni particolari della fase finale del declino capitalista.
Una di queste difficoltà è trattata a lungo nella risoluzione: il pericolo rappresentato dalle lotte interclassiste come quella dei Gilet Gialli in Francia o le rivolte popolari provocate dal crescente impoverimento delle masse nei paesi meno "sviluppati". In tutti questi movimenti, in una situazione in cui la classe operaia ha un livello molto basso di identità di classe, ed è ancora lontana dal raccogliere le sue forze al punto di poter dare una prospettiva alla rabbia e al malcontento che si sta accumulando in tutta la società, i proletari partecipano non come una forza sociale e politica indipendente ma come una massa di individui. In alcuni casi, questi movimenti non sono semplicemente interclassisti, mescolando le richieste proletarie con le aspirazioni di altri strati sociali (come nel caso dei Gilet Gialli), ma sposano obiettivi apertamente borghesi, come le proteste per la democrazia a Hong Kong, o l'illusione dello sviluppo sostenibile o l'uguaglianza razziale all'interno del capitalismo, come nel caso delle marce per il clima dei giovani e le proteste di Black Lives Matter. La risoluzione non è del tutto chiara sulla distinzione da fare qui, riflettendo problemi più ampi nelle analisi della CCI su questi eventi: da qui la necessità di una sezione specifica di questo rapporto per chiarire queste questioni.
Parte 3 : il pericolo centrale dell’interclassismo
“A causa della grande difficoltà attuale della classe operaia a sviluppare le sue lotte, della incapacità al momento di ritrovare la sua identità di classe e ad aprire una prospettiva per l’intera società, il terreno sociale è stato occupato da lotte interclassiste particolarmente influenzate dalla piccola borghesia.(…) Questi movimenti interclassisti sono il prodotto dell’assenza di ogni prospettiva che riguardi oggi la società nel suo insieme, compresa una parte importante della stessa classe dirigente. (…) In questa situazione imposta dall’aggravarsi della decomposizione del capitalismo la lotta per l’autonomia di classe del proletariato è cruciale:
Difficoltà ricorrenti nell'analisi della natura dei movimenti sociali emersi negli ultimi anni
Le lotte interclassiste e le lotte parcellari sono ostacoli allo sviluppo della lotta dei lavoratori. Abbiamo visto recentemente quanto duramente la CCI ha lottato per padroneggiare queste due questioni:
- Nel caso dei Gilets Jaunes, il movimento è stato inizialmente visto come avente elementi positivi per la lotta di classe (attraverso la questione del rifiuto dei sindacati).
- Nel movimento giovanile intorno alla questione del clima, che è una lotta parcellare, la mobilitazione giovanile è stata vista come qualcosa di positivo, dimenticando il punto 12 della piattaforma.
- Sull'assassinio di George Floyd, ci sono state tendenze a vederlo come un movimento interclassista, mentre l'indignazione che ha provocato ha portato a una mobilitazione su un terreno direttamente borghese, con la richiesta di un sistema di polizia e giudiziario più democratico.
Difficoltà che continuano
La valutazione dei movimenti in Medio Oriente: una questione da chiarire
La presentazione sulla lotta di classe al 23° Congresso ha ricordato che l'analisi dei movimenti della primavera araba non era stata inclusa nel bilancio critico che abbiamo fatto dopo il 21° Congresso, nonostante l'esistenza di differenze irrisolte, comprese "le questioni degli scivolamenti opportunisti che abbiamo fatto in passato verso, ad esempio, i movimenti interclassisti della primavera araba e altri."[5]
Torniamo alla nostra analisi dei movimenti del 2011.
Se l'organizzazione, nel suo intervento, non ha usato il termine "interclassismo" per descrivere questi movimenti, li ha descritti in un modo che sviluppava tutte le caratteristiche di un movimento interclassista, mostrando che non era totalmente ignorante della loro natura: "La classe operaia non vi si è mai presentata [in queste lotte] come una forza autonoma capace di assumere la direzione di lotte che hanno spesso assunto la forma di una rivolta dell'insieme delle classi non sfruttatrici, dai contadini in rovina agli strati medi in via di proletarizzazione."[6]
La posizione esposta: "In generale, la classe operaia non è stata a capo di queste ribellioni, ma ha certamente avuto una presenza e un'influenza considerevole che si può vedere sia nei metodi e nelle forme di organizzazione adottate dal movimento, sia, in alcuni casi, dallo sviluppo specifico delle lotte operaie, come gli scioperi in Algeria e soprattutto la grande ondata di scioperi in Egitto"[7], non è riuscita a localizzare con precisione il terreno di classe su cui si sono sviluppati o a identificare la dinamica della componente operaia che si poteva trovare in questi movimenti; La nostra analisi si è basata su un approccio empirico: il paragone con l'Iran del 1979, pur essendo stimolante, è stato utilizzato senza inserirlo nella nuova situazione, senza contestualizzarlo nel nostro quadro: "Quando cerchiamo di capire la natura di classe di queste ribellioni, dobbiamo quindi evitare due errori simmetrici: da un lato, un'identificazione generale di tutte le masse in lotta con il proletariato (la posizione più caratteristica di questa visione è quella del Gruppo Comunista Internazionalista), e dall'altro, un rifiuto di ciò che può essere positivo nelle rivolte che non sono esplicitamente quelle della classe operaia."[8] La seconda parte della citazione fa delle concessioni a un approccio che considera i lati "positivi" e i lati "negativi" senza basarsi sulla loro natura di classe.
Una sopravvalutazione di questi movimenti: "Tutte queste esperienze sono veri e propri trampolini di lancio per lo sviluppo di una coscienza veramente rivoluzionaria. Ma la strada in questa direzione è ancora lunga, è disseminata di molte innegabili illusioni e debolezze ideologiche"[9]; "L'insieme di queste rivolte costituisce una formidabile esperienza sulla strada che conduce alla coscienza rivoluzionaria"[10]
Debolezze nell'applicazione del nostro quadro politico
Dimenticato il quadro della critica dell'anello debole
Se l'organizzazione aveva ragione a sottolineare che il movimento degli "Indignados" e le rivolte delle classi sfruttate, specialmente la classe operaia del Medio Oriente, hanno un'origine comune negli effetti della crisi economica globale, lo ha fatto equiparando, o raggruppando, tutti i movimenti, sia che provengano da paesi centrali che periferici. Cioè, senza collocarli nel quadro della critica della teoria dell'anello debole (vedi la risoluzione sulla situazione internazionale del XX Congresso)[11].
La CCI ha definito il movimento degli Indignados[12] come un movimento proletario segnato:
I nostri testi di questo periodo non distinguono tra il movimento degli Indignados in Spagna e le rivolte nei paesi arabi. Eppure ci sono differenze molto importanti: in Spagna, anche se l'ala proletaria non ha dominato il movimento degli Indignados, ha lottato per la propria autonomia di fronte agli sforzi di "Democracia Ya" per distruggerla. Nei paesi arabi, il proletariato, nel migliore dei casi, non è stato in grado di reggere sul proprio terreno, né di utilizzare i propri metodi di lotta per sviluppare la propria coscienza, lasciandosi mobilitare dietro le fazioni nazionaliste e democratiche[13].
Assenza del quadro della decomposizione
Senza mai negare la sua esistenza o il peso delle difficoltà profonde di questi movimenti, e sottolineando gli "aspetti positivi" delle rivolte sociali[14], l'analisi di questi movimenti nei paesi arabi non è stata collocata nel quadro della decomposizione[15]. Questo portò ad un indebolimento della ferma denuncia del veleno democratico e nazionalista così forte in questi paesi, e del pericolo che rappresentava soprattutto in queste parti del mondo, ma anche e soprattutto di fronte alla propaganda delle borghesie occidentali verso il proletariato europeo, che insisteva sulla necessità della democrazia nei paesi arabi.
Delle debolezze più generali dell’organizzazione che condizionano le sue analisi e prese di posizione
L’impazienza di vedere dappertutto e rapidamente l’uscita dal riflusso cominciato nel 1989 in seguito al rilancio delle lotte del 2003 ha costituito un pesante fardello: “L’attuale ondata internazionale di rivolte contro l’austerità capitalista sta aprendo la porta a tutt’altra soluzione: la solidarietà di tutti gli sfruttati al di là di ogni divisione religiosa o nazionale; la lotta di classe in tutti i paesi con l’obiettivo finale di un mondo nuovo che sarà la negazione dei confini nazionali e degli Stati. Uno o due anni fa una tale prospettiva sarebbe sembrata completamente utopica ai più. Oggi, un numero crescente di persone si rende conto che una rivoluzione globale costituisce un’alternativa realistica al collasso dell’ordine del capitalista globale.”[16]
La posizione della CCI è stata marcata non solo da una sopravvalutazione generale della situazione, ma anche da una sopravvalutazione dell’importanza dei movimenti nei paesi arabi per lo sviluppo di una prospettiva proletaria. Ancora, la tendenza a dimenticare l’importanza del dibattito nell’ambiente politico proletario ha avuto ugualmente un’influenza negativa: mentre il contributo del Nucleo Comunista Internazionalista d’Argentina all’analisi del movimento dei Piqueteros nel 2002-2004 era stato molto importante, la CCI non è stata capace di prendere altrettanto in conto le critiche formulate nei suoi confronti, nel 2011, da Internationalist Voice.
Abbiamo fatto errori opportunisti nell’analisi dei movimenti arabi?
Da quanto detto possiamo concludere che la CCI, sulla questione dell’analisi dei movimenti nei paesi arabi nel 2011, dove il loro carattere di massa, la loro simultaneità con altri movimenti nei paesi occidentali, le forme prese da questi movimenti (assemblee, ecc.), la presenza della classe operaia (diversa dal carattere caotico di un certo numero di rivolte interclassiste o dominate da gruppi gauchistes, come fu con i Piqueteros per esempio) sono stati esaminati senza prenderla da lontano e senza avere una visione lucida di quello che essi rappresentavano veramente, in un contesto in cui le parti più esperte del proletariato mondiale non erano in grado di fornire una prospettiva e una direzione. Questo approccio corrisponde all’immediatismo.
Nel contesto generale che favoriva l’impazienza e la precipitazione che esisteva nell’organizzazione, credendo che il proletariato mondiale era già vicino a superare il riflusso post-89, questo immediatismo era certamente l’anticamera dell’opportunismo, il punto di partenza di uno scivolamento verso l’opportunismo e l’abbandono delle posizioni di classe, come si può verificare esaminando le diverse maniere in cui questo immediatismo si è manifestato:
Se tutti questi elementi riuniscono le condizioni per delle posizioni apertamente opportuniste – se la chiarezza proletaria e la difesa delle posizioni di classe da parte della CCI non costituiscono una barriera a queste tendenze deleterie – bisogna anche dire che la CCI non ha preso delle posizioni che contraddicevano apertamente la sua piattaforma e le posizioni di classe. Bisogna situare queste difficoltà al livello di ciò che esse realmente rappresentavano (il che non significa relativizzare la loro importanza o la loro pericolosità). L’analisi e l’intervento della CCI sono stati indeboliti dall’immediatismo (con tutto ciò che questo implica a livello dell’ambiguità, della superficialità, della mancanza di rigore, della dimenticanza della difesa del nostro quadro e delle nostre posizioni politiche, e di una dinamica che apre la porta all’opportunismo), ma non si può concludere che essa ha preso delle posizioni direttamente opportuniste (cosa che invece si è verificato nel caso del movimento dei giovani sull’ecologia).
La relazione tra lotte parcellari e interclassismo
La deriva relativamente al movimento giovanile contro i disastri ecologici significa una dimenticanza del punto 12 della nostra Piattaforma: “La questione ecologica, come tutte le questioni sociali, (che si tratti della scuola, delle relazioni familiari e sessuali o altre) sono destinate a giocare un ruolo enorme in ogni presa di coscienza futura e ogni lotta comunista. Il proletariato, e solo lui, ha la capacità di integrare queste questioni nella sua coscienza rivoluzionaria. Ciò facendo, il proletariato allargherà ed approfondirà questa coscienza. Così potrà dirigere tutte le “lotte parziali” e dare loro una prospettiva. La rivoluzione proletaria dovrà affrontare in maniera molto concreta tutti questi problemi nella lotta per il comunismo. Ma essi non possono essere il punto di partenza per lo sviluppo di una prospettiva di classe rivoluzionaria. In assenza del proletariato essi sono nel caso peggiore il punto di partenza di nuovi cicli di barbarie. Il volantino e l’articolo della CCI in Belgio sono degli esempi flagranti di opportunismo. Questa volta non si tratta di opportunismo in materia di organizzazione, ma di opportunismo rispetto alle posizioni di classe esposte nella nostra piattaforma. (Contributo del compagno S. in un bollettino interno del 2019)
Possiamo dire che il rapporto sulla lotta di classe del 23° Congresso non mancava di ambiguità in proposito. Ha adottato una posizione ambigua sulla natura di questi movimenti e lasciava la porta aperta all’idea che questi movimenti potevano giocare un ruolo positivo nello sviluppo della coscienza.[17]
Abbiamo avuto difficoltà a vedere quello che distingue questi due tipi di movimenti, con una tendenza ad amalgamarli, a metterli sullo stesso piano. Cosa distingue dunque le lotte interclassiste e le lotte parcellari? Nei movimenti interclassisti le rivendicazioni operaie sono diluite e mescolate con delle rivendicazioni piccolo-borghesi (vedi ad esempio i Gilet gialli). Non è così nel caso delle lotte parcellari, che si manifestano essenzialmente a livello delle sovrastrutture; le loro rivendicazioni si concentrano su temi che mettono da parte le fondamenta della società capitalista, anche se esse possono indicare il capitalismo come responsabile, come possiamo vedere con la questione del clima o dell’oppressione delle donne che è imputato al patriarcato capitalista. Esse sono anche dei fattori di divisione in seno alla classe operaia, divisioni con i lavoratori impiegati nel settore dell’energia nel primo caso, o rafforzando le divisioni fra i sessi. I lavoratori possono essere coinvolti nelle lotte parcellari, ma questo non le rende interclassiste. Si tratta di chiarire la differenza tra le lotte parcellari e le lotte interclassiste e cosa possono avere in comune.
Sull’indignazione
Negli anni del secondo decennio del 21° secolo la CCI ha riconosciuto l’indignazione come una componente importante della lotta di classe del proletariato e un fattore della sua presa di coscienza. Tuttavia la CCI ha avuto tendenza a definire la sua importanza “in sé”, in una maniera un po’ metafisica. Una delle radici delle nostre difficoltà risiede nell’utilizzazione inappropriata e unilaterale del concetto dell’indignazione, come qualcosa di necessariamente positiva, una indicazione della riflessione e anche dello sviluppo della coscienza di classe, senza tenere conto della natura di classe che la ha originata, o del terreno di classe su cui si esprime. Con il prosieguo dell’approfondirsi della decomposizione ci saranno numerosi movimenti spinti dall’indignazione, dal disgusto, dalla collera in larghi strati della società contro i fenomeni che caratterizzano questo periodo.
Il rapporto sulla lotta di classe del 23° Congresso della CCI contiene una sezione sull’indignazione sociale contro la natura distruttrice della società capitalista (per esempio in reazione all’assassinio di neri, la questione climatica o l’oppressione delle donne). Ma affermando che la collera espressa da questi movimenti possa essere recuperata dal proletariato quando questo avrà ritrovato la sua identità di classe e lotterà sul suo terreno, si introduce la falsa idea che il proletariato potrà “assumere” la direzione di tali movimenti nella loro forma attuale. In realtà questi movimenti dovranno “dissolversi” prima che gli elementi che vi partecipano possano raggiungere la lotta proletaria. Questo dice la Piattaforma nel suo punto 12: “La lotta contro i fondamenti economici del sistema contiene la lotta contro gli aspetti sovrastrutturali della società capitalistica, ma il contrario è falso.”. Inoltre tali lotte parcellari tendono ad ostacolare la lotta della classe operaia, la sua autonomia, ed è perciò che la borghesia sa molto bene come recuperarli per preservare l’ordine capitalista. In questo senso, l’indignazione non è in sé un fattore di sviluppo della coscienza di classe: tutto dipende dal terreno su cui essa si esprime. Questa reazione emotiva che può provenire da differenti classi non conduce automaticamente a una riflessione che possa contribuire allo sviluppo della coscienza di classe.
L’organizzazione deve chiarire quali sarebbero le condizioni, su scala storica, perché un movimento proletario autonomo possa dare un orientamento e una direzione completamente nuovi a tutte le diverse sofferenze ed oppressioni imposte dalla società capitalista, e che oggi, in assenza di una direzione proletaria, trovano il loro solo esito sul terreno delle mobilitazioni interclassiste o borghesi.
L’impatto della crisi capitalista sull’insieme della società impone la chiarificazione di un’altra questione: quale è il rapporto della lotta del proletariato con le altre classi, strati intermedi o non sfruttati, che esistono ancora nel capitalismo e capaci di sviluppare le loro mobilitazioni contro la politica dello Stato (come i movimenti contadini).
Parte 4. Cosa è cambiato dopo il 23° Congresso?
Dal movimento degli Indignados è passato quasi un decennio. Per quanto importante esso sia stato non ha comunque segnato la fine del riflusso aperto nel 1989. Noi sappiamo anche che la borghesia – soprattutto in Francia dove il pericolo di contagio era più evidente – ha preso delle contromisure per impedire che potesse scoppiare un movimento simile, o più avanzato, nel focolaio tradizionale delle rivoluzioni.
Per certi versi, il riflusso della classe si è accentuato dopo l’esaurimento dei movimenti del 2011. Le illusioni che hanno predominato nelle Primavere arabe, data l’incapacità della classe operaia a fornire una leadership alle diverse rivolte, sono state annegate nella barbarie, nella guerra, nel terrorismo e nella repressione feroce. In Europa e negli Stati Uniti la marea populista, in parte alimentata dai barbari sviluppi in Africa e nel Medio oriente che hanno provocato la crisi dei rifugiati e il ritorno del terrorismo islamico, ha toccato una parte della classe operaia. Nel “Terzo Mondo” la crescita della miseria economica ha provocato delle rivolte popolari in cui la classe operaia è stata di nuovo incapace di manifestarsi sul terreno che gli è proprio; in maniera ancora più significativa la tendenza del malcontento sociale a prendere un carattere interclassista si è chiaramente espressa in un paese centrale come la Francia, con le manifestazioni dei Gilet gialli che si sono protratte per tutto un anno. A partire dal 2016, con l’arrivo al potere di Trump e il voto per la Brexit in Gran Bretagna, lo sviluppo del populismo ha raggiunto dei livelli spettacolari, coinvolgendo una parte della classe operaia nelle sue campagne contro le “élite”. E nel 2020 tutto questo processo di decomposizione si è accentuato in maniera ancora più spettacolare con la pandemia. Il clima di paura generato dalla pandemia e il blocco che ne risulta hanno accresciuto ancora di più l’atomizzazione della classe operaia e creato profonde difficoltà per una risposta di classe alle conseguenze economiche devastatrici della crisi del Covid-19.
Ciononostante, poco prima che la pandemia scoppiasse, abbiamo assistito a un nuovo sviluppo di movimenti di classe: lo sciopero degli insegnanti e degli operai della General Motors negli Stati Uniti; gli scioperi generalizzati in Iran nel 2018 che hanno posto la questione dell’auto-organizzazione, anche se, contrariamente alle esagerazioni di una parte dell’ambiente politico proletario, si era ancora ben lontani dalla formazione dei soviet. Questi ultimi scioperi hanno in particolare posto la questione della solidarietà di classe di fronte alla repressione statale.
Soprattutto abbiamo avuto le lotte in Francia alla fine del 2019, dove battaglioni chiave della classe operaia hanno manifestato con rivendicazioni di classe, evitando il movimento dei Gilet gialli che era ridotto a una presenza simbolica alla coda dei cortei.
Altre espressioni di combattività hanno toccato altri paesi, per esempio la Finlandia. Ma la pandemia ha colpito il cuore dell’Europa, paralizzando in larga misura la possibilità per le lotte in Francia di prendere una dimensione internazionale. Cionondimeno, in diversi luoghi del mondo ci sono stati scioperi di lavoratori per la difesa delle loro condizioni di lavoro di fronte alle misure sanitarie completamente inadatte prese dallo Stato e dal padronato.[18] Questi movimenti non hanno potuto svilupparsi ulteriormente a causa delle restrizioni imposte col primo confinamento, benché il ruolo centrale della classe operaia nel permettere che la vita della società continuasse sia stato messo in evidenza dai settori che non hanno avuto altra scelta che continuare a lavorare durante il confinamento: sanità, trasporti, alimentazione, ecc. La classe dirigente ha fatto grossi sforzi per presentare questi lavoratori come degli eroi al servizio della nazione, ma l’ipocrisia dei governi – e quindi la base di classe dei «sacrifici» di questi lavoratori – era evidente per molti. In Gran Bretagna, per esempio, i lavoratori della sanità hanno manifestato la loro collera quando è risultato che il loro « eroismo » non valeva un aumento di salario.[19]
Oltre alla pandemia la classe operaia è rapidamente stata confrontata ad altri ostacoli allo sviluppo della coscienza di classe, soprattutto negli Stati Uniti, dove le manifestazioni di «Black Lives Matter» si sono polarizzate su una mobilitazione settoriale, quella della razza, seguite rapidamente dall’enorme campagna elettorale che ha dato un nuovo slancio alle illusioni democratiche. Queste due campagne hanno avuto un impatto internazionale importante. In particolare negli Stati Uniti il pericolo che la classe operaia sia coinvolta, attraverso le politiche identitarie di destra e di sinistra, in scontri violenti dietro frazioni borghesi concorrenti resta molto reale: il drammatico assalto al Capitol da parte dei partigiani di Trump dimostra che anche se Trump è stato estromesso dal governo, il trumpismo resta una forza potente a livello delle mobilitazioni di piazza. Infine, i lavoratori sono ora confrontati a una seconda ondata della pandemia e a una nuova serie di restrizioni che non solo rinnovano l’atomizzazione della classe da parte dello Stato, ma hanno anche portato allo sviluppo di una frustrazione contro le restrizioni che ha trascinato certe parti della classe in proteste reazionarie alimentate dalle teorie complottiste e dall’ideologia de «l’individuo sovrano».
Per il momento, la combinazione di tutti questi elementi, ma soprattutto le condizioni imposte dalla pandemia, hanno agito come un freno importante alla fragile ripresa della lotta di classe tra il 2018 e il 2020. È difficile prevedere quando durerà questa situazione e quindi non possiamo individuare delle prospettive concrete per lo sviluppo della lotta nel corso del futuro periodo. Quello che noi possiamo dire, tuttavia, è che la classe operaia sarà confrontata a degli attacchi brutali alle sue condizioni di vita. Una cosa che è già cominciata in un certo numero di settori in cui gli imprenditori hanno ridotto drasticamente i posti di lavoro. I governi dei paesi centrali del capitalismo mantengono ancora una certa prudenza nei confronti della classe, sovvenzionando le imprese per permettere loro di conservare i loro effettivi, mettendo in cassa integrazione i lavoratori che non possono lavorare a domicilio per evitare una caduta immediata nella pauperizzazione, prendendo delle misure per evitare gli sfratti degli inquilini che non riescono a pagare gli affitti, e così via. Queste misure costano molto care ai governi e appesantiscono considerevolmente il peso del debito statale. Noi sappiamo che prima o poi i lavoratori saranno chiamati a pagare tutto questo.
Parte 5. Dibattito sul rapporto di forza fra le classi
La drammatica evoluzione della situazione mondiale dopo l’ultimo congresso della CCI ha inevitabilmente dato luogo a dei dibattiti tanto in seno all’organizzazione che tra i nostri contatti e simpatizzanti. Questi dibatti hanno riguardato l’importanza della pandemia e dell’accelerazione della decomposizione, ma essi hanno anche posto nuove questioni sul rapporto di forze tra le classi. Al congresso della sezione in Francia dell’estate 2020 sono state avanzate alcune critiche al rapporto sulla lotta di classe, in particolare sulla sua valutazione del movimento contro la riforma delle pensioni in Francia di inizio 2019. Un contributo nel bollettino interno (della compagna M, 2021) in particolare faceva notare – noi pensiamo a giusto titolo – che il rapporto pretendeva che il movimento avesse raggiunto un certo livello di politicizzazione senza fornire prove sufficienti per una tale tesi; allo stresso tempo che nel rapporto c’era una mancanza di chiarezza rispetto alla distinzione tra politicizzazione delle lotte e politicizzazione delle minoranze –una distinzione che questo rapporto cerca di chiarire. Questo contributo mette in guardia contro une sovrastima del livello attuale della lotta di classe (un errore che nel passato abbiamo commesso spesso – vedi il rapporto del 21° congresso):
Ed aggiunge che questa sovrastima della tendenza alla politicizzazione può aprire la porta a una visione consiliarista: “La politicizzazione delle lotte non può verificarsi che quando l’avanguardia rivoluzionaria comincia ad avere una certa influenza nelle lotte operaie (in particolare nelle assemblee generali). Non è questa la situazione oggi. Il rapporto del congresso di RI apre dunque la porta a una visione consiliarista affermando che già esistono ‘dei segni di una politicizzazione della lotta.”
Il pericolo di una visione consiliarista si può rilevare anche nelle divergenze sollevate dal compagno S. durante e dopo il 23° Congresso, anche se non partendo dallo stesso punto. Queste divergenze si sono in seguito approfondite e hanno dato luogo a un dibattito pubblico che, a sua volta, ha avuto un certo impatto su alcuni dei nostri contatti. Giacchè queste divergenze riguardano il problema del rapporto di forze fra le classi, esse toccano tre punti essenziali:
Lotte economiche e maturazione sotterranea
Nella sua replica alla nostra risposta (Bollettino interno 2021) il compagno S. afferma che lui è d’accordo con la CCI sulla necessità della lotta economica perché i lavoratori devono difendere la loro esistenza fisica contro lo sfruttamento capitalista; perché i lavoratori devono lottare per “avere una vita” al di là della giornata di lavoro al fine di avere accesso alla cultura, ai dibattiti politici, e così via; e perché, come dice Marx, una classe che non può lottare per i suoi interessi a questo livello non può certo presentarsi come una forza capace di trasformare la società. Ma allo stesso tempo, dice il compagno S., nelle condizioni di decomposizione, in particolare a causa dell’indebolimento della prospettiva di una rivoluzione sociale dovuto all’impatto del crollo del blocco dell’Est, i legami storici tra le dimensioni economiche e politiche della lotta sono stati rotti al punto che questa unità non può essere ritrovata attraverso lo sviluppo delle sole lotte economiche. E qui egli cita Rosa Luxemburg in Riforme e Rivoluzione per mettere in guardia la CCI contro ogni ricaduta in una visione consiliarista in cui i «lavoratori di per sè stessi», senza il ruolo indispensabile dell’organizzazione rivoluzionaria, possano ritrovare la loro prospettiva rivoluzionaria: "Il socialismo non consegue dunque spontaneamente e sotto qualunque circostanza dalla lotta quotidiana della classe operaia. Esso scaturisce soltanto dal sempre maggiore inasprimento delle contraddizioni dell’economia capitalista e dall’apprendimento da parte della classe operaia della irremissibile necessità della loro eliminazione attraverso un rivolgimento sociale."
La conclusione del compagno S. è che il principale pericolo a cui è confrontata la CCI è una deviazione consiliarista per cui l’organizzazione lascia al risorgere delle lotte economiche il compito di politicizzarsi “spontaneamente”, dimenticando così quello che dovrebbe essere il suo compito principale: realizzare l’approfondimento teorico necessario che permetterebbe alla classe di riprendere fiducia nel marxismo e nella possibilità di una società comunista.
Come abbiamo visto il pericolo del conciliarismo non può essere scartato quando si tratta di comprendere il processo di politicizzazione: abbiamo imparato a nostre spese che il pericolo di diventare troppo entusiasti rispetto alle possibilità e alla profondità delle lotte immediate è sempre presente. Siamo anche d’accordo con Luxemburg - e Lenin - per dire che la coscienza socialista non è il prodotto meccanico della lotta quotidiana, ma che essa è il prodotto del movimento storico della classe, che include certamente l’elaborazione teorica e l’intervento dell’organizzazione rivoluzionaria. Ma quello che manca nell’argomentazione di S. è una spiegazione del processo reale attraverso il quale la teoria rivoluzionaria può di nuovo “impadronirsi delle masse”. Secondo noi questo è legato a un disaccordo sulla questione della maturazione sotterranea.
Nel suo testo, il compagno dice: "La risposta mi chiede se considero la situazione attuale peggiore di quella degli anni '30 (quando gruppi come Bilan contribuirono ad una 'maturazione sotterranea' politica e teorica della coscienza nonostante la sconfitta della classe), giacché nego l'esistenza di una tale maturazione al momento attuale. Sì, a livello di maturazione sotterranea, la situazione è effettivamente peggiore che negli anni '30, perché oggi la tendenza dei rivoluzionari è piuttosto verso la regressione politica e teorica.”
Per rispondere a questo è necessario tornare al nostro dibattito iniziale sulla questione della maturazione sotterranea – in polemica con la posizione consiliarista secondo cui la coscienza di classe non si sviluppa che nelle fasi di lotta aperta.
Così, l'argomento del compagno MC[20] nel testo "Sulla maturazione sotterranea" (Bollettino Interno1983) era che il rifiuto della maturazione sotterranea sottovalutava profondamente il ruolo dell'organizzazione rivoluzionaria nello sviluppo della coscienza di classe: "La lotta di classe del proletariato conosce alti e bassi, ma questo non è il caso della coscienza di classe: l'idea di una regressione della coscienza con il riflusso della lotta di classe è contraddetta da tutta la storia del movimento operaio, una storia in cui l'elaborazione e l'approfondimento della teoria continua in un periodo di riflusso. È vero che il campo, l'estensione della sua azione si sta restringendo, ma non la sua elaborazione in profondità".
S. evidentemente non nega il ruolo dell’organizzazione rivoluzionaria nell’elaborazione della teoria. Così quando egli parla di “regressione sotterranea”, vuol dire che l’avanguardia politica comunista (e quindi anche la CCI) non arriva a fare il lavoro teorico necessario per restaurare la fiducia della classe operaia nella sua prospettiva rivoluzionaria, e che quindi essa regredisce teoricamente e politicamente.
Ma ricordiamo che il testo di MC non limita la maturazione sotterranea al lavoro dell'organizzazione rivoluzionaria:
Questo punto è importante perché S. sembra limitare la maturazione sotterranea proprio all'organizzazione rivoluzionaria. Se capiamo bene, dato che la CCI tende alla regressione teorica e politica, questa sarebbe la prova della "regressione sotterranea" di cui parla. Naturalmente, non siamo d'accordo con questa valutazione della situazione attuale della CCI, ma questa è un'altra discussione. Il punto su cui concentrarsi qui è che l'organizzazione comunista e l'ambiente politico proletario sono solo la punta dell'iceberg di un processo più profondo che sta avvenendo nella classe:
in una polemica con il CWO nella Révue Internationale n. 43 sul problema della maturazione sotterranea, abbiamo definito questo processo come segue:
- "al livello più basso della coscienza, così come negli strati più ampi della classe, questa (maturazione sotterranea) prende la forma di una contraddizione crescente tra l'essere storico, i bisogni reali della classe, e l'adesione superficiale dei lavoratori alle idee borghesi. Questo scontro può rimanere in gran parte non riconosciuto, sepolto o represso per molto tempo, o può iniziare ad emergere sotto forma di disillusione e distacco rispetto a i temi principali dell'ideologia borghese;
- in un settore più piccolo della classe, tra gli operai che rimangono fondamentalmente sul terreno proletario, prende la forma della riflessione sulle lotte passate; discussioni più o meno formali sulle lotte future; l'emergere di nuclei combattivi nelle fabbriche e tra i disoccupati. Recentemente, la manifestazione più spettacolare di questo aspetto del fenomeno della maturazione sotterranea è stata data dagli scioperi di massa in Polonia nel 1980, in cui i metodi di lotta utilizzati dai lavoratori hanno mostrato che c'era stata una reale assimilazione di molte delle lezioni delle lotte del 1956, 1970 e 1976 ......
- in una frazione della classe, ancora più limitata nelle dimensioni, ma destinata a crescere con l'avanzare della lotta, questo prende la forma di una difesa esplicita del programma comunista, e quindi di un raggruppamento in un'avanguardia marxista organizzata. L'emergere delle organizzazioni comuniste, lungi dall'essere una confutazione della nozione di maturazione sotterranea, ne è al contempo un prodotto e un fattore attivo.”[21]
Quello che manca in questo modello è un altro strato costituito da quegli elementi che spesso non sono prodotti diretti dei movimenti di classe, ma che sono alla ricerca di posizioni comuniste; essi costituiscono la "palude" (o quella parte di essa che è il prodotto di un avanzamento politico, anche se confuso, e non quegli elementi che esprimono una regressione da un livello superiore di chiarezza), e anche quelli che si muovono più esplicitamente verso le organizzazioni rivoluzionarie.
L'emergere di un tale strato non è l'unica indicazione della maturazione sotterranea, ma è certamente la più evidente. S. ha sostenuto che l'emergere di questo strato può essere spiegato semplicemente facendo riferimento alla natura rivoluzionaria della classe operaia. Dato che intendiamo la classe non come una forza statica, ma come una forza dinamica, è più accurato vedere questo strato come il prodotto di un movimento verso la coscienza all'interno della classe. Ed è certamente necessario studiare la dinamica all'interno del movimento: capire se c'è un processo di maturazione in atto in questo strato - in altre parole, questo ambiente di elementi di ricerca mostra segni di sviluppo? E se confrontiamo le due "ondate" di minoranze politicizzate che sono emerse dal 2003 circa, ci sono effettivamente indicazioni che un tale sviluppo ha avuto luogo.
La prima ondata ha avuto luogo a metà degli anni 2000 e ha coinciso con quella che abbiamo chiamato una nuova generazione della classe operaia, che si è manifestata nel movimento "anti-CPE" e negli "Indignados". Una piccola parte di questo milieu gravitava verso la sinistra comunista e si unì anche alla CCI, il che fece nascere la speranza di incontrare una nuova generazione di rivoluzionari (vedi il testo di orientamento sulla cultura del dibattito[22]). In realtà, si trattava di un "movimento" ampiamente presente nella palude e che si dimostrò molto permeabile all'influenza dell'anarchismo, del modernismo e del parassitismo. Uno dei tratti distintivi di questo movimento fu, accanto a una sfiducia nell'organizzazione politica, una profonda resistenza al concetto di decadenza e quindi ai gruppi della sinistra comunista, percepiti come settari e apocalittici, soprattutto la CCI. Alcuni degli elementi di questa ondata erano stati coinvolti nell'ultra-attivismo del movimento anticapitalista negli anni '90, e sebbene abbiano fatto un primo passo nel vedere la centralità della classe operaia nel rovesciamento del capitalismo, hanno mantenuto la loro inclinazione attivista, spingendo alcuni di loro (per esempio la maggioranza del collettivo organizzatore di Libcom) verso un anarco-sindacalismo rinnovato, verso idee di "organizzazione" sui luoghi di lavoro, che prosperano sulla possibilità di ottenere piccole vittorie e si allontanano da qualsiasi nozione che lo svolgimento oggettivo e storico della crisi sia esso stesso un fattore di sviluppo della lotta di classe.
La seconde vague d'éléments en recherche, dont nous avons pris conscience ces dernières années, bien que peut-être de moindre ampleur que la précédente, se situe certainement à un niveau plus profond : elle tend à considérer la décadence et même la décomposition comme une évidence ; elle contourne souvent l'anarchisme, qu'elle considère comme dépourvu des outils théoriques permettant de comprendre la période actuelle, et craint moins de contacter directement les groupes de la gauche communiste. Souvent très jeunes et sans expérience directe de la lutte des classes, leur souci premier est d'approfondir, de donner un sens au monde chaotique qui leur fait face en assimilant la méthode marxiste. Il s'agit ici, à notre avis, d'une concrétisation claire de la conscience communiste résultant, selon les termes de Rosa Luxemburg, de "l'acuité des contradictions objectives de l'économie capitaliste d'une part, (et) de la compréhension subjective du caractère indispensable de son dépassement par une transformation socialiste d'autre part".
La seconda ondata di elementi di ricerca, di cui siamo venuti a conoscenza negli ultimi anni, anche se forse di minore entità della precedente, si situa certamente a un livello più profondo: tende a considerare la decadenza e persino la decomposizione come una evidenza; spesso aggira l'anarchismo, che considera privo degli strumenti teorici per comprendere il periodo attuale, e ha meno paura di contattare direttamente i gruppi della sinistra comunista. Spesso molto giovani e senza esperienza diretta della lotta di classe, la loro prima preoccupazione è quella di approfondire la comprensione del mondo caotico che hanno di fronte assimilando il metodo marxista. A nostro avviso, si tratta di una chiara concretizzazione della coscienza comunista risultato, come dice Rosa Luxemburg, del "sempre maggiore inasprimento delle contraddizioni dell’economia capitalista e dall’apprendimento da parte della classe operaia della irremissibile necessità della loro eliminazione attraverso un rivolgimento sociale".
Per quanto riguarda questo strato emergente di elementi politicizzati, la CCI ha una doppia responsabilità come organizzazione di tipo "frazione". Da un lato, certo, l'elaborazione teorica vitale necessaria per fornire un'analisi chiara di una situazione mondiale in continua evoluzione e per arricchire la prospettiva comunista[23] Ma anche un paziente lavoro di costruzione organizzativa: un lavoro di "formazione di quadri", come diceva la GCF dopo la seconda guerra mondiale, di sviluppo di nuovi militanti che manterranno la rotta; di difesa contro l’influenza dell'ideologia borghese, le calunnie del parassitismo, ecc. Questo lavoro di costruzione organizzativa non appare affatto nella risposta di S., eppure è certamente uno degli elementi principali della lotta reale contro il consiliarismo.
Inoltre, se questo processo di maturazione sotterranea è reale, se è la punta dell'iceberg degli sviluppi che avvengono in strati molto più ampi della classe, la CCI ha ragione a prevedere la possibilità di una futura riconnessione tra le lotte difensive e il crescente riconoscimento che il capitalismo non ha futuro da offrire all'umanità. In altre parole, preannuncia il potenziale intatto della politicizzazione delle lotte e la loro convergenza con l'emergere di nuove minoranze rivoluzionarie e il crescente impatto dell'organizzazione comunista.
Sulle "sconfitte politiche”
La pubblicazione di un primo giro di discussione sui rapporti di forza tra le classi ha portato alla luce diverse divergenze nel nostro ambiente di simpatizzanti stretti. Sul forum della CCI, in particolare alla voce "Dibattito interno alla CCI sulla situazione internazionale "(Internal debate in the ICC on the international situation [46]), in uno scambio di contributi con MH; e sul “Dibattito sul bilancio di forze tra le classi” (Debate on the balance of class force [47]), nelle nostre riunioni di contatto, e sul blog di MH stesso[24]. Il compagno MH in particolare è diventato sempre più critico nei confronti della nostra visione che è stato essenzialmente il crollo del blocco orientale nel 1989 a causare il lungo riflusso della classe dal quale dobbiamo ancora emergere. Per MH, è stata in gran parte un'offensiva politico/economica della classe dominante dopo il 1980, guidata in particolare dalla borghesia britannica, che ha messo fine alla terza ondata di lotte (anzi: l'ha strangolata alla nascita). Da questo punto di vista, è stata la sconfitta dello sciopero dei minatori nel 1985 nel Regno Unito che ha segnato la sconfitta delle lotte degli anni '80. Questa conclusione sta attualmente portando MH a rivalutare la nostra visione delle lotte dopo il 1968 e persino a mettere in discussione la nozione di decomposizione, anche se le sue divergenze sembrano talvolta implicare che "la decomposizione ha vinto", e che ci troviamo di fronte alla realtà di una grave sconfitta storica della classe operaia. Il compagno Baboon è ampiamente d'accordo con MH sull'importanza fondamentale della sconfitta dello sciopero dei minatori, ma non lo ha seguito fino al punto di mettere in discussione la decomposizione, o di concludere che il riflusso della classe operaia può aver fatto un passo qualitativo verso una sorta di sconfitta storica[25].
Il compagno S. sembra ora essere sempre più esplicito sul fatto che è proprio così. Come ha detto in una recente lettera all’organo centrale:
“C'è o non c'è una divergenza fondamentale sui rapporti di forza tra le classi? La posizione dell'organizzazione è che la classe operaia non è battuta. Esiste anche nelle nostre file la posizione opposta, che la classe operaia negli ultimi cinque anni ha subito una sconfitta politica, il cui sintomo principale è l'esplosione dell’identitarismo di ogni tipo, che deriva soprattutto dall'incapacità della classe di recuperare la propria identità di classe. La posizione dell'organizzazione è che la situazione della classe è migliore di quella degli anni '90 sotto lo shock della "morte del comunismo", mentre l'altra posizione dice che la situazione della classe oggi è peggiore di quella degli anni '90, che il proletariato mondiale è oggi sull'orlo di una sconfitta politica di tale portata che potrebbe richiedere una generazione per recuperare.”
Come abbiamo segnalato all'inizio di questo rapporto, il riconoscimento da parte della CCI che il concetto di corso storico non si applica più nella fase di decomposizione significa che diventa molto più difficile valutare la dinamica globale degli eventi, e in particolare giungere alla conclusione che la porta di un futuro rivoluzionario è definitivamente chiusa, poiché la decomposizione può travolgere il proletariato in un processo graduale, senza che la borghesia debba sconfiggerlo direttamente, in una lotta frontale, come ha fatto nel periodo dell'ondata rivoluzionaria. È quindi difficile sapere cosa intenda S. per una "sconfitta politica di tale portata che potrebbe richiedere una generazione per essere recuperata". Se il proletariato non ha ancora affrontato il nemico di classe in una lotta politica aperta, come fece nel 1917-23, con quali criteri giudichiamo che l'arretramento della lotta di classe negli ultimi tre decenni ha raggiunto tale punto? Inoltre, poiché una tale sconfitta sarebbe probabilmente seguita da una grande accelerazione della barbarie, e - secondo S. - una guerra mondiale, o almeno un olocausto nucleare "limitato" - quali possibilità di "recupero" rimarrebbero per la prossima generazione?
Un ultimo punto: S. sostiene che noi consideriamo la situazione attuale della classe "migliore" di quella che era dopo il crollo dei blocchi. Questo è inesatto. Abbiamo certamente detto che le condizioni per i futuri scontri di classe stanno inevitabilmente maturando, e, come ha sottolineato il rapporto sulla lotta di classe al Congresso di Révolution Internationale, questo avviene in un contesto molto diverso dalla situazione all'inizio della fase di decomposizione:
Ma tutti questi aspetti positivi si aggiungono a 30 anni di decomposizione - un periodo in cui il tempo non è più dalla parte del proletariato, che continua a soffrire le ferite accumulate da una società che sta marcendo in piedi. Per alcuni aspetti, siamo d'accordo che la situazione è "peggiore" di quella degli anni '80. Ma falliremmo nel nostro compito di minoranza rivoluzionaria se ignorassimo i segni che indicano una rinascita della lotta di classe - di un movimento proletario che contiene la possibilità di impedire che la società precipiti definitivamente nell'abisso.
[1] Risoluzione sul rapporto di forza fra le classi, Rivista Internazionale n. 35, RISOLUZIONE SUL RAPPORTO di FORZA TRA LE CLASSI (2019) [7]
[2] Nel suo primo articolo che espone i suoi disaccordi con le risoluzioni del 23° Congresso sulla situazione internazionale, il compagno S. sostiene che la risoluzione sul rapporto di forza tra le classi dimostra che la CCI sta abbandonando la sua posizione secondo cui l'incapacità del proletariato di sviluppare la sua prospettiva rivoluzionaria nel periodo 1968-89 è stata una causa primaria della fase di decomposizione. Nella nostra risposta abbiamo già sottolineato ciò che ripetiamo in questo rapporto: la risoluzione sul rapporto di forze tra le classi pone la questione della politicizzazione - in altre parole, lo sviluppo di un'alternativa proletaria per il futuro della società - al centro stesso della sua comprensione dell'attuale impasse tra le due grandi classi. È vero che la risoluzione avrebbe potuto essere più esplicita sul fatto che l'impasse è il prodotto non solo dell'incapacità della borghesia di mobilitare la società per la guerra mondiale, ma anche dell'incapacità della classe operaia - soprattutto dei suoi battaglioni centrali sulla scia dello sciopero di massa polacco - di comprendere e assumere gli obiettivi politici della sua lotta. Crediamo che questo punto - che è semplicemente l'elemento base della nostra analisi della decomposizione - sia stato chiarito nella nostra risposta a S (pubblicata). Vedere: Dibattito interno alla CCI sulla situazione internazionale [10].
[3] Marx: Miseria della filosofia, Editori Riuniti, collana Le idee, 1998, pag. 121
[4] Rosa Luxemburg: Sciopero di massa, partito e sindacati, 1906.
[5] Da un contributo (J.) nel bollettino internazionale nel 2011.
[6] "Rivolte sociali in Africa del nord e in Medio Oriente, catastrofe nucleare in Giappone, guerra in Libia: solo la rivoluzione proletaria può salvare l’umanità dal disastro del capitalismo", in Révue Internationale n° 145. La risoluzione del 21° Congresso mantiene ancora delle ambiguità sui movimenti in Medio Oriente, qualificati come "marcati dall’interclassismo".
[7] “Che succede in Medio Oriente?”, in Révue Internationale n. 145.
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] "Rivolte sociali in Africa del nord e in Medio Oriente, catastrofe nucleare in Giappone, guerra in Libia: solo la rivoluzione proletaria può salvare l’umanità dal disastro del capitalismo", in Révue Internationale n° 145.
[11] “la metafora dei 5 corsi:
• Movimenti sociali della gioventù precaria, disoccupata o ancora studentesca, che cominciano con la lotta contro il CPE in Francia nel 2006, e che proseguono attraverso le rivolte della gioventù in Grecia nel 2008, culminando nei movimenti degli Indignati e di Occupy nel 2011;
• Movimenti di massa ma ben inquadrati dalla borghesia che aveva preparato in anticipo il campo, come in Francia nel 2007, in Francia ed in Gran Bretagna nel 2010, in Grecia nel 2010-2012, ecc.;
• Movimenti che subiscono il peso dell'interclassismo come in Tunisia ed in Egitto in 2011;
• Embrioni di scioperi di massa in Egitto nel 2007, Vigo (Spagna) nel 2006, Cina nel 2009;
• Il susseguirsi di movimenti nelle fabbriche o in settori industriali localizzati, ma contenenti germi promettenti come Lindsay nel 2009, Tekel nel 2010, elettrici in Gran Bretagna nel 2011.
Questi 5 corsi appartengono alla classe operaia perché, malgrado le loro differenze, esprimono ciascuno a suo livello lo sforzo del proletariato per ritrovarsi come classe, nonostante le difficoltà e gli ostacoli seminati dalla borghesia; ciascuno a suo livello ha portato una dinamica di ricerca, di chiarimento, di preparazione del campo sociale. A differenti livelli, essi si inscrivono nella ricerca "della parola che ci porterà fino al socialismo" (come scrive Rosa Luxemburg parlando dei consigli operai) per mezzo delle assemblee generali.” (Risoluzione sulla situazione Internazionale del 20° Congresso della CCI [48])
[12] Movimento degli indignati in Spagna, Grecia e Israele: dall’indignazione alla preparazione delle battaglie di classe [49], in Rivista internazionale n. 33.
[13] Come lo stesso titolo dell’articolo della Rivista Internazionale n. 33 indica, i movimenti in Grecia ed in Israele del 2011 (ma anche le proteste in Turchia e Brasile del 2013) sono sati analizzati in maniera molto simile agli Indignados in Spagna. Dunque si impone una revisione critica di tutti i nostri articoli di quel periodo.
[14] Un’altra questione da riesaminare è l’esistenza di ambiguità e di confusioni relativamente all’impatto positivo delle rivolte per la fame sullo sviluppo della coscienza di classe. (cf. “Crisi alimentare, rivolte della fame: solo la lotta di classe del proletariato può mettere fine alla miseria”, in Révue Internationale n°134.
[15] Il capitolo “Lotte contro l’economia di guerra in Medio Oriente” nel Rapporto sulla lotta di classe per il 23° Congresso internazionale della CCI (2019). Formazione, perdita e riconquista dell’identità di classe del proletariato [50] (pubblicato nella Rivista Internazionale n. 35) non è stato discusso in profondità. Il rapporto parla dell’esistenza di movimenti proletari in diversi paesi, ed è necessario rivalutare questi movimenti su una base più solida e approfondita, cercando di situare l’analisi di questi movimenti nel quadro della “critica dell’anello debole della catena”, così come nel contesto della decomposizione (cosa che il rapporto non sembra fare esplicitamente, adottando l’approccio applicato ai movimenti del 2011) al fine di esaminare la natura di questi movimenti e i loro punti di forza e debolezza.
[16] “Proteste in Israele: Mubarak, Assad, Netaniau, sono tutti uguali” su Rivoluzione Internazionale n. 172, https://it.internationalism.org/content/proteste-israele-mubarak-assad-netanyahu-sono-tutti-uguali [51]
[17] "Il fatto che non si tratta di movimenti specificamente proletari li rende certamente vulnerabili alle mistificazioni sulla politica identitaria e del riformismo, e alla manipolazione diretta da parte delle frazioni borghesi di sinistra e democratiche".
[20] Per la storia del nostro compagno, vecchio membro di Bilan e della Sinistra Comunista di Francia (GCF), membro fondatore della CCI e morto nel 1991, vedere i nostri articoli a lui dedicati: Trent'anni fa moriva il nostro compagno Marc Chirik [54]
[21] "Risposta alla CWO : sulla maturazione sotterranea della coscienza di classe [55]"; Révue internationale n° 43.
[23] Come è stato sottolineato durante una discussione all’interno di una riunione dell’organo centrale della CCI nel 2021, la CCI non può essere accusata di trascurare lo sforzo di approfondimento della nostra comprensione del programma comunista. L’esistenza di trenta anni di pubblicazioni sul comunismo prova abbastanza che non partiamo certo da zero su questo…
[25] Non ci dilungheremo su queste discussioni qui, se non per dire che esse sembrano essere basate su una sottostima delle importanti lotte che hanno avuto luogo dopo il 1985, dove la messa in discussione dei sindacati in paesi come la Francia e l’Italia ha costretto la classe dirigente a radicalizzare il suo apparato sindacale, e soprattutto una sottostima dell’impatto del crollo del blocco dell'Est sulla combattività e la coscienza di classe.
Questa risoluzione affronta tutti i maggiori elementi della situazione mondiale: l’accelerazione della decomposizione, l’acuirsi delle rivalità imperialiste, una crisi economica senza precedenti, e le prospettive della lotta di classe.
Preambolo. Questa risoluzione si situa in continuità con il rapporto sulla decomposizione presentato al 22° Congresso della CCI, con la risoluzione sulla situazione internazionale presentata al 23° congresso, e con il rapporto su pandemia e decomposizione presentato al 24° congresso. Essa si basa sull’idea che non solo la decadenza del capitalismo passa per differenti fasi o stati, ma che alla fine degli anni ’80 essa ha raggiunto la sua fase ultima, la fase della decomposizione; anche la decomposizione stessa ha una storia, e un obiettivo entrale di questi testi è di mettere alla prova il quadro teorico della decomposizione rispetto all’evoluzione della situazione mondiale. Questi testi hanno mostrato che la maggior parte degli avvenimenti importanti degli ultimi tre decenni hanno in effetti confermato la validità di questo quadro, come lo testimoniano l’esacerbazione del ciascuno per sé a livello internazionale, il rimbalzo dei fenomeni della decomposizione verso i centri del capitalismo mondiale attraverso lo sviluppo del terrorismo e la crisi dei rifugiati, l’ascesa del populismo e la perdita di controllo politico da parte della classe dirigente, la putrefazione progressiva dell’ideologia attraverso la propagazione della ricerca del capro espiatorio, del fondamentalismo religioso e delle teorie complottiste. E come la fase di decomposizione è l’espressione concentrata di tutte le contraddizioni del capitale, soprattutto nell’epoca del suo declino storico, così la attuale pandemia di COvid-19 è la distillazione di tutte le manifestazioni-chiave della decomposizione, e un fattore attivo della sua accelerazione.
1. La pandemia di Covid-19, la prima di una tale ampiezza dopo l’epidemia dell’influenza spagnola, è il momento più importante nell’evoluzione della decomposizione capitalista dopo l’apertura di questo periodo nel 1989. L’incapacità della classe dirigente a impedire dai 7 ai 12 milioni e più di morti che ne risultano conferma che il sistema capitalista mondiale, se lasciato libero, trascina l’umanità verso l’abisso della barbarie e verso la sua distruzione, e che solo la rivoluzione proletaria mondiale può stoppare questa deriva e condurre l’umanità verso un altro avvenire.
2. La CCI è praticamente sola a difendere la teoria della decomposizione. Altri gruppi della Sinistra Comunista la rigettano completamente, o perché, come nel caso dei bordighisti, non accettano che il capitalismo possa essere un sistema in declino (o, nel migliore dei casi, sono incoerenti e ambigui su questo punto); o, come per la Tendenza Comunista Internazionalista, perché parlare di una fase “finale” del capitalismo suona troppo apocalittico, o perché definire la decomposizione come una discesa verso il caos sarebbe una deviazione dal materialismo che, secondo loro, cerca di trovare le radici di ogni fenomeno nell’economia e soprattutto nella tendenza alla caduta del saggio di profitto. Tutte queste correnti sembrano ignorare che la nostra analisi è nella continuità della Piattaforma dell’Internazionale Comunista del 1919, che non solo insisteva sul fatto che la guerra imperialista mondiale del 1914-18 annunciava l’entrata del capitalismo nella “epoca della disgregazione del capitalismo, del suo dissolvimento interno, l’epoca della rivoluzione comunista del proletariato”, ma sottolineava anche che “l’antico ‘ordine’ capitalistico non esiste più, non può più esistere. Il risultato finale del processo produttivo capitalistico è il caos, e questo caos può essere superato soltanto dalla più grande classe produttrice: la classe operaia. Essa ha il compito di creare il vero ordine – l’ordine comunista”. Così il dramma a cui l’umanità è confrontata si pone effettivamente in termini di ordine contro caos. E la minaccia di un crollo caotico era legata alla “anarchia del modo di produzione capitalista”, in altri termini ad un elemento fondamentale del sistema stesso – un sistema che, secondo il marxismo, e ad un livello qualitativamente più elevato rispetto ad ogni altro modo di produzione precedente, implica che i prodotti del lavoro umano diventino una potenza estranea che si erge al di sopra e contro i loro creatori. La decadenza del sistema, causata dalle sue insolubili contraddizioni, segna una nuova spirale in questa perdita di controllo. E come spiegato nella Piattaforma dell’Internazionale Comunista, la necessità di cercare di superare l’anarchia capitalista all’interno di ogni Stato-nazione – attraverso il monopolio e soprattutto con l’intervento dello Stato – non fa che spingere questa anarchia verso nuove vette su scala mondiale, con culmine nella guerra imperialista. Così, mentre il capitalismo può a certi livelli e per certe fasi frenare la sua innata tendenza al caos (per esempio, mediante la mobilitazione per la guerra durante gli anni ’30, o nel periodo del boom economico del dopoguerra), la tendenza più di fondo è quella della “disintegrazione interna” che per l’Internazionale Comunista caratterizza la nostra epoca.
3. Mentre il Manifesto dell’IC parla di una nuova “epoca”, c’erano in seno all’Internazionale delle tendenze a considerare la catastrofica situazione del mondo del dopoguerra come una crisi finale in termini immediati, piuttosto che come un’intera era di catastrofi che avrebbe potuto durare parecchi decenni. Questo è un errore in cui i rivoluzionari sono caduti in diversi momenti (a causa di un’analisi sbagliata ma anche perché non si può prevedere con certezza il momento preciso in cui si produce un cambiamento di portata storica): nel 1848, quando il Manifesto Comunista proclamava già che l’involucro del capitale era diventato troppo stretto per contenere le forze produttive che aveva messo in movimento; nel 1919-20, con la teoria del crollo brutale del capitalismo, sviluppata in particolare dalla Sinistra Comunista tedesca; nel 1938, con la posizione di Trotsky secondo cui le forze produttive avevano smesso di crescere. Anche la CCI ha sottostimato la capacità del capitalismo di estendersi e di svilupparsi a modo suo, anche in un contesto generale di progressivo declino, in particolare con la Cina stalinista dopo il crollo del blocco sovietico. Tuttavia questi errori sono il prodotto di una interpretazione immediatista della crisi capitalista, e non un difetto inerente alla teoria della decadenza in quanto tale, che vede il capitalismo di questa epoca come un ostacolo crescente allo sviluppo delle forze produttive e non come una barriera assoluta. Il capitalismo è in declino da più di un secolo, e riconoscere che noi tocchiamo i limiti del sistema è del tutto coerente con la comprensione del fatto che la crisi economica, al di là di alti e bassi, è essenzialmente diventata permanente; che i mezzi di distruzione hanno non solo raggiunto un livello tale che potrebbero distruggere ogni vita sul pianeta, ma che essi sono nelle mani di un “ordine” mondiale sempre più instabile; che il capitalismo ha provocato un disastro ecologico planetario senza precedenti nella storia umana. Insomma il riconoscimento del fatto che siamo effettivamente all’ultimo stadio della decadenza capitalista è basata su una valutazione lucida della realtà. Naturalmente questo va considerato su una scala di tempi storica e non sul giorno per giorno. Ciò significa che questa fase finale è irreversibile e non ci può essere altra alternativa storica che il Comunismo o la distruzione dell’umanità. E’ questa l’alternativa a cui è confrontata la nostra epoca.
4. La pandemia di Covid-19, contrariamente a quanto propagandato dalla classe dirigente, non è un avvenimento puramente “naturale”, ma è il risultato di una combinazione di fattori naturali, sociali e politici, tutti legati al funzionamento del sistema capitalista in decomposizione. Il fattore “economico” è certamente cruciale, e a più di un livello. E’ la crisi economica, la caccia disperata del profitto, che ha spinto il capitale a invadere ogni parte della superficie del globo, a impadronirsi di quello che Adam Smith chiamava “il dono gratuito” della natura, a distruggere gli ultimi santuari di vita selvatica aumentando considerevolmente il rischio di zoonosi. A sua volta il crack finanziario del 2008 ha provocato una riduzione brutale degli investimenti nella ricerca di nuove malattie, nelle attrezzature e nei trattamenti sanitari, cosa che ha aumentato in maniera esponenziale l’impatto mortale del Coronavirus, una situazione che è stata ancora aggravata dagli attacchi massicci al sistema sanitario (riduzione del numero di letti e di personale, ecc.) che è scoppiato al momento della pandemia. E l’intensificazione della concorrenza, del “ciascuno per sé” tra le imprese e le nazioni a livello mondiale ha ritardato di molto la fornitura di materiali di sicurezza e di vaccini. Contrariamente alle speranze utopistiche di certe parti della classe dirigente, la pandemia non darà luogo a un ordine mondiale più armonioso una volta che essa sarà stata sconfitta. Non solo perché questa pandemia non è probabilmente che un segno precursore di future, più gravi pandemie, dato che le condizioni fondamentali che l’hanno generata non possono essere eliminati dalla borghesia, ma anche perché la pandemia ha considerevolmente aggravato una recessione economica mondiale che era già imminente prima che la pandemia scoppiasse. Il risultato sarà il contrario dell’armonia, perché le economie nazionali cercheranno di strangolarsi reciprocamente nella lotta per i mercati e le risorse che si riducono. Questa concorrenza esacerbata si esprimerà certamente anche a livello militare. E il “ritorno al normale” della concorrenza capitalista farà pesare nuovi fardelli sulle spalle degli sfruttati del pianeta, che sopporteranno l’essenziale degli sforzi del capitalismo per recuperare una parte dei giganteschi debiti che ha contratto per cercare di gestire la crisi.
5. Nessuno Stato può pretendere di essere un modello di gestione della pandemia. Se certi Stati asiatici sono riusciti, in un primo tempo, a farvi fronte in maniera più efficace (anche se paesi come la Cina hanno falsificato le cifre e la realtà dell’epidemia), è grazie alla loro esperienza, sul piano sociale e culturale, di confronto con le pandemie, dato che questo continente ha storicamente costituito il terreno di sviluppo di nuove malattie, e soprattutto perché questi Stati hanno conservato i mezzi, le istituzioni e le procedure di coordinamento messe in campo durante la pandemia di SARS nel 2003. La propagazione del virus a livello planetario, la generazione internazionale di nuove varianti rivelano il livello di impotenza della borghesia, in particolare la sua incapacità ad adottare un approccio unificato e coordinato (come dimostrato dal recente fallimento della proposta di un trattato per la lotta contro le pandemie) e a fare in maniera che l’insieme dell’umanità sia protetta con i vaccini.
6. La pandemia, prodotto della decomposizione del sistema, si rivela così una forza importante nel prosieguo dell’accelerazione di questa decomposizione. In più il suo impatto sulla nazione più potente della terra, gli Stati Uniti, conferma quanto già notato nel rapporto del 22° congresso: la tendenza degli effetti della decomposizione a tornare con più forza nel cuore stesso del sistema capitalistico mondiale. Infatti gli Stati Uniti sono ora al “centro” del processo mondiale di decomposizione. La catastrofica gestione della crisi del Covid da parte dell’amministrazione populista di Trump ha certamente giocato un ruolo importante nel fatto che gli Stati Uniti conoscono i tassi di mortalità più elevati del mondo per quanto riguarda questa malattia. Allo stesso tempo l’estensione delle divisioni in seno alla classe dirigente americana è stata messa a nudo dalle contestate elezioni di novembre 2020, e soprattutto dall’assalto al Campidoglio da parte dei partigiani di Trump, con l’incoraggiamento di Trump e dei suoi collaboratori. Quest’ultimo avvenimento dimostra che le divisioni interne che scuotono gli Stati Uniti attraversano l’insieme della società. Anche se Trump è stato estromesso dal governo, il trumpismo resta una forza potente, pesantemente armata, che si esprime altrettanto bene nelle piazze come nelle urne. E con l’insieme dell’ala sinistra del capitale mobilitata dietro la bandiera dell’antifascismo c’è un pericolo reale che la classe operaia negli Stati Uniti venga coinvolta nei violenti conflitti tra le fazioni rivali della borghesia.
7. Gli avvenimenti negli Stati Uniti mettono anche in evidenza l’avanzata della decomposizione delle strutture ideologiche del capitalismo, dove ancora una volta questo paese “mostra la via”. L’arrivo al potere dell’amministrazione populista di Trump, la potente influenza del fondamentalismo religioso, la diffidenza crescente nei confronti della scienza, trovano le loro radici in alcuni fattori particolari della storia del capitalismo americano, ma lo sviluppo della decomposizione e in particolare lo scoppio della pandemia ha impregnato la vita politica di ogni sorta di idee irrazionali, che riflettono precisamente la totale assenza di prospettiva per il futuro offerta dalla società esistente. In particolare gli Stati Uniti sono diventati il punto nodale di irraggiamento della “teoria del complotto” nell’insieme del mondo capitalista avanzato, in particolare attraverso internet e i social media, che hanno fornito i mezzi tecnologici che hanno permesso di indebolire le fondamenta di ogni idea di verità oggettiva a un livello che lo stalinismo e il nazismo potevano solo sognare. Anche se si presenta sotto diverse forme, la teoria del complotto ha certi tratti comuni: la visione di élite segrete che dirigono la società di nascosto, un rigetto del metodo scientifico e una profonda diffidenza rispetto ad ogni discorso ufficiale. Contrariamente all’ideologia dominante della borghesia, che presenta la democrazia e il potere statale esistente come i veri rappresentanti della società, la teoria del complotto ha come centro di gravità l’odio verso le élite dominanti, odio che indirizza contro il capitale finanziario e la facciata democratica classica del capitalismo di Stato totalitario. Questo è quello che i rappresentanti del movimento operaio del passato qualificarono come “socialismo degli imbecilli” (August Bebel, in riferimento all’antisemitismo) – un errore ancora comprensibile prima della Prima Guerra mondiale, ma che sarebbe pericoloso oggi. Il populismo della teoria del complotto non è un tentativo contorto di approccio del socialismo o qualcosa che somigli a una coscienza della classe proletaria. Una delle sue principali fonti è la borghesia stessa: quella parte della borghesia che non accetta di essere esclusa appunto dai circoli elitari della sua propria classe, sostenuta da altre parti della borghesia che hanno perduto o stanno per perdere la loro precedente posizione centrale. Le masse che questo tipo di populismo attira dietro di sé, lungi dall’essere animate da una qualunque volontà di sfidare la classe dominante, sperano, identificandosi con la lotta per il potere di quelli che essi sostengono, di condividere in qualche maniera questo potere, o almeno di essere da lui favorite a spese di altri.
8. Se la progressione della decomposizione capitalista, parallelamente all’acuirsi caotico delle rivalità imperialiste, prende principalmente la forma di una frammentazione politica e di una perdita di controllo da parte della classe dirigente, questo non significa che la borghesia non possa più fare ricorso al totalitarismo di Stato nei suoi sforzi per mantenere la coesione della società. Al contrario, più la società tende a disgregarsi, più la borghesia ha bisogno di appoggiarsi sul potere centralizzatore dello Stato, che è il principale strumento della più machiavellica delle classi dominanti. La reazione delle frazioni della classe dirigente più responsabili verso gli interessi generali del capitale nazionale e del suo Stato di fronte all’ascesa del populismo ne è un esempio. L’elezione di Biden, sostenuta da una enorme mobilitazione dei mezzi di informazione, di certe parti dell’apparato politico e anche dell’esercito e dei servizi segreti, esprime questa reale controtendenza al pericolo di disintegrazione sociale e politica molto chiaramente incarnata dal trumpismo. Nel breve termine tali “successi” possono funzionare come un freno al caos sociale crescente. Di fronte alla crisi del Covid-19, i lockdown senza precedenti, ultimo risorsa per frenare la propagazione irresistibile della malattia, il ricorso massiccio all’indebitamento statale per preservare un minimo di livello di vita nei paesi avanzati, la mobilitazione delle risorse scientifiche per trovare un vaccino, dimostrano il bisogno della borghesia di preservare l’immagine dello Stato come protettore della popolazione, il suo rifiuto di perdere la sua credibilità e la sua autorità di fronte alla pandemia. Ma sul lungo termine questo ricorso al totalitarismo di Stato tende ad acuire ancora di più le contraddizioni del sistema. La semi-paralisi dell’economia e l’accumulazione del debito non possono avere altro risultato che di accelerare la crisi economica mondiale, mentre a livello sociale l’aumento massiccio dei poteri della polizia e della sorveglianza dello Stato introdotta per far rispettare le leggi del confinamento – aumento inevitabilmente utilizzato per giustificare la repressione di ogni forma di protesta e di dissenso – aggrava visibilmente la diffidenza verso il potere politico, che si esprime principalmente sul terreno antiproletario dei “diritti del cittadino”.
9. La natura evidente della decomposizione politica ed ideologica della prima potenza mondiale non significa che gli altri centri del capitalismo mondiale siano capaci di costituire delle fortezze alternative di stabilità. Ancora una volta questo è più chiaro nel caso della Gran Bretagna, che è stata colpita simultaneamente dai più elevati tassi di mortalità per Covid in Europa e dai primi sintomi della mutilazione della Brexit, e che è confrontata a un pericolo reale di esplosione nelle “nazioni” che la costituiscono. I ripugnanti dissensi attuali tra la Gran Bretagna e la UE relativamente all’efficacia e alla distribuzione dei vaccini offrono una prova supplementare che la principale tendenza della politica borghese mondiale oggi va nella direzione di una frammentazione crescente, e non di unità di fronte a un “nemico comune”. La stessa Europa non è stata risparmiata da queste tendenze centrifughe, non solo rispetto alla gestione della pandemia, ma anche intorno alla questione dei “diritti dell’uomo” e della democrazia in paesi come la Polonia e l’Ungheria. E’ notevole che anche paesi centrali come la Germania, precedentemente considerata come un’oasi di relativa stabilità politica e che ha potuto basarsi sulla sua forza economica, sia adesso toccata da un caos politico crescente. L’accelerazione della decomposizione nel centro storico del capitalismo si caratterizza con una perdita di controllo e con difficoltà crescenti a generare una omogeneità politica.
Dopo la perdita della sua seconda più importante economia, anche se la UE non corre il rischio immediato di una scissione maggiore, tali minacce continuano ad aleggiare sul sogno di un’Europa unita. E mentre la propaganda dello Stato cinese mette in evidenza la disunione e l’incoerenza crescenti delle “democrazie”, presentandosi come un bastione di stabilità mondiale, il ricorso crescente di Pechino alla repressione interna, come contro il movimento “democratico” a Hong Kong e i mussulmani uiguri, è nei fatti la prova che la Cina è una bomba a scoppio ritardato. La crescita straordinaria della Cina è essa stessa un prodotto della decomposizione. L’apertura economica durante il periodo di Deng negli anni ’80 ha mobilitato enormi investimenti, provenienti essenzialmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e dal Giappone. Il massacro di Tienanmen nel 1989 ha mostrato chiaramente che questa apertura economica è stata messa in atto da un apparato politico inflessibile che ha potuto evitare la sorte dello stalinismo nel blocco russo solo attraverso una combinazione di terrore statale, sfruttamento impietoso della forza lavoro che sottomette centinaia di milioni di lavoratori a uno stato permanente di lavoratori migranti e di crescita economica frenetica le cui basi sembrano ora sempre più fragili. Il controllo totalitario dell’insieme del corpo sociale, l’inasprimento repressivo a cui si dedica la frazione stalinista di Xi Jinping non rappresentano una espressione di forza ma al contrario una manifestazione di debolezza dello Stato, la cui coesione è messa in pericolo dall’esistenza di forze centrifughe in seno alla società e di importanti lotte intestine nella classe dominante.
10. Contrariamente a una situazione, tipo anni ’30, in cui la borghesia è capace di mobilitare la società per la guerra, il ritmo esatto e le forme della dinamica del capitalismo in decomposizione verso la distruzione dell’umanità sono più difficili da prevedere perché essi sono il prodotto della convergenza di diversi fattori, di cui alcuni possono essere parzialmente nascosti. Il risultato finale, come sottolineato nelle Tesi sulla decomposizione, è lo stesso: “Lasciata alla sua propria logica, alle sue ultime conseguenze, essa [la decomposizione] conduce l’umanità allo stesso risultato di una guerra mondiale. Essere annientati brutalmente da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, la radioattività delle centrali nucleari, la fame, le epidemie ed i massacri delle differenti guerre locali (dove potrebbe anche essere usata l’arma atomica), il risultato è lo stesso. La sola differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più rapida mentre la seconda è più lenta e quindi molto più sofferta.” Oggi i contorni di questa dinamica di annientamento si precisano. Le conseguenze della distruzione della natura da parte del capitalismo sono sempre più innegabili, come anche l’incapacità della borghesia mondiale, a dispetto di tutte le conferenze mondiali e le promesse di andare verso un’economia “verde”, di arrestare un processo che è inestricabilmente legato al bisogno del capitalismo di penetrare ogni angolo del pianeta nella corsa competitiva del processo di accumulazione. La pandemia di Covid è probabilmente l’espressione più significativa finora di questo profondo squilibrio tra l’uomo e la natura, ma altri segnali d’allarme si aggiungono, dalla fusione dei ghiacciai polari agli incendi devastatori in Australia e in California, passando per l’inquinamento degli oceani causato dai residui della produzione capitalista.
11. Nello stesso tempo proliferano i massacri causati da innumerevoli piccole guerre, mentre il capitalismo, nella sua fase finale, sprofonda in un ciascuno per se imperialista sempre più irrazionale. L’agonia di dieci anni della Siria, un paese oggi completamente rovinato da un conflitto che coinvolge almeno cinque campi rivali, è forse l’espressione più eloquente di questo terrificante caos, ma si possono vedere manifestazioni simili in Libia, nel Corno d’Africa e nello Yemen, guerre che sono state accompagnate e aggravate dall’emergere di potenze regionali come l’Iran, la Turchia e l’Arabia Saudita, nessuna delle quali vuole accettare la disciplina delle principali potenze mondiali: queste potenze di secondo o terzo ordine possono formare delle alleanze contingenti con gli Stati più potenti per poi ritrovarsi in campi opposti in altre situazioni (vedi il caso della Turchia e della Russia nella guerra in Libia). I ricorrenti scontri militari in Israele/Palestina sono un’ulteriore testimonianza della natura insolubile della maggioranza di questi conflitti. In questo caso il massacro di civili è stato acuito dallo sviluppo di un’atmosfera di pogrom in Israele, cosa che mostra l’impatto della decomposizione a livello militare e sociale. Allo stesso tempo assistiamo a un indurimento dei conflitti tra le potenze mondiali. L’acuirsi delle rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina era già evidente con Trump, ma l’amministrazione Biden continua nella stessa direzione anche se con pretesti ideologici differenti, come le violazioni dei diritti dell’uomo in Cina; contemporaneamente la nuova amministrazione americana ha annunciata che non si farà prendere in giro dalla Russia, che ha perduto il suo punto d’appoggio alla Casa Bianca. E anche se Biden ha promesso di reinserire gli Stati Uniti in un certo numero di istituzioni e di accordi internazionali (sul cambiamento climatico, il programma nucleare iraniano, la NATO, …) questo non significa che gli Stati Uniti rinunceranno alla loro capacità di agire da soli per difendere i loro interessi. Gli attacchi militari contro le milizie filo-iraniane in Siria da parte degli Usa dopo qualche settimana dall’elezione di Biden costituiscono una dichiarazione evidente di queste intenzioni. Il prosieguo del ciascuno per sé renderà sempre più difficile, se non impossibile, agli Stati Uniti di imporre la loro leadership, a conferma delle caratteristiche disgregatrici della decomposizione.
12. In questo panorama caotico non c’è alcun dubbio che il confronto crescente tra gli Stati Uniti e la Cina tende ad essere in primo piano. La nuova amministrazione ha così dimostrato la sua propensione alla “inclinazione verso l’est” (ormai sostenuta dal governo conservatore in Gran Bretagna) che era già un asse centrale della politica estera di Obama. Questo si è concretizzato con lo sviluppo del “Quad”, un’alleanza esplicitamente anticinese tra gli Stati Uniti, il Giappone, l’India e l’Australia. Tuttavia questo non significa che stiamo andando verso la formazione di blocchi stabili e una guerra mondiale generalizzata. La marcia verso la guerra mondiale è ancora ostruita dalla potente tendenza al ciascuno per sé e al caos a livello imperialista, mentre nei paesi capitalisti centrali il capitalismo non dispone ancora degli elementi politici e ideologici – in particolare una sconfitta politica del proletariato – che potrebbero unificare la società e spianare il cammino verso la guerra mondiale. Il fatto che noi viviamo ancora in un mondo essenzialmente multipolare è in particolare messo in evidenza dalle relazioni tra la Russia e la Cina. Se la Russia si è mostrata molto disposta ad allearsi alla Cina su delle questioni specifiche, generalmente in opposizione agli Stati Uniti, essa non è meno cosciente del pericolo di subordinarsi al suo vicino orientale, ed è uno dei principali oppositori della “Nuova via della seta” della Cina che esprime la volontà di egemonia imperialista di quest’ultima.
13. Questo non significa che noi viviamo in un’era di più grande sicurezza rispetto all’epoca della guerra fredda, sottoposta alla minaccia di un Armageddon nucleare. Al contrario, se la fase di decomposizione è marcata da una perdita di controllo crescente da parte della borghesia, questo riguarda anche gli enormi mezzi di distruzione – nucleari, convenzionali, biologici e chimici – che sono stati accumulati dalla classe dirigente, e che sono ora più largamente distribuiti attraverso un numero di Stati-nazione molto più importante che in precedenza. Anche se non assistiamo a una marcia controllata verso una guerra condotta da blocchi militari disciplinati, non possiamo escludere il pericolo di fiammate militari unilaterali o anche di incidenti spaventosi che segnerebbero una nuova accelerazione allo scivolamento verso la barbarie.
14. Per la prima volta nella storia del capitalismo al di fuori di una situazione di guerra mondiale l’economia si è trovata direttamente e profondamente toccata da un fenomeno – la pandemia di Covid-19 – che non è legato direttamente alle contraddizioni dell’economia capitalista. L’ampiezza e l’importanza della pandemia, prodotto dell’agonia di un sistema in piena decomposizione e diventato completamente obsoleto, illustrano il fatto senza precedenti che il fenomeno della decomposizione capitalista intacca ormai anche l’insieme dell’economia capitalista in maniera massiccia e su scala mondiale.
Questa irruzione degli effetti della decomposizione nella sfera economica influenza direttamente l’evoluzione della nuova fase di crisi aperta, inaugurando una situazione totalmente inedita nella storia del capitalismo. Gli effetti della decomposizione, alterando profondamente i meccanismi del capitalismo di Stato messi in atto finora per “accompagnare” e limitare l’impatto della crisi, introducono nella situazione un fattore di instabilità e di fragilità, e di incertezza crescente.
Il caos che si impadronisce dell’economia capitalista conferma l’idea di Rosa Luxemburg secondo cui il capitalismo non conoscerà un crollo puramente economico: “Con quanta maggior potenza il capitale, grazie al militarismo, fa piazza pulita, in patria e all’estero, degli strati non-capitalistici e deprime il livello di vita di tutti i ceti che lavorano, tanto più la storia quotidiana dell’accumulazione del capitale sulla scena del mondo si tramuta in una catena continua di catastrofi e convulsioni politiche e sociali, che, insieme con le periodiche catastrofi economiche rappresentate dalle crisi, rendono impossibile la continuazione dell’accumulazione e necessaria la rivolta della classe operaia internazionale al dominio del capitale, prima ancora che, sul terreno economico, esso sia andato ad urtare contro le barriere naturali elevate dal suo stesso sviluppo.” (L’accumulazione del capitale, cap. 32, Edizioni Einaudi, pag. 469).
15. Colpendo un sistema capitalista che già dall’inizio del 2018 entrava in un netto rallentamento, la pandemia ha rapidamente concretizzato la predizione del 23° congresso della CCI secondo cui noi ci dirigiamo verso una nuova caduta nella crisi aperta.
La violenta accelerazione della crisi economica – e il terrore della borghesia – si misurano attraverso la muraglia di debito elevata in tutta fretta per preservare il sua apparato produttivo dal fallimento e mantenere un minimo di coesione sociale.
Una delle manifestazioni più importanti della gravità della crisi attuale, contrariamente ai momenti di crisi economica aperta e alla crisi del 2008, risiede nel fatto che i paesi centrali (Germania, Cina e Stati Uniti) sono stati tutti colpiti simultaneamente e sono fra i più toccati dalla recessione con un forte ribasso del tasso di crescita nel 2020. Gli Stati più deboli a loro volta vedono le loro economie strangolate dall’inflazione, dalla crollo del valore delle loro monete e dalla pauperizzazione.
Dopo quattro decenni di ricorso al credito e all’indebitamento per contrastare la crescente tendenza alla sovrapproduzione, attraversati da recessioni sempre più profonde e da riprese sempre più limitate, la crisi del 2007-2009 aveva già marcato una tappa nell’infognamento del sistema capitalista nella sua crisi irreversibile. Se l’intervento massiccio degli Stati ha potuto salvare il sistema bancario dal fallimento completo spingendo il debito a livelli ancora più vertiginosi, le cause della crisi del 2007-11 non sono state ancora superate. Le contraddizioni della crisi sono passate a uno stadio superiore con il peso schiacciante del debito sugli stessi Stati. I tentativi di rilancio delle economie non sono sfociati in una vera ripresa: fatto senza precedenti dopo la Seconda Guerra Mondiale, al di fuori degli Stati Uniti, della Cina e, in misura minore, della Germania, i livelli di produzione di tutti i grandi paesi del mondo sono rimasti fermi o anche ridotti tra il 2013 e il 2018. L’estrema fragilità di questa “ripresa”, che conteneva tutte le condizioni di un nuovo significativo deterioramento dell’economia mondiale, presagiva già la situazione attuale.
Nonostante l’ampiezza storica dei piani di rilancio e stante il caotico sfacelo dell’economia non è ancora possibile prevedere come – e in che misura – la borghesia arriverà a stabilizzare la situazione, caratterizzata da ogni sorta di incertezze, con in primo luogo l’evoluzione della pandemia stessa.
Contrariamente a quello che la borghesia ha potuto fare nel 2008, riunendo il G7 e il G20, organismi che riuniscono i principali Stati capitalisti, e mettendosi d’accordo su una risposta coordinata alla crisi del credito, oggi ogni capitale nazionale reagisce in ordine disperso, senza nessuna preoccupazione se non il rilancio della propria macchina economica e della propria sopravvivenza sul mercato mondiale, senza concertazione tra le principali componenti del sistema capitalista. Il ciascuno per sé predomina in maniera decisiva.
L’apparente eccezione del piano europeo di rilancio, che comprende la mutualizzazione dei debiti tra i paesi dell’UE, si spiega con la coscienza dei due principali Stati di questa della necessità di un minimo di cooperazione tra di loro come condizione per evitare una destabilizzazione maggiore della UE, per far fronte ai loro principali rivali cinese e americano, e scongiurare il rischio di un declassamento accelerato della loro posizione nell’arena mondiale.
La contraddizione fra la necessità di contenere la pandemia e di evitare la paralisi della produzione ha portato alla “guerra delle mascherine” e alla “guerra dei vaccini”. Questa guerra dei vaccini, riguardante la loro produzione e la loro distribuzione, è un’immagine del crescente disordine in cui sprofonda l’economia mondiale.
Dopo il crollo del blocco dell’est, la borghesia ha fatto di tutto per mantenere una certa collaborazione fra gli Stati, in particolare appoggiandosi sugli organi di regolazione internazionale ereditati dal periodo dei blocchi imperialisti. Questo quadro della “globalizzazione” ha permesso di limitare l’impatto della fase della decomposizione sull’economia, spingendo all’estremo la possibilità di “associare” le nazioni a diversi livelli dell’economia – finanziario, produttivo, ecc.
Con l’aggravarsi della crisi e delle rivalità imperialiste, le istituzioni e i meccanismi multilaterali erano già messi alla prova dal fatto che le principali potenze sviluppavano sempre più politiche proprie, in particolare la Cina, con la costruzione della vasta rete parallela delle Nuove via della seta, e gli Stati Uniti che tendevano a voltare le spalle a queste istituzioni perché sempre più inadatte a preservare la loro posizione dominante. Già il populismo si presentava come un fattore di aggravamento della situazione economica introducendo un elemento di incertezza di fronte alle minacce della crisi. La sua ascesa al potere in diversi paesi ha accelerato il deterioramento dei mezzi imposti dal capitalismo dopo il 1945 per evitare ogni deriva verso un ripiegamento sul quadro nazionale che avrebbe favorito il contagio incontrollato della crisi economica.
Lo scatenamento del ciascuno per sé discende dalla contraddizione del capitalismo tra la scala sempre più globale della produzione e la struttura nazionale del capitale, contraddizione esacerbata dalla crisi. Provocando un caos crescente in seno all’economia mondiale (con la tendenza alla frammentazione delle catene produttive e la frammentazione del mercato mondiale in zone regionali, al rafforzamento del protezionismo e alla moltiplicazione delle misure unilaterali), questo movimento totalmente irrazionale di ogni nazione a salvare la propria economia a detrimento di tutte le altre è contro produttivo per ogni capitale nazionale e un disastro a livello mondiale, un fattore decisivo di deterioramento dell’insieme dell’economia mondiale.
Questo scivolamento delle fazioni borghesi considerate più “responsabili” verso una gestione sempre più irrazionale e caotica del sistema, e soprattutto l’avanzata senza precedenti della tendenza al ciascuno per sé, rivelano una crescente perdita di controllo sul proprio sistema da parte della classe dominante.
16. Sola nazione ad aver avuto un tasso di crescita positivo nel 2020 (2%), la Cina non è uscita trionfante o rafforzata dalla crisi pandemica, anche se essa ha momentaneamente guadagnato terreno a detrimento dei suoi rivali. Al contrario, la degradazione continua della crescita della sua economia, la più indebitata del mondo, che comporta anche un debole tasso di utilizzazione della capacità produttive e una proporzione di “imprese zombie” superiore al 30%, testimonia l’incapacità della Cina a giocare ormai il ruolo, che le è appartenuto nel 2008-2011, nel rilancio dell’economia mondiale.
La Cina deve fare i conti con la riduzione dei mercati mondiali, con la volontà di numerosi Stati di liberarsi dalla loro dipendenza rispetto alla produzione cinese e con il rischio di insolvibilità di un certo numero di paesi implicati nel progetto di Via della seta che sono tra i più duramente colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia. Il governo cinese prosegue quindi con l’orientamento di uno sviluppo economico interno del piano “Made in Cina 2025”, e del modello di circolazione “duale”, finalizzato a compensare la perdita della domanda estera con lo stimolo alla domanda interna. Questo cambiamento di politica non rappresenta tuttavia un “ripiegamento su sé stesso”, perché l’imperialismo cinese non vuole e non può voltare le spalle al mondo. Al contrario, l’obiettivo di questo cambiamento è di guadagnare una autarchia nazionale a livello delle tecnologie chiave al fine di essere tanto più capace di guadagnare terreno al di là delle proprie frontiere. Ciò rappresenta una nuova tappa nello sviluppo della sua economia di guerra. Tutto questo provoca pesanti conflitti in seno alla classe dirigente, tra i partigiani della direzione dell’economia del Partito Comunista cinese e quelli legati all’economia di mercato e al settore privato, tra i “pianificatori” del potere centrale e le autorità locali che vogliono esse stesse orientare gli investimenti. Sia negli Stati Uniti (rispetto ai giganti tecnologici “GAFA” della Silicon Valley) che – e con maggiore risolutezza – in Cina (rispetto ad Ant International, Alibabà, ecc.) si osserva una forte tendenza dell’apparato di Stato centrale a ridurre la taglia delle imprese diventate troppo grandi (e troppo potenti) per essere controllate.
17. Le conseguenze della distruzione sfrenata dell’ambiente da parte di un capitalismo in decomposizione, i fenomeni risultanti dai cambiamenti climatici e dalla distruzione della biodiversità, portano innanzitutto a una pauperizzazione crescente delle parti più deboli della popolazione mondiale (Africa subsahariana e Asia meridionale) o di quelle in preda a conflitti militari. Ma essi toccano sempre più tutte le economie, quelle dei paesi sviluppati in testa.
Attualmente si assiste alla moltiplicazione di fenomeni meteorologici estremi, a piogge e inondazioni estremamente violente, a vasti incendi che comportano enormi perdite finanziarie nelle città e nelle campagne per la distruzione di infrastrutture vitali (città, strade, istallazioni fluviali, ecc.). Questi fenomeni perturbano il funzionamento dell’apparato produttivo industriale e indeboliscono anche la capacità produttiva dell’agricoltura. La crisi climatica mondiale e la disorganizzazione crescente del mercato mondiale dei prodotti agricoli che ne risultano minacciano la sicurezza ambientale di numerosi Stati.
Il capitalismo in decomposizione non possiede i mezzi per lottare veramente contro il riscaldamento climatico e la devastazione ecologica. Questi hanno già un impatto sempre più negativo sulla riproduzione del capitale e non possono che costituire un ostacolo al ritorno delle crescita economica.
Motivata dalla necessità di rimpiazzare le industrie pesanti obsolete e i combustibili fossili, la “economia verde” non rappresenta uno sbocco per il capitale, né sul piano ecologico né su quello economico. Le sue filiere produttive non sono più verdi o meno inquinanti. Il sistema capitalista non ha la capacità di impegnarsi in una “rivoluzione verde”. Le azioni della classe dominante su questo piano acuiscono inevitabilmente una competizione economica distruttrice e le rivalità imperialiste. L’emergenza di nuovi settori potenzialmente redditizi, come la produzione di veicoli elettrici, potrebbe al massimo apportare dei benefici a certe parti delle economie più forti, ma tenuto conto dei limiti dei mercati solvibili, e dei crescenti problemi provocati dall’utilizzazione sempre più massiccia della creazione di moneta e dell’indebitamento, essi non potranno servire da locomotiva per l’insieme dell’economia.
La “economia verde” costituisce soprattutto un veicolo privilegiato di potenti mistificazioni ideologiche sulla possibilità di riformare il capitalismo e un’arma contro la classe operaia, con la giustificazione delle chiusure di fabbriche e dei licenziamenti.
18. A causa delle crescenti tensioni imperialiste, tutti gli Stati aumentano il loro sforzo militare, sia in volume che in durata. La sfera militare si estende sempre più a nuove “zone di conflitto”, come la cybersicurezza e la militarizzazione crescente dello spazio. Tutte le potenze nucleari rilanciano con discrezione i loro programmi atomici. Tutti gli Stati modernizzano e adattano le loro forze armate.
Questa folle corsa agli armamenti, a cui ogni Stato è irrimediabilmente condannato dalle esigenze della concorrenza interimperialista, è tanto più irrazionale in quanto il crescente peso dell’economia di guerra e della produzione di armi assorbe una parte considerevole della ricchezza nazionale: questa massa gigantesca di spese militari in tutto il mondo, anche se costituisce una fonte di profitto per i mercanti d’armi, dal punto di vista del capitale globale rappresenta una sterilizzazione e una distruzione di capitale. Gli investimenti realizzati nella produzione e nella vendita di armi e di attrezzature militari non costituiscono per niente un punto di partenza o una fonte di accumulazione di nuovi profitti: una volta prodotte o acquistate, le armi non possono servire che a seminare morte e distruzione o a essere sostituite quando sono diventate obsolete. Completamente improduttive, queste spese hanno: “un impatto economico (…) disastroso per il capitale. Di fronte a dei deficit statali già incontrollabili, l’aumento massiccio delle spese militari, che la crescita degli antagonismi interimperialisti rende necessario, è un peso economico che non fa che accelerare la discesa del capitalismo nell’abisso.” (Rapporto sulla situazione Internazionale del 5° Congresso della CCI, "Rapport sur la situation internationale ,Revue internationale n° 35).
19. Dopo decenni di debiti giganteschi, l’iniezione massiccia di liquidità degli ultimi piani di sostegno all’economia sorpassano di molto il volume degli interventi precedenti. I miliardi di dollari sbloccati dai piani americani, europei e cinesi hanno portato il debito mondiale al 365% del Prodotto Interno Lordo mondiale.
Il debito, che non ha smesso di essere utilizzato dal capitalismo lungo tutto il suo periodo di decadenza come palliativo alla crisi di sovrapproduzione, significa rimandare le scadenze nel futuro, anche a prezzo di convulsioni ancora più gravi. Oggi esso raggiunge livelli senza precedenti. Dopo la Grande Depressione degli anni ’30 la borghesia ha mostrato tutta la sua determinazione a mantenere in vita il suo sistema sempre più minacciato dalla sovrapproduzione e dalla ristrettezza dei mercati attraverso la sofisticazione dell’intervento dello Stato per esercitare un controllo generale sull’economia. Ma essa non dispone di nessun mezzo per attaccare le cause reali della crisi. Anche se non esiste un limite fisso e predeterminato alla fuga in avanti nell’indebitamento, un punto a partire dal quale diventerebbe impossibile continuare, questa politica non può continuare all’infinito senza che la crescita del debito abbia delle gravi ripercussioni sulla stabilità del sistema, come mostrato dall’ampiezza e dal ritmo sempre più frequente delle crisi dell’ultimo decennio, ma anche perché una tale politica si dimostra essere, dopo almeno quattro decenni, sempre meno efficace per rilanciare l’economia mondiale.
Il peso del debito non solo condanna il sistema capitalista a delle convulsioni sempre più devastatrici (fallimenti di imprese o anche di Stati, crisi finanziarie e monetarie, ecc.) ma, restringendo sempre di più la capacità degli Stati di barare con le leggi del capitalismo, finisce anche con l’ostacolare la capacità di questi di rilanciare le loro rispettive economie nazionali.
La crisi che si sviluppa ormai da decenni è destinata a diventare la più grave del periodo di decadenza, e la sua portata storica supererà anche la prima crisi di questa epoca, quella iniziata nel 1929. Dopo più di 100 anni di decadenza capitalista, con un’economia devastata dal settore militare, indebolita dall’impatto della distruzione ambientale, profondamente alterata nei suoi meccanismi di riproduzione dal debito e dalla manipolazione dello Stato, in preda alla pandemia e che soffre sempre più tutti gli altri effetti della decomposizione, è illusorio pensare che in queste condizioni ci sarà una ripresa durevole dell’economia mondiale.
20. Allo stesso tempo i rivoluzionari non devono essere tentati di cadere in una visione “catastrofista” di un’economia mondiale sull’orlo di un crollo finale. La borghesia continuerà a battersi fino alla morte per la sopravvivenza del suo sistema, che sia attraverso mezzi direttamente economici (come lo sfruttamento di risorse finora non utilizzate e di nuovi mercati potenziali, quelli illustrati dal progetto cinese della Nuova via della seta) o politici, soprattutto la manipolazione del credito e le forzature con la legge del valore. Ciò significa che ci possono sempre essere delle fasi di stabilizzazione tra convulsioni economiche che avranno conseguenze sempre più profonde.
21. Il ritorno di una sorta di “neokeynesianesimo” iniziato con gli enormi impegni di spesa dell’amministrazione Biden e i provvedimenti per l’aumento delle imposte sulle società – motivato anche dalla necessità di mantenere la coesione della società borghese e dal bisogno altrettanto pressante di far fronte all’aggravamento delle tensioni imperialiste – mostra la volontà della classe dirigente di sperimentare differenti forme di gestione economica, soprattutto perchè le deficienze delle politiche neo-liberali lanciate neghi anni di Reagan e Thatcher sono state pesantemente messe in evidenza dall’insorgere della crisi pandemica. Ciononostante questi cambiamenti di politica non possono impedire all’economia mondiale di oscillare tra il doppio pericolo dell’inflazione e della deflazione, di nuove crisi del credito e di crisi monetarie che portano tutte a delle recessioni brutali.
22. La classe operaia paga un pesante tributo alla crisi. Innanzitutto perché è la più direttamente esposta alla pandemia e quindi è la principale vittima della propagazione dell’infezione, poi perché la caduta dell’economia scatena gli attacchi più gravi dalla Grande Depressione, su tutti i piani delle sue condizioni di vita e di lavoro, anche se non tutti saranno toccati alla stessa maniera.
La distruzione di posti di lavoro, nel 2020 quattro volte più importante che nel 2009, non ha ancora rivelato tutta l’ampiezza del considerevole aumento della disoccupazione di massa che si annuncia. Benché le sovvenzioni pubbliche accordate in certi paesi ai disoccupati parziali cerchino di attenuare lo choc sociale (negli Stati Uniti, per esempio, nel corso del primo anno della pandemia, il reddito medio dei salariati, secondo le statistiche ufficiali, è aumentato – per la prima volta, nella storia del capitalismo, durante un periodo di depressione) milioni di posti di lavoro spariranno nel prossimo periodo.
L’aumento esponenziale del lavoro precario e la diminuzione generale dei salari provocheranno un aumento gigantesco della pauperizzazione, che colpisce già molti lavoratori. Il numero di vittime della carestia nel mondo si è moltiplicato per due e la fame ricompare nei paesi occidentali. Per quelli che mantengono un lavoro, il carico di lavoro e il ritmo di sfruttamento si vanno aggravando.
La classe operaia non può aspettarsi niente dagli sforzi della borghesia per “normalizzare” la situazione economica, se non licenziamenti e riduzione dei salari, l’aumento dello stress e dell’ansia, drastici aumenti delle misure di austerità a tutti i livelli, nella scuola come nelle pensioni di invalidità e nelle prestazioni sociali. In breve, noi assisteremo a una degradazione delle condizioni di vita e di lavoro a un livello che nessuna generazione, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha conosciuto.
23. Poiché il modo di produzione capitalista è entrato nella sua decadenza, cresce la pressione per lottare contro questo declino attraverso misure di capitalismo di Stato. Tuttavia, la tendenza al rafforzamento degli organi e delle forme di capitalismo di Stato è tutto salvo che un rafforzamento del capitalismo; al contrario, esse esprimono le crescenti contraddizioni sul terreno economico e politico. Con l’accelerazione della decomposizione nel disastro della pandemia, noi vediamo un forte aumento delle misure di capitalismo di Stato; queste non sono l’espressione di un più grande controllo dello Stato sulla società, ma costituiscono piuttosto l’espressione delle crescenti difficoltà ad organizzare la società nel suo insieme e ad impedire la sua crescente tendenza alla frammentazione.
24. All’inizio degli anni ’90 la CCI ha riconosciuto che il crollo del blocco dell’Est, e l’apertura definitiva della fase di decomposizione avrebbero creato delle difficoltà crescenti per il proletariato: l’incapacità a riappropriarsi della sua prospettiva politica e storica che era già stato un elemento centrale delle difficoltà della classe operaia negli anni’80 sarebbe stata seriamente aggravata dalle assordanti campagne sulla morte del comunismo; in legame con questo, il sentimento di identità di classe del proletariato sarebbe stato severamente indebolito dal nuovo periodo, allo stesso tempo per gli effetti dell’atomizzazione e delle divisioni della decomposizione sociale, e per gli sforzi coscienti della classe dominante per acuire questi effetti con campagne ideologiche (la “fine della classe operaia”) e i cambiamenti materiali prodotti dalla politica di globalizzazione (eliminazione dei centri tradizionali della lotta di classe, delocalizzazione delle industrie verso regioni del mondo in cui la classe operaia non ha lo stesso grado di esperienza storica, ecc.).
25. La CCI ha avuto tendenza a sottostimare la profondità e la durata di questo riflusso della lotta di classe, vedendo spesso dei segni che la portavano a pensare che il riflusso era sul punto di essere superato e che avremmo visto, a breve, nuove ondate internazionali di lotta come nel periodo successivo al 1968. Nel 2003, sulla base di nuove lotte in Francia, in Austria e altrove, la CCI aveva predetto una ripresa delle lotte da parte di una nuova generazione di proletari che era stata meno influenzata dalle campagne anticomuniste e destinata a confrontarsi con un futuro sempre più incerto. In buona misura queste predizioni sono state confermate dagli avvenimenti del 2006-2007, in particolare con la lotta contro il CPE (Contratto di Primo Impiego) in Francia, e del 2010-2011, in particolare con il movimento degli Indignati in Spagna. Questi movimenti hanno mostrato degli avanzamenti importanti a livello della solidarietà fra le generazioni, dell’autoorganizzazione con lo strumento delle assemblee, della cultura del dibattito, delle preoccupazioni reali sull’avvenire prospettato alla classe operaia e all’umanità nel suo insieme. In questo senso essi hanno mostrato il potenziale di una unificazione delle dimensioni economiche e politiche della lotta di classe. Ciononostante, abbiamo avuto bisogno di molto tempo per capire le immense difficoltà a cui era confrontata questa nuova generazione, cresciuta nelle condizioni della decomposizione, difficoltà che avrebbero impedito al proletariato di invertire il riflusso post-’89 durante questo periodo.
26. Un elemento chiave di queste difficoltà è nell’erosione continua dell’identità di classe. Questo era già visibile nelle lotte del 2010-2011, in particolare nel movimento in Spagna: nonostante gli avanzamenti importanti realizzati a livello della coscienza e dell’organizzazione, la maggioranza si vedeva come dei “cittadini” piuttosto che come membri di una classe, cosa che la rendeva vulnerabile alle illusioni democratiche portate avanti da gruppi come Democracia Ya! (il futuro Podemos), ed in seguito al veleno del nazionalismo catalano e spagnolo. Nel corso degli anni seguenti il riflusso che si è prodotto dopo questi movimenti è stato approfondito dall’ascesa del populismo, che ha creato nuove divisioni in seno alla classe operaia internazionale – divisioni che sfruttano le differenze nazionali ed etniche, alimentate dagli atteggiamenti pogromisti della destra populista, ma anche delle divisioni politiche create dalla contrapposizione populismo e anti-populismo. Dappertutto nel mondo la collera e il malcontento crescono, a causa delle gravi privazioni materiali e delle ansie reali rispetto all’avvenire; ma in assenza di una risposta proletaria, gran parte di questo malcontento è stato canalizzato in rivolte interclassiste come quella dei Gilet Gialli in Francia, in campagne parcellari su un terreno borghese come le marce per il clima, in movimenti per la democrazia contro la dittatura (Hong Kong, Bielorussia, Myanmar, ecc.) o nell’intreccio inestricabile delle politiche identitarie razziali e sessuali che servono innanzitutto a oscurare la questione cruciale dell’identità di classe proletaria come sola base per un’autentica risposta alla crisi del modo di produzione capitalista. La proliferazione di questi movimenti – che si tratti delle rivolte interclassiste o delle mobilitazioni apertamente borghesi – ha aumentato le difficoltà già considerevoli non solo per la classe operaia nel suo insieme ma per la stessa Sinistra comunista, per le organizzazioni che hanno la responsabilità di definire e difendere il terreno di classe. Un esempio chiaro di questo è stata l’incapacità dei bordighisti e della Tendenza Comunista Internazionale a riconoscere che la collera provocata dall’uccisione di George Floyd da parte della polizia nel maggio 2020 era stata immediatamente deviata verso dei canali borghesi. Ma anche la CCI ha conosciuto importanti problemi di fronte a questo ventaglio di movimenti spesso sconcertanti, e, nel quadro del suo esame critico degli ultimi 20 anni, dovrà seriamente esaminare la natura e l’estensione degli errori commessi nel corso del periodo che va dalla primavera araba del 2011 a queste rivolte e mobilitazioni più recenti, passando per le manifestazioni cosiddette “delle candele” in Corea del sud.
27. La pandemia in particolare ha creato delle difficoltà considerevoli per l classe operaia:
• La maggioranza degli operai riconoscono la realtà di questa malattia e i pericoli reali che rappresentano gli assembramenti numerosi, con la conseguente impossibilità di assemblee generali e di manifestazioni operaie; il proletariato è confrontato non solo alla borghesia, ma anche, e in un senso più immediato, al virus. In generale la situazioni in cui le catastrofi giocano un ruolo preponderante non sono favorevoli allo sviluppo della lotta di classe. L’indignazione di Voltaire contro la natura a causa del terremoto di Lisbona non si è generalizzata. Contrariamente al “sisma sociale” dello sciopero di massa del 1905, il terremoto di S. Francisco del 1906 non ha fatto avanzare la causa del proletariato, lo stesso per quello di Tokyo del 1923.
• Come sempre, la borghesia non esita ad utilizzare gli effetti della decomposizione contro la classe operaia. Se i confinamenti sono stati principalmente motivati dal fatto che la borghesia non aveva altro mezzo per impedire la diffusione della malattia, essa ha approfittato della situazione per rafforzare l’atomizzazione e lo sfruttamento della classe operaia, in particolare con lo strumento del nuovo modello dello “smart working”. Questa nuova tappa nell’atomizzazione della popolazione attiva è fonte di una sofferenza psicologica crescente, in particolare presso i giovani (con anche la crescita dei cassi di suicidio);
• Ancora, la classe dirigente ha approfittato delle condizioni della pandemia per rafforzare i suoi sistemi di sorveglianza di massa e per introdurre nuove leggi repressive per limitare le proteste e le manifestazioni, nonché una violenza della polizia sempre più evidente contro ogni espressione di malcontento sociale;
• Il massiccio aumento della disoccupazione risultante dal confinamento non costituirà, in questa situazione e a breve termine, un fattore di unificazione delle lotte operaie, ma avrà piuttosto tendenza ad aumentare l’atomizzazione:
• Benchè il confinamento abbia provocato una grande malcontento sociale, quando questo si è espresso in maniera aperta, come in Spagna a febbraio e in Germania in aprile 2021, esso ha preso la forma di manifestazioni “per la libertà individuale” che costituiscono un completo vicolo cieco per la classe operaia;
• Più in generale, il periodo di pandemia ha visto una nuova recrudescenza della “politica identitaria”, in cui l’insoddisfazione esistente rispetto all’attuale sistema viene frammentata in un uragano di identità che si affrontano, sulla base della razza, del genere, della cultura, ecc. e che costituiscono un ostacolo maggiore per il ristabilimento della sola identità capace di unificare dietro di sè e di liberare l’insieme dell’umanità: l’identità di classe proletaria. In più, dietro questo caos di identità in concorrenza che penetra l’insieme della popolazione, si nasconde la concorrenza tra differenti fazioni borghesi di destra e di sinistra, con il pericolo di trascinare la classe operaia in nuove forme di una reazionaria “lotta culturale” e anche di una guerra civile violenta.
28. Nonostante gli enormi problemi a cui è confrontato il proletariato, noi rigettiamo l’idea che la classe è già vinta a livello mondiale, o che essa sia sul punto di subire una sconfitta comparabile a quella del periodo di controrivoluzione, un tipo di sconfitta da cui il proletariato non sarebbe più capace di riprendersi. Il proletariato, in quanto classe sfruttata, non può evitare di passare per la scuola delle sconfitte, ma la questione centrale è di sapere se il proletariato è già stato così sommerso dall’avanzata implacabile della decomposizione che il suo potenziale rivoluzionario sia stato effettivamente intaccato. Misurare una tale sconfitta nella fase di decomposizione è un compito ben più complesso rispetto al periodo che ha preceduto la Seconda Guerra mondiale, quando il proletariato si era apertamente sollevato contro il capitalismo ed era stato schiacciato da una serie di sconfitte frontali, o rispetto al periodo che ha seguito il 1968, quando il principale ostacolo alla marcia della borghesia verso una nuova guerra mondiale fu la ripresa della lotta di classe da parte di una nuova generazione non sconfitta di proletari. Come abbiamo già ricordato, la fase di decomposizione contiene in effetti il pericolo che il proletariato non riesca semplicemente a rispondere e sia soffocato sul un lungo periodo – una morte lenta invece che in uno scontro di classe frontale. Nondimeno noi affermiamo che ci sono ancora sufficienti elementi che mostrano che malgrado l’avanzata incontestabile della decomposizione, malgrado il fatto che il tempo non gioca in favore della classe operaia, il potenziale di una profonda rinascita proletaria – che potrebbe portare a una riunificazione tra le dimensioni economiche e politiche della lotta di classe – non è scomparso, come confermato da:
• la persistenza di importanti movimenti proletari che si sono avuti durante la fase di decomposizione (2006-7, 2010-11, etc.);
• prima della pandemia si sono avuti diversi segni embrionari e molto fragili di riapparizione della lotta di classe, in particolare in Francia nel 2019. E anche se questa dinamica è stata in seguito largamente bloccata dalla pandemia e i confinamenti, si sono avuti, in un certo numero di paesi, dei movimenti di classe significativi, in particolare intorno alle questioni di sicurezza sul lavoro, soprattutto sanitaria, anche durante la pandemia;
• i segni, piccoli ma significativi, di una maturazione sotterranea della coscienza, manifestatasi con un inizio di riflessione globale sul fallimento del capitalismo e la necessità di un’altra società in certi movimenti (soprattutto gli Indignati nel 2011), ma anche con l’emergenza di giovani elementi in ricerca di posizioni di classe e che si indirizzano verso l’eredità della Sinistra comunista;
• più importante ancora, la situazione a cui la classe operaia è confrontata non è quella che ha seguito il crollo del blocco dell’est e l’apertura della fase di decomposizione nel 1989. Allora era possibile presentare questi avvenimenti come la prova della morte del comunismo e della vittoria del capitalismo e l’inizio di un avvenire radioso per l’umanità. Trenta anni di decomposizione hanno seriamente sconfessato questo inganno ideologico di un avvenire migliore, e la pandemia in particolare ha messo in evidenza l’irresponsabilità e la negligenza di tutti i governi capitalisti e la realtà di una società dilaniata da profonde divisioni economiche in cui non siamo per niente “tutti nella stessa barca”. Al contrario, la pandemia e il confinamento hanno teso a rivelare la condizione della classe operaia allo stesso tempo come principale vittima della crisi sanitaria ma anche come fonte di tutto il lavoro e di tutta la produzione materiale, e in particolare dei generi di prima necessità. Questo può essere una delle basi di un futuro recupero dell’identità di classe. E, insieme alla crescente comprensione che il capitalismo è un modo di produzione totalmente obsoleto, questo ha già giocato come fattore per l’apparizione di minoranze politicizzate la cui motivazione è stata innanzitutto quella di comprendere la situazione drammatica a cui l’umanità è confrontata.
• Infine, a un livello storico più ampio, il processo di decomposizione non ha eliminato il carattere associato del lavoro sotto il capitalismo. Questo permane nonostante l’atomizzazione sociale generata dalla decomposizione, malgrado i tentativi deliberati di frammentare la manodopera con stratagemmi tipo la “uberizzazione” dell’economia, malgrado le campagne ideologiche finalizzate a presentare i settori più istruiti del proletariato come la “classe media”. Il capitale mobilita sempre più lavoratori nel mondo, il processo di proletarizzazione e quindi di sfruttamento del lavoro vivo è ininterrotto. La classe operaia oggi è più numerosa e più interconnessa che mai, ma con l’avanzare della decomposizione l’atomizzazione sociale e l’isolamento si intensificano. Questo si esprime anche nelle difficoltà della classe operaia a fare l’esperienza della propria identità di classe. Non è che con le sue lotte sul proprio terreno di classe che la classe operaia è capace di creare il suo potere “associativo” che esprime un’anticipazione del lavoro associato nel comunismo. I lavoratori sono riuniti dal capitale nel processo di produzione, il lavoro associato è realizzato sotto costrizione, ma il carattere rivoluzionario del proletariato significa il rovesciamento dialettico di queste condizioni nella lotta collettiva. Lo sfruttamento del lavoro comune è rovesciato nella lotta contro lo sfruttamento e per la liberazione del carattere sociale del lavoro, per una società che sappia utilizzare coscientemente tutto il potenziale del lavoro associato. Così la lotta difensiva della classe operaia contiene i germi delle relazioni sociali qualitativamente più elevate che sono lo scopo finale della sua lotta – quello che Marx chiamava i “produttori liberamente associati”. Attraverso l’associazione, attraverso la riunione di tutte le sue componenti, di tutte le sue capacità e di tutte le sue esperienze, il proletariato può diventare possente, può diventare il combattente sempre più cosciente e unito per una umanità liberata e il suo segno annunciatore.
29. A dispetto della tendenza del processo di decomposizione ad agire sulla crisi economica, quest’ultima resta la “alleata del proletariato” in questa fase. Come dicevamo nelle Tesi sulla decomposizione:
"l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità. E ciò in particolare perché:
• se gli effetti della decomposizione (per esempio 1’inquinamento, la droga, l’insicurezza, ecc.) colpiscono indistintamente tutti gli strati della società e costituiscono un terreno propizio alle campagne ed alle mistificazioni aclassiste (ecologia, movimenti antinucleari, mobilitazioni antirazziste, ecc.), gli attacchi economici (abbassamento del salario reale, licenziamenti, aumento dei ritmi, ecc.) che derivano direttamente dalla crisi colpiscono in modo specifico il proletariato (cioè la classe che produce il plusvalore e che si scontra col capitale su questo terreno);
• la crisi economica, contrariamente alla decomposizione sociale che concerne essenzialmente le sovra-strutture, è un fenomeno che colpisce direttamente l’infrastruttura della società sulla quale riposano queste sovrastrutture; in questo senso, essa mette a nudo le cause ultime dell’insieme della barbarie che si abbatte sulla società, permettendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente sistema, e non di cercare di migliorare degli aspetti di questo.” (Tesi 17)
30. Di conseguenza noi dobbiamo rigettare ogni tendenza a minimizzare l’importanza delle lotte economiche « difensive » della classe, che è una espressione tipica della concezione modernista che non vede la classe che come una categoria sfruttata e non anche come una forza storica, rivoluzionaria, E’ certamente vero che la lotta economica da sola non può bloccare la decomposizione : come dicono le Tesi sulla decomposizione “Per mettere fine alla minaccia che costituisce la decomposizione, le lotte operaie di resistenza agli effetti della crisi non bastano più: solo la rivoluzione comunista può mettere fine a tale minaccia.”
Ma è un profondo errore perdere di vista l’interazione costante e dialettica tra gli aspetti economici e politici della lotta, come sottolineava Rosa Luxemburg nel suo lavoro sullo Sciopero di massa del 1905; ed ancora nel fuoco della rivoluzione tedesca del 1918-19, quando la dimensione “politica” era in atto, lei insistette sul fatto che il proletariato doveva continuare a sviluppare le sue lotte economiche, come sola base per organizzarsi e unificarsi in quanto classe. Sarà la combinazione della ripresa delle lotte difensive su un terreno di classe, destinate a scontrarsi ai limiti oggettivi della società borghese in decomposizione e fertilizzate dall’intervento della minoranza rivoluzionaria, che permetterà alla classe operaia di realizzare la politicizzazione pienamente proletaria necessaria per indirizzarsi di nuovo verso la sua prospettiva rivoluzionaria e far uscire l’umanità dall’incubo del capitalismo in decomposizione.
31. In un primo periodo, la riscoperta dell’identità e della combattività di classe costituirà una forma di resistenza contro gli effetti corrosivi della decomposizione capitalista – un’arma contro la frammentazione della classe operaia e la divisione tra le sue differenti parti. Senza lo sviluppo della lotta di classe, fenomeni come quelli della distruzione dell’ambiente e la proliferazione del caos militare tendono a rinforzare il sentimento di impotenza e il ricorso a false soluzioni tipo l’ecologismo e il pacifismo. Ma ad uno stadio più sviluppato della lotta, nel contesto di una situazione rivoluzionaria, la realtà di queste minacce per la sopravvivenza della specie umana diviene un fattore di comprensione del fatto che il capitalismo ha effettivamente raggiunto la fase terminale del suo declino e che la rivoluzione è la sola soluzione possibile. In particolare, le pulsioni guerriere del capitalismo – soprattutto quando esse implicano direttamente o indirettamente le grandi potenze –possono essere un fattore importante nella politicizzazione della lotta di classe, giacché esse implicano allo stesso tempo un aumento molto concreto dello sfruttamento e del pericolo fisico, ma anche una conferma supplementare del fatto che la società è confrontata alla scelta capitale tra socialismo o barbarie. Da fattori di smobilitazione e di disperazione, queste minacce possono rafforzare la determinazione del proletariato a farla finita con questo sistema moribondo.
• “Allo stesso modo, in tutto il periodo futuro, il proletariato non può sperare di utilizzare a proprio beneficio l’indebolimento che la decomposizione provoca all’interno della borghesia. In questo periodo il suo obbiettivo sarà quello di resistere agli effetti nocivi della decomposizione al suo interno contando solo sulle proprie forze, sulla propria capacità di battersi in maniera collettiva e solidale in difesa dei propri interessi in quanto classe sfruttata (anche se la propaganda dei rivoluzionari deve sottolineare in permanenza i pericoli della decomposizione). Solo nel periodo prerivoluzionario, quando il proletariato sarà all’offensiva, quando ingaggerà direttamente e apertamente la lotta per la sua prospettiva storica, esso potrà utilizzare alcuni effetti della decomposizione, in particolare la decomposizione dell’ideologia borghese e quella delle forze del potere capitalista, come punti su cui far leva e da ritorcere contro lo stesso capitale.” (Tesi sulla decomposizione)
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[2] https://it.internationalism.org/content/1617/rapporto-su-pandemia-e-sviluppo-della-decomposizione
[3] https://it.internationalism.org/content/1642/rapporto-sulla-crisi-economica-del-24deg-congresso-della-cci
[4] https://it.internationalism.org/content/1627/rapporto-sulla-lotta-di-classe-internazionale
[5] https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021
[6] https://www.amnesty.org
[7] https://it.internationalism.org/content/1502/risoluzione-sul-rapporto-di-forza-tra-le-classi-2019
[8] https://it.internationalism.org/content/rapporto-sulla-struttura-e-sul-funzionamento-delle-organizzazioni-rivoluzionarie-conferenza
[9] https://it.internationalism.org/cci/201603/1359/rapporto-sul-ruolo-della-cci-in-quanto-frazione
[10] https://it.internationalism.org/content/1570/dibattito-interno-alla-cci-sulla-situazione-internazionale
[11] https://it.internationalism.org/rint/22_parassitismo
[12] https://fr.internationalism.org/rinte65/marc.htm
[13] https://fr.internationalism.org/rinte66/marc.htm
[14] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/risoluzioni-del-congresso
[15] https://fr.internationalism.org/rinte97/13congres.htm
[16] https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[17] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[18] https://it.internationalism.org/content/1479/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2019-conflitti-imperialisti-vita-della
[19] https://fr.internationalism.org/content/10255/rapport-pandemie-covid-19-et-periode-decomposition-capitaliste-juillet-2020
[20] https://fr.internationalism.org/rint130/17_congr%C3%A8s_du_cci_resolution_sur_la_situation_internationale.html
[21] https://fr.wikipedia.org/wiki/The_New_York_Times
[22] https://fr.internationalism.org/rinte110/extreme.htm
[23] https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/05/14/origines-du-covid-19-la-divulgation-de-travaux-inedits-menes-depuis-2014-a-l-institut-de-virologie-de-wuhan-alimente-le-trouble_6080154_3244.html
[24] https://it.internationalism.org/tag/2/25/decadenza-del-capitalismo
[25] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[26] https://it.internationalism.org/content/1593/lirruzione-della-decomposizione-sul-terreno-economico-rapporto-luglio-2020
[27] https://www.banquemondiale.org/fr/news/press-release/2020/06/08/covid-19-to-plunge-global-economy-into-worst-recession-since-world-war-ii
[28] https://www.lavanguardia.com/economia/20210207/6228774/precios-comercio-maritimo-mundial-cuadruplican-covid.html?utm_term=botones_sociales_app&utm_source=social-otros&utm_medium=social
[29] https://www.aeutransmer.com/2020/03/02/el-80-de-las-multinacionales-tiene-planes-para-repatriar-su
[30] https://www.marxists.org/francais/inter_com/1919/ic1_19190300h.htm
[31] https://www.britannica.com/science/pollution-environment
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[38] https://www.infodefensa.com/mundo/2020/12/01/noticia-alemania-incrementa-millones-presupuesto-defensa.html
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[44] https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/documents/briefingnote/wcms_767223.pdf
[45] https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/---publ/documents/publication/wcms_757159.pdf
[46] https://en.internationalism.org/forum/16901/internal-debate-icc-international-situation
[47] https://en.internationalism.org/content/16735/debate-balance-class-forces
[48] https://it.internationalism.org/cci/201405/1311/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-20%C2%B0-congresso-della-cci
[49] https://it.internationalism.org/content/movimento-degli-indignati-spagna-grecia-e-israele-dallindignazione-alla-preparazione-delle
[50] https://it.internationalism.org/content/1533/rapporto-sulla-lotta-di-classe-il-23deg-congresso-internazionale-della-cci-2019
[51] https://it.internationalism.org/content/proteste-israele-mubarak-assad-netanyahu-sono-tutti-uguali
[52] https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro
[53] https://en.internationalism.org/content/16907/protests-health-sector-putting-national-unity-question
[54] https://it.internationalism.org/content/1596/trentanni-fa-moriva-il-nostro-compagno-marc-chirik
[55] https://fr.internationalism.org/rinte43/polemique.htm
[56] https://it.internationalism.org/content/la-cultura-del-dibattito-unarma-della-lotta-di-classe
[57] https://markhayes9.wixsite.com/website/post/notes-on-the-bourgeois-counter-offensive-in-the-1980s
[58] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria