Giugno 2020
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Pubblichiamo di seguito questa dichiarazione internazionale della CCI sull’attuale crisi di Covid-19. Lo facciamo nella forma di un “volantino digitale” poiché, nelle attuali condizioni di confinamento della popolazione, una distribuzione massiccia di una versione stampata non è possibile. Chiediamo quindi a tutti i nostri lettori di utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione - social network, forum su Internet e altri - per disseminare questo testo e di scriverci per inviarci qualsiasi reazione o discussione che possa sorgere e, naturalmente, la sua opinione su questo volantino. Oggi è più che mai necessario che tutti quelli che lottano per la rivoluzione proletaria esprimano la loro reciproca solidarietà e rimangano connessi. Anche se dobbiamo rimanere fisicamente isolati per un po’, possiamo tuttavia stare assieme politicamente!
Un massacro! Migliaia di morti ogni giorno, ospedali in ginocchio, un’odiosa “cernita” tra malati giovani e anziani per valutare chi valga la pena di curare, medici e infermieri allo stremo delle loro forze, infetti e che a volte muoiono. Ovunque mancano le attrezzature mediche. I governi che si lanciano in una terribile competizione in nome della “guerra al virus” e degli “interessi economici nazionale”. Dei mercati finanziari in caduta libera, scene di rapina surrealiste in cui gli Stati si rubano gli uni con gli altri carichi di mascherine. Decine di milioni di lavoratori gettati nell'inferno della disoccupazione, un fiume di menzogne pronunciate dagli Stati e dai loro media ... Questo è lo spettacolo spaventoso che il mondo ci offre oggi! La pandemia COVID-19 rappresenta la catastrofe sanitaria globale più grave dopo l’influenza spagnola del 1918-19 quando, da allora, la scienza ha fatto progressi straordinari. Perché un tale disastro? Come siamo arrivati a tanto?
Ci dicono che questo virus è diverso, che è molto più contagioso degli altri, che i suoi effetti sono molto più dannosi e mortali. Tutto ciò è probabilmente vero, ma non spiega l’entità della catastrofe. Il responsabile fondamentale di questo caos planetario, delle centinaia di migliaia di morti, è lo stesso capitalismo. La produzione per il profitto e non per i bisogni umani, la ricerca permanente della massima redditività a scapito del feroce sfruttamento della classe operaia, gli attacchi sempre più violenti alle condizioni di vita degli sfruttati, la frenetica competizione tra aziende e tra Stati, sono tutte queste caratteristiche proprie del sistema capitalista che si sono combinate per portare all’attuale disastro.
L’incuria criminale del capitalismo
Quelli che dirigono la società, la classe borghese con i suoi Stati e i suoi media, ci dicono costernati che l’epidemia era “imprevedibile”. Questa è una pura menzogna degna di quelle pronunciate dagli “scettici climatici”. Da tempo gli scienziati hanno preso in considerazione la minaccia di una pandemia come quella da COVID-19. Ma i governi hanno rifiutato di ascoltarli. Si sono persino rifiutati di ascoltare un rapporto della CIA del 2009 (“Come sarà il mondo domani”) che descrive, con una precisione sbalorditiva le caratteristiche dell'attuale pandemia. Nulla è stato fatto per anticipare una simile minaccia. Perché una tale cecità da parte degli Stati e della classe borghese? Per una ragione molto semplice: occorre che gli investimenti generino profitti, e il più rapidamente possibile. Investire sul futuro dell’umanità non porta nulla, non fa salire i titoli di Borsa. Occorre anche che gli investimenti contribuiscano a rafforzare le posizioni di ciascuna borghesia nazionale rispetto alle altre sull’arena imperialista. Se le cifre folli investite nella ricerca militare fossero state dedicate alla salute e al benessere delle popolazioni, tal epidemia non avrebbe mai potuto svilupparsi. Ma, invece di prendere delle misure di fronte a questa catastrofe sanitaria annunciata, i governi hanno continuato a mettere sotto attacco i sistemi sanitari, sia in termini di ricerca che di risorse tecniche e umane.
Se le persone muoiono e cadono oggi come mosche, anche nel cuore dei paesi più sviluppati, questo è principalmente perché, dappertutto, i governi hanno tagliato i budget per la ricerca su nuove malattie! Ad esempio, nel maggio 2018, Donald Trump ha abolito un’unità speciale del Consiglio di sicurezza nazionale, composta di eminenti esperti, responsabili della lotta contro le pandemie. Ma l’atteggiamento di Trump è solo una caricatura di quello adottato da tutti i leader. Infatti, gli studi scientifici sui coronavirus sono stati ovunque abbandonati circa quindici anni fa, perché lo sviluppo del vaccino era considerato ... “non redditizio”!
Allo stesso modo, è del tutto disgustoso vedere dirigenti e politici borghesi, di destra e di sinistra, lamentarsi della congestione degli ospedali e delle condizioni catastrofiche in cui gli operatori sanitari sono costretti a lavorare, quando si sa che gli Stati hanno perseguito una politica metodica di “redditività” del sistema sanitario nel corso degli ultimi cinquant’anni, in particolare dalla grande recessione del 2008. Dappertutto è stato limitato l’accesso delle persone ai servizi sanitari, ridotto il numero di letti d’ospedale e aumentato il carico di lavoro e di sfruttamento del personale infermieristico! Che pensare della penuria generalizzata di mascherine e di altri mezzi di protezione, di gel disinfettante, di reagenti per tamponi? In questi ultimi anni, la maggior parte degli Stati non provvedono più a fare scorte di questi prodotti vitali per risparmiare denaro. Negli ultimi mesi, non hanno previsto nulla di fronte all’aumento della diffusione del COVID-19, individuato tuttavia fin dal novembre 2019, e alcuni di loro, per nascondere la loro irresponsabilità criminale, si sono spinti fino a ripetere per settimane che le mascherine erano inutili per quelli che non erano infetti.
E che dire delle regioni del mondo cronicamente bisognose, come il continente africano o l’America Latina? A Kinshasa, Repubblica democratica del Congo, i 10 milioni di abitanti dovranno contare su 50 respiratori! Nell’Africa centrale sono stati distribuiti dei volantini che suggeriscono come lavarsi le mani quando la popolazione non ha neanche acqua da bere! Dappertutto sorge lo stesso grido di angoscia: “Ci manca tutto di fronte alla pandemia!”.
Il capitalismo è la guerra di ognuno contro tutti
La forte concorrenza che esiste tra gli Stati nell’arena globale rende impossibile anche il minimo di cooperazione per arginare la pandemia. Quando questa è iniziata, è stato più importante per la borghesia cinese fare di tutto per nascondere la gravità della situazione, proteggere la sua economia e la sua reputazione. Lo stato non ha esitato, infatti, a perseguitare e poi lasciare morire il primo medico che aveva suonato l’allarme! Perfino la parvenza di regolamento internazionale che la borghesia si era data per gestire la carenza è completamente fallita, per l’incapacità dell’OMS a imporre delle direttive fino all’incapacità dell’Unione Europea a mettere in atto delle misure concertate. Questa divisione peggiora considerevolmente il caos causando una perdita totale di controllo sull’evoluzione della pandemia. La dinamica del ciascuno per sé e l’esasperazione della concorrenza generalizzata sono chiaramente diventate le caratteristiche dominanti delle reazioni della borghesia.
“La guerra delle mascherine”, come la chiamano i media, è un esempio edificante della competizione cinica e sfrenata in cui tutti gli Stati sono impegnati. Oggi, ogni Stato si accaparra come può di questo materiale di sopravvivenza attraverso una guerra delle offerte e persino il furto puro e semplice! Gli Stati Uniti si sono appropriati del carico di mascherine cinesi promesse alla Francia. La Francia ha confiscato il carico di mascherine dirette dalla Svezia alla Spagna e che transitavano per i suoi aeroporti. La Repubblica Ceca ha confiscato ai suoi confini i respiratori e le maschere destinate all’Italia. La Germania ha fatto sparire le mascherine destinate al Canada. Si può persino vedere questa competizione tra diverse regioni dello stesso paese, come in Germania o negli Stati Uniti. Questo è il vero volto delle “grandi democrazie”: la legge fondamentale del capitalismo, la concorrenza, la guerra di ognuno contro tutti, ha prodotto una classe di filibustieri e criminali della peggior specie!
Degli attacchi senza precedenti contro gli sfruttati
Per la borghesia, “i profitti valgono più delle nostre vite”, hanno gridato gli scioperanti del settore automobilistico in Italia. Ovunque, in tutti i paesi, ha ritardato il più possibile la messa in opera delle misure di contenimento e di protezione della popolazione per preservare, a tutti i costi, la produzione nazionale. Non è stata la minaccia di un mucchio di morti che alla fine l’ha indotta a dichiarare l’isolamento della popolazione. I molteplici massacri imperialisti che si svolgono da oltre un secolo, in nome di questo stesso interesse nazionale, hanno definitivamente dimostrato il disprezzo della classe dirigente per le vite degli sfruttati. No, non le importa nulla delle nostre vite! Tanto più che questo virus ha “il vantaggio”, per la borghesia, di falciare soprattutto gli anziani e i malati, quelli che ai suoi occhi sono “improduttivi”! Lasciare che il virus si diffonda e faccia il suo lavoro “naturale”, in nome della “immunità collettiva”, è stata la scelta iniziale di Boris Johnson e di altri leader. Ciò che ha spinto la borghesia a prendere delle misure di contenimento generalizzato in ogni paese, è stata la paura della disorganizzazione dell’economia e, in alcuni paesi, del disordine sociale, del montare della rabbia a fronte della noncuranza e della crescita dell’ecatombe. Inoltre, sebbene riguardino metà dell’umanità, le misure di isolamento sociale sono molto spesso una pura mascherata: milioni di persone sono state costrette ad affollare ogni giorno treni, metropolitane e autobus, officine e supermercati! E già, ovunque, la borghesia sta cercando di porre fine a questa misura il più rapidamente possibile, proprio mentre la pandemia colpisce più duramente, cercando di trovare il modo di provocare il minor malcontento possibile rimandando i lavoratori al lavoro settore per settore, impresa per impresa.
La borghesia perpetua e prepara nuovi attacchi, delle condizioni di sfruttamento ancora più brutali. La pandemia ha già fatto perdere il lavoro a milioni di lavoratori: dieci milioni in tre settimane solo negli Stati Uniti. Molti di loro, a causa di lavori irregolari, precari o temporanei, sono stati privati di qualsiasi tipo di reddito. Altri, che hanno solo scarsi sussidi o assistenza sociale per sopravvivere, rischiano di non poter più pagare l’affitto e di essere privati dell’accesso all’assistenza sanitaria. La devastazione economica è già iniziata grazie alla recessione globale che si profila: esplosione dei prezzi dei prodotti alimentari, licenziamenti di massa, riduzione dei salari, crescita della precarietà del lavoro, ecc. Tutti gli Stati stanno adottando misure di “flessibilità” incredibilmente violente, facendo appello per accettare questi sacrifici all’“unità nazionale nella guerra contro il virus”.
L’interesse nazionale che la borghesia invoca oggi non ci appartiene! È questa stessa difesa dell’economia nazionale e questa stessa concorrenza generalizzata che le sono servite, in passato, per attuare i tagli di bilancio e gli attacchi alle condizioni di vita degli sfruttati. Domani, ci servirà le stesse bugie quando, dopo le devastazioni economiche causate dalla pandemia, chiederà che gli sfruttati stringano ancora più le cinture e accettino ulteriore sfruttamento e miseria!
Questa pandemia è l’espressione della natura decadente del modo di produzione capitalistico, una delle numerose manifestazioni del grado di disintegrazione e di deliquescenza della società odierna, come la distruzione dell’ambiente e l’inquinamento della natura, i cambiamenti climatici, la moltiplicazione dei focolai di guerra e i massacri imperialisti, l’inesorabile sprofondamento nella miseria di una parte crescente dell’umanità, la portata assunta oggi dalle migrazioni dei rifugiati, l’ascesa dell’ideologia populista e dei fanatismi religiosi, ecc. (vedi le “Tesi sulla decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [2]” sul nostro sito Web). È indicativa del vicolo cieco in cui si trova il capitalismo e della direzione in cui questo sistema e la sua perpetuazione minacciano di affondare e trascinare tutta l’umanità: il caos, la miseria, la barbarie, la distruzione e la morte.
Solo il proletariato può trasformare il mondo
Alcuni governi e media borghesi sostengono che il mondo non sarà mai più com’era prima della pandemia, che si farà tesoro delle lezioni apprese dal disastro, che infine gli Stati si orienteranno verso un capitalismo più umano e meglio gestito. Avevamo ascoltato lo stesso discorso durante la recessione del 2008: con le mani sul cuore, Stati e leader mondiali hanno dichiarato “guerra alla finanza”, promettendo che i sacrifici richiesti per uscire dalla crisi sarebbero stati premiati. Basta guardare alla crescente disuguaglianza nel mondo per constatare che queste promesse di “rigenerazione” del capitalismo erano solo pure bugie per farci ingoiare l’ennesima degradazione delle nostre condizioni di vita.
La classe sfruttatrice non può cambiare il mondo per mettere la vita e i bisogni sociali dell’umanità davanti alle leggi spietate della sua economia: il capitalismo è un sistema di sfruttamento, con una minoranza che domina e trae i suoi profitti e i suoi privilegi dal lavoro della maggioranza. La chiave per il futuro, la promessa di un altro mondo, veramente umano, senza nazioni e senza sfruttamento, risiede solo nell’unità e nella solidarietà internazionale dei lavoratori nella lotta!
L’ondata di solidarietà spontanea che si manifesta nella nostra classe in risposta all’intollerabile situazione inflitta agli operatori sanitari viene dispersa volutamente dai governi e dai politici di tutto il mondo promuovendo gli applausi dalle finestre e i balconi. Naturalmente gli applausi riscaldano il cuore di questi lavoratori che, con coraggio e dedizione, in condizioni di lavoro drammatiche, si prendono cura dei malati e salvano vite umane. Ma la solidarietà della nostra classe, quella degli sfruttati, non può essere ridotta a una somma di applausi per cinque minuti. Essa consiste, anzitutto, nel denunciare l’incuria dei governi di tutti i paesi, qualunque sia il loro colore politico! Essa significa richiedere mascherine e tutti i mezzi di protezione necessari! Significa, quando possibile, mettersi in sciopero affermando che finché i lavoratori della sanità non avranno le attrezzature necessarie, finché saranno precipitati verso la morte a viso scoperto, gli sfruttati che non sono negli ospedali non lavoreranno più!
Oggi che siamo confinati, non possiamo condurre delle grandi lotte contro questo sistema omicida. Non ci possiamo raggruppare, esprimere assieme la nostra rabbia e mostrare la nostra solidarietà sul nostro terreno di classe, attraverso delle lotte di massa, scioperi, manifestazioni e assemblee. A causa del distanziamento sociale, ma non solo. Anche perché la nostra classe deve riappropriarsi della sua reale forza che ha già manifestato tante volte nella storia ma che ha comunque dimenticato: la forza che deriva dall’unirsi nella lotta, per sviluppare movimenti di massa contro la classe dominante e il suo mostruoso sistema.
Gli scioperi scoppiati nel settore automobilistico in Italia o nella grande distribuzione in Francia, di fronte agli ospedali di New York o nel nord della Francia, come l’enorme indignazione dei lavoratori che si rifiutano di servire come “carne da virus”, ammassati insieme senza maschere, guanti o sapone, per il solo vantaggio dei loro sfruttatori, oggi possono essere solo reazioni disperse perché tagliate fuori dalla forza di un’intera classe unita. Tuttavia, essi dimostrano che i proletari non si rassegnano ad accettare come una fatalità l’irresponsabilità criminale di coloro che li sfruttano!
È questa prospettiva di lotta di classe che dobbiamo preparare. Perché dopo il Covid-19, ci sarà la crisi economica mondiale, una massiccia disoccupazione e nuove “riforme” che saranno solo dei nuovi “sacrifici”. Perciò, prepariamoci fin d’ora alle nostre lotte future. Come? Discutendo, scambiando esperienze e idee nella misura del possibile tramite internet, i forum, il telefono. Comprendendo che il più grande flagello non è Covid-19, ma il capitalismo, che la soluzione non è quella di unirsi dietro lo Stato assassino, ma al contrario di combattere contro lo Stato; che la speranza non risiede nelle promesse di questo o quel leader politico, ma nello sviluppo della solidarietà dei lavoratori nella lotta, che l’unica alternativa alla barbarie capitalista è la rivoluzione mondiale!
L’AVVENIRE APPARTIENE ALLA LOTTA DI CLASSE!
Corrente comunista internazionale (10 aprile 2020)
Accanto alle armi di distruzione di massa la borghesia possiede quelle di distrazione di massa, e a queste fa sempre ricorso per nascondere le sue responsabilità di fronte ai disastri cui è sottoposta l’umanità.
Di fronte alla pandemia ci sono almeno due argomenti che appartengono a questo tentativo di diversione: tutte le discussioni, o le prese di posizione, sulla natura di questo virus (come se fosse la sua natura che ha comportato le conseguenze che noi tutti stiamo vivendo), e l’affermazione che l’epidemia non era prevedibile.
Che ci fosse il rischio della diffusione di nuovi virus è qualcosa che in molti avevano previsto, anche Bill Gates! Il problema è che nonostante questo le borghesie del mondo intero non si sono preparate. C’era anche una raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità di costituire scorte strategiche di dispositivi di protezione (mascherine, tute, ecc.), ma non è stato fatto!
E’ stata questa impreparazione, l’inadeguatezza delle risposte, che hanno fatto di questa pandemia la tragedia che è sotto gli occhi di tutti.
Innanzitutto lo smantellamento del sistema sanitario: la riduzione dei posti letto, la riduzione delle terapie intensive, il taglio del personale medico e infermieristico, la mancanza di mezzi di protezione per questo personale e per la popolazione in generale, di cui sono responsabili tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 25 anni[1].
Storicamente qualsiasi paese, anche il più pacifico, sa che deve avere un esercito preparato a rispondere a un attacco, e per questo esistono le cosiddette “riserve strategiche” di armi, viveri, munizioni, ecc.
Ma di fronte all’attacco di un virus, niente mascherine, niente respiratori, niente camici, ecc.
E’ questo che ha creato il problema.
E nemmeno è vero che il governo non era informato del pericolo: la Cina, dopo aver inizialmente, colpevolmente, taciuto sulla diffusione dell’epidemia, alla fine di gennaio aveva informato il mondo sulla pericolosità del virus e sui mezzi della sua diffusione, tant’è vero che il 31 gennaio il governo italiano ha approvato un decreto legge che promulgava lo stato di emergenza, cioè quella situazione di pericolo generale che richiede e consente misure straordinarie. Ma nonostante questo, non è stato fatto niente. Anzi, si è cercato di minimizzare e di mentire sull’incapacità ad affrontare la situazione: per esempio, poiché in Italia non si producevano più mascherine, si è cominciato a dire che la loro utilità era dubbia (menzogna avallata dall’OMS).
A questo punto, di fronte a un’incapacità strutturale ad affrontare l’epidemia, la borghesia italiana ha fatto ricorso all’unico strumento possibile per ridurre il contagio, il confinamento sociale. Ma anche questo con enorme ritardo: il 4 marzo sono state chiuse le scuole, ma non i servizi e le industrie non indispensabili; l’11 marzo i bar e i ristoranti, e solo il 23 marzo le attività produttive non indispensabili. Ma nemmeno tutte: per esempio l’industria della Difesa non è stata fermata (quando la guerra in corso era sanitaria e non militare). Ci sono voluti gli scioperi spontanei in molte fabbriche di tutta Italia per spingere il governo a decretare la chiusura di tutti gli insediamenti produttivi non indispensabili. Soprattutto l’ha dovuto fare perché gli operai sono scesi in sciopero al grido di “non siamo carne da macello!”, “la nostra salute non viene dopo il vostro profitto!” e continuare a pretendere che lavorassero anche gli operai delle fabbriche non indispensabili avrebbe potuto far crescere non solo la collera, ma anche la coscienza dei lavoratori sul loro stato di merce al servizio del profitto capitalista.
E se il lockdown ha ridotto le conseguenze dell’epidemia, esso sancisce anche l’incapacità della borghesia a salvaguardare la salute della popolazione con quelli che sono i mezzi normali contro le malattie: la prevenzione, le cure e le medicine.
Ma la borghesia ha dimostrato in più occasioni la sua capacità di rivoltare a proprio favore anche le situazioni in cui si dimostra la sua incapacità ad assicurare agli sfruttati una vita sicura e decente. Così, anche in questa occasione, è scattata tutta una campagna tesa a creare una sorta di unione nazionale, un orgoglio nazionalista basato sulla menzogna che “siamo tutti nella stessa barca”, “solo uniti ce la faremo”. I tricolori ai balconi, l’inno nazionale cantato dalle finestre, e questo, come al solito, con l’appoggio dei mezzi di informazione che si sono messi al servizio di questa campagna mistificatoria: una mattina di marzo, alla stessa ora, tutte le radio “libere” hanno trasmesso contemporaneamente l’inno nazionale.
Ma le campagne mistificatorie fanno poi a pugni con la realtà, e l’ha dovuto denunciare anche un’intellettuale borghese, la sociologa Chiara Saraceno che, su Repubblica del 4 maggio 2020, scrive:
“Non è vero che siamo tutti uguali di fronte al Covid 19. Non lo siamo rispetto al rischio di contagio, perché alcune professioni e condizioni di vita espongono più alcuni di altri. Riguarda, ovviamente, le professioni sanitarie, ma riguarda anche le commesse, gli addetti alle pulizie delle strade, alla raccolta dei rifiuti, i trasportatori, tutti coloro, con professioni non prestigiose e pagate relativamente poco, che nelle settimane della chiusura hanno dovuto lavorare in ‘presenza’. Non siamo uguali neppure di fronte all’esperienza del ‘restiamo a casa’, non solo perché qualcuno la casa non ce l’ha, ma anche perché la ’casa’ si declina molto diversamente e per qualcuno significa vivere stretti, talvolta in situazioni precarie. (…) Non siamo uguali neppure di fronte alla perdita di reddito e al rischio di povertà provocati dalla chiusura di gran parte delle attività produttive. Qui le disuguaglianze sono molteplici. I più a rischio sono i giovani, vuoi perché avevano più spesso contratti temporanei o precari, vuoi perché stavano per entrare nel mercato del lavoro quando tutto si è chiuso. (…)”. Non avremmo saputo dirlo meglio.
La borghesia non è solo una classe sfruttatrice, è anche una classe cinica e indifferente alla vita e alle sofferenze umane. La vita dei proletari per la borghesia è importante solo se e quando riesce a trasformarsi in lavoro produttivo, in produzione di plusvalore, che è la base del profitto capitalista. Una conferma si è avuta in questa occasione non solo con l’insistenza a voler tenere aperti i siti produttivi anche in mancanza di misure di sicurezza, ma anche nel trattamento riservato agli anziani. Nonostante che fin dall’inizio si è detto che le persone anziane erano le più a rischio se infettate, nessuna precauzione aggiuntiva è stata presa per la salvaguardia della salute di questa fetta di popolazione. Anzi, non solo è stato detto (nel pieno del contagio) che i sanitari dovevano “scegliere” chi salvare (dando la precedenza ai giovani), ma nemmeno si sono allertate le Residenze per anziani perché prendessero il massimo di precauzione per evitare i contagi. Se in queste Residenze c’è stata una vera e propria ecatombe non è un caso, né semplicemente il comportamento criminale di qualche responsabile (anche se in qualche caso è stato così), ma proprio la mancanza di considerazione per la vita di chi ormai non produce più plusvalore.
Quello che stiamo denunciando non è una specificità del governo e della borghesia italiana. I comportamenti che abbiamo descritto hanno caratterizzato tutti i paesi del mondo, a conferma che non si è trattato di mancanza di esperienza o capacità, ma di una situazione che ha alla sua base un sistema sociale in cui la vita umana viene dopo il profitto, perché la classe dominante, di fronte alla scelta se salvaguardare il proprio profitto o la salute e la vita dei proletari, non ha dubbi: sceglie il primo.
Del resto, anche le “riaperture” che si stanno effettuando in quasi tutti i paesi del mondo avvengono quando ancora il contagio non è finito, il vaccino non è pronto, né si sono testati farmaci sicuramente efficaci per la cura. Ancora una volta la parola d’ordine è “continuare a produrre” anche a costo di avere altri infettati, altri morti.
Ora il governo sta prendendo una serie di misure per far fronte al disastro economico che sta accompagnando il disastro sanitario, e qualcuno potrebbe scambiare questo come preoccupazione dello Stato per la popolazione. Non è così. Innanzitutto la principale preoccupazione del governo è sostenere l’economia, cioè il capitale nazionale (quante risorse sono destinate direttamente alle imprese, piccole o grandi che siano?). Poi è evidente che lo Stato non può non cercare di assicurare almeno un minimo di sopravvivenza sia a quei ceti a rischio povertà, per evitare che si rivoltino, sia soprattutto ai proletari che possono continuare a produrre profitto solo se sopravvivono.
Ma questo intervento economico non è né un rilancio dell’economia, né la scoperta di nuove risorse. Tutte le risorse messe a disposizione provengono da un aumento del debito statale (o da crediti dell’Europa, che si traducono comunque in debiti da restituire): il deficit per quest’anno dovrebbe schizzare al 10% del PIL (altro che il 3% di Maastricht!), portando il debito al 150% del PIL.
Naturalmente il governo dice che questo sostegno all’economia non serve solo ad evitare chiusure di fabbriche, fallimenti, licenziamenti e morti per fame, ma anche a rilanciare l’economia. Come a dire: non vi preoccupate, con questi provvedimenti ci sarà una ripresa e tutti staremo meglio anche economicamente. Chiacchiere. Doveva essere così anche con le ultime finanziarie e invece, anche prima del coronavirus la crescita è stata zero. La realtà è che l’Italia già non aveva recuperato i livelli economici di prima della crisi del 2007, e adesso non potrà che accumulare ulteriori ritardi rispetto ai suoi principali concorrenti.
Del resto il debito, l’unica risorsa a cui tutti i governi del mondo stanno ricorrendo per dare ossigeno all’economia, ha un problema: prima o poi bisogna pagarlo e per l’Italia, i cui tassi di interesse sono già più alti di quelli di altri paesi, questo diventa sempre più difficile.
Perciò non bisogna farsi illudere da queste risorse sparse a pioggia (comunque assolutamente insufficienti). Il prossimo anno, o comunque quando sarà finita l’epidemia, lo Stato tornerà a varare politiche di austerità per far fronte a quella recessione che si annuncia, peggiore di quella del 1929.
E quando si parla di austerità, parliamo dei salari dei proletari, delle spese sociali, delle pensioni, ecc., cioè delle condizioni di vita degli sfruttati.
E’ questo che bisogna aspettarsi, è a questo che bisogna prepararsi: i sacrifici fatti in questi mesi di epidemia, in termini economici ma anche di salute, non impediranno allo Stato borghese di chiederne altri, per “salvare il paese”, per “dare un futuro ai giovani”.
E se la borghesia è pronta a presentare il conto della crisi ai proletari, questi devono loro cominciare a presentare alla borghesia il conto di tutti i sacrifici fatti negli ultimi decenni.
Questi mesi di pandemia hanno dimostrato ancora una volta e in maniera lampante (e tragica) che questa in cui viviamo é una società divisa in due classi principali e dagli interessi opposti: la borghesia, la classe che ha il potere economico e politico, ma che dimostra di non poter più assicurare non solo una vita decente ai proletari, ma addirittura la salute e la vita stessa; ed il proletariato, la classe dei lavoratori che non solo produce la gran parte della ricchezza di questa società (ricevendo in cambio solo il minimo per la propria sopravvivenza) , ma che è stato, con il suo lavoro, rischiando la propria salute, sacrificando a volte anche la propria vita, il solo a garantire che una nazione intera potesse continuare a nutrirsi e a svolgere una vita normale e l’unico vero argine alla diffusione del virus. Bisogna che i proletari ne prendano coscienza e che si preparino a porre fine a questa barbarie per offrire una nuova prospettiva all’umanità.
Helios, 04/06/2020
[1] Gli ospedali sono passati dai 1381 del 1998 (dato già in calo rispetto agli anni precedenti) a 1197 del 2007, per arrivare a 1000 nel 2017 (con una diminuzione percentuale di quelli pubblici rispetto a quelli privati convenzionati); i posti letto dai 311.000 del 1998 (5,8 posti ogni 1000 abitanti) ai 191.000 del 2017 (3,8 posti ogni 1000 abitanti).
C’è una crisi economica storica alla base del fatto che la diffusione di un virus abbia prodotto una pandemia che si è trasformata in una vera tragedia per le popolazioni del mondo intero. Ma a questa realtà, che è sotto gli occhi di tutti, anche se non tutti ne percepiscono le reali dimensioni, si aggiunge un altro elemento che è l’irresponsabilità completa con cui i vari organi di governo, istituzioni e partiti, hanno fatto fronte alla situazione, esprimendo un’incapacità completa a mettersi d’accordo sulle cose da fare e ad agire assieme per ottimizzare gli interventi. Così la crisi di pandemia da Covid 19, che ha già fatto una strage enorme di morti, di posti di lavoro e una caterva di nuovi poveri che si vanno a sommare a quelli già esistenti, si è ulteriormente aggravata per la forte disunione della borghesia, espressione di quel fenomeno più generale che abbiamo definito decomposizione del capitalismo[1]. Lo si è visto a livello internazionale, con episodi come la guerra delle mascherine[2], con la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, con gli attacchi di questi ultimi all’OMS, una delle istituzioni create proprio per unire le forze contro le malattie.
Per non parlare dell’incapacità della UE di mostrarsi unita per affrontare in maniera coordinata la pandemia, visto, peraltro, che si trattava di qualcosa che colpiva tutti i paesi: ogni paese ha pensato a sé stesso (a cominciare dal rubarsi le mascherine), a chiudere le frontiere con i paesi più colpiti dalla pandemia (alla faccia degli accordi di Schengen), fino ad arrivare al fatto che alcuni paesi si sono opposti anche a mettere in campo delle misure economiche per far fronte alla minaccia di recessione che la pandemia ha reso più grave (ed anche qui si tratta di qualcosa che toccherà, chi più, chi meno, tutti i paesi). Alla fine è stata proprio la coscienza di quale disastro si profila per l’economia che ha spinto le istituzioni europee a varare delle misure di sostegno all’economia ed evitare il tracollo.
Ma lo si vede anche all'interno dei singoli paesi, e in Italia in maniera addirittura paradossale.
Se è naturale che le forze politiche all’opposizione siano critiche verso la maggioranza al governo, questo è in genere attenuato nei periodi di emergenza, quelli in cui si fa appello all’unità nazionale. In particolare, ci sembra veramente paradossale che la borghesia, dopo aver dichiarato dall’inizio della pandemia che eravamo in guerra, una guerra non contro una nazione ma contro un virus, e che occorreva la massima coesione, abbia dato una tale dimostrazione di sfilacciamento non solo tra maggioranza e opposizione, ma addirittura nella stessa compagine governativa e finanche tra i vari organi dello Stato (governo, regioni, comuni, …).
Infatti le forze di opposizione hanno assunto una posizione di contrarietà ad ogni azione governativa, un’opposizione “a prescindere”, che poco tiene conto del merito delle questioni, ma che è stata fatta solo per difendere i propri interessi di partito. Lo si è visto all’inizio della pandemia, quando Salvini ogni giorno cambiava idea e posizione sull’opportunità o meno di chiudere le frontiere e i passaggi fra le regioni, ma anche per esempio rispetto al rapporto con la UE e le misure che questa propone contro il disastro economico. Particolarmente significativa l’opposizione all’uso da parte dell’Italia dei fondi messi a disposizione con il cosiddetto fondo salvastati (MES). A quanto se ne sa l’Italia potrebbe avere più di 30 miliardi di prestito ad interessi più bassi di quelli che gravano sui propri titoli di Stato offerti periodicamente sul mercato, e questo alla sola condizione che i soldi siano spesi per la sanità. Insomma, l’Italia potrebbe recuperare una forte liquidità pagando meno interessi del solito, ma Salvini e la Meloni si oppongono in nome di non si sa quale trappola ci sarebbe sotto l’utilizzo di questi fondi.
Ma quello che forse è ancora più grave sono le divisioni all’interno della maggioranza, divisioni che a volte paralizzano l’azione di governo (e questo in una fase in cui la rapidità delle misure da prendere è una parte importante nell’efficacia di queste misure).
Lo si è visto per esempio sul cosiddetto decreto “aprile” che doveva mettere in campo risorse sia per il sostegno ad imprese e famiglie che per sostenere in generale l’economia. Questo decreto doveva essere pronto entro aprile (da qui il suo nome), ma è stato varato solo il 18 maggio, e questo solo perché i partiti di governo non riuscivano a mettersi d’accordo su come utilizzare i 55 miliardi (di debito, naturalmente) che si era deciso di mettere in campo.
Lo si è visto anche sullo stesso MES ricordato prima, su cui il governo non ha ancora deciso niente perché i 5S sono contrari al suo utilizzo. Ed anche qui l’unico motivo per cui si oppongono è che questo fa parte della loro tradizione, cioè per difendere una loro bandiera e non per argomenti nel merito della cosa.
Lo si è visto ancora sul decreto scuola, quello che doveva decidere sia sull’assunzione di nuovi insegnanti, sia sulle modalità di ripresa delle lezioni a settembre, dopo che la chiusura delle scuole ha reso un disastro (nonostante i sacrifici e gli sforzi degli insegnanti) questo anno scolastico. Anche questo decreto ha visto un enorme ritardo perché i partiti della maggioranza non riuscivano a mettersi d’accordo sulle modalità del concorso per l’assunzione dei precari, quando poi il vero problema è che il numero di assunzioni previste è assolutamente insufficiente per fare fronte anche solo all’esigenza di sostituire i docenti andati in pensione. Non parliamo poi della confusione che resta su come si potrà iniziare il nuovo anno scolastico in sicurezza.
Ancora è il caso di ricordare i contrasti verificatisi fra lo Stato centrale e le Regioni (nonché tra i sindaci e i presidenti di regione), contrasti e prese di posizione che niente avevano di efficacia sulle misure da prendere, ma solo con gli interessi elettorali di ognuna di queste forze. A cominciare dal governatore della Lombardia, Fontana, che prima ha criticato le decisioni di chiudere i trasferimenti tra le regioni e la sospensione delle attività produttive non essenziali, poi, di fronte al vero e proprio disastro che si è avuto nella sua regione, ha finito per criticare la fine del lockdown. Per non parlare del governatore della Campania De Luca, che cogliendo l’occasione della pandemia per mostrarsi il vero difensore della “sua popolazione” (e assicurarsi una rielezione che prima della pandemia non era affatto scontata) ha criticato tutte le decisioni sulle “aperture”, arrivando a varare ordinanze più restrittive rispetto a quelle del governo, scontrandosi poi con quell’altro demagogo del sindaco di Napoli De Magistris, che, a sua volta, varava altre ordinanze in contrasto con quelle di De Luca. Insomma una bailamme capace solo di generare confusione, incertezza, quando in una situazione come quella della pandemia ci vorrebbe solo chiarezza, sicurezza e rapidità delle decisioni.
Dopo più o meno trecento anni di sistema capitalista, la classe operaia ha ben preso coscienza che si tratta di un sistema di sfruttamento, ma deve ancora prendere coscienza del fatto che questa classe dominante non è più capace di offrire una prospettiva all’umanità.
Helios, 07/06/2020
[1] Vedi a tale proposito i due rapporti del 22° e 23° Congresso della CCI: Rapporto sull’impatto della decomposizione sulla vita politica della borghesia [7], https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia [7] e Rapporto sulla decomposizione oggi (22° Congresso della CCI, maggio 2017) [8], https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017 [8].
Il quadro è terrificante. Centinaia di persone sono morte, il fetore di cadaveri appesta molte parti della città, intere famiglie sono morte così come molti operatori sanitari. Finora, lo Stato ecuadoriano ha riconosciuto solo 369 morti dovute a Covid-19, senza specificare quanti di loro provengano dalla città di Guayaquil. Ma secondo tutti i testimoni diretti di questa enorme tragedia (medici, giornalisti e ospiti stranieri)[1] , solo a Guayaquil, il numero di morti dovute al coronavirus è scandalosamente sottostimato.
Da parte sua, lo Stato, incapace di rispondere all'emergenza sanitaria, cerca di nascondere il più possibile il numero di corpi trovati per le strade e le arterie della città. Corpi che, in risposta alle lamentele e alle proteste di molti abitanti, vengono gradualmente rimossi e conservati in tre ospedali. Inoltre, gli obitori sono pieni di cadaveri non identificati. Di fronte a questa situazione, centinaia di famiglie vivono ogni giorno il dramma di dover reclamare i resti dei loro cari per avere una sepoltura dignitosa. Questo spettacolo dell'orrore è la diretta conseguenza della mancanza di ospedali e letti, senza personale medico sufficiente, senza medicine, con incessanti tagli al budget. Questo rivela chiaramente che la borghesia non è affatto interessata a soddisfare le esigenze sanitarie di base della popolazione. Il cinismo e le menzogne della borghesia rivelano il suo atteggiamento criminale.
Al momento, la città di Guayaquil, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, provocando l'indignazione e la solidarietà di molti lavoratori, è ancora immersa nell'isteria e nella paura. La stessa situazione e le stesse reazioni si stanno verificando in molte parti del mondo dove gli Stati sono incapaci di prendersi cura di centinaia di migliaia di persone infettate da un'epidemia di cui la borghesia conosce da anni i rischi senza aver preso mai alcuna misura per proteggere le popolazioni che sarebbero state esposte.
I media descrivono la portata del disastro, ma nessun paese ha dimostrato di essere pronto per un'emergenza di questa portata. Al contrario, lo Stato ha dimostrato ovunque la stessa negligenza con il deterioramento dei sistemi sanitari che sono crollati in Cina, negli Stati Uniti, in Spagna, in Italia e persino in paesi che vengono presentati come modelli di eccellenza dell'amministrazione borghese, come la Danimarca. Il comportamento della borghesia in tutti i paesi è stato simile: prima ha minimizzato l'impatto della pandemia, poi ha cambiato il suo atteggiamento nell'imporre misure draconiane di contenimento. Tuttavia, tutto questo si è rivelato vano di fronte allo stato deplorevole del sistema sanitario globale. Di conseguenza, gli Stati non sono oggi in grado di rispondere all'emergenza Covid-19.
In realtà, come ha detto il vicepresidente americano all'inizio di marzo 2020, il comportamento ipocrita della classe dirigente copre una sola e stessa logica: il "salvataggio dell'economia" a scapito della vita delle persone. In altre parole, si tratta di continuare ad accumulare capitale a spese dei lavoratori e della popolazione in generale.
Nell'ambito del deterioramento del sistema sanitario globale, lo Stato ecuadoriano, come è avvenuto in altri Paesi, solo nel 2019 ha licenziato 2.500 lavoratori, tra medici, infermieri e personale di servizio. Mentre nel 2019 il budget sanitario era di 3.097 milioni di dollari, la Assemblea Nazionale ha approvato una riduzione di 81 milioni di dollari per il 2020 rispetto all'anno precedente. Il confronto di questo bilancio con il pagamento del debito estero per lo stesso anno (che era di 8.107 milioni), dimostra che lo Stato ecuadoriano ha deliberatamente sacrificato le esigenze sanitarie della popolazione (e le altre esigenze) a favore delle leggi del mercato capitalista e della concorrenza tra le nazioni.
L'impatto che Covid-19 ha causato a Guayaquil è quindi dovuto a una borghesia che non ha alcun interesse per la salute della popolazione, né per gli investimenti in infrastrutture sanitarie, tanto meno per gli operatori sanitari. Così, dal 16 marzo, quando la pandemia è stata ufficialmente dichiarata in Ecuador, il ministro dell'Economia Richard Martinez ha dichiarato la sua intenzione di pagare 325 milioni di dollari ai possessori di titoli di Stato, pagamento diventato effettivo il 21 marzo, nel bel mezzo di una crisi sanitaria, quando i decessi si stavano già moltiplicando ovunque. Questo atto ha portato anche alle dimissioni del ministro della Salute, Catalina Andramuño, che ha accusato il governo Moreno di non averle fornito le risorse necessarie per affrontare la pandemia. Nel frattempo, il sindaco di destra di Guayaquil, Cintya Viteri, oltre alla sua indifferenza per la drammatica situazione della popolazione, si è affrettata a scaricare il problema trasferendo la responsabilità dei servizi funebri al governo centrale di Moreno. Da parte sua, dal 16 marzo, il vicepresidente Otto Sonnenholzner è apparso come un eroe nella resistenza alla pandemia, quando in realtà si trattava per lui di una sordida campagna promozionale in vista delle prossime elezioni presidenziali. Questo panorama da solo riassume il grado di decomposizione della borghesia in Ecuador, che, come in molti paesi del mondo, è afflitta dalle lotte delle cricche al suo interno e incapace di agire se non "di volta in volta".
La tragedia che la città di Guayaquil sta vivendo è probabilmente una delle più terribili e drammatiche finora conosciute. Né il virus né la popolazione, contro cui la borghesia e i media stanno puntando il dito per la sua presunta "indisciplina", ne sono responsabili. Ma è il sistema capitalista, incapace di soddisfare i bisogni dell'umanità, ad essere veramente responsabile del disastro sanitario. La portata di questo disastro era già stata annunciata in uno dei nostri articoli: "Una realtà che sarà ancora peggiore quando questa epidemia colpirà l'America Latina, l'Africa e altre regioni del mondo dove i sistemi sanitari sono ancora più precari o del tutto inesistenti". Si è trattato di un disastro annunciato, proprio a causa delle contraddizioni del capitalismo a livello globale.
Le conseguenze che la borghesia ha provocato nella gestione della crisi pandemica di Guayaquil sono diverse:
- Tenere un parente morto come vittima della pandemia all'interno della casa per lunghi giorni senza alcuna risposta da parte dello Stato, e quindi permanentemente esposto agli effetti della decomposizione di un cadavere, ovviamente non solo avrà conseguenze psicologiche, ma aumenterà notevolmente il rischio di contaminazione tra i propri cari.
- Di fronte a questa situazione, l'Ecuador, come altri Stati, ha decretato il contenimento obbligatorio a livello nazionale. Per rispettare questa disposizione, lo Stato ha mobilitato l'esercito e la polizia, che agiscono brutalmente di fronte a una popolazione ridotta alla disoccupazione, molti dei quali non possono restare a casa perché costretti a sopravvivere fuori e alla giornata. Lo Stato non può nemmeno garantire il cibo per la loro quarantena, quindi il caos può diventare ancora più drammatico di quanto non sia oggi.
- La crisi sanitaria ha suscitato lamentele e proteste da parte di medici e infermieri oberati di lavoro ed esausti per le deplorevoli condizioni in cui sono costretti a lavorare, ma a poco a poco sono stati messi a tacere.
- Lo Stato mostra il suo vero volto repressivo nei confronti della popolazione, ma non dice nulla, così come tutta la borghesia, ad esempio, sulle migliaia di licenziamenti avvenuti durante il confinamento.
Nella manifestazione di questa impasse del capitalismo, è chiaro che:
1. La società borghese non ha in serbo altro che desolazione e morte, come dimostra l'attuale pandemia globale.
2. Nel mezzo di una situazione di angoscia e disperazione della popolazione, gli Stati hanno usato la forza per mettere a tacere coloro che protestavano contro l'incapacità dello Stato capitalista di soddisfare i bisogni fondamentali come l'accesso al cibo, all'assistenza sanitaria, alle medicine e il necessario contenimento che la maggior parte degli scienziati raccomandano per evitare un aumento del contagio.
3. È stato dimostrato che per la borghesia e il suo Stato la priorità non è il popolo, tanto meno i lavoratori, ma la difesa e il perseguimento dei propri interessi di classe sfruttatrice, e per questo motivo, senza alcun rispetto per la morale o per principi di alcun tipo, essi ricorrono alla menzogna, nascondendo il numero di morti che si accumulano senza poter dare loro una degna sepoltura, come sta accadendo in Ecuador.
La crisi sanitaria di Covid-19 ha dimostrato chiaramente il disprezzo che la borghesia ha sempre avuto per i bisogni umani. In questa società caotica, dove conta solo il ciascuno per sé e la ricerca del profitto e non la soddisfazione dei bisogni umani, lo sviluppo delle forze produttive a disposizione dell'umanità è il prodotto del lavoro della classe operaia internazionale che viene sfruttata al servizio esclusivo della borghesia. Saranno dunque questi stessi lavoratori gli unici che potranno realizzare la rivoluzione mondiale capace di cambiare il destino dell'umanità, trasformandola in un'unica comunità umana mondiale.
Contro il virus mortale della società capitalista in decomposizione, proletari di tutti i paesi, unitevi!
Da Internacionalismo, sezione CCI in Ecuador, 20 aprile 2020
[1] Oltre alle insopportabili immagini di persone che crollano per strada, corpi sparsi sui marciapiedi, a volte per giorni, coperti frettolosamente con un lenzuolo o una coperta, camioncini e camion carichi di cadaveri in sacchi della spazzatura e poi sepolti o inceneriti ovunque, scatole di cartone come bare improvvisate, e persino avvoltoi, attratti dall'odore di carogne, che volano intorno a un ospedale. È tutto l'orrore di cui il capitalismo è capace che viene allo scoperto!
"Ognuno di noi deve partecipare a questo enorme sforzo per preservare la sicurezza globale", ha detto il direttore dell'OMS in un comunicato stampa del 16 marzo. Il 27 marzo, il presidente francese Macron ha dichiarato: "Non supereremo questa crisi senza una forte solidarietà europea, sia in termini di salute che di bilancio". E la cancelliera tedesca, Merkel, chiede, di fronte alla crisi sanitaria: "più Europa, un'Europa più forte e un'Europa che funzioni bene"! I politici esortano la popolazione a mostrare solidarietà, senso civico e unità per combattere il "nemico invisibile". In un momento in cui il bisogno di mascherine e attrezzature medicali è immenso a causa di una scandalosa carenza, tutti, politici e media, hanno denunciato furti da ospedali, farmacie e persino dalle auto degli operatori sanitari. La borghesia punta il dito e pubblicizza ampiamente il comportamento egoista di questi "infami e vili" delinquenti, in un momento in cui il mondo intero è "in guerra" e si suppone unito contro la pandemia del COVID-19.
In realtà, quando da un lato la borghesia mostra la sua indignazione e il suo disprezzo per i furti, dall'altro applica con freddezza gli stessi metodi dei briganti sulla scena internazionale: appropriazione indebita e "requisizione" di ordini provenienti da altri paesi, offerta e riacquisto di attrezzature mediche direttamente sulle piste d’atterraggio degli aeroporti. È così che la borghesia esprime la sua "solidarietà" "per preservare la sicurezza mondiale"! Infatti, all'inizio dell'epidemia in Europa, la Cina ha inviato diplomaticamente, in modo molto interessato, alcune mascherine e respiratori in Italia, ma questi sono stati subito dirottati dalla Repubblica Ceca. Con un'ipocrisia sconcertante, quest'ultima ha negato qualsiasi furto e ha denunciato uno sfortunato "malinteso"! All'inizio di marzo è stata la Francia a "requisire" sul suo territorio le mascherine svedesi sotto il naso della Spagna e dell'Italia, paesi che sono duramente colpiti dall'epidemia. Solo dopo l'intervento del governo svedese il governo francese ha accettato, sotto pressione, di tenere "solo" la metà della merce rubata. Un mese dopo, mentre la vicenda cresceva di dimensioni (si trattava, ovviamente, di un "malinteso"), Macron invocava una maggiore "coerenza" e restituiva, suo malgrado, tutte le mascherine ai destinatari. Anche gli Stati Uniti sono accusati di aver dirottato attrezzature mediche dirette verso la Germania, il Canada e la Francia. Trump, a differenza dei suoi omologhi stranieri più civilizzati, ha comunque mostrato le sue intenzioni in modo chiaro e schietto: "abbiamo bisogno di queste mascherine, non vogliamo che altre persone le prendano"!
In Africa, un epidemiologo ha recentemente messo in guardia sulla situazione molto preoccupante nel continente: gli ospedali non possono avere forniture per i test. La priorità è data ai pezzi grossi, ai grandi padrini: gli Stati Uniti o l'Europa. Le "grandi democrazie" si accaparrano gli strumenti per i test, una merce tristemente rara, per il loro proprio conto! Non c'è da stupirsi che l'Africa sembri essere poco colpita dal COVID-19!
La lista dei cinici atti di pirateria degli Stati borghesi è ancora lunga![1] Anche a livello nazionale la borghesia fatica a non cedere alla guerra di tutti contro tutti. Proprio come gli Stati si affannano ai piedi degli aeroplani per accaparrarsi le forniture mediche, anche gli Stati federali, le regioni e persino le città si fanno la otta per proteggere i "loro" abitanti. In Spagna, dove il regionalismo ha un forte peso, è scoppiata una polemica quando il governo ha deciso di requisire e centralizzare le scorte di mascherine. Ma l'incompetenza delle autorità spagnole ha portato ogni governo regionale a cercare le proprie forniture in concorrenza con le altre. Lo Stato centrale è stato accusato di alimentare tensioni e persino di "invasione" da parte di Torra, il presidente della Generalitat di Catalogna. Tutto è un pretesto per affermare meschini interessi "regionali" dove si è i padroni di casa! Anche in Messico, il governatore di Jalisco sta esercitando pressioni sul governo federale per far cessare i test a favore della regione di Città del Messico.
La borghesia si adorna di bei discorsi moraleggianti, chiede solidarietà internazionale, esorta le sue "truppe" a serrare i ranghi intorno allo Stato protettore. Quante bugie! La "solidarietà" che la borghesia chiede non è altro che l'espressione del ciascuno per sé, un rafforzamento del caos e della barbarie capitalistica su scala planetaria!
Di fronte alla crisi, lasciare che lo Stato nazionale strappi le mascherine agli "stranieri" non fa che aggravare il male. Il capitalismo, cinico e mortale, non ha altra prospettiva da offrire all'umanità se non ciò che questo deplorevole spettacolo di saccheggi illustra oggi: miseria e distruzione! L'unica forza sociale portatrice di un progetto storico capace di porre fine alla guerra di tutti contro tutti è la classe operaia, quella che non ha una Patria da difendere, quella i cui interessi sono i bisogni di tutta l'umanità e non quelli della "nazione" (o la sua versione "regionale")! È la classe operaia, attraverso il personale sanitario, che oggi salva la vita a rischio della propria. Sebbene il contesto della pandemia impedisca attualmente qualsiasi mobilitazione massiccia e limiti le espressioni di solidarietà nella lotta, è la classe operaia che cerca, in molti settori e in diversi paesi, di resistere alla negligenza della borghesia e all'anarchia del capitalismo. La nostra classe è portatrice di una società senza frontiere e senza concorrenza, dove i lavoratori ospedalieri non saranno più costretti a fare un'abominevole distinzione tra malati "produttivi" e "improduttivi" (pensionati o portatori di handicap), dove il valore di una vita non sarà più misurato in linee di bilancio!
Olive, 7 aprile 2020
[1] Ma a differenza degli scrocconi di un tempo, che rubavano oro e beni preziosi, questi teppisti si contendono anche la merce tipica del capitalismo, prodotti di fascia bassa: camici che cadono a brandelli appena si tolgono dalle scatole, maschere ammuffite, ventilatori di rianimazione con prese inadeguate, …!
Pubblichiamo qui di seguito estratti di una lettera che abbiamo ricevuto da una compagna a seguito del nostro intervento e dei nostri incontri pubblici sul movimento contro la "riforma" delle pensioni in Francia. Accogliamo con grande favore questa iniziativa che esprime un'esigenza vitale per la classe operaia, quella di discutere e approfondire francamente e fraternamente le lezioni delle esperienze del proletariato. Questa lettera esprime visibilmente sentimenti contrastanti nei confronti di questa lunga e combattiva lotta. Vogliamo esprimere il nostro punto di vista proprio sui sentimenti espressi e sulla loro natura nel tentativo di spingere più in profondità le riflessioni dei nostri lettori circa l’approccio ed il significato da dare alla lotta della classe operaia.
(...) Sono rimasta entusiasmata dalla buona accoglienza che abbiamo ricevuto nell'ambito della lotta contro la riforma delle pensioni.
Ho constatato io stessa che le persone erano contente di lottare, di ritrovarsi in strada, di stare insieme.
Ammetto di essere stata delusa all'ultima manifestazione nel vedere che il movimento non andava oltre, che si stava sfilacciando, che c'erano sempre meno persone in piazza; sono stata delusa nel vedere che il movimento non ha avuto la forza di chiedere assemblee generali aperte a tutti come nel 2006, durante le lotte contro il CPE (Contratto di primo impiego).
Ciò di cui forse non tengo abbastanza conto è la natura della coscienza della classe operaia: una coscienza concreta, che si esprime in azioni. (...)
Se tuttavia gli assembramenti non hanno portato ad appelli alle AG (Assemblee generali) aperte a tutti, come nel 2006, ciò non significa che dovremmo arrenderci. Inoltre, a questo proposito, vediamo come i vari sindacati e altri "rappresentanti" degli studenti abbiano recuperato questo movimento per far credere in seguito, che l’avevano iniziato loro. (...)
Aspetto che ci siano di nuovo migliaia di persone per strada, contente di essere là, di ritrovarsi a combattere sul loro terreno. So che la borghesia sta affilando le armi contro le minoranze rivoluzionarie, so che dobbiamo tenere presente come funziona la coscienza di classe; la riforma delle pensioni può essere approvata mediante l'applicazione dell'articolo 49.3 e ciò significherebbe un indebolimento per l'attuale governo, ma non porterebbe a un rafforzamento della classe operaia.
Il prossimo passo che la classe operaia può compiere è quello di prendere l'iniziativa per organizzare la sua lotta, in opposizione alle direttive sindacali.
Fraternamente, L., 26 febbraio 2020
È naturale che qualsiasi proletario sinceramente legato alla lotta della nostra classe provi un certo entusiasmo quando la classe operaia rialza la testa con dignità per portare avanti la sua lotta, come è avvenuto recentemente nelle manifestazioni contro la "riforma" delle pensioni e come espresso dalla lettera della nostra lettrice. E ciò perché è da un decennio che non vedevamo espressioni di spirito combattivo e solidarietà come queste. Questo sentimento legittimo è stato ampiamente condiviso all'interno dei cortei dall'insieme dei manifestanti.
Tuttavia, quando un movimento è in fase di riflusso, la situazione diventa più difficile da capire. Esiste quindi il rischio di arrendersi lungo la strada e di perdere lo spirito combattivo o, al contrario, in reazione, di voler combattere a tutti i costi con il pericolo di ritrovarsi imbarcati in percorsi senza uscita, in avventure minoritarie e oltranziste. Questi due simmetrici vicoli ciechi portano effettivamente all'isolamento e alla stessa sensazione di frustrazione.
È questo che ha mostrato la recente lotta, così come molti altri movimenti precedenti: mentre i manifestanti diminuivano di settimana in settimana, i sindacati cercavano di spingere quelli ancora in lotta ad "azioni" completamente sterili (blocco, affissione di manifesti negli uffici dei deputati, ecc.). Il prolungamento della lotta in alcuni settori isolati non è stato un vantaggio ma ha rappresentato piuttosto, nonostante il coraggio e la volontà esemplare di combattere, un pericolo che rischiava di sfiancare e disgustare i lavoratori più coinvolti, coloro che hanno la sensazione di avere "pagato il costo più elevato", come i lavoratori delle ferrovie o della RATP (trasporto pubblico).
Il fatto di "tenere" a tutti i costi si è quindi rivelato essere solo un vicolo cieco di fronte alla necessità diripiegare trovando i mezzi per perseguire la lotta in modo diverso e in modo più appropriato. Il ricorso ai "comitati di lotta", ad esempio, come strumenti per riunire i lavoratori più combattivi è una delle soluzioni adatte, come sperimentata dal proletariato negli anni '80. Tali organi permettono di approfondire ed allargare la riflessione e trarre le lezioni essenziali dalla sconfitta per preparare al meglio le condizioni politiche e pratiche per le inevitabili future lotte, inevitabili visto gli attacchi che il capitalismo in crisi continuerà a fare piovere.
Tutto ciò richiede un approccio, una preoccupazione in grado di inscriversi in un percorso a lungo termine. Questa lettera evidenzia, al contrario, una tendenza (che non è specifica della compagna) a partire dai fatti immediati, a comprendere la realtà secondo una visione fenomenologica, fotografica e frammentata, giustapponendo la situazione del 2006 a quella di oggi, senza vedere la realtà di un processo e quella dei cambiamenti che sono avvenuti da allora. La lotta di classe e la coscienza non si esprimono in modo puramente cumulativo o secondo uno schema prestabilito e riproducibile tal quale nella situazione attuale, come ad esempio quello della lotta contro il CPE del 2006. Dobbiamo sempre tenere conto delle dinamiche del movimento reale della lotta di classe, vedere che questa dinamica emana innanzitutto da un processo storico che va oltre non solo gli individui in lotta e le loro stesse aspirazioni, ma anche le generazioni proletarie, come ha sottolineato Karl Marx e molti altri rivoluzionari.
Se la coscienza del proletariato è effettivamente "concreta" e se essa si esprime "nelle azioni", ciò non significa affatto che la coscienza sia un semplice prodotto o un semplice riflesso meccanico delle lotte passate o delle azioni immediate della classe operaia. Aspettarsi le stesse caratteristiche e la stessa continuità delle lotte contro il CPE del 2006, senza tener conto delle condizioni della fase di decomposizione del capitalismo e delle evoluzioni legate ai cambiamenti avvenuti nella società, è un errore.
Ovviamente, tenere conto delle leggi della storia è un esercizio difficile e complesso che richiede molta energia e rigore, anche alle organizzazioni rivoluzionarie più sperimentate. In realtà, la questione che si pone qui è proprio capire che, se esiste un processo cosciente del proletariato, questo si esprime soprattutto in modo sotterraneo e non lineare[1]. La maturazione sotterranea dipende da tutta una serie di fattori materiali, da un processo vivente che mescola esperienza concreta, vita politica e memoria storica. Pertanto, la profondità e l'azione del proletariato nella lotta immediata non possono essere l'unico criterio per valutare le dinamiche o comprendere un movimento di classe. Senza un solido quadro teorico, è impossibile cogliere correttamente la realtà di un rapporto di forza tra le classi.
Effettivamente, uno dei punti deboli del movimento contro la riforma delle pensioni è stata l'incapacità del proletariato ad assumere il controllo della sua lotta, come ad esempio durante la lotta contro il CPE attraverso Assemblee Generali sovrane, ed a confrontarsi seriamente con i sindacati estendendo il movimento, come in alcune lotte degli anni '80.
Tuttavia, la lotta dell'inverno 2019-2020 è stata in grado di esprimere una forza e un potenziale significativi. In effetti il sentimento di solidarietà, la necessità, seppur embrionale ma molto reale, di unità di fronte agli attacchi, di trovarsi "tutti insieme", tutto ciò esprime una forza nuova e essenziale per una classe sociale che avverte e rifiuta più nettamente la realtà dello sfruttamento capitalista. Questa ripresa della combattività operaia pone come minimo le prime condizioni affinché gli sfruttati inizino a sentirsi progressivamente appartenenti alla stessa classe, al fine di orientare e impegnare più profondamente la riflessione verso il futuro. In altre parole, la chiusura delle manifestazioni e il montare di un forte spirito combattivo, in un contesto di riflessione, sono state una leva formidabile per ritrovare un'identità di classe, anche se la strada è ancora lunga, incerta e tortuosa. Ciò, dopo decenni di propaganda sulla cosiddetta "scomparsa della classe operaia" e mentre pesa ancora su quest'ultima l'incapacità di riconoscersi come una forza sociale unita, con gli stessi interessi storici, mentre pesa persino la vergogna di se stessa e l'oblio del proprio passato, delle proprie esperienze di lotta. Certo, siamo solo all'inizio di questo processo che resta ancora fragile. Ma i semi sparsi germineranno se le condizioni lo consentiranno: la continuazione degli attacchi massicci legati alla crisi del sistema capitalista rimane uno stimolo per alimentare la riflessione e rafforzare la coscienza di classe all'interno del proletariato.
Coloro che combattono per la rivoluzione proletaria pongono le loro "speranze" nel futuro, su scala storica, non su un particolare movimento di lotta. Quindi, al di là dell'entusiasmo o della delusione nei confronti di questa o quella lotta, è la profonda comprensione del movimento che dobbiamo raggiungere, vedere che la caratteristica della lotta del proletariato, come classe sfruttata, è quella di avanzare passando di sconfitta in sconfitta. E’ basandosi su un tale approccio storico e sulla fiducia nel futuro che Rosa Luxemburg ha potuto scrivere, nel pieno della repressione della "Comune di Berlino" nel gennaio 1919: "le masse sono state all'altezza della situazione. Esse hanno fatto di questa "sconfitta" un anello di quella catena di sconfitte storiche, che sono l'orgoglio e la forza del socialismo internazionale. E perciò da questa “sconfitta” sboccerà la futura vittoria”[2]. In effetti, nella decadenza del capitalismo, il proletariato non può più ottenere riforme durature ed è chiaro che le sue lotte si limitano ora a difendersi da attacchi sempre più brutali e generalizzati. In questo contesto, l'unica "vittoria", l'unico "guadagno" possibile è quello dell'esperienza della lotta stessa attraverso la "sconfitta". Nei fatti, solo la rivoluzione mondiale alla fine può essere considerata una "vittoria". Finché dura il capitalismo, lo sfruttamento può solo generare sempre più sofferenza e miseria. Rifiutarsi di subire attacchi è già, in un certo senso, una prima "vittoria" che viene paradossalmente da questa "sconfitta". Bisogna essere in grado di vedere cosa significa questa per il futuro, essere in grado di vedere il potenziale di una lotta che è tanto più difficile da realizzare perché ogni espressione di lotta è una grande sfida di fronte agli ostacoli che la borghesia pone, di fronte a quelli legati al peso di ideologie estranee al proletariato e ai fenomeni legati alla fase di decomposizione. Il proletariato, in effetti, "non si sta arrendendo" e comincia ad intraprendere la strada di un futuro potenzialmente promettente.
Alla fine della sua lettera, la compagna cerca di mettere in prospettiva i passi in avanti che la classe operaia dovrà o sarà costretta a compiere. Ma sembra esprimerlo in modo un po’ come speranza , come ideale. Bisogna invece notare che “la base scientifica del socialismo infatti si appoggia notoriamente su tre risultati dello sviluppo capitalistico: innanzitutto sulla crescente anarchia dell'economia capitalista che porta inevitabilmente alla sua scomparsa; in secondo luogo, sulla progressiva socializzazione del processo produttivo che crea le condizioni positive del futuro ordine sociale; e in terzo luogo, sulla crescente organizzazione e coscienza di classe del proletariato che costituisce il fattore attivo del rivolgimento immanente”[3]. In assenza di una riflessione più ancorata a un approccio storico, si rischia di "aspettare" ancora per trovarsi inevitabilmente di fronte a nuove delusioni e, infine, allo scoraggiamento.
Naturalmente, con questa lettera, la compagna dimostra che sta cercando di lottare, di comprendere e di spingere oltre la sua riflessione. Non possiamo che incoraggiare lei e tutti i nostri lettori a continuare a proseguire in questa direzione.
RI, 3 marzo 2020
[1] Leggi, per esempio, Seule la lutte massive et unie peut faire reculer le gouvernement! [10] Révolution Internationale n°480 (gennaio-febbraio 2020
[2] Rosa Luxemburg, L'ordine regna a Berlino (1919)
[3] Rosa Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione? (1898)
Dopo la lotta contro la riforma delle pensioni in Francia e la crisi da Covid-19, la borghesia e i suoi mezzi di comunicazione sembrano “riscoprire” che esiste una classe operaia. Da un reportage all’altro, si elogia il ruolo degli infermieri, degli operatori sanitari, del personale di manutenzione, dei cassieri dei supermercati, degli addetti alle consegne, degli spazzini, ecc. Diventano tutti nuove “vedette” televisive. Dopo le enormi menzogne che seguirono il crollo dell’URSS nel 1989 con il preteso “fallimento del comunismo” e la “scomparsa della classe operaia”, diventa difficile oggi nascondere il fatto che la produzione capitalista moderna venga assicurata da un proletariato ben presente e la cui collera cresce sempre più. La classe operaia, i cui componenti sono chiamati “invisibili” dai media e che i ricchi che abitano nei quartieri altolocati ignorano, è improvvisamente balzata in primo piano, elogiata dai borghesi che vogliono trasformarla in “eroi della nazione” e farne “carne da virus” per trarre profitto!
Qui di seguito pubblichiamo degli estratti del Programma socialista o Programma di Erfurt[1] di Karl Kautsky, in cui sono riaffermate le caratteristiche proprie di questo proletariato che era considerato, fin dalla sua apparizione nel XIX secolo nella grande industria, come una classe rivoluzionaria, una “classe pericolosa”. Questi “eroi” sono in realtà i “seppellitori” del capitalismo (secondo i termini di Marx del Manifesto Comunista). Mentre, dopo anni d’inerzia, le incessanti campagne di propaganda hanno fatto sì che il proletariato dubitasse della sua forza e della sua stessa esistenza, al punto da rigettare la propria esperienza di lotta assimilata fraudolentemente allo stalinismo, la sua collera e la sua determinazione contro la riforma delle pensioni in Francia hanno permesso di far riemergere le basi di un’identità di classe cancellata dalla memoria. Anche se la terribile situazione della pandemia e le condizioni di confinamento che ne sono derivate non sono le più favorevoli per esprimere la rabbia e l’indignazione, non per questo il sentimento di solidarietà, benché deviato e sfruttato vergognosamente dalla borghesia, non rimane sempre presente come fattore attivo e determinante, caratteristica di una classe che lavora in modo associato, tra gli sfruttati. Anche se, temporaneamente, la borghesia riesce a usare la situazione a proprio favore, la maturazione e la riflessione iniziate con la dura e lunga lotta di questo inverno 2019-2020 continuano all’interno del proletariato.
Con questi estratti del testo scritto da Kautsky nel 1892, in un’epoca in cui lui era ancora un divulgatore del metodo marxista e un difensore della causa rivoluzionaria del proletariato, vogliamo contribuire a questa riflessione in corso tornando ai fondamenti politici di questa necessaria identità di classe. Anche se il testo sembra datato su alcuni aspetti sociologici, il contenuto politico resta pienamente valido oggi. Tra gli elementi fondamentali, le condizioni economiche di sfruttamento del lavoro salariato rimangono essenziali. Gli altri due elementi fondamentali riguardano la coscienza di classe e la solidarietà. La coscienza di classe non può essere confusa con l’“odio” sterile, sostenuto, ad esempio, durante il movimento dei gilet gialli, da alcuni anarchici e dai black blocs, che venerano l’azione violenta e cieca come strumento della pretesa lotta rivoluzionaria. La coscienza è, al contrario, un’espressione di razionalità e di organizzazione al centro dell’identità della classe operaia e della sua lotta. La solidarietà, da non confondere con il mutuo soccorso, ne è un corollario vitale che consente ai proletari di rafforzare anche la loro unità. Questo è in gran parte ciò che abbiamo potuto vedere durante le lotte di questo inverno[2], quando la solidarietà è servita da collante per queste lotte. Ed è anche ciò che questi estratti mostrano, con delle indicazioni valide per la nostra lotta presente e futura.
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Il moderno proletariato al lavoro è un fenomeno tutto particolare, sconosciuto nella storia precedente. [...]
Tra il sottoproletariato e il proletario operaio della produzione capitalistica sussiste innanzi tutto la differenza enorme fondamentale, che quello è un parassita, questo invece una delle radici della società e anzi una radice che si rivela sempre più non solo la più importante ma infine anche l’unica da cui la società attinge la propria forza. Il proletario operaio è nullatenente ma non accetta elemosina. Non solo non viene mantenuto dalla società ma anzi la mantiene con il suo lavoro. Agli inizi della produzione capitalistica certamente il proletario operaio si considera ancora come un povero; nel capitalista da cui è sfruttato egli vede il proprio benefattore che gli dà lavoro e con ciò anche pane, il suo datore di lavoro. Questo rapporto “patriarcale” è naturalmente assai gradito ai capitalisti. Essi ancora oggi non solo richiedono per il salario che pagano ai loro operai le prestazioni di lavoro pattuite ma anche sottomissione e gratitudine.
Ma la produzione capitalista non può sussistere a lungo ín nessun luogo senza che scompaiano questi piacevoli rapporti patriarcali degli inizi. Per quanto servili e insensibili possano anche essere gli operai, prima o poi si accorgono che sono essi che sostentano il capitalista, e non il contrario. Mentre essi rimangono poveri e se è possibile diventano ancor più poveri, il capitalista diviene sempre più ricco. E se essi chiedono più pane al fabbricante, a questo presunto patriarca, questi risponde picche. […] I proletari vivono in miseri tuguri e costruiscono palazzi per i loro sfruttatori; fanno la fame e preparano per essi dei ricchi pasti. Sgobbano fino a crollare esausti per fornire al capitalista e ai suoi famigliari i mezzi per ammazzare il tempo.
Questa è una contrapposizione assai diversa da quella tra il ricco e il “piccolo uomo”, il povero dell’epoca precapitalistica. Questo ultimo invidia il ricco, guarda a lui con ammirazione, ne fa il suo modello, il suo ideale. Vorrebbe essere al suo posto, uno sfruttatore come lui. Non gli viene in mente di eliminare questo sfruttamento. Il proletario operaio non invidia il ricco, non desidera essere al suo posto, lo odia e lo disprezza. Lo odia come uno sfruttatore e lo disprezza come un fannullone. Dapprima odia soltanto quel capitalista col quale ha direttamente a che fare, poi riconosce assai presto, che nel complesso tutti si comportano con lui allo stesso modo, e il suo personale odio iniziale si sviluppa in una ostilità cosciente contro l'intera classe capitalista.
Questa ostilità contro gli sfruttatori è uno dei primi segni distintivi del proletariato operaio. L’odio di classe non è affatto un risultato della propaganda socialista — esso si era fatto sentire già assai prima della sua azione tra la classe operaia. Tra i servitori e la servitù feudale e i garzoni artigiani un tale intenso odio di classe non è possibile. Un tale odio renderebbe loro impossibile ogni attività proficua a causa degli intimi rapporti personali dei membri di questi mestieri con i loro “padroni”. In questi mestieri vi sono abbastanza lotte dei lavoratori salariati con i dirigenti dell'impresa; ma finiscono sempre per riconciliarsi. Nel modo di produzione capitalistico gli operai, possono nutrire la ostilità più accanita contro gli imprenditori senza che ne venga disturbata la produzione, addirittura senza che questi ne siano consapevoli.
Questo odio si esprime inizialmente in modo ancora timido e isolato. Se occorre un certo tempo prima che i proletari si accorgano che il fabbricante è spinto ad assumerli da tutt'altre ragioni che dalla generosità, ci vuole ancor più tempo perché trovino il coraggio di porsi in conflitto aperto con il “padrone”.
Il sottoproletariato è vile e sottomesso perché si sente inutile ed è privato di ogni sostegno materiale. Analoghe caratteristiche sono tipiche all’inizio anche del proletariato operaio finché viene reclutato soprattutto dal sottoproletariato[3] e da strati ad esso vicini. Certamente percepisce i maltrattamenti che gli vengono inflitti ma protesta solo di nascosto. Cova il suo rancore in segreto, mentre lo sdegno di temperamenti particolarmente attivi e passionali trova sfogo in delitti segreti.
Negli strati dei lavoratori salariati di cui stiamo parlando, la coscienza della propria forza e lo spirito di resistenza si sviluppano solo quando essi raggiungono la coscienza della propria comunanza di interessi, della solidarietà, che domina tra i loro membri. Con il risveglio del senso di solidarietà incomincia la rinascita morale del proletariato, l'elevazione del proletariato operaio dalla palude del sottoproletariato.
Le condizioni di lavoro della produzione capitalistica indicano da sole ai proletari la necessità di una forte coesione, di una sottomissione dei singoli alla comunità. Mentre nell'artigianato nella sua forma classica ogni singola persona formava per sé sola un tutto, l'industria capitalistica si basa sul lavoro in comune, sulla cooperazione. Il singolo operaio non può far nulla senza i suoi compagni. Se essi affrontano il lavoro uniti e in modo pianificato, il rendimento di ogni singolo si raddoppia e si triplica. In questo modo il lavoro li rende coscienti della potenza dell'unione, in questo modo il lavoro si trasforma in una disciplina volontaria e piacevole, che costituisce la premessa di una produzione collettiva, socialista, ma costituisce anche una premessa di ogni lotta vittoriosa del proletariato contro lo sfruttamento della produzione capitalistica. In questo modo quest'ultima educa il proletariato a provocare il suo crollo ed a lavorare per la società socialista.
Forse ancor più della cooperazione, l'uguaglianza delle condizioni di lavoro contribuisce a risvegliare il senso di solidarietà nel proletariato. In una fabbrica non vi è in genere tra gli operai quasi alcuna differenza di grado, non vi è gerarchia. I posti più alti sono di regola inaccessibili ai proletari, e sempre tanto scarsi che non sono in gioco per la massa degli operai. Solo pochi possono essere corrotti con questi posti di favore. Per la grande maggioranza vigono medesime condizioni di lavoro, e il singolo non ha alcuna possibilità di migliorarle solo per se stesso; può elevare la propria situazione solo se si eleva quella dell'insieme di tutti i suoi compagni. Certamente i fabbricanti cercano di seminare discordia tra gli operai con l'introduzione artificiosa di ineguaglianze nelle condizioni di lavoro. Ma l'effetto livellatore della grande industria moderna è troppo forte perché simili espedienti — lavoro parcellizzato, premi ecc. — possano alla lunga cancellare la coscienza della solidarietà d'interessi tra gli operai. Quanto più a lungo dura la produzione capitalistica, tanto più potentemente si sviluppa la solidarietà proletaria, tanto più profondamente essa si radica nel proletariato, tanto più diviene sua caratteristica dominante.
Basta richiamare ciò che abbiamo detto prima sulla servitù per dimostrare quanto il proletariato operaio si distingua da essa su questo punto. Ma anche la servitù economica è più arretrata rispetto al proletariato della produzione capitalistica, addirittura anche i garzoni dell'artigianato.
La solidarietà dei garzoni artigiani si è arrestata ad un punto che è stato superato dalla solidarietà dei proletari. La solidarietà degli uni come degli altri non si limita ai lavoratori della stessa impresa. Come i proletari anche i garzoni artigiani sono giunti alla fine a riconoscere che i lavoratori si scontrano dappertutto con gli stessi nemici, e hanno ovunque gli stessi interessi. I garzoni artigiani formarono organizzazioni nazionali, estese all'intero ambito della nazione, già in un'epoca in cui la borghesia era ancora profondamente immischiata in piccole contese cittadine e locali. Il proletariato di oggi è completamente internazionale nel proprio sentire ed agire; nel bel mezzo delle più acerrime lotte nazionali, della più accanita preparazione militare delle classi dominanti í proletari di tutti i paesi si sono uniti.
Troviamo inizi di organizzazioni internazionali già presso i garzoni artigiani; essi si sono dimostrati in grado di superare le restrizioni nazionali. Ma non sono stati in grado di elevarsi oltre un preciso limite; il mestiere. Il cappellaio o il calderaio tedesco poteva trovare ospitalità nei suoi vagabondaggi presso colleghi in Svizzera o in Svezia; invece nella sua stessa patria era del tutto estraneo al calzolaio o al falegname del suo paese. Nell'artigianato i mestieri erano rigidamente separati. L’apprendista doveva lavorare per lunghi anni prima di diventare garzone e per tutta la sua vita rimaneva fedele alla propria arte. Il rigoglio e il potere di questa erano anche suoi propri. Se il garzone si trovava in contrasto col maestro della propria arte non lo era meno tanto con i maestri che con i garzoni delle altre arti. Nell'epoca di fioritura dell'artigianato troviamo i garzoni delle diverse arti invischiati in dure lotte ed inimicizie.
La produzione capitalistica invece mescola tra loro i diversi mestieri. In un'impresa capitalistica in genere operai di diversi mestieri lavorano l'uno accanto ed insieme all'altro per raggiungere uno scopo comune. D'altra parte la produzione capitalistica ha la tendenza ad eliminare del tutto il concetto di mestiere dalla produzione. La macchina riduce il tempo di apprendistato dell'operaio, una volta assai lungo, ad un tirocinio di poche settimane, spesso di giorni. Rende possibile al singolo operaio di passare senza grandi difficoltà da una lavorazione all'altra, spesso ve lo costringe rendendo inutile la sua attività precedente, gettandolo così sul lastrico e costringendolo a cercare un'altra attività. La libertà di scelta del lavoro, che i filistei temono di perdere nello “Stato del futuro”, ha già oggi perso ogni significato per l’operaio.
In queste condizioni gli è facile superare il limite dinnanzi a cui si sono arrestati i garzoni artigiani. Il senso di solidarietà del moderno proletario è non solo internazionale ma si estende all'intera classe operaia.
Già nell'antichità e nel medioevo erano presenti diverse forme di lavoro salariato. Anche le lotte tra gli operai salariati e i loro sfruttatori non sono nulla di nuovo. Ma solo con il predominio della grande industria capitalistica vediamo sorgere una classe omogenea di operai salariati, che non solo sono pienamente coscienti della comunanza dei loro interessi ma che subordinano non solo i loro interessi personali ma anche quelli locali — e fin dove ancora sussistono — i loro interessi professionali particolari al grande interesse complessivo della classe. Solo nel nostro secolo le lotte dei lavoratori salariati contro lo sfruttamento assumono il carattere di una lotta di classe. E solo con questo è possibile che tali lotte abbiano una meta più alta dell’eliminazione di abusi momentanei, che il movimento operaio diventi un movimento rivoluzionario.
Il concetto di classe operaia diviene però sempre più ampio. Qui vale in primo luogo ciò che abbiamo detto del proletariato operaio della grande industria. Ma come il capitale industriale diviene sempre più determinante per l'intero capitale, anzi per tutte le imprese economiche nell'ambito delle nazioni capitalistiche, così il pensiero e i sentimenti del proletariato che opera nella grande industria divengono sempre più determinanti per il pensiero e i sentimenti dei lavoratori salariati in generale. La coscienza della generale comunanza di interessi tocca anche i lavoratori della manifattura capitalistica e dell'artigianato e li tocca tanto più quanto più l'artigianato perde il suo carattere primitivo e si avvicina alla manifattura o decade nell'industria domestica sfruttata dal capitale.
Ad essi si uniscono man mano i lavoratori delle attività cittadine non industriali, del commercio, dei trasporti, delle attività “alberghiere e di ristoro”, come viene detto nella statistica professionale tedesca. Anche i lavoratori della campagna diventano gradualmente coscienti della comunanza di interessi con gli altri lavoratori salariati non appena la produzione capitalistica dissolve l'antica impresa agricola patriarcale e la trasforma in un'industria che produce con proletari salariati, non più con la servitù che appartiene alla famiglia dell'agricoltore. E infine il senso di solidarietà incomincia a conquistare anche i meno abbienti tra gli artigiani indipendenti e in certe condizioni a contagiare anche i contadini: così le classi lavoratrici si saldano sempre più in un’unica classe lavoratrice omogenea, animata dallo spirito del proletariato della grande industria, che aumenta di numero e d'importanza economica. Sempre più si diffonde in essa il senso della coesione cameratesca, tipico del proletariato della grande industria, della disciplina collettiva, dell’ostilità al capitale; nelle sue fila si diffonde anche quell'inesauribile desiderio di sapere tipico del proletariato, di cui abbiamo parlato alla fine del capitolo precedente.
Così dal proletariato disprezzato, maltrattato ed abbrutito sorge un nuovo potere mondiale dinanzi a cui incominciano a tremare le vecchie potenze: sorge una nuova classe con una nuova morale e una nuova filosofia, che giornalmente aumenta di numero, compattezza, insostituibilità economica, autocoscienza, perspicacia. [...]
E nella misura in cui il proletariato esercita un’influenza più considerevole sulle classi che gli sono vicine, agendo in modo più efficace sulle loro idee e sui loro sentimenti, queste tendono sempre più ad entrare nel movimento socialista. Lo scopo naturale della lotta di classe condotta dal proletariato è la produzione socialista. Questa lotta non può finire prima di raggiungere questo obiettivo. [...]
Non bisogna naturalmente attendersi che questo riconoscimento si diffonda troppo rapidamente tra di loro. E tuttavia è già iniziata la diserzione di contadini e di piccoli borghesi dalle fila dei partiti borghesi, una diserzione di tipo assai particolare, perché sono proprio i più attivi. I più combattivi, i primi ad abbandonare il campo, non per sfuggire alla mischia, ma per sfuggire alla meschina lotta per una esistenza miserevole verso la grandiosa lotta universale per l’edificazione di nuova società, che renda partecipi tutti i propri membri delle grandi conquiste della civiltà moderna, verso la lotta per la liberazione di tutta l’umanità civile, anzi dell’umanità intera, dalla condanna di una società che minaccia di schiacciarla.
Quanto più insopportabile diviene il modo di produzione esistente, quanto più chiaramente corre incontro alla propria bancarotta, e quanto più i partiti dominanti incapaci si dimostrano di eliminare le disfunzioni sociali in pauroso aumento, quanto più inconsistenti e senza principi divengono questi partiti, e si riducono sempre più a cricche di politici con interessi personali, tanto più numerosi affluiranno alla socialdemocrazia i membri delle classi non proletarie e seguiranno a fianco del proletariato che avanza irresistibile la sua bandiera fino alla vittoria ed al trionfo.
Karl Kautsky, 1892
[1] Il Programma di Erfurt è stato pubblicato in italiano nel 1971 da Samonà e Savelli.
[2] Vedi sul nostro sito gli articoli Lotte in Francia: Governo e sindacati mano nella mano per far passare la riforma [12], https://it.internationalism.org/content/1525/lotte-francia-governo-e-sindacati-mano-nella-mano-far-passare-la-riforma [12] e Contro gli attacchi del governo, la lotta massiccia e unita di tutti gli sfruttati! Volantino della CCI in Francia [13], https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati [13].
[3] Da lumpenproletariat, letteralmente “proletariato straccione” o “sottoproletariato”, termine usato da Marx ed Engels per designare “i rifiuti umani lasciati indietro da tutte le classi sociali” e utilizzati nel corso della storia dalla borghesia per spezzare le lotte della classe operaia.
Da diverse settimane il numero di persone contagiate da Covid-19 è aumentato notevolmente in diverse regioni del mondo e soprattutto in Europa, che sembra essere di nuovo uno degli epicentri della pandemia. La “possibile seconda ondata” annunciata diversi mesi fa dagli epidemiologi è ormai una realtà ed è certo che sarà molto più virulenta della precedente.
Di fronte alla gravità e al rapido deterioramento della situazione, gli Stati nazionali non hanno altra soluzione che improvvisare coprifuoco o semi-confini locali o nazionali per tenere a bada la popolazione nel luogo in cui risiede … ovviamente, al di fuori dell'orario di lavoro.
In questi ultimi mesi i media di molti paesi hanno continuato a riportare i discorsi meschini e falsi delle autorità che non hanno esitato a mettere all’indice i “giovani irresponsabili ed egoisti” che si sono radunati “per organizzare feste clandestine", o vacanzieri che approfittano delle ultime belle giornate estive per bere qualcosa sulla terrazza di un caffè togliendosi le mascherine (dopo che i governi della sponda mediterranea li avevano fortemente incoraggiati al fine di “salvare il settore turistico in pericolo”!). Questa grande campagna che prende di mira quotidianamente “l'irresponsabilità dei cittadini” è solo la foglia di fico che tenta di mascherare l’eclatante incuria e la mancanza di prevenzione di cui la classe dirigente è colpevole da molti anni[1] proprio come in questi ultimi mesi dopo il relativo riflusso della “prima ondata”.
Sebbene i governi fossero pienamente consapevoli che non esisteva alcuna cura efficace, che la messa a punto di un vaccino era ben lontana e che il virus non sarebbe stato necessariamente stagionale, non è stata adottata nessuna misura per prevenire una potenziale "seconda ondata". Il numero del personale ospedaliero non ha visto alcun aumento dallo scorso marzo, così come il numero di posti letto nelle unità di terapia intensiva. Le politiche di smantellamento dei sistemi sanitari sono persino proseguite in diversi paesi. Tutti i governi hanno quindi esortato la società a tornare al "mondo di prima", celebrando il ritorno dei "giorni felici" con un solo e stesso slogan: "Dobbiamo salvare l'economia nazionale!"
Oggi, con lo stesso slogan le borghesie europee costringono gli sfruttati a chiudersi e a zittirsi nuovamente in casa, esortandoli però a recarsi sul posto di lavoro, ignorando il conseguente aumento di contatti tra le persone favorevole alla proliferazione del virus (soprattutto nelle grandi aree metropoli) e in assenza di misure sanitarie sufficienti per garantire la sicurezza sul posto di lavoro e nelle scuole!
L'incuria e l'irresponsabilità che la classe dominante ha dimostrato in questi mesi la rende ancora una volta incapace di tenere sotto controllo la pandemia. Pertanto, la stragrande maggioranza degli Stati europei tende chiaramente a perdere il controllo della situazione procurando malessere, per chi è costretto ad andare a lavorare con l’angoscia e paura di contaminarsi e di contaminare i propri cari.
Contrariamente a quanto afferma, non c'è dubbio che l'obiettivo della classe dominante non è quello di salvare vite umane ma di limitare il più possibile gli effetti catastrofici della pandemia sulla vita del capitalismo, evitando al tempo stesso di accentuare la tendenza al caos sociale.
A questo scopo il funzionamento della macchina capitalista deve essere garantito a tutti i costi. In particolare è essenziale consentire alle aziende di generare un profitto. Senza lavoratori salariati sui luoghi di produzione, nessun lavoro è possibile, quindi nessun profitto da realizzare. Un rischio che la borghesia vuole evitare a tutti i costi. La produzione, il commercio, il turismo e i servizi pubblici devono essere garantiti il più possibile; le conseguenze sulla vita di centinaia di migliaia o addirittura milioni di esseri umani non contano. La classe dominante non ha altra alternativa per garantire la sopravvivenza del proprio sistema di sfruttamento.
Qualunque cosa faccia, oramai non è più in grado di fermare l'inesorabile sprofondare del capitalismo nella sua crisi storica. Questo declino irreversibile la spinge quindi a mostrarsi così com'è, totalmente insensibile al valore della vita umana. Pronta a tutto pur di preservare il proprio dominio, compreso far morire decine di migliaia di persone, a cominciare dai pensionati, considerati “inutili” agli occhi del capitale. La pandemia mette in luce l'inconciliabile sopravvivenza di un capitalismo in decomposizione e quella dell'umanità!
Gli sfruttati quindi non hanno nulla da aspettarsi dagli Stati e dai loro governi che, qualunque sia il loro colore politico, fanno parte della classe dominante e rimangono al suo servizio. Gli sfruttati non hanno nulla da guadagnare accettando senza batter ciglio i “sacrifici” loro imposti per “salvare l'economia”.
Prima o poi, la borghesia sarà in grado di disperdere i danni sanitari causati da questo virus sviluppando un vaccino efficace. Ma le condizioni di decomposizione sociale che hanno portato a questa pandemia non scompariranno. Tenuto conto della guerra che gli Stati stanno conducendo nella loro folle "corsa al vaccino", la sua distribuzione si annuncia già altamente problematica. Alla stessa stregua dei disastri industriali o ambientali, è più che probabile che in futuro l'umanità affronterà sempre più pandemie globali, probabilmente anche più mortali.
Di fronte alla catastrofe economica aggravata dalla pandemia, l'esplosione della disoccupazione, la crescente miseria e l'aumento e delle pressioni dei ritmi lavorativi, la classe operaia non avrà altra scelta che lottare per difendere le proprie condizioni di vita. La rabbia sta già crescendo ovunque e la borghesia sta cercando di attenuarla momentaneamente promettendo a tutte le famiglie operaie che le feste di fine anno si potranno fare (anche se i grandi raduni dovranno essere limitati). Ma questa “pausa” del confinamento per le festività non cambierà nulla nella sostanza. Il 2021 non sarà migliore del 2020, con o senza vaccino. Prima o poi dovremo riprendere la lotta, una volta superato lo shock di questa pandemia.
Solo riprendendo il cammino della lotta contro gli attacchi della borghesia, del suo Stato e dei padroni, la classe operaia potrà sviluppare la sua unità e solidarietà. Solo la sua lotta di classe, rompendo la sacra unione con i suoi sfruttatori, alla fine potrà aprire una prospettiva per tutta l'umanità minacciata di scomparire sotto un marcio sistema di sfruttamento. Il caos capitalista può solo continuare a peggiorare, con sempre più disastri e nuove pandemie. Il futuro è quindi nelle mani del proletariato. Lui solo ha i mezzi per salvare il pianeta e rovesciare il capitalismo per costruire una nuova società.
Vincent, 11 novembre 2020
[1] Vedi sul nostro sito www.internationalism.org [17] i numerosi articoli pubblicati in diverse lingue che denunciano lo smantellamento del sistema sanitario a livello mondiale.
Ogni giorno – e ormai da mesi - moltissimi italiani consultano i dati dei nuovi contagiati da Coronavirus, dei morti e della tendenza del contagio, se in aumento o in decrescita. Leggere che ogni giorno si trovano 30-40 mila nuovi contagiati (tra quelli controllati) e 700-800 morti è come leggere un bollettino di guerra. Al 23 dicembre il totale dei contagiati arriva ai due milioni, con circa 70 mila morti e ancora più di 600 mila persone attualmente positive[1]. Questa malattia non è un raffreddore o una influenza, chi è contagiato e non è asintomatico soffre le pene dell'inferno. Inoltre la procedura per accedere alle terapie non è semplice, le macchine per la terapia intensiva sono insufficienti, ne servirebbero il doppio rispetto a quelle attuali (in data 27 ottobre il numero è di 6960 e prima del Covid erano 5179[2], quando in Italia esiste una delle poche aziende produttrici a livello mondiale[3]. Mancano inoltre 9 mila medici e anestesisti. E le stesse notizie non sono una prerogativa dell'Italia ma di tutto il mondo.
La pandemia frutto di un complotto?
Di fronte a questa tragica situazione, le varie borghesie, impotenti e smarrite, hanno prima cercato di minimizzare il problema riducendolo a quello di una normale influenza – vedi atteggiamenti di Trump, Johnson, Salvini, Meloni, … per poi attribuirne la responsabilità a qualcun altro, come ha fatto Trump & consociati con la Cina, dando credito all’ipotesi che il virus abbia origini artificiali e sia nato in laboratorio[4], seminando così irresponsabilmente dubbio e confusione tra la popolazione. Perché mai questa disinformazione? Perché ancora una volta la verità fa male al potere!
Già nel lontano passato, e particolarmente durante il più grave episodio di pandemia dovuto alla peste nera che, tra il 1348 e il 1351, ridusse di un terzo la popolazione di tutta l’Europa, numerosi ebrei vennero accusati di diffondere la peste e per questo giustiziati, spesso col fuoco purificatore del rogo, in Spagna, Germania, Paesi Bassi e altri ancora. Ma all’epoca, per lo meno, si poteva addurre come giustificazione di tanto orrore il fatto che nell’antichità era quasi impossibile scoprire la natura delle epidemie perché non c’era una comprensione scientifica dell’origine e della trasmissione delle pestilenze, e l’ignoranza dell’epoca poteva dare un minimo di ragionevolezza alla caccia agli untori e alla proliferazione di spiegazioni irrazionali. Ma oggi le teorie complottiste sono del tutto assurde e costituiscono non solo una falsa interpretazione del mondo, ma anche un blocco contro lo sviluppo della coscienza necessaria per cambiarlo. Ed è appunto per questo che vengono alimentate dallo stesso potere.
La pandemia colpa degli animali che ce l’hanno trasmessa?
Ma oggi, in un'epoca in cui da 50 anni l’uomo ha dimostrato che andare sulla Luna non è più solo un sogno e si progetta addirittura un viaggio su Marte, quando la robotica e l’informatica ci permettono di controllare ogni cosa e lo sviluppo della conoscenza scientifica sembra non incontrare più limiti in nessun settore, come possiamo spiegarci che l’umanità, per far fronte al Coronavirus, è dovuta ricorrere agli stessi metodi usati ai tempi della peste nera del ‘300, fermandosi per quasi un anno e che, nonostante tutto questo, non ne è venuta ancora fuori? Un’altra bufala che gira e che sembra più verosimile perché più vicina alla realtà è che è tutta colpa di questa o quella specie di animali che avrebbe trasmesso il virus all’uomo. Per cui dagli addosso all’animale di turno. Ma ancora una volta questa è una falsa verità: “Gli animali selvatici non hanno nulla a che fare con questo. Nonostante gli articoli che fotograficamente indicano la fauna selvatica come il punto di partenza di epidemie devastanti, è un malinteso che la fauna selvatica sia particolarmente infestata da agenti patogeni mortali che sono pronti a contagiarci. In realtà, la maggior parte dei loro microbi vive in loro senza far loro del male. Il problema sta altrove: con la dilagante deforestazione, l'urbanizzazione e l'industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per raggiungere il corpo umano e adattarsi. […] La distruzione degli habitat minaccia l'estinzione di molte specie […] Il risultato è una maggiore probabilità di contatto stretto e ripetuto con l'uomo, che permette ai microbi di passare nel nostro corpo, dove passano dall’essere benigni ad agenti patogeni mortali. […] Lo stesso vale per le malattie trasmesse dalle zanzare, poiché è stato stabilito un legame tra l'insorgenza di epidemie e la deforestazione […] Secondo uno studio condotto in 12 paesi, le specie di zanzare che trasportano agenti patogeni umani sono due volte più numerose nelle aree disboscate che nelle foreste intatte.”[5]
Tutte le responsabilità della borghesia
Ma c’è di più. Se siamo arrivati a tanto è ancora perché scontiamo anni di ristrutturazioni del settore sanitario, vale a dire di riduzione progressiva dei fondi per la sanità per far fronte alla crisi, con chiusura di ospedali o di interi reparti, la mancata prevenzione e assunzione di medici e personale infermieristico.
Ad esempio, sul giornale on-line quotidianosanità.it del 19 marzo 2020 si legge: “In 10 anni tagliati 200 ospedali, 45 mila letti, 10 mila medici e 11 mila infermieri. In Terapia intensiva un leggero aumento ma i posti letto sono poco più di 5.200. Tra chiusura di strutture, riduzioni di personale, privato in crescita e finanziamenti inadeguati anche negli anni '10 del nuovo millennio il Servizio sanitario ha proseguito la sua opera di dimagrimento. E proprio oggi in piena emergenza il Coronavirus ci sta presentando il conto, con il paradosso che il prezzo più alto lo stanno pagando i più fragili e gli operatori sanitari che proprio questa dieta per anni hanno denunciato”[6]. Ancora una volta tutto è avvenuto in perfetto parallelismo, anche se con intensità diversificate, con i vari paesi del mondo. Ad esempio il governo degli Stati Uniti, giusto due mesi prima dell’inizio di questa pandemia, ha deciso di tagliare i finanziamenti a Predict, un programma lanciato nel 2009 negli Stati Uniti dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) per aiutare gli scienziati in Cina e in altri Paesi a formarsi sulla minacce di nuovi virus e, all'inizio di febbraio 2020, ha annunciato l'intenzione di ridurre del 53% il suo contributo al bilancio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Quello che è però veramente nauseante è il fatto che, dopo aver fatto credere di essere stata presa di sorpresa dall’espansione del virus e dopo un primo relativo successo nel contenere la pandemia con il lockdown, la borghesia, piuttosto che tirare la lezione, ha continuato come se fosse stato definitivamente risolto un problema che invece stava ancora lì tutto intero. Ad esempio, dicevamo all’inizio che manca un numero adeguato di macchine per la terapia intensiva. Allora ci chiediamo: queste non potevano essere comprate in estate? Ciò non è stato fatto, sperando in un calo dei contagi, pur di risparmiare. Anzi si è incentivata la dismissione dei reparti a terapia intensiva per ritornare alla gestione dei tempi normali. Confidando in un calo dei contagi e non ascoltando gli esperti che ne prevedevano un forte e preoccupante ritorno in autunno, non è stato fatto nulla per evitare una ripresa vigorosa del virus durante l'estate, lasciando andare tutti dappertutto, in massa nelle località di vacanza, Spagna, Grecia, Sardegna, in massa nelle discoteche, etc.. e tutto senza controlli, quarantene. Poi, durante l’estate, c’è stata tutta una campagna governativa che ha insistito sul ritorno a scuola a tutti i costi come obiettivo prioritario perché tenere i figli a casa significa un problema per i genitori che devono produrre, ma il problema dei trasporti, ad esempio, non è stato minimamente preso in considerazione. Ecco quello che pensa il fisico Roberto Battiston, già presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana: “L’aumento dei contagiati ha iniziato dai primi di ottobre una crescita esponenziale. […] che non si è più fermata raggiungendo in tre settimane valori molto più alti della prima ondata, superando oggi i 19.000 nuovi casi di contagi al giorno e portando alla saturazione delle terapie intensive. […] Per cambiare da un giorno all’altro l’andamento dell’epidemia è necessario un evento che abbia improvvisamente mutato i comportamenti sociali di milioni di persone. Un evento che sia accaduto circa una settimana prima del primo ottobre, un evento che abbia coinvolto tutta l’Italia. […] di fatto la scuola è ripartita a pieno ritmo intorno al 24 settembre mettendo improvvisamente in movimento quasi otto milioni di studenti: esattamente quello che serve per spiegare i dati. […] Nella settimana seguente la situazione cambia drasticamente: il ritmo di crescita degli infetti tra gli studenti è 2,65 volte (+265%) più alto che per il resto della popolazione, quello del personale docente è esattamente il doppio (+200%), quello del personale non docente è 1,67 volte (+167%) più alto del resto della popolazione italiana!”[7]
La storia del piano pandemico nazionale
Per chiudere sul tema non possiamo non riportare la ridicola e sconcertante storia del piano pandemico nazionale, cioè delle linee guida che avrebbero dovuto suggerire tutte le misure da prendere in caso di pandemia ma che, come si è poi scoperto, è rimasto inalterato dal lontano 2006 laddove, con l’evoluzione delle malattie infettive nel mondo, per definizione dovrebbe essere aggiornato ogni anno[8]. Il servizio di Report RAI 3, La consapevole foglia di fico [18] del 30 novembre scorso riporta ancora che un rapporto redatto da un team veneziano dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), è letteralmente scomparso pochi giorni dopo dal sito dell’ente che l’aveva pubblicato, quello dell’OMS Europa[9]. Tale rapporto faceva riferimento non solo al mancato aggiornamento del piano, ma anche ad uno scomodo articolo[10] di Filippo Curtale, Direttore UOC Rapporti internazionali, INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà), in cui si ricorda che già “nel 2005 la minaccia mortale di una pandemia era un argomento che occupava le copertine della stampa internazionale. La cover story di TIME, del 17 ottobre 2005, riportava l’allarme degli esperti di sanità sulla pandemia (di influenza aviaria) che stava arrivando, e che avrebbe ucciso milioni di persone, devastato l’economia mondiale e causato la chiusura (shut down) di tutto il mondo industrializzato e non.” Non sembra strano dunque che la mail di censura di questo rapporto, attribuita a Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’OMS, si rivolga al team veneziano ingiungendo di “correggere subito nel testo” alterando la data da 2006 a 2016 al piano pandemico e aggiungendo “Non fatemi casino su questo. Ed eliminate il riferimento a quello scemo di Curtale. Stasera andiamo sui denti di Report e non possiamo essere suicidi. Ti avevo pregato di farmi rileggere il draft prima della stampa … accidenti… Adesso blocco tutto con Soumya. Fammi avere la versione rivista appena puoi. Così non può uscire.”
Che lezioni possiamo trarre?
Oggi, a fine anno 2020, la borghesia italiana e mondiale si trova completamente impreparata a fare alcunché e cerca disperatamente di riparare promettendo la salvezza dell’umanità con i vaccini appena preparati. Vaccini preparati in qualche mese laddove sono di norma richiesti anni di studio e di sperimentazione. Cosa ne verrà fuori? Per il momento possiamo solo sperare che questa macrosperimentazione sulla pelle dell’umanità non procuri troppi danni.
In realtà questa pandemia, con il carico di morti e le tragiche conseguenze sull’economia e sulle condizioni di vita di miliardi di persone, esprime un elemento di aggravamento dell’agonia del capitalismo, quella che abbiamo definito di decomposizione. Il capitalismo è incapace di gestire la società e questo lo si vede dappertutto, vedi le lacerazioni all'interno degli Stati Uniti tra Trump e Biden e all'interno dei loro stessi partiti; vedi in Italia i conflitti tra stato e regioni, tra regioni e comuni!! Vedi gli scontri verbali tra Sala, sindaco di Milano, e Fontana, presidente della Lombardia, e in Campania tra De Magistris e De Luca. Lo stesso governo non è immune da forti contrasti tra i partiti che lo compongono, all’interno dei quali esistono peraltro anime contrapposte. Ciò che dicono oggi può essere stravolto l'indomani. Non esiste un programma unificante, l'improvvisazione è di casa e questo in piena catastrofe sociale! Gli stessi partiti di opposizione ne pensano una e ne dicono un'altra, presi dalla preoccupazione non della salute pubblica ma di guadagnare simpatie attaccando il governo Come fa d’altra parte la stessa Italia Viva di Renzi che richiede una verifica di governo sul Mes e sulla Task force in piena pandemia!
In tutto questo quelli che pagano il conto sono i lavoratori, e particolarmente quelli che per il tipo di lavoro svolto non sono potuti ricorrere allo smartworking, come quelli del settore sanità, obbligati a lavorare senza protezioni individuali, in quanto anche reperire mascherine e disinfettanti era arduo! Inoltre il sopraggiungere dell'emergenza sanitaria e le misure restrittive introdotte nel periodo del lockdown hanno provocato forti perturbazioni nel mercato del lavoro: “il massacro di posti di lavoro dei giovani precari e autonomi: con il Covid persi 841 mila occupati, la metà ha meno di 35 anni. Gli occupati sotto i 35 anni sono calati dell’8% nei primi sei mesi del 2020. A pagare sono stati i lavoratori con un contratto a termine e gli autonomi, non tutelati dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione. Nel dettaglio, i contratti a termine sono diminuiti di 677 mila unità, mentre le partite Iva sono calate di 219 mila unità”[11].
La chiusura di esercizi commerciali, ristoranti, alberghi, negozi vari, palestre e quant'altro ha prodotto una improvvisa marea di disoccupati ufficiali anche in questo settore, ma ci sono anche centinaia di migliaia di lavoratori in nero che non esistono per lo Stato. Questi lavoratori, e soprattutto gli immigrati che non sono regolarizzati, perdendo il lavoro, non hanno diritto ad alcun ristoro, nei fatti non esistono. E non esistendo, è anche difficile far sentire la propria voce in un periodo in cui la classe operaia ha una crisi di identità e fa fatica a battersi.
Se a tutto questo aggiungiamo che “quella di Covid-19 non sarà l'ultima pandemia”[12] possiamo capire che, al di là dello sfruttamento sempre più intenso della manodopera dei lavoratori, quando si riesce a essere sfruttati, questa società non riesce a garantire neanche più la stessa sopravvivenza della specie umana. La realtà è che la società capitalista non ha nulla più da offrire se non guerre, miseria e pandemie; è incapace di dare una risposta globale alle necessità dell’umanità, non ha alcun futuro! E questo quando nella stessa società esistono risorse tecnologiche e capacità umane che potrebbero risolvere in poco tempo tutti i maggiori problemi di cui soffre oggi l’umanità. Questa contraddizione tra le enormi capacità produttive, di sviluppo scientifico e organizzative acquisite dall’umanità e l’incapacità crescente da parte dei detentori del potere a gestirle è il punto critico su cui si deve innestare l’azione del proletariato, la classe che ha nelle mani le chiavi della futura società.
Oblomov & Ezechiele 27 dicembre 2020
[4] Vedi i commenti sul cosiddetto “Yan Report”, uno studio realizzato da una virologa cinese Li-Meng Yan e reso pubblico il 14 settembre 2020 su: Li-Meng Yan: “Covid-19 creato in laboratorio?” [22] e Coronavirus. Il Sars-Cov-2 creato in laboratorio? [23]
[5] Sonia Shah, Contre les pandémies, l’écologie [24], Le Monde diplomatique, marzo 2020.
[7] Scuola e covid [26].
[8] In verità, se andiamo a leggere l’elenco dei piani pandemici pubblicati nel sito dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), l’Italia è in buona compagnia visto che pochi paesi, come la Germania e la Svezia hanno aggiornato i loro documenti al 2015 e 2016 mentre gli altri riportano date anche precedenti al 2006. Vedi Il servizio di Report e il Pdf del Piano pandemico mai aggiornato dal 2006 [27].
[10] "C’era una volta il piano pandemico".
Gli Stati Uniti, il paese più potente del pianeta, sono diventati la vetrina della decomposizione progressiva dell'ordine mondiale capitalista. La corsa alle elezioni presidenziali ha gettato una luce sinistra su un paese dilaniato da divisioni razziali, da conflitti sempre più brutali all'interno della classe dirigente, da una scioccante incapacità di affrontare la pandemia Covid-19 che ha causato quasi un quarto di milione di morti, dall'impatto devastante della crisi economica ed ecologica, dalla diffusione di ideologie irrazionali e apocalittiche. Eppure queste ideologie, paradossalmente, riflettono una verità di fondo: che stiamo vivendo gli “ultimi giorni” di un sistema capitalista che pure regna su tutto il paese.
Ma anche in questa fase finale del suo declino storico, mentre la classe dominante dimostra sempre più la sua perdita di controllo sul proprio sistema, il capitalismo sa ancora ritorcere il suo marciume contro il suo vero nemico, contro la classe operaia e il pericolo che essa rappresenta nel momento in cui diventa cosciente dei suoi veri interessi. L'affluenza record in queste elezioni, le proteste così come i festeggiamenti chiassosi di entrambi i campi rappresentano un potente rafforzamento dell'illusione democratica, della falsa idea che cambiare un presidente o un governo possa fermare lo scivolamento del capitalismo nell'abisso, che il voto possa permette al “popolo” di prendere nelle proprie mani il suo destino.
Oggi questa ideologia è alimentata dalla convinzione che Joe Biden e Kamala Harris “salveranno” la democrazia americana dal bullismo e dal gioco sporco autoritario di Trump, che guariranno le ferite della nazione, che restaureranno la razionalità e l'affidabilità nel rapporto degli Stati Uniti con le altre potenze mondiali. E queste idee trovano eco in una gigantesca campagna internazionale che saluta il rinnovamento della democrazia e il rinculo dell’assalto populista contro i valori liberali.
Ma noi proletari dobbiamo stare allerta: se Trump e il suo "America First" si sono schierati apertamente per inasprire il conflitto economico e persino militare con altri Stati capitalisti -la Cina in particolare- anche Biden e Harris perseguiranno la politica di dominio imperialista dell’America, forse con metodi e retorica leggermente diversi. Se Trump era favorevole ai tagli delle tasse per i ricchi e il suo regno si è concluso con un enorme aumento della disoccupazione, un'amministrazione Biden, di fronte a una crisi economica mondiale che la pandemia ha severamente aggravato, non avrà altra scelta che far pagare la crisi alla classe sfruttata attraverso crescenti attacchi alle sue condizioni di vita e di lavoro. Se i lavoratori immigrati e “illegali” pensano che saranno più al sicuro sotto un'amministrazione Biden, ricordino che sotto il presidente Obama e il vicepresidente Biden milioni di lavoratori “illegali” sono stati espulsi dagli Stati Uniti.
Senza dubbio gran parte dell'attuale sostegno a Biden arriva in reazione ai veri orrori del Trumpismo: le bugie sfacciate, i messaggi razzisti subliminali, la dura repressione delle proteste, la totale irresponsabilità di fronte al Covid-19 e al cambiamento climatico. Non c'è dubbio che Trump sia un chiaro riflesso di un sistema sociale in putrefazione. Ma Trump pretende anche di parlare in nome del “popolo”, di agire come un outsider in contrapposizione alle “élite” incomprensibili. E anche quando mina apertamente le "regole" della democrazia capitalista, rafforza ulteriormente la contro-argomentazione che dovremmo, più che mai, schierarci in difesa di queste "regole". In questo senso, Biden e Trump sono le due facce della stessa medaglia, quella della truffa democratica.
Ciò non significa che questi due rivali lavoreranno insieme pacificamente. Anche se Trump viene rimosso dalla carica di presidente, il trumpismo non scomparirà. Trump ha normalizzato le milizie armate di estrema destra che marciano per le strade e ha portato sette cospirazioniste come QAnon nella corrente ideologica. In reazione, tutto questo ha alimentato la crescita di squadre antifasciste e di milizie pro-black power pronte ad opporsi armi alla mano ai sostenitori della supremazia dei bianchi. E dietro a tutto ciò, l'intera classe borghese e la sua macchina statale sono lacerate da interessi contrastanti di politica economica ed estera che non possono essere eliminati dai discorsi di “guarigione” di Biden. E’ molto probabile che questi conflitti diventino più intensi e più violenti nel periodo a venire.
La classe operaia non ha alcun interesse ad essere coinvolta in questo tipo di "guerra civile", a dare la sua energia e perfino il suo sangue alla battaglia tra fazioni populiste e anti-populiste della borghesia.
Queste due fazioni non esitano a propagandare una visione tronca della "classe operaia". Trump si presenta come il paladino dei caschi blu i cui posti di lavoro sono stati messi in pericolo o distrutti dalla concorrenza straniera “sleale”. Anche i Democratici, in particolare figure di sinistra come Sanders o Ocasio-Ortez, affermano di parlare a nome degli sfruttati e degli oppressi.
Ma la classe operaia ha i suoi interessi che non coincidono con nessuno dei partiti della borghesia, repubblicano o democratico che sia. Né coincidono con gli interessi de “l’America”, del “popolo”, o della “nazione” questo luogo mitico dove sfruttati e sfruttatori vivono in armonia (anche se in spietata competizione con altre nazioni). I lavoratori non hanno nazione. Fanno parte di una classe internazionale che in tutti i paesi è sfruttata dal capitale e oppressa dai suoi governi, compresi quelli che osano definirsi socialisti, come la Cina o Cuba solo perché hanno nazionalizzato il rapporto tra il capitale e i loro schiavi salariati. Questa forma di capitalismo di Stato è l'opzione preferita dell'ala sinistra del Partito Democratico, nella quale tuttavia, come ha detto Engels, "gli operai restano dei salariati, dei proletari. Il rapporto capitalista non è soppresso, ma al contrario portato al suo culmine”[1].
Il vero socialismo è una comunità umana mondiale in cui sono state abolite le classi, la schiavitù salariale e lo Stato. Sarà la prima società nella storia in cui gli esseri umani avranno un reale controllo sul prodotto attraverso le loro mani e le loro menti. Ma per fare il primo passo verso una tale società è necessario che la classe operaia si riconosca come una classe contrapposta al capitale. Una tale consapevolezza può svilupparsi solo se i lavoratori combattono con le unghie e con i denti per difendere le proprie condizioni di vita contro gli sforzi della borghesia e del suo Stato di abbassare i salari, tagliare i posti di lavoro e allungare la giornata lavorativa. E non c’è dubbio che la depressione globale che si sta delineando sulla scia della pandemia renderà tali attacchi il programma inevitabile di tutte le parti della classe capitalista. Di fronte a questi attacchi, i lavoratori dovranno entrare massicciamente in lotta per la difesa del loro tenore di vita. Non può esserci spazio per l'illusione: Biden, come ogni altro governante capitalista, non esiterà a ordinare una brutale repressione della classe operaia se questa minaccerà il loro ordine.
La lotta dei lavoratori per le proprie rivendicazioni di classe è una necessità non solo per contrastare gli attacchi economici lanciati dalla borghesia, ma soprattutto come base per superare le proprie illusioni in questo o quel partito o leader borghese, e per sviluppare la propria prospettiva, la propria alternativa a questa società in declino.
Nel corso delle sue lotte, la classe operaia sarà obbligata a sviluppare le proprie forme di organizzazione attraverso assemblee generali e comitati di sciopero eletti e revocabili, forme embrionali dei consigli operai che, in passati momenti rivoluzionari, si sono rivelati esseri gli strumenti attraverso i quali la classe operaia può prendere il potere nelle proprie mani e iniziare la costruzione di una nuova società. In questo processo, un autentico partito politico proletario avrà un ruolo vitale da svolgere: non nel chiedere ai lavoratori di portarlo al potere, ma nel difendere i principi proletari ereditati dalle lotte del passato e nell'indicare la via verso il futuro rivoluzionario. Come dice l’Internazionale[2] “Non ci sono supremi salvatori. Né Dio, né Cesare, né tribuno”. Nessun Trump, nessun Biden, niente falsi messia: la classe operaia può emanciparsi solo contando su sé stessa e, così facendo, liberare tutta l'umanità dalle catene del capitale.
Amos
Lo scopo di questa polemica è provocare un dibattito all'interno dell'ambiente politico proletario. Ci auguriamo che le critiche che rivolgiamo agli altri gruppi porteranno a delle risposte, perché la Sinistra comunista può essere rafforzata solo da un confronto aperto delle nostre divergenze.
Di fronte a grandi sconvolgimenti sociali, il primo dovere dei comunisti è quello di difendere i propri principi con la massima chiarezza, offrendo agli operai i mezzi per capire dove risiedono i loro interessi di classe. I gruppi della Sinistra Comunista si sono distinti soprattutto per la loro lealtà all'internazionalismo durante le guerre tra cricche, alleanze e Stati borghesi. Nonostante differenze di analisi sul periodo storico in cui viviamo, i gruppi esistenti della Sinistra Comunista - la CCI, la TCI (Tendenza Comunista Internazionalista), le differenti organizzazioni bordighiste - sono state generalmente in grado di denunciare tutte le guerre tra Stati come imperialiste e invitare la classe operaia a rifiutare ogni sostegno ai suoi protagonisti. Questo li distingue molto chiaramente dagli pseudo-rivoluzionari come i trotskisti, che invariabilmente applicano una versione totalmente falsificata del marxismo per giustificare il sostegno a questa o quella fazione borghese.
Il compito di difendere gli interessi della classe proletaria si pone naturalmente anche durante lo scoppio di grandi conflitti sociali - non solo per movimenti che sono chiaramente espressioni della lotta proletaria, ma anche per importanti mobilitazioni che coinvolgono grandi numeri di persone che manifestano per strada e che spesso si oppongono alle forze di sicurezza borghesi. In quest'ultimo caso, la presenza di operai in tali movimenti, e anche di rivendicazioni legate ai bisogni della classe operaia, può rendere molto difficile una lucida analisi della loro natura di classe. Tutti questi elementi erano presenti, ad esempio, durante il movimento dei "gilet gialli" in Francia, e alcuni (come il gruppo Guerra di Classe) hanno concluso che si trattava di una nuova forma di lotta di classe proletaria[1]. D'altra parte, molti gruppi della Sinistra Comunista hanno potuto constatare che si trattava di un movimento interclassista, in cui i lavoratori partecipavano principalmente come individui dietro gli slogan della piccola borghesia e persino dietro rivendicazioni e simboli apertamente borghesi (democrazia cittadina, bandiera tricolore, razzismo anti-immigrati, ecc.)[2]. Ma ciò non significa che le loro analisi siano prive di notevoli punti di confusione. La volontà di vedere, nonostante tutto, qualche potenziale della classe operaia in un movimento che era chiaramente iniziato e poi proseguito su un terreno reazionario si poteva ancora scorgere in alcuni gruppi, come vedremo più avanti.
Le manifestazioni del Black Lives Matter (BLM) (Le vite dei neri contano) rappresentano una sfida ancora più grande per i gruppi rivoluzionari: è innegabile che esse siano nate da un'autentica ondata di rabbia di fronte ad un'espressione particolarmente disgustosa della brutalità e del razzismo poliziesco. Inoltre, la rabbia non si limitava alla popolazione nera ed è andata ben oltre i confini degli Stati Uniti. Ma gli scoppi di rabbia, l'indignazione e l'opposizione al razzismo non portano automaticamente alla lotta di classe. In assenza di una vera alternativa proletaria, possono essere facilmente strumentalizzate dalla borghesia e dal suo Stato. A nostro avviso, è ciò che è capitato con le attuali proteste del BLM. I comunisti si trovano quindi di fronte alla necessità di mostrare esattamente come un'intera panoplia di forze borghesi - dal BLM sul campo al Partito Democratico negli Stati Uniti, a certi rami dell'industria, ai capi militari e anche alla polizia - è stata presente fin dal primo giorno per farsi carico della rabbia legittima e usarla per i propri interessi.
Come hanno quindi reagito i comunisti? Non tratteremo qui di quegli anarchici che pensano che i meschini atti di vandalismo dei Black Blocs in tali proteste siano un'espressione della violenza di classe, né di quei "comunizzatori" che pensano che il saccheggio sia una forma di "esproprio proletario", o un colpo assestato alla forma mercantile. Possiamo tornare su questi argomenti in articoli futuri. Ci limiteremo alle dichiarazioni rese dai gruppi della Sinistra Comunista sulla scia dei primi disordini e manifestazioni che hanno fatto seguito all'assassinio di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis.
Tre di questi gruppi appartengono alla corrente bordighista e ciascuno ha il nome di "Partito Comunista Internazionale". Li differenzieremo quindi grazie alle loro pubblicazioni: Il comunista/Le Prolétaire; Il Partito Comunista; Il Programma Comunista/Cahiers Internationalistes. Il quarto gruppo è la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI).
Tutte le posizioni espresse da questi gruppi contengono elementi con i quali possiamo essere d'accordo: ad esempio, la denuncia senza compromessi della violenza della polizia, il riconoscimento che tale violenza, come il razzismo in generale, è il prodotto del capitalismo e che può scomparire solo attraverso la distruzione di questo modo di produzione. La posizione di Le Prolétaire è molto chiara su questo argomento:
“Per eliminare il razzismo, che ha le sue radici nella struttura economica e sociale della società borghese, è necessario eliminare il modo di produzione su cui si sviluppa, a partire non dalla cultura e dalla 'coscienza', che sono solo riflessi della struttura economica e sociale capitalista, ma dalla lotta di classe proletaria in cui l'elemento decisivo è costituito dalla condizione comune dei salariati, qualunque sia il loro colore della pelle, razza o paese di origine. L'unico modo per superare ogni forma di razzismo è combattere contro la classe dirigente borghese, qualunque sia il suo colore della pelle, razza o paese di origine, perché essa è la beneficiaria di tutte le oppressioni, di tutti i razzismi, di tutte le forme di schiavitù"[3].
Gli slogan de Il Partito sono sulla stessa linea: "Operai! La vostra sola difesa è nell'organizzazione e nella lotta come classe. La risposta al razzismo è la rivoluzione comunista!"[4].
Tuttavia, quando si arriva alla domanda più difficile per i rivoluzionari, tutti questi gruppi commettono, chi più chi meno, lo stesso errore fondamentale: per loro, le rivolte che hanno seguito le uccisioni e le proteste del Black Lives Matter fanno parte del movimento della classe operaia. Cahiers Internationalistes (Quaderni internazionalisti) scrive:
“Oggi i proletari americani sono costretti a rispondere con la forza agli abusi dei poliziotti, e fanno bene a rispondere colpo su colpo agli attacchi, così come fanno bene a rispondere alla marmaglia del “suprematismo bianco”, dimostrando nella pratica della difesa comune che il proletariato è una classe: chi tocca un proletario, li tocca tutti"[5].
Il Partito:
“La gravità dei crimini commessi dai rappresentanti dello Stato borghese nelle ultime settimane e la vigorosa reazione del proletariato a questi crimini richiedono certamente la ricerca di confronti storici. Vengono subito alla mente le proteste e le rivolte che seguirono l'assassinio di Martin Luther King Jr. nel 1968, così come quelle che seguirono l'assoluzione degli agenti di polizia che picchiarono Rodney King nel 1992".
La TCI:
“Gli eventi di Minneapolis sono un’emergenza dello stesso problema storico e sistemico. Oltre a soffrire di un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello dei suoi coetanei bianchi (dato consistente dagli anni Cinquanta), il proletariato nero rimane sproporzionatamente colpito dalla violenza della polizia, senza alcun segno reale di un freno al numero delle vittime. Nonostante tutto, la classe operaia ha dimostrato ancora una volta di essere combattiva in questi tempi difficili. Le operaie e gli operai neri negli Stati Uniti, e il resto del proletariato solidale con loro, sono scesi in piazza e hanno resistito alla repressione statale. Niente è cambiato. Nel 1965 come nel 2020, la polizia uccide e la classe operaia risponde sfidando il famigerato ordine sociale per il quale essa viene assassinata. La lotta continua"[6].
Naturalmente, tutti i gruppi aggiungono che il movimento "non va abbastanza lontano":
Cahiers Internationalistes:
“Ma queste ribellioni (che i media, organi di espressione della borghesia, persistono a ridurre come 'proteste contro il razzismo e le disuguaglianze', condannando così ogni forma che vada al di là delle lamentele e dei gemiti dei poveri diavoli) deve permettere ai proletari di tutto il mondo di ricordare che il nodo da tagliare è quello del potere: non basta ribellarsi, incendiare le stazioni di polizia, riprendere le merci dai negozi e il denaro dai banchi dei pegni".
Il Partito :
“L'attuale movimento antirazzista sta commettendo un grave errore nel prendere le distanze dalla base di classe quando si tratta di razzismo, perseguendo la sua azione politica esclusivamente su linee razziali nella speranza di fare appello allo Stato borghese. È lungi dall'aver riconosciuto apertamente il ruolo delle forze dell'ordine e dell'esercito nel mantenimento dello Stato capitalista e nel dominio politico della borghesia. Per le persone di colore, e per il proletariato nel suo insieme, la soluzione sta nella conquista del potere politico lontano dallo Stato, e non nell'appello ad esso".
La TCI:
“Sebbene siamo entusiasti nel vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di rivolte tendono a svanire dopo una settimana, seguite da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture oppressive".
Criticare un movimento perché non va abbastanza lontano ha senso solo se va prima nella giusta direzione. In altre parole, questo si applica ai movimenti che si trovano sul terreno di classe. Dal nostro punto di vista, non sono state tali le manifestazioni che si sono avute per l'assassinio di George Floyd.
Non c'è dubbio che molti partecipanti alle manifestazioni, neri, bianchi o "altri", erano e sono operai. Così come non c'è dubbio che fossero, e giustamente, indignati per il feroce razzismo dei poliziotti. Ma questo non basta a conferire un carattere proletario a queste manifestazioni.
Questa osservazione è valida sia che le manifestazioni hanno assunto la forma di sommosse o di marce per la pace. La sommossa non è un metodo di lotta proletaria, che richiede necessariamente una forma organizzata e collettiva. Una sommossa - e soprattutto il saccheggio - è una risposta disorganizzata di una massa di individui distinti, pura espressione di rabbia e disperazione che espone non solo i saccheggiatori stessi, ma anche tutti coloro che partecipano alle manifestazioni di strada all'aumento della repressione da parte delle forze di polizia, militarizzate e molto più organizzate di loro.
Molti manifestanti hanno constatato l'inutilità delle sommosse, spesso provocate deliberatamente da brutali assalti della polizia dando inoltre libero sfogo a ulteriori provocazioni da parte di elementi loschi mischiati nella folla. Ma l'alternativa sostenuta dal BLM, immediatamente ripresa dai media e dall'apparato politico esistente, in particolare il Partito Democratico, era l'organizzazione di marce pacifiche con vaghe richieste di "giustizia" e "uguaglianza", oppure quelle più specifiche come “smettete di finanziare la polizia”. Tutte richieste politiche borghesi.
Certo, un vero movimento proletario può contenere ogni tipo di rivendicazioni confuse, ma è soprattutto motivato dalla necessità di difendere gli interessi materiali della classe ed è quindi più spesso concentrato - inizialmente - su rivendicazioni economiche volte ad attenuare l'impatto dello sfruttamento capitalista. Come Rosa Luxemburg ha mostrato nel suo opuscolo sullo sciopero di massa, scritto dopo le storiche lotte proletarie del 1905 in Russia, può esserci effettivamente una costante interazione tra rivendicazioni economiche e politiche, e la lotta contro la repressione della polizia può infatti far parte di quest'ultima. Ma c'è una grande differenza tra un movimento della classe operaia che esige, ad esempio, il ritiro della polizia dal luogo di lavoro o il rilascio di scioperanti incarcerati, e uno sfogo generale di rabbia che non ha alcun legame con la resistenza dei lavoratori in quanto operai e che viene subito fatto proprio dalle forze politiche di “opposizione” della classe dirigente.
Ancora più importante, il fatto che queste proteste riguardino principalmente la razza significa che non possono servire come mezzo per unificare la classe operaia. Indipendentemente dal fatto che alle proteste sin dall'inizio si siano uniti molti bianchi, inclusi operai o studenti, la maggior parte dei quali giovani, le proteste sono definite dal BLM e da altri organizzatori come un movimento di neri, che altri possono supportare se lo desiderano. Mentre una lotta della classe operaia ha un bisogno organico di superare tutte le divisioni, siano esse razziali, sessuali o nazionali, in caso contrario essa verrà sconfitta. Possiamo ancora citare esempi in cui la classe operaia si è mobilitata contro gli attacchi razzisti usando i propri metodi: in Russia nel 1905, consapevole che i pogrom contro gli ebrei venivano usati dal regime in vigore per minare il movimento rivoluzionario nel suo insieme, i soviet inviarono guardie armate per difendere i quartieri ebraici contro i pogromisti. Anche in un periodo di sconfitta e di guerra imperialista, questa esperienza non è andata perduta: nel 1941, i lavoratori portuali dell'Olanda occupata scioperarono contro la deportazione degli ebrei.
Non è un caso che le principali fazioni della classe dirigente siano state così ansiose di identificarsi con le manifestazioni del BLM. Quando la pandemia del Covid-19 ha iniziato a colpire l'America, abbiamo assistito a molte reazioni della classe operaia di fronte all'irresponsabilità criminale della borghesia, di fronte alle sue manovre per costringere interi settori della classe ad andare a lavorare senza adeguate misure di sicurezza e protezione. Allora c’è stata una reazione mondiale della classe operaia[7]. E se è vero che, dietro le proteste scatenate dall'omicidio di George Floyd, uno dei motivi di questa rabbia è stato il numero sproporzionato di neri vittime del virus, questo è soprattutto il risultato della posizione dei neri e di altre minoranze negli strati più poveri della classe operaia - in altre parole, della loro posizione di classe nella società. L'impatto della pandemia del Covid-19 offre la possibilità di mettere in luce la centralità della questione di classe, e la borghesia si è mostrata fin troppo disposta a relegarla in secondo piano.
Di fronte allo sviluppo di un movimento della classe operaia, i rivoluzionari possono infatti intervenire con la prospettiva di invitare quest'ultima ad “andare oltre” (attraverso lo sviluppo di forme autonome di auto-organizzazione, estensione ad altri settori della classe, ecc.). Ma cosa succede se molte persone si mobilitano su un terreno interclassista o borghese? In questo caso è ancora necessario intervenire, ma i rivoluzionari devono poi accettare il fatto che il loro intervento sarà fatto "controcorrente", principalmente con l'obiettivo di influenzare le minoranze che mettono in discussione gli obiettivi fondamentali e le modalità del movimento.
I gruppi bordighisti, forse sorprendentemente, non hanno molto parlato del ruolo del partito in relazione a questi avvenimenti, anche se Cahiers Internationalistes ha avuto ragione – in astratto – nello scrivere:
“La rivoluzione è una necessità che richiede organizzazione, programma, idee chiare e pratica del lavoro collettivo: in termini semplici e precisi, la rivoluzione ha bisogno di un partito che la diriga".
Il problema rimane: come può un tale partito sorgere e formarsi? Come passare dall'attuale ambiente disperso di piccoli gruppi comunisti a un vero partito, un organismo internazionale in grado di fornire una direzione politica alla lotta di classe?
Questa domanda rimane senza risposta per Cahiers Internationalistes, che poi rivela la profondità della sua incomprensione sul ruolo del partito:
“Il proletariato in lotta, il proletariato in rivolta deve organizzarsi con e nel Partito Comunista!"
Semplicemente dichiarando che il suo gruppo è il partito non è sufficiente, soprattutto quando ci sono almeno due altri gruppi ciascuno dei quali sostiene di essere il vero partito comunista internazionale. Né è logico affermare che tutto il proletariato può organizzarsi "nel partito comunista". Tali formulazioni esprimono un totale fraintendimento della distinzione tra l'organizzazione politica rivoluzionaria - che riunisce necessariamente solo una minoranza della classe - e gli organi che riuniscono l'intera classe come i consigli operai. Entrambi sono strumenti essenziali della rivoluzione proletaria. Su questo punto Il Partito è almeno più cosciente sul fatto che la strada per la rivoluzione dipende dall'emergere di organi indipendenti che raggruppano l’insieme della classe in quanto si appella a delle assemblee operaie, anche se indebolisce la sua argomentazione con l’appello “su ogni posto di lavoro e all'interno di ogni sindacato esistente” - come se le vere assemblee dei lavoratori non fossero essenzialmente antagoniste alla forma stessa del sindacato. Ma il Partito omette di fare un'osservazione ancor più cruciale: non c'è stata la minima tendenza allo sviluppo di vere assemblee operaie all'interno delle manifestazioni del BLM.
La TCI rifiuta di definirsi Partito. Dice che è per il partito ma che essa non è il partito[8]. Tuttavia, non ha mai criticato profondamente gli errori che sono alla base del sostituzionismo bordighista - l'errore, commesso nel 1943-45, di dichiarare la formazione del Partito Comunista Internazionalista in un solo paese, l'Italia, nelle profondità della controrivoluzione. Sia i bordighisti che la TCI trovano la loro origine nel PCInt del 1943, ed entrambi teorizzano nella stessa maniera questo stesso errore: i bordighisti con la distinzione metafisica tra partito “storico” e partito “formale”, la TCI con la sua idea di “bisogno permanente del partito”. Queste concezioni dissociano la tendenza all'emergere del partito dal movimento reale di classe e l'effettivo rapporto di forza tra la borghesia e il proletariato. Entrambe implicano l'abbandono della vitale distinzione operata dalla Sinistra Comunista Italiana tra frazione e partito, che mirava proprio a mostrare che il partito non può esistere in ogni momento, e quindi a definire il ruolo reale della organizzazione rivoluzionaria quando la formazione immediata del partito non è ancora all'ordine del giorno.
L'ultima parte del volantino della TCI evidenzia chiaramente questo malinteso.
Il sottotitolo di questa sezione del volantino dà il tono: “7. La ribellione urbana deve trasformarsi in rivoluzione internazionale”.
E continua:
“Sebbene siamo entusiasti di vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di sommosse tendono a svanire dopo una settimana, seguita da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture repressive. Affinché il potere dei capitalisti e dei loro mercenari sia concretamente sfidato e abolito, abbiamo bisogno di un partito rivoluzionario internazionale. Questo partito sarebbe uno strumento indispensabile nelle mani della classe operaia per organizzarsi e indirizzare il suo risentimento non solo verso la distruzione dello Stato razzista, ma anche verso la costruzione del potere operaio e del comunismo”.
Questo singolo paragrafo contiene tutta una raccolta di errori, a cominciare dal sottotitolo: la rivolta in corso può avanzare in linea retta verso la rivoluzione mondiale, ma per questo ci vuole il partito mondiale; questo partito sarà il mezzo di organizzazione e lo strumento per trasformare il piombo in oro, i movimenti non proletari in rivoluzioni proletarie. Questo passaggio rivela fino a che punto la TCI vede il partito come una sorta di deus ex machina, un potere che viene da chissà dove, non solo per permettere alla classe di organizzare e distruggere lo Stato capitalista, ma che ha la capacità ancor più soprannaturale di trasformare rivolte o manifestazioni cadute nelle mani della borghesia,
Questo errore non è nuovo. In passato, avevamo già criticato l’illusione del PCInt nel 1943-1945 sul fatto che i gruppi partigiani in Italia - pienamente allineati con gli alleati nella guerra imperialista – avrebbero potuto essere in qualche modo guadagnati alla rivoluzione proletaria attraverso la presenza del PCInt nelle loro fila[9]. Abbiamo visto nel 1989 quando Battaglia Comunista non solo ha preso le forze di sicurezza golpiste che avevano destituito Ceausescu in Romania per una "rivolta popolare", ma ha anche sostenuto che mancava solo il partito per guidare quest'ultima sulla via della rivoluzione proletaria[10].
Lo stesso problema è apparso l'anno scorso con i "gilet gialli". Anche se la TCI descrive il movimento come "interclassista", ci dice che:
“Serve un altro organo. È uno strumento che permette di unificare l'effervescenza della classe, permettendole di fare un salto di qualità, cioè politico, per darle una strategia, e tattiche anticapitaliste, per dirigere le energie emanate dal conflitto di classe verso un assalto al sistema borghese; non c'è altra via. Insomma, è necessaria la presenza attiva del Partito Comunista, Internazionale e Internazionalista. Altrimenti la rabbia del proletariato e della piccola borghesia declassata sarà schiacciata e dispersa; o brutalmente, se necessario, o con false promesse”[11].
Anche qui il partito è invocato come panacea, pietra filosofale antistorica. Ciò che manca in questo scenario è lo sviluppo del movimento di classe nel suo complesso, la necessità per la classe operaia di ritrovare il senso della propria esistenza come classe e di ribaltare l'equilibrio di forza esistente attraverso enormi lotte. L'esperienza storica ha dimostrato che non solo tali cambiamenti storici sono necessari per consentire alle minoranze comuniste esistenti di sviluppare una reale influenza all'interno della classe operaia: ma sono anche l'unico punto di partenza possibile per trasformare il carattere di classe delle rivolte sociali e offrire una prospettiva all'intera popolazione oppressa dal capitale. Un esempio lampante è stato l’entrata massiccia degli operai francesi nelle lotte di maggio-giugno 1968: lanciando un enorme movimento di sciopero in risposta alla repressione poliziesca esercitata sulle manifestazioni studentesche, la classe operaia ha cambiato anche la natura delle manifestazioni, integrandole in un generale risveglio del proletariato mondiale.
Oggi le possibilità di tali trasformazioni sembrano lontane e, in assenza di un sentimento esteso d’identità di classe, la borghesia ha più o meno mano libera per recuperare lo sdegno provocato dal declino avanzato del suo sistema. Ma abbiamo visto segni, piccoli ma significativi, di un nuovo stato d'animo nella classe operaia, di un nuovo senso di sé come classe, e i rivoluzionari hanno il dovere di coltivare questi giovani segni al meglio delle loro capacità. Ma questo significa resistere alla pressione ambientale che spinge a piegarsi agli ipocriti appelli della borghesia per la giustizia, l'uguaglianza e la democrazia all’interno delle frontiere della società capitalista
Amos, luglio 2020
[1] Gruppo francese, http://guerredeclasse.fr/ [33] : il gruppo sembra essere una sorta di fusione tra anarchismo e bordighismo, più nello stile del GCI (www.gci-icg.org [34]), ma senza le sue pratiche più dubbie (minacce contro i gruppi della Sinistra Comunista, un sottile sostegno alle azioni di cricche nazionaliste e islamiste, ecc.).
[2]Vedere sul nostro sito in francese Prise de position dans le camp révolutionnaire : Gilets jaunes : La nécessité de “réarmer le prolétariat” [35] (Prese di posizione nel campo rivoluzionario: Gilet gialli: la necessità di “riarmare il proletariato”)
[3] Vedere l'articolo su Le prolétaire n. 537: "Stati Uniti: rivolte urbane dopo l'omicidio della polizia di Minneapolis dell'afroamericano George Floyd". https://www.pcint.org/03_LP/537/537_george-floyd.htm [36]
[4] Vedi l'articolo in inglese de Il Partito, “Racism Protects the Capitalist System, Only the Working Class can Eradicate it” ("Il razzismo protegge il sistema capitalista, solo la classe operaia può sradicarlo") (giugno 2020).
[5] Articolo di Cahiers Internationalistes: Après Minneapolis. Que la révolte des prolétaires américains soit un exemple pour les prolétaires de toutes les métropoles [37], “Dopo Minneapolis. Che la rivolta dei proletari americani possa essere un esempio per i proletari di tutte le metropoli "(28/05/2020).
[6] Articolo della TCI, https://www.leftcom.org/it/articles/2020-05-31/minneapolis-brutalit%C3%A0-della-polizia-e-lotta-di-classe [38] (31/05/2020)
[7] Vedi sul nostro sito l'articolo “https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro [39]” , di cui ecco un estratto: "Forse la cosa più importante di tutte, anche perché mette in discussione l'immagine di una classe operaia americana che si è allineata acriticamente alla demagogia di Donald Trump, ci sono state lotte diffuse negli Stati Uniti Uniti: scioperi negli stabilimenti FIAT-Chrysler a Tripton nell'Indiana, nello stabilimento di produzione di camion Warren alla periferia di Detroit, tra autisti di autobus a Detroit e Birmingham (Alabama), nei porti, ristoranti, nella distribuzione alimentare, nel settore delle pulizie e costruzione; si sono verificati scioperi ad Amazon (che è stata comunque interessata da scioperi in diversi altri paesi), Whole Foods, Instacart, Walmart, FedEx, ecc."
[8] Anche se, come abbiamo più volte sottolineato, la chiarezza su questo punto non è facilitata dal fatto che la sua affiliata italiana (che pubblica Battaglia Comunista) insiste ancora a portare il nome di Partito Comunista Internazionalista.
[9] Vedi l'articolo su Rivoluzione Internazionale n.7: "Le ambiguità sulla natura di classe della “resistenza” nella costituzione di Partito Comunista Internazionalista in Italia”, e sul sito in francese in Révue Internationale n°8.
[10] Vedi sul nostro sito i nostri articoli Polemic: The wind from the East and the response of revolutionaries [40](Polemica: Il vento dell'est e la risposta dei rivoluzionari), International Review n.61 e Polemic: Faced with the convulsions in the East [41](Polemica: Di fronte agli sconvolgimenti dell'Est, un'avanguardia in ritardo)", International Review n.62.
[11] Vedere l'articolo in inglese della TCI: https://www.leftcom.org/en/articles/2019-01-18/some-further-thoughts-on-the-yellow-vests-movement [42] (08/01/2019).
"Quaranta anni fa, durante l’estate 1980, la classe operaia in Polonia metteva il mondo in ansia. Un gigantesco movimento di sciopero si estendeva nel paese: parecchie centinaia di migliaia di operai entravano in sciopero selvaggio in diverse città, facendo tremare la classe dominante in Polonia e in altri paesi"[1]. Ciò accadeva quarant'anni fa, ma quel "gigantesco movimento di sciopero" puntava il dito al futuro. Per la classe operaia, per le inevitabili battaglie che dovrà intraprendere, le lezioni da trarre da questa grande esperienza sono effettivamente innumerevoli e preziose: presa in mano delle lotte, auto-organizzazione, rappresentanti eletti revocabili, estensione del movimento, solidarietà operaia, assemblee generali, ritrasmissione dei dibattiti con altoparlanti, ... ecco ciò che è stata la lotta operaia in Polonia. Una lotta contro gli attacchi alle loro condizioni di vita, contro l'aumento del prezzo della carne e per la rivalutazione dei salari. L'organizzazione di questo movimento di protesta mostra di cosa è capace la classe operaia. La Polonia 1980 è una delle grandi esperienze del movimento operaio che indica alla nostra classe che può e deve avere fiducia in sé stessa, che quando è unita ed organizzata è forte.
Questo movimento mostra anche di cosa è capace la classe dominante, quali trappole sofisticate può tendere contro coloro che sfrutta, fino a che punto le borghesie di tutti i livelli sono pronte a unire le forze per schiacciare la classe operaia. La gestione di questa lotta di classe è una nuova dimostrazione della forza e del machiavellismo degli apparati borghesi. Sia all'Est che ad Ovest, tutte le forze possibili sono state utilizzate per estinguere questo pericoloso incendio e impedirne la diffusione, specialmente nella Germania dell'Est.
Il movimento del 1980 non apparve come un fulmine a ciel sereno, anzi. Dal Maggio 1968 in Francia, il contesto internazionale fu segnato dalla ripresa delle lotte. Anche se la presenza della cortina di ferro limitava l'influenza reciproca tra le lotte della classe operaia ad Ovest e ad Est, la stessa dinamica era all'opera. Pertanto, gli anni '70 in Polonia furono caratterizzati da un profondo processo di sviluppo della combattività e della riflessione.
Negli anni '70, spinto dalla crisi economica e dalla debolezza del suo capitalismo di Stato, il governo polacco attaccò le condizioni di vita della classe: spaventosi aumenti del prezzo del cibo accompagnavano la penuria alimentare, mentre la Polonia continuava ad esportare patate in Francia. "Nell'inverno 1970-71, i lavoratori dei cantieri navali del Baltico scesero in sciopero contro l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità. All'inizio, il regime stalinista reagì alle manifestazioni con una feroce repressione uccidendo diverse centinaia di persone, soprattutto a Danzica. Tuttavia, gli scioperi non cessarono. Alla fine, il leader del partito, Gomulka, fu destituito e sostituito da un personaggio più "amichevole", Gierek. Quest'ultimo dovette parlare per 8 ore con gli operai dei cantieri navali di Stettino prima di convincerli a riprendere il lavoro. Evidentemente, ha rapidamente tradito le promesse che aveva fatto loro in quel momento. Nel 1976, ulteriori brutali attacchi economici scatenarono scioperi in diverse città, in particolare a Radom e Ursus. La repressione provocò diverse decine di morti".
Fu in questo contesto e di fronte all'aggravarsi della crisi economica che la borghesia polacca decise di aumentare il prezzo della carne di quasi il 60% nel luglio 1980. L'attacco fu frontale, senza il travestimento ideologico di cui, ad esempio, sono capaci le borghesie occidentali. Caratteristiche dei brutali metodi stalinisti che sono assolutamente inadatti di fronte a un proletariato combattivo, le decisioni della borghesia polacca non poterono che generare una risposta operaia. Forti della loro esperienza degli anni '70, "gli operai della Tczew vicino Danzica e dell’Ursus nella periferia di Varsavia entrano in sciopero. Alla Ursus si tengono assemblee generali, viene eletto un comitato di sciopero e sono stabilite rivendicazioni comuni. Nei giorni seguenti gli scioperi continuano ad estendersi: Varsavia, Lodz, Danzica, ecc. Il governo cerca di impedire una estensione maggiore del movimento facendo rapide concessioni, tra cui aumenti salariali. A metà luglio gli operai di Lublino, un importante crocevia ferroviario, entrano in sciopero. Lublino è situata sulla linea ferroviaria che collega la Russia alla Germania dell’est. Nel 1980 costituiva una linea vitale per il vettovagliamento delle truppe russe nella Germania dell’est. Le rivendicazioni degli operai sono le seguenti: nessuna repressione contro gli operai in sciopero, ritiro della polizia dalle fabbriche, aumenti salariali e libere elezioni dei sindacati". Il movimento si estese, i tentativi di fermarlo e di dividerlo fallirono: lo sciopero di massa era in corso. In due mesi la Polonia rimase paralizzata. Il governo non poteva reprimere, la situazione era diventata troppo esplosiva. Inoltre, il pericolo non si limitava ai soli confini polacchi. Nella regione mineraria di Ostrava in Cecoslovacchia, e nelle regioni minerarie rumene, in Russia a Togliattigrad, minatori e lavoratori percorrevano le stesse orme. "Nei paesi dell'Europa occidentale, se non ci sono scioperi in diretta solidarietà con le lotte dei lavoratori polacchi, tuttavia operai di molti paesi riprendono gli slogan dei loro fratelli di classe in Polonia. A Torino, nel settembre 1980, si sentono gli operai scandire: “Danzica ci indica il cammino”.
Di fronte a quel pericolo di estensione, le borghesie cominciarono a lavorare insieme per schiacciare il movimento. Era necessario da un lato isolarlo e dall'altro snaturarlo. I confini con la Germania dell'Est, la Cecoslovacchia e l'Unione Sovietica vennero rapidamente chiusi. Le borghesie internazionali lavoreranno mano nella mano per racchiudere e isolare il movimento: il governo polacco finse la radicalizzazione nei confronti dell'URSS, i sovietici conciarono a minacciare gli operai con i loro carri armati al confine. L'Europa occidentale finanzierà e consiglierà il sindacato "libero e indipendente" Solidarnosc, la propaganda internazionale metterà in luce l'eroico Solidarnosc e la necessità di un "vero" sindacato democratico libero e indipendente.
Questa alleanza delle differenti borghesie occidentali con la borghesia polacca sarà fatale per il movimento di massa polacco. Ed è per tale motivo che, contrariamente alla teoria dell'anello debole, la rivoluzione non può che partire dai paesi centrali: "Finché gli importanti movimenti di classe toccheranno solo paesi alla periferia del capitalismo (come è avvenuto in Polonia) ed anche se la borghesia locale è completamente sopraffatta, la Santa Alleanza di tutte le borghesie del mondo, con alla testa le più potenti, sarà in grado di attuare un cordone sanitario economico, politico, ideologico e perfino militare attorno ai settori proletari interessati. Solo quando la lotta proletaria toccherà il cuore economico e politico del sistema capitalista:
• quando l'attuazione di un cordone sanitario economico diventerà impossibile, perché saranno le economie più ricche ad esserne state colpite,
• quando l'attuazione di un cordone sanitario politico non avrà più alcun effetto perché sarà il proletariato più sviluppato che affronterà la borghesia più potente, è solo allora che questa lotta darà il segnale per la conflagrazione rivoluzionaria mondiale"[2].
L'arma principale della borghesia sarà quindi lo stesso sindacato Solidarnosc. Chiamato a svolgere il ruolo di 'sinistra' del capitale, che continuerà ad assumere anche nella 'clandestinità' dal 1982, non cesserà di deviare la lotta sul terreno nazionalista, di portare gli operai alla sconfitta e consegnarli alla repressione. Questo sindacato, emerso dalla linea di pensiero KOR (comitato di difesa degli operai, costituito da intellettuali dell'opposizione democratica, nato dopo le repressioni del 1976 e militante per la legalizzazione del sindacalismo indipendente), sarà rappresentato attraverso 15 dei suoi membri al presidium del MKS (comitato di sciopero interaziendale).
Mentre all'inizio del movimento dell'estate 1980 "non c’era influenza sindacale, i membri dei “sindacati liberi” si misero ad ostacolare la lotta. Mentre all’inizio i negoziati erano condotti in maniera pubblica, si avanzò, dopo un certo tempo, la pretesa che necessitavano degli “esperti” per mettere a punto i dettagli dei negoziati con il governo. Progressivamente gli operai non potettero più seguire i negoziati, e ancor meno parteciparvi, perché gli altoparlanti che dovevano trasmetterli 'non funzionavano più a causa di problemi tecnici'”. Il lavoro di sabotaggio era iniziato. Le rivendicazioni all'origine di natura politica ed economica (tra l'altro, la rivalutazione dei salari) si concentrarono sugli interessi dei sindacati più che su quelli degli operai: veniva proposto il riconoscimento dei sindacati indipendenti. Il 31 agosto gli accordi di Danzica, sfruttando le illusioni democratiche e sindacali, segnarono la fine dello sciopero di massa. "Poiché gli operai erano stati chiari sul fatto che i sindacati ufficiali camminavano con lo Stato, la maggior parte di essi pensava ora che il sindacato Solidarnosc, appena fondato e forte di dieci milioni di operai, non fosse corrotto e avrebbe difeso i loro interessi. Essi non avevano vissuto l’esperienza degli operai occidentali che si sono confrontati per decenni con i sindacati “liberi”.
Solidarnosc assunse perfettamente il suo ruolo di pompiere del capitalismo per estinguere la combattività operaia. "Sono state queste illusioni democratiche a costituire il terreno su cui la borghesia e il suo sindacato Solidarnosc hanno potuto condurre la loro politica antioperaia e scatenare la repressione. [...] Nell'autunno del 1980, quando i lavoratori ritornarono in sciopero per protestare contro gli accordi di Danzica, avendo constatato che anche con un sindacato 'libero' al loro fianco, la loro situazione materiale era peggiorata, Solidarnosc cominciava già a mostrare il suo vero volto. Già alla fine degli scioperi di massa Walesa girava di qua e di là con un elicottero dell’esercito per fare appello agli operai perché terminassero gli scioperi con urgenza. 'Non abbiamo bisogno d'altri scioperi perché stanno spingendo il nostro paese verso il baratro, dobbiamo calmarci'". [...] Ogni volta che è possibile, si impadronisce dell'iniziativa degli operai, impedendo loro di lanciare nuovi scioperi". Per un anno Solidarnosc sabota e prepara il terreno alla repressione.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1981, il governo polacco ristabilirà "l'ordine" e istituirà uno "stato di guerra": interruzioni di tutte le comunicazioni, arresti di massa, carri armati a Varsavia, occupazione militare del paese. "Mentre durante l'estate del 1980 nessun lavoratore era stato colpito o ucciso grazie all'auto-organizzazione e all'estensione delle lotte, e perché non c'era un sindacato per inquadrare i lavoratori, nel dicembre 1981 più di 1200 lavoratori vennero assassinati, decine di migliaia furono messi in prigione o cacciati in esilio". Le condizioni di vita che seguirono furono peggiori di quelle imposte all'inizio di luglio 1980. Durante il 1982 la combattività non era scomparsa, ma terminerà sotto i colpi di una feroce repressione unita all'incessante sabotaggio di Solidarnosc, lasciando impoverita la classe operaia polacca, costretta all'esilio per vendere la propria forza lavoro.
Nonostante questa sconfitta, l'esperienza di questo movimento operaio è inestimabile. È stato il punto più alto di un'ondata internazionale di lotte. Ha fornito un esempio del fatto che la lotta di classe è l'unica forza che può costringere la borghesia a mettere da parte le sue rivalità imperialiste dal momento che l'esistenza di un proletariato imbattuto nel blocco dell'Est era stata un freno allo sforzo bellico dell'URSS in Afghanistan, che aveva invaso nel 1979. Ma non solo. Ha dimostrato dal vivo quale è la forza della classe operaia. Ed è di questa che dobbiamo appropriarci:
"Nell'estate del 1980, gli operai presero direttamente l'iniziativa della lotta. Non aspettandosi istruzioni dall'alto, marciarono insieme, tennero assemblee per decidere da soli il luogo e l'ora delle loro lotte. Vennero avanzate rivendicazioni comuni nelle assemblee di massa. Fu formato un comitato di sciopero. All'inizio, le rivendicazioni economiche erano in primo piano. I lavoratori erano determinati. Non volevano che si ripetesse il sanguinoso schiacciamento della lotta come nel 1970 e nel 1976. Nel centro industriale di Danzica-Gdynia-Sopot, fu istituito un comitato di sciopero interfabbrica (MKS), composto da 400 membri (due delegati per azienda). Nella seconda metà di agosto si incontrarono dagli 800 ai 1000 delegati. Ogni giorno si tenevano assemblee generali nei cantieri navali Lenin. Vennero installati altoparlanti per consentire a tutti di seguire le discussioni dei comitati di sciopero e le trattative con i rappresentanti del governo. Poi, i microfoni furono installati anche all'esterno della sala riunioni dell'MKS, in modo che gli operai presenti nelle assemblee generali potessero intervenire direttamente nelle discussioni dell'MKS. La sera, i delegati - la maggior parte con cassette con le registrazioni degli atti - rientravano ai loro posti di lavoro e presentavano le discussioni e la situazione nella 'loro' assemblea generale di fabbrica, rendendo il loro mandato. Tali erano i mezzi con cui il maggior numero di lavoratori poteva partecipare alla lotta. I delegati dovevano restituire il loro mandato, erano revocabili in qualsiasi momento e le assemblee generali rimanevano sempre sovrane. Tutte queste pratiche sono in totale opposizione alla pratica sindacale. Nel frattempo, dopo l'unione degli operai di Danzica-Gdynia-Sopot, il movimento si allargò ad altre città. Per sabotare la comunicazione tra i lavoratori, il 16 agosto il governo tagliò le linee telefoniche. Immediatamente, i lavoratori minacciarono di estendere ulteriormente il loro movimento se il governo non le avesse immediatamente ripristinate. Quest'ultimo fece marcia indietro. L'assemblea generale decise quindi di costituire una milizia operaia. Poiché il consumo di alcol era largamente diffuso, si decise collettivamente di vietarlo. I lavoratori sapevano che dovevano essere lucidi nel confronto con il governo. Quando il governo minacciò di reprimere a Danzica, i ferrovieri di Lublino dissero: 'Se gli operai di Danzica vengono attaccati fisicamente e se solo uno di loro viene colpito, paralizzeremo la linea ferroviaria strategicamente più importante tra la Russia e la Germania dell'Est'. In quasi tutte le principali città gli operai si mobilitarono. Più di mezzo milione di loro capirono di essere la sola forza decisiva nel Paese in grado di opporsi al governo. Essi sentivano cosa stava dando loro quella forza:
• la rapida estensione del movimento invece del suo esaurimento in scontri violenti come nel 1970 e nel 1976;
• la loro auto-organizzazione, cioè la loro capacità di prendere l'iniziativa da soli invece di fare affidamento sui sindacati;
• la tenuta di assemblee generali in cui possono unire le forze, esercitare il controllo sul movimento, consentire la massima partecipazione di massa possibile e negoziare con il governo davanti a tutti.
E, in effetti, l'estensione del movimento fu la migliore arma di solidarietà; gli operai non si erano accontentati di fare dichiarazioni, loro stessi presero l'iniziativa nelle lotte. Questa dinamica rese possibile lo sviluppo di un diverso rapporto di forza. Finché i lavoratori avessero lottato in modo così massiccio e unito, il governo non avrebbe potuto attuare alcuna repressione".
La Polonia 1980 è una delle grandi esperienze storiche del movimento operaio, un'esperienza di cui il proletariato deve riappropriarsi per preparare le sue lotte future, per avere fiducia nella sua forza, nelle sue capacità, per sapere come organizzarsi, come dare vita alla sua solidarietà, ma anche aver coscienza delle trappole che la borghesia è capace di tendere, a cominciare dai suoi sindacati.
È per partecipare a questo processo di riappropriazione da parte della classe operaia della propria storia che indichiamo di seguito numerosi articoli della CCI, scritti per la maggior parte all'epoca dei fatti.
1. Le prime lotte degli anni '70
Per affrontare la crisi economica e, costretto dalla debolezza del suo capitalismo di Stato, il governo polacco attacca ferocemente le condizioni di vita della classe, chiedendo sempre più sacrifici ai lavoratori. "All'Est la quasi assenza di prodotti di prima necessità (carne, zucchero, …) manifestano la crisi del capitale; all'Ovest, è una disoccupazione sempre più massiccia e una crescente inflazione. Sia all'Est che all'Ovest, la crisi del capitalismo significa per gli operai la generalizzazione della miseria"[3]. Gli anni '70 in Polonia furono caratterizzati da aumenti dei prezzi incessanti e indecenti, da carenza di cibo, disoccupazione mascherata da recessione ecc. In risposta, la classe operaia non smetterà di lottare, principalmente nel 1970 e nel 1976.
Sulla situazione precisa in Polonia nel 1976:
• Paesi dell'Est - Sovrapproduzione, penuria e classe operaia [44] - Révolution Internationale n°23 (marzo 1976) (in francese)
• Polonia - Il capitalismo di Stato affronta la crisi e la classe operaia [45] - Révolution International n°28 (agosto 1976) (in francese)
Sull'evoluzione della maturazione all'interno della classe operaia in Polonia negli anni '70:
Sulla situazione nei paesi dell'Europa dell'Est (compresa la Polonia) negli anni '70 e '80:
• La crisi capitalista nei paesi dell'Est [47] - Revue Internationale n°23 (4° trimestre 1980) (in francese)
• Lotta di classe nell'Europa dell'Est (1970- 1980) [48] (parte I) - Revue Internationale n°28 (1° trimestre 1982) (in francese)
• Lotta di classe nell'Europa dell'Est (1970-1980) [49] (parte II) – Revue Internationale n°29 (2° trimestre 1982) (in francese)
2. Gli anni '80 e il 1981: lotte massicce e repressione
Nell'estate del 1980, il governo polacco decise di nuovo un aumento brutale del prezzo della carne, provocando un'esplosione di rabbia. Dal luglio all'agosto 1980 ci fu lo sciopero di massa: estensione del movimento, costituzione di comitati di lotta, rappresentanti eletti e revocabili, discussioni ritrasmesse in diretta dagli altoparlanti, solidarietà di classe, auto-organizzazione dei lavoratori... A fine agosto 1980, gli accordi di Danzica segnarono la fine dello sciopero di massa e l'indebolimento della classe operaia nei suoi rapporti di forza con la borghesia. Nonostante tutto, la combattività e la rabbia dureranno fino alla feroce repressione del dicembre 1981. Molto presto, le borghesie si renderanno conto del pericolo di questo movimento. E occorreranno gli sforzi congiunti del POUP (governo polacco), del KOR e di Solidarnosc (che svolgono il ruolo di opposizione "di sinistra"), nonché del prezioso aiuto delle borghesie di tutti i tipi, dell'Est e dell'Ovest, per venire a capo di questo movimento e portare i lavoratori alla sconfitta.
Estate 1980 e le prime lezioni da imparare:
• Sciopero di massa in Polonia 1980: aperta una nuova breccia [50] - Revue Internationale n °23 (4° trimestre 1980)
Dall'estate del 1980 alla repressione del dicembre 1981: le azioni di Solidarnosc e di tutte le borghesie:
• Polonia: nonostante i sindacati, la classe operaia non molla [51] - Révolution International n°80 (dicembre 1980) (in francese)
• Polonia - Rompere l'isolamento nazionale e l'inquadramento sindacale [52] - Révolution Internationale n°82 (febbraio 1981) (in francese)
• Dietro Jaruzelski c’è la borghesia mondiale [53] Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982) (in francese)
1982: stato di guerra e repressione
• Per fuorviare il proletariato, Solidarnosc è ancora lì [54] - Révolution Internationale n°98 (giugno 1982) (in francese)
• Il proletariato in Polonia paga il prezzo del suo isolamento [55] - Révolution Internationale n°102 (ottobre 1982) (in francese)
• Polonia - Jaruzelski-Walesa, stessa lotta – Revolution International n°105 (gennaio 1983)
3. Comprendere meglio ciò che è stato il fenomeno dello sciopero di massa in Polonia
Le lotte in Polonia non sono "un esempio isolato del fenomeno dello sciopero di massa, ma piuttosto la massima espressione di una tendenza internazionale generale nella lotta di classe proletaria"[4]. "Lo sciopero di massa è un fenomeno in movimento e non segue uno schema rigido e vuoto. Non è un mezzo inventato per rafforzare l'effetto della lotta proletaria, ma è il movimento stesso della massa proletaria in condizioni storiche determinate. È un movimento spontaneo che, per la sua estensione, la sua auto-organizzazione, i suoi avanzamenti, i suoi riflussi, conoscerà un'evoluzione, acquisisce un'ampiezza [...] Una delle sue caratteristiche è il concatenarsi di rivendicazioni economiche e politiche"[5].
Che cos'è lo sciopero di massa e come il movimento polacco dell'estate 1980 ne è stato uno:
• Note sullo sciopero di massa [56] - Rivista Internazionale n°6 (1982) (in italiano)
• Sciopero di massa [57] - Révolution International n°81 (gennaio 1981) (in francese)
4. Lezioni dal movimento di lotta in Polonia
Nel 1968, il proletariato riprendeva il cammino della lotta. Nel 1980, il movimento in Polonia, attraverso la sua longevità e il suo sciopero di massa, costituirà la manifestazione più importante di questa tendenza verso la ripresa internazionale della lotta di classe. Tracciare il bilancio di queste lotte, trarne gli insegnamenti, riappropriarsi dei loro punti di forza e di debolezza, capire come gli operai si sono organizzati concretamente, analizzare le manovre delle borghesie, smascherare i sindacati, la sinistra, ecc. È tutto questo che il movimento polacco apporta alla classe operaia.
Sulle lezioni e sul bilancio del movimento di lotta in Polonia:
• Un anno di lotte operaie in Polonia [58] – Revue Internationale n°27 (4° trimestre 1981) (in francese)
• Stato di guerra in Polonia: la classe operaia contro la borghesia - supplemento Revue Internationale n°28 (1° trimestre 1982) (in francese)
• Dopo la repressione in Polonia: prospettive delle lotte di classe mondiale [59] - Rivista Internazionale n°6 (1982) (in italiano)
• La dimensione internazionale delle lotte operaie in Polonia [60] – Revue Internationale n°24 (1° trimestre 1981) (in francese)
• Polonia dicembre 1981: quale sconfitta? - Révolution Internationale n°95 (marzo 1982)
• L'internazionalizzazione delle lotte, unica risposta alle trappole della borghesia - Révolution Internationale n°103 (novembre 1982)
5. Il sindacalismo in decadenza, arma per la difesa degli interessi del capitale: l'esempio di Solidarnosc
Basandosi sulle illusioni democratiche della classe operaia, la borghesia polacca farà sorgere nell'estate del 1980 il sindacato libero Solidarnosc. Proprio quello che metterà al primo posto la rivendicazione del diritto ad un sindacato libero piuttosto che agli aumenti salariali. Quello che firmerà gli accordi di Danzica, che saboterà le ritrasmissioni dei negoziati attraverso gli altoparlanti, che non smetterà mai di fermare le lotte fino a quando non verranno condotte alla repressione. Solidarnosc sarà IL mezzo, in opposizione ai consigli operai, per mistificare la classe operaia, facendo credere a una rinascita del sindacalismo: un sindacalismo indipendente, libero, autogestito, e assumendo il ruolo di "sinistra". Nonostante tutto, Solidarnosc farà fatica ad imporsi completamente e le lotte in Polonia dureranno fino al 1981, quando il sindacato più "solidale" del mondo condurrà i lavoratori verso la repressione. Dal 1982 Solidarnosc, passato alla clandestinità, continuerà a servire gli interessi del capitale nel suo ruolo di opposizione di sinistra.
1980, il vero volto di Solidarnosc:
• Gli operai pongono la vera domanda: soviet o sindacati? - estratti dal giornale World Revolution n°33 (ottobre 1980)
• Solidarietà con lo Stato capitalista [61] - Révolution Internationale n°81 (gennaio 1981) (in francese)
1981, come Solidarnosc ha isolato per portare alla sconfitta e preparare il terreno per deviare la combattività in tutto il blocco dell'Est:
• Solidarnosc - Una difesa aperta del capitale nazionale"- Révolution Internationale n°85 (maggio 1981)
• Polonia - Il sindacato Solidarnosc ha preparato la repressione"- Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982)
• 1982, il 'clandestino' Solidarnosc continua il suo ruolo di opposizione di sinistra:
• Polonia - Solidarnosc al servizio dello Stato - Révolution Internationale n°109 (maggio 1983)
6. Isolamento nazionale: quando TUTTE le borghesie lavorano per lo stesso obiettivo: schiacciare la classe operaia
L'estensione geografica delle lotte operaie a tutta la Polonia durante l'estate del 1980 è stata uno dei punti di forza del movimento. Estensione, organizzazione e solidarietà proletaria. E sarà questo isolamento nazionale ad aver ragione su questo movimento durante l'anno 1981.
Coscienti del pericolo rappresentato dal movimento e dall'influenza che esso poteva avere a livello internazionale sulla classe operaia, tutte le borghesie, dall'Est all'Ovest, lavorarono per il suo confinamento e il suo schiacciamento all'interno della nazione polacca. Tutte le borghesie unite per attuare tutte le strategie conosciute per deviare i lavoratori dalla strada intrapresa: chiusura delle frontiere, sindacalismo 'libero', costituzione di un'opposizione di sinistra, radicalizzazione contro l'URSS, minaccia di intervento sovietico, propaganda.
Sul lavoro delle borghesie, dell'Est e dell'Ovest:
• Polonia - POUP-Solidarnosc-Washington-Mosca: La borghesia unita per attaccare il proletariato - Révolution Internationale n°84 (aprile 1981)
• Lotte di classe nel mondo: Polonia - Révolution Internationale n°87 (luglio 1981)
Sul confinamento nazionale e l'isolamento per settori:
• Polonia – La morsa nazionale - Révolution Internationale n°90 (ottobre 1981)
• Polonia - la borghesia è forte nell'isolamento degli operai - Révolution Internationale n°91 (novembre 1981)
Sulle manovre borghesi attorno a un'opposizione di sinistra:
• "KOR: una 'opposizione' al servizio della capitale polacco" [62] - Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
7. Intervento della CCI nella lotta
Nel bel mezzo degli eventi, la CCI ha distribuito 3 volantini internazionali, di cui 2 tradotti in polacco:
• Il primo, pubblicato il 6 settembre 1980, descrive la situazione della lotta di massa dell'estate del 1980, evidenziando la forza del movimento (generalizzazione e auto-organizzazione), denunciando il sindacalismo e dimostrando che i proletari non hanno patria. Questo volantino è stato distribuito a livello internazionale, in una decina di paesi, ovunque la CCI poteva arrivare.
• Il secondo volantino, pubblicato il 10 marzo 1981, tradotto in polacco e distribuito in Polonia con i limitati mezzi disponibili[6], denuncia la pretesa natura "socialista" dei paesi dell'Est, propone l'internazionalismo, denuncia le azioni delle borghesie e dei sindacati. Questo volantino è stato ampiamente distribuito a livello internazionale.
• Il terzo volantino è stato pubblicato il giorno dopo la dichiarazione di stato di guerra (13 dicembre 1981). Denuncia la feroce repressione, porta la sua solidarietà agli operai polacchi e fa valere la necessità della solidarietà internazionale operaia, denunciando tutti i vicoli ciechi e le piste false proposte dalle borghesie di ogni tipo. Oltre alla sua massiccia distribuzione internazionale, essendo stato tradotto questo volantino in polacco, i compagni hanno potuto distribuirlo a Parigi e New York alla comunità polacca e a New York ai marinai polacchi in scalo.
La nostra organizzazione ha anche condotto la lotta pubblicando numerosi articoli che denunciano le trappole tese (principalmente il sabotaggio sindacale e l'isolamento), invocando solidarietà e facendo vivere le lezioni dello sciopero di massa e polemizzando con gli altri gruppi rivoluzionari:
I manifesti della CCI:
• Polonia: all'Est come all'Ovest, una stessa lotta operaia contro lo sfruttamento capitalista! [63] - Volantino internazionale della CCI (6/09/1980)
• Agli operai della Polonia!"- Volantino internazionale della CCI, tradotto anche in polacco, (10/03/1981)
• Polonia: una sola solidarietà - Lo sviluppo internazionale delle lotte operaie" [64] - Volantino internazionale della CCI, tradotto anche in polacco, (18/12/1981) (in francese)
Sul ruolo dei rivoluzionari:
• Alla luce degli eventi in Polonia, il ruolo dei rivoluzionari [65] - Revue Internationale n°24 (1 trimestre 1981)
Sulla propaganda gauchista (estrema sinistra borghese):
• I falsi amici degli operai- Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
• Contro le menzogne trotzkiste - Anche in Polonia il capitalismo deve essere distrutto - Révolution Internationale n°79 (novembre 1980)
• Per quanto riguarda le riunioni sui paesi dell'Europa dell'Est - Quale solidarietà? - Révolution Internationale n°82 (febbraio 1981)
Sull'appello alla solidarietà e a fare vivere le lezioni della lotta:
• Scioperi nella Polonia capitalista - Generalizziamo il "cattivo esempio" degli operai polacchi! - Révolution Internationale n°77 (settembre 1980)
• La lotta degli operai polacchi è la nostra lotta! - Révolution Internationale n°83 (marzo 1981)
• A Est e ad Ovest - Contro la stessa crisi, la stessa lotta di classe - Révolution Internationale n°85 (maggio 1981)
• Nessuna lotta operaia dovrebbe rimanere isolata - Révolution Internationale n°93 (gennaio 1982)
Sulla denuncia dell'isolamento nazionale:
• Polonia: la necessità della lotta in altri paesi - Révolution Internationale n°89 (settembre 1981)
• Polonia - Solo la lotta internazionale del proletariato può frenare il braccio della repressione - Révolution Internationale n°81 (gennaio 1981)
Sulle convergenze e divergenze con i gruppi del campo politico proletario:
• Polemica - I rivoluzionari e la lotta di classe in Polonia - Révolution Internationale n°80 (dicembre 1980)
• A proposito di alcuni volantini sulla situazione in Polonia - Révolution Internationale n°102 (ottobre 1982)
[1] Tutte le citazioni provengono dall'articolo: Pologne (août 1980): Il y a 40 ans, le prolétariat mondial refaisait l’expérience de la grève de masse [66] - Révolution Internationale n°483 (luglio-agosto 2020)
[2] The proletariat of Western Europe at the centre of the generalization of the class struggle [67] International Review n.31 (4° trimestre 1984), disponibile anche in spagnolo e francese alle rispettive pagine web
[3] Introduzione al nostro opuscolo di raccolta di testi sulla Polonia 80, che può essere richiesto al nostro indirizzo
[4] Vedi nota 3
[5] Sciopero di massa - Révolution International n°81 (gennaio 1981).
[6] Una delegazione della CCI si era recata in un'altra occasione in Polonia. Le sue conclusioni, a seguito delle discussioni in loco, hanno portato alla luce un livello molto alto di illusioni all'interno del proletariato di questo paese, che contribuivano a creare notevoli difficoltà nell'affrontare la situazione con la quale si doveva scontrare. E questo mentre il campo proletario in Occidente sopravvalutava molto le possibilità della classe operaia della Polonia, in particolare la CWO con il suo "Revolution now!" ("Rivoluzione ora!")
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/files/it/covid_volantino_internaz.pdf
[2] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[3] https://it.internationalism.org/
[4] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/interventi
[5] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[6] https://it.internationalism.org/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[7] https://it.internationalism.org/content/1518/rapporto-sullimpatto-della-decomposizione-sulla-vita-politica-della-borghesia
[8] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[9] https://it.internationalism.org/content/1534/guerra-delle-mascherine-la-borghesia-e-una-classe-di-delinquenti
[10] https://fr.internationalism.org/content/10023/seule-lutte-massive-et-unie-peut-faire-reculer-gouvernement
[11] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria
[12] https://it.internationalism.org/content/1525/lotte-francia-governo-e-sindacati-mano-nella-mano-far-passare-la-riforma
[13] https://it.internationalism.org/content/1523/contro-gli-attacchi-del-governo-la-lotta-massiccia-e-unita-di-tutti-gli-sfruttati
[14] https://it.internationalism.org/tag/2/26/rivoluzione-proletaria
[15] https://it.internationalism.org/tag/3/43/comunismo
[16] https://it.internationalism.org/files/it/rivoluzione_internazionale_n_186.pdf
[17] https://world.internationalism.org
[18] https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-parafulmine-a7d91226-ac48-408b-bb43-35ef5992817b.html
[19] https://www.corriere.it/salute/20_dicembre_22/coronavirus-italia-bollettino-oggi-22-dicembre-13318-nuovi-casi-628-morti-6e2b9f86-444b-11eb-850e-8c688b971ab0.shtml
[20] https://www.ilsole24ore.com/art/terapie-intensive-occupate-20percento-mancano-9mila-medici-e-infermieri-ADt9EMy
[21] https://www.ilpost.it/2020/04/06/ventilatori-coronavirus-covid-19/
[22] https://it.internationalism.org/%20“Covid-19%20creato%20in%20laboratorio?”
[23] https://www.open.online/2020/10/01/coronavirus-creato-in-laboratorio-salvini-sbaglia-a-sostenere-li-meng-yang/
[24] https://www.monde-diplomatique.fr/61547
[25] https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=82776
[26] https://www.corriere.it/cronache/20_ottobre_24/scuola-covid-didattica-distanza-4c05d84c-155f-11eb-b371-ea3047c1855f.shtml
[27] https://www.open.online/2020/12/01/coronavirus-servizio-report-pdf-piano-pandemico-mai-aggiornato-2006/
[28] https://web.archive.org/web/20200513211526/http:/www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0008/442655/COVID-19-Italy-response.pdf?ua=1
[29] https://www.open.online/2020/09/11/posti-lavoro-giovani-precari-autonomi-covid-occupati-under-35/
[30] https://www.wired.it/Quella%20di%20Covid-19%20non%20sarà%20l'ultima%20pandemiascienza/medicina/2020/06/13/coronavirus-covid-prossime-pandemie/
[31] https://it.internationalism.org/tag/4/75/italia
[32] https://it.internationalism.org/tag/4/90/stati-uniti
[33] http://guerredeclasse.fr/
[34] http://www.gci-icg.org
[35] https://fr.internationalism.org/content/9877/prise-position-camp-revolutionnaire-gilets-jaunes-necessite-rearmer-proletariat
[36] https://www.pcint.org/03_LP/537/537_george-floyd.htm
[37] https://www.internationalcommunistparty.org/index.php/fr/2770-apres-minneapolis-que-la-revolte-des-proletaires-americains-soit-un-exemple-pour-les-proletaires-de-toutes-les-metropoles
[38] https://www.leftcom.org/it/articles/2020-05-31/minneapolis-brutalit%C3%A0-della-polizia-e-lotta-di-classe
[39] https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro
[40] https://en.internationalism.org/content/3203/polemic-wind-east-and-response-revolutionaries
[41] https://en.internationalism.org/content/3250/polemic-faced-convulsions-east
[42] https://www.leftcom.org/en/articles/2019-01-18/some-further-thoughts-on-the-yellow-vests-movement
[43] https://it.internationalism.org/tag/7/109/sinistra-comunista
[44] https://fr.internationalism.org/files/fr/ri_23_a.pdf
[45] https://fr.internationalism.org/files/fr/ri_28_a.pdf
[46] https://fr.internationalism.org/content/10136/pologne-70-a-80-renforcement-classe-ouvriere
[47] https://fr.internationalism.org/rinte23/crise.htm
[48] https://fr.internationalism.org/rinte28/est.htm
[49] https://fr.internationalism.org/rinte29/lutte.htm
[50] https://fr.internationalism.org/rinte23/pologne.htm
[51] https://fr.internationalism.org/content/10137/pologne-malgre-syndicats-classe-ouvriere-ne-lache-pas-prise
[52] https://fr.internationalism.org/content/10151/pologne-briser-lisolement-national-et-lencadrement-syndical
[53] https://fr.internationalism.org/content/10187/bourgeoisie-mondiale-derriere-jaruzelski
[54] https://fr.internationalism.org/content/10194/devoyer-proletariat-solidarnosc-toujours
[55] https://fr.internationalism.org/content/10199/proletariat-pologne-paie-prix-son-isolement
[56] https://it.internationalism.org/content/note-sullo-sciopero-di-massa
[57] https://fr.internationalism.org/content/10141/greve-masse
[58] https://fr.internationalism.org/rinte27/pologne.htm
[59] https://it.internationalism.org/content/dopo-la-repressione-polonia-prospettive-della-lotta-di-classe-mondiale
[60] https://fr.internationalism.org/rinte24/pologne.htm
[61] https://fr.internationalism.org/content/10142/solidarite-letat-capitaliste
[62] https://fr.internationalism.org/content/10123/kor-opposition-au-service-du-capital-polonais
[63] https://fr.internationalism.org/files/fr/tract_pologne_aout_1980.pdf
[64] https://fr.internationalism.org/content/10148/revolution-internationale-ndeg-81-janvier-1981
[65] https://fr.internationalism.org/rinte24/pologne2.htm
[66] https://fr.internationalism.org/content/10196/pologne-aout-1980-il-y-a-40-ans-proletariat-mondial-refaisait-lexperience-greve-masse
[67] https://en.internationalism.org/ir/1982/31/critique-of-the-weak-link-theory
[68] https://it.internationalism.org/tag/4/77/polonia
[69] https://it.internationalism.org/tag/storia-del-movimento-operaio/1980-sciopero-di-massa-polonia