Rapporto sulle tensioni imperialiste, maggio 2023

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Avere un'analisi precisa della situazione storica e delle prospettive che ne derivano è una delle principali responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie, per fornire un quadro solido al loro intervento nella classe e per proporre alla classe orientamenti precisi per comprendere le dinamiche del capitalismo o le azioni e le manovre della borghesia. Purtroppo, i gruppi dell'ambiente politico proletario nel loro insieme rimangono largamente al di sotto di questa necessità: o perché rimangono ancorati a schemi del passato applicati meccanicamente, senza sottoporli a critica, anche se non si attengono più alla realtà storica (gruppi bordighisti); o perché il loro opportunismo li porta a privilegiare un approccio immediato ed empirista che mira a un illusorio successo immediato, piuttosto che fare lo sforzo di verificare la solidità e la pertinenza delle loro analisi (la Tendenza Comunista Internazionalista - TCI)[1].

Da parte sua, la CCI, fedele alla tradizione del movimento operaio e al metodo marxista, ha sempre sottoposto il suo quadro di analisi a un esame critico per verificare se resta valido o se, al contrario, debba essere modificato o addirittura rivisto. In linea con questo approccio, il presente rapporto prende le mosse dalla Risoluzione sulla situazione internazionale del 24° Congresso della CCI[2] che evidenziava la marcata accelerazione della decomposizione che si stava allora manifestando con le devastazioni della pandemia e il suo impatto sulle basi economiche del sistema, dando così concretezza all'alternativa "socialismo o barbarie" avanzata dalla Terza Internazionale. Ma, "Contrariamente a una situazione, tipo anni ’30, in cui la borghesia è capace di mobilitare la società per la guerra, il ritmo esatto e le forme della dinamica del capitalismo in decomposizione verso la distruzione dell’umanità sono più difficili da prevedere perché essi sono il prodotto della convergenza di diversi fattori, di cui alcuni possono essere parzialmente nascosti” (punto 10). Diverse osservazioni hanno sottolineato questa accelerazione della decomposizione sul piano degli scontri imperialisti:

- Un'intensificazione dello sviluppo del militarismo, che era già diventato lo stile di vita del capitalismo nella sua fase decadente. Così, i "massacri di innumerevoli piccole guerre" fanno precipitare il capitalismo "in un ciascuno per sé imperialista sempre più irrazionale" (punto 11), mentre allo stesso tempo si assiste a un inasprimento dei conflitti tra le potenze mondiali. "In questo panorama caotico non c’è alcun dubbio che il confronto crescente tra gli Stati Uniti e la Cina tende ad essere in primo piano" (punto 12). Mentre la rivalità tra Stati Uniti e Cina tende a inasprirsi, la nuova amministrazione Biden ha annunciato che "non si farà prendere in giro" dalla Russia (punto 11).

- La politica aggressiva degli Stati Uniti che, di fronte al declino della loro egemonia, non esitano a usare "la capacità di agire da soli per difendere i loro interessi". Tuttavia, "il prosieguo del ciascuno per sé renderà sempre più difficile, se non impossibile, agli Stati Uniti di imporre la propria leadership, a conferma delle caratteristiche disgregatrici della decomposizione" (punto 11).

- “La crescita straordinaria della Cina è essa stessa un prodotto della decomposizione [...]. Il controllo totalitario dell’insieme del corpo sociale, l’inasprimento repressivo a cui si dedica la frazione stalinista di Xi Jinping non rappresentano una espressione di forza ma al contrario una manifestazione di debolezza dello Stato" (punto 9).

- L'aumento delle tensioni "non significa che stiamo andando verso la formazione di blocchi stabili e una guerra mondiale generalizzata" (punto 12). Peraltro, non stiamo vivendo "in un'era di più grande sicurezza rispetto all'epoca della guerra fredda [...]. Al contrario, se la fase di decomposizione è marcata da una perdita di controllo crescente da parte della borghesia, questo riguarda anche gli enormi mezzi di distruzione – nucleari, convenzionali, biologici e chimici – che sono stati accumulati dalla classe dirigente [...]” (punto 13).

Lo scoppio della guerra in Ucraina e il conseguente inasprimento delle tensioni imperialiste sono pienamente in linea con il quadro di riferimento adottato dal 24° Congresso Internazionale. Tuttavia, rappresentano indubbiamente uno sviluppo qualitativo nello scivolamento della società verso la barbarie, evidenziando il ruolo trainante del militarismo nell'interrelazione delle varie crisi (sanitaria, economica, politica, ecologica, ecc.) che attualmente affliggono il capitalismo.

Parte 1: Bilancio di 15 mesi di guerra in Ucraina

Dopo due anni di pandemia, lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022 ha rappresentato un passo avanti qualitativo nella discesa della società verso la barbarie. Dal 1989, gli Stati Uniti hanno cercato il confronto in diverse occasioni (con l'Iraq, l'Iran, la Corea del Nord e l'Afghanistan), ma questi scontri non avevano mai coinvolto un'altra grande potenza imperialista o avuto un impatto sull'intero pianeta. Questa guerra è molto diversa:

“- è il primo confronto militare di questa portata tra Stati che si svolge alle porte dell'Europa dal 1940-45 [...], così che il cuore dell'Europa sta diventando il teatro centrale del confronto imperialista;

 - questa guerra coinvolge direttamente i due maggiori Paesi europei, uno dei quali possiede armi nucleari o altre armi di distruzione di massa e l'altro è sostenuto finanziariamente e militarmente dalla NATO. Questo confronto Russia-NATO tende a far rivivere il ricordo del confronto tra i blocchi dagli anni '50 agli anni '80 e del terrore nucleare che ne è derivato [...];

- la portata dei combattimenti, le decine di migliaia di morti, la distruzione sistematica di intere città, l'esecuzione di civili, il bombardamento irresponsabile di centrali atomiche, le considerevoli conseguenze economiche per l'intero pianeta, sottolineano sia la barbarie che la crescente irrazionalità dei conflitti che possono portare a una catastrofe per l'umanità[3].

A quindici mesi dallo scoppio della guerra, è importante stabilire le principali lezioni del conflitto in termini di relazioni imperialiste, ma anche in termini di quadro di riferimento proposto dalla CCI.

1. L'impatto sulle relazioni imperialiste

Il tributo materiale e umano di un anno di guerra è spaventoso: la perdita di vite umane e la distruzione materiale sono gigantesche, e milioni di persone sono state sfollate. Decine di miliardi sono stati assorbiti da entrambe le parti (nel 2022, 45 miliardi di euro dagli Stati Uniti, 52 miliardi dall'UE, 77 miliardi dalla Russia, cioè il 25% del suo PIL). Attualmente la Russia sta impegnando circa il 50% del suo bilancio statale nella guerra, mentre l'ipotetica ricostruzione dell'Ucraina richiederebbe più di 700 miliardi di dollari. Questa guerra sta avendo anche un notevole impatto sull'intensificazione delle tensioni imperialiste.

1.1 L'offensiva imperialista statunitense

Di fronte al declino della propria egemonia, a partire dagli anni '90 gli Stati Uniti hanno perseguito una politica aggressiva volta a difendere i propri interessi, in particolare nei confronti dell'ex leader del blocco rivale, la Russia. Nonostante l'impegno preso dopo la dissoluzione dell'URSS di non allargare la NATO, gli americani hanno fatto entrare nell'alleanza tutti i Paesi dell'ex Patto di Varsavia, compresi Paesi come gli Stati baltici che facevano parte dell'ex URSS stessa, e stavano progettando di fare lo stesso con la Georgia e l'Ucraina nel 2008. La "rivoluzione arancione" in Ucraina nel 2014 ha sostituito il regime filorusso con un governo filooccidentale e le diffuse proteste in Bielorussia hanno minacciato il regime filorusso di Lukashenko. Di fronte a questa strategia di accerchiamento, il regime di Putin ha cercato di reagire utilizzando la sua potenza militare, un residuo del suo passato di capo di un blocco (Georgia nel 2008, Crimea e Donbass nel 2014, ecc.) Di fronte ai sussulti imperialisti della Russia, gli Stati Uniti hanno iniziato ad armare l'Ucraina e ad addestrare il suo esercito all'uso di armi più sofisticate. Quando la Russia ha schierato il suo esercito in Bielorussia e all'est dell'Ucraina, gli Stati Uniti hanno stretto la trappola sostenendo che Putin avrebbe invaso l'Ucraina, ma assicurando che loro non sarebbero intervenuti sul terreno.

In breve, se la guerra è stata effettivamente iniziata dalla Russia, essa è la conseguenza della strategia degli Stati Uniti di accerchiarla e soffocarla. In questo modo, gli Stati Uniti sono riusciti a intensificare la loro politica aggressiva, che ha un obiettivo molto più ambizioso del semplice porre fine alle ambizioni della Russia:

- immediatamente, la trappola fatale che hanno teso alla Russia sta portando a un significativo indebolimento della potenza militare residua di quest'ultima e a un radicale ridimensionamento delle sue ambizioni imperialiste. La guerra ha anche dimostrato l'assoluta superiorità della tecnologia militare americana, che è alla base del "miracolo" della "piccola Ucraina" che sta respingendo l'"orso russo";

- in secondo luogo, hanno stretto i bulloni all'interno della NATO, costringendo i Paesi europei ad allinearsi sotto la bandiera dell'Alleanza, soprattutto Francia e Germania, che tendevano a sviluppare una propria politica nei confronti della Russia e a ignorare la NATO, che fino a pochi mesi fa il presidente francese Macron aveva definito "cerebralmente morta";

- al di là della batosta inflitta alla Russia, l'obiettivo principale degli americani era senza dubbio un avvertimento inequivocabile al loro principale sfidante, la Cina ("ecco cosa vi aspetta se tentate di invadere Taiwan"). Negli ultimi dieci anni circa, la difesa della leadership americana si è concentrata sull'ascesa di questo serio rivale. Sotto l'amministrazione Trump, questo desiderio di confrontarsi con la Cina ha assunto principalmente la forma di una guerra commerciale aperta. Ma anche l'amministrazione Biden ha intensificato la pressione militare (tensioni intorno a Taiwan). La guerra ha indebolito l'unico partner importante per la Cina, la Russia, che potrebbe in particolare fornirle un contributo militare. Ha inoltre messo a dura prova il progetto della Nuova Via della Seta, un cui asse doveva passare attraverso l'Ucraina.

1.2. La cocente sconfitta dell'imperialismo russo

L'obiettivo iniziale della Russia era in primo luogo quello di raggiungere rapidamente Kiev attraverso un'audace operazione combinata delle sue truppe d'élite per eliminare la fazione di Zelensky e insediare un governo filorusso, e in secondo luogo quello di tagliare l'accesso al Mar Nero prendendo Odessa. Sottovalutando la capacità di resistenza dell'esercito ucraino, sostenuto finanziariamente e militarmente dagli Stati Uniti, e sopravvalutando le proprie capacità militari, ha subito una cocente sconfitta. L'obiettivo successivo, più modesto, era quello di occupare il nord-est del Paese, ma l'esercito russo subì ancora una volta pesanti perdite e dovette ritirarsi a Charkiv e abbandonare Kherson. I programmi di arruolamento di nuove reclute hanno visto centinaia di migliaia di giovani russi fuggire all'estero e l'esercito russo è stato costretto ad affidarsi ai mercenari del gruppo Wagner, che ha reclutato un gran numero di prigionieri comuni, per tenere la linea del fronte. Ora sta usando tutti i mezzi a sua disposizione per tenere il territorio che collega il Donbass alla Crimea. A tal fine, sta bombardando massicciamente tutte le città, le centrali elettriche e i ponti, per far pagare cara la vittoria all'Ucraina e costringere Zelensky ad accettare le condizioni russe. Inoltre, data la sua precaria situazione militare, non si può escludere che la Russia finisca per usare armi nucleari tattiche.

Qualunque sia l'esito finale, è già chiaro che la Russia è stata gravemente indebolita da questa avventura bellica. È stata dissanguata militarmente, avendo perso circa centomila soldati, in particolare tra le sue unità d'élite più esperte, e un gran numero di carri armati, aerei ed elicotteri più moderni ed efficienti; è stata gravemente indebolita economicamente dagli enormi costi della guerra (25% del PIL di quest'anno), nonché dal crollo dell'economia causato dallo sforzo bellico e dalle sanzioni imposte dai Paesi occidentali. Infine, la sua immagine di potenza imperialista ha risentito molto degli eventi che hanno dimostrato i limiti militari ed economici del suo potere.

1.3 L'imperialismo europeo e cinese sotto pressione

Le borghesie europee, in particolare Francia e Germania, avevano cercato urgentemente di convincere Putin a non lanciare questa guerra, o addirittura a lanciare un attacco limitato nella scala e nel tempo. Indiscrezioni di Boris Johnson hanno rivelato che la Germania stava addirittura pensando di avallare di fatto una "guerra lampo" russa di pochi giorni per eliminare l'attuale regime. Tuttavia, di fronte al fallimento delle forze russe e all'inaspettata resistenza dell'esercito ucraino, Macron e Scholz hanno dovuto adottare a malincuore la posizione della NATO dettata dagli Stati Uniti. Tuttavia, rimangono in disparte per quanto riguarda il loro impegno militare in Ucraina e si sono tirati indietro dal tagliare tutti i legami economici con la Russia. Allo stesso tempo, hanno aumentato drasticamente i loro bilanci militari, con l'obiettivo di riarmare massicciamente le loro forze armate (la Germania ha addirittura raddoppiato il suo budget a 107 miliardi di euro). Le recenti visite a Pechino del Cancelliere Scholz e del Presidente Macron hanno confermato la determinazione di Germania e Francia a non piegarsi ai disegni degli Stati Uniti e a mantenere forti legami economici con la Cina.

La Cina, di fronte alle difficoltà dell'"alleato" russo e alle minacce indirette ma insistenti degli Stati Uniti, ha assunto una posizione molto cauta sul conflitto ucraino: ha chiesto la cessazione delle ostilità e, pur non avendo aderito formalmente alle sanzioni contro la Russia, non ha fornito a quest'ultima armi o equipaggiamenti militari. Xi ha persino espresso apertamente la sua preoccupazione a Putin e ha invitato la Russia a cercare un negoziato. Per la borghesia cinese la lezione è amara: la guerra in Ucraina ha dimostrato che qualsiasi ambizione imperialista globale è illusoria in assenza di una potenza militare ed economica in grado di competere con la superpotenza americana. Oggi, però, la Cina non ha né forze armate all'altezza del compito, né una struttura economica in grado di sostenere tali ambizioni imperialiste globali. Tutta la sua espansione economica e commerciale è vulnerabile al caos della guerra e alle pressioni del potere americano. Naturalmente la Cina non rinuncia alle sue ambizioni imperialiste, in particolare alla riconquista di Taiwan, come ci ha ricordato Xi Jinping al congresso del PCC, ma può fare progressi solo nel lungo periodo, evitando di cedere alle provocazioni americane.

Su un piano più generale, il conflitto in Ucraina non solo ha rappresentato un approfondimento qualitativo estremamente significativo del militarismo, ma è anche il motore dell'intensificarsi, su scala globale, delle difficoltà economiche (inflazione e recessione), dei problemi sanitari (rimbalzi di Covid), dell'afflusso di rifugiati e dell'incapacità del sistema di affrontare la crisi ecologica (sfruttamento intensivo del gas di scisto, riattivazione delle centrali nucleari e persino di quelle a carbone), che caratterizzano l'attuale sprofondamento nella decomposizione.

2. Mettere alla prova il nostro quadro teorico

L'iniziale negazione da parte della CCI dell'imminenza di un'invasione massiccia dell'Ucraina da parte della Russia, nonostante gli espliciti avvertimenti degli Stati Uniti, non era affatto espressione dell'inadeguatezza del nostro quadro analitico, ma era piuttosto la manifestazione di una mancata padronanza di quest'ultimo, e più precisamente di una dimenticanza degli orientamenti proposti nel testo "Militarismo e decomposizione " (1990). La CCI ha quindi adottato un documento integrativo che aggiorna il testo dell'ottobre 1990 ("Militarismo e decomposizione, maggio 2022 "[4], in cui si sottolineano in particolare i seguenti apporti, rese ancora più evidenti da un anno di guerra in Ucraina:

2.1. La necessità di un approccio materialista dialettico all'attualità

La questione del metodo è cruciale nella comprensione degli eventi attuali: il materialismo dialettico deve essere concepito come semplice determinismo economico o piuttosto, come Engels ci ricordava già nel 1890 in una lettera a Bloch, come un metodo dialettico che tiene conto delle interazioni tra i diversi aspetti della realtà, in particolare del rapporto tra base economica e sovrastruttura, anche se "il fattore determinante della storia è, in ultima istanza, la produzione e la riproduzione della vita reale"[5]? Questo approccio contraddice tutte le analisi materialiste volgari, che sono la maggioranza negli ambienti politici proletari, e che spiegano ogni guerra solo sulla base dell'interesse economico immediato, senza differenziare le situazioni nelle diverse fasi del capitalismo. Tuttavia, come sottolinea in modo eloquente la Gauche Communiste de France (Sinistra Comunista Francese), "la decadenza della società capitalista trova la sua espressione più evidente nel fatto che le guerre in vista dello sviluppo economico (periodo ascendente) sono state sostituite da un'attività economica essenzialmente limitata alla guerra (periodo decadente). Questo non significa che la guerra sia diventata l'obiettivo della produzione capitalistica, che per il capitalismo rimane sempre la produzione di plusvalore, ma significa che la guerra, assumendo un carattere di permanenza, è diventata lo stile di vita del capitalismo decadente"[6].

2.2. L'irrazionalità del militarismo è accentuata nella decomposizione

La fase di decomposizione accentua uno degli aspetti più perniciosi della guerra in decadenza: la sua irrazionalità. Gli effetti del militarismo diventano sempre più imprevedibili e disastrosi. I nostri materialisti volgari non comprendono questo aspetto e obiettano che le guerre sono sempre motivate economicamente, e quindi razionali. Non vedono che le guerre di oggi non hanno fondamentalmente motivazioni economiche, ma geostrategiche, e che addirittura non raggiungono più i loro obiettivi originari, ma portano al risultato opposto:

- Gli Stati Uniti hanno condotto le due guerre del Golfo, come la guerra in Afghanistan, per mantenere la loro leadership sul pianeta, ma sia in Iraq che in Afghanistan il risultato è stato un'esplosione di caos e instabilità, che ha provocato un'ondata di rifugiati che hanno bussato alle porte dei Paesi industrializzati.

- A prescindere dagli obiettivi dei molti avvoltoi imperialisti (russi, turchi, iraniani, israeliani, americani o europei) che sono intervenuti nelle orribili guerre civili siriane o libiche, hanno ereditato un Paese in rovina, frammentato e diviso in clan, con milioni di rifugiati che si sono riversati nei Paesi vicini o sono fuggiti verso i Paesi industrializzati.

La guerra in Ucraina ne è una conferma esemplare: quali che siano gli obiettivi geostrategici dell'imperialismo russo o americano, il risultato sarà un Paese in rovina (Ucraina), un Paese rovinato economicamente e militarmente (Russia), una situazione imperialista ancora più tesa e caotica dall'Europa all'Asia centrale e, infine, milioni di rifugiati in Europa.

2.3 L'accentuazione del caos e delle tensioni imperialiste ostacola in larga misura il percorso verso la formazione di blocchi.

L'aumento del militarismo e dell'irrazionalità della guerra comporta una terrificante espansione della barbarie bellica. Tuttavia, non porta al raggruppamento degli imperialismi in blocchi e quindi a una guerra generalizzata in tutto il pianeta. Questa analisi è supportata da una serie di fattori:

- La guerra in Ucraina non ha mostrato un allineamento forte e stabile degli imperialismi dietro i leader dei potenziali blocchi: grandi potenze imperialiste come l'India, il Brasile e persino l'Arabia Saudita mantengono chiaramente la loro autonomia dai protagonisti, il legame tra Cina e Russia non si è rafforzato, anzi, e mentre gli Stati Uniti hanno usato la guerra per imporre le loro posizioni all'interno della NATO, Paesi membri come la Turchia e l'Ungheria vanno apertamente avanti da soli, e Germania e Francia fanno del loro meglio per sviluppare le proprie politiche.

- Un leader di un blocco deve essere in grado di generare la fiducia dei suoi Paesi membri e garantire la sicurezza dei suoi alleati, mentre la Cina è stata molto cauta nel sostenere l'alleato russo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'"America first" di Trump è stata una doccia fredda per gli "alleati" che pensavano di poter contare sugli Stati Uniti, e Biden sta sostanzialmente perseguendo la stessa politica: ha deciso senza consultare i suoi alleati di ritirare le truppe da Kabul e sta facendo pagare loro un prezzo elevato in termini di energia per boicottare l'economia russa, mentre gli Stati Uniti sono autosufficienti in questo senso.

- L'assenza di un proletariato sconfitto, condizione essenziale per coinvolgere un Paese in una guerra mondiale. Le recenti lotte in vari Paesi occidentali dimostrano che il proletariato non è pronto ad accettare l'austerità imposta dalla crisi economica, né tantomeno i sacrifici legati a una guerra generalizzata. Anche in Russia, dove il proletariato è debole e soggetto a forti richiami nazionalisti, la maggioranza della popolazione non sostiene la guerra. Infine, manca anche un'arma ideologica forte, capace di mobilitare il proletariato, come nel caso del fascismo e dell'antifascismo negli anni 1930.

La formazione di blocchi non deve essere confusa con alleanze ad hoc formate per obiettivi particolari. Ad esempio, la Turchia, membro della NATO, sta adottando una politica di neutralità nei confronti della Russia in Ucraina, sperando di approfittarne per allearsi con la Russia in Siria contro le milizie curde sostenute dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, si confronta con la Russia in Libia e in Asia centrale, dove fornisce sostegno militare all'Azerbaigian contro l'Armenia, membro dell'alleanza guidata dalla Russia.

2.4. La polarizzazione delle tensioni è il prodotto dell'offensiva statunitense.

Se, dalla metà del secondo decennio del XXI secolo, si è manifestata in modo sempre più evidente una polarizzazione delle tensioni imperialiste tra Stati Uniti e Cina, ciò non va assolutamente visto come l'inizio di una dinamica verso la costituzione di blocchi. A differenza di questa, la polarizzazione non è il prodotto della pressione dello sfidante (Germania, URSS in passato) ma, al contrario, di una politica sistematica perseguita dalla potenza imperialista dominante, gli Stati Uniti, nel tentativo di arrestare il declino irreversibile della propria leadership. Inizialmente, si è concentrata sulla neutralizzazione delle aspirazioni degli ex alleati del blocco occidentale, in particolare della Germania. Poi si è concentrata sulla polarizzazione dell'"asse del male" (Iraq, Iran, Corea del Nord) nel tentativo di radunare gli altri imperialisti dietro il poliziotto planetario. Più recentemente, il suo obiettivo è stato proprio quello di impedire l'emergere di qualsiasi sfidante.

Trent'anni di questa politica da parte degli Stati Uniti non hanno affatto portato maggiore disciplina e ordine nelle relazioni imperialiste, ma al contrario hanno esacerbato il caos e la barbarie. Oggi gli Stati Uniti sono uno dei principali vettori della terrificante espansione degli scontri bellici.

2.5. La guerra non facilita lo sviluppo della lotta proletaria.

Certamente, su un piano generale, la guerra in Ucraina dimostra la bancarotta di questo sistema (soprattutto perché è ovviamente un prodotto volontario della classe dominante) e può in questo senso costituire una fonte di consapevolezza di questa bancarotta, anche se oggi è limitata a minoranze della classe. Fondamentalmente, però, conferma l'analisi della CCI secondo cui la guerra e i sentimenti di impotenza e orrore che essa provoca non favoriscono lo sviluppo della lotta operaia. Al contrario, essa provoca un netto peggioramento della crisi economica e degli attacchi ai lavoratori, spingendoli ad opporsi ad essa in difesa delle loro condizioni di vita[7].

Parte II: Il conflitto in Ucraina come moltiplicatore e intensificatore delle contraddizioni imperialiste

Nel periodo attuale, la guerra in Ucraina non può essere considerata un fenomeno isolato. Mentre entriamo negli anni 2020 del XXI secolo, diversi tipi di crisi si accumulano e interagiscono (crisi sanitaria, crisi economica, crisi climatica e alimentare, tensioni tra imperialismi) ma, soprattutto, sono tutti colpiti dagli effetti di questo conflitto, che è un vero e proprio moltiplicatore e intensificatore della barbarie e del caos distruttivo. Questa guerra è il fattore centrale che determina l'intensificazione degli altri aspetti: " Per quanto riguarda questa aggregazione di fenomeni distruttivi e il suo "effetto vortice", dobbiamo sottolineare il ruolo motore della guerra in quanto azione voluta e pianificata dagli Stati capitalisti, diventando il fattore più potente e grave del caos e della distruzione. Nei fatti, la guerra in Ucraina ha avuto un effetto moltiplicatore dei fattori di barbarie e di distruzione, implicando:

• Un rischio sempre presente di bombardamento di centrali nucleari, come si vede in particolare intorno a quella di Zaporižžja.

• Il pericolo di utilizzazione di armi chimiche e nucleari.

• La violenta crescita del militarismo con le sue conseguenze sull’ambiente e sul clima.

• L’impatto diretto della guerra sulla crisi energetica e la crisi alimentare."[8].

In breve, qualunque sia lo scenario dei prossimi mesi, le ripercussioni globali del conflitto in Ucraina si manifesteranno attraverso:

- l'espansione delle zone di tensione imperialista in tutto il mondo e la destabilizzazione delle strutture politiche di molti Stati;

- l'esacerbazione degli scontri tra i principali protagonisti del conflitto, nonché all'interno delle diverse borghesie (compresa quella ucraina) di questi Paesi.

1. Le ripercussioni globali dell'espansione delle tensioni e del caos

Le conseguenze del conflitto in Ucraina non stanno affatto portando a una "razionalizzazione" delle tensioni attraverso un allineamento "bipolare" degli imperialismi dietro due "sponsor" dominanti, ma al contrario all'esplosione di una molteplicità di ambizioni imperialiste, non limitate a quelle dei principali imperialismi, esaminate nella prossima sezione, o all'Europa orientale e all'Asia centrale, cosa che accentua il carattere caotico e irrazionale degli scontri.

1.1 Moltiplicazione dei punti di confronto imperialista nel mondo

- In Europa, l'emergere a Est di un'Ucraina pesantemente armata dagli Stati Uniti alimenterà la lotta tra l'imperialismo americano e quello tedesco per il suo controllo.[9] La sua posizione centrale genererà anche tensioni con altri Paesi dell'Europa orientale, come la Romania, l'Ungheria (molto riluttante a sostenere l'Ucraina) e soprattutto la Polonia, che hanno minoranze in varie regioni dell'Ucraina. In Occidente, le pressioni sulla Germania hanno portato a spaccature con la Francia, mentre si sono riaccesi i conflitti in Bosnia e tra serbi e kosovari (ad opera di mercenari russi del gruppo Wagner). Infine, l'UE ha reagito con rabbia all'“Inflation Reduction Act” promulgato dall'amministrazione Biden, che considera una vera e propria dichiarazione di guerra alle esportazioni europee verso gli Stati Uniti.

- In Asia centrale, l'arretramento della potenza russa va di pari passo con la rapida espansione della presenza di altre potenze imperialiste, come Cina, Turchia, Iran e, naturalmente, Stati Uniti nelle repubbliche dell'ex URSS. In Estremo Oriente persiste il rischio di conflitto tra la Cina da un lato e l'India (con regolari scontri di frontiera) o il Giappone (che si sta massicciamente riarmando) dall'altro, senza dimenticare le tensioni tra India e Pakistan e quelle ricorrenti tra le due Coree, in cui gli Stati Uniti sono pienamente coinvolti. Vale la pena menzionare la specifica posizione imperialista dell'India: mentre le sue relazioni con la Cina sono conflittuali in termini politici, militari ed economici, sono più ambigue in relazione agli Stati Uniti (l'India è membro del QUAD ma non dell'AUKUS) o alla Russia (importanti contratti militari), un'illustrazione lampante dell'ognuno per sé e della fragilità del riavvicinamento tra potenze imperialiste.

- In Medio Oriente, l'indebolimento della Russia, la destabilizzazione interna di grandi avvoltoi come l'Iran (rivolte popolari, lotte tra fazioni e pressioni imperialiste) e la Turchia (situazione economica disastrosa) avranno un forte impatto sulle relazioni imperialiste, anche se questi tre Paesi tendono a riavvicinarsi in vista di un'azione militare in Siria e in Iraq contro varie fazioni curde sostenute dagli Stati Uniti. Infine, l'atteggiamento dell'Arabia Saudita, impantanata nella guerra civile in Yemen, che si oppone agli Stati Uniti e si avvicina alla Russia, alla Cina e persino all'Iran, così come la formazione di un governo di estrema destra in Israele, sono anch'essi espressione dell'aggravarsi del caos bellico e dell'ognuno per sé.

- In Africa, mentre la crisi energetica e alimentare e le tensioni belliche imperversano in varie regioni (guerra civile tra il governo centrale etiope e la provincia insorta del Tigray, in cui sono coinvolti anche l'Eritrea e il Sudan, guerra civile in Libia, intense tensioni tra Nord e Sud Sudan e anche tra Algeria e Marocco), l'aggressività delle potenze imperialiste stimola la destabilizzazione e il caos. Tra il 2016 e il 2020, la Cina ha investito l'equivalente di tutti gli investimenti occidentali nello stesso periodo (70 miliardi di dollari) e ha rinunciato al rimborso di 23 prestiti senza interessi per 17 Paesi africani nel 2021. Nel 2018 l'India ha superato la Francia come primo partner commerciale del continente (dopo Cina e Stati Uniti). Il commercio della Turchia con l'Africa è passato da 5 a 25 miliardi di dollari in vent'anni. La Russia, dal canto suo, continua a destabilizzare il Mali e la Repubblica Centrafricana con i mercenari del gruppo Wagner, pur rimanendo un importante partner commerciale nel settore delle armi e dell'agricoltura (cereali e fertilizzanti) per Paesi africani come Egitto, Etiopia e Sudafrica. Francia e Gran Bretagna, che stanno perdendo terreno, vogliono recuperare quote di mercato e promettono investimenti. L'imperialismo americano, per contrastare l'influenza dell'imperialismo russo e cinese in Africa, ha organizzato un importante vertice americano-africano il 13 dicembre 1922 a Washington, dove ha promesso 55 milioni di dollari per l'Africa in tre anni.

1.2 La crescente destabilizzazione dell'apparato politico della borghesia in molti Stati

Il peso crescente della decomposizione tende anche ad accentuare la perdita di controllo sull'apparato politico borghese, rafforzando la lotta tra frazioni e la pressione delle tendenze populiste[10]. Questa maggiore instabilità politica avrà un impatto crescente sull'imprevedibilità del posizionamento imperialista, come ha dimostrato la presidenza Trump.
I Paesi europei, che sono sottoposti a forti pressioni statunitensi e a forti tensioni all'interno dell'UE, si trovano ad affrontare movimenti populisti e lotte tra frazioni della borghesia, che destabilizzano fortemente l'apparato politico della borghesia e possono portare a cambiamenti negli orientamenti imperialisti. Questo è già avvenuto non solo in Gran Bretagna, ma anche in Italia con diversi governi populisti. Questa crescente destabilizzazione tende a rafforzarsi anche in Francia, dove "Les Républicains" di Ciotti sono pronti a governare con i populisti, e persino in Germania[11].

Le turbolenze imperialiste possono anche esacerbare le tensioni all'interno delle borghesie, come nel caso di Russia e Cina, e alla fine portare a riorientamenti imperialisti. In Iran, ad esempio, gli scontri tra fazioni all'interno della borghesia iraniana, alimentati dall'ingerenza straniera e sfruttando le rivolte e le espressioni di disperazione della popolazione, possono modificare le politiche imperialiste[12].

Infine, in molti Stati dell'Africa (Sudan, Etiopia), dell'Asia (Pakistan, Afghanistan) o dell'America Latina (Perù, Ecuador, Bolivia, Cile), il moltiplicarsi di rivolte popolari o di massacri interetnici segna la destabilizzazione della struttura statale e queste diverse situazioni accentueranno l'instabilità delle relazioni imperialiste e l'imprevedibilità dei conflitti.

2. Destabilizzazione e turbolenza tra i principali protagonisti del conflitto ucraino

Un anno di guerra ha provocato grandi turbolenze negli orientamenti dei principali imperialismi coinvolti, ma anche nelle tensioni all'interno delle diverse borghesie di questi Paesi.

2.1. L’offensiva americana è sempre più un fattore centrale di accentuazione delle tensioni e del caos

2.1.1. Il successo iniziale dell’attuale offensiva americana è basata su una caratteristica già messa in evidenza nel Testo di orientamento “Militarismo-e-decomposizione” (1990): la superpotenza economica e soprattutto militare degli Stati Uniti che supera la somma delle potenze potenzialmente concorrenti. Gli Stati Uniti sfruttano a fondo questo vantaggio nella loro politica di polarizzazione. Questa politica non ha mai portato a un maggior ordine e disciplina nei rapporti imperialisti, ma ha, al contrario, moltiplicato gli scontri guerrieri, esacerbato il ciascuno per sé, seminato la barbarie e il caos in numerose regioni (Medio oriente, Afganistan…) intensificato il terrorismo, provocato un’enorme ondata di rifugiati e accentuato le ambizioni dei piccoli e grandi pescecani ai quattro angoli del pianeta.

La questione che si pongono oggi gli USA rispetto alla guerra in Ucraina è la seguente: bisogna offrire una via di uscita alla Russia, che ormai dopo questa guerra non può più pretendere di avere un ruolo imperialista importante a livello mondiale, o puntare piuttosto a una umiliazione totale, che potrebbe provocare una reazione disperata e incontrollata della borghesia russa e implicare anche il rischio di una disintegrazione della Russia peggiore del 1990, e di conseguenza una destabilizzazione di tutta questa parte del pianeta? Le frazioni dominanti della borghesia americana (in particolare i democratici) sono coscienti di questi pericoli, anche se ci tengono a raggiungere i propri obiettivi, già in buona parte raggiunti, a livello dell’indebolimento definitivo della Russia e soprattutto dell’accentuazione della pressione sulla Cina al fine di bloccarne l’espansione. Di conseguenza gli Stati Uniti dosano con cura le capacità militari dell’esercito ucraino, fanno pressione su Zelensky perché questi aumenti il controllo sulla sua amministrazione e il suo esercito e indicano che “in una maniera o in un’altra, questa guerra dovrà finire intorno a un tavolo di negoziati” (M. Milley, capo di stato maggiore degli Stati Uniti). Tuttavia questo orientamento può essere contrastato da:

• una possibile strategia dei dirigenti russi di puntare su una stanchezza dell’Occidente prolungando la guerra nel tempo, nonché una pressione della frazione oltranzista per una guerra totale (vedi dopo);

• le tensioni in seno all’apparato statale e militare ucraino, con frazioni che spingono per proseguire l’offensiva fino alla vittoria totale contro la Russia, ivi compresa la riconquista del Donbass e della Crimea;

• uno sbandamento irrazionale, legato al caos e alla barbarie ambientale, come per esempio un missile che colpisca la Polonia, la Bielorussia o una centrale nucleare.

Quale che sia la conclusione di questo conflitto, l’attuale politica di confronto dell’amministrazione Biden lungi dal calmare le tensioni o di imporre una disciplina tra i contendenti imperialisti,

• accentuerà ancora le tensioni economiche e militari con l’imperialismo cinese;

• aumenterà le contraddizioni tra gli imperialismi, per esempio in Europa Centrale dove l’indebolimento della Russia e l’armamento massiccio dell’Ucraina acuirà i contrasti tra i paesi della zona, come la Polonia, l’Ungheria, la Romania e, sicuramente, la Germania. In Asia Centrale, oltre agli Stati Uniti, gli imperialismi cinese, turco, o iraniano fanno già a gara a chi deve prendere il posto della Russia;

• intensificherà i contrasti interni alle diverse borghesie, negli Stati Uniti, in Russia e in Ucraina certamente, ma anche in Germania o in Cina, come vedremo più avanti.

Contrariamente ai discorsi dei suoi dirigenti, la politica aggressiva e brutale degli Stati Uniti è quindi alla punta della barbarie e delle distruzioni della decomposizione.

2.1.2. La strategia degli Stati Uniti per contrastare il loro declino ha anche rivelato dei dissensi in seno alla borghesia americana. Se c’è un accordo chiaro per quanto riguarda la politica da seguire nei confronti della Cina, i disaccordi riguardano oggi la maniera di “neutralizzare” la Russia nel contesto della neutralizzazione del “nemico principale” che è la Cina. La fazione Trump propendeva per un’alleanza con la Russia contro la Cina, ma questo orientamento si è scontrato con l’opposizione di grandi parti della borghesia americana e con una resistenza della maggior parte delle strutture dello Stato. La strategia delle frazioni dominanti della borghesia americana, rappresentata oggi dall’amministrazione Biden, punta invece a portare dei colpi decisivi alla Russia, in maniera che essa non possa più costituire una minaccia potenziale per gli Stati Uniti: “Noi vogliamo indebolire la Russia in maniera tale che essa non possa più fare cose come invadere l’Ucraina[13] lanciando allo stesso tempo un chiaro avvertimento alla Cina.

Le elezioni di metà mandato hanno confermato che le fratture sono sempre profonde e esacerbate tra democratici e repubblicani, così come i contrasti all’interno di ciascuno dei due campi[14], e allo stesso tempo il peso del populismo e delle ideologie più retrograde, caratterizzate dal rifiuto di un pensiero razionale e coerente, non sufficientemente contrastate dalle campagne per fare fuori Trump[15], non smette di farsi sentire sempre più profondamente e durevolmente sulla società americana. Queste tensioni in seno alla borghesia americana (che non può essere limitata all’irrazionalità dell’individuo Trump), accentuate dalla nuova maggioranza Repubblicana alla Camera dei rappresentanti e dalla nuova candidatura presidenziale di Trump, ancora sostenuto da più del 30% degli americani (cioè quasi i 2/3 degli elettori repubblicani) per le elezioni del 2024, fanno pesare una certa incertezza sulla politica americana di sostegno massiccio all’Ucraina e non spingono altri paesi a prendere per oro colato le promesse degli Stati Uniti.

Questa imprevedibilità della politica americana è di per sé stessa (in aggiunta alla sua politica di polarizzazione) un fattore di intensificazione del caos in futuro.

2.2. L’indebolimento della Russia acuisce gli appetiti di altri imperialismi e aumenta le tensioni interne

2.2.1. Il fallito intervento in Ucraina, già catastrofico oggi, avrà delle conseguenze ancora più pesanti nei prossimi mesi. L’esercito russo ha mostrato la sua inefficienza e ha perduto una gran parte dei soldati scelti e del suo materiale più moderno. La sua economia subisce dei colpi molto duri, soprattutto nei settori tecnologici di punta a causa dell’assenza di materie prime dovuto alle sanzioni e la fuga di gran parte dei tecnici migliori (un milione di persone sono fuggite all’estero). Nonostante il gigantesco sforzo finanziario (il 50% del bilancio statale è oggi consacrato allo sforzo bellico), il settore dell’industria militare, fondamentale per poter sostenere un impegno bellico di lunga durata, non arriva a sostenere il ritmo ed è significativo che la Russia deve chiedere l’aiuto della Corea del nord (per le munizioni) e dell’Iraq (droni) per colmare le lacune della sua economia di guerra.

Ma è soprattutto a livello dei rapporti imperialisti che Mosca subirà sempre più nettamente i contraccolpi della sua sconfitta. La Russia è isolata e anche paesi “amici” come la Cina o il Kazakistan prendono apertamente un po’ di distanza. Ancora, in Asia Centrale, i diversi paesi, ex membri dell’URSS, si sono opposti a che i loro cittadini residenti in Russia fossero mobilitati per la guerra e si mostrano sempre più critici nei confronti della Russia: il Kazakistan ha accolto 200.000 russi fuggiti per sottrarsi all’ordine di mobilitazione, disapprova espressamente l’invasione russa e fornisce un aiuto materiale all’Ucraina. La Kirghizia e il Tagikistan rimproverano apertamente alla Russia di essere incapace di intercedere nel loro conflitto interno. L’Armenia è furiosa perché la Russia non ha rispettato il patto di assistenza che le legava rispetto alla guerra con l’Azerbaijan. Anche Lukascenko, il tiranno della Bielorussia, cerca disperatamente di evitare di impegnarsi troppo a fianco di Putin. L’indebolimento dell’influenza russa nell’Europa dell’est e in Asia Centrale favorirà l’acuirsi delle tensioni tra le diverse borghesie di queste regioni e solleticherà gli appetiti dei grandi avvoltoi, con la conseguenza di accentuare la loro destabilizzazione. E, per coronare il tutto, la Russia dovrà accettare una Ucraina pesantemente armata dagli Stati Uniti a 500 chilometri da Mosca.

2.2.2. Sul piano interno le tensioni diventano sempre più forti e visibili fra le diverse fazioni interne alla borghesia russa. Possiamo individuare diverse tendenze:

• La frazione per la democrazia, che al momento è fortemente repressa;

• La frazione dietro Putin che a sua volta si divide in 3 frazioni: 1. La frazione dei “duri” capitanati dal leader ceceno Kadirov e la frazione Wagner; 2. Una frazione più ridotta che fa pressione perché Putin metta fine alla guerra in Ucraina; 3. Una frazione dietro Putin che cerca di mettere queste due frazioni l’una contro l’altra al fine di mantenere il suo controllo sullo Stato russo.

Apparentemente queste divisioni attraversano sia l’esercito che i servizi di sicurezza e l’entourage di Putin. Dalla sopravvivenza politica di Putin a quella della Federazione russa e allo statuto di potenza imperialista di questa, le conseguenze derivanti dalla sconfitta in Ucraina sono molto pesanti: man mano che la Russia sprofonda nei suoi problemi c’è il rischio di avere dei regolamenti di conti, se non degli scontri sanguinosi tra le frazioni rivali. Così, dei “signori della guerra”, come Kadirov e Prigojin (fondatore del gruppo Wagner) emergono e si oppongono sempre più apertamente allo stato maggiore, arrivando fino a criticare Putin. Inoltre, una buona parte dei soldati morti proviene più specificamente da certe repubbliche autonome povere, cosa che provoca numerose manifestazioni e sabotaggi in queste regioni, e che potrebbe portare a una frammentazione della Federazione della Russia. Queste contraddizioni lasciano prevedere un periodo di grande instabilità a livello dello Stato più grande del mondo e uno dei più armati, con il rischio di una perdita di controllo e di conseguenze imprevedibili per il mondo intero.

2.3. Lo sfidante cinese nella tormenta

Se qualcuno, sulla base di un approccio empirista, poteva immaginarsi due anni fa che la Cina sarebbe stata la grande vincitrice della crisi Covid, i dati recenti confermano che oggi su tutti i piani essa è al contrario confrontata a una destabilizzazione multipla e alla prospettiva di turbolenze maggiori.

Di fronte alla trappola tesa a “l’alleato” russo in Ucraina e alla flagrante sconfitta subita da questo, la Cina cerca di calmare la situazione con gli Stati Uniti, la cui politica di polarizzazione punta fondamentalmente, dietro alla Russia, alla Cina, come dimostrato dalle continue tensioni a proposito di Taiwan. Ciononostante la strategia della Cina differisce fondamentalmente da quella della Russia. Mentre la sola carta di quest’ultima era la sua potenza militare in quanto ex capo di blocco, la borghesia cinese capisce che lo sviluppo della sua forza è legata a una crescita della potenza economica la cui realizzazione richiede ancora del tempo.

Questo tempo le sarà concesso? Messa sotto pressione dallo sviluppo del caos guerriero e della polarizzazione imperialista, la Cina è confrontata allo stesso tempo a una destabilizzazione sanitaria, economica e sociale, che mette la borghesia cinese in una situazione particolarmente imbarazzante.

2.3.1. La Cina è fortemente destabilizzata su diversi piani:

• L’immensa difficoltà della Cina a gestire la crisi sanitaria, che essa subisce fin dal 2019, ha fortemente paralizzato la sua economia e penalizzato la sua popolazione. La conseguenza è stata di giganteschi e interminabili confinamenti, come ancora nel novembre del 2022, quando non meno di 412 milioni di cinesi erano rinchiusi in condizioni terribili in diverse regioni della Cina, spesso per parecchi mesi.

• L’economia cinese ha subito un forte rallentamento a causa dei confinamenti a ripetizione, dalla bolla immobiliare e dal blocco di diversi itinerari della via della seta a causa dei conflitti armati (Ucraina) o a causa del caos locale (Etiopia).

La crescita del PIL non dovrebbe superare il 3% nel 2022, cioè la crescita più debole dal 1976 (al di fuori dell’anno del Covid 2020). I giovani subiscono particolarmente il deterioramento della situazione, con un tasso di disoccupazione stimato al 20% tra gli studenti universitari alla ricerca di un impiego.

• La diminuzione spettacolare della sua demografia, che è sfociata per la prima volta dopo sessanta anni in un riflusso della popolazione della Cina e che potrebbe ridurre la popolazione a circa 600 milioni nel 2100, porta all’inversione progressiva della piramide delle età e alla perdita di competitività dell’industria cinese a causa dell’aumento del costo del lavoro di una mano d’opera che tende a rarefarsi, come a una pressione del sistema pensionistico, oggi quasi inesistente, e delle infrastrutture sociali e sanitarie per l’invecchiamento della popolazione.

• Più angosciante ancora per la borghesia cinese i problemi economici che, in unione con la crisi sanitaria, hanno casato dei movimenti di contestazione sociali importanti, mentre la politica dello Stato cinese è stata fin dal 1989 di evitare ad ogni costo ogni turbolenza sociale importante. I movimenti di investitori ingannati dalle difficoltà e dai fallimenti dei giganti del settore immobiliare, ma soprattutto le rivolte, gli scioperi, come quello dei 200.000 operai dell’immensa fabbrica taiwanese Foxconn che assembla gli iPhone della Apple, e le manifestazioni generalizzate in numerose città cinesi, come a Shangai al grido di “Xi Jinping dimissioni!” “PCC dimissioni!” hanno causato sudori freddi a Xi e ai suoi partigiani.

2.3.2. Le convulsioni di un modello neo-stalinista superato[16].

Di fronte alle difficoltà economiche e poi sanitarie, la politica di Xi Jinpig era stata, fin dall’inizio del suo mandato, di tornare alle ricette classiche dello stalinismo:

• Sul piano economico, dopo Deng Xiao Ping, la borghesia cinese aveva creato un meccanismo fragile e complesso per mantenere un quadro di partito unico onnipotente in coabitazione con una borghesia privata stimolata direttamente dallo Stato: “Alla fine del 2021, l’era delle riforme e dell’apertura di Deng Xiao Ping è in tutta evidenza rovesciata, e sostituita da una nuova ortodossia economica statalista[17]. Di fatto, la fazione dominante di Xi Jinping aveva riorientato l’economia cinese verso un controllo assoluto da parte dello Stato, sul modello stalinista.

• Sul piano sociale, la politica “zero Covid” aveva permesso a Xi non solo di rafforzare un controllo statale impietoso sulla popolazione, ma anche di imporre questo controllo sulle autorità regionali e locali, che avevano mostrato la loro mancanza di affidabilità e di efficienza all’inizio dell’epidemia. Ancora ultimamente, in autunno, ha inviato unità di polizia dello Stato centrale a Shangai per richiamare all’ordine le autorità locali che avevano allentato le misure di controllo.

Ma come dimostrato dal punto precedente, questa politica delle autorità cinesi le ha mandato dirette contro un muro. Infatti, confrontato a una contestazione sociale esplosiva, il regime si è visto obbligato a tornare indietro in tutta fretta a tutti i livelli e abbandonare in pochi giorni la politica che manteneva da anni contro venti e maree.

•Ha abbandonato bruscamente la politica “zero Covid” senza proporre alcuna alternativa, in mancanza di una immunità acquisita, senza vaccini efficaci  o scorte di medicinali sufficienti, senza una politica di vaccinazioni dei soggetti fragili, senza un sistema ospedaliero capace di assorbire lo choc, cosa che ha causato grossi problemi sanitari: i malati hanno fatto la fila per poter entrare in ospedali sovraffollati; le proiezioni prevedono da qui all’estate più di un milione di morti e decine di milioni di persone pesantemente toccate dalle conseguenze del virus. D’altra parte, decine di migliaia di lavoratori impegnati per organizzare i confinamenti o impiegati in fabbriche che producono test e altro materiale anti-Covid sono stati licenziati, cosa che ha provocato importanti convulsioni sociali.

• Ha parzialmente riconsiderato la sua politica di controllo assoluto dell’economia da parte dello Stato riducendo il controllo sull’accesso al credito nel settore immobiliare e sulle misure anti-monopoliste nel settore tecnologico. Ha promesso anche che le banche e le società di investimento straniere potranno diventare pienamente proprietarie di imprese in Cina. Ma tra le imprese straniere predomina ancora lo scetticismo e il movimento di ritiro dei capitali stranieri dalla Cina resta massiccio, mentre la pressione economica degli Stati Uniti si intensifica, in particolare con i due provvedimenti, “Inflation Reduction Act” e “Chips in USA Act”, che toccano direttamente le esportazioni delle aziende tecnologiche cinesi (come Huawei) verso gli Stati Uniti.

Questa politica altalenante rivela il vicolo cieco di un regime di tipo stalinista, in cui “la grande rigidità delle istituzioni, che non lasciano praticamente alcun posto per il possibile sorgere di forze politiche borghesi di opposizione capaci di giocare un ruolo di tampone[18]. Se il capitalismo di Stato cinese ha saputo approfittare delle opportunità contenute nel suo cambiamento di blocco negli anni ’70, nonché di quelle conseguenti all’implosione del blocco sovietico e alla mondializzazione dell’economia spinta dagli Stati Uniti e dalle principali potenze del blocco occidentale, le debolezze congenite della sua struttura statale di tipo stalinista costituiscono oggi un handicap importante di fronte ai problemi economici, sanitari e sociali. Gli scossoni disperati del regime rivelano il fallimento della politica di Xi Jinping, rieletto per un terzo mandato dopo le trattative dietro le quinte tra le frazioni esistenti in seno al PCC, e prefiguranti conflitti tra queste frazioni in un apparato di Stato la cui incapacità di superare la rigidità politica rivela la pesante eredità del maoismo stalinista[19].

2.3.3. Una politica imperialista sotto pressione

Di fronte all’offensiva economico-militare degli Stati Uniti, da Taiwan all’Ucraina, la borghesia cinese sembra aver capito la lezione e orienta per il momento la sua politica verso una strategia tesa ad evitare le provocazioni, militari e non:

• la diplomazia nazionalista aggressiva dei “lupi guerrieri” lanciata a partire dal 2017 da Xi, viene abbandonata e il portavoce del ministero degli Affari Esteri che la personificava, Zhao Lijian, è stato retrocesso;

• la Cina cerca di contrastare la strategia che mira ad isolarla cercando nuovi partenariati in giro per il mondo: Xi ha incontrato in 3 mesi 25 capi di Stato stranieri allo scopo di rilanciare la sua economia e intrecciare legami diplomatici (per esempio con il Brasile, la Germania, la Francia, e più in generale in Europa);

• essa accentua il suo impegno sulla scena internazionale, come illustrato dal suo atteggiamento conciliante all’ultimo G20 in Indonesia, la sua forte implicazione durante la conferenza sui cambiamenti climatici di Montreal e soprattutto il suo ruolo di mediatore nello scontro fra l’Arabia Saudita e l’Iran e anche nel conflitto in Ucraina.

Tuttavia l’aggressività economica ma anche militare degli Stati Uniti si intensifica attraverso un armamento massiccio di Taiwan ma ugualmente con un aumento della pressione su qualche “partner” della Cina come l’Iran o il Pakistan. Con la crescita in potenza del militarismo giapponese come con le ambizioni sempre più esplicite dell’India, questa pressione imperialista accentuata in Medio Oriente e nella zona del Pacifico può provocare degli incidenti imprevisti. D’altra parte il turbinio degli sconvolgimenti e la destabilizzazione che colpisce la borghesia cinese produce anche una forte pressione sulla sua politica imperialista e induce un alto grado di imprevedibilità di questa. E deve essere chiaro che una destabilizzazione del capitalismo cinese avrebbe conseguenze imprevedibili per il capitalismo mondiale.

2.4. L’imperialismo tedesco confrontato a una destabilizzazione crescente

Anche la Germania è confrontata a una serie di segnali non ambigui: il suo statuto di nano militare l’ha obbligata a rientrare nei ranghi come membro della NATO; il blocco imposto agli europei dagli Stati Uniti riguardo al petrolio e al gas russo le crea grandi difficoltà economiche, tanto più che i citati provvedimenti americani (Inflation Reduction Act e Chips in USA Act) costituiscono anche un attacco diretto alle importazioni europee e quindi in particolare tedesche.

2.4.1. Al momento dell’implosione del blocco sovietico, la CCI metteva in evidenza che in un futuro prossimo “non esiste alcun paese in grado, in tempi relativamente brevi, di opporre a quello degli USA un potenziale militare che gli permetta di pretendere il posto guida di un blocco che possa rivaleggiare con quello diretto da questa potenza[20]. Il solo paese imperialista potenzialmente adatto a diventare il nucleo centrale di un blocco antagonista agli Stati Uniti era, nella nostra analisi di allora, la Germania: “Quanto alla Germania, il solo paese che potrebbe eventualmente tener un ruolo che le è appartenuto già per il passato, la sua potenza militare attuale (non dispone neanche dell'arma atomica, il che è tutto dire) non le permette di pensare di rivaleggiare con gli Stati Uniti su questo terreno per molto tempo. E ciò tanto più che man mano che il capitalismo s'affossa nella sua decadenza, è sempre più indispensabile per il capo del blocco disporre di una superiorità militare massiccia sui suoi vassalli per poter mantenere il suo rango[21].

Di fatto, la Germania si trovava in quel momento in una situazione particolarmente complessa: essa era confrontata alla gigantesca sfida economica, politica e sociale dell’integrazione della ex Repubblica Democratica Tedesca nel suo tessuto industriale, mentre truppe straniere (americane, ma anche di alti paesi della NATO) stazionavano sul suo territorio. Questo gigantesco sforzo finanziario per “unificare” il paese diviso aveva reso impossibile il necessario investimento per rimettere a nuovo le sue forze militari, essendo sia la divisione del paese che lo smantellamento della sua forza militare conseguenza della sua sconfitta nel 1945[22]. In questo contesto la borghesia tedesca ha sviluppato da vent’anni una politica di espansione economica e imperialista risolutamente rivolta verso l’est, trasformando numerosi paesi dell’Est in succursali per la sua industria e garantendosi allo stesso tempo un approvvigionamento energetico stabile e a buon mercato attraverso accordi con la Russia, cosa che le ha permesso di godere pienamente della mondializzazione dell’economia.

2.4.2. L’illusoria speranza di poter sviluppare la sua potenza imperialista senza uno sviluppo del militarismo e la costruzione di una forza militare conseguente è volata in pezzi con lo scoppio della guerra in Ucraina. La borghesia tedesca ha comunque fatto di tutto per mantenere il partenariato con la Russia nonostante il conflitto 

• Ha creato delle società schermo per continuare il progetto comune con la Russia della costruzione dei gasdotti sotto il Mar Baltico (North Stream 1 e 2) nonostante le minacce di sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti;

• Ha sviluppato (come pure la Francia) una diplomazia intensiva verso Putin per cercare di evitare o contenere il conflitto;

• Ha considerato la possibilità di ratificare l’operazione russa contro la Russia nella prospettiva di una rapida vittoria che non avrebbe avuto di conseguenza un impatto sulle relazioni economiche (come dichiarato da Boris Johnson alla CNN).

La guerra intensiva, finanziata e mantenuta grazie alla massiccia fornitura di armi da parte degli Stati Uniti fa subire a Berlino una pressione particolarmente intollerabile, ma che si situa nel prolungamento dell’ostilità già netta dell’amministrazione Trump verso la politica autonoma dell’imperialismo tedesco, mettendo in evidenza la sua posizione di “nano” militare e ponendo sotto controllo le sue fonti di approvvigionamento di energia.

2.4.3. Di fronte a questi problemi la borghesia tedesca, messa alle strette, prende iniziative in tutte le direzioni per rafforzare la sua posizione militare, cercare nuovi partenariati economici e mantenere la sua presenza imperialista in Europa dell’est:

• Di fronte all’amara constatazione che in periodo di decomposizione è illusorio affermare delle ambizioni imperialiste senza accompagnarle da una potenza militare conseguente, la Germania ha raddoppiato le sue spese militari (ci vorranno otto anni per portare al livello richiesto l’esercito tedesco), e ha preso delle misure energetiche ed economiche draconiane per garantire il suo tessuto industriale;

• Ha iniziato una ricerca di nuove alleanze strategiche, in particolare con la Cina, come illustrato dalla visita a sorpresa solitaria del cancelliere Scholz a Xi il 4 novembre 2022, che si è concluso con l’acquisto del 25% delle azioni del porto di Amburgo da parte di Pechino: “Questa visita a Pechino del cancelliere tedesco offre uno spettacolo tanto più strano dal momento che nell’ottobre scorso, durante il loto ultimo summit, i Ventisette avevano discusso per tre ore sulla condotta da tenere rispetto a Pechino. Il tono europeo si era fatto decisamente duro e i paesi baltici […] avevano esortato l’Unione Europea a far prova della più grande prudenza rispetto alla Cina[23];

• Ha annunciato di essere disposta a finanziare un gigantesco piano Marshall per la ricostruzione dell’Ucraina.

2.4.4. Queste reazioni della borghesia tedesca di fronte all’offensiva americana acuiscono non solo le tensioni e il ciascuno per sé verso gli Stati Uniti, ma nella stessa Europa. Così la decisione tedesca di comprare dei caccia… dagli Stati Uniti e di mettere in piedi uno scudo antimissile utilizzando la tecnologia tedesca e… israeliana congelando i programmi di armamenti sofisticati (aerei e carri armati) concordati con la Francia hanno provocato dei dissensi importanti tra la Francia e la Germania, la spina dorsale della UE.

L’imperialismo francese ha deciso di rimandare un incontro franco-tedesco e ha rifiutato di costruire un gasdotto di collegamento tra la Spagna e la Germania per trasportare il gas proveniente dall’Africa. L’ultimo colloquio comune franco-tedesco di gennaio 2023 non ha cambiato la situazione, nonostante le dichiarazioni ufficiali: “Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno abbondato in simboli, domenica a Parigi, per i 60 anni del trattato dell’Eliseo, ma non hanno formulato nessuna proposta forte sul sostegno all’Ucraina, sulla Difesa europea o la crisi energetica[24]. Tuttavia la Germania non ha interesse a staccarsi troppo dalla Francia, che rappresenta la prima potenza militare d’Europa e costituisce un tassello centrale per mantenere una UE unita intorno alla Germania.

Il ciascuno per sé del governo tedesco a proposito delle misure economiche, le relazioni con la Cina o il futuro dell’Ucraina accrescono le tensioni con altri paesi della UE, in particolare con certi paesi dell’Europa dell’Est, come la Polonia o i Paesi Baltici, che appoggiano fortemente la politica americana.

Questa politica di Scholz suscita anche delle divisioni in seno alla borghesia tedesca (una parte dei Verdi al governo era contraria al viaggio di Scholz in Cina, per esempio) e contrariamente alla SPD, gli altri partiti al governo (FDP e Verdi) sono piuttosto a favore della politica americana rispetto alla Russia. Queste divergenze in seno alla borghesia tedesca rischiano di approfondirsi con l’aggravamento della crisi economica, con la pressione esercitata sull’economia tedesca e la posizione imperialista del paese, cosa che annuncia un’instabilità politica crescente, con il pericolo di un impatto più forte dei movimenti populisti[25] in conseguenza della degradazione della situazione sociale.

Conclusione

L’esplosione del militarismo è l’illustrazione maggiore dell’approfondimento qualitativo del periodo di decomposizione e allo stesso tempo annunciatrice di una ineluttabile accentuazione del caos e del ciascuno per sé.

• L’esplosione dei budget militari: oltre agli Stati Uniti, che continuano ad accrescere il loro budget militare che costituisce già l’8,3% del bilancio statale, la crescita delle spese militari si è manifestata già prima della guerra in Ucraina soprattutto in Asia a livello della Cina (5%del budget statale), dell’India (che è il terzo paese in termini di spese militari dopo i due “grandi”), del Pakistan e della Corea del Sud. Successivamente, come conseguenza diretta dell’invasione dell’Ucraina, la crescita è stata fenomenale, prima per quanto riguarda le potenze maggiori come il Giappone che impegnerà 330 miliardi di dollari nelle forze armate in cinque anni (il più grosso sforzo dal 1945), e soprattutto nell’Europa occidentale con la Germania che aumenta anch’essa il suo budget militare di 107 miliardi di euro, ma anche della Francia e della Gran Bretagna. Anche imperialismi più modesti, come la Turchia (che è già il secondo esercito della NATO) o l’Arabia Saudita e in Europa un paese come la Polonia (che ha l’ambizione di dotarsi dell’esercito più potente in Europa), si armano fino ai denti.

• L’estensione del militarismo nello spazio e nel rilancio del nucleare: la corsa agli armamenti coinvolge sempre più chiaramente la conquista dell’orbita terrestre e dello spazio; anche qui gli Stati Uniti, ma anche la Cina, danno l’esempio e le ultime espressioni di cooperazione tendono a sparire. Infine, “Tutti gli Stati dotati di armi nucleari aumentano o modernizzano i loro arsenali e la maggior parte di essi rinforza la retorica nucleare e il ruolo che giocano queste armi nella loro strategia militare. E’ una tendenza molto inquietante”[26].

• Il rafforzamento della messa in atto dell’economia di guerra: la guerra in Ucraina pone chiaramente ai “think tanks” della borghesia il problema del riorientamento degli investimenti finanziari, e soprattutto dell’adesione delle popolazioni: “Ecco perché la capacità di equipaggiare l'Ucraina con armi sufficienti per vincere la guerra è una preoccupazione crescente, si tratta in qualche maniera di passare a un’economia di guerra in tempo di pace, […] E i dirigenti occidentali dovranno parlare francamente alle loro popolazioni sui costi futuri della difesa e della sicurezza, è uno sforzo di tutta la nazione, in tutte le nazioni, perché non è solo il ministro della difesa che chiede più materiale all’industria. Si tratta di avere una discussione sulla maniera in cui noi possiamo aumentare la produzione. Gli anelli deboli della catena di produzione degli armamenti non riguardano più solo le debolezze delle spese pubbliche, ma anche gli atteggiamenti sociali e le reticenze delle istituzioni finanziarie a investire nelle fabbriche di armamenti”[27].

La CCI ha sottolineato che “L’aggregazione e l’interazione dei fenomeni distruttivi sbocca in un “effetto vortice” che concentra, catalizza e moltiplica ognuno degli effetti parziali, provocando dei danni ancora più disastrosi”[28]. In questo quadro, se la crisi economica è, in ultima istanza, la causa di fondo della tendenza alla guerra, questa provoca a sua volta un peggioramento della crisi economica. In effetti, lungi dal costituire uno stimolo per l’economia, la guerra, e il militarismo, costituiscono un aggravamento della crisi. Questa esplosione delle spese come conseguenza del conflitto in Ucraina aumenterà i debiti degli Stati, che, anche loro, costituiscono un altro peso sull’economia. Esse produrranno un’accelerazione della crescita dell’inflazione che è un’altra minaccia per la crescita economica, che per essere combattuta richiede una contrazione del credito che non può che condurre a una recessione aperta, e quindi ancora ad un aggravamento della crisi economica. Infine, la guerra in Ucraina ha provocato un aumento enorme dei costi dell’energia, che pesa sull’insieme della produzione industriale, nonché una penuria di prodotti agricoli e un rallentamento del commercio mondiale.

In breve, «Gli anni 20 del 21° secolo avranno, dunque, in questo contesto, un’importanza considerevole sull’evoluzione storica”[29]. Nel senso che l’alternativa “socialismo o barbarie” enunciata dall’Internazionale Comunista nel 2019, si concretizza sempre più come “socialismo o distruzione dell’umanità”.

CCI, aprile 2023

 

[1] La TCI utilizza a volte la nozione di decadenza, ma senza spiegare e precisarne le implicazioni, o, ancora, rinuncia a riconsiderare la nozione del disfattismo rivoluzionario in relazione alle caratteristiche del contesto attuale. Vedere in proposito la nostra critica dei comitati No War But the Class War (Non Guerra Ma Guerra di Classe: "Sulla storia dei gruppi NWBCW”, Rivoluzione internazionale n. 189 e “Un-comitato-che-trascina-i-partecipanti-un-vicolo-cieco” su CCI on line.

[2] Revue internationale n.167.

[5] Citato nel testo riportato in nota 4

[6] "Rapport à la Conférence de juillet 1945 de la Gauche Communiste de France".

[7] Vedi il Rapporto sulla lotta di classe del 25° Congresso della CCI, https://fr.internationalism.org/content/11035/rapport-lutte-classe-25e-congres-du-cci

[9] Vedi i piani per la sua ricostruzione

[10] Vedi le recenti elezioni in Brasile

[11] Vedi il complotto dei "Reichsburger" che ha visto coinvolte parti non trascurabili dei servizi di sicurezza.

[12] Vedi il riavvicinamento alla Russia

[13] Dichiarazione del Segretario di Stato alla Difesa, Lloyd Austin, al momento della sua visita a Kiev del 25 febbraio. La frazione Biden voleva così far pagare alla Russia la sua ingerenza negli affari interni americani, per esempio i suoi tentativi di manipolare le ultime elezioni presidenziali.

[14] Vedi le difficoltà incontrate nell’elezione dello “speaker" Repubblicano alla camera dei rappresentanti.

[15] Vedi le minacce dei vari processi

[16]La caratteristica più evidente, la più generalmente conosciuta dei paesi dell’est, quella su cui d’altra parte riposa il mito della loro natura “socialista”, sta nel grado estremo di statizzazione della loro economia (...). Il capitalismo di Stato non è un fenomeno proprio solo di questi paesi (…) Se la tendenza al capitalismo di Stato è dunque un dato storico universale essa non tocca tuttavia in maniera identica ogni paese […]. Nei paesi avanzati, dove esiste una vecchia borghesia industriale e finanziaria, questa tendenza si manifesta in generale attraverso un’intersecazione dei settori “privati” e dei settori statali. […] Questa tendenza al capitalismo di Stato “prende le sue forme più estreme dove il capitalismo conosce le contraddizioni più brutali, dove la borghesia classica è più debole. In questo senso, la presa in carico diretta da parte dello Stato dell’essenziale dei mezzi di produzione che caratterizza il blocco dell’Est (e in larga misura del “terzo mondo”) è in primo luogo una manifestazione dell’arretratezza e della fragilità della sua economia.” Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org), Rivista Internazionale n. 13

[17] Affari Esteri, citato in Courrier International n.1674.

[19] “… un capitale nazionale sviluppato, detenuto in maniera “privata” dai differenti settori della borghesia, trova nella “democrazia” parlamentare il suo apparato politico più appropriato; alla statalizzazione quasi completa dei mezzi di produzione corrisponde il potere totalitario di un partito unico” (ibidem)

[20] Testo di orientamento “Militarismo e Decomposizione” (1990), Militarismo e decomposizione | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org)

[21] Idem

[22] L’importante riduzione delle spese improduttive durante gli anni ’50 e ’60 è però alla base dell’impressionante sviluppo dell’economia tedesca.

[23] "Olaf Scholz da solo a Pechino", Asialyst (5 novembre 2022)

[24] "Tra la Francia e la Germania, un riavvicinamento ingannevole", Le Monde (23 gennaio 2023).

[25] Vedi il complotto dei "Reichsburger”

[26] Wilfred Wan, Direttore del programma Armi di distruzione di massa del SIPRI, Rapporto del SIPRI (5 dicembre 2022).

[27] Ammiraglio R. Bauer, capo del comitato militare della NATO in Defense One

[29] Ibidem

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25° Congresso Internazionale della CCI