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130 anni fa, mentre si intensificavano le tensioni tra le potenze capitalistiche in Europa, Friedrich Engels pose il dilemma dell’umanità: comunismo o barbarie. Questa alternativa prese forma con la Prima Guerra Mondiale, che scoppiò nel 1914 e causò 20 milioni di morti, 20 milioni di invalidi e, nel caos della guerra, la pandemia di influenza spagnola che uccise oltre 50 milioni di persone.
La rivoluzione in Russia nel 1917 e i tentativi rivoluzionari in diversi paesi misero fine alla carneficina e mostrarono l’altra faccia del dilemma storico posto da Engels: il rovesciamento del capitalismo a livello mondiale da parte della classe rivoluzionaria, il proletariato, che apriva la possibilità di una società comunista.
Tuttavia, in seguito si è avuto:
- il crollo del tentativo rivoluzionario mondiale, la brutale controrivoluzione in Russia perpetrata dallo stalinismo sotto la bandiera del “comunismo”;
- il massacro del proletariato in Germania[1] - iniziato dalla socialdemocrazia e completato dal nazismo;
- l’arruolamento del proletariato in Unione Sovietica, il massacro del proletariato in quel paese;
- l’arruolamento dei proletari sotto le bandiere dell’antifascismo e della difesa della Patria “socialista” che portò negli anni 1939-45 a una nuova esplosione di barbarie, la Seconda Guerra Mondiale con 60 milioni di morti e una successione infinita di sofferenze: i campi di concentramento nazisti e stalinisti; i bombardamenti alleati di Dresda, Amburgo e Tokyo (gennaio 1945), le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki da parte degli Stati Uniti.
Da allora, la guerra ha continuato a mietere vittime in tutti i continenti.
Prima c’è stato il confronto tra il blocco americano e quello russo, la “Guerra fredda” (1945-89), con una catena infinita di guerre localizzate e la minaccia di un diluvio di bombe nucleari su tutto il pianeta.
Dopo il crollo dell’URSS nel 1989-91, guerre caotiche hanno insanguinato il pianeta: Iraq, Jugoslavia, Ruanda, Afghanistan, Yemen, Siria, Etiopia, Sudan... La guerra in Ucraina è la più grave crisi bellica dal 1945.
La barbarie della guerra si accompagna alla prolificazione e all’interazione di forze distruttive che si rafforzano a vicenda: la pandemia COVID, che è ancora lontana dall’essere sconfitta e annuncia la minaccia di nuove pandemie; il disastro ecologico e ambientale che si accelera e si amplifica, unito agli sconvolgimenti climatici, provocando disastri sempre più incontrollabili e mortali: siccità, inondazioni, uragani, tsunami. ..., un grado di inquinamento senza precedenti della terra, dell’acqua, dell’aria e dello spazio; la grave crisi alimentare che sta causando carestie di proporzioni bibliche. Quarant’anni fa l’umanità rischiava di perire in una Terza Guerra Mondiale, oggi può essere annientata da questa semplice aggregazione e combinazione mortale delle forze di distruzione attualmente all’opera: “Essere brutalmente annientati da una pioggia di bombe termonucleari in una guerra generalizzata o dall’inquinamento, dalla radioattività delle centrali nucleari, dalle carestie, dalle epidemie e dai massacri dei molteplici conflitti bellici (in cui potrebbero essere utilizzate anche le armi atomiche), tutto ciò equivale, alla fine, alla stessa cosa. L’unica differenza tra queste due forme di annientamento è che la prima è più veloce, mentre la seconda è più lenta e causerebbe ancora più sofferenza”[2]. Il dilemma posto da Engels assume una forma molto più pressante: COMUNISMO o DISTRUZIONE DELL’UMANITÀ. Il momento è grave ed è necessario che i rivoluzionari internazionalisti lo dicano in modo inequivocabile alla nostra classe, perché solo essa, attraverso una lotta permanente e incessante, può aprire la prospettiva comunista.
I cosiddetti “mass media” falsificano e sottovalutano la realtà della guerra. All’inizio, ventiquattro ore al giorno, si parlava solo della guerra in Ucraina. Ma con il passare del tempo, la guerra è stata banalizzata, non ha merito più i titoloni di prima pagina, i suoi echi non vanno oltre qualche dichiarazione minacciosa, gli appelli ai sacrifici per “inviare armi all’Ucraina”, le campagne di propaganda martellate contro i rivali, le fake news, il tutto condito da vane illusioni di “negoziati” ....
Banalizzare la guerra, abituarsi al suo odore ripugnante di cadaveri e rovine fumanti, è il peggior tipo di perfidia, significa nascondere il grave pericolo che essa rappresenta per l'umanità, significa essere ciechi di fronte a tutte le minacce che incombono permanentemente sulle nostre teste.
Milioni di persone in Africa, Asia e America Centrale non conoscono altra realtà che la GUERRA; dalla nascita alla morte, vivono in un mare di barbarie dove proliferano atrocità di ogni tipo: bambini soldato, operazioni punitive, presa di ostaggi, attacchi terroristici, sfollamenti massicci di intere popolazioni, bombardamenti indiscriminati...
Mentre le guerre del passato erano limitate alle prime linee e ai combattenti, le guerre del XX e del XXI secolo sono GUERRE TOTALI che abbracciano tutte le sfere della vita sociale e i cui effetti si estendono al mondo intero, colpendo tutti i Paesi, compresi quelli che non sono direttamente belligeranti. Nelle guerre del XX e XXI secolo, nessun abitante o luogo del pianeta può sfuggire ai loro effetti mortali.
Sulle linee del fronte, che possono estendersi per migliaia di chilometri, a terra, in mare, in aria e nello spazio, le vite vengono stroncate da bombe, spari, mine e in molti casi anche dal “fuoco amico” ... Colti da una follia omicida, costretti dal terrore imposto dai loro superiori o intrappolati in situazioni estreme, tutti i partecipanti sono costretti alle peggiori azioni suicide, criminali e distruttive.
Su una parte del fronte militare, c’è la “guerra a distanza”, con il dispiegamento incessante di modernissime macchine di distruzione: aerei che sganciano migliaia di bombe senza interruzione; droni telecomandati verso tutti i “bersagli” del nemico; artiglierie mobili o fisse che martellano senza sosta l’avversario; missili che coprono centinaia o migliaia di chilometri...
Anche le cosiddette “retrovie” di questo fronte stanno diventando un teatro di guerra permanente in cui le popolazioni sono prese in ostaggio. Chiunque può morire nel bombardamento periodico di intere città... Nei centri di produzione si lavora con le armi alle spalle, rigidamente inquadrati dalla polizia, dai partiti politici, dai sindacati e da tutte le altre istituzioni messe al servizio della “difesa della Patria”, mentre allo stesso tempo si corre il rischio di essere sventrati dalle bombe del nemico. Il lavoro diventa un inferno ancora più grande di quello quotidiano dello sfruttamento capitalistico.
Il cibo drammaticamente razionato è una zuppa immonda e puzzolente... Non c'è acqua, né elettricità, né riscaldamento... Milioni di esseri umani vedono la loro esistenza ridotta alla sopravvivenza come bestie. I proiettili cadono dal cielo, uccidendo migliaia di persone o causando loro orribili agonie; a terra, incessanti controlli di polizia e militari, il pericolo di essere arrestati da scagnozzi armati, mercenari dello Stato qualificati come “difensori della patria” ... Bisogna continuamente correre a rifugiarsi in cantine sporche e infestate dai topi... Il rispetto, la solidarietà più elementare, la fiducia, il pensiero razionale... sono spazzati via dall’atmosfera di terrore imposta non solo dal governo, ma anche dall’Unione Nazionale a cui i partiti e i sindacati partecipano con zelo spietato. Le voci più assurde, le notizie più inverosimili, circolano senza sosta, provocando un’atmosfera isterica di denuncia, cieco sospetto, tensione brutale e pogrom.
La guerra è una barbarie voluta e pianificata dai governi, che la aggravano propagando coscientemente odio e terrore verso “l’altro”, fratture e divisioni tra gli esseri umani, la morte per amore della morte, l’istituzionalizzazione della tortura, la sottomissione, i rapporti di potere, come unica logica possibile di evoluzione sociale. I violenti scontri intorno alla centrale nucleare di Zaporižžja in Ucraina, dimostrano che entrambe le parti non si fanno scrupoli a rischiare un disastro radioattivo ben peggiore di Chernobyl e con conseguenze drammatiche per la popolazione europea. La minaccia dell’uso di armi nucleari incombe minacciosa.
Il capitalismo è il sistema più ipocrita e cinico della storia. Tutta la sua “arte” ideologica consiste nel far passare i propri interessi come “interessi del popolo”, adornati dai più nobili ideali: giustizia, pace, progresso, diritti umani...!
Tutti gli Stati costruiscono una IDEOLOGIA DI GUERRA destinata a giustificarla e a trasformare i loro “cittadini” in iene pronte a uccidere. “La guerra è un gigantesco, metodico e organizzato omicidio. Negli esseri umani, l’uccisione sistematica è possibile solo se prima si è raggiunto un certo grado di intossicazione. Questo è sempre stato il metodo collaudato di coloro che fanno la guerra. La bestialità dell’azione deve trovare una commisurata bestialità del pensiero e dei sensi; quest’ultima deve preparare e accompagnare la prima”, (Rosa Luxemburg, Junius Brochures)
Le grandi democrazie fanno della PACE un pilastro della loro ideologia bellica. Le manifestazioni “per la pace” hanno sempre preparato le guerre imperialiste. Nell’estate del 1914 e nel 1938-1939, milioni di persone hanno manifestato “per la pace” con impotenti grida di protesta da parte di “uomini di buona volontà”, sfruttatori e sfruttati che si tenevano per mano, che il campo “democratico” ha continuato ad usare per giustificare l’accelerazione dei preparativi di guerra.
Nella Prima guerra mondiale, la Germania aveva mobilitato le sue truppe per “difendere la pace”, “spezzata dall’attacco di Sarajevo all’alleato austriaco”. Ma dall’altra parte, Francia e Gran Bretagna si dettero al massacro in nome della pace “rotta dalla Germania”. Nella Seconda Guerra Mondiale, Francia e Gran Bretagna finsero uno sforzo di “pace” a Monaco di fronte alle pretese di Hitler, mentre si preparavano freneticamente alla guerra, e l’invasione della Polonia da parte dell’azione combinata di Hitler e Stalin diede loro la scusa perfetta per entrare in guerra... In Ucraina, Putin ha dichiarato fino a poche ore prima dell’invasione del 24 febbraio di volere la “pace”, mentre gli Stati Uniti hanno denunciato senza sosta il bellicismo di Putin....
La nazione, la difesa nazionale e tutte le armi ideologiche che vi ruotano attorno (razzismo, religione, ecc.) sono l’arpione per mobilitare il proletariato e l’intera popolazione nel massacro imperialista. La borghesia proclama in tempi di “pace” la “coesistenza dei popoli”, ma tutto svanisce con la guerra imperialista. Allora le maschere cadono e tutti diffondono l’odio per lo straniero e la difesa accanita della nazione!
Tutti presentano la propria guerra come “difensiva”. Cento anni fa i ministeri incaricati della barbarie bellicista si chiamavano “ministero di guerra”, oggi, con la peggiore ipocrisia, li chiamano “ministero della difesa”. La difesa è la foglia di fico della guerra. Non esistono nazioni aggredite e nazioni che aggrediscono, tutte partecipano attivamente all’ingranaggio mortale della guerra. Nella guerra attuale, la Russia sembra essere “l’aggressore” perché ha preso l’'iniziativa di invadere l’Ucraina, ma prima gli Stati Uniti hanno machiavellicamente ampliato la NATO incorporandovi diversi Paesi dell’ex “Patto di Varsavia”. Non è possibile considerare ogni anello in modo isolato, è necessario esaminare la sanguinosa catena di scontri imperialisti che ha attanagliato l’intera umanità per oltre un secolo.
Tutti parlano di una “guerra pulita”, che seguirebbe (o dovrebbe seguire) “regole umanitarie”, “in conformità con il diritto internazionale”. E’ un vile inganno, farcito di cinismo e ipocrisia senza limiti! Le guerre del capitalismo decadente non possono obbedire a nessun’altra regola se non quella della distruzione assoluta del nemico, che implica terrorizzare le popolazioni del campo avversario con bombardamenti spietati... In guerra si stabilisce un rapporto di forza in cui TUTTO è permesso, dallo stupro alle punizioni più brutali della popolazione rivale fino al terrore cieco esercitato sui loro stessi “cittadini”. Il bombardamento dell’Ucraina da parte della Russia segue le orme dei bombardamenti USA in Iraq, dei governi statunitensi e russi in Afghanistan e in Siria e, prima ancora, in Vietnam; dei bombardamenti della Francia sulle sue ex colonie, come il Madagascar e l’Algeria; dei bombardamenti di Dresda e Amburgo da parte degli “alleati democratici”; della barbarie nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Le guerre del 20° e 21° secolo sono state accompagnate da metodi di sterminio di massa impiegati da tutte le parti, anche se il campo democratico spesso si preoccupa di addossarli a personaggi specifici che ne assumono l’impopolarità.
Osano parlare di “guerre giuste”! La parte della NATO che sostiene l’Ucraina afferma che si tratta di una battaglia per la democrazia contro il dispotismo e il regime dittatoriale di Putin. Putin dice che vuole “denazificare” l’Ucraina. Entrambe sono palesi falsità. Il campo delle “democrazie” ha altrettanto sangue sulle mani: il sangue delle innumerevoli guerre che hanno provocato direttamente (Vietnam, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan) o indirettamente (Libia, Siria, Yemen...); il sangue delle migliaia di migranti uccisi in mare e alle “frontiere calde” degli Stati Uniti e in Europa, nelle acque del Mediterraneo... Lo Stato ucraino usa il terrore per imporre la lingua e la cultura ucraina; uccide i lavoratori per il solo crimine di parlare russo; arruola con la forza qualsiasi giovane sorpreso per strada e vicoli; usa la popolazione, persino negli ospedali, come scudi umani; dispiega bande neofasciste per terrorizzare la popolazione... Da parte sua, Putin, oltre ai bombardamenti, agli stupri e alle esecuzioni sommarie, sposta migliaia di famiglie in campi di concentramento in zone remote; impone il terrore nei territori “liberati” e arruola gli ucraini nell’esercito mandandoli al macello in prima linea al fronte.
Diecimila anni fa, uno dei mezzi di distruzione del comunismo primitivo fu la guerra tribale. Da allora, sotto l’egida dei modi di produzione basati sullo sfruttamento, la guerra è uno dei peggiori flagelli. Ma alcune guerre hanno potuto giocare un ruolo progressivo nella storia, per esempio nello sviluppo del capitalismo, formando nuove nazioni, espandendo il mercato mondiale, stimolando lo sviluppo delle forze produttive.
Dalla prima guerra mondiale, tuttavia, il mondo è totalmente diviso tra le potenze capitalistiche, cosicché l’unica via d’uscita per ogni capitale nazionale è quella di strappare ai propri rivali mercati, sfere d’influenza, zone strategiche. Questo fa della guerra e di tutto ciò che ne consegue (militarismo, accumulo gigantesco di armamenti, alleanze diplomatiche...) il MODO DI VITA PERMANENTE del capitalismo. Una costante tensione imperialista attanaglia il mondo e trascina tutte le nazioni, grandi o piccole che siano, indipendentemente dalla loro maschera e alibi ideologico, dall’orientamento dei partiti al potere, dalla loro composizione razziale o dal loro patrimonio culturale e religioso. TUTTE LE NAZIONI SONO IMPERIALISTE. Il mito delle nazioni “pacifiche e neutrali” è una pura mistificazione. Se alcune nazioni adottano una politica “neutrale”, è per cercare di approfittare della contrapposizione tra le parti più risolutamente avversarie, per ritagliarsi un’area di influenza imperialista. Nel giugno 2022, la Svezia, un paese ufficialmente “neutrale” da oltre 70 anni, è entrata a far parte della NATO, ma non ha “tradito alcun ideale” per farlo, si è limitata a perseguire la propria politica imperialista “con altri mezzi”.
La guerra può essere un affare per le aziende coinvolte nella produzione di armamenti, o può anche favorire un determinato paese per un certo periodo, ma per il capitalismo nel suo complesso è una catastrofe economica, uno spreco irrazionale, un segno MENO che inevitabilmente pesa sulla produzione mondiale e provoca debito, inflazione e distruzione ecologica. Non è mai un PIU’ che consentirebbe di accrescere l’accumulazione capitalistica.
Necessità ineludibile per la sopravvivenza di ogni nazione, la guerra è un peso economico mortale. L’URSS è crollata perché non ha retto alla folle corsa agli armamenti che comportava il confronto con gli Stati Uniti, che questi hanno spinto al massimo con il famoso dispiegamento della politica “Star wars” negli anni '80. Gli Stati Uniti, che sono stati i grandi vincitori della Seconda Guerra mondiale e hanno vissuto uno spettacolare boom economico fino alla fine degli anni ‘60, hanno incontrato poi molti ostacoli nel mantenere la loro egemonia imperialista. Ciò soprattutto dopo la dissoluzione della politica dei blocchi, che ha favorito l’emergere di una dinamica di risveglio di nuovi appetiti imperialisti - in particolare tra i loro ex “alleati” - di contestazione e di “ciascuno per sé”. Questo ha richiesto alla potenza statunitense un gigantesco sforzo bellico per più di 80 anni e costose operazioni militari che necessariamente ha dovuto intraprendere per mantenere il suo status di prima potenza mondiale.
Il capitalismo porta nei suoi geni, nel suo DNA, la competizione più esacerbata, il TUTTI CONTRO TUTTI e il CIASCUNO PER SE, per ogni capitalista, come per ogni nazione. Questa tendenza “organica” del capitalismo non è apparsa chiaramente nel suo periodo ascendente, perché ogni capitale nazionale disponeva ancora di aree sufficienti per la sua espansione senza dover entrare in conflitto con i rivali. Tra il 1914 e il 1989, il problema è stato attenuato dalla formazione di grandi blocchi imperialisti. Con la brusca fine di questa disciplina di blocco, le tendenze centrifughe configurano a un mondo di disordine mortale, in cui sia gli imperialismi con ambizioni di egemonia globale, sia gli imperialismi con pretese regionali o gli imperialismi più locali cercando, tutti, di soddisfare i propri appetiti e interessi. In questo scenario, gli Stati Uniti cercano di impedire a chiunque di metterli in ombra, dispiegando senza sosta il loro strapotere militare, cercando sempre di rafforzarlo e lanciando costantemente operazioni militari altamente destabilizzanti. La promessa del 1990, dopo la fine dell’URSS, di un “nuovo ordine mondiale di pace e prosperità” è stata immediatamente smentita dalla Guerra del Golfo e poi dalle guerre in Medio Oriente, in Iraq e in Afghanistan, che hanno alimentato le tendenze guerrafondaie in modo tale che “l’imperialismo più democratico del mondo”, gli Stati Uniti, è ora il principale agente di diffusione del caos bellico e di destabilizzazione della situazione mondiale.
La Cina si è imposta come concorrente di primo piano della leadership statunitense. Il suo esercito, nonostante la modernizzazione, è ancora ben lontano dall’aver acquisito la forza e l’esperienza del rivale americano; la sua “tecnologia bellica”, base essenziale per un armamento e un dispiegamento di guerra efficace, è ancora limitata e fragile, lontana dalla potenza americana; la Cina è circondata nel Pacifico da una catena di potenze ostili (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Australia, ecc.), che blocca la sua espansione imperialista marittima. Di fronte a questa situazione sfavorevole, la Cina si è lanciata in una gigantesca impresa economico-imperialista, la Via della Seta, che mira a stabilire una presenza mondiale e un’espansione via terra attraverso l’Asia centrale, cioè in una delle regioni più destabilizzate del mondo. Si tratta di sforzo il cui esito è molto incerto e richiede un investimento economico e militare totale e incommensurabile, così come una mobilitazione politico-sociale al di sopra dei suoi mezzi di controllo. Questi infatti si basano essenzialmente su di una rigidità politica del suo apparato statale, pesante eredità del maoismo staliniano: l’uso sistematico e brutale delle forze repressive, la coercizione e la sottomissione a un gigantesco apparato statale ultra-burocratizzato, come si è visto nel proliferare delle proteste contro la politica “zero Covid” del governo. Questo orientamento aberrante e l’accumulo di contraddizioni che minano profondamente il suo sviluppo potrebbero finire per scuotere questo colosso dai piedi d’argilla che è la Cina. Così come la risposta brutale e minacciosa degli Stati Uniti illustra il grado di follia omicida, di fuga cieca nella barbarie e nel militarismo (compresa la crescente militarizzazione della vita sociale), che il capitalismo ha raggiunto come sintomi di un cancro generalizzato che sta divorando il mondo e minaccia ormai direttamente il futuro della Terra e la vita dell’umanità.
La guerra in Ucraina non è una tempesta a ciel sereno, segue la peggiore pandemia del 21° secolo, quella del COVID, con oltre 15 milioni di morti, le cui devastazioni continuano con il confinamento draconiano in Cina. Tuttavia, entrambe fanno parte, alimentandola, di una catena di disastri che colpiscono l’umanità: la distruzione dell’ambiente; lo sconvolgimento climatico e le sue molteplici conseguenze; la carestia che sta tornando con violenza in Africa, Asia e America centrale; l’ondata vertiginosa di rifugiati che, nel 2021, ha raggiunto la cifra senza precedenti di 100 milioni di sfollati o migranti; il disordine politico che si sta impadronendo dei Paesi centrali, come vediamo con i governi in Gran Bretagna o il peso del populismo negli Stati Uniti; lo sviluppo di ideologie la le più oscurantiste …
La pandemia ha messo a nudo le contraddizioni che minano il capitalismo. Un sistema sociale che vanta di impressionanti progressi scientifici non ha altra soluzione che il metodo medievale della quarantena, mentre i suoi sistemi sanitari sono al collasso e la sua economia è paralizzata da quasi due anni, aggravando una crisi economica già alle stelle. Un ordine sociale che pretende di avere come bandiera il progresso produce le ideologie più arretrate e irrazionali che sono esplose intorno alla pandemia con ridicole teorie del complotto, molte delle quali provengono dalla bocca di “grandi leader mondiali”.
Una causa diretta della pandemia risiede nel peggior disastro ecologico che minaccia l’umanità da anni. Mosso dal profitto e non dalla soddisfazione dei bisogni umani, il capitalismo è un predatore di risorse naturali, come lo è del lavoro umano, ma allo stesso tempo, tende a distruggere gli equilibri e i processi naturali, modificandoli in modo caotico, come un apprendista stregone, provocando disastri di ogni tipo con conseguenze sempre più distruttive. Il riscaldamento climatico provoca siccità, inondazioni, incendi, la fusione dei ghiacciai e degli iceberg, l’estinzione massiccia di specie vegetali e animali con conseguenze imprevedibili e preannuncia la scomparsa stessa della specie umana a cui il capitalismo sta portando. Il disastro ecologico è aggravato dalle necessità della guerra, dalle stesse operazioni belliche (l’uso delle armi nucleari ne è una chiara espressione) e dall’aggravarsi di una crisi economica mondiale che costringe ogni capitale nazionale a devastare ulteriormente un gran numero di regioni alla disperata ricerca di materie prime. L’estate del 2022 è un’illustrazione lampante delle gravi minacce che incombono sull’umanità in campo ecologico: aumento delle temperature medie e massime – l’estate più calda da quando sono iniziate le registrazioni meteorologiche su scala internazionale - siccità diffusa che colpisce fiumi come il Reno, il Po e il Tamigi, incendi boschivi devastanti, alluvioni come quella in Pakistan che ha colpito un terzo della superficie del Paese, frane, ... e, in mezzo a questo panorama disastrato e devastato, i governi che ritirano i loro ridicoli impegni di “protezione ambientale” in nome dello sforzo bellico!
“Il risultato finale del processo di produzione capitalista è il caos”, dichiarò il Primo Congresso dell’Internazionale Comunista nel 1919. È suicida e irrazionale, contrario a ogni criterio scientifico, pensare che tutte queste devastazioni siano solo una somma di fenomeni transitori, ciascuno confinato in cause particolari. C’è una continuità, un accumulo di contraddizioni, che costituiscono un filo rosso insanguinato che li lega, convergendo in un vortice mortale che minaccia l’umanità:
- Stiamo assistendo a un’accelerazione di tutte le contraddizioni del capitalismo, che si combinano tra loro e provocano un effetto moltiplicatore dei fattori di distruzione e caos;
- L’economia è sprofondata non solo nella crisi ma anche in un crescente disordine (continui blocchi dell’approvvigionamento, situazioni combinate di sovrapproduzione e carenza di beni e mano d’opera);
- I paesi più industrializzati, che si presume siano oasi di prosperità e pace, sono destabilizzati e diventano essi stessi fattori principali della crescente instabilità internazionale.
Come abbiamo detto nel Manifesto del nostro IX Congresso (1991): “La società umana non aveva mai conosciuto carneficine dell’ampiezza di quelle delle due guerre mondiali. Mai come ora il progresso della scienza e della tecnica era stato utilizzato a tale scala per provocare distruzione, massacri e sciagure agli uomini. Mai come ora una grande accumulazione di ricchezze era stata raggiunta, ma mai aveva provocato fame e sofferenze come quelle che si sono abbattute da decenni sui paesi del terzo mondo. Ma l’umanità non aveva ancora toccato il fondo. La decadenza del sistema capitalista significa l’agonia di questo sistema; ma questa agonia ha essa stessa una storia: oggi abbiamo raggiunto la fase terminale, quella della decomposizione generale della società, della sua putrescenza”[3].
Di tutte le classi sociali, quella più colpita e più duramente toccata dalla guerra è il proletariato. La guerra “moderna” è costruita su una gigantesca macchina industriale che richiede lo sfruttamento decuplicato del proletariato. Il proletariato è una classe internazionale che NON HA PATRIA, ma la guerra è l’assassinio dei lavoratori per la patria che li sfrutta e li opprime. Il proletariato è la classe della coscienza; la guerra è lo scontro irrazionale, la rinuncia a ogni pensiero e riflessione cosciente. Il proletariato ha interesse a cercare la verità, la chiarezza; nelle guerre, la prima vittima è la verità, incatenata, imbavagliata, soffocata dalle menzogne della propaganda imperialista. Il proletariato è la classe dell’unità al di là delle barriere di lingua, religione, razza o nazionalità; lo scontro mortale in guerra stabilisce come regola la lacerazione, la divisione, il confronto tra nazioni e popolazioni. Il proletariato è la classe dell’internazionalismo, della fiducia reciproca e della solidarietà; la guerra richiede come forza motrice il sospetto, la paura dello “straniero”, l’odio più efferato verso il “nemico”.
Poiché la guerra colpisce e mutila la fibra più profonda dell’essere proletario, la guerra generalizzata richiede la preventiva sconfitta del proletariato. La prima guerra mondiale è stata possibile perché i partiti operai dell’epoca, i partiti socialisti e i sindacati hanno tradito la nostra classe e si sono uniti alle loro borghesie nel quadro nell’UNIONE NAZIONALE contro il nemico. Ma questo tradimento non era sufficiente, nel 1915 la sinistra della socialdemocrazia si raggruppò a Zimmerwald e alzò la bandiera della lotta per la rivoluzione mondiale. Ciò ha contribuito all’emergere di lotte di massa che hanno aperto la strada alla Rivoluzione in Russia nel 1917 e all’ondata mondiale dell’assalto proletario del 1917-23 non solo contro la guerra in difesa dei principi dell’internazionalismo proletario, ma anche contro il capitalismo, affermando la capacità della classe unita di rovesciare un sistema di sfruttamento barbaro e disumano. Una lezione indistruttibile del 1917-18! Non sono stati i negoziati diplomatici o le conquiste di questo o quell’imperialismo a porre fine alla Prima guerra mondiale. È STATA L’INSURREZIONE RIVOLUZIONARIA INTERNAZIONALE DEL PROLETARIATO. SOLO IL PROLETARIATO PUÒ PORRE FINE ALLA BARBARIE BELLICA DIRIGENDO LA SUA LOTTA DI CLASSE VERSO LA DISTRUZIONE DEL CAPITALISMO.
Per spianare la strada alla Seconda guerra mondiale, la borghesia doveva garantire la sconfitta non solo fisica ma anche ideologica del proletariato. Il proletariato è stato sottoposto a un terrore spietato ovunque i suoi tentativi rivoluzionari si siano spinti più lontano: in Germania sotto il nazismo, in Russia sotto lo stalinismo. Ma allo stesso tempo è stato ideologicamente arruolato, sventolando le bandiere dell’antifascismo e della difesa della “patria socialista”, l’URSS.
“Di ‘vittoria in vittoria’, essa [la classe operaia] è stata condotta mani e piedi nella Seconda guerra imperialista che, a differenza della prima, non doveva permetterle di emergere in modo rivoluzionario, ma nella quale doveva essere iscritta alle grandi ‘vittorie’ della ‘resistenza’, dell'''antifascismo' o delle ‘liberazioni’ coloniali e nazionali" (Manifesto of the 1st Congress of the ICC, 1975 [2], 1975).
Dalla storica ripresa della lotta di classe nel 1968, e per tutto il periodo in cui il mondo era diviso in due blocchi imperialisti, la classe operaia dei principali paesi ha rifiutato i sacrifici richiesti dalla guerra, per non parlare di andare al fronte a morire per la patria, il che ha chiuso la porta a una terza guerra mondiale. La situazione non è cambiata dal 1989.
Tuttavia, la “non mobilitazione” del proletariato dei paesi centrali per la guerra NON È SUFFICIENTE. Una seconda lezione emerge dall’evoluzione storica dal 1989: NON BASTA IL SEMPLICE RIFIUTO DI IMPEGNARSI IN OPERAZONI DI GUERRA, NÈ LA SEMPLICE RESISTENZA ALLA BARBARIE CAPITALISTA. RIMANERE A QUESTO STADIO NON FERMERÀ IL CORSO VERSO LA DISTRUZIONE DELL’UMANITÀ.
Il proletariato deve passare al terreno politico dell’offensiva internazionale generale contro il capitalismo. Solo “la coscienza della notevole posta in gioco nella situazione storica attuale, in particolare i pericoli mortali che fa correre la decomposizione all’umanità; - la sua determinazione a continuare, sviluppare ed unificare la propria lotta di classe, - la sua capacità a schivare le molteplici trappole che la borghesia, seppur colpita dalla decomposizione, non mancherà di seminare sul suo cammino, permetteranno alla classe operaia di rispondere colpo su colpo a tutti gli attacchi sferrati dal capitalismo, per passare finalmente all’offensiva ed abbattere questo barbaro sistema." (Tesi: la decomposizione, la fase finale della decadenza capitalistica, [3] tesi 17)
La base di fondo dell’accumulazione di distruzione, barbarie e disastri che denunciamo è la crisi economica irreversibile del capitalismo, che è alla base del suo intero funzionamento. Dal 1967 il capitalismo è entrato in una crisi economica dalla quale, a distanza di cinquant'anni, non è riuscito a uscire. Al contrario, come dimostrano gli sconvolgimenti economici che si sono verificati dal 2018 e il crescente aumento dell’inflazione, la situazione sta peggiorando notevolmente, con le sue conseguenze di miseria, disoccupazione, precarietà e carestia.
La crisi del capitalismo tocca le fondamenta stesse di questa società. Inflazione, precarietà, disoccupazione, ritmi infernali e condizioni di lavoro che distruggono la salute dei lavoratori, alloggi inaccessibili... sono la prova di un inesorabile deterioramento della vita della classe operaia e, sebbene la borghesia stia cercando di creare ogni possibile divisione, concedendo condizioni “privilegiate” a determinate categorie di lavoratori, ciò a cui stiamo assistendo nel complesso è, da un lato, quella che probabilmente sarà la PEGGIORE CRISI della storia del capitalismo, e, d’altra parte, la realtà concreta della PAUPERIZZAZIONE ASSOLUTA della classe operaia nei paesi centrali. Il che conferma totalmente la correttezza di questa previsione che Marx fece sulla prospettiva storica del capitalismo e che gli economisti e gli altri ideologi della borghesia hanno tanto deriso.
L’inesorabile aggravarsi della crisi del capitalismo è uno stimolo essenziale alla lotta e alla coscienza di classe. La lotta contro gli effetti della crisi è la base per lo sviluppo della forza e dell’unità della classe operaia. La crisi economica colpisce direttamente l’infrastruttura della società; mette quindi a nudo le cause profonde di tutta la barbarie che grava sulla società, permettendo al proletariato di prendere coscienza della necessità di distruggere radicalmente il sistema e di non pretendere più di migliorarne alcuni aspetti.
Nella lotta contro gli attacchi brutali del capitalismo, e soprattutto contro l’inflazione che colpisce tutti i lavoratori in modo generale e indiscriminato, i lavoratori svilupperanno la loro combattività, potranno iniziare a riconoscersi come una classe che ha una forza, un’autonomia e un ruolo storico da svolgere nella società. Questo sviluppo politico della lotta di classe le darà la capacità di porre fine alla guerra ponendo fine al capitalismo.
Questa prospettiva sta cominciando a emergere: “di fronte agli attacchi della borghesia, la rabbia si è accumulata e oggi la classe operaia britannica dimostra di essere nuovamente pronta a lottare per la propria dignità, a rifiutare i sacrifici costantemente richiesti dal capitale. Questo è inoltre indicativo di una dinamica internazionale: lo scorso inverno, gli scioperi hanno iniziato a manifestarsi in Spagna e negli Stati Uniti; quest’estate, anche in Germania e in Belgio ci sono stati scioperi; e ora, i commentatori prevedono 'una situazione sociale esplosiva' in Francia e in Italia nei prossimi mesi. Non è possibile prevedere dove e quando la combattività dei lavoratori riemergerà su scala massiccia nel prossimo futuro, ma una cosa è certa: la portata dell’attuale mobilitazione dei lavoratori in Gran Bretagna è un evento storico significativo. I giorni della passività e della sottomissione sono passati. Le nuove generazioni di lavoratori stanno alzando la testa." (La borghesia impone nuovi sacrifici, la classe operaia risponde con la lotta [4] – Volantino internazionale della CCI, agosto 2022).
Vediamo una rottura con la passività e il disorientamento degli anni precedenti. Il ritorno della combattività della classe operaia in risposta alla crisi può diventare un fulcro di coscienza guidato dall’intervento delle organizzazioni comuniste. È chiaro che ogni manifestazione dello sprofondare della società nella decomposizione riesce a rallentare gli sforzi della combattività operaia o addirittura a paralizzarla in un primo momento, come nel caso del movimento in Francia nel 2019 che ha subito il colpo dello scoppio della pandemia. Ciò comporta un’ulteriore difficoltà per lo sviluppo delle lotte. Tuttavia, non c’è altra via che la lotta, essendo la lotta stessa già una prima vittoria. Il proletariato mondiale, anche attraverso un processo necessariamente accidentato, pieno di insidie e di trappole tese dagli apparati politici e sindacali del suo nemico di classe, di amare sconfitte, mantiene intatte le sue capacità per poter recuperare la sua identità di classe e lanciare finalmente un’offensiva internazionale contro questo sistema morente.
Gli anni Venti del 21° secolo avranno quindi una notevole importanza nell’evoluzione storica della lotta di classe e del movimento operaio. Mostreranno più chiaramente rispetto al passato - come abbiamo già visto dal 2020 – la prospettiva di distruzione dell’umanità che la decomposizione capitalista porta con sé. All’altro polo, il proletariato inizierà a muovere i primi passi, spesso esitanti e con molte debolezze, verso la sua capacità storica di porre la prospettiva comunista. Verranno posti i due poli della prospettiva, Distruzione dell’umanità o Rivoluzione comunista, anche se quest’ultima è ancora molto lontana e deve affrontare enormi ostacoli per affermarsi.
Sarebbe suicida per il proletariato nascondere o sottovalutare i giganteschi ostacoli derivanti sia dall’azione del Capitale e dei suoi Stati, sia dal marciume della situazione stessa che avvelena l’atmosfera sociale in tutto il mondo:
1) La borghesia ha saputo tirare le lezioni dal GRANDE SHOCK che le ha procurato il trionfo iniziale della Rivoluzione in Russia e l’ondata rivoluzionaria mondiale dell’assalto proletario tra il 1917 e il 1923, che ha dimostrato “nella pratica” ciò che il Manifesto Comunista annunciava nel 1848: “Uno spettro s’aggira sull’Europa: lo spettro del comunismo. La borghesia crea il proprio becchino: il proletariato”.
a. HA COLLABORATO A LIVELLO INTERNAZIONALE contro il proletariato, come abbiamo visto di fronte alla rivoluzione in Russia nel 1917[4] e in Germania nel 1918, nonché di fronte allo sciopero di massa in Polonia nel 1980.
b. Ha sviluppato un gigantesco apparato di controllo, deviazione e sabotaggio delle lotte dei lavoratori, messo in campo dai sindacati e dai partiti di ogni colore politico, dall’estrema destra all’estrema sinistra.
c. Utilizza e utilizzerà tutti gli strumenti dello Stato e dei cosiddetti “media” per lanciare costanti campagne ideologiche e articolate manovre politiche volte a vanificare e ostacolare la coscienza e la lotta del proletariato.
2) La decomposizione della società capitalista aggrava la mancanza di fiducia nel futuro. Inoltre mina la fiducia del proletariato in se stesso e nella sua forza come unica classe in grado di rovesciare il capitalismo, generando il “ciascuno per sé” la concorrenza generalizzata, la frammentazione sociale in categorie contrapposte, il corporativismo, tutti elementi che costituiscono un notevole ostacolo allo sviluppo delle lotte dei lavoratori e soprattutto alla loro politicizzazione rivoluzionaria.
3) In questo contesto, il proletariato corre il rischio di essere trascinato in lotte interclassiste o in movimenti di lotta parcellari che lo deviano e lo confinano in un terreno borghese come il femminismo, l’antirazzismo, l’anti populismo (una variante dell’antifascismo), ecc.
4) “Il tempo non gioca più a favore della classe operaia. Finché la minaccia di distruzione della società era rappresentata unicamente dalla guerra imperialista, il semplice fatto che le lotte del proletariato fossero capaci di mantenersi come ostacolo decisivo di un tale evento era sufficiente a sbarrare la strada a questa distruzione. Invece, contrariamente alla guerra imperialista che per potersi realizzare richiede l’adesione del proletariato agli ideali della borghesia, la decomposizione non ha nessun bisogno di imbrigliare la classe operaia per distruggere l’umanità. In effetti, le lotte operaie sono incapaci di costituire un freno alla decomposizione così come non riescono in nessun modo ad opporsi al crollo dell’economia borghese. In queste condizioni, anche se la decomposizione sembra essere per la vita della società un pericolo più lontano rispetto a quello di una guerra mondiale, essa è tuttavia ben più insidiosa.” (TESI: la decomposizione, fase ultima della decadenza capitalista [3], tesi 16).
L’immensità dei pericoli non deve spingerci al fatalismo. La forza del proletariato è la coscienza delle sue debolezze, delle sue difficoltà, degli ostacoli che il nemico o la situazione stessa erigono contro la sua lotta: “Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompono ad ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo, si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte ad esse; si ritraggono continuamente, spaventate dall’infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic salta!” (Marx: Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte).
In situazioni storiche gravi, come le guerre su larga scala simili a quella in Ucraina, il proletariato può vedere chi sono i suoi amici e chi i suoi nemici. I nemici non sono solo i grandi leader, come Putin, Zelensky o Biden, ma anche i partiti di estrema destra, di destra, di sinistra e di estrema sinistra che, con gli argomenti più diversi, compreso il pacifismo, sostengono e giustificano la guerra e la difesa di un campo imperialista contro l’altro.
Per più di un secolo, solo la Sinistra Comunista è stata ed è capace di denunciare sistematicamente e coerentemente la guerra imperialista, difendendo l’alternativa della lotta di classe del proletariato, del suo orientamento verso la distruzione del capitalismo attraverso la rivoluzione proletaria mondiale.
La lotta del proletariato non si limita solo alle lotte difensive o agli scioperi di massa. Una componente indispensabile, permanente e inseparabile di essa è la lotta delle sue organizzazioni comuniste e concretamente, da un secolo, della Sinistra Comunista. L’unità di tutti i gruppi della Sinistra Comunista è indispensabile di fronte alla dinamica capitalista di distruzione dell’umanità. Come abbiamo già affermato nel Manifesto pubblicato in occasione del nostro primo congresso nel 1975: “Voltando le spalle al monolitismo delle sette, esso [questo Manifesto] invita i comunisti di tutti i Paesi a prendere coscienza delle immense responsabilità che sono loro proprie, ad abbandonare le false dispute che li oppongono, a superare le divisioni fittizie che il vecchio mondo pone su di loro. Li invita a unirsi a questo sforzo per costituire, prima delle battaglie decisive, l’organizzazione internazionale e unitaria della sua avanguardia. Come frazione più consapevole della classe, i comunisti devono indicarle la strada, facendo proprio lo slogan: Rivoluzionari di tutti i paesi unitevi!”.
CCI (dicembre 2022)
[1] Di fronte al tentativo rivoluzionario in Germania nel 1918, il socialdemocratico Noske si disse pronto ad assumere il ruolo di “cane sanguinario” della controrivoluzione.
[3] https://it.internationalism.org/manifesto-91 [5] (Rivoluzione comunista o distruzione dell’umanità)
[4] Gli eserciti congiunti di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Giappone collaborarono a partire dall’aprile 1918 con i resti dell’ex esercito zarista in una terribile guerra civile che causò 6 milioni di morti.
La guerra in Ucraina non è un fulmine a ciel sereno. Le sue distruzioni intervengono mentre si moltiplicano le catastrofi: alterazione del clima, degradazione dell’ambiente, aggravamento accelerato della crisi economica, convulsioni politiche che toccano perfino i più vecchi paesi del capitalismo (Regno Unito), ritorno di spaventose carestie su grande scala, migrazioni di massa di popolazioni che fuggono dalle zone di guerra, dai massacri, dalle persecuzioni o dalla miseria… Questa combinazione di fenomeni, la loro interdipendenza et la loro interazione ci hanno spinto ad adottare il documento che pubblichiamo qui, un testo che si sforza di integrarli in un quadro storico più ampio, prendendo in conto l’altrettanto importante avvenimento costituito dall’insorgere di un movimento di scioperi di grande ampiezza che ha scosso la Gran Bretagna, come risultato di in profondo malcontento: “l’estate della rabbia”.
1. Gli anni ꞌ20 del 21° secolo si annunciano come uno dei periodi più convulsi della storia e già si accumulano catastrofi e sofferenze indescrivibili. Essi sono cominciati con la pandemia del Covid-19 (che ancora continua) e una guerra nel cuore dell’Europa, che dura già da più di 9 mesi e di cui nessuno può prevedere l’esito. Il capitalismo è entrato in una fase di gravi sconvolgimenti su tutti i piani. Dietro questa accumulazione e interconnessione di convulsioni si profila la minaccia della distruzione dell’umanità. Come già sottolineavamo nelle nostre “Tesi sulla decomposizione [3]”[1] il capitalismo “è la prima [società] a minacciare la sopravvivenza stessa dell’umanità, la prima che possa distruggere la specie umana.” (tesi 1)
2. La decadenza del capitalismo non è un processo omogeneo e regolare: al contrario, essa ha una storia che si sviluppa in più fasi. La fase della decomposizione è stata identificata nelle nostre Tesi, come “una fase specifica, la fase ultima della sua storia, quella in cui la decomposizione diviene un fattore, se non il fattore decisivo dell’evoluzione della società.” (tesi 2). È chiaro che se il proletariato non fosse capace di rovesciare il capitalismo, assisteremmo a una terribile agonia avente come sbocco la distruzione dell’umanità.
3. Con l’improvvisa irruzione della pandemia Covid, abbiamo messo in evidenza l’esistenza di quattro caratteristiche proprie della decomposizione:
- La crescente gravità dei suoi effetti. La pandemia ha provocato dai 15 ai 20 milioni di morti, la paralisi generale dell’economia per più di un anno, il collasso dei sistemi sanitari nazionali, l’incapacità degli Stati di coordinarsi internazionalmente per combattere il virus e produrre dei vaccini, ognuno rifugiandosi nel ciascuno per sé. Una tale situazione traduce non solo l’impossibilità del sistema di sfuggire alle sue leggi legate alla concorrenza, ma anche l’inasprirsi delle rivalità da cui è scaturita l’incuria, l’aberrazione e il caos della gestione borghese, e questo anche nei paesi più potenti o più sviluppati del pianeta.
- L’irruzione degli effetti della decomposizione sul piano economico. Questa tendenza, già constatata al 23° congresso della CCI, si è pienamente confermata e costituisce una “novità” perché dagli anni ‘80 la borghesia dei paesi centrali era riuscita a proteggere l’economia dai principali effetti della decomposizione[2].
- L’interazione crescente dei suoi effetti, che aggrava le contraddizioni del capitalismo a un livello mai visto prima. In effetti nei precedenti trenta anni la borghesia era più o meno riuscita (soprattutto nei paesi centrali) a isolare o limitare gli effetti della decomposizione, ottenendo in generale che essi non interagissero fra di loro. Quello che invece si può notare negli ultimi due anni è l’interazione e l’imbrigliamento della barbarie guerriera, di una crisi ecologica fenomenale, del caos nell’apparato politico di un buon numero di borghesie importanti, dell’attuale pandemia e del crescente rischio di nuove crisi sanitarie, delle carestie, del gigantesco esodo di milioni di persone, della propagazione di ideologie retrograde e irrazionali, ecc., il tutto nel mezzo di una crisi economica che fragilizza ancora di più intere porzioni di popolazione, in particolare i proletari, soggetti a una pauperizzazione crescente e a un deterioramento accelerato delle loro condizioni di vita (disoccupazione, precarietà, difficoltà a nutrirsi, ad avere un’abitazione…)
- La crescente presenza dei suoi effetti nei paesi contrali. Se, durante gli ultimi trenta anni, i paesi centrali sono stati relativamente protetti degli effetti della decomposizione, oggi essi ne sono investiti e, peggio ancora, essi tendono a diventare i suoi più grandi propagatori, come negli Stati Uniti, in cui all’inizio del 2021 si è visto il tentativo di assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori del populista Trump come se fosse stata una volgare repubblica di banane.
4. L’anno 2022 ha fornito una illustrazione clamorosa di queste quattro caratteristiche, attraverso:
L’aggregazione e l’interazione dei fenomeni distruttivi sbocca in un “effetto vortice” che concentra, catalizza e moltiplica ognuno degli effetti parziali, provocando dei danni ancora più disastrosi. Alcuni scienziati vedono l’effetto in maniera più o meno chiaro, come Marine Romanello dell’University College di Londra: “il nostro rapporto per quest’anno rivela che ci troviamo in un momento critico. Vediamo come il cambiamento climatico impatta gravemente la salute nel mondo intero, allo tesso tempo che la persistente dipendenza globale dai combustibili fossili aggrava questi danni per la salute nel mezzo di una molteplicità di crisi mondiali.” Ora, questo “effetto vortice” costituisce un cambiamento qualitativo le cui conseguenze saranno ancora più manifeste nel prossimo periodo.
In questo quadro bisogna sottolineare il ruolo motore della guerra in quanto azione voluta e pianificata dagli Stati capitalisti, diventando il fattore più potente e grave del caos e della distruzione. Nei fatti, la guerra in Ucraina ha avuto un effetto moltiplicatore dei fattori di barbarie e di distruzione, implicando:
In questo contesto bisogna comprendere in tutta la sua gravità l’espansione della crisi ambientale che arriva a dei livelli mai visti prima:
- Un’ondata di calore durante l’estate, la peggiore dal 1961, con la prospettiva di veder queste canicole diventare permanenti.
- Una siccità mai vista, secondo gli esperti la peggiore in 500 anni, che tocca anche fiumi come il Tamigi, il Reno e il Po, di solito a scorrimento veloce.
- Incendi devastanti, anche questi i peggiori da decenni.
- Inondazioni incontrollabili, come quelle in Pakistan dove hanno interessato un terzo del paese (lo stesso è avvenuto in Tailandia).
- Un rischio di scioglimento della calotta glaciale a seguito della fusione di ghiacciai con una superficie paragonabile a quella del Regno Unito, con conseguenze che possono essere catastrofiche.
Un altro dato legato alla crisi ambientale, che allo stesso tempo la aggrava, è la situazione di degrado delle centrali nucleari[6] in un contesto di crisi energetica (risultante dalla crisi economica) ma anche come conseguenze della guerra in Ucraina. In questo caso abbiamo il rischio di catastrofi senza precedenti, che si aggiungono a quello dovuto dai bombardamenti delle centrali ucraine.
Noi non siamo i soli a constatare la gravità della situazione, ed anche una personalità che non può assolutamente essere sospettata di essere un nemico del capitalismo dichiara che “la crisi climatica è sul punto di ucciderci. Essa può costituire non solo la fine della salute del nostro pianeta, ma anche quella dell’insieme della sua popolazione, attraverso la contaminazione dell’atmosfera…” (dixit Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU in un discorso all’Assemblea Generale di settembre 2022).
5. Sullo sfondo di questa evoluzione catastrofica si trova il considerevole aggravamento della crisi economica che si sviluppa dal 2019 e che la pandemia prima e la guerra dopo hanno finito con l’acuire. Questa crisi si presenta come una crisi più lunga e più profonda di quella del 1929. Innanzitutto perché l’irruzione degli effetti della decomposizione sull’economia tende a creare caos nel funzionamento della produzione, provocando costanti colli di bottiglia che strangolano o bloccano l’economia, in una situazione di sviluppo della disoccupazione che si combina, in maniera paradossale, con delle situazioni di penuria di mano d’opera. Essa si esprime soprattutto con lo scatenamento dell’inflazione che i diversi piani di salvataggio, frettolosamente messi in campo dagli Stati di fronte alla pandemia e alla guerra, non hanno fatto che alimentare per la fuga in avanti dell’indebitamento. L’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali per cercare di frenare l’inflazione rischia di provocare una recessione molto violenta capace di strangolare allo stesso tempo gli Stati e le imprese. Quello che è ormai in marcia è un vero tsunami di miseria, un impoverimento brutale del proletariato anche nei paesi centrali.
6. Di conseguenza, paesi importanti si trovano in una situazione sempre più pericolosa, cosa che può avere gravi ripercussioni sull’insieme del mondo:
- Ci saranno necessariamente grandi convulsioni in Russia. È poco probabile che una semplice destituzione di Putin si faccia senza scorrimento di sangue e senza scontri violenti tra frazioni rivali. L’eventuale frammentazione di certe parti della Russia, lo Stato più grande del mondo ed uno dei più armati, avrebbe delle conseguenze imprevedibili per il mondo intero.
- La Cina è sempre più preda dei colpi ripetuti della pandemia (e probabilmente di altre a venire), della fragilizzazione dell’economia, delle catastrofi ambientali a ripetizione e dell’enorme pressione imperialista degli Stati Uniti. Lo sforzo economico e strategico che rappresentano le “nuove vie della seta” non può che aggravare ancora di più la situazione difficile del capitalismo cinese. Come sottolineato nella Risoluzione sulla situazione internazionale del 24° congresso della CCI: “la Cina è una bomba a scoppio ritardato (…) Il controllo totalitario dell’insieme del corpo sociale, l’inasprimento repressivo a cui si dedica la frazione stalinista di Xi Jinping non rappresentano una espressione di forza ma al contrario una manifestazione di debolezza dello Stato, la cui coesione è messa in pericolo dall’esistenza di forze centrifughe in seno alla società e di importanti lotte intestine nella classe dominante”.
- Gli stessi Stati Uniti sono colpiti da conflitti in seno alla borghesia, i più gravi dalla Seconda guerra mondiale, “l’estensione delle divisioni in seno alla classe dirigente americana è stata messa a nudo dalle contestate elezioni di novembre 2020, e soprattutto dall’assalto al Campidoglio da parte dei partigiani di Trump, con l’incoraggiamento di Trump e dei suoi collaboratori. Quest’ultimo avvenimento dimostra che le divisioni interne che scuotono gli Stati Uniti attraversano l’insieme della società. Anche se Trump è stato estromesso dal governo, il trumpismo resta una forza potente, pesantemente armata, che si esprime altrettanto bene nelle piazze come nelle urne”[7]. Cosa che è stata confermata dalle recenti elezioni di medio termine, in cui le divisioni fra le bande rivali (democratici e repubblicani) non sono mai state così profonde ed acute, esattamente come le divisioni all’interno di ciascuno dei due campi. Allo stesso tempo il peso del populismo, come quello delle ideologie più retrograde, marcate dal rifiuto di un pensiero razionale, coerente, costruito, lungi dall’essere escluso dai tentativi di evitare una nuova candidatura di Trump, non ha smesso di ancorarsi sempre più profondamente e durevolmente nella società americana, come nel resto del mondo. E’ questo un segno rivelatore del grado di putrefazione dei rapporti sociali.
7. La degradazione a un livello mai raggiunto della situazione mondiale è aggravata ulteriormente da due fattori molto importanti legati all’insufficiente capacità degli Stati capitalisti, in particolare i più potenti, di padroneggiare i rapporti sociali nel loro insieme:
- Come abbiamo rimarcato con la crisi del Covid-19 e anche prima (al momento del nostro 23° congresso), la capacità di cooperazione tra i grandi Stati per ritardare e ridurre l’impatto della crisi economica e per limitare gli effetti della decomposizione o per scaricarli verso i paesi più deboli, si è considerevolmente indebolita e la tendenza non è più al “ritorno” delle politiche di “cooperazione internazionale”, piuttosto è l’inverso. Una tale difficoltà non può che aggravare il caos mondiale.
- D’altra parte, in seno alle grandi borghesie mondiali, non si può ragionevolmente individuare l'emergere di politiche in grado di fermare, anche parzialmente o temporaneamente, una tale erosione distruttiva e rapida. Senza sottostimare la capacità di risposta della borghesia, non si vede, almeno per il momento, la messa in atto di politiche simili a quelle degli anni ‘80 e ‘90 che avevano attenuato e ritardato i peggiori effetti della crisi e della decomposizione.
8. Questa evoluzione, anche se può sorprenderci per la sua rapidità e la sua ampiezza, era stata largamente prevista dall’attualizzazione della nostra analisi sulla decomposizione, fatta dal 22° congresso (Rapporto sulla decomposizione oggi)[8]. Da un lato il rapporto aveva riconosciuto chiaramente l’ascesa del populismo nei paesi centrali come una manifestazione importante della perdita di controllo da parte della borghesia sul suo apparato politico. Ancora, evocavamo come altra manifestazione l’irruzione dell’ondata di rifugiati e l’esodo di popolazioni verso il centro del capitalismo, e sottolineavamo, in particolare, il disastro ambientale e la sua ampiezza.
Allo stesso tempo il rapporto identificava dei problemi che, oggi, non occupano il primo posto sui mezzi di informazione ma che hanno continuato ad aggravarsi: il terrorismo, il problema degli alloggi nei paesi centrali, la carestia e in particolare “la distruzione delle relazioni umane, dei legami familiari e delle affettività non ha fatto che aggravarsi come evidenziato dal consumo di antidepressivi, dall'esplosione della sofferenza psichica sul lavoro, dall'apparizione di nuovi mestieri destinati ad ‘istruire’ le persone, così come vere e proprie ecatombi come quello dell’estate 2003 in Francia, dove 15.000 anziani morirono durante l’ondata di caldo”. Bisogna notare che la pandemia ha aggravato questa tendenza fino all’estremo e che i suicidi e le malattie psicologiche nel corso di questo periodo sono state considerate come una “seconda pandemia”.
9. La prospettiva che avanziamo deriva in maniera coerente dal quadro di analisi descritto dalle “Tesi sulla decomposizione”, trent’anni fa:
“In una tale situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si confrontano senza riuscire ad imporre la loro propria risposta decisiva, la storia non può attendere fermandosi. Ancor meno che per gli altri modi di produzione che lo hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo congelare la situazione, la vita sociale” (tesi 4). In trent’anni l’imputridimento ha continuato a svilupparsi e sbocca oggi in un aggravamento qualitativo che dimostra in una maniera mai vista prima le sue conseguenze distruttive.
- “In effetti nessun modo di produzione è capace di vivere e svilupparsi, assicurare la coesione sociale, se non è capace di presentare una prospettiva all’insieme della società da esso dominata. E ciò è particolarmente valido per il capitalismo in quanto rappresenta il modo di produzione più dinamico della storia” (tesi 5). La situazione attuale è il prolungamento di più di cinquant’anni di aggravamento senza tregua della crisi capitalista senza che la borghesia sia stata capace di offrire una prospettiva, mentre il proletariato non è ancora stato capace di avanzare la sua: la rivoluzione comunista. Ciò trascina il mondo in una spirale di barbarie e distruzione in cui i paesi centrali che, per tutto un periodo avevano giocato un ruolo di freno relativo alla decomposizione, diventano ormai un fattore che l’aggrava.
- La decomposizione “non ci riporta ad alcuna società anteriore, a nessuna fase precedente della vita del capitalismo. (…) Oggi la civiltà umana sta perdendo un certo numero delle proprie acquisizioni (come per esempio il controllo della natura) ed al contempo non riesce ad avere la capacità di progredire o lo spirito di conquista che ha caratterizzato in particolar modo il capitalismo ascendente. Il corso della storia è irreversibile: la decomposizione porta, come indica il nome stesso, alla dislocazione ed alla putrefazione della società, al niente” (tesi 11).
10. Di fronte a questa situazione le “Tesi sulla decomposizione”, sebbene avvertono che “Contrariamente alla situazione esistente negli anni ‘70, occorre mettere in evidenza che oggi il tempo non gioca più a favore della classe operaia” (tesi 16) e che c’è il pericolo di una lenta ma irreversibile erosione delle basi stesse del comunismo, stabiliscono tuttavia chiaramente che “la prospettiva storica resta totalmente aperta” (tesi 17).
In effetti, “Nonostante il colpo che il crollo del blocco dell’est ha inferto alla presa di coscienza del proletariato, questo non ha subito nessuna sconfitta importante sul terreno della sua lotta. In questo senso, la sua combattività resta praticamente intatta. Ma in più, ed è questo l’elemento che determina in ultima istanza l’evoluzione della situazione mondiale, lo stesso fattore che si trova all’origine dello sviluppo della decomposizione, cioè l’aggravarsi inesorabile della crisi del capitalismo, costituisce lo stimolo essenziale della lotta e della maturazione della coscienza di classe, la condizione stessa della sua capacità di resistere al veleno ideologico dell’imputridimento della società. In effetti, mentre il proletariato non può trovare un terreno unificante di classe nelle lotte parziali contro gli effetti della decomposizione, la sua lotta contro gli effetti diretti della crisi costituisce la base dello sviluppo della sua forza e della sua unità” (tesi 17).
“La crisi economica, contrariamente alla decomposizione sociale che concerne essenzialmente le sovrastrutture, è un fenomeno che colpisce direttamente l’infrastruttura della società sulla quale riposano queste sovrastrutture; in questo senso, essa mette a nudo le cause ultime dell’insieme della barbarie che si abbatte sulla società, permettendo così al proletariato di prendere coscienza della necessità di cambiare radicalmente sistema, e non di cercare di migliorarne degli aspetti” (tesi 17).
Questa prospettiva comincia nei fatti a intravedersi: “Tuttavia, di fronte agli attacchi della borghesia, la rabbia si è accumulata e oggi la classe operaia britannica dimostra di essere nuovamente pronta a lottare per la propria dignità, a rifiutare i sacrifici costantemente richiesti dal capitale. Questo è inoltre indicativo di una dinamica internazionale: lo scorso inverno, gli scioperi hanno iniziato a manifestarsi in Spagna e negli Stati Uniti; quest'estate, anche la Germania e il Belgio ci sono stati scioperi; e ora, i commentatori prevedono “una situazione sociale esplosiva” in Francia e in Italia nei prossimi mesi. Non è possibile prevedere dove e quando la combattività dei lavoratori riemergerà su scala massiccia nel prossimo futuro, ma una cosa è certa: la portata dell’attuale mobilitazione dei lavoratori in Gran Bretagna è un evento storico significativo. I giorni della passività e della sottomissione sono passati. Le nuove generazioni di lavoratori stanno alzando la testa”[9].
Abbiamo messo in evidenza che le lotte in Gran Bretagna costituiscono una rottura rispetto alla passività e al disorientamento che prevalevano fino ad allora. Il ritorno della combattività operaia in risposta alla crisi può diventare una fonte di presa di coscienza, insieme al nostro intervento, che è essenziale di fronte a una tale situazione. È evidente che ogni accelerazione della decomposizione porta un colpo di freno agli sforzi di combattività degli operai: il movimento in Francia nel 2019 si è fermato al momento dello scoppio della pandemia. Questo implica una difficoltà aggiuntiva non trascurabile di fronte allo sviluppo delle lotte e alla ripresa della fiducia del proletariato in sé stesso e nelle sue proprie forze. Tuttavia non c’è altra alternativa che la lotta. La ripresa della lotta è in sé stessa una prima vittoria. Il proletariato mondiale può alla fine, in un processo molto tormentato, con molte amare difficoltà, recuperare la sua identità di classe e lanciarsi nel tempo in un’offensiva internazionale contro questo sistema moribondo.
11. Gli anni 20 del 21° secolo avranno, dunque, in questo contesto, un’importanza considerevole sull’evoluzione storica. Essi mostreranno con maggior chiarezza rispetto al passato che la prospettiva della distruzione dell’umanità è insita nella decomposizione capitalista. Sull’altro polo il proletariato comincerà a fare i suoi primi passi, come quelli accennati attraverso la combattività delle lotte in Gran Bretagna, per difendere le sue condizioni di vita di fronte alla moltiplicazione degli attacchi di ogni borghesia e ai colpi della crisi economica mondiale con tutte le sue implicazioni. Questi primi passi saranno spesso esitanti e pieni di debolezze, ma essi sono indispensabili perché la classe operaia possa riaffermare la sua capacità storica di imporre la sua prospettiva comunista. Così i due poli della prospettiva si scontreranno nell’alternativa: distruzione dell’umanità o rivoluzione comunista, anche se quest’ultima alternativa resta ancora lontana e si scontra con enormi ostacoli. Chiarire questo contesto storico costituisce un compito immenso ma assolutamente necessario e vitale per le organizzazioni rivoluzionarie del proletariato. E’ loro compito essere i migliori difensori e propagatori di una prospettiva generale. Questo sarà un test cruciale della loro capacità di analizzare e di avanzare delle risposte alle questioni poste dai differenti aspetti della situazione attuale: guerra, crisi, lotta di classe, crisi ambientale, crisi politica e così via.
CCI, 28 ottobre 2022
[1]Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [3], Rivista Internazionale n. 14, 1990
[2] Rapporto sulla crisi economica del 24° Congresso della CCI | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [7]
[3] In generale, il rischio per la salute dell’umanità in tutti i paesi, compresi quelli “più sviluppati” si è aggravato in maniera considerevole e gli scienziati annunciano anche la possibilità di nuove pandemie. Lo studio di un’équipe del London University College, pubblicato nella rivista The Lancet, mostra anche che la crisi climatica ha aumentato del 12% la propagazione dell’epidemia dengue tra il 2018 e il 2021 e che “le morti provocate dalla canicola sono aumentati del 68% tra il 2017 e il 2021, rispetto al periodo compreso tra il 2000 e il 2004”.
[4] The Lancet (2022). Bisogna notare che se l’enorme deterioramento ecologico è il fattore maggiore della crisi alimentare, esso non è il solo fattore, la concentrazione della produzione in pochissimi paesi e la forte speculazione finanziaria sul grano ed altri alimenti di base aggravano ancora di più il problema.
[5] A suo modo, il Fondo Monetario Internazionale riconosce la realtà della situazione: “è più probabile che la crescita rallenti ancora e che l’inflazione sia più elevata del previsto. Nell’insieme, i rischi sono elevati e paragonabili alla situazione dell’inizio della pandemia – una combinazione di fattori influenza le prospettive, e gli elementi singoli interagiscono in maniera intrinsecamente difficile da prevedere. Un buon numero dei rischi descritti prima si traduce essenzialmente in una intensificazione delle forze già presenti nello scenario di base. Inoltre, la realizzazione dei rischi a breve termine può accelerare i rischi a medio termine e rendere ancora più difficile la risoluzione dei problemi a lungo termine”.
[6] In Francia, un gigante della produzione nucleare mondiale, 32 dei suoi 56 reattori nucleari sono fermi.
[8] Rapporto sulla decomposizione oggi (22° Congresso della CCI, maggio 2017) [9] Rivista Internazionale n.35
[9] Un’estate di rabbia in Gran Bretagna: la classe dominante chiede altri sacrifici, la risposta della classe operaia è la lotta! [4], Volantino internazionale della CCI
Dopo un anno guerra in Ucraina non si intravede alcuna via di uscita se non un’accelerazione di distruzione, morte e ancora più tensioni tra le forze imperialiste. Al contempo, la pandemia Covid 19 e i suoi milioni di vittime; le catastrofi climatiche che si abbattono con raddoppiata violenza sui quattro angoli del pianeta; la crisi economica, senza dubbio una delle peggiori nella storia del capitalismo, che getta interi settori del proletariato nella precarietà e nella miseria... Tutte queste manifestazioni di barbarie, caos e miseria dimostrano l’impasse irreparabile in cui si trova il capitalismo.
Il decennio 2020 vedrà un aumento senza precedenti di convulsioni, di disastri e delle peggiori forme di sofferenza in tutte le regioni del mondo e in tutti i continenti. È l’esistenza stessa della civiltà umana a essere apertamente minacciata! Come spiegare questo accumulo e aggregazione di tante catastrofi?
Tuttavia, le lotte operaie in Gran Bretagna che continuano ancora adesso insieme alle lotte in Francia dimostrano che la classe operaia sta cominciando a reagire, anche se con grande difficoltà, e si rifiuta di subire i continui attacchi alle sue condizioni di lavoro e di vita. È sviluppando le lotte su questo terreno che la classe operaia si darà i mezzi per riscoprire la propria identità di classe e potrà costruire un’alternativa alla spirale mortale in cui il capitalismo sta facendo precipitare l’umanità.
Ti invitiamo a discutere di tutto questo alla prossima Riunione Pubblica della CCI che si terrà online
Per partecipare scrivere a [email protected] [10] per ricevere il link per accedere all’incontro.
Suggeriamo la lettura dei testi:
Gli anni 20 del 21° secolo L’accelerazione della decomposizione capitalista pone apertamente la questione della distruzione dell’umanità [11]
3° Manifesto della CCI Il capitalismo porta alla distruzione dell’umanità... Solo la rivoluzione proletaria mondiale può porvi fine [12]
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Nel Regno Unito da giugno riecheggia di sciopero in sciopero il grido “Quando è troppo è troppo!”
Questo movimento di massa, soprannominato “Estate della rabbia”, è diventato l’autunno della rabbia e poi l’Inverno della rabbia.
Questa ondata di scioperi nel Regno Unito è un simbolo della combattività dei lavoratori che si sta sviluppando in tutto il mondo:
- In Spagna, dove i medici e i pediatri della regione di Madrid hanno scioperato alla fine di novembre, e il settore aereo e ferroviario a dicembre. Nuovi scioperi nella sanità sono stati annunciati per gennaio in molte regioni.
- In Germania, dove l’impennata dei prezzi fa temere ai datori di lavoro di dover affrontare le conseguenze di una crisi energetica senza precedenti. Le grandi industrie metallurgiche ed elettriche hanno subito una serie di scioperi ad intermittenza a novembre.
- In Italia, dove lo sciopero dei controllori di volo di metà ottobre si è aggiunto a quello dei piloti di EasyJet. Il governo ha persino dovuto vietare tutti gli scioperi nei giorni festivi.
- In Belgio, dove è stato indetto uno sciopero nazionale il 9 novembre e il 16 dicembre.
- In Grecia, dove a novembre una manifestazione ad Atene ha riunito decine di migliaia di lavoratori del settore privato al grido di “Il costo della vita è insostenibile”.
- In Francia, dove negli ultimi mesi si sono susseguiti scioperi nei trasporti pubblici e negli ospedali.
- In Portogallo, dove i lavoratori chiedono un salario minimo di 800 euro, rispetto ai 705 attuali. Il 18 novembre sono scesi in lotta i lavoratori della pubblica amministrazione. A dicembre si è mobilitato anche il settore dei trasporti.
- Negli Stati Uniti, i membri della Camera dei Deputati sono intervenuti per sbloccare un conflitto sociale ed evitare uno sciopero del trasporto ferroviario. A gennaio, si sono mobilitati migliaia di infermieri di New York.
L’elenco sarebbe infinito perché, in realtà, esistono ovunque una moltitudine di piccoli scioperi, isolati gli uni dagli altri, nelle aziende e nel settore pubblico. Perché dappertutto, in tutti i paesi, in tutti i settori, le condizioni di vita e di lavoro si stanno deteriorando, dappertutto c’è un’impennata dei prezzi e salari miserabili, dappertutto c’è precarietà e flessibilità, dappertutto ci sono ritmi di lavoro infernali e personale insufficiente, dappertutto c’è un terribile peggioramento delle condizioni abitative, soprattutto per i giovani.
A partire dalla pandemia di Covid-19, gli ospedali sono diventati il simbolo di questa realtà quotidiana di tutti i lavoratori: essere sotto organico e super sfruttati, fino allo sfinimento, per un salario che non permette più di pagare le bollette.
La lunga ondata di scioperi che da giugno sta interessando il Regno Unito, un paese in cui il proletariato sembrava rassegnato dagli anni della Thatcher, esprime una vera e propria rottura, un cambiamento di stato d’animo all’interno della classe operaia, non solo nel Regno Unito, ma anche a livello internazionale. Queste lotte dimostrano che, di fronte all’aggravarsi della crisi, gli sfruttati non sono più disposti a farsi mettere i piedi in testa.
Con un’inflazione superiore all’11% e l’annuncio di un bilancio di austerità da parte del governo di Rishi Sunak, ci sono stati scioperi in quasi tutti i settori: trasporti (treni, autobus, metropolitane, aeroporti) e sanità, lavoratori postali della Royal Mail, dipendenti pubblici del dipartimento per l’ambiente, per l’alimentazione e per gli affari rurali, dipendenti di Amazon, lavoratori della scuola in Scozia, lavoratori del petrolio del Mare del Nord... Una tale portata della mobilitazione degli operatori sanitari non si vedeva in questo paese da oltre un secolo! E si prevede che gli insegnanti sciopereranno a partire da febbraio.
In Francia, il governo ha anche deciso di imporre una nuova “riforma” che aumenta l’età pensionabile. L’obiettivo è semplice: risparmiare denaro spremendo la classe operaia come un limone, fino al cimitero. In concreto, significherà lavorare vecchi, malati, esausti o andarsene con una pensione ridotta e misera. Spesso, del resto, il licenziamento scioglierà il nodo di questo dilemma prima dell’età fatidica.
Gli attacchi alle nostre condizioni di vita non si fermeranno. La crisi economica globale continuerà a peggiorare. Per cavarsela nell’arena internazionale del mercato e della concorrenza, ogni borghesia di ogni paese imporrà alla classe operaia condizioni di vita e di lavoro sempre più insopportabili, invocando la “solidarietà con l’Ucraina” o “il futuro dell’economia nazionale”.
Questo è ancora più vero con lo sviluppo dell’economia di guerra. Una parte crescente del lavoro e della ricchezza è destinata all’economia di guerra. In Ucraina, ma anche in Etiopia, Yemen, Siria, Mali, Niger, Congo, ecc. questo significa bombe, proiettili e morte! Altrove, porta paura, inflazione e accelerazione dei ritmi di lavoro. Tutti i governi chiedono “sacrifici”!
Di fronte a questo sistema capitalista che fa sprofondare l’umanità nella miseria e nella guerra, nella concorrenza e nella divisione, spetta alla classe operaia (lavoratori salariati di tutti i settori, di tutte le nazioni, disoccupati o occupati, con o senza titolo di studi, in attività o pensionati...) proporre un’altra prospettiva. Rifiutando questi “sacrifici”, sviluppando una lotta unita, di massa e solidale, può dimostrare che un altro mondo è possibile.
Da mesi, in tutti i paesi e in tutti i settori, si, ci sono scioperi. Ma isolati gli uni dagli altri. Ognuno ha il suo sciopero, nella sua fabbrica, nel suo deposito, nella sua azienda, nel suo settore. Nessun legame concreto tra queste lotte, anche quando basterebbe attraversare la strada per far incontrare gli scioperanti dell’ospedale con quelli della scuola o del supermercato di fronte. A volte questa divisione rasenta il ridicolo quando, nella stessa azienda, gli scioperi sono divisi corporazione, o équipe, o piano. Bisogna immaginare gli impiegati degli uffici che scioperano in un momento diverso da quelli dello staff tecnico, o quelli del primo piano che scioperano nel loro cantuccio senza alcun legame con quelli del secondo piano. A volte è quello che accade davvero!
La dispersione degli scioperi, il confinamento di ciascuno nel proprio angolo fa il gioco della borghesia, ci indebolisce, ci riduce all’impotenza, ci sfianca e ci porta alla sconfitta!
Ecco perché la borghesia impiega tante energie su questo piano.
In tutti i paesi, la stessa strategia: i governi dividono. Fingono di sostenere questo o quel settore per attaccare meglio gli altri. Puntualmente mettono l’accento su un settore, o un’impresa, facendo promesse che non manterranno mai, per far passare sottobanco il susseguirsi di attacchi che sta portando avanti ovunque. Per meglio dividere, rivolgono un aiuto specifico a una categoria e riducono i diritti di tutte le altre. La contrattazione settore per settore, impresa per impresa è ovunque la regola.
In Francia, l’annuncio della riforma delle pensioni, che interesserà l’intera classe operaia, è accompagnato da un assordante “dibattito” mediatico sull’iniquità della riforma per questa o quella categoria di popolazione. Dovrebbe renderla più giusta integrando meglio i profili particolari degli apprendisti, di alcuni lavoratori manuali, delle donne... Sempre la stessa trappola!
Perché questa divisione? Sono solo la propaganda e le manovre dei governi che riescono a dividerci in questo modo, a separare gli scioperi e le lotte della classe operaia gli uni dagli altri?
La sensazione di essere tutti sulla stessa barca sta crescendo. L’idea che solo una lotta di massa, unita e solidale possa permettere di stabilire un rapporto di forza sta formandosi nella mente di tutti. Allora perché questa divisione da mesi, in tutti i paesi, in tutti i settori?
Nel Regno Unito, gli scioperi sono tradizionalmente accompagnati da picchetti davanti a ogni sede di sciopero. Da mesi i picchetti si trovano l’uno accanto all’altro, a volte a distanza di un solo giorno, a volte nello stesso momento ma separati da poche centinaia di metri. Senza legame tra loro. Ognuno il proprio sciopero, ognuno il proprio picchetto. Senza lottare contro questa dispersione, senza sviluppare una vera unità nella lotta, lo spirito combattivo rischia di esaurirsi. Nelle ultime settimane, l’impasse e la pericolosità di questa situazione hanno cominciato a farsi sentire. I lavoratori che hanno scioperato a turno negli ultimi sei mesi potrebbero essere sopraffatti da un senso di stanchezza e impotenza.
Tuttavia, in diversi picchetti, i lavoratori ci hanno espresso il loro sentimento di essere coinvolti in qualcosa di più ampio della loro azienda, della loro amministrazione, del loro settore. C’è una crescente volontà di lottare insieme.
Ma, da mesi, in tutti i paesi e in tutti i settori, sono i sindacati che organizzano tutte queste lotte frammentate, sono i sindacati che dettano i loro metodi, che dividono, isolano, portano avanti la negoziazione settore per settore, impresa per impresa, sono i sindacati che fanno di ogni richiesta una richiesta specifica, sono i sindacati che, soprattutto dicono “se avanziamo richieste comuni, stemperiamo la nostra lotta”.
Ma anche i sindacati hanno percepito che la rabbia sta crescendo, che rischia di tracimare e di rompere gli argini che loro hanno costruito tra corporazioni, aziende, settori... Sanno che l’idea di “lottare tutti insieme” sta crescendo nella classe.
Ecco perché, ad esempio nel Regno Unito, i sindacati stanno iniziando a parlare di azioni congiunte tra settori diversi, che finora si erano guardati bene dal fare. Le parole “unità” e “solidarietà” cominciano a comparire nei loro discorsi. Non rinunciano a dividere, ma per continuare a farlo si attengono alle preoccupazioni della classe. In questo modo mantengono il controllo e la direzione delle lotte.
In Francia, di fronte all’annuncio della riforma delle pensioni, i sindacati hanno dimostrato la loro unità e la loro determinazione, convocando grandi manifestazioni di piazza e ingaggiando un braccio di ferro con il governo. Gridano che questa riforma non passerà, che milioni di persone devono rifiutarla.
Alla faccia della retorica e delle promesse. Ma qual è la realtà? Per farsi un’idea, basta ricordare il movimento di lotta del 2019-2020, già contrario alla riforma delle pensioni di Macron. Di fronte all’aumento della combattività e all’aumento della solidarietà tra generazioni, i sindacati hanno usato lo stesso stratagemma sostenendo la “convergenza delle lotte”, un surrogato di movimento unitario, in cui i manifestanti che marciavano in strada erano parcheggiati per settore e per azienda. Non eravamo tutti insieme, ma uno dietro l’altro. Gli striscioni sindacali e i servizi d’ordine hanno diviso i cortei per settore, azienda, stabilimento. Soprattutto, nessuna discussione, nessuna assemblea. “Sfilate con i vostri soliti colleghi di lavoro e andate a casa, fino alla prossima volta”. Impianto audio a tutto volume, per assicurarsi che i più ostinati non si sentano tra loro. Perché ciò che fa davvero tremare la borghesia è quando i lavoratori prendono in mano le loro lotte, quando si organizzano, quando iniziano a riunirsi, a discutere... a diventare una classe in lotta!
Nel Regno Unito e in Francia, come altrove, per costruire un rapporto di forza che ci permetta di resistere ai continui attacchi alle nostre condizioni di vita e di lavoro, che domani diventeranno ancora più violenti, dobbiamo, ovunque sia possibile, riunirci per discutere e proporre i metodi di lotta che sono la forza della classe operaia e che le hanno permesso, in alcuni momenti della sua storia, di scuotere la borghesia e il suo sistema:
- la ricerca di sostegno e solidarietà al di là della propria società, della propria azienda, del proprio settore di attività, della propria città, della propria regione, del proprio paese;
- l’organizzazione autonoma della lotta dei lavoratori, in particolare attraverso le assemblee generali, senza lasciare il controllo ai sindacati, i cosiddetti “specialisti” delle lotte e della loro organizzazione;
- la discussione più ampia possibile sulle esigenze generali della lotta, sulle lezioni da trarre dalle lotte e anche dalle sconfitte, perché ci saranno sconfitte, ma la sconfitta più grande è subire gli attacchi senza reagire. L’entrata in lotta è la prima vittoria degli sfruttati.
Nel 1985, sotto la Thatcher, i minatori britannici hanno lottato per un anno intero, con immenso coraggio e determinazione; ma isolati, chiusi nel loro settore, erano impotenti; e la loro sconfitta è stata quella dell’intera classe operaia. Dobbiamo imparare dai nostri errori. È fondamentale superare le debolezze che hanno minato la classe operaia per decenni e che hanno segnato la nostra successione di sconfitte: il corporativismo e l’illusione sindacale. L’autonomia della lotta, l’unità e la solidarietà sono le pietre miliari indispensabili per preparare le lotte di domani!
Per questo, dobbiamo riconoscerci come membri della stessa classe, una classe unita dalla solidarietà nella lotta: il proletariato. Le lotte di oggi sono indispensabili non solo per difenderci dagli attacchi, ma anche per riconquistare questa identità di classe a livello mondiale, per preparare il rovesciamento di questo sistema sinonimo di miseria e catastrofi di ogni genere.
Nel capitalismo non c’è soluzione: né alla distruzione del pianeta, né alle guerre, né alla disoccupazione, né alla precarietà, né alla miseria. Solo la lotta del proletariato mondiale, sostenuta da tutti gli oppressi e gli sfruttati del mondo, può aprire la strada a un’alternativa, quella del comunismo.
Gli scioperi nel Regno Unito, le manifestazioni in Francia, sono una chiamata alla lotta per i proletari di tutti i paesi.
Corrente Comunista Internazionale, 12 gennaio 2023
Venerdì 2 dicembre si è svolto a Parigi il primo incontro in Francia del comitato No war but the class war (NWCW).
L’esistenza di questi comitati nel mondo non è nuova, ha più di 30 anni. L'idea di creare gruppi NWCW è nata per la prima volta nell'ambiente anarchico in Inghilterra in risposta alla prima guerra del Golfo nel 1991. Si trattava di una reazione, un rifiuto di partecipare alla mobilitazione “Stop the War” organizzato dalla sinistra del capitale e la cui funzione essenziale era portare il rifiuto della guerra nel vicolo cieco del pacifismo. Inoltre, lo slogan No war but the class war fa riferimento a una frase pronunciata nel primo episodio della serie “Days of Hope” del 1975, di Ken Loach, da un soldato socialista che aveva disertato dall'esercito britannico durante la prima guerra mondiale: “Non sono un pacifista. Combatterò una guerra, ma combatterò l'unica guerra che conta, e quella è la guerra di classe, e arriverà quando tutto ciò sarà finito”.
Nuovi gruppi NWCW si sono poi formati in risposta alla guerra nell'ex Jugoslavia nel 1993, in Kosovo nel 1999, poi durante le invasioni dell'Afghanistan e dell'Iraq nel 2001 e nel 2003.
Quando possibile, siamo intervenuti in questi comitati che riunivano un ambiente estremamente eterogeneo, dalla sinistra borghese agli internazionalisti.
Un altro gruppo della Sinistra Comunista, la Communist Workers Organisation, che oggi è l'organizzazione in Gran Bretagna della Tendenza Comunista Internazionalista (TCI), è intervenuto a sua volta nei NWCW a partire dal 2001. Da subito la CWO è andata oltre partecipando attivamente alla creazione di nuovi gruppi, come ad esempio a Sheffield “Stiamo assistendo a una significativa ripresa delle azioni di sciopero, tra cui quelle dei vigili del fuoco, dei ferrovieri e di azioni al di fuori dei sindacati nei trasporti e negli ospedali di Strathclyde. “No war but the class war” ci dà l'opportunità di lavorare in tutto il paese con le forze che, riconoscendone una connessione, intendono legare la lotta di classe alla resistenza alla guerra imperialista”[1].
Quanto alla CCI, nel 2002 scrivevamo: “non abbiamo mai pensato che NWCW fosse un precursore della rinascita della lotta di classe o un movimento politico di classe chiaramente identificato a cui dovremmo “unirci”. Al massimo può essere un punto di riferimento per una piccola minoranza che si interroga sul militarismo capitalista e sulle menzogne pacifiste e ideologiche che ne derivano. Ed è per questo che abbiamo difeso le sue posizioni di classe (seppur limitate) contro gli attacchi reazionari dei gauchisti del tipo Workers Power (in World Revolution n°250) insistendo fin dall'inizio sull'importanza di questo gruppo come forum di discussione, e mettendo in guardia contro le tendenze al ‘l’azione diretta’ e il fatto di avvicinare questo gruppo alle organizzazioni rivoluzionarie”[2].
Ecco perché l'intervento della CCI all'interno di questi gruppi ha avuto i seguenti obiettivi:
– chiarire i principi dell'internazionalismo proletario e la necessità di una netta demarcazione dalla sinistra del capitale e dal pacifismo;
- concentrarsi sul dibattito politico e sulla chiarificazione contro le tendenze all'attivismo che, in pratica, significavano dissolversi nelle manifestazioni “Stop the War”.
Vent'anni dopo, di fronte allo scoppio della guerra in Ucraina, questi gruppi NWCW sono riemersi, prima a Glasgow, poi in diverse città del Regno Unito e anche in tutto il mondo. Spesso su iniziativa di organizzazioni anarchiche alcuni comitati NWCW sono stati promossi direttamente anche dalla TCI.
All'inizio di dicembre, siamo andati alla prima riunione di NWCW. Il comitato aveva lanciato un appello genuinamente internazionalista: “Contro la guerra imperialista, cosa possono fare i rivoluzionari? La guerra in Ucraina ha sconvolto la situazione politica mondiale allineando, faccia a faccia, la Russia da un lato e la NATO e gli Stati Uniti dall'altro. […] Come nelle altre due guerre mondiali, i rivoluzionari internazionalisti affermano che la guerra imperialista e i suoi fronti devono essere abbandonati, indipendentemente dalle loro forme. Nella guerra e nel nazionalismo la classe operaia ha tutto da perdere e niente da guadagnare. L'unica vera scelta che ha resta la trasformazione della guerra imperialista in guerra di classe, costruendo un'alternativa basata esclusivamente sui propri interessi immediati e a lungo termine. Questa alternativa implica già da ora il rifiuto dell'economia di guerra e di tutti i sacrifici che dovremmo fare”. È su questa base che abbiamo incoraggiato tutti i nostri contatti a partecipare a questo incontro.
Come preambolo alla discussione, il presidium ha annunciato una divisione della discussione in due parti: prima l'analisi della situazione imperialista, poi le modalità di azione del Comitato.
La prima introduzione fatta dal presidium per avviare il dibattito ha chiaramente sostenuto questa linea di internazionalismo, senza alcuna ambiguità. Ha anche descritto la realtà dell'attuale barbarie imperialista. Ma ha difeso una prospettiva che non condividiamo, quella della generalizzazione della guerra, di un processo in atto verso lo scontro tra blocchi in una guerra mondiale.
Tutta la prima parte della discussione è stata piuttosto caotica. Alcuni partecipanti si sono fermamente rifiutati di discutere la situazione imperialista, hanno respinto ogni sforzo di analisi come una perdita di tempo e hanno chiesto di agire qui e ora. Si sono presi gioco di ogni intervento ritenuto “teorico”, prendendo in giro l'età dei relatori, scoppiando a ridere per il richiamo a riferimenti storici del secolo scorso, interrompendo e intervenendo addosso agli altri. Il presidio ha dovuto più volte far appello al rispetto del dibattito, senza successo. Alcuni di loro hanno lasciato la sala durante la riunione.
Al di là dell'aneddoto, questo clima e le parole pronunciate contro la “teoria” e per “l'azione immediata” la dicono lunga sulla composizione dell'assemblea, su chi ha risposto all'appello e perché. Il testo dell’appello si concludeva con “Discutiamo insieme la situazione, pensiamo alle azioni da intraprendere per intervenire insieme! Tutte le iniziative internazionaliste sono da considerare e diffondere!”. Come buone iniziative da intraprendere abbiamo allora avuto la proposta di attaccare la democrazia (come? Mistero…), di manifestare davanti all'ambasciata russa, di sostenere economicamente chi resiste in Ucraina, di accogliere i disertori russi...
Ecco perché, nel nostro primo intervento, abbiamo voluto difendere il fatto che:
– la guerra in Ucraina è di natura interamente imperialista. La classe operaia non deve sostenere nessuna parte in questa carneficina di cui è la principale vittima;
– l'attuale periodo di guerre imperialiste del capitalismo, che si concretizza oggi nella guerra in Ucraina, ci avvicina all'estinzione dell'umanità;
– solo il superamento del capitalismo può porre fine alle guerre imperialiste;
– è quindi pericoloso cadere nell'attivismo, è illusorio credere che la situazione possa cambiare attraverso l'azione spettacolare di pochi individui;
– di conseguenza, solo l'azione consapevole e organizzata delle masse lavoratrici può porre fine alla barbarie capitalista. Spetta quindi ai rivoluzionari partecipare a questo lungo processo, alla crescita generale della coscienza di classe, essendo capaci di trarre lezioni dalla storia.
Questa intransigente difesa dell'internazionalismo e del ruolo dei rivoluzionari non sarebbe certo bastata. Al contrario, ciò che emerge soprattutto da questa prima parte della discussione è la confusione, l'indebolimento della difesa dell'internazionalismo. Perché all'attivismo, all'appello alla resistenza, si è aggiunto un intervento a favore della possibilità della lotta operaia per l'autonomia ucraina. Il rappresentante del gruppo trotskista “Matière et révolution” ha infatti difeso questa tesi classica dell'estrema sinistra. Lungi dal provocare una reazione estremamente ferma da parte del presidium, non c'è stato nemmeno un commento. Ci è voluto un partecipante dalla sala per denunciare questa posizione nazionalista e chiedere perché il comitato avesse invitato direttamente questo gruppo trotskista. In risposta, uno dei membri del presidium, il militante della TCI responsabile di questo invito, ha fatto una smorfia e ha affermato che no, “Matière et révolution” non era trotskista in senso stretto. Ciò ha scatenato il grido del militante del suddetto gruppo: “Ah, sì, sono un trotskista!”. Una situazione molto comica, se ci fosse da ridere.
Ricordiamo che l'appello della TCI, all'inizio della comparsa di questi nuovi comitati NWCW, afferma al punto 11 che questa “iniziativa internazionale [...] offre una bussola politica per i rivoluzionari di diversi orizzonti che rifiutano tutte le politiche socialdemocratiche, trotskiste e staliniste che o si schierano apertamente con una parte o l'altra dell'imperialismo, o decidono che l'una o l'altra sia un ‘male minore’ da sostenere, o appoggiano il pacifismo che rifiuta la necessità di trasformare la guerra imperialista in guerra di classe, fatto che genera confusione e disarma la classe operaia perché questa non intraprenda la propria lotta”.
Non potremmo dire meglio riguardo a questa famosa “iniziativa internazionale”. Infatti “semina confusione e disarma la classe operaia”!
Nel nostro primo intervento, abbiamo anche iniziato a esprimere il nostro principale disaccordo con l'iniziativa NWCW. Come nel 1991, 1993, 1999, 2001, 2003..., c'è l'illusione che di fronte alla guerra possa nascere e, addirittura, stia nascendo una reazione di massa della classe operaia, di cui questi comitati sarebbero in qualche modo l'espressione o l'inizio. A sostegno di questa tesi, viene dato risalto a ogni sciopero in corso. Solo che questo significa mettere tutto sottosopra.
All'inizio degli anni '90 e 2000, la combattività della classe operaia era debole. C'era invece una vera e propria riflessione sulla barbarie imperialista in cui le grandi potenze democratiche erano tutte direttamente coinvolte. Per questo le frazioni della sinistra del capitale avevano iniziato un contrattacco organizzando grandi manifestazioni pacifiste in tutta Europa e negli Stati Uniti. Contrastando questa trappola, questa impasse incarnata dallo slogan “Stop the War!” i comitati NWCW, al di là di tutte le loro confusioni, rappresentavano almeno un certo movimento che nasceva da elementi che cercavano un'alternativa internazionalista al gauchismo e al pacifismo. È questo sforzo che la CCI ha cercato di spingere il più lontano possibile intervenendo in questi comitati, quando la TCI si illudeva sul potenziale della classe e di questi comitati e credeva di poter estendere la propria influenza sul proletariato attraverso questi gruppi.
Oggi cresce la rabbia sociale, cresce la combattività di classe. Gli scioperi che continuano dal giugno 2022 nel Regno Unito sono l'espressione più chiara delle attuali dinamiche della nostra classe su scala internazionale. Ma la molla di queste lotte non è la reazione dei lavoratori alla guerra. No, sono la crisi economica, il deterioramento delle condizioni di vita, l'aumento dei prezzi e i salari miseri che provocano questi scioperi. È innegabile che attraverso queste lotte la classe operaia rifiuti, di fatto, i sacrifici che la borghesia impone in nome del “sostegno all'Ucraina e al suo popolo”; e questo rifiuto dimostra che la nostra classe non è soggiogata, che appunto non è pronta ad accettare la marcia generale verso la guerra; ma, al tempo stesso, non è ancora cosciente di tutti questi legami.
Concretamente, cosa implica la realtà di questa dinamica? Per capirlo basta guardare cosa è successo a Parigi durante questo primo incontro NWCW.
Di questo “comitato” c'è solo il nome. In realtà, è la TCI che ha formato questo gruppo, sostenuto da un gruppo parassitario chiamato GIGC. Nella sala erano presenti quasi esclusivamente rappresentanti di gruppi e pochi individui politicizzati che gravitano intorno a questi due gruppi. La CNT-AIT Paris, Robin Goodfellow, Matière et Révolution, Asap, e pochi individui, alcuni del movimento autonomo, altri della CGT o del sindacalismo rivoluzionario. Quindi un guazzabuglio di militanti trotskisti, anarchici, autonomi, stalinisti, e della Sinistra Comunista… Lo scrive lo stesso GIGC: “Appena lanciato l'Appello della TCI, i suoi membri in Francia e noi stessi abbiamo, infatti, costituito un comitato i cui primi interventi sono avvenuti, tramite volantini, durante le manifestazioni dello scorso giugno a Parigi e in alcune città di provincia”[3]. Si tratta dunque di una creazione totalmente artificiale, veramente fuori dal mondo. Un comitato è un'altra cosa.
Nel 1989 scrivevamo: “Il periodo che viviamo oggi vede, qua e là, all'interno della classe operaia, la nascita di comitati di lotta. Questo fenomeno ha cominciato a svilupparsi in Francia all'inizio del 1988 (all'indomani della grande lotta alla SNCF). Da allora, si sono formati diversi comitati che riuniscono lavoratori combattivi in diversi settori (PTT, EDF, Istruzione, Sanità, Previdenza Sociale, ecc.) o anche, e sempre più spesso, su base intersettoriale. Segno dello sviluppo generale della lotta di classe e della maturazione della presa di coscienza che essa genera, questi comitati corrispondono a un bisogno (sempre più sentito tra i lavoratori) di riunirsi per riflettere (trarre insegnamenti dalle passate lotte operaie) e agire (partecipare a qualsiasi lotta che si presenti) insieme, sul proprio terreno di classe, e questo al di fuori del quadro imposto dalla borghesia (partiti di sinistra, gruppi di sinistra e soprattutto sindacati). È tale comitato (il “Comitato per l'estensione delle lotte” che riunisce lavoratori di diversi settori del servizio pubblico e in cui interviene regolarmente la CCI) che è intervenuto a più riprese nel movimento di lotta dell'autunno 1988”.
C’era quindi, in quel momento, la vita e l'esperienza concreta della classe. Ovviamente un'organizzazione rivoluzionaria deve incoraggiare la creazione di questi comitati, impegnarsi in essi, spingere al loro interno per sviluppare l'organizzazione e la coscienza di classe, ma non può crearli artificialmente, senza legame con la realtà della dinamica di classe.
Oggi dobbiamo monitorare la situazione sociale. La questione della guerra non è il punto di partenza, la base su cui si mobilita la classe operaia, né si riunisce in comitati di lotta. Al contrario, è del tutto ipotizzabile che maturi la possibilità di costituire circoli di discussione o comitati di lotta, tenuto conto del continuo sviluppo della combattività operaia di fronte all'aggravarsi della crisi economica e al susseguirsi di attacchi alle condizioni di vita. E allora sarà compito dei rivoluzionari fare il collegamento con la guerra e difendere l'internazionalismo.
Del resto è quello che stanno già facendo tutti i gruppi della Sinistra Comunista distribuendo la loro stampa e volantini. Questa voce porterebbe più lontano, avrebbe un significato storico molto più profondo, se tutti questi gruppi formassero un coro, portando insieme un unico appello internazionalista.
Rifiutando un tale approccio all'interno della Sinistra Comunista, mentre l’Istituto Onorato Damen, Internationalist Voice e la CCI sono stati capaci di vedere che al di là dei loro disaccordi avevano lo stesso patrimonio internazionalista da difendere e diffondere, la TCI preferisce invece creare, con l’officina parassitaria del GIGC, gusci vuoti a Toronto, Montreal, Parigi… chiamandoli “comitati”. Preferisce riunirsi con gruppi trotskisti, autonomi, anarchici che difendono la resistenza e far credere che si tratti di un allargamento della base internazionalista nella classe.
Lo stesso errore ripetuto più e più volte dal 1991. Marx scriveva che la storia si ripete, “la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Inoltre, dalla sala, un partecipante ha chiesto per tre volte quale valutazione avesse fatto il comitato sull'esperienza NWCW dal 1991 ad oggi. La risposta del membro della TCI al presidium è stata altamente rivelatrice: “Non c'è bisogno di fare un bilancio. È come uno sciopero, fallisce e questo non deve impedirci di ricominciare”. I rivoluzionari, come tutta la classe, devono ovviamente fare l'esatto contrario: discutere sempre per tirare le lezioni dai fallimenti del passato. “L'autocritica, un'autocritica spietata, crudele, che va fino in fondo, questa è l'aria e la luce senza la quale il movimento proletario non può vivere” diceva Rosa Luxemburg nel 1915[4]. Trarre insegnamento dai fallimenti dei NWCW consentirebbe alla TCI di iniziare ad affrontare i propri errori.
Questo è ciò che ha voluto sottolineare il nostro secondo intervento e che un partecipante in sala ha frainteso, vedendolo come una forma di settarismo, quando si trattava di dimostrare che l'assenza di principi in questo raggruppamento che di comitato ha solo il nome non solo offuscava la bandiera internazionalista della Sinistra Comunista, ma creava anche confusione.
Durante questo incontro, il membro della TCI al presidio ha ripetuto più volte, per giustificare questo appello al raggruppamento senza principio né fondamento reale, che le forze della Sinistra Comunista erano isolate, ridotte, secondo lui, a “quattro gatti”. Perciò, questi comitati permettevano di non essere soli e di poter esercitare un'influenza nella classe.
Al di là del fatto che c'è un'ammissione del più puro opportunismo, “sì, mi unisco a chiunque e comunque per estendere la mia influenza”, al di là del fatto che questa “influenza” è illusoria, queste osservazioni rivelano soprattutto la reale motivazione della creazione di questi comitati da parte della TCI: usarli come strumento, come “intermediario” tra la classe e se stessa. Questo era già accaduto nel 2001, quando è entrata a far parte dei comitati NWCW nel Regno Unito. Già nel dicembre 2001 abbiamo scritto un articolo intitolato “In difesa dei gruppi di discussione”[5], per contrastare l'idea sviluppata dal Partito comunista internazionalista (oggi gruppo italiano affiliato alla TCI), e poi ripresa dalla CWO, dei “gruppi di fabbrica”, definiti come “strumenti del partito” per radicarsi nella classe e persino “organizzare” le sue lotte[6]. Riteniamo che si tratti di una regressione verso la nozione di cellule di fabbrica come base dell'organizzazione politica, difesa dall'Internazionale Comunista nella fase di “bolscevizzazione”, negli anni '20, e a cui la Sinistra Comunista d'Italia si oppose con forza. La recente trasformazione di questa idea di gruppi di fabbrica in un appello per la costituzione di gruppi territoriali, poi di gruppi anti-guerra ne ha cambiato la forma, ma non il contenuto. L'idea della CWO che il NWCW possa diventare un centro organizzato di resistenza di classe contro la guerra rivela una certa incomprensione su come si sviluppa la coscienza di classe nel periodo di decadenza del capitalismo.
Certo, accanto all'organizzazione politica in quanto tale, c'è una tendenza alla formazione di gruppi più informali, che si formano sia nelle lotte sul posto di lavoro che in opposizione alla guerra capitalista, ma tali gruppi, che non appartengono all'organizzazione politica comunista, rimangono espressioni di una minoranza che cerca di chiarirsi e di diffondere questo chiarimento nella classe, e non possono sostituirsi o pretendere di essere gli organizzatori di movimenti più ampi della classe, un punto su cui, a nostro avviso, la TCI rimane ambigua.
Comunque, l'attuale pratica della TCI attraverso la creazione artificiale di questi comitati ha conseguenze catastrofiche. Questa genera confusione sull'internazionalismo difeso dalla Sinistra Comunista, confonde i confini di classe tra i gruppi della Sinistra Comunista e la sinistra del capitale e, forse soprattutto, devia la riflessione e l'energia delle minoranze alla ricerca verso il vicolo cieco dell’attivismo.
Tutte queste avventure che la TCI accumula, decennio dopo decennio, hanno sempre portato alla catastrofe, quella di scoraggiare o vanificare lo sforzo del proletariato, attualmente tanto difficile e prezioso, di generare minoranze alla ricerca di posizioni di classe.
Invitiamo quindi ancora una volta, pubblicamente, la TCI a lavorare con tutti gli altri gruppi della Sinistra Comunista che lo vogliono per innalzare insieme più in alto la bandiera del proletariato, per difendere e far vivere la tradizione della Sinistra Comunista.
CCI, 11 gennaio 2023
[1] “Communism Against the War Drive”, disponibile sul sito web della TCI
[2] “L'intervento dei rivoluzionari e la guerra in Iraq” in World Revolution n.264
[3] “Réunion publique à Paris du comité “pas de guerre, sauf la guerre de classe”, disponibile sul sito web del GIGC.
[4] Da Junius brochure (1915)
[5] World Revolution n.250
[6] Il rapporto pubblicato dalla TCI sull'azione del comitato che ha creato, sempre con il GIGC, a Montreal è edificante a tale proposito
Pubblichiamo qui una dichiarazione di alcuni compagni turchi sul terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria. Salutiamo la rapida risposta dei compagni a questi terribili eventi. Come si evince dalla dichiarazione, questa catastrofe "naturale" è stata resa molto più letale dalle insensibili esigenze del profitto e della concorrenza capitalista. Gli effetti particolarmente catastrofici del recente terremoto illustrano anche l'accentuazione del disprezzo dei borghesi per le vite e le sofferenze della classe operaia e degli oppressi oggi, nel periodo in cui il modo di produzione capitalista si sta decomponendo sotto ogni aspetto. In particolare, un gran numero di vittime è costituito da rifugiati che hanno cercato di mettersi al riparo dalla micidiale guerra imperialista in Siria e che già vivevano in condizioni disastrose. Il confronto in corso tra le fazioni capitaliste in guerra nella regione agirà anche come barriera politica e materiale ai già esigui sforzi di soccorso.
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Non è ancora possibile conoscere con esattezza l'entità degli effetti distruttivi del terremoto che ha avuto luogo a Maraş (6 febbraio 2023), che ha colpito anche le province vicine e la Siria. I media affermano già che più di diecimila edifici sono stati distrutti, migliaia di persone sono morte sotto le macerie e decine di migliaia di persone sono rimaste ferite. Le comunicazioni con alcune città sono state interrotte negli ultimi due giorni. Strade, ponti e aeroporti sono stati distrutti. È stato segnalato un incendio nel porto di Iskenderun. Elettricità, acqua e gas naturale sono interrotti in molte aree. Coloro che sono sopravvissuti al terremoto stanno ora lottando con la fame e il freddo nelle rigide condizioni invernali. Notizie molto gravi arrivano anche dalle zone terremotate della Siria, che è stata occupata militarmente dalla Turchia.
Due grandi terremoti di fila sono certamente insoliti. Tuttavia, contrariamente alle affermazioni della classe dirigente e dei suoi partiti, questo non significa che la distruzione causata dai terremoti sia normale. Gli stucchevoli appelli all'"unità nazionale" da parte dell'opposizione e dei partiti del capitale al potere non possono nascondere il fatto che tutti sanno: il capitalismo e lo Stato sono i principali responsabili di questa distruzione.
1- Sappiamo che il proletariato, come classe, mostrerà ogni tipo di solidarietà in azione con coloro che sono rimasti senza casa, feriti e hanno perso i loro parenti nelle zone del terremoto. Centinaia di lavoratori delle miniere si sono già offerti volontari per partecipare agli sforzi di ricerca e salvataggio nelle zone terremotate. In tutto il mondo, i lavoratori e le squadre di ricerca e soccorso stanno dando prova di solidarietà per aiutare i sopravvissuti. Questa solidarietà, come una delle più grandi armi del proletariato, è una necessità vitale. I proletari non hanno altro di cui fidarsi se non l'un l'altro. Possiamo aspettarci l'emancipazione solo dalla nostra classe, attraverso l'unità, non dalla classe dominante e dal suo Stato.
2- Le passate esperienze di terremoto in Turchia sono la prova degli effetti distruttivi e mortali dell'urbanizzazione che si è sviluppata con l'obiettivo della riproduzione sociale del capitale. L'unica ragione per cui si costruisce in modo incompatibile con il terremoto, con le persone che vengono schiacciate in edifici a più piani, per cui le città sono densamente popolate nelle zone sismiche, è quella di soddisfare le esigenze di manodopera abbondante e a basso costo del capitale. Dopo i terremoti di Gölcük e Düzce, avvenuti 20 anni fa (nella regione di Marmara), questo terremoto dimostra ancora una volta la superficialità di tutte le "misure" adottate dallo Stato e le lacrime di coccodrillo versate dalla classe dirigente. Questo terremoto e i suoi effetti stanno già dolorosamente dimostrando che la ragione principale dell'esistenza dello Stato non è proteggere la popolazione povera e proletaria, ma proteggere gli interessi del capitale nazionale.
3- Allora perché il capitalismo non costruisce un'infrastruttura permanente e solida, anche se i disastri distruggono regolarmente e sistematicamente la sua stessa infrastruttura produttiva? Perché nel capitalismo gli edifici, le strade, le dighe, i porti, in breve, gli investimenti infrastrutturali in generale non sono costruiti pensando alla permanenza o ai bisogni umani. Nel capitalismo, tutti gli investimenti infrastrutturali, siano essi realizzati dallo Stato o da aziende private, sono costruiti con l'obiettivo della redditività e della continuazione del sistema di lavoro salariato. Folte popolazioni sono schiacciate in città inabitabili. Anche se non c'è un terremoto, edifici malsani in cemento che possono durare al massimo 100 anni riempiono le città e le aree rurali. La terribile urbanizzazione capitalista degli ultimi 40 anni ha trasformato le città e persino i villaggi di tutta la Turchia in queste tombe di cemento. Il sistema capitalistico basato sulla produzione di plusvalore può essere sostenuto solo impiegando la maggior quantità possibile di lavoro vivo, cioè di proletari, e mantenendo al minimo gli investimenti in capitale fisso, cioè in infrastrutture. Nel capitalismo, la costruzione è un'attività continua, la permanenza dell'edificio, la sua armonia con l'ambiente e la sua risposta ai bisogni umani sono completamente ignorati. Questa è la regola nel capitalismo occidentale avanzato così come nei capitalismi più deboli dell'Africa e dell'Asia. L'unico obiettivo sociale del capitale e dei suoi Stati è quello di perpetuare lo sfruttamento di un numero sempre maggiore di proletari.
4- L'ordine capitalista non è in grado nemmeno di proporre soluzioni che possano riprodurre il proprio ordine di sfruttamento. Di fronte alle catastrofi "naturali", il capitale non è solo imprudente, ma anche impotente. Vediamo questa impotenza anche nella mancanza di coordinamento delle organizzazioni di soccorso sotto il controllo degli Stati nazionali e nell'incapacità dello Stato nella distribuzione degli aiuti di emergenza. Lo vediamo non solo in Paesi come la Turchia, dove il capitalismo in decadenza è stato colpito più profondamente, ma anche in Paesi al centro del capitalismo, come la Germania, che è stata impotente di fronte alle inondazioni di due anni fa, o gli Stati Uniti, le cui strade e ponti sono crollati durante le inondazioni a causa dell'incuria negli investimenti infrastrutturali.
5- Il fatto che alcuni settori dell'opposizione borghese ritengano lo Stato "inadeguato" ad "aiutare" le vittime del terremoto presenta una prospettiva ingannevole sulla natura dello Stato. Lo Stato non è un'agenzia di aiuti. Lo Stato è l'apparato di violenza collettiva di una classe sfruttatrice minoritaria. Lo Stato protegge gli interessi del capitale. Certamente, poiché il regno del caos in una zona disastrata mostrerà la debolezza della classe dominante e ostacolerà la riproduzione del capitale stesso, lo Stato sarà costretto a organizzare un livello minimo di "aiuto". Ma sembra che lo Stato non sia in grado di fornire nemmeno questo aiuto minimo. Qualunque sia l'intervento dello Stato nel disastro, la sua funzione principale è quella di tenere a freno il proletariato e di competere con gli altri Paesi capitalisti nell'interesse del proprio capitale nazionale. Lo Stato è l'aiuto ideologico e fisico all'accumulazione del capitale, il guardiano delle condizioni che spingono i lavoratori in mortali case-bara di cemento e li lasciano indifesi di fronte ai disastri.
6- Non c'è nulla di "naturale" nelle epidemie, nelle carestie e nelle guerre che abbiamo vissuto negli ultimi anni e i cui effetti si fanno sentire in tutto il mondo. Sebbene non sia possibile prevedere il momento del terremoto prima che si verifichi, le linee di faglia dei terremoti e le possibili magnitudo possono essere previste con certezza. Il principale responsabile di tutti questi disastri è il capitalismo e gli Stati nazionali, l'intera classe dirigente esistente, che organizza la società intorno all'estrazione del plusvalore e del lavoro salariato, che approfondisce la competizione militarista-nazionalista e minaccia l'esistenza e il futuro dell'umanità. Se il capitalismo continua a dominare, se l'umanità continua a rimanere divisa in Stati-nazione e classi, queste catastrofi continueranno a verificarsi, diventando più letali, più distruttive e più frequenti. Questo è il segno più evidente dell'esaurimento del capitalismo. In tutto il mondo, le classi dominanti stanno spingendo l'umanità verso guerre, città terribili e inabitabili, fame e carestie, una gigantesca crisi climatica globale.
Il terremoto che si è verificato a Maraş e dintorni è l'ultima prova concreta e dolorosa che la classe dominante non ha un futuro positivo da offrire all'umanità. Ma questo non deve indurci al pessimismo. La solidarietà che la nostra classe ha dimostrato e dimostrerà in questo terremoto deve darci speranza. Le catastrofi sono devastanti non perché non abbiano una soluzione, ma perché la nostra classe, il proletariato, non ha ancora la fiducia in sé stessa per cambiare il mondo e salvare l'umanità dal flagello del capitale. Le risorse dell'umanità e della terra sono sufficienti per costruire abitazioni e insediamenti permanenti e sicuri che ci proteggano dalle catastrofi. La strada si aprirà quando il proletariato, l'unica forza che può mobilitare le risorse del mondo per la liberazione, svilupperà la fiducia in sé stesso e si impegnerà in una lotta mondiale per prendere il potere dalla classe capitalista corrotta.
Un gruppo di comunisti internazionalisti dalla Turchia
Per una volta, ringraziamo il GIGC per averci dato l'occasione di ricordare cosa è veramente questo gruppo. A tal fine, riproduciamo qui di seguito (per intero, comprese le note a piè di pagina) il loro piccolo articolo che, a quanto risulta dal titolo, avrebbe dovuto segnalare la nostra impasse e le nostre contraddizioni sulla questione del parassitismo. E per i nostri lettori, rispondiamo subito dopo.
L'atteggiamento politicamente responsabile e fraterno della delegazione della CCI alla riunione del comitato “No alla guerra, tranne la guerra di classe [17]” (NWBCW) a Parigi - che salutiamo – ha potuto sorprendere. L'incontro non è stato organizzato su iniziativa del GIGC, che essa [la CCI] denuncia come “gruppo parassita” e “agenzia dello Stato borghese” (Rivoluzione Internazionale 446), e della TCI, che critica per le sue concessioni opportuniste al parassitismo?
La presidenza di questa riunione, composta da tre compagni, non comprendeva forse due ex membri, Olivier e Juan, che nel 2002 sono stati espulsi e denunciati pubblicamente sulla stampa internazionale e definiti “nazisti, stalinisti, ladri, ricattatori, delinquenti, lumpen, calunniatori, provocatori, sbirri”? Eppure, durante l'incontro pubblico, non c’è stata alcuna denuncia dei presunti parassiti e poliziotti. Non è stato dato alcun avvertimento agli altri partecipanti che stavano assistendo a un incontro tenuto da una “agenzia di polizia”[1]. Nessun ultimatum che esiga l'esclusione dalla riunione... dei suoi stessi organizzatori.
O i militanti e i simpatizzanti attivi che compongono la delegazione della CCI non credono a una sola parola delle risoluzioni e degli altri articoli pubblicati che denunciano il GIGC e i suoi membri – a cui è interdetta la partecipazione alle riunioni pubbliche della CCI; oppure hanno dimostrato una concessione opportunista particolarmente grave non solo al cosiddetto parassitismo, ma persino ai cosiddetti “agenti provocatori dello Stato”.
Lasciamo la CCI di fronte alle sue contraddizioni sempre più clamorose e lampanti.
Il GIGC, dicembre 2022
Il GIGC ha ragione, la CCI è intervenuta alla prima riunione del comitato No War But The Class War con un “atteggiamento politicamente responsabile”. E infatti non abbiamo denunciato i due individui che si trovavano al presidium, Olivier e Juan, anche se si tratta di delatori. Perché no? Il GIGC gongola, credendo che questo sia una prova dei nostri presunti dubbi o del nostro presunto opportunismo.
La causa del nostro “atteggiamento politicamente responsabile” non può che sfuggire completamente al GIGC: la nostra ragion d'essere non è il GIGC, ma la classe operaia. Questa riunione è stata ufficialmente convocata da un “comitato” e non da gruppi politici. Siamo intervenuti a una riunione di un comitato, un comitato che si chiama No War But The Class War, un comitato che annuncia di affrontare la guerra imperialista, un comitato che mostra nel suo appello autentiche posizioni internazionaliste, un comitato che, di per sé, deve rappresentare il raro, difficile e prezioso sforzo della nostra classe di organizzarsi per discutere e opporsi alla barbarie di questo sistema decadente.
Oggi i lavoratori in cerca di posizioni di classe sono pochi, e ancora meno sono quelli che fanno lo sforzo di riunirsi. Questo è ciò che un comitato dovrebbe essere per noi, un luogo prezioso di chiarificazione della nostra classe, da difendere e mantenere vivo. In questo senso, abbiamo incoraggiato tutti i nostri contatti a partecipare.
Il nostro timore era che questo comitato portasse i suoi partecipanti in un vicolo cieco. Perché oggi le lotte della classe operaia non sono contro la guerra ma contro la crisi economica; quindi questo comitato rischiava di essere un guscio vuoto, privo della vita reale della classe, un comitato fuori dal terreno di classe, artificiale, e che quindi spingeva i suoi pochi partecipanti a compiere azioni che non corrispondono alla realtà delle dinamiche della nostra classe. Un comitato che infine indebolisce la difesa dell'internazionalismo, semina confusione e finisce per sprecare le scarse forze che emergono[2].
Per questo motivo la CCI ha scelto consapevolmente di intervenire in modo deciso per difendere l'internazionalismo, posizione cardine della Sinistra comunista, e per mettere in guardia i partecipanti su ciò che per noi costituisce fin dall'inizio la fragilità dei comitati NWBCW, la dimensione artificiale di questi comitati “di lotta”. Questa è stata la posizione che abbiamo difeso in due interventi, che è effettivamente un “atteggiamento politicamente responsabile”.
Al posto dei “comitati di lotta”, oggi si potrebbero prospettare circoli di discussione e riflessione di minoranze politicizzate sul tema della guerra. Per quanto riguarda la formazione di comitati di lotta, essa potrebbe effettivamente svolgere un ruolo se motivata dalla necessità di fare chiarezza e di intervenire di fronte agli attacchi economici. Questo è ciò che abbiamo ritenuto prioritario, il tema centrale di questo incontro e del nostro intervento. Intervenire sul fatto che due persone presenti in sala sono effettivamente pronte a fare di tutto per distruggere la CCI, che questa è fondamentalmente la loro ragion d'essere, che hanno già commesso un'incredibile lista di misfatti, fino a fare la spia (!), tutto ciò avrebbe focalizzato il dibattito su questa questione e quindi deviato la discussione.
Ma visto che il GIGC lo chiede, non vogliamo deluderla. Ecco un piccolo promemoria del pedigree di questi due individui. Questi due individui provengono dalla cosiddetta “Frazione interna della CCI” (FICCI), un mini gruppuscolo di ex membri della CCI espulsi per aver fatto la spia nel 2003 al nostro 15° Congresso internazionale. Non fu l'unica infamia di cui si resero responsabili questi elementi che, rinnegando i principi fondamentali del comportamento comunista, si distinsero anche per atteggiamenti tipicamente malavitosi, come calunnie, ricatti e furti. Per questi altri comportamenti, pur essendo molto gravi, la CCI non aveva pronunciato un'esclusione nei loro confronti, ma una semplice sospensione. In altre parole, era ancora possibile per questi elementi rientrare un giorno nell'organizzazione, a condizione ovviamente che restituissero il materiale e il denaro che avevano rubato e che si impegnassero a rinunciare a comportamenti che non trovano posto in un'organizzazione comunista. Il motivo per cui la CCI decise infine di escluderli fu che avevano pubblicato sul loro sito web (cioè in piena vista di tutte le forze di polizia del mondo) informazioni interne che facilitavano il lavoro della polizia[3]:
- la data della conferenza della nostra sezione in Messico, alla quale avrebbero dovuto partecipare militanti di altri paesi. Questo atto disgustoso della FICCI, che facilitava l'opera repressiva dello Stato borghese, è tanto più spregevole in quanto i suoi membri sapevano benissimo che alcuni dei nostri compagni in Messico erano già stati vittime della repressione in passato e che alcuni erano stati costretti a fuggire dai loro paesi d'origine;
- le vere iniziali di un nostro compagno presentato da loro come “il capo della CCI”, con la precisazione che era l'autore di tale e tale testo dato il “suo stile” (che è un'indicazione interessante per i servizi di polizia);
- la regolare pubblicazione nel loro bollettino dei risultati del lavoro di spionaggio sulla nostra organizzazione, comprese le informazioni direttamente collegate al lavoro di un informatore della polizia.
Va notato che prima di procedere alla loro espulsione, la CCI aveva inviato una lettera individuale a ciascuno dei membri della FICCI chiedendo loro se fossero solidali con questi delatori. La FICCI ha infine risposto a questa lettera rivendicando collettivamente la responsabilità dell'infame comportamento. Va inoltre sottolineato che a ciascuno di questi elementi è stata data la possibilità di presentare la propria difesa davanti al Congresso della CCI o a una commissione di 5 membri della nostra organizzazione, 3 dei quali potevano essere designati dagli stessi membri della FICCI. Questi coraggiosi individui, consapevoli che il loro comportamento era indifendibile, rifiutarono queste ultime proposte della CCI.
Invece, questa “FICCI” ha poi inviato un “Bollettino comunista” agli abbonati della nostra pubblicazione in Francia (il cui archivio di indirizzi era stato rubato dai membri della FICCI molto prima che lasciassero la nostra organizzazione) per dire loro più e più volte che la CCI era in preda a una degenerazione opportunista e stalinista. E non è ancora finita!
Nel 2005, prima di una delle nostre riunioni pubbliche, uno dei membri della FICCI ha minacciato di uccidere uno dei nostri militanti. Portando sempre un coltello alla cintura, gli sussurrava odiosamente all'orecchio che gli avrebbe tagliato la gola.
In realtà, potremmo continuare a lungo con questo elenco, poiché ogni “Bollettino comunista” conteneva la sua parte di calunnie.
Nel 2013, la FICCI ha assunto il nuovo nome di “Gruppo Internazionale della Sinistra Comunista” (in francese GIGC). Più precisamente, questo nuovo gruppo è il risultato della fusione tra una parte del gruppo Klasbatalo di Montreal e la FICCI.
Ma sono stati i modi violenti e l'odio dei membri della FICCI verso la CCI a colorare immediatamente la politica e l'attività di questo gruppo. Così, appena nato, questo GIGC ha iniziato a lanciare l'allarme e a gridare a squarciagola di essere in possesso dei Bollettini interni della CCI. Esibendo il loro trofeo di guerra e sollevando un tale polverone, il messaggio che questi delatori patentati stavano cercando di trasmettere era molto chiaro: c'è una “talpa” nella CCI che lavora a braccetto con l'ex-FICCI! Si trattava chiaramente di un lavoro di polizia con l'unico obiettivo di seminare sospetti, disordini e discordia all'interno della nostra organizzazione.
Sono gli stessi metodi utilizzati dalla polizia politica di Stalin, la Ghepeù, per distruggere il movimento trotzkista dall'interno negli anni Trenta. Questi sono gli stessi metodi usati dai membri dell'ex-FICCI quando nel 2001 hanno fatto viaggi “speciali” in diverse sezioni della CCI per organizzare riunioni segrete e diffondere voci sul fatto che uno dei nostri compagni (la “moglie del capo della CCI”, come hanno detto loro) fosse un “poliziotto”. La stessa procedura per cercare di diffondere il panico e distruggere la CCI dall'interno nel 2013 è stata ancora più spregevole: con l'ipocrita pretesto di voler “tendere la mano” ai militanti della CCI e salvarli dalla “demoralizzazione”, questi informatori professionisti stavano in realtà inviando il seguente messaggio a tutti i militanti della CCI: “C'è un traditore (o più di uno) tra di voi che ci sta dando i vostri Bollettini interni, ma non vi daremo il suo nome perché spetta a voi cercarlo da soli!” Questo è il vero e continuo obiettivo di questo “gruppo internazionale”: cercare di introdurre il veleno del sospetto e della sfiducia nella CCI per tentare di distruggerla dall'interno. È una vera e propria impresa di distruzione il cui grado di perversione non ha nulla da invidiare ai metodi della polizia politica di Stalin e della Stasi.
In diverse occasioni abbiamo già interpellato pubblicamente il GIGC sul modo in cui i nostri bollettini interni sono arrivati nelle loro mani. C'era un complice infiltrato nella nostra organizzazione? La polizia stessa li ha ottenuti violando i nostri computer e poi li ha trasmessi al GIGC con qualche mezzo? Se il GIGC fosse stata un'organizzazione responsabile e non una banda di delinquenti, avrebbe voluto risolvere questo mistero e informare il milieu politico dei risultati delle sue indagini. Invece, ha sempre evitato questa domanda, che continueremo a porgli pubblicamente.
Il loro ultimo articolo, che abbiamo riprodotto integralmente qui sopra, non fa eccezione a questi metodi nauseanti. Ciò che possiamo riconoscere al GIGC, almeno, è la sua coerenza.
Tuttavia, attraverso questo articolo, non è all'interno della CCI che il GIGC sta cercando di seminare divisione, sospetto e sfiducia, ma all'interno dell'intera Sinistra comunista. Scrivendo “L'incontro non è stato organizzato su iniziativa del GIGC, che essa [la CCI] denuncia come ‘gruppo parassita’ e ‘agenzia dello Stato borghese’ (Rivoluzione Internazionale 446), e della TCI, che critica per le sue concessioni opportuniste al parassitismo?", il GIGC mette volontariamente insieme la nostra denuncia dei costumi delinquenziali di questo gruppo parassita e la nostra lotta contro l'opportunismo della TCI. Il GIGC, degno erede della FICCI, ha la funzione di distruggere i principi della Sinistra comunista, di diffondere sfiducia e divisione. L'odio dei membri dell'ex-FICCI verso la CCI prevale e colora tutta la politica di questo gruppo, qualunque sia il livello di coscienza dei suoi vari membri integrati successivamente. Si tratta quindi di una lotta contro un gruppo che, con la scusa di difendere le posizioni della Sinistra comunista, difende oggettivamente gli interessi del campo borghese[4] facendo propria la sua peggiore morale e i suoi atteggiamenti.
La lotta contro l'opportunismo si svolge all'interno del campo proletario stesso. L'intera storia del movimento operaio dimostra che questa è una debolezza costante che incancrenisce il campo proletario. Si tratta quindi di combattere l'opportunismo con la polemica più ferma e fraterna possibile, all'interno del campo politico proletario. Questa lotta si svolge non solo tra organizzazioni rivoluzionarie, ma anche al loro interno. La storia della CCI dimostra che da 50 anni essa lotta contro derive di questo tipo.
Questi metodi di assimilazione, di confusione deliberata da parte del GIGC per seminare disorientamento e sfiducia, sono abietti.
Per parafrasare Rosa Luxemburg: mentire, fare la spia, sguazzare nella calunnia, infangare: ecco come si presenta il parassitismo, ecco ciò che è. Non è quando i suoi protagonisti si danno dalla tribuna del presidium di un comitato l'aria di rispettabilità e di filosofia, di moralità e di apertura, di dibattito e di fraternità, è quando il parassitismo assomiglia a una bestia rabbiosa, quando danza il sabba della delinquenza, quando soffia il sospetto sulla Sinistra comunista e sui suoi principi, che esso si mostra nudo, che mostra cosa è veramente.
CCI, 15 gennaio 2023
[1] Conférence-débat à Marseille sur la Gauche communiste: le Docteur Bourrinet, un faussaire qui se prétend historien [18]
[2] Non possiamo sviluppare qui la nostra posizione, rimandiamo i lettori al nostro articolo “NWBCW a Parigi, Un comitato che trascina i partecipanti in un vicolo cieco [19]”
[3] Il GIGC sfoggia apertamente il suo approccio poliziesco. Dal 2005, infatti, dei documenti relativi alle discussioni interne alla CCI sono disponibili sul sito web “GIGC / Bollettino comunista internazionale”.
[4] Questa difesa non opera attraverso la difesa di un programma borghese. Infatti, come evidenziano le nostre tesi sul parassitismo [20] (Costruzione dell'organizzazione rivoluzionaria. Tesi sul parassitismo [20]): “Già Marx ed Engels [...] caratterizzavano come parassiti quegli elementi politicizzati che, pur affermando di aderire al programma e alle organizzazioni del proletariato, concentrano i loro sforzi nella lotta, non contro la classe dominante, ma contro le organizzazioni della classe rivoluzionaria”.
Il 19 e 31 gennaio, più di un milione di noi è sceso in piazza per mobilitarsi contro la nuova riforma delle pensioni. Il governo sostiene che questa rabbia è dovuta a una "mancanza di spiegazioni", a una "mancanza di pedagogia" da parte sua. Ma abbiamo capito molto bene! Con questa ennesima riforma, l'obiettivo è chiaro: sfruttarci sempre di più e tagliare le pensioni di tutti coloro che, a causa di licenziamenti o malattie, non potranno terminare gli anni di servizio. Lavorare fino allo sfinimento per una misera pensione, ecco cosa ci aspetta.
Ma "a un certo punto, quando è troppo è troppo!". Questa espressione è stata usata così spesso durante i cortei da finire sulle prime pagine dei giornali. È quasi la stessa frase che gli scioperanti usano da mesi nel Regno Unito: “Enough is enough”, "Quando è troppo è troppo". E non è un caso. Il legame che ci unisce è evidente: lo stesso degrado delle nostre condizioni di vita e di lavoro, gli stessi attacchi, la stessa inflazione e la stessa crescente combattività. Perché sì, "ora basta". La riforma delle pensioni, l'impennata dei prezzi, i ritmi infernali, la carenza di personale, i salari miserabili... e che dire della nuova riforma dell'assicurazione contro la disoccupazione, una misura rivoltante che riduce del 25% la durata dell'indennizzo e permetterà ai beneficiari di essere licenziati a piacimento! E tutto in nome di statistiche e bugie sulla "riduzione della disoccupazione".
Con più di un milione di persone in piazza dieci giorni fa, e forse anche di più oggi, 31 gennaio, la classe operaia dimostra ancora una volta ciò che fa la sua forza: la capacità di entrare massicciamente in lotta. Disoccupati, pensionati, futuri lavoratori, impiegati, di tutti i mestieri, di tutti i settori, pubblici o privati, gli sfruttati formano una stessa classe animata da un unico sentimento di solidarietà: Uno per tutti, tutti per uno! Da mesi ci sono piccoli scioperi ovunque in Francia, nelle fabbriche e negli uffici. La loro moltitudine riflette il livello di rabbia nelle file della classe operaia. Ma poiché sono isolati gli uni dagli altri, questi scioperi sono impotenti; esauriscono i più combattivi in lotte senza speranza. Gli scioperi corporativi e settoriali portano solo alla sconfitta di tutti, ognuno perde nel suo angolo, ognuno al suo turno, uno dopo l'altro. L'organizzazione di lotte corporative e settoriali è solo l'incarnazione moderna del vecchio adagio delle classi dominanti: "Dividi e comanda". Di fronte a questa frammentazione, sotto l'impatto dei continui attacchi alle nostre condizioni di vita e di lavoro, sentiamo sempre di più che dobbiamo rompere questo isolamento, che siamo tutti sulla stessa barca, che dobbiamo lottare tutti insieme. Il 19 gennaio, con più di un milione di persone in piazza, per restare insieme, non c'era solo gioia ma anche un certo orgoglio nel far vivere la solidarietà operaia.
Con più di un milione di persone in strada, l'atmosfera si carica di un nuovo umore. C'è la speranza di poter vincere, di poter far indietreggiare il governo, di farlo piegare sotto il peso dei numeri. È vero, solo la lotta può rallentare gli attacchi. Ma essere numerosi è sufficiente? Anche nel 2019 ci siamo mobilitati in modo massiccio e la riforma delle pensioni è stata approvata. Nel 2010, contro quella che doveva essere l'ultima riforma delle pensioni, solenne promessa, abbiamo organizzato quattordici giorni di manifestazioni! Nove mesi di lotta! Queste marce hanno riunito milioni di manifestanti per diverse volte di seguito. Per quale risultato? La riforma delle pensioni è stata approvata. D'altra parte, nel 2006, dopo poche settimane di mobilitazione, il governo ha ritirato il suo "Contrat Première Embauche - CPE- Contratto di Primo Impiego". Perché è successo? Qual è la differenza tra questi movimenti? Cosa ha spaventato la borghesia nel 2006, al punto da farla indietreggiare così rapidamente? Nel 2010 e nel 2019 eravamo numerosi, eravamo uniti e determinati, ma non eravamo uniti. Potevamo essere milioni, ma eravamo uno dietro l'altro. Le manifestazioni consistevano nel venire con i colleghi, marciare con i colleghi sotto il rumore assordante dei sistemi audio e andarsene con i colleghi. Nessuna assemblea, nessun dibattito, nessuna vera riunione. Queste manifestazioni si sono ridotte all'espressione di una semplice marcia.
Nel 2006, gli studenti precari avevano organizzato massicce assemblee generali nelle università, aperte a lavoratori, disoccupati e pensionati, e avevano proposto uno slogan unificante: la lotta contro la precarizzazione e la disoccupazione. Queste Assemblee Generali erano i polmoni del movimento, là dove si tenevano i dibattiti e si prendevano le decisioni. Il risultato: ogni fine settimana le manifestazioni hanno riunito sempre più settori. Lavoratori stipendiati e pensionati si sono uniti agli studenti, sotto lo slogan "Giovani lardoni, vecchi crostini, tutti la stessa insalata". La borghesia francese e il governo, di fronte a questa tendenza all'unificazione del movimento, non hanno avuto altra scelta che ritirare il CPE.
Nei cortei di oggi, il riferimento al maggio 68 viene fatto regolarmente. Questo movimento ha lasciato una traccia straordinaria nella memoria dei lavoratori. E proprio nel 1968 il proletariato francese si è unito prendendo in mano le proprie lotte. Dopo le grandi manifestazioni del 13 maggio per protestare contro la repressione poliziesca subita dagli studenti, gli scioperi e le assemblee generali si sono diffusi a macchia d'olio nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro per sfociare, con 9 milioni di scioperanti, nel più grande sciopero della storia del movimento operaio internazionale. Molto spesso, questa dinamica di estensione e di unità si è sviluppata al di fuori del controllo dei sindacati e molti lavoratori hanno strappato la tessera sindacale dopo gli accordi di Grenelle del 27 maggio tra sindacati e imprenditori, accordi che hanno seppellito il movimento.
Oggi, noi, lavoratori dipendenti, disoccupati, pensionati, studenti precari, non abbiamo ancora fiducia in noi stessi, nella nostra forza collettiva, per osare prendere in mano le nostre lotte. Ma non c'è altro modo. Tutte le "azioni" proposte dai sindacati portano alla sconfitta. Solo la riunione in assemblee generali aperte e massicce, autonome, che decidono realmente sulla condotta del movimento, può costituire la base di una lotta unitaria, portata avanti dalla solidarietà tra tutti i settori, tutte le generazioni. Assemblee generali in cui ci sentiamo uniti e fiduciosi nella nostra forza collettiva.
Non bisogna farsi illusioni, la storia lo ha dimostrato mille volte: oggi i sindacati mostrano la loro "unità" e chiamano alla mobilitazione generale, domani si contrapporranno per meglio dividerci e meglio smobilitarci. E hanno già iniziato:
La riforma delle pensioni viene fatta in nome dell'equilibrio di bilancio, della giustizia e del futuro. Il 20 gennaio Macron ha annunciato con grande clamore un budget militare record di 400 miliardi di euro! Questa è la realtà del futuro promesso dalla borghesia: più guerra e più miseria. Il capitalismo è un sistema sfruttatore, globale e decadente. Porta l'umanità verso la barbarie e la distruzione. La crisi economica, la guerra, il riscaldamento globale, la pandemia non sono fenomeni separati, sono tutti flagelli dello stesso sistema morente.
Quindi le nostre attuali lotte non sono solo una reazione alla riforma delle pensioni o al deterioramento delle nostre condizioni di vita. Fondamentalmente, sono una reazione alle dinamiche generali del capitalismo. La nostra solidarietà nella lotta è l'antitesi della competizione all'ultimo sangue di questo sistema diviso in imprese e nazioni in concorrenza tra loro. La nostra solidarietà tra generazioni è l'antitesi del no future e della spirale distruttiva di questo sistema. La nostra lotta simboleggia il rifiuto di sacrificarci sull'altare dell'economia di guerra. Ecco perché ogni sciopero porta con sé i semi della rivoluzione. La lotta della classe operaia è immediatamente una messa in discussione delle basi stesse del capitalismo e dello sfruttamento.
La nostra lotta attuale prepara le lotte future. Non ci sarà tregua. Mentre sprofonda nella crisi economica mondiale, nella sua folle corsa al profitto, ogni borghesia nazionale non si fermerà finché non attaccherà le condizioni di vita e di lavoro del proletariato.
I lavoratori più combattivi e determinati devono raggrupparsi, discutere e riappropriarsi delle lezioni del passato, per preparare la lotta autonoma di tutta la classe operaia. È una necessità. È l'unico modo possibile.
Corrente Comunista Internazionale (2 febbraio 2023)
Marciare l'uno dietro l'altro e poi andarsene nel proprio angolo è sterile. Per essere veramente uniti nella lotta, dobbiamo incontrarci, discutere e imparare insieme le lezioni delle lotte presenti e passate. Dobbiamo prendere in mano le nostre lotte.
Ovunque sia possibile, sul posto di lavoro o qui, sui marciapiedi, nelle piazze, alla fine delle manifestazioni, dobbiamo riunirci e discutere.
Se leggendo questo volantino condividete questo desiderio di riflettere insieme, di organizzarci, di prendere in mano le lotte, allora non esitate a venirci a trovare alla fine della manifestazione per continuare il dibattito.
L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi.
Mentre due anni fa molti osservatori sostenevano che la Cina fosse la grande vincitrice della crisi Covid, gli eventi recenti sottolineano che essa si trova invece a dover affrontare la persistenza della pandemia, un significativo rallentamento della crescita economica, la bolla immobiliare, maggiori ostacoli allo sviluppo della "Nuova Via della Seta", la forte pressione imperialista degli Stati Uniti: in breve, la prospettiva di grandi turbolenze.
Dalla fine del 2019, la Cina soffre di una crisi pandemica che ha ampiamente paralizzato la sua popolazione e la sua economia. Negli ultimi tre anni, la politica dello "zero Covid" voluta dal presidente Xi ha portato a enormi e interminabili confinamenti, come nel novembre 2022, quando ben 412 milioni di cinesi sono stati rinchiusi in condizioni terribili in varie regioni della Cina, spesso per diversi mesi. Sostenendo che la Cina sarebbe stata la prima a domare la pandemia attraverso la sua politica "zero Covid", Xi e il PCC hanno rifiutato le strategie internazionali anti-Covid e la ricerca medica. Di conseguenza, si sono ritrovati bloccati in una logica economicamente e socialmente catastrofica, senza una vera alternativa: i vaccini cinesi sono largamente inefficaci, il sistema ospedaliero non è in grado di assorbire l'ondata di infezioni derivante da una politica meno restrittiva (Cuba ha un numero di medici e di letti ospedalieri pro capite quattro volte superiore a quello della Cina), tanto più che la corruzione dell'amministrazione politica delle province rende impossibile ottenere dati affidabili sull'evoluzione della pandemia (si tende a camuffare le cifre per evitare la disgrazia politica).
Le autorità cinesi si trovano quindi di fronte a un muro di mattoni. Di fronte all'esplosione della protesta sociale contro l'orribile disumanità dell'internamento di massa, hanno bruscamente abbandonato la politica "zero Covid" senza essere in grado di proporre la benché minima alternativa: senza livelli significativi di immunità acquisita, senza vaccini efficaci e senza scorte sufficienti di farmaci, senza una politica di vaccinazione dei più vulnerabili, senza un sistema ospedaliero in grado di assorbire lo shock, l'inevitabile catastrofe si è effettivamente verificata: I malati fanno la fila per entrare in ospedali sovraffollati e i cadaveri si accumulano davanti a crematori strapieni, decine di migliaia di persone muoiono a casa, gli obitori traboccano di cadaveri, le autorità sono totalmente sopraffatte e incapaci di far fronte all'onda anomala: le proiezioni prevedono 1,7 milioni di morti e decine di milioni di persone pesantemente colpite dall'attuale esplosione del virus.
Da diversi anni, la Cina è sottoposta a un'intensa pressione economica e militare da parte degli Stati Uniti, sia direttamente a Taiwan e attraverso la formazione dell'alleanza AUKUS, ma anche indirettamente in Ucraina. Infatti, più la guerra in Ucraina si trascina, più la Cina subisce danni attraverso il collasso del suo principale partner sulla scena imperialista, la Russia, ma soprattutto attraverso l'interruzione delle rotte europee del progetto della "Nuova Via della Seta".
D'altra parte, pesa anche l'esplosione del caos e dell'ognuno per sé, intensificato dalla politica aggressiva degli Stati Uniti, come dimostra il precipitare dell'Etiopia, uno dei principali perni della Cina in Africa, nella guerra civile. I piani di espansione della "Nuova Via della Seta" sono in difficoltà anche a causa dell'aggravarsi della crisi economica: quasi il 60% del debito nei confronti della Cina è oggi dovuto a Paesi in difficoltà finanziaria, rispetto ad appena il 5% del 2010. A ciò si aggiunge l'intensificarsi delle pressioni economiche da parte degli Stati Uniti, in particolare con l'Inflation Reduction Act e il Chips in USA Act, decreti che sottopongono le esportazioni di prodotti tecnologici di varie aziende tecnologiche cinesi (ad esempio Huawei) verso gli Stati Uniti a pesanti restrizioni attraverso tariffe protezionistiche, sanzioni contro la concorrenza sleale, ma soprattutto il blocco del trasferimento tecnologico e della ricerca.
I ripetuti blocchi e poi lo tsunami di infezioni che ha portato al caos del sistema sanitario, la bolla immobiliare e il blocco di varie vie della "Via della Seta" a causa di conflitti armati o del caos circostante hanno causato un fortissimo rallentamento dell'economia cinese. La crescita nel primo semestre di quest'anno è stata del 2,5%, rendendo irraggiungibile l'obiettivo del 5% per quest'anno. Per la prima volta in trent'anni, la crescita economica della Cina sarà inferiore a quella degli altri Paesi asiatici. Grandi aziende tecnologiche e commerciali come Alibaba, Tencent, JD.com e iQiyi hanno licenziato tra il 10 e il 30% del loro personale. I giovani sono in difficoltà, con un tasso di disoccupazione stimato al 20% tra gli studenti universitari in cerca di lavoro.
Di fronte alle difficoltà economiche e sanitarie, la politica di Xi Jinping era stata quella di tornare alle ricette classiche dello stalinismo:
- economicamente, fin dall'amministrazione di Deng Xiao Ping, la borghesia cinese aveva creato un meccanismo fragile e complesso per mantenere un partito unico onnipotente che conviveva con una borghesia privata, stimolata direttamente dallo Stato. Ora, "entro la fine del 2021, l'era delle riforme e dell'apertura di Deng Xiaoping è chiaramente finita, sostituita da una nuova ortodossia economica statalista"[1]. La fazione dominante dietro Xi Jinping tende quindi a rafforzare il controllo assoluto dello Stato sull'economia e a chiudere la prospettiva del rinnovamento economico e della relativa apertura dell'economia al capitale privato.
- Sul fronte sociale, con la politica dello "zero Covid", Xi non solo ha assicurato uno spietato controllo statale sulla popolazione, ma ha anche imposto questo controllo alle autorità regionali e locali, che si erano dimostrate inaffidabili e inefficaci all'inizio della pandemia. Già in autunno ha inviato a Shanghai unità della polizia centrale di Stato per imporre l'ordine alle autorità locali che stavano liberalizzando le misure di controllo.
Tuttavia, mentre la politica dello Stato cinese dal 1989 è stata quella di evitare a tutti i costi qualsiasi turbolenza sociale su larga scala, la fuga degli acquirenti spaventati dalle difficoltà e dai fallimenti dei colossi immobiliari, ma soprattutto le manifestazioni e le rivolte diffuse in molte città cinesi, che esprimono l'esasperazione della popolazione nei confronti della politica "zero Covid", hanno fatto sudare freddo Xi e i suoi sostenitori. Il regime è stato costretto a fare marcia indietro in gran fretta di fronte ai tumulti sociali e ad abbandonare in pochi giorni la politica che aveva mantenuto per tre anni contro ogni critica. Oggi i limiti della politica di Xi Jinping, un ritorno alle ricette classiche dello stalinismo, sono evidenti a tutti i livelli: sanitario, economico e sociale, mentre l'uomo che l'ha imposta, lo stesso Xi Jinping, è stato appena rieletto per un terzo mandato dopo complesse trattative dietro le quinte tra fazioni interne al PCC.
In conclusione, oggi sembra che se il capitalismo di Stato cinese è stato in grado di sfruttare le opportunità offerte dal passaggio dal blocco "sovietico" a quello americano negli anni '70, dall'implosione del blocco "sovietico" e dalla globalizzazione dell'economia voluta dagli Stati Uniti e dalle principali potenze occidentali, le debolezze congenite della sua struttura statale di tipo stalinista sono oggi un grosso handicap di fronte ai problemi economici, sanitari e sociali del Paese e alla pressione aggressiva dell'imperialismo statunitense a cui è sottoposto.
La situazione in Cina è una delle espressioni più caratteristiche dell'"effetto vortice" della concatenazione e della combinazione di crisi che caratterizzano gli anni '20 del XXI secolo. Questo "turbine" di sconvolgimenti e destabilizzazioni sta esercitando una forte pressione non solo su Xi e sui suoi sostenitori all'interno del PCC, ma più in generale sulla politica imperialista cinese. Una destabilizzazione del capitalismo cinese avrebbe conseguenze imprevedibili per il capitalismo globale.
R. Havanais, 15 gennaio 2023
[1] "Foreign Affairs", ripreso da Courrier international n° 1674.
Il 1° febbraio in Gran Bretagna hanno scioperato circa mezzo milione di lavoratori di diversi settori: ferrovie e alcune reti di autobus, dipendenti pubblici e in particolare lavoratori dell'istruzione, sia nelle scuole che nelle università. Si è trattato del maggior numero di lavoratori in sciopero in un solo giorno dall'inizio dell'ondata di scioperi in Gran Bretagna da l'estate scorsa.
In risposta al crescente sentimento della classe operaia che “siamo tutti sulla stessa barca” e dobbiamo lottare insieme, i leader sindacali più combattivi, come Mick Lynch, a cui fanno eco i loro sostenitori nell'estrema sinistra (SWP, ecc.), da qualche tempo utilizzano un linguaggio più radicale, parlando della necessità di unità e solidarietà della classe operaia e persino un’azione di sciopero coordinato[1].
E sebbene finora i sindacati siano stati attenti a evitare grandi manifestazioni di tutti i diversi settori coinvolti nel movimento in corso, il 1° febbraio, a Bristol, una “manifestazione congiunta” tra il settore dell’istruzione, i dipendenti pubblici e i ferrovieri ha visto la partecipazione di circa 3.000 lavoratori; a Londra, a Portland Place, si sono riuniti probabilmente decine di migliaia di manifestanti che hanno marciato verso Westminster. Dominata dagli striscioni della National Education Union e dell'Universities and Colleges Union, c'erano anche piccoli contingenti della RMT (National Union of Rail, Maritime and Transport Workers) e dei sindacati della Sanità e un elevato numero di dipendenti pubblici. Ci sono state inoltre manifestazioni minori in numerose altre città, come Leeds e Liverpool.
Queste manifestazioni sono state molto vive, con una forte presenza di giovani lavoratori, molti dei quali sono arrivati con i loro cartelli fatti in casa e hanno applaudito in modo particolare quando sono arrivavano nuovi gruppi di lavoratori, di qualunque settore. Momenti come questo sono un'occasione per i lavoratori di acquisire coscienza dell'essere parte di un movimento più ampio.
Ma, come affermava il titolo del volantino diffuso dalla nostra sezione in Francia, “Essere numerosi non basta, dobbiamo anche prendere in mano le nostre lotte [22]”. In Francia, sebbene il numero di scioperi fosse di gran lunga inferiore a quello britannico, i sindacati hanno indetto grandi manifestazioni per protestare contro l'aumento dell'età pensionabile da 62 a 64 anni. Nella più recente “giornata di mobilitazione” sono scese in piazza circa 2 milioni di persone. Ma i nostri compagni hanno sottolineato che nelle precedenti lotte contro le riforme delle pensioni, nel 2010 e nel 2019, le grandi manifestazioni da sole non avevano costretto il governo a ritirare i suoi attacchi e le manifestazioni stesse divennero una sorta di evento rituale: “venire con i propri colleghi, camminare sotto il rumore assordante degli impianti audio e ritornare a casa …. Nessuna assemblea, nessun dibattito, nessun vero incontro. Queste manifestazioni si sono ridotte all'espressione di un semplice sfilata”.
Esattamente lo stesso si potrebbe dire delle manifestazioni in Gran Bretagna del 1° febbraio. L'entusiasmo si è manifestato soprattutto all'inizio dei cortei, quando i lavoratori si sono riuniti riconoscendo di prender parte a qualcosa di più ampio che manifestare sul posto di lavoro o nel loro particolare settore, ma una volta che il corteo è giunto alla sua conclusione preorganizzata, dopo aver ascoltato passivamente i pochi discorsi dei sindacalisti, la stragrande maggioranza dei partecipanti ha cercato la stazione della metropolitana più vicina per tornare a casa. Ancora una volta: nessuna assemblea, nessun dibattito, nessun reale incontro.
Lo stesso processo di “depotenziamento” si riscontra con un altro elemento caratteristico dell'attuale ondata di scioperi: il picchetto. L'organizzazione di picchetti all'ingresso dei luoghi di lavoro nei giorni di sciopero è un'espressione elementare di solidarietà, ed è evidente che uno dei compiti di questi picchetti è quello di convincere il maggior numero di lavoratori ad aderire allo sciopero. E l'impegno dei lavoratori nella lotta è stato dimostrato in molte occasioni negli ultimi mesi, quando decine e persino centinaia di lavoratori si sono presentati ai picchetti, ignorando sistematicamente le leggi che limitano formalmente i picchetti a 6 scioperanti.
Ma, come i raduni e i cortei organizzati dai sindacati, dove i lavoratori sono in gran parte divisi nei loro diversi contingenti sventolando le loro specifiche bandiere sindacali, i picchetti “ufficiali” finiscono per accettare le più importanti limitazioni alla lotta imposte dalle cosiddette leggi “anti-sindacali”, che in realtà hanno lo scopo di evitare che le azioni dei lavoratori sfuggano al controllo sindacale e che proprio per questo vengono rigorosamente applicate dall'apparato sindacale. Quindi, invitare i colleghi del proprio posto di lavoro che appartengono a un altro sindacato o a nessun sindacato a non uscire dal picchetto, e in particolare inviare picchetti in altri posti di lavoro e settori per chiedere loro di unirsi alla lotta: tutto questo è un “picchetto di secondaria importanza” e illegale che contiene il pericolo di una reale unificazione delle lotte dei lavoratori. Il risultato è che i picchetti sotto il controllo del sindacato finiscono per agire come barriere che separano i lavoratori gli uni dagli altri.
Il volantino della nostra sezione francese sottolinea che, mentre le lotte contro le riforme pensionistiche nel 2010 e nel 2019 si sono concluse con una sconfitta, le cose andarono diversamente nel 2006 nella lotta contro il CPE (Contratto di primo impiego), proposta di legge governativa che avrebbe istituzionalizzato la precarietà per chi entrava nel mondo del lavoro: “Nel 2006 gli studenti precari hanno organizzato assemblee general nelle università, aperte a lavoratori, disoccupati e pensionati, hanno lanciato uno slogan unificante: la lotta alla precarietà e alla disoccupazione. Queste assemblee erano i polmoni del movimento, dove si tenevano i dibattiti, dove si prendevano le decisioni. Risultato: ogni fine settimana, le manifestazioni riunivano sempre più settori. Lavoratori salariati e pensionati si sono uniti agli studenti, con lo slogan: ‘Giovane pancetta, vecchi crostini, ma la stessa insalata’. La borghesia francese e il governo, di fronte a questa tendenza all'unificazione del movimento, non hanno avuto altra scelta che ritirare il loro CPE”.
Ciò che costringe la classe dominante a fare marcia indietro - anche se non può più concedere miglioramenti duraturi alle condizioni di vita della classe operaia - è vedere una classe operaia che minaccia di superare tutte le divisioni operate dal sindacato e di organizzare questa unità attraverso le proprie assemblee generali e l’elezione di comitati di sciopero, embrioni dei futuri consigli operai. Le attuali lotte della classe operaia in Gran Bretagna e in altri paesi – anche se ancora sotto il peso dell'ideologia corporativista che vede ogni settore con delle specifiche controversie con i datori di lavoro, con le sue rivendicazioni particolari – contengono il potenziale per questo riemergere della classe operaia come vero potere nella società, come forza per cambiare radicalmente la società.
Per questo anche le più piccole assemblee di lavoratori, sia nei picchetti che nei comizi e nei cortei, che cominciano a chiedersi perché le lotte sono ancora così divise, che non si accontentano della vuota retorica dei sindacati, che pongono il problema di quale sia il modo più efficace di lottare, rappresentano un passo importante nella lotta che i rivoluzionari devono incoraggiare in ogni occasione.
Amos 4 febbraio 2023
[1] Vedi in particolare: The unions don’t unite our struggle – they organise its division! [23]
Bambini piccoli che muoiono di freddo nelle case umide, scolari che fingono di mangiare da cestini vuoti: queste sono tra le illustrazioni più parlanti della "crisi del costo della vita" che, da quando è esplosa nel 2021, sta colpendo la classe operaia. La crescita dei prezzi dei generi alimentari, l'aumento vertiginoso dei costi del gas e dell'elettricità sono una realtà concreta per milioni di lavoratori.
Secondo le statistiche ufficiali, un quarto della popolazione, 14,5 milioni di persone, soffre la povertà alimentare. Tra questi 4,3 milioni di bambini, 2,1 milioni di pensionati e 8,1 milione di persone in età lavorativa. Il numero di banche alimentari in Gran Bretagna è in aumento: ve ne sono ora più di 2500 che assistono nuove categorie di “poveri”, tra cui lavoratori attivi. E di recente hanno esaurito le scorte, in parte a causa delle richieste fatte e in parte per la difficoltà a trovare donazioni. Le famiglie devono limitare il cibo, costrette a scegliere tra mangiare e riscaldarsi. Allo stesso tempo, "più di 5 milioni di famiglie si trovano in condizioni di povertà energetica, il che significa che spendono più del 10% del loro reddito per il gas e l'elettricità, faticando a mantenere le loro case calde. Le famiglie numerose potrebbero addirittura spendere un quarto del loro reddito disponibile per l'energia".[1] La Fondazione Resolution (che si occupa del miglioramento delle condizioni di vita degli indigenti) ha previsto che la povertà assoluta (cioè quando il reddito familiare è inferiore al livello necessario per soddisfare i bisogni di base) aumenterà dal 17% del 2021-2022 al 22% nel 2022-2023. Ciò significa un aumento della povertà assoluta di oltre 3 milioni di famiglie di lavoratori. Si ipotizza che 3,2 milioni di adulti in Gran Bretagna si trovino in condizioni di povertà igienica, cioè non possono permettersi prodotti per l'igiene e la cura del corpo.
Per decenni la classe operaia in Gran Bretagna ha visto un deterioramento ininterrotto delle sue condizioni di vita, con tagli al salario sociale – salute e servizi sociali, alloggi, pensioni, riduzioni delle indennità sociali - e un lento deterioramento del potere d'acquisto per coloro che sono ancora occupati. La crescita del salario medio tra il 2007 e il 2021 è stato del 20,1% negli USA, del 11,7% in Francia, del 15,7% in Germania, ma solo del 4,8% in Gran Bretagna. La previsione è che i salari non raggiungeranno il livello del 2008 fino al 2027. Questo sembra molto ottimistico dal momento che gli aumenti salariali sono attualmente del 6,4% (e solo del 3,3% nel settore pubblico) mentre l'inflazione è a due cifre. A tutto ciò si aggiunge un aumento della disoccupazione di oltre mezzo milione di unità, con importanti ripercussioni sui redditi dei lavoratori licenziati.
L'inflazione ha raggiunto le due cifre per la prima volta dopo 40 anni: da circa il 5,4% del dicembre 2021 al 10,1% di luglio 2022 (11,1% in ottobre). È solo la quarta volta in 70 anni che l’inflazione arriva oltre il 10% (tra il 1951-52, tra il 1973-1977 e tra il 1979-82). Alcuni economisti prevedono che l’inflazione continuerà a crescere durante il 2023. Le ultime statistiche ufficiali (Tasso di inflazione per i prezzi al consumo, dicembre 2022) mostrano che l’inflazione è al 13,4%, con l’inflazione per i prodotti alimentari al 16,8%.
Il Prezzo di gas ed elettricità è cresciuto a livelli senza precedenti. Secondo il FMI, le famiglie britanniche sono state colpite dalla crisi energetica più duramente della maggior parte dei Paesi europei. Ma questo brutale sviluppo della crisi in Gran Bretagna non è dovuto solo alla pandemia di coronavirus o alla guerra in Ucraina, che ha colpito tutti i Paesi europei.
Molti prodotti sono aumentati a un ritmo più rapido: nel mese di luglio la benzina ha superato il 45%, il latte magro è attualmente aumentato del 46%, molti altri alimenti sono aumentati tra il 20 e il 40%. L'inflazione alimentare direttamente attribuibile alla Brexit era già al 6%. Lo scorso agosto, la Banca d'Inghilterra ha previsto un periodo di recessione della durata di due anni. Più di recente ha dichiarato che la recessione durerà solo poco più di un anno e che forse il peggio dell'inflazione è alle spalle. Qualunque siano le spiegazioni e le previsioni, l'inflazione è decollata rapidamente in poco tempo e, con l'imprevedibilità dei prezzi dell'energia, delle catene di approvvigionamento e degli sviluppi della guerra in Ucraina, non c'è una base stabile su cui il governo o le imprese possano fare affidamento.
I media britannici sottolineano come la situazione nel Regno Unito sia peggiore che altrove. Così, ad esempio, quando il FMI ha scoperto che le famiglie del Regno Unito erano le più colpite in Europa occidentale dalla crisi energetica, la cosa ha avuto un'adeguata pubblicità. Ma la Gran Bretagna, rispetto ad altri Paesi europei, è rimasta indietro per decenni, a causa di debolezze antiche. Dall'essere l'economia più forte del mondo all'inizio del XX secolo, che esportava beni manifatturieri in tutto il mondo, l'economia britannica è poi peggiorata e diminuita.
Nel 1934 i compagni della sinistra comunista che pubblicavano Bilan analizzarono l'"Evoluzione dell'imperialismo britannico": "I settori che fornivano l'essenziale delle esportazioni britanniche erano il carbone, il ferro e l'acciaio, il tessile, proprio quelli che sarebbero stati più colpiti (...) dalla decomposizione dell'economia britannica, nonché dalla depressione cronica che (...) rosicchiava l'apparato produttivo come un cancro"[2] Il deficit commerciale aumentò notevolmente in quegli anni. Tra il 1924 e il 1931: "Il volume delle importazioni crebbe del 17%, mentre il volume delle esportazioni crollò del 35% nello stesso periodo. Ma qui si vede anche l'insensibilità di una borghesia rentier, (...) che nel 1931, in piena crisi, consumava il 60% in più di beni stranieri rispetto al 1913, mentre tre milioni di lavoratori erano stati espulsi dalla sfera produttiva. Un contrasto violento tipico del capitalismo in decadenza"[3].
In questo contesto la borghesia britannica favorì sempre più il settore finanziario rispetto alle esigenze del settore manifatturiero, relativamente poco competitivo, una decisione che non risolse il peggioramento della sua economia, ma significò solo un ulteriore tuffo nell'abisso del credito e del capitale fittizio, intensificando le contraddizioni della sua economia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonostante il boom del dopoguerra, segnato da un aumento della spesa pubblica nel settore sanitario, delle infrastrutture e dell'istruzione, l'economia britannica continuò ad arretrare. La percentuale delle esportazioni britanniche sul commercio mondiale è scesa da quasi il 12% nel 1948 a circa il 4% nel 1974. Il deficit commerciale della Gran Bretagna era di 200 milioni di sterline nel 1948, ma ha raggiunto i 4,1 miliardi di sterline nel 1974.
Con il ritorno della crisi economica aperta, la continua bassa produttività e la mancanza di competitività costrinsero la borghesia britannica a chiudere molti settori industriali realizzando la più grande deindustrializzazione di qualsiasi altra grande nazione. Allo stesso tempo, fece un altro passo avanti nel potenziamento del settore finanziario britannico, allentando le regole più severe. Questa deregolamentazione ha aiutato Londra a consolidare la sua posizione di grande centro finanziario internazionale.
La deregolamentazione del settore finanziario, che ha dato alle banche piena libertà di giocare con tutte le regole fondamentali della gestione finanziaria, è stata una bomba a orologeria che è esplosa nel 2008 e ha contribuito a portare l'economia britannica sull'orlo del collasso. L'economia britannica non si è mai veramente ripresa dalla "crisi finanziaria" del 2008. Nei dieci anni successivi, le dimensioni dell'economia britannica sono diminuite del 2%, mentre Paesi come Francia e Germania sono cresciuti del 34 e del 27%. La Gran Bretagna è l'unica economia del G7 che non è riuscita a raggiungere i livelli di PIL precedenti alla pandemia entro il 2022.
Come dicevamo nel 2008, "Londra è un importante centro finanziario e la finanza è una parte importante delle imprese di servizi che impiegano l'80% della forza lavoro e producono il 75% del PIL. Del 23% del PIL derivante dalla produzione industriale, il 10% proviene dalla produzione di energia primaria (gas, petrolio e carbone, in declino), un valore insolitamente alto per un Paese sviluppato. Negli anni '70 e '80 si è persa molta industria, in particolare carbone, acciaio e cantieristica. L'evoluzione delle attività produttive verso i servizi e in particolare verso il settore bancario è aumentata dall’ultima recessione ufficiale dei primi anni Novanta. Dopo 10 anni di stagnazione e recessione industriale, i servizi sono ancora più predominanti. Tra il 2000 e il 2005 le attività bancarie sono aumentate del 75%, soprattutto grazie all'edilizia residenziale. Le attività delle banche britanniche sono superiori al PIL e le loro passività estere rappresentano una parte significativa delle passività estere del Regno Unito".[4]
Mentre il governo, per spiegare l’attuale catastrofica situazione economica, punta il dito soprattutto su fattori internazionali (Covid, guerra in Ucraina), l'Office for Budget Responsibility (Ufficio per la responsabilità del bilancio) è chiaro sul fatto che l'uscita della Gran Bretagna dall'UE ha accelerato la riduzione della produttività del Paese, così come le sue importazioni ed esportazioni. Complessivamente, l'OBR stima che nel lungo periodo la produttività si ridurrà di circa il 4% e le importazioni e le esportazioni "saranno inferiori di circa il 15% nel lungo periodo rispetto al caso in cui il Regno Unito fosse rimasto nell'UE". E l'effetto completo della Brexit deve ancora farsi sentire. L'Economist del 19 ottobre 2022 ha descritto la situazione attuale come "Britaly - un Paese di instabilità politica, bassa crescita e subordinazione ai mercati obbligazionari", privo della capacità di recupero dagli scossoni economici. "L'economia britannica nel suo complesso è stata danneggiata in modo permanente dalla Brexit", ha dichiarato l'ex funzionario della Banca d'Inghilterra Michael Saunders a Bloomberg (14 novembre 2022) - "Se non ci fosse stata la Brexit, probabilmente non staremmo parlando di un bilancio di austerità questa settimana. La necessità di aumentare le tasse e di tagliare le spese non ci sarebbe"
"I cambiamenti politici non possono salvare l'economia mondiale dall'oscillazione tra i due pericoli gemelli dell'inflazione e della deflazione, da nuove crisi del credito e da crisi valutarie, che porteranno a brutali recessioni"[5] Le attuali oscillazioni dell'economia britannica hanno dimostrato che non esistono cambiamenti politici benevoli che possano essere adottati dalla borghesia. L'inflazione crescente significa che l'indebitamento del governo andrà ben oltre le previsioni. La scorsa estate, nella battaglia tra Sunak e Truss per diventare Primo Ministro, tutte le loro politiche economiche tendevano a portare verso un ulteriore indebitamento. Che si trattasse di finanziare tagli fiscali da parte di Truss o di affrontare gli effetti dell'inflazione da parte di Sunak, il deficit pubblico era destinato a continuare a crescere.
La stampa della borghesia è piena di previsioni funeste sul futuro dell'economia (insieme alle loro "soluzioni" preferite), ma è compito dei rivoluzionari mostrare che la crisi dell'economia, pur essendo grave (e di lunga durata), è un aspetto della crisi di un modo di produzione in cui la guerra imperialista è diventata una parte fondamentale del suo funzionamento e il degrado ambientale una conseguenza naturale di cosa e come produce. L'economia britannica è la peggiore del G7, e questo è uno dei motivi per cui gli attacchi al tenore di vita sono più brutali. Le debolezze dell'economia britannica risiedono nel declino storico del capitalismo britannico, iniziato molto tempo fa e identificato da Bilan negli anni '30 e dal movimento operaio prima di allora. Lenin, ad esempio, in “Imperialismo, fase suprema del capitalismo” (1917), osserva che "Nel complesso, il capitalismo sta crescendo molto più rapidamente di prima; ma questa crescita non solo sta diventando sempre più ineguale in generale, la sua ineguaglianza si manifesta anche, in particolare, nella decadenza dei paesi più ricchi di capitale (la Gran Bretagna)". La crisi della Gran Bretagna oggi segue ancora la tendenza generale al declino del capitalismo mondiale, tendenza che è stata solo accelerata dalle debolezze storiche della Gran Bretagna, oltre che dall'impatto della Brexit, della pandemia di coronavirus, della guerra in Ucraina e della crisi energetica internazionale.
Edvin, 1 febbraio 2023
[1] "A citizens' protest is not the class struggle" [26], (Una protesta da cittadini non è lotta di classe) CCI on line
[2] Bilan 1934: Evolution of British imperialism (part 1) [27] (Evoluzione dell’imperialismo britannico)
[4] Report on the British situation for the 18th WR congress [29] (Rapporto sulla situazione in Gran Bretagna per il 18° Congresso di World Revolution, sezione della CCI in Gran Bretagna)
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Scioperi generali e grandi manifestazioni il 7 marzo in Francia, l'8 marzo in Italia, l'11 marzo nel Regno Unito. Ovunque, la rabbia cresce e si diffonde.
Nel Regno Unito, un'ondata storica di scioperi è in corso da nove mesi. Dopo aver subito decenni di austerità senza battere ciglio, il proletariato britannico non accetta più i sacrifici. “Quando è troppo è troppo”. In Francia, è l'aumento dell'età pensionabile ad aver acceso la polveriera. Le manifestazioni hanno portato in piazza milioni di persone. “Non un anno in più, non un euro in meno”. In Spagna ci sono state grandi manifestazioni contro il collasso del sistema sanitario e sono scoppiati scioperi in molti settori (pulizie, trasporti, informatica, ecc.). “La indignación llega de lejos / L'indignazione viene da lontano”, dicevano i giornali. In Germania, strangolata dall'inflazione, i lavoratori del settore pubblico e i loro colleghi postali hanno scioperato per ottenere aumenti salariali, una cosa “mai vista prima in Germania”. In Danimarca sono scoppiati scioperi e manifestazioni contro l'abolizione di un giorno festivo per finanziare l'aumento del bilancio militare. Anche in Portogallo, insegnanti, ferrovieri e operatori sanitari stanno protestando contro i bassi salari e il costo della vita. Paesi Bassi, Stati Uniti, Canada, Messico, Cina... gli stessi scioperi contro le stesse condizioni di vita insopportabili e indegne: “Il vero problema: non potersi riscaldare, mangiare, curarsi, guidare!”
La simultaneità delle lotte in tutti questi Paesi non è un caso. Conferma un vero e proprio cambiamento di spirito all'interno della nostra classe. Dopo trent'anni di rassegnazione e di sconforto, attraverso le nostre lotte stiamo dicendo: “Non ce la facciamo più. Possiamo e dobbiamo lottare”.
Questo ritorno della combattività della classe operaia ci permette di stare insieme, di essere solidali nella lotta, di sentirci orgogliosi, dignitosi e uniti nella nostra lotta. Nelle nostre teste sta germogliando un'idea molto semplice ma estremamente preziosa: siamo tutti sulla stessa barca!
Lavoratori in camice bianco, camice blu o cravatta, disoccupati, studenti precari, pensionati, di tutti i settori, pubblici e privati, cominciamo a riconoscerci come una forza sociale unita dalle stesse condizioni di sfruttamento. Subiamo lo stesso sfruttamento, la stessa crisi del capitalismo, gli stessi attacchi alle nostre condizioni di vita e di lavoro. Siamo coinvolti nella stessa lotta. Siamo la classe operaia.
“I lavoratori restano uniti!” gridano gli scioperanti nel Regno Unito. “O lottiamo insieme, o finiremo per dormire per strada”, confermano i manifestanti in Francia.
Alcune lotte del passato dimostrano che è possibile far indietreggiare un governo, rallentare i suoi attacchi.
Nel 1968, il proletariato francese si è unito prendendo il controllo delle sue lotte. Dopo le grandi manifestazioni del 13 maggio per protestare contro la repressione poliziesca subita dagli studenti, gli scioperi e le assemblee generali si diffusero a macchia d'olio nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro per sfociare, con i suoi 9 milioni di scioperanti, nel più grande sciopero della storia del movimento operaio internazionale. Di fronte a questa dinamica di estensione e unità della lotta operaia, il governo e i sindacati si affrettarono a firmare un accordo su un aumento generalizzato dei salari per fermare il movimento.
Nel 1980, in Polonia, di fronte all'aumento dei prezzi dei generi alimentari, gli scioperanti hanno portato avanti la lotta riunendosi in grandi assemblee generali, decidendo da soli le rivendicazioni e le azioni, e soprattutto avendo la costante preoccupazione di estendere la lotta. Di fronte a questa dimostrazione di forza, non è stata solo la borghesia polacca a tremare, ma la borghesia di tutti i Paesi.
Nel 2006, in Francia, dopo poche settimane di mobilitazione, il governo ha ritirato il “Contratto di Primo Impiego” (CPE). Perché? Cosa ha spaventato così tanto la borghesia da indurla a fare marcia indietro tanto rapidamente? Gli studenti precari hanno organizzato massicce assemblee generali nelle università, aperte a lavoratori, disoccupati e pensionati, e hanno proposto uno slogan unificante: la lotta contro la precarizzazione e la disoccupazione. Queste assemblee sono state il polmone del movimento, dove si discuteva e si prendevano decisioni. Risultato: ogni fine settimana, le manifestazioni riunivano sempre più settori. Lavoratori salariati e pensionati si sono uniti agli studenti con lo slogan: “Pancetta giovane, crostini vecchi, tutti nella stessa insalata”. La borghesia francese e il suo governo, di fronte a questa tendenza all'unificazione del movimento, non ebbero altra scelta che ritirare il CPE.
Tutti questi movimenti hanno in comune una dinamica di estensione della lotta grazie al fatto che i lavoratori hanno preso in mano, in prima persona, la gestione della propria lotta!
Oggi, che si tratti di lavoratori salariati, disoccupati, pensionati, studenti precari, non abbiamo ancora fiducia in noi stessi, nella nostra forza collettiva, per osare prendere il controllo diretto delle nostre lotte. Ma non c'è altro modo. Tutte le “azioni” proposte dai sindacati portano alla sconfitta. Picchetti, scioperi, manifestazioni, blocco dell'economia... poca cosa finché queste azioni restano sotto il loro controllo. Se i sindacati cambiano la forma delle loro azioni a seconda delle circostanze, è sempre per mantenerne meglio la sostanza: dividere e isolare i settori gli uni dagli altri, per impedirci di discutere e di decidere autonomamente come condurre la lotta.
Cosa hanno fatto i sindacati per nove mesi nel Regno Unito? Hanno disperso la risposta dei lavoratori: ogni giorno un settore diverso in sciopero. Ognuno nel suo angolo, ognuno nel suo picchetto. Nessuna assemblea di massa, nessun dibattito collettivo, nessuna vera unità nella lotta. Non si tratta di un errore di strategia, ma di una divisione deliberata.
Come ha fatto il governo Thatcher nel 1984-85 a spezzare la schiena della classe operaia nel Regno Unito? Grazie al lavoro sporco dei sindacati, che hanno isolato i minatori dai loro fratelli di classe in altri settori. Li hanno bloccati in un lungo e sterile sciopero. Per più di un anno i minatori hanno occupato i pozzi sotto la bandiera del “blocco dell'economia”. Soli e impotenti, gli scioperanti sono arrivati allo stremo delle forze e del coraggio. E la loro sconfitta è stata la sconfitta dell'intera classe operaia! I lavoratori del Regno Unito stanno rialzando la testa solo ora, trent'anni dopo. Questa sconfitta è quindi una lezione pagata a caro prezzo che il proletariato mondiale non deve dimenticare.
Solo riunendoci in assemblee generali aperte, di massa e autonome, decidendo realmente la direzione del movimento, possiamo condurre una lotta unita e che si estende, portata avanti attraverso la solidarietà tra tutti i settori, tutte le generazioni. Assemblee in cui ci sentiamo uniti e sicuri della nostra forza collettiva, in cui possiamo adottare richieste sempre più unificanti. Assemblee generali dove possiamo riunirci e dalle quali possiamo andare in delegazioni numerose ad incontrare i nostri fratelli di classe, i lavoratori della fabbrica, dell'ospedale, della scuola, dell'amministrazione più vicina.
“Possiamo vincere?” La risposta è sì, a volte se, e solo se, prendiamo in mano le nostre lotte. Possiamo fermare momentaneamente gli attacchi, far indietreggiare un governo.
Ma la verità è che la crisi economica globale spingerà interi settori del proletariato verso la povertà. Per cavarsela nell'arena internazionale del mercato e della concorrenza, ogni borghesia di ogni paese, che il suo governo sia di sinistra, di destra o di centro, tradizionale o populista, imporrà condizioni di vita e di lavoro sempre più intollerabili.
La verità è che con lo sviluppo dell'economia di guerra ai quattro angoli del pianeta, i “sacrifici” richiesti dalla borghesia saranno sempre più insopportabili.
La verità è che il confronto imperialista tra le nazioni, tutte le nazioni, è una spirale di distruzione e caos sanguinoso che può portare l'intera umanità alla sua distruzione. Ogni giorno in Ucraina un fiume di esseri umani, a volte sedicenni o diciottenni, viene falciato da abominevoli strumenti di morte, siano essi russi e occidentali.
La verità è che semplici epidemie di influenza o bronchiolite stanno mettendo in ginocchio sistemi sanitari ormai al collasso.
La verità è che il capitalismo continuerà a devastare il pianeta e distruggere il clima, causando inondazioni, siccità e incendi devastanti.
La verità è che milioni di persone continueranno a fuggire dalla guerra, dalla carestia, dalla catastrofe climatica, o da tutte e tre, solo per imbattersi nei muri di filo spinato di altri paesi, o per annegare in mare.
Allora la questione è: che senso ha lottare contro i bassi salari, contro la mancanza di personale, contro questa o quella “riforma”? Perché le nostre lotte portano con sé la speranza di un altro mondo, senza classi né sfruttamento, senza guerre né confini.
La vera vittoria è la lotta stessa. Il semplice fatto di entrare nella lotta, di sviluppare la nostra solidarietà, è già una vittoria. Lottando insieme, rifiutando la rassegnazione, prepariamo le lotte di domani e creiamo a poco a poco, nonostante le inevitabili sconfitte, le condizioni per un mondo nuovo.
La nostra solidarietà nella lotta è l'antitesi della concorrenza mortale di questo sistema, diviso in imprese e nazioni rivali.
La nostra solidarietà tra generazioni è l'antitesi del no-future e della spirale distruttiva di questo sistema.
La nostra lotta simboleggia il rifiuto di sacrificarci sull'altare del militarismo e della guerra.
La lotta della classe operaia è immediatamente una sfida alle fondamenta stesse del capitalismo e dello sfruttamento.
Ogni sciopero porta in sé i germi della rivoluzione.
Il futuro appartiene alla lotta di classe!
Corrente Comunista Internazionale, 1 marzo 2023
“Non è un 49.3 che ci piegherà!”
Di fronte all'annuncio dell'immediata adozione della riforma delle pensioni, la reazione è stata folgorante. La rabbia è esplosa in tutta la Francia. Nei centri cittadini, operai, pensionati, disoccupati, giovani futuri salariati, ci siamo radunati a migliaia per gridare il nostro rifiuto di essere sfruttati fino a 64 anni, in condizioni di lavoro insopportabili, e di ritrovarci con una pensione da fame. “Eruzione”, "rabbia" “Esplosione”, questi sono i termini della stampa estera. Le immagini della folla che cresce ora dopo ora in Place de la Concorde a Parigi hanno fatto il giro del mondo.
Il messaggio è chiaro:
– Non accetteremo più tutti i sacrifici!
– Non piegheremo più la schiena sotto ordini della borghesia!
– Stiamo ritrovando la via della lotta!
– Noi siamo la classe operaia!
Sin dall'inizio alcuni personaggi politici, da Holland a Bayrou, hanno messo in guardia Macron sul "tempismo" della riforma: "questo non è il momento giusto", "ci sono rischi di frattura sociale". E avevano ragione!
Questo attacco ha provocato un movimento sociale di ampiezza sconosciuta da decenni. Gli scioperi si moltiplicano e, soprattutto, le manifestazioni ci riuniscono a milioni nelle strade. Attraverso questa lotta, iniziamo a capire chi è questo "Noi"! Una forza sociale, internazionale, che produce tutto e deve combattere in modo unito e solidale: la classe operaia! “O lottiamo insieme o finiremo a dormire per strada!” È quanto si è espresso chiaramente giovedì scorso, nella manifestazione a sostegno dei netturbini di Ivry che la polizia è venuta a sloggiare: insieme, siamo più forti!
E questi riflessi di solidarietà non nascono solo in Francia. In molti paesi sono in aumento scioperi e movimenti sociali. Nel Regno Unito di fronte all'inflazione, in Spagna di fronte al collasso del sistema sanitario, in Corea del Sud di fronte all'estensione dell'orario di lavoro... ovunque la classe operaia si difende con la lotta.
In Grecia tre settimane fa è avvenuto un incidente ferroviario: 57 morti. La borghesia ovviamente voleva incolpare un lavoratore. Il capostazione di turno è stato gettato in prigione. Ma la classe operaia ha capito subito la truffa. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per denunciare la vera causa di questo mortale incidente: la mancanza di personale e la mancanza di mezzi. Da allora la rabbia non si placa. Al contrario, la lotta si amplifica e si allarga al grido di “contro i bassi salari!”, “mi sono rotto le scatole!". O ancora: “per la crisi non possiamo più lavorare dignitosamente, ma almeno non uccideteci!".
Il nostro movimento contro la riforma delle pensioni sta partecipando a questo sviluppo della combattività e della riflessione della nostra classe a livello mondiale. Il nostro movimento dimostra che siamo capaci di combattere in massa e compatti e di far tremare la borghesia. Già tutti gli specialisti e gli esperti di politica annunciano che sarà molto complicato per Macron far passare nuove riforme e attacchi di tale portata da qui alla fine del suo mandato quinquennale.
La borghesia è consapevole di questo problema. Ci sta quindi tendendo delle trappole, distogliendoci dai metodi di lotta che ci cementano e ci rendono forti, cercando di mandarci in un vicolo cieco.
Dall'annuncio del 49.3 partiti e sindacati di sinistra ci spingono a difendere la "vita parlamentare " di fronte alle manovre di Macron e alla "negazione della democrazia". Ma decenni di “democrazia rappresentativa” hanno definitivamente dimostrato una cosa: da destra a sinistra, dai più moderati ai più radicali, una volta al potere, tutti sferrano gli stessi attacchi e tutti rinnegano le loro promesse. Peggio ancora, le richieste di nuove elezioni sono la più subdola delle trappole. Hanno solo la funzione di togliere al proletariato la sua forza collettiva. Le elezioni ci riducono allo status di “cittadini” atomizzati di fronte al rullo compressore della propaganda borghese. La cabina elettorale ha un nome appropriato! (in francese la cabina elettorale si chiama isoloir). “Difendi il parlamento”, “spera nelle elezioni” … cercano di farci credere che sia possibile un altro capitalismo, un capitalismo più umano, più equo e anche, perché no, più ecologico. Basterebbe che fosse ben governato. Falso! Il capitalismo è un sistema di sfruttamento oggi decadente che sta gradualmente trascinando l’intera umanità verso una miseria e una guerra, una distruzione e un caos sempre maggiori. L'unico programma della borghesia, qualunque sia il suo colore politico, qualunque sia la maschera che indossa, è sempre più sfruttamento! La democrazia borghese è la maschera ipocrita della dittatura capitalista!
Di fronte alla “sordità” del governo, cresce l'idea che l'unico modo per “farsi sentire” sia bloccare l'economia. È la crescente consapevolezza del ruolo centrale della classe operaia nella società: attraverso il nostro lavoro associato, produciamo tutta la ricchezza. Lo sciopero dei netturbini a Parigi lo dimostra in modo lampante: senza la loro attività, la città diventa invivibile in pochi giorni.
Ma la sinistra e i sindacati stanno deviando questa idea in un vicolo cieco. Stanno spingendo verso azioni di blocco, ciascuno nella sua azienda, ciascuno nel suo posto di lavoro. Gli scioperanti si ritrovano così isolati nel loro angolo, separati dagli altri lavoratori, privati della nostra principale forza: l'unità e la solidarietà nella lotta.
Nel Regno Unito sono quasi dieci mesi che gli scioperanti sono ridotti all'impotenza nonostante la loro rabbia e la loro determinazione; perché sono divisi dai “picchetti di sciopero”, ciascuno da incastrare nella sua scatola. La storica sconfitta dei minatori inglesi nella lotta contro la Thatcher del 1984-85 è venuta proprio da questa stessa trappola: spinti dai sindacati, avevano voluto bloccare l'economia provocando una penuria di carbone. Avevano resistito per più di un anno e ne erano usciti esausti, schiacciati, demoralizzati. La loro sconfitta fu quella dell'intera classe operaia britannica!
Alcuni dei manifestanti cominciano addirittura a chiedersi se non sia necessario passare a modalità di azione più dure: "Non sono affatto violento, ma adesso si sente che bisogna fare qualcosa perché il governo reagisca". Sempre più si fa riferimento all'esempio dei gilet gialli. Si sta diffondendo una certa simpatia per i saccheggi dei black-blocs.
Pensare che lo Stato borghese e il suo immenso apparato repressivo (polizia, esercito, servizi segreti, ecc.) possa minimamente spaventarsi bruciando cassonetti e rompendo vetrine è illusorio. Sono solo punture di zanzara sulla pelle di un elefante. D'altra parte, tutte queste azioni apparentemente "iper-radicali" sono perfettamente sfruttate dalla borghesia per spezzare la forza collettiva del movimento:
– Mettendo in risalto ogni vetrina rotta, i media spaventano tutta una parte di lavoratori che vorrebbero unirsi alle manifestazioni.
– Provocando sistematicamente incidenti, la polizia lancia gas, disperde e quindi impedisce ogni possibilità di aggregazione e discussione al termine della manifestazione.
L'azione minoritaria violenta dei “casseurs” è, infatti, esattamente l'opposto di ciò che realmente fa la forza della nostra classe.
Nei giorni scorsi i giornali hanno indicato la possibilità di uno “scenario CPE”. Nel 2006 il governo è stato costretto a ritirare il suo Contratto di Primo Impiego che avrebbe gettato i giovani in una precarietà ancora maggiore. All'epoca, la borghesia ebbe paura per l'ampiezza crescente della protesta, che cominciava ad andare oltre il movimento dei giovani, degli studenti precari e dei giovani lavoratori, per estendersi ad altri settori, con parole d'ordine unitarie e solidali: "Giovane pancetta, vecchi crostini, ma nella stessa insalata” si leggeva sui cartelli.
Questa capacità di estensione del movimento fu il risultato di dibattiti in vere e proprie assemblee generali sovrane aperte a tutti. Queste AG erano i polmoni del movimento e cercavano costantemente di non rinchiudersi nelle università o nei luoghi di lavoro in uno spirito di cittadella assediata, di blocco a tutti i costi, ma di estendere la lotta, con delegazioni numerose verso le fabbriche vicine. Questo ha fatto retrocedere la borghesia! Questo ha fatto la forza del nostro movimento! Queste sono le lezioni che dobbiamo recuperare oggi!
La forza della nostra classe sta nella nostra unità, nella nostra coscienza di classe, nella nostra capacità di sviluppare la solidarietà e quindi di estendere il movimento a tutti i settori. Questi sono gli strumenti che devono guidare le nostre lotte.
Nella lotta, possiamo contare solo su noi stessi! Né sui politici né sui sindacati! Sono la classe operaia e la sua lotta che portano un'alternativa, quella del rovesciamento del capitalismo, quella della rivoluzione!
Ancora oggi ci è difficile riunirci in assemblee generali, organizzarci autonomamente. È comunque l'unico modo possibile. Queste AG devono essere luoghi dove si decide davvero come condurre il movimento, dove ci sentiamo uniti e fiduciosi nella nostra forza collettiva, dove possiamo insieme adottare rivendicazioni sempre più unificanti e partire in delegazioni numerose per incontrare i nostri fratelli e sorelle di classe nelle fabbriche, negli ospedali, nelle scuole, negli uffici e nelle attività commerciali più vicini.
Oggi o domani le lotte continueranno, perché il capitalismo sta sprofondando nella crisi e perché il proletariato non ha altra scelta. Questo è il motivo per cui, in tutto il mondo, i lavoratori stanno entrando in lotta.
La borghesia continuerà i suoi attacchi: inflazione, licenziamenti, precarietà, penuria… Di fronte a questo degrado delle condizioni di vita e di lavoro la classe operaia internazionale riprenderà in maniera sempre più ampia la via della lotta.
Quindi ovunque possiamo, nelle strade, dopo e prima delle proteste, nei picchetti, nei bar e sul posto di lavoro, dobbiamo riunirci, discutere, imparare dalle lotte passate, sviluppare le nostre lotte attuali e prepararci per le battaglie future.
Il futuro appartiene alla lotta di classe!
Corrente Comunista Internazionale, 20 marzo 2023
“Stai zitto o vuoi che ricomincio? Ah! stai iniziando a balbettare, forse ne vuoi un altro per raddrizzare la mascella?”
“Quando ti ho afferrato, hai iniziato a tremare, sono io che ti ho atterrato con uno sgambetto!”
“Non preoccuparti, abbiamo già una foto della tua testolina. Devi solo scendere di nuovo in piazza alle prossime manifestazioni: ti posso dire che le facce, noi siamo proprio fisionomisti, le ricordiamo. Non ti preoccupare che la prossima volta che verremo, non salirai sull'auto per andare alla stazione di polizia, salirai su un altro mezzo chiamato ‘ambulanza’ per andare all'ospedale!”
“Sei fortunato, ci vendicheremo su altre persone. Se hai l'occasione di guardare la TV, guarda attentamente, vedrai cosa ti aspetta quando tornerai!”
Questi commenti sono stati fatti dagli agenti di polizia della Brav-M (Brigades de répression des actions violentes motorisées) durante la manifestazione del 23 marzo a Parigi. Registrati da uno degli arrestati, hanno fatto il giro dei media, provocando dibattiti tra esperti sulla formazione degli agenti che costituiscono questa brigata speciale.
In altre parole, vogliono farci credere all’errore di pochi. È solo una bugia! Ovunque in Francia, a Rennes, Nantes, Lione... la polizia picchia e provoca. Questa simultaneità della repressione non è casuale. Si tratta di una politica del tutto deliberata del governo. L'obiettivo è semplice ed è anche un classico:
– portare i giovani più arrabbiati a uno sterile confronto con la polizia;
– spaventare la maggioranza dei manifestanti, scoraggiandoli a scendere in piazza;
– impedire ogni possibilità di discussione, rovinando sistematicamente la fine delle manifestazioni, momento solitamente propizio agli incontri e ai dibattiti;
– rendere impopolare il movimento, facendo credere che qualsiasi lotta sociale degeneri automaticamente in cieca violenza e caos, mentre il potere sarebbe garante dell'ordine e della pace.
Sì, la nostra rabbia è immensa! Sì, non possiamo che essere indignati e combattivi!
Ma la nostra forza non sta nello sterile scontro con i battaglioni super equipaggiati e super addestrati dei CRS, dei gendarmi mobili e degli altri scagnozzi de “l’ordine” degli sfruttatori.
Inoltre, la nostra lotta non consiste nello spaccare le vetrine e bruciare i cassonetti. Le violenze delle minoranze non rafforzano il movimento. Al contrario, lo indeboliscono!
Siamo la classe operaia! Siamo una forza collettiva, capace di intraprendere una lotta di massa, di organizzarci, di essere solidali, uniti, di discutere e di schierarci insieme contro il potere per rifiutare il continuo degrado delle nostre condizioni di vita e di lavoro, per rifiutare questo sistema che precipita l'umanità nella miseria e nella guerra.
Ecco cosa preoccupa veramente la borghesia: quando lottiamo in quanto classe. Per questo oggi ci sta tendendo la trappola del degrado e del caos attraverso la violenza. Vuole spezzare la dinamica attuale e il processo che si sta sviluppando da mesi su scala internazionale.
Dall'annuncio della riforma delle pensioni, gli scioperi si sono moltiplicati e, soprattutto, le manifestazioni ci hanno riunito a milioni nelle strade. Attraverso questa lotta, iniziamo a capire chi è questo "Noi"! Una forza sociale, internazionale, che produce praticamente tutto e deve lottare in modo unito e solidale: la classe operaia! “O lottiamo insieme o finiremo per dormire in strada!” Ciò si esprime chiaramente, ad esempio, nelle manifestazioni a sostegno dei netturbini di Ivry che la polizia regolarmente sloggia: insieme siamo più forti!
E questi riflessi di solidarietà non nascono solo in Francia. In molti Paesi si moltiplicano scioperi e movimenti sociali. Nel Regno Unito contro l'inflazione, in Spagna contro il collasso del sistema sanitario, in Corea del Sud contro l'estensione dell'orario di lavoro, in Germania contro i bassi salari... ovunque la classe operaia si difende attraverso la lotta.
In Grecia tre settimane fa è avvenuto un incidente ferroviario: 57 morti. La borghesia ovviamente voleva incolpare un lavoratore. Il capostazione di turno è stato gettato in prigione. Ma la classe operaia ha capito subito la truffa. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per denunciare la vera causa di questo mortale incidente: la mancanza di personale e la mancanza di mezzi. Da allora la rabbia non è scemata. Al contrario, la lotta si amplifica e si allarga al grido di “contro i bassi salari!”, “ne ho abbastanza!". O ancora: “dalla crisi non possiamo più lavorare dignitosamente, ma almeno non uccideteci”.
Il nostro movimento contro la riforma delle pensioni sta partecipando a questo sviluppo della combattività e della riflessione della nostra classe a livello mondiale. Il nostro movimento dimostra che siamo capaci di combattere in massa e compatti e di far tremare la borghesia. Già tutti gli specialisti e gli esperti di politica annunciano che sarà molto complicato per Macron far passare nuove riforme e attacchi di tale portata entro la fine del suo mandato quinquennale.
Per nascondere questa forza del movimento sociale in Francia ai lavoratori di altri paesi, tutti i media del mondo hanno trasmesso i cassonetti in fiamme e i lanci di pietre. Riducono deliberatamente l'intera lotta contro la riforma delle pensioni a una semplice rivolta distruttiva. Ma le loro grossolane menzogne sono sempre meno credibili: in Germania, gli scioperi che si stanno sviluppando dichiarano apertamente di ispirarsi al movimento in corso in Francia.
C'è l'embrione di un legame internazionale. Del resto, lo staff del Mobilier national in sciopero contro la riforma delle pensioni aveva affermato, poco prima che venisse cancellata la visita del re d'Inghilterra a Versailles: "Siamo solidali con i lavoratori inglesi, che sono in sciopero da settimane per l’aumento dei salari”.
Questo riflesso di solidarietà internazionale è l'esatto opposto del mondo capitalista diviso in nazioni in competizione, fino alla guerra! Questo riflesso di solidarietà internazionale ricorda il grido di battaglia della nostra classe dal 1848: “I proletari non hanno patria! Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!”.
Contro tutte le trappole e le menzogne delle borghesie e dei media ai loro ordini, in tutti i paesi, tocca a noi difendere i nostri metodi di lotta, tocca a noi capire cosa fa la nostra forza e la nostra unità come classe, sta a noi trarre insegnamenti dalle lotte passate per le lotte attuali e future.
Ad esempio, nei giorni scorsi i giornali hanno indicato la possibilità di uno “scenario CPE” senza dire una sola parola su ciò che ne ha costituito il cuore e la forza: le assemblee generali. Nel 2006 il governo è stato costretto a ritirare il suo Contratto di Primo Impiego che avrebbe gettato i giovani in una precarietà ancora maggiore.
All'epoca, la borghesia si è spaventata per l'ampiezza crescente della protesta, che cominciava ad andare oltre il movimento dei giovani, degli studenti precari e dei giovani lavoratori, per estendersi ad altri settori, con parole d'ordine unitarie e solidali: "Giovane pancetta, vecchi crostini, ma nella stessa insalata” si leggeva sui cartelli.
Questa capacità di estensione del movimento fu il risultato di dibattiti in vere e proprie assemblee generali sovrane aperte a tutti. Queste AG erano i polmoni del movimento e cercavano costantemente di non rinchiudersi nelle università o nei luoghi di lavoro in uno spirito di cittadella assediata, di blocco a tutti i costi, ma di estendere la lotta, con delegazioni numerose verso le fabbriche vicine e altri quartieri. Questo ha fatto retrocedere la borghesia! Questo ha fatto la forza del nostro movimento! Questi sono gli insegnamenti che dobbiamo recuperare oggi!
La forza della nostra classe sta nella nostra unità, nella nostra coscienza di classe, nella nostra capacità di sviluppare la solidarietà e quindi di estendere il movimento a tutti i settori. Questi sono gli strumenti che devono guidare le nostre lotte.
Nella lotta, possiamo contare solo su noi stessi! Né sui politici né sui sindacati! Sono la classe operaia e la sua lotta che portano un'alternativa, quella del rovesciamento del capitalismo, quella della rivoluzione!
Oggi è ancora difficile riunirci in assemblee generali, organizzarci autonomamente. Eppure è l'unico modo possibile. Queste AG devono essere luoghi in cui decidiamo realmente come far avanzare il movimento. Sono l'unico luogo in cui organizzare la risposta alla repressione e la difesa dei nostri strumenti di lotta, come è avvenuto nelle AG del CPE nel 2006. Queste AG sono il luogo in cui ci sentiamo uniti e fiduciosi nella nostra forza collettiva, dove si esprimono la responsabilità e l'impegno di tutti, dove possiamo insieme adottare rivendicazioni sempre più unificanti e partire in delegazioni massicce per incontrare i fratelli e le sorelle di classe nelle fabbriche, negli ospedali, nelle scuole, negli uffici e nelle attività commerciali più vicini. Sarà la rapida estensione della lotta ad altri settori a far piegare il governo.
Oggi o domani le lotte continueranno, perché il capitalismo sta sprofondando nella crisi e perché il proletariato non ha altra scelta. Questo è il motivo per cui, in tutto il mondo, i lavoratori stanno entrando in lotta.
La borghesia continuerà i suoi attacchi (economia di guerra, inflazione, licenziamenti, precarietà, penuria), la sua repressione e le sue provocazioni. Di fronte a questo degrado delle condizioni di vita e di lavoro, la classe operaia internazionale riprenderà in maniera sempre più ampia il cammino della lotta, evitando tutte le trappole poste sul suo cammino.
Quindi ovunque possiamo, in piazza, prima e dopo le manifestazioni, nei picchetti, nei caffè e sul posto di lavoro, dobbiamo riunirci, discutere, imparare dalle lotte passate, sviluppare le nostre lotte attuali e prepararci per le lotte future.
Corrente Comunista Internazionale, 27 marzo 2023
Più di un anno di spaventose carneficine: centinaia di migliaia di soldati massacrati da entrambe le parti; più di un anno di bombardamenti ed esecuzioni indiscriminate, con l'uccisione di decine di migliaia di civili; più di un anno di distruzione sistematica che ha trasformato il Paese in un gigantesco campo di rovine, mentre gli sfollati sono milioni; più di un anno di ingenti bilanci affondati in questo massacro da entrambe le parti (la Russia sta ora impegnando circa il 50% del suo bilancio statale nella guerra, mentre l'ipotetica ricostruzione dell'Ucraina in rovina richiederebbe più di 400 miliardi di dollari). E questa tragedia è tutt'altro che finita. In termini di scontri imperialisti, lo scoppio della guerra in Ucraina è stato anche un importante passo qualitativo nello sprofondamento della società capitalista nella guerra e nel militarismo. È vero che dal 1989 varie imprese belliche hanno scosso il pianeta (le guerre in Kuwait, Iraq, Afghanistan, Siria...), ma queste non avevano mai comportato un confronto tra le maggiori potenze imperialiste. Il conflitto ucraino è il primo confronto militare di questa portata tra Stati che si svolge alle porte dell'Europa dal 1940-45. Coinvolge i due Paesi più grandi d'Europa, uno dei quali possiede armi nucleari o altre armi di distruzione di massa e l'altro è sostenuto finanziariamente e militarmente dalla NATO, ed è potenzialmente in grado di provocare una catastrofe per l'umanità. Al di là dell'indignazione e del disgusto provocati da questa carneficina su larga scala, è responsabilità dei rivoluzionari non limitarsi a condanne generali e astratte, ma trarre le principali lezioni del conflitto ucraino per comprendere le dinamiche degli scontri imperialisti e mettere in guardia i lavoratori dall'esacerbazione del caos e dall'intensificazione della barbarie militare.
Una lezione importante di questo anno di guerra è senza dubbio che dietro ai protagonisti sul campo di battaglia, mentre la Russia invadeva l'Ucraina, c'era l'imperialismo statunitense all'offensiva. Di fronte al declino della propria egemonia, a partire dagli anni '90 gli Stati Uniti hanno perseguito una politica aggressiva per difendere i propri interessi, soprattutto nei confronti dell'ex leader del blocco rivale, la Russia. Nonostante l'impegno preso dopo la disintegrazione dell'URSS di non allargare la NATO, gli americani hanno integrato tutti i Paesi dell'ex Patto di Varsavia in questa alleanza. Nel 2014, la "Rivoluzione Arancione" ha sostituito il regime filorusso in Ucraina con un governo filo-occidentale e una rivolta popolare ha minacciato il regime filorusso in Bielorussia qualche anno dopo. Il regime di Putin ha risposto a questa strategia di accerchiamento impiegando la sua forza militare, residuo del suo passato di leader di un blocco. Dopo la conquista della Crimea e del Donbass da parte di Putin nel 2014, gli Stati Uniti hanno iniziato ad armare l'Ucraina e ad addestrare i suoi militari all'uso di armi più sofisticate. Quando la Russia ha schierato il suo esercito ai confini dell'Ucraina, hanno stretto la trappola sostenendo che Putin avrebbe invaso l'Ucraina e assicurando che loro stessi non sarebbero intervenuti sul terreno. Con questa strategia di accerchiamento e soffocamento della Russia, gli Stati Uniti hanno messo a segno un colpo da maestro che ha un obiettivo molto più ambizioso del semplice arresto delle ambizioni russe:
- La guerra in Ucraina porta a un chiaro indebolimento della potenza militare residua di Mosca e a un ridimensionamento delle sue ambizioni imperialiste. Dimostra inoltre l'assoluta superiorità della tecnologia militare statunitense, che è alla base del "miracolo" della "piccola Ucraina" che respinge l'"orso russo";
- Il conflitto ha anche permesso loro di stringere la morsa all'interno della NATO, in quanto i Paesi europei sono stati costretti ad allinearsi alla posizione americana, soprattutto Francia e Germania, che stavano sviluppando le proprie politiche verso la Russia e ignorando la NATO, che il presidente francese Macron considerava "cerebralmente morta" fino a due anni fa;
- L'obiettivo principale degli americani nel dare una lezione alla Russia era senza dubbio un avvertimento inequivocabile al loro principale sfidante, la Cina. Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno difeso la loro leadership dall'ascesa dello sfidante cinese: dapprima, durante la presidenza Trump, attraverso una guerra commerciale aperta; ma ora l'amministrazione Biden ha intensificato la pressione militare (le tensioni intorno a Taiwan). Così, il conflitto in Ucraina ha indebolito l'unico importante alleato militare della Cina e sta mettendo a dura prova il progetto della Nuova Via della Seta, un cui asse passava per l'Ucraina.
La graduale polarizzazione delle tensioni imperialiste tra Stati Uniti e Cina è il prodotto di una politica sistematica perseguita dalla potenza imperialista dominante, gli Stati Uniti, nel tentativo di arrestare il declino irreversibile della propria leadership. Dopo la guerra di Bush senior contro l'Iraq, la polarizzazione di Bush junior contro l'"asse del male" (Iraq, Iran, Corea del Nord), l'offensiva statunitense mira oggi a impedire l'emergere di sfidanti di rilievo. Trent'anni di questa politica non hanno portato disciplina e ordine nelle relazioni imperialiste. Al contrario, ha esasperato l'ognuno per sé, il caos e la barbarie. Gli Stati Uniti sono oggi un importante veicolo per la terrificante espansione degli scontri militari.
Contrariamente alle superficiali dichiarazioni giornalistiche, lo sviluppo degli eventi dimostra che il conflitto in Ucraina non ha affatto portato a una "razionalizzazione" delle contraddizioni. Oltre ai grandi imperialismi, che subiscono la pressione dell'offensiva statunitense, l'esplosione di una molteplicità di ambizioni e rivalità accentua il carattere caotico e irrazionale delle relazioni imperialiste. L'accentuazione della pressione americana sugli altri grandi imperialismi non può che spingerli a reagire:
- Per l'imperialismo russo è una questione di sopravvivenza perché è già evidente che, qualunque sia l'esito del conflitto, la Russia uscirà nettamente ridimensionata da questa avventura che ha messo a nudo i suoi limiti militari ed economici. È militarmente esausta, avendo perso duecentomila soldati, soprattutto tra le sue unità d'élite più esperte, oltre a una grande quantità di carri armati, aerei e moderni elicotteri. È economicamente indebolita dagli enormi costi della guerra e dal crollo dell'economia causato dalle sanzioni occidentali. Mentre la fazione di Putin cerca in tutti i modi di mantenere il potere, all'interno della borghesia russa sorgono tensioni, soprattutto con le frazioni più nazionaliste o con alcuni "signori della guerra" (ad esempio Prigozhin, leader del gruppo di mercenari Wagner). Queste condizioni militari sfavorevoli e politiche instabili potrebbero persino portare la Russia a ricorrere alle armi nucleari tattiche.
- Le borghesie europee, in particolare Francia e Germania, avevano esortato Putin a non entrare in guerra ed erano persino pronte, come hanno rivelato le indiscrezioni di Boris Johnson, ad approvare un attacco limitato nella scala e nel tempo per sostituire il regime di Kiev. Di fronte al fallimento delle forze russe e all'inaspettata resistenza degli ucraini, Macron e Scholz hanno dovuto aderire in modo peccaminoso alla posizione della NATO guidata dagli Stati Uniti. Tuttavia, non si tratta di sottomettersi alla politica statunitense e di abbandonare i propri interessi imperialisti, come dimostrano i recenti viaggi di Scholz e Macron a Pechino. Inoltre, entrambi i Paesi hanno aumentato drasticamente i loro bilanci militari in vista di un massiccio riarmamento delle forze armate (un raddoppio per la Germania, pari a 107 miliardi di euro). Queste iniziative hanno anche sollevato tensioni nella coppia franco-tedesca, in particolare sullo sviluppo di programmi di armamento comuni e sulla politica economica dell'UE.
- La Cina si è posizionata con molta cautela in relazione al conflitto ucraino, di fronte alle difficoltà del suo "alleato" russo e alle minacce poco velate degli Stati Uniti nei suoi confronti. Per la borghesia cinese, la lezione è amara: la guerra in Ucraina ha dimostrato che qualsiasi ambizione imperialista globale è illusoria in assenza di una forza militare ed economica in grado di competere con la superpotenza statunitense. Oggi la Cina, che non dispone ancora di forze armate all'altezza della sua espansione economica, è vulnerabile alle pressioni americane e al caos bellico circostante. Certo, la borghesia cinese non rinuncia alle sue ambizioni imperialiste, in particolare alla riconquista di Taiwan, ma può progredire solo a lungo termine, evitando di cedere alle numerose provocazioni americane (palloni "spia", divieto dell'applicazione TikTok...) e portando avanti un'ampia offensiva diplomatica di charme volta a evitare l'isolamento internazionale: ricevimento a Pechino di un gran numero di capi di Stato, riavvicinamento iraniano-saudita sponsorizzato dalla Cina, proposta di un piano per fermare i combattimenti in Ucraina. D'altra parte, l'imperialismo "ognuno per sé" sta facendo esplodere il numero di potenziali zone di conflitto. In Europa, la pressione sulla Germania sta portando a dissensi con la Francia e l'UE ha reagito con rabbia al protezionismo dell'Inflation Reduction Act (Legge di riduzione dell'inflazione) di Biden, visto come una vera e propria dichiarazione di guerra alle esportazioni europee verso gli Stati Uniti. In Asia centrale, il declino del potere russo va di pari passo con la rapida espansione dell'influenza di altre potenze, come Cina, Turchia, Iran o Stati Uniti nelle ex repubbliche sovietiche. In Estremo Oriente, persiste il rischio di conflitti tra la Cina da un lato e l'India (con regolari scontri di confine) o il Giappone (che si sta riarmando massicciamente), per non parlare delle tensioni tra India e Pakistan e di quelle ricorrenti tra le due Coree. In Medio Oriente, l'indebolimento della Russia, la destabilizzazione interna di importanti protagonisti come l'Iran (rivolte popolari, lotte tra fazioni e pressioni imperialiste) o la Turchia (situazione economica disastrosa) avranno un forte impatto sulle relazioni imperialiste. Infine, in Africa, mentre la crisi energetica e alimentare e le tensioni belliche imperversano in varie regioni (Etiopia, Sudan, Libia, Sahara occidentale), la competizione aggressiva tra gli avvoltoi imperialisti stimola la destabilizzazione e il caos.
Un anno di guerra in Ucraina ha sottolineato soprattutto che la decomposizione capitalistica accentua uno degli aspetti più perniciosi della guerra nell'epoca della decadenza: la sua irrazionalità. Gli effetti del militarismo diventano infatti sempre più imprevedibili e disastrosi, indipendentemente dalle ambizioni iniziali:
- gli Stati Uniti hanno combattuto entrambe le Guerre del Golfo, così come quella in Afghanistan, per mantenere la loro leadership sul pianeta, ma in tutti questi casi il risultato è stato un'esplosione di caos e instabilità, oltre che di flussi di rifugiati;
- a prescindere dagli obiettivi dei molti avvoltoi imperialisti (russi, turchi, iraniani, israeliani, americani o europei) che sono intervenuti nelle orribili guerre civili siriane o libiche, hanno ereditato un paese in rovina, frammentato e diviso in clan, con milioni di rifugiati in fuga verso i Paesi vicini o verso i Paesi industrializzati. La guerra in Ucraina ne è una conferma esemplare: quali che siano gli obiettivi geostrategici dell'imperialismo russo o americano, il risultato è un Paese devastato (l'Ucraina), un Paese economicamente e militarmente rovinato (la Russia), una situazione imperialista ancora più tesa e caotica nel mondo e ancora milioni di rifugiati.
La crescente irrazionalità della guerra implica una terrificante espansione della barbarie militare in tutto il mondo. In questo contesto, si possono formare alleanze ad hoc intorno a obiettivi particolari. Ad esempio, la Turchia, membro della NATO, sta adottando una politica di neutralità nei confronti della Russia in Ucraina, sperando di utilizzarla per allearsi con la Russia in Siria contro le milizie curde sostenute dagli Stati Uniti. Tuttavia, contrariamente alla propaganda borghese, il conflitto ucraino non porta a un raggruppamento degli imperialismi in blocchi e quindi non apre la dinamica verso una terza guerra mondiale, ma piuttosto verso una terrificante espansione del caos sanguinario: importanti potenze imperialiste come l'India, il Sudafrica, il Brasile e persino l'Arabia Saudita mantengono chiaramente la loro autonomia dai protagonisti; il legame tra Cina e Russia non si è rafforzato, anzi; e mentre gli Stati Uniti utilizzano la guerra per imporre le loro posizioni all'interno della NATO, Paesi membri come la Turchia o l'Ungheria procedono apertamente da soli, mentre Germania e Francia cercano in tutti i modi di sviluppare le proprie politiche. Inoltre, il leader di un potenziale blocco deve essere in grado di generare fiducia tra i Paesi membri e garantire la sicurezza dei suoi alleati. La Cina, tuttavia, è stata molto cauta nel sostenere l'alleato russo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, dopo l'approccio "America First" di Trump, che aveva raffreddato gli "alleati", Biden sta sostanzialmente perseguendo la stessa politica: sta facendo pagare loro un alto prezzo energetico per il boicottaggio dell'economia russa, mentre gli Stati Uniti sono autosufficienti in questo settore e le leggi "anti-Cina" colpiranno duramente le importazioni europee. È proprio questa mancanza di garanzie di sicurezza che ha portato l'Arabia Saudita a concludere un accordo con Cina e Iran. Infine, come ostacolo principale a una dinamica verso una terza guerra mondiale, il proletariato non viene sconfitto e mobilitato ideologicamente al servizio della nazione nei Paesi centrali industrializzati, come dimostrano le attuali lotte in vari Paesi europei. Un'arma ideologica in grado di mobilitare il proletariato, come il fascismo e l'antifascismo negli anni Trenta, oggi non esiste.
La situazione è ancora più delicata perché la "crisi ucraina" non appare come un fenomeno isolato, ma come una delle manifestazioni di questa "policrisi"[1], l'accumulo e l'interazione di crisi sanitarie, economiche, ecologiche, alimentari e belliche, che caratterizza gli anni Venti del XXI secolo. E la guerra in Ucraina costituisce in questo contesto un vero e proprio moltiplicatore e intensificatore della barbarie e del caos a livello globale:
"L'aggregazione e l'interazione di questi fenomeni distruttivi produce un 'effetto vortice' (...) è importante sottolineare la forza trainante della guerra, in quanto azione deliberatamente perseguita e pianificata dagli Stati capitalisti. "[2] Infatti, la guerra in Ucraina e le sue ripercussioni economiche hanno favorito i rimbalzi del Covid (come in Cina), accentuato l'aumento dell'inflazione e della recessione in varie regioni del mondo, provocato una crisi alimentare ed energetica, causato una battuta d'arresto nelle politiche climatiche (sono tornate in funzione centrali nucleari e persino a carbone) e determinato un nuovo afflusso di rifugiati. Per non parlare del rischio sempre presente di bombardare le centrali nucleari, come si vede ancora intorno al sito di Zaporizhzhia, o di usare armi chimiche, batteriologiche o nucleari.
In breve, un anno di guerra in Ucraina evidenzia come si sia intensificato il "grande riarmo del mondo", simboleggiato dai massicci investimenti militari dei due grandi sconfitti della Seconda Guerra Mondiale, il Giappone, che ha impegnato 320 miliardi di dollari per il suo esercito in 5 anni, il più grande sforzo di armamento dal 1945, e soprattutto la Germania, che sta anch'essa aumentando il suo budget per la difesa.
Come prodotto ovviamente deliberato della classe dominante, la carneficina in Ucraina illustra chiaramente la bancarotta del sistema capitalista. Tuttavia, i sentimenti di impotenza e di orrore generati dalla guerra non favoriscono oggi lo sviluppo di un'opposizione proletaria al conflitto. D'altra parte, il significativo peggioramento della crisi economica e gli attacchi contro i lavoratori che ne derivano direttamente, spingono questi ultimi a mobilitarsi sul loro terreno di classe per difendere le loro condizioni di vita. In questa dinamica di rinnovate lotte, la barbarie bellica finirà per costituire una fonte di consapevolezza della bancarotta del sistema, oggi ancora limitata a piccole minoranze della classe.
R. Havanais, 25 marzo 2023
[1] Il termine è usato dalla stessa borghesia nel Rapporto sui Rischi Globali 2023 presentato al Forum Economico Mondiale nel gennaio 2023 a Davos.
[2] "I 20 anni del XXI secolo: L'accelerazione della decomposizione capitalistica pone la chiara possibilità della distruzione dell'umanità [11]", International Review n. 169 (2022)
Oggi siamo di nuovo in piazza per la XII giornata di manifestazioni contro la riforma delle pensioni. Ogni volta siamo in milioni a rivoltarci contro questo attacco, a rifiutare la degradazione continua delle nostre condizioni di vita e di lavoro, a sostenerci reciprocamente, a lottare insieme.
Lavoratori, disoccupati, studenti e pensionati, possiamo essere fieri di questa lotta collettiva, di questa lotta per la dignità, di questa solidarietà che ci unisce.
L’ampiezza del nostro movimento è tale da ispirare, in questo stesso momento i lavoratori in Germania, in Italia, nella repubblica ceca, in Gran Bretagna… Anche loro rifiutano di essere sempre più sfruttati, sempre più impoveriti. È su scala internazionale che gli scioperi si moltiplicano.
Eppure noi tutti sentiamo anche il limite attuale del nostro movimento. In Gran Bretagna i lavoratori continuano a scioperare da dieci mesi senza che il governo si pieghi. Nessun aumento reale dei salari, al di là di qualche briciola. In Francia il governo resta fermo nei suoi propositi e mantiene il suo attacco. Allo stesso tempo i prezzi dei generi di prima necessità aumentano e i salari stagnano. E la futura riforma del lavoro annuncia già le sue caratteristiche: più flessibilità, più precarietà.
E allora, come sviluppare un rapporto di forze a nostro favore? Come far indietreggiare la borghesia?
Una parte della risposta si trova nella nostra stessa esperienza, nella nostra stessa storia, in particolare in quell’episodio della lotta di classe che costituisce la nostra ultima vittoria: il movimento contro il Contratto di Primo Impiego (CPE) nel 2006. Di fronte alla dinamica del movimento la borghesia aveva dovuto cedere e ritirare la sua legge, nonostante fosse stata anche votata dal Parlamento. Anche i mezzi di informazione parlano della possibilità attuale di uno “scenario alla CPE”, ma senza mai dire cosa, all’epoca, aveva fatto tremare la borghesia francese e il suo governo.
Il 16 gennaio 2006, il governo, con la scusa di combattere la disoccupazione giovanile, presenta al Parlamento un progetto di legge (cinicamente intitolato “per le pari opportunità”) contenente una misura particolarmente iniqua: il CPE. Questo tipo di contratto avrebbe permesso ai padroni di licenziare senza alcuna motivazione i salariati fino ai 26 anni nei primi due anni di impiego.
Già il 17 gennaio, la gioventù reagisce a questo attacco, con la comprensione che questa legge avrebbe aumentato la precarietà del lavoro. In tutte le Università i giovani si riuniscono in assemblee generali (AG) per dibattere e decidere assieme della direzione del movimento. Si formano dei collettivi per ottenere il ritiro del CPE.
Il 24 gennaio viene lanciato il primo appello a manifestare.
Il 7 febbraio diverse centinaia di migliaia di persone manifestano in tutta la Francia mentre, nelle fabbriche, nessun sindacato propone qualche azione o delle AG.
Il 14 e il 16 febbraio a migliaia gli studenti universitari e medi manifestano a Parigi, a Tolosa, Rennes e Lione.
Il 27 febbraio il governo ricorre all’articolo 49.3 della Costituzione[1] per far passare la legge (e quindi il CPE) all’Assemblea Nazionale.
Il primo marzo, 13 università sono in sciopero. Blocchi, filtri e chiusura totale delle università sono decise dalle AG degli studenti in sciopero. Si tratta di vere Assemblee Generali: sono loro a decidere le iniziative da prendere e le parole d’ordine, esse sono aperte ai lavoratori, ai disoccupati e ai pensionati.
Il 4 marzo, il Coordinamento nazionale studentesco, formato di delegati eletti dalle AG, si riunisce a Jussieu (Parigi). Una cinquantina di lavoratori, di disoccupati e di pensionati, venuti dai quattro angoli della Francia, vorrebbero partecipare alle discussioni. Ma il sindacato studentesco UNEF vi si oppone. Comincia una discussione nell’Assemblea, la posizione dell’UNEF è messa in minoranza, le porte si aprono e la cinquantina di “esterni” può entrare. Durante tutta la discussione i rappresentanti dell’UNEF non smetteranno di cercare di ridurre il movimento a rivendicazioni puramente studentesche, laddove il resto dell’Assemblea si orienta verso l’apertura delle parole d’ordine a tutti i lavoratori.
Il 7 marzo la protesta si allarga. Quasi un milione di manifestanti sfilano in tutta la Francia. Si cominciano a vedere dei salariati raggiungere le manifestazioni, ma, sia nei cortei degli studenti che sui marciapiedi, raramente dietro le bandiere sindacali. A Parigi i sindacati si mettono alla testa della manifestazione. Vedendo questo, gli studenti si precipitano e si impongono alla testa del corteo. Una ventina di università sono in sciopero, con sempre più AG sovrane.
L’8 marzo, gli studenti della Sorbona occupano la facoltà per poter svolgere le loro assemblee. Il rettorato di Parigi esige lo sgombero dell’immobile definito “monumento storico”. Gli studenti si rifiutano e vengono accerchiati dai CRS (celerini) e dai Gendarmi mobili che trasformano l’università in una vera trappola per topi.
Il 9 marzo il Parlamento approva definitivamente il CPE. Il primo ministro annuncia che la misura sarà approvata “nei prossimi giorni”
Il 10 marzo gli studenti delle altre facoltà decidono di recarsi in massa e pacificamente alla Sorbona, per portare la loro solidarietà e del cibo ai loro compagni affamati e presi in ostaggio su ordine del Rettore dell’Accademia di Parigi e del Ministero dell’interno.
Nella notte tra il 10 e l’11 marzo le forze dell’ordine invadono la Sorbona a colpi di manganello e di gas lacrimogeno. Cacciano gli studenti in lotta e ne arrestano diverse decine.
Il 16 marzo, 64 università su 84 sono bloccate.
Il 18 marzo dimostrazione di forza degli anti-CPE: quasi un milione e mezzo di persone in piazza. I sindacati continuano a non fare niente nelle fabbriche, nessuna azione, nessuna Assemblea Generale.
Il 19 marzo i sindacati avanzano “la minaccia di uno sciopero generale” … una minaccia che resta nell’aria e mai attuata. Un testo che doveva restare riservato ai membri dell’UNEF finisce tra le mani degli studenti. Questo testo spiega ai suoi aderenti come manipolare le AG, controllare i dibattiti e le decisioni. L’indignazione è generale. In certe assemblee si scandisce “Unef-Medef”[2] per sottolineare il lavoro di sabotaggio dall’interno a favore del padronato.
Il 20 marzo il Primo ministro esclude di nuovo un ritiro del CPE.
Il 21 marzo un quarto dei licei sono bloccati.
Il 28 marzo e il 4 aprile nuove manifestazioni record: quasi 3 milioni di manifestanti sfilano in tutta la Francia.
Il 10 aprile il CPE viene ritirato!
Quello che ha costituito la forza di questo movimento è innanzitutto il rafforzamento della solidarietà attiva nella lotta. È rinserrando le fila, costruendo una trama stretta, comprendendo che l’unione fa la forza, che gli studenti hanno potuto mettere in pratica la vecchia parola d’ordine del movimento operaio: “Uno per tutti, tutti per uno!”
Le assemblee generali di massa, polmone del movimento
Gli anfiteatri in cui si tenevano le AG erano strapieni. I lavoratori, i disoccupati, i pensionati erano invitati a parteciparvi, ad apportare la loro esperienza. Tutti i lavoratori che hanno assistito a queste AG sono stati colpiti dalla capacità di questa giovane generazione di distribuire la parola, di convincere, di confrontare gli argomenti… Gli studenti difendevano in permanenza il carattere sovrano delle AG, con i loro delegati eletti e revocabili (sulla base di mandati e di resoconti sui mandati), attraverso il voto a mani alzate. Tutti i giorni squadre differenti organizzavano i dibattiti dal palco. Per poter distribuire gli incarichi, centralizzare, coordinare e mantenere il controllo del movimento, i comitati di sciopero decidevano di eleggere diverse commissioni: stampa, animazione e riflessione, accoglienza ed informazione, ecc. È grazie alle AG, veri luoghi aperti di dibattito e di decisione, e alla centralizzazione della lotta che gli studenti decidevano delle iniziative da prendere, con la principale preoccupazione dell’estensione del movimento alle fabbriche.
La dinamica dell’estensione della lotta a tutta la classe operaia
Gli studenti avevano perfettamente capito che il destino della loro lotta era tra le mani dei lavoratori salariati. Come ebbe a dire uno studente durante una riunione di un coordinamento l’8 marzo: “se restiamo isolati ci mangiano vivi”. Questa dinamica verso l’estensione del movimento, verso lo sciopero di massa è cominciata dall’inizio del movimento. Gli studenti hanno inviato delle delegazioni numerose presso le aziende vicine ai loro luoghi di studio. Ma si sono scontrati con il “blocco dell’economia” del sindacato: i lavoratori sono rimasti chiusi nelle loro aziende senza la possibilità di discutere con le delegazioni degli studenti. Allora i “piccoli indiani” delle facoltà si sono dovuti immaginare un altro modo per aggirare l’ostacolo sindacale: hanno aperto gli anfiteatri in cui tenevano le loro AG. Hanno chiesto ai lavoratori e pensionati di trasmettere loro la loro esperienza: essi avevano sete di apprendere dalle vecchie generazioni. E i “vecchi” avevano sete di trasmettere ai “giovani”. Così i “giovani” guadagnavano in maturità, i “vecchi” ringiovanivano! È questa osmosi fra tutte le generazioni della classe operaia che ha dato un impulso nuovo al movimento. La più grande vittoria è la lotta stessa: “Di quando in quando gli operai vincono, ma solo in modo effimero. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma l’unione sempre più estesa degli operai” (Marx ed Engels, Manifesto comunista, 1848)
Il movimento degli studenti del 2006 andava ben al di là di una semplice protesta contro il CPE. Come disse un professore dell’università di Parigi-Tolbiac alla manifestazione del 7 marzo: “il CPE non è solo un attacco economico reale e puntuale. È anche un simbolo”. Effettivamente, era il “simbolo” del fallimento dell’economia capitalista.
Il movimento era anche una risposta implicita agli “errori” della polizia (quella che, nell’autunno 2005, aveva provocato la morte “accidentale” di due giovani innocenti, denunciati come “scassinatori” da un “cittadino” e ricercati dagli sbirri). La repressione degli studenti della Sorbona che volevano solo tenere delle Assemblee generali non ha fatto che rafforzare la determinazione degli studenti. Tutta la borghesia e i mezzi di informazione ad essa asserviti non hanno smesso, ora dopo ora, di fare una pubblicità menzognera per far passare gli studenti come dei “malfattori”. Ma la classe operaia non ha abboccato all’amo. Al contrario, la violenza degli sbirri della borghesia ha messo in luce la violenza del sistema capitalista e del suo Stato “democratico”. Un sistema che getta per strada milioni di operai, che vuole ridurre in miseria i giovani come i pensionati, un sistema che fa regnare “il diritto e l’ordine” con il manganello.
Le nuove generazioni della classe operaia hanno rifiutato di cedere alla provocazione dello Stato di polizia. Hanno rifiutato di utilizzare la violenza cieca e disperata. Di fronte alla repressione e alle provocazioni hanno mantenuto il loro metodo di lotta: le AG sovrane, la solidarietà e l’estensione della mobilitazione!
Questi metodi di lotta che hanno costituito la forza del movimento nel 2006, che hanno fatto tremare la borghesia costringendola a fare marcia indietro, possiamo metterli in atto anche noi!
Il CPE non attaccava i giovani precari in quanto studenti, ma in quanto futuri lavoratori. I metodi di lotta che istintivamente gli studenti hanno utilizzato sono quelli di tutta la classe operaia. Prendere in mano la lotta sui luoghi di lavoro, riunirsi in AG sovrane, decidere collettivamente delle iniziative e delle parole d’ordine, dibattere e costruire insieme il movimento, estendere la lotta ai settori geograficamente più vicini, andando a cercare i lavoratori della scuola, degli ospedali, delle fabbriche, del pubblico impiego… tutto questo è possibile. Riflettere ed elaborare insieme dentro queste Assemblee generali costituisce anche il mezzo per non cadere nella trappola delle provocazioni poliziesche e degli scontri sterili. Gli studenti nel 2006 lo hanno dimostrato!
Organizzarci in AG costituisce oggi la tappa che non siamo ancora riusciti a raggiungere per trasformare i milioni di manifestanti in piazza in una vera forza collettiva, unita e solidale. Perché ci manca la fiducia in noi stessi, perché lasciamo la direzione delle nostre lotte alle organizzazioni sindacali, perché abbiamo dimenticato che siamo già stati capaci di lottare così in passato. In Polonia nel 1980, in Italia nel 1969, in Francia nel 1968… per non citare che i tre esempi più famosi degli ultimi sessanta anni.
Per superare questo ostacolo tutti i lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti che cercano di sviluppare la lotta e la forza collettiva della nostra classe, devono riunirsi per dibattere, scambiare le loro esperienze e cercare insieme di riappropriarsi delle lezioni del passato.
L’emancipazione dei lavoratori sarà l’opera dei lavoratori stessi!
Corrente Comunista Internazionale, 5 aprile 2023
Nel bel mezzo del massacro della Prima Guerra Mondiale, molto prima che grandi masse di lavoratori si riunissero nelle strade per protestare contro la guerra, un piccolo ma determinato numero di internazionalisti si era riunito nel villaggio svizzero di Zimmerwald nel settembre del 1915 per difendere l'internazionalismo e per difendere l'unificazione dei lavoratori in tutto il mondo, rifiutando le illusioni pacifiste e opponendosi ai vari fronti dell'imperialismo.
I rivoluzionari non possono aspettare che le grandi masse della classe operaia si mettano in movimento, ma devono indicare la direzione da seguire.
Coerentemente con quest’insegnamento del movimento operaio, all'inizio della guerra in Ucraina, la Corrente Comunista Internazionale ha proposto agli altri gruppi della Sinistra comunista una dichiarazione internazionalista congiunta sulla guerra in Ucraina. Questa dichiarazione congiunta è riportata nel presente bollettino. Di questi gruppi, tre hanno affermato la loro volontà di partecipare e la dichiarazione è stata discussa, concordata e pubblicata da questi diversi gruppi.
Il principio alla base della dichiarazione congiunta era che sulla questione fondamentale della guerra imperialista e della prospettiva internazionalista contro di essa, i diversi gruppi della Sinistra Comunista erano d'accordo e potevano unirsi su questa questione per fornire, con maggiore forza, una chiara alternativa politica alla barbarie capitalista per la classe operaia dei diversi paesi.
L'altro elemento della dichiarazione congiunta era che su altre questioni, in particolare sull'analisi dell'attuale guerra imperialista, delle sue origini e delle sue prospettive, esistevano differenze tra i gruppi aderenti che dovevano essere discusse e chiarite. Di conseguenza, i gruppi hanno deciso di produrre brevi dichiarazioni su queste questioni e di pubblicarle nel bollettino che riproduciamo nella sessione "ultime uscite" (latest issues)
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“Quando è troppo è troppo!” - Regno Unito. “Non un anno di più, non un euro di meno” - Francia. “L’indignazione viene da lontano” - Spagna. “Per tutti noi” - Germania. Tutti questi slogan, scanditi durante gli scioperi degli ultimi mesi in tutto il mondo, mostrano fino a che punto le attuali lotte dei lavoratori esprimono il rifiuto del deterioramento generale delle nostre condizioni di vita e di lavoro. In Danimarca, Portogallo, Olanda, Stati Uniti, Canada, Messico, Cina... gli stessi scioperi contro lo stesso sfruttamento sempre più insopportabile. “La vera galera: non potersi riscaldare, mangiare, curarsi, guidare!”
Ma le nostre lotte sono anche molto più di questo. Nelle manifestazioni, iniziamo a vedere su alcuni cartelli il rifiuto della guerra in Ucraina, il rifiuto di produrre sempre più armi e bombe, di dover stringere la cinghia in nome dello sviluppo di questa economia di guerra: Nelle manifestazioni in Francia abbiamo sentito gridare “Niente soldi per la guerra, niente soldi per le armi, soldi per i salari, soldi per le pensioni”. Queste lotte esprimono anche il rifiuto di vedere il pianeta distrutto in nome del profitto.
Le nostre lotte sono l’unico baluardo contro questa dinamica autodistruttiva, l’unico baluardo contro la morte che il capitalismo promette a tutta l’umanità. Perché, lasciato alla sua logica, questo sistema decadente trascinerà parti sempre più ampie dell’umanità nella guerra e nella miseria, distruggerà il pianeta con i gas serra, le foreste rase al suolo e le bombe.
La classe che governa la società mondiale, la borghesia, è in parte consapevole di questa realtà, del futuro barbarico che il suo sistema morente ci promette. Basta leggere gli studi e i lavori dei suoi stessi esperti per rendersene conto. Secondo il “Rapporto sui rischi globali” presentato al Forum economico mondiale di Davos nel gennaio 2023: “I primi anni di questo decennio hanno preannunciato un periodo particolarmente travagliato della storia umana. Il ritorno a una ‘nuova normalità’ dopo la pandemia Covid-19 è stato rapidamente compromesso dallo scoppio della guerra in Ucraina, che ha dato il via a una nuova serie di crisi alimentari ed energetiche [...]. Nel 2023, il mondo si trova ad affrontare una serie di rischi [...]: inflazione, crisi del costo della vita, guerre commerciali [...], scontri geopolitici e lo spettro della guerra nucleare [...], livelli insostenibili di debito [...], sviluppo umano in declino [...], pressione crescente degli impatti e delle ambizioni legate al cambiamento climatico [...]. Tutti questi elementi stanno convergendo per dare forma a un decennio unico, incerto e turbolento”.
In realtà, il prossimo decennio non è così “incerto”, poiché secondo questo stesso Rapporto: “Il prossimo decennio sarà caratterizzato da crisi ambientali e sociali [...], dalla ‘crisi del costo della vita’ [...], dalla perdita di biodiversità e dal collasso degli ecosistemi [...], dallo scontro geo-economico [...], da migrazioni involontarie su larga scala [...], dalla frammentazione dell’economia globale, da tensioni geopolitiche [...]. La guerra economica sta diventando la norma, con un crescente scontro tra le potenze mondiali [...]. Il recente aumento delle spese militari [...] potrebbe portare a una corsa agli armamenti globale [...], con l’impiego mirato di armi di nuova tecnologia su una scala potenzialmente più distruttiva di quanto si sia visto negli ultimi decenni”.
Di fronte a questa prospettiva sconvolgente, la borghesia non può che essere impotente. Essa e il suo sistema non sono la soluzione, ma la causa del problema. Se attraverso i grandi media cerca di farci credere che sta facendo tutto il possibile per combattere il riscaldamento globale, che un capitalismo ‘verde’ e ‘sostenibile’ è possibile, in realtà conosce la portata della sua menzogna. Infatti, come sottolinea il “Rapporto sui rischi globali”: “I livelli atmosferici di anidride carbonica, metano e protossido di azoto hanno tutti raggiunto il picco. Le traiettorie delle emissioni rendono altamente improbabile il raggiungimento delle ambizioni mondiali di limitare il riscaldamento a 1,5°C. Gli eventi recenti hanno evidenziato una divergenza tra ciò che è scientificamente necessario e ciò che è politicamente opportuno”.
In realtà, questa “divergenza” non si limita alla questione climatica. Essa esprime la contraddizione fondamentale di un sistema economico basato non sulla soddisfazione dei bisogni umani ma sul profitto e sulla competizione, sulla predazione delle risorse naturali e lo sfruttamento feroce della classe che produce la maggior parte della ricchezza sociale: il proletariato, i lavoratori salariati di tutti i paesi.
Il capitalismo e la borghesia costituiscono uno dei due poli della società, quello che conduce l’umanità verso la miseria e la guerra, verso la barbarie e la distruzione. L’altro polo è il proletariato e la sua lotta. Da un anno a questa parte, nei movimenti sociali che si stanno sviluppando in Francia, Regno Unito e Spagna, lavoratori, pensionati, disoccupati e studenti sono uniti. Questa solidarietà attiva, questa combattività collettiva, sono la testimonianza di quella che è la natura profonda della lotta dei lavoratori: una lotta per un mondo radicalmente diverso, un mondo senza sfruttamento o classi sociali, senza competizione, senza frontiere o nazioni. “I lavoratori restano uniti”, gridano gli scioperanti nel Regno Unito. “O lottiamo insieme o finiremo per dormire per strada”, confermano i manifestanti in Francia. Lo striscione “Per tutti noi”, sotto il quale si è svolto lo sciopero contro l’impoverimento in Germania il 27 marzo, è particolarmente significativo di questo sentimento generale che sta crescendo nella classe operaia: siamo tutti sulla stessa barca e lottiamo gli uni per gli altri. Gli scioperi in Germania, Regno Unito e Francia si ispirano l’uno all’altro. In Francia, gli operai hanno scioperato esplicitamente in solidarietà con i loro fratelli di classe in lotta in Inghilterra: “Siamo solidali con gli operai inglesi, che sono in sciopero da settimane per salari più alti”. Questo riflesso di solidarietà internazionale è l’esatto contrario del mondo capitalista diviso in nazioni concorrenti, fino alla guerra. Ricorda il grido di battaglia che è proprio della nostra classe sin dal 1848: “I proletari non hanno patria! Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
In tutto il mondo il clima sociale sta cambiando. Dopo decenni di pigrizia e di cedimenti, la classe operaia sta iniziando a ritrovare la strada della lotta e della dignità. Ecco quello che hanno dimostrano “l’Estate della rabbia” e il ritorno degli scioperi nel Regno Unito, quasi quarant’anni dopo la sconfitta dei minatori da parte della Thatcher nel 1985.
Ma tutti avvertiamo le difficoltà e i limiti attuali delle nostre lotte. Di fronte al rullo compressore della crisi economica, all’inflazione e agli attacchi dei governi che loro chiamano “riforme”, non siamo ancora in grado di stabilire un rapporto di forze a nostro favore. Spesso isolati in scioperi separati, o frustrati dalla riduzione delle nostre manifestazioni a cortei-sfilate, senza riunioni o discussioni, senza assemblee generali né organizzazione collettiva, aspiriamo tutti a un movimento più ampio, più forte, più unitario e solidale. Nei cortei in Francia, l’appello per un nuovo Maggio 68 ritorna costantemente. Di fronte alla “riforma” che porta l’età pensionabile a 64 anni, lo slogan più diffuso sui cartelloni è: “Tu ci porti a 64, noi ti riportiamo al Maggio 68”.
Nel 1968, il proletariato francese si unì prendendo in mano le proprie lotte. Dopo le grandi manifestazioni del 13 maggio per protestare contro la repressione poliziesca subita dagli studenti, gli scioperi e le assemblee generali si diffusero a macchia d’olio nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro per sfociare, con i suoi 9 milioni di scioperanti, nel più grande sciopero della storia del movimento operaio internazionale. Di fronte a questa dinamica di estensione e unità della lotta operaia, il governo e i sindacati si affrettarono a firmare un accordo per un aumento generale dei salari al fine di fermare il movimento. Contemporaneamente a questo risveglio della lotta operaia, si vide un forte ritorno all’idea della rivoluzione, che veniva discussa da molti lavoratori in lotta.
Un evento di questa portata era il segno di un cambiamento fondamentale nella vita della società: era la fine della terribile controrivoluzione che si era abbattuta sulla classe operaia a partire dalla fine degli anni ‘20, con il fallimento della rivoluzione mondiale dopo la prima vittoria dell’ottobre 1917 in Russia. Una controrivoluzione che aveva assunto il volto orrendo dello stalinismo e del fascismo, che aveva aperto le porte alla Seconda Guerra Mondiale con i suoi 60 milioni di morti e che era proseguita per i due decenni successivi. E questo fu rapidamente confermato in tutte le parti del mondo da una serie di lotte di una portata sconosciuta da decenni:
- L’Autunno caldo italiano del 1969, noto anche come “Maggio rampante”, che vide lotte massicce nei principali centri industriali e una sfida esplicita alla leadership sindacale.
- La rivolta operaia di Córdoba, in Argentina, nello stesso anno.
- I grandi scioperi dei lavoratori baltici in Polonia nell’inverno 1970-71.
- Numerose altre lotte negli anni successivi in quasi tutti i paesi europei, in particolare nel Regno Unito.
- Nel 1980, in Polonia, di fronte all’aumento dei prezzi dei generi alimentari, gli scioperanti portarono avanti questa ondata internazionale prendendo in mano le loro lotte, riunendosi in grandi assemblee generali, decidendo da soli quali richieste avanzare e quali azioni intraprendere e, soprattutto, avendo come preoccupazione costante quella di estendere la lotta. Di fronte a questa forza, non fu solo la borghesia polacca a tremare, ma la borghesia di tutti i paesi.
In due decenni, dal 1968 al 1989, un’intera generazione di lavoratori ha acquisito esperienza nella lotta. Le sue numerose sconfitte, e talvolta le sue vittorie, hanno permesso a questa generazione di affrontare le numerose trappole tese dalla borghesia per sabotare, dividere e demoralizzare. Le sue lotte devono permetterci di trarre lezioni vitali per le nostre lotte attuali e future: solo il riunirsi in assemblee generali aperte e di massa, autonome, che decidono realmente come portare avanti il movimento, al di fuori e persino contro il controllo sindacale, può costituire la base di una lotta unitaria e che si estende, portata avanti dalla solidarietà tra tutti i settori, tutte le generazioni. Assemblee generali nelle quali ci sentiamo uniti e fiduciosi nella nostra forza collettiva. Assemblee generali dove possiamo adottare insieme richieste sempre più unificanti. Assemblee generali dove ci riuniamo e dalle quali possiamo partire in folte delegazioni per incontrare i nostri fratelli di classe, i lavoratori della fabbrica, dell’ospedale, della scuola, del centro commerciale, degli uffici ... più vicini a noi.
La nuova generazione di lavoratori, che ora sta prendendo il testimone, deve riunirsi, discutere, riappropriarsi delle grandi lezioni delle lotte passate. Le vecchie generazioni devono raccontare ai giovani le proprie lotte, in modo che l’esperienza accumulata possa essere trasmessa e diventare un’arma nelle lotte future.
Ma bisogna anche andare oltre. L’ondata di lotte internazionali iniziata nel maggio 1968 è stata una reazione al rallentamento della crescita e alla ricomparsa della disoccupazione di massa. Oggi la situazione è molto più grave. Lo stato catastrofico del capitalismo mette in gioco la sopravvivenza stessa dell’umanità. Se non riusciamo a rovesciarlo, la barbarie andrà a generalizzarsi progressivamente.
Lo slancio del Maggio 68 è stato infranto da una doppia menzogna della borghesia: quando i regimi stalinisti sono crollati nel 1989-91, hanno sostenuto che il crollo dello stalinismo significava la morte del comunismo e che si stava aprendo una nuova era di pace e prosperità. Tre decenni dopo, sappiamo per esperienza che invece di pace e prosperità abbiamo avuto guerra e miseria. Ci resta da capire che lo stalinismo è l’antitesi del comunismo, che è una forma particolarmente brutale di capitalismo di Stato emersa dalla controrivoluzione degli anni ‘20. Falsificando la storia, spacciando lo stalinismo per comunismo (come l’URSS di ieri e Cina, Cuba, Venezuela o Corea del Nord di oggi!), la borghesia è riuscita a far credere alla classe operaia che il suo progetto rivoluzionario di emancipazione non poteva che portare alla rovina. A tal punto che la stessa parola “rivoluzione” è diventata sospetta e vergognosa.
Ma nella lotta svilupperemo gradualmente la nostra forza collettiva, la fiducia in noi stessi, la nostra solidarietà, la nostra unità, la nostra auto-organizzazione. Nella lotta, ci renderemo gradualmente conto che noi, la classe operaia, siamo in grado di offrire un’altra prospettiva rispetto alla morte promessa da un sistema capitalista in decadenza: la rivoluzione comunista. La prospettiva della rivoluzione proletaria farà il suo ritorno nelle nostre teste e nelle nostre lotte.
Corrente Comunista Internazionale, 22 aprile 2023
Gli scioperi generati da un'immensa rabbia in Gran Bretagna lo scorso giugno, dopo decenni di attacchi subiti e di difficoltà a rispondervi, hanno segnato un netto cambiamento di mentalità nella classe operaia: “Quando è troppo è troppo!”. Le grandi manifestazioni contro la riforma delle pensioni in Francia, il moltiplicarsi di scioperi e manifestazioni in tutto il mondo confermano la realtà di una vera rottura: i proletari si rifiutano di subire nuovi attacchi senza reagire! Di fronte all'inflazione, ai licenziamenti, alle “riforme”, al precariato, al totale disprezzo, al continuo deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il proletariato rialza la testa!
In Francia, credendo di seppellire rapidamente il movimento, la borghesia si scontra con un'enorme mobilitazione, una rabbia profonda e duratura.
In Spagna, continuano le grandi mobilitazioni contro il collasso del sistema sanitario e il deterioramento delle condizioni di lavoro, con lotte e scioperi in diversi settori.
In Germania, i proletari del settore pubblico e gli impiegati delle poste chiedono aumenti salariali. Il settore dei trasporti è stato paralizzato da un mega streik e la situazione si sta aggravando ulteriormente in vista delle trattative in corso tra datori di lavoro e sindacato IG Mettal, che cerca di contenere la rabbia crescente.
In Grecia, la classe operaia ha espresso in modo esplosivo la sua indignazione a seguito di un incidente ferroviario che ha causato la morte di 57 persone, che ha rivelato la mancanza di mezzi, di personale e il cinismo della borghesia che voleva incolpare un capro espiatorio per discolparsi della politica di massicci e micidiali tagli di bilancio.
In Danimarca, sono scoppiati scioperi e manifestazioni contro la soppressione di una festività destinata a finanziare l'aumento del budget militare per lo sforzo bellico in Ucraina.
L'elenco dei conflitti sociali potrebbe essere molto più lungo in quanto diffusi e presenti in tutti i continenti.
A poco a poco, la divisione tra sfruttatori e sfruttati, che la borghesia sosteneva superata, riappare agli occhi dei proletari, anche se ancora molto confusa e balbettante. L’aggravarsi della crisi economica, in un mondo sempre più frammentato, accresce infatti la brutalità dello sfruttamento della forza lavoro e, di ritorno, genera lotte che spingono alla solidarietà e alla riflessione. Di fronte a condizioni di lavoro palesemente ingiuste e semplicemente intollerabili e insopportabili, i proletari, siano essi del settore pubblico o privato, in camice blu o bianco, dietro un registratore di cassa o una scrivania, in fabbrica o disoccupati, iniziano a riconoscersi come vittime dello stesso sistema e attori di un destino comune attraverso la lotta. In breve, i proletari, senza esserne ancora consapevoli, stanno facendo i primi passi per riconoscersi come classe sociale: la classe operaia.
Meglio ancora: i proletari cominciano a mettersi in contatto tra loro al di là delle frontiere, come abbiamo visto con lo sciopero degli operai di una raffineria belga in solidarietà con gli operai in Francia, o lo sciopero alla “Mobilier national” in Francia, prima dell'arrivo (ritardato) di Carlo III a Versailles, in solidarietà con “gli operai inglesi che da settimane scioperano per aumenti salariali”. Attraverso queste espressioni di solidarietà, ancora molto embrionali, i lavoratori cominciano a riconoscersi come classe internazionale: siamo tutti sulla stessa barca!
Ma se molti paesi in tutti i continenti sono colpiti da questa ondata crescente, lo sono comunque a livelli molto diversi, con livelli molto differenti di fragilità, mobilitazione e consapevolezza. La situazione attuale viene infatti a confermare pienamente la distinzione che va fatta tra il vecchio proletariato dei paesi centrali, in particolare dell'Europa occidentale, e quello dei suoi fratelli di classe nei paesi della periferia. Come abbiamo potuto constatare in Cina o in Iran, la mancanza di esperienza storica della lotta, la presenza di strati sociali intermedi più ampi, il peso più marcato delle mistificazioni democratiche, espongono maggiormente i lavoratori al rischio di annegare nella rabbia degli strati intermedi piccolo-borghesi e più impoveriti. O addirittura di essere inglobati da una frazione borghese, come dimostra la situazione in Perù.
Se le lotte stanno portando a un lento riemergere dell'identità di classe, è nell'Europa occidentale che questa si manifesta maggiormente, sul terreno di classe e con una consapevolezza, certo ancora debole, ma più avanzata: attraverso gli slogan, i metodi di lotta, il processo di maturazione della coscienza nelle minoranze alla ricerca di posizioni politiche proletarie, attraverso la riflessione che si sta avviando in modo più ampio all'interno delle masse lavoratrici.
Il proletariato muove quindi i primi passi in una lotta di resistenza di fronte alla crescente barbarie e ai brutali attacchi del capitale. Quali che siano i risultati immediati di questa o quella lotta, le vittorie (sempre provvisorie finché il capitalismo non sarà rovesciato) o i fallimenti, la classe operaia oggi apre la strada ad altre lotte ovunque nel mondo. Spinto dall'aggravarsi della crisi del capitalismo e dalle sue disastrose conseguenze, il proletariato in lotta indica la strada!
La responsabilità storica della classe rivoluzionaria di fronte ai pericoli che il sistema capitalista pone all'intera umanità (clima, guerra, minacce nucleari, pandemie, impoverimento, ecc.) si fa più intensa e drammatica. Il mondo capitalista sta precipitando in un caos sempre più sanguinoso, e questo processo non solo sta accelerando bruscamente, ma è ora sotto gli occhi di tutti[1].
Già un anno di guerra e massacri in Ucraina! Questo conflitto barbaro e distruttivo continua con combattimenti senza fine, come dimostra la polarizzazione mortale attorno a Bakhmut, testimonianza di un tragico stallo. Accumulando le rovine alle porte dell'Europa, questo conflitto ha già superato le perdite umane dei soldati dell'Armata Rossa caduti durante dieci anni di guerra in Afghanistan (dal 1979 al 1989)! Per entrambe le parti, le stime portano già il numero dei morti ad almeno 300.000![2] La follia omicida in Ucraina rivela il volto orrendo del capitalismo decadente il cui militarismo permea ogni fibra.
Dopo il terribile shock della pandemia Covid-19, in un contesto di caos, crisi di sovrapproduzione, penuria e indebitamento massiccio, la guerra in Ucraina non ha fatto altro che rafforzare i peggiori effetti della decomposizione del modo di produzione capitalista, portando a una fenomenale accelerazione del marcire della società.
Guerra e militarismo, crisi climatica, disastri di ogni genere, disorganizzazione dell'economia mondiale, ascesa delle peggiori ideologie irrazionali, crollo delle strutture statali di assistenza, istruzione, trasporti... questa cascata di fenomeni catastrofici non solo si aggravano drammaticamente, ma si alimentano a vicenda, spingendosi in una sorta di "vortice" infernale al punto di a minacciare una vera e propria distruzione della civiltà.
Gli ultimi avvenimenti non fanno che confermare ulteriormente questa dinamica: la guerra aggrava una crisi economica già molto profonda. Oltre all'elevata inflazione, alimentata dalla corsa agli armamenti, si registra un’ulteriore turbolenza nel settore bancario in Europa e negli Stati Uniti, segnata dal fallimento di banche, tra cui la Silicon Valley Bank (SVB) in California e dal salvataggio di Credit Suisse con un'acquisizione forzata da parte di UBS. Lo spettro di una crisi finanziaria incombe di nuovo sul mondo; il tutto in un contesto di accresciuto disordine planetario, concorrenza sfrenata, spietata guerra commerciale che spinge gli Stati a politiche senza controllo, tendendo ad accelerare la frammentazione e i disastri, non ultimo il riscaldamento globale[3]. Queste catastrofi non possono che portare a nuove convulsioni e a una corsa a capofitto verso la crisi, con fenomeni imprevedibili.
Mentre la classe operaia intraprende la lotta sul terreno di classe, il sistema capitalista può solo farci precipitare nel fallimento e nella distruzione se non viene rovesciato dal proletariato. Questi due poli della situazione storica si scontreranno e si confronteranno ulteriormente nei prossimi anni. Questa evoluzione, nonostante le sue complesse dinamiche, finirà per mostrare più nettamente l'unica alternativa storica possibile: il comunismo o la distruzione dell'umanità!
WH, 5 aprile 2023
[1] Compresa la borghesia che, nell'ultimo rapporto sui rischi globali del forum di Davos, ha esposto con molta lucidità la catastrofe in cui ci sta trascinando il capitalismo.
[2] L'ONU ha anche reso noto che ci sono state esecuzioni sommarie da entrambe le parti.
[3] Da fine marzo, in Spagna, nuovi incendi "tipici dell'estate" hanno già costretto all'evacuazione 1500 persone!
Guerra, pandemia, disastro ecologico, caos economico, carestia: nei primi anni del 2020, tutti questi prodotti di un sistema in decadenza si sono intensificati e hanno agito l'uno sull'altro, lasciando pochi dubbi sul fatto che il capitalismo stia spirando verso la distruzione. Ma in contrapposizione al senso di sventura e di disperazione che pervade la società, nel giugno 2022, il proletariato più antico del mondo ha acceso il fuoco della lotta di classe internazionale. Invece di rannicchiarsi di fronte al caos crescente, il proletariato ha iniziato a liberarsi da decenni di disorientamento. In Gran Bretagna, Francia, Spagna, Belgio e Germania si è sentito uno slogan comune: "Quando è troppo è troppo. Non ne possiamo più". Il gigante proletario si è fatto coraggio. La sua lotta collettiva e la sua solidarietà, la sua determinazione a non sacrificarsi, sono l'antitesi delle crescenti turbolenze del capitalismo. Hanno aperto un nuovo periodo di lotta di classe.
Per spiegare questi eventi storici, dall'inizio dell'anno abbiamo tenuto tre incontri pubblici in inglese.
Agli incontri hanno partecipato compagni di tutto il mondo. La discussione ha affrontato il significato storico dell'accelerazione della barbarie e della rottura del proletariato con il profondo arretramento che, con alcuni momenti eccezionali, è durato dal 1989 al 2022.
In questo articolo ci concentreremo sul significato di questa rottura.
L'analisi della CCI sulla profondità e l'impatto delle molteplici crisi ha trovato un ampio consenso. La discussione sulle lotte ha sollevato importanti domande. Come faranno le lotte a uscire dal loro isolamento reciproco? Come si trasformeranno le lotte dalla difesa all'offensiva? La CCI sta dicendo che la strada è ora aperta alla rivoluzione? In questo articolo ci occuperemo di queste domande.
L'ondata di lotte che si è verificata a partire dallo scorso giugno è stata in gran parte costituita da lotte isolate. La Gran Bretagna ne è un buon esempio. Nonostante il numero di settori diversi coinvolti, non c'è stato un vero e proprio incontro delle lotte. La divisione delle lotte non è solo tra i settori, ma anche al loro interno. Ci sono tre sindacati dei ferrovieri, ognuno dei quali organizza le proprie giornate di sciopero. Nel settore sanitario, il Royal Collage of Nurses ha addirittura diviso i propri scioperi; solo circa un terzo dei suoi membri ha scioperato contemporaneamente. La maggior parte degli operatori sanitari non è coinvolta. Questa strategia si riscontra anche in altri Paesi. Di fronte a queste divisioni, è stata sollevata una preoccupazione: "Penso che le lotte della classe operaia stiano aumentando in tutto il mondo. È un segno positivo, ma c'è un isolamento tra le lotte. Le lotte si stanno diffondendo ma c'è anche uno scenario opposto. Le lotte sono vicine ma sono isolate e questo è significativo" (M).
La dispersione delle lotte è effettivamente una grave debolezza. Il metodo marxista significa guardare al di là di ciascuna di queste particolari debolezze, collocandole nel loro contesto storico. È solo in questo quadro che si può rivelare la vera profondità storica delle lotte.
Questa esplosione di lotte ha un significato storico simile a quello degli eventi del 1968. Il Maggio 68, e l'enorme ondata di lotte che ne è seguita in molti paesi, è scoppiato dopo 50 anni di controrivoluzione che ha prevalso dopo la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria del 1917-27. Questo periodo è stato segnato dallo schiacciamento fisico e ideologico del proletariato: il suo punto più profondo è stata la Seconda Guerra Mondiale. Le lotte di oggi arrivano dopo 30 anni di profondo arretramento storico del proletariato internazionale causato dal crollo del blocco orientale e dall'inizio di una nuova e ultima fase del declino del capitalismo: la fase della decomposizione. In questi anni il proletariato ha subito attacchi ideologici massicci. Inizialmente intorno alla "sconfitta del comunismo" e a tutte le menzogne che l'hanno accompagnata: la fine della lotta di classe, la vittoria del capitalismo, il trionfo della democrazia. Poi aggravati dalle guerre in Iraq e Afghanistan, dall'ascesa del terrorismo, dalla crescente crisi dei rifugiati.
I principali Stati capitalisti hanno accompagnato queste avventure militari alimentando il capro espiatorio e l'odio, producendo un torrente di populismo e del suo sottoprodotto, l'anti populismo. Entrambe queste ideologie cercano di dividere la classe operaia e di minare la sua consapevolezza di essere una classe attraverso la politica delle identità in competizione: nazionale, razziale, sessuale, ecc. Negli ultimi anni ci sono state le campagne ecologiche, la pandemia e ora la guerra in Ucraina. Queste offensive ideologiche hanno avuto un profondo impatto sul proletariato. La borghesia internazionale è stata inizialmente sorpresa dalla profondità e dall'estensione delle lotte del 1968. Tuttavia, ha presto sviluppato strategie contro le lotte, che sono culminate nello schiacciamento dei minatori britannici nel 1985. Questo annientamento di una delle frazioni più combattive del proletariato più antico del mondo è stato un attacco all'intera classe operaia: se non hanno potuto vincere i minatori, come possiamo farlo noi? Nel periodo successivo a questa sconfitta, le lotte si sono affievolite, nonostante gli importanti movimenti del 1986 e del 1988. La classe operaia era già in difficoltà e in una situazione di crescente perdita di fiducia nella propria capacità di lotta quando fu colpita dal terremoto storico del 1989.
La capacità del proletariato di difendere i propri interessi di classe attraverso l'impennata delle lotte dello scorso anno segna chiaramente una profonda vittoria per il proletariato: si sta liberando dalle pesanti catene dell'arretramento e del disorientamento degli ultimi decenni. Ciò è avvenuto in un momento in cui la corsa del capitalismo verso la catastrofe diventa sempre più evidente, dimostrando che il proletariato è portatore di una potenziale alternativa rivoluzionaria. Ecco perché chiamiamo questo momento una rottura: il terreno sociale è cambiato. Il proletariato non ha deciso improvvisamente di lottare. C'è stato un intero processo di esperienza e riflessione negli ultimi decenni di riflusso. La classe può aver perso fiducia in se stessa, ma è ancora una classe rivoluzionaria. Può essere stata costretta a ritirarsi, ma non è stata schiacciata fisicamente e ideologicamente in scontri di massa con lo Stato. Ha sperimentato le campagne ideologiche, ha subito attacchi senza fine ai salari, alle condizioni di lavoro e di vita. Ha anche provato a lottare: il movimento contro il CPE in Francia nel 2006, i metalmeccanici di Vigo e gli Indignados in Spagna nel 2011 ne sono i principali esempi. Ma queste lotte non sono state in grado di attenuare l'impatto delle campagne ideologiche sulla sua autostima, sulla sua consapevolezza di essere una forza sociale distinta. Negli anni 2010 le lotte hanno raggiunto i minimi storici, sotto il peso crescente del populismo e dell'anti populismo. Il proletariato, tuttavia, ha sperimentato la realtà delle menzogne dei populisti e delle "élite consolidate", soprattutto di fronte alla pandemia. Tutto questo ha portato a una riflessione diffusa che è esplosa nella lotta di fronte agli attacchi brutali causati dall'impatto della pandemia e della guerra. Lo slogan internazionale "quando è troppo è troppo" è la manifestazione di questo processo.
Un compagno ha chiesto le implicazioni di questa analisi: "Sembra che tu stia dicendo che questo è un momento cruciale della lotta di classe, alla luce della discesa nella barbarie. Alla luce delle lotte attuali, sembra che tu stia dicendo che questo ha un significato particolare, stai effettivamente dicendo che queste lotte possono svilupparsi in una nuova ondata di lotte (la terza, con la prima arrivata dopo la prima guerra mondiale e la seconda negli anni '60, sconfitta alla fine degli anni '80)? Stai dicendo che se le lotte attuali non possono svilupparsi in una terza e ultima ondata, in un'ondata rivoluzionaria, allora il capitalismo trionferà? Questo non mi è chiaro" (MH). Siamo convinti che la rottura abbia aperto un nuovo periodo nella lotta tra proletariato e borghesia. La classe dominante non deve più confrontarsi con un proletariato disorientato e passivo. Deve ora confrontarsi con un proletariato internazionale che rifiuta di sacrificarsi nell'interesse del capitale. Si tratterà di una "terza ondata"? Non lo sappiamo.
Non siamo nella stessa situazione del 1968-89; il mondo non è diviso in blocchi, il capitalismo è entrato da trent’anni nella sua fase finale, il proletariato si trova di fronte alla possibilità che la crisi ecologica possa distruggere irreversibilmente l'ambiente naturale; c'è l'accelerazione del militarismo e il pericolo di guerre che ricorrono alle armi nucleari. Prima del 1989 la lotta del proletariato poteva frenare la minaccia di una terza guerra mondiale; oggi, per quanto il proletariato sviluppi la sua lotta, il sistema capitalista continuerà il suo declino nella barbarie. Anche se il proletariato riuscisse a rovesciare il capitalismo a livello internazionale, potrebbe trovarsi di fronte a danni irreparabili all'ambiente e a un vasto cumulo di rovine create dalle guerre capitaliste.
Sappiamo però che il proletariato ha aperto il potenziale per sviluppare la sua lotta verso la creazione delle condizioni per il rovesciamento del capitalismo. La capacità del proletariato di liberarsi del peso di decenni di profondo arretramento dimostra che non ha subito una sconfitta storica paragonabile a quella subita negli anni Venti e Trenta. Lungi dall'essere vittima sottomessa dell'ideologia borghese e dall'accettare di sacrificarsi sull'altare della guerra e dell'"interesse nazionale", il proletariato sta difendendo i propri interessi. E lo fa in condizioni inedite di accelerazione della barbarie del capitalismo. Questo dimostra che è ancora una forza sociale potente. Non è vilipesa o spezzata ed è ancora in grado di attingere all'esperienza e alla riflessione degli ultimi trenta anni.
Come farà la classe a passare dalla lotta economica a quella politica?
Un altro compagno ha chiesto: "Escalation qualitativa - come passa la classe operaia dalla difesa degli interessi economici immediati alla politicizzazione – si tratta di dimensione, della risposta della classe dominante, del ruolo dei rivoluzionari?". Voglio solo porre la questione del potenziale cambiamento verso la resistenza attiva alla guerra e al capitalismo stesso, unica risposta possibile alla guerra stessa" (Intervento di Albert). Riteniamo che sia un errore opporre la lotta economica a quella politica. Si tratta di due dimensioni della stessa lotta, non di tappe che la classe deve percorrere in modo lineare e meccanico. Le lotte attuali lo dimostrano. Difendendo le proprie condizioni di lavoro e di vita, il proletariato rifiuta le campagne ideologiche della borghesia. Sta ponendo la sua lotta collettiva contro l'atomizzazione, il nichilismo, la ricerca di un capro espiatorio e l'odio che caratterizzano il capitalismo in decomposizione. Attualmente la stragrande maggioranza dei lavoratori non è consapevole di ciò che sta facendo, ma oggettivamente lo sta facendo. Questo pone le basi per un futuro riconoscimento più consapevole del contenuto rivoluzionario della lotta di classe.
Per difendere i propri interessi economici, il proletariato deve affrontare l'ultimo baluardo dello Stato capitalista, i sindacati. Questa è una delle grandi sfide politiche che la classe deve affrontare. Rompere con i sindacati significa rompere con una potente ideologia capitalista: l'idea che "i sindacati sono la classe operaia". Questo non avverrà da un giorno all'altro, ma imparando le lezioni delle ripetute sconfitte imposte dallo Stato capitalista e dai suoi sindacati. La preoccupazione del compagno è: quando il proletariato diventerà consapevole di questa natura politica ed economica della sua lotta? Le lotte attuali sono una manifestazione di questo processo. Vediamo nuove generazioni di lavoratori, che non hanno esperienza di scioperi, entrare con entusiasmo nella lotta, insieme alle vecchie generazioni di lavoratori che hanno vissuto il riflusso e le lotte del 1968-89. Nel Regno Unito abbiamo già visto i sindacati cercare di presentarsi come organizzatori dell'unità delle lotte, in risposta alla crescente rabbia della classe per l'inutilità delle lotte isolate. Nei picchetti e nelle manifestazioni nel Regno Unito non c'è polarizzazione su razza, sesso, nazionalità o voto, ma piuttosto una lotta comune. Se vogliono respingere gli attacchi, i lavoratori dovranno affrontare e superare gli ostacoli che si frappongono all'estensione e all'unificazione del movimento. Nel prossimo periodo ci saranno molte sconfitte, ma queste saranno ricche di lezioni preziose per il futuro sviluppo della lotta.
Il ruolo dell'organizzazione rivoluzionaria
C'è anche l'importante ruolo dei rivoluzionari che il compagno ha menzionato. Si tratta di una questione fondamentale. Come diciamo nella nostra Piattaforma: “Secrezione della classe, manifestazione del processo della sua presa di coscienza, i rivoluzionari non possono esistere come tali che organizzandosi e diventando fattore attivo di questo processo. Per fare ciò l’organizzazione dei rivoluzionari porta avanti, in maniera organica, le seguenti azioni:
Per svolgere questo ruolo, in risposta a questa rottura nella lotta di classe, la CCI ha pubblicato e distribuito quattro volantini internazionali a partire dal giugno 2022, ha tenuto numerose riunioni pubbliche in vari paesi, ha dedicato le pagine della sua stampa e del suo sito web al lavoro teorico di comprensione del pieno significato storico del periodo aperto da questa rottura. Come organizzazione centralizzata a livello internazionale, la CCI ha portato avanti questo intervento nel maggior numero possibile di paesi. Le nostre forze sono limitate, ma siamo determinati a svolgere il nostro ruolo, con tutte le nostre capacità. A tal fine, continueremo a tenere regolarmente riunioni pubbliche in cui discutere le questioni che riguardano il proletariato e le sue organizzazioni.
Forse abbiamo potuto affrontare solo due delle questioni sollevate durante l'incontro pubblico, ma si tratta di questioni vitali. Se non comprendiamo il profondo significato storico della capacità del proletariato di liberarsi dalle pesanti catene degli ultimi tre decenni, non possiamo comprendere appieno il potenziale del periodo che si sta aprendo. Non possiamo prevedere se il proletariato sarà in grado di sviluppare una coscienza di classe sufficiente a porre in essere il rovesciamento di questo sistema in decomposizione. Tuttavia, siamo convinti che abbia mosso i primi passi verso questo risultato. Come organizzazione comunista ci impegniamo a fare tutto il possibile per adempiere alle nostre responsabilità storiche nei confronti del proletariato nella sua lotta.
Invitiamo i lettori a partecipare alle nostre riunioni pubbliche, a scriverci, ad aiutarci a distribuire la stampa e i volantini, a prendere parte attiva alla lotta del proletariato per la sua emancipazione.
Phil
Lo scorso maggio, la CCI ha organizzato incontri pubblici in vari paesi sul tema: “Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Messico, Cina... Andare oltre il 1968”. L'obiettivo era quello di comprendere meglio il significato politico, globale e storico di queste lotte, le prospettive che esse offrono, ma anche le principali debolezze che la classe operaia dovrà superare per assumere le dimensioni economiche e politiche della sua lotta. La partecipazione attiva ai dibattiti che si sono svolti è un'illustrazione della lenta maturazione della coscienza che sta avvenendo in profondità all'interno della classe operaia mondiale, in particolare in piccole minoranze spesso appartenenti a una nuova generazione che si stanno gradualmente ricollegando all'esperienza del movimento operaio e della Sinistra comunista.
Queste riunioni sono state animate dal chiara volontà chiarire le questioni in discussione attraverso un confronto tra le diverse posizioni in campo. Infatti in risposta all'analisi difesa dalla CCI sono stati espressi accordi ma anche differenze, dubbi, domande, e persino disaccordi. Lo scopo di questo articolo è quello di darne conto per incoraggiare la continuazione del dibattito.
Nonostante la difficoltà di cogliere la complessità di una situazione segnata dal crescente caos del modo di produzione capitalistico, scandita da episodi drammatici e distruttivi come la guerra in Ucraina, con la prospettiva di uno scivolamento senza fine verso la crisi economica, i partecipanti hanno generalmente riconosciuto il fatto essenziale che, nell'ultimo anno, la classe operaia è tornata al centro della scena nella lotta contro l'insopportabile deterioramento delle sue condizioni di vita. Alcuni hanno tracciato un parallelo tra la situazione attuale e quella del Maggio ꞌ68[1]. Nel 1968, il ritorno della disoccupazione (anche se a un livello molto più basso di oggi) inaugurava la fine del periodo noto come i “Trent'anni gloriosi” e la ricomparsa della crisi aperta, un periodo di recessione, ripresa e ulteriore recessione. Oggi, l'aggravarsi brutale della crisi economica e la recrudescenza dell'inflazione sono senza dubbio la molla della mobilitazione della classe operaia. Alcuni compagni hanno sottolineato che ciò che accomuna il Maggio ꞌ68 e il periodo attuale è l'esplosione di massicce mobilitazioni della classe operaia. Un compagno in Gran Bretagna ha sottolineato che “la maggiore differenza con il '68 è la profondità dell'attuale crisi economica”.
Un altro compagno ha riconosciuto che “il Maggio ꞌ68 ha aperto una nuova fase dopo la controrivoluzione”. Infatti, dopo il fallimento dell'ondata rivoluzionaria del 1917-1923 e la coltre stalinista che seguì la sconfitta del proletariato mondiale, il Maggio ꞌ68 inaugurò il risveglio della classe operaia a livello internazionale. A Parigi, un compagno ha descritto così le condizioni soggettive della lotta operaia nel 1968 e oggi: “Il riferimento al Maggio '68 è pertinente. Quell'evento coincise con l'arrivo di una nuova generazione di lavoratori che non avevano subito, come i loro genitori, lo schiacciamento ideologico della controrivoluzione e, in particolare, la coltre di piombo dell'influenza stalinista. Oggi abbiamo bisogno di una nuova generazione che esca dall'ideologia della 'morte del comunismo'”. È importante che in Brasile i partecipanti abbiano riconosciuto, quasi come un “dato di fatto”, che stava accadendo qualcosa a livello di lotta di classe e che era il proletariato dei paesi centrali del capitalismo, in Europa occidentale, a essere all'avanguardia nella mobilitazione della lotta operaia mondiale. Rispetto alla situazione attuale, un compagno inglese ha sottolineato “l'importanza delle lotte attuali che rappresentano la possibilità di una vera e propria rinascita della lotta di classe”.
Ma questo stesso intervento, come altri del resto, in particolare in Brasile, ha espresso una preoccupazione per “le debolezze della classe operaia”, e per “le manovre della borghesia, che mantiene il controllo soprattutto con i sindacati”.
In effetti, alcuni contributi hanno teso a cercare di applicare la realtà del Maggio ꞌ68 al periodo attuale, mentre altri contrapponevano le due situazioni. In breve, tutti hanno mostrato una difficoltà a comprendere, al di là delle analogie e delle differenze tra questi due momenti storici, cosa si intenda per “rottura” nella dinamica della lotta di classe, rispettivamente nel 1968 e oggi.
Nel 1968, il risveglio della classe operaia mondiale pose fine a quarant'anni di controrivoluzione, corrispondente a una profonda sconfitta fisica e ideologica del proletariato dopo lo schiacciamento dell'ondata rivoluzionaria del 1917-23. La rottura del 2022, segnalata dalla mobilitazione del proletariato nel Regno Unito, mette in moto una classe operaia che non ha subito una sconfitta fisica paragonabile a quella che ha portato alla controrivoluzione mondiale ma che, in compenso, ha subito tutta la forza delle campagne sulla “morte del comunismo”, sulla “scomparsa della classe operaia”, ecc.
Per più di trent'anni la classe operaia mondiale, disorientata e avendo perso la propria identità di classe, si è dimostrata incapace di una mobilitazione che fosse al livello degli attacchi che stava subendo. È stato necessario questo lungo periodo di attacchi incessanti, di vasta portata e sempre più insopportabili perché la classe operaia ritornasse a mobilitarsi con un’ampiezza che non si vedeva da decenni (dal 1985 per i lavoratori del Regno Unito), in chiara rottura con la situazione che aveva prevalso dal 1989. Per trent'anni, proprio perché la classe operaia non è stata sconfitta, si è sviluppato al suo interno un processo di riflessione (la maturazione sotterranea della coscienza), che ha portato a una crescente perdita di illusioni sul futuro che il capitalismo ci riserva e poi alla certezza che la situazione non può che peggiorare. Ciò ha fatto maturare un profondo senso di rabbia che si è espresso nel grido “quando è troppo è troppo” degli scioperanti in Gran Bretagna.
Il fatto che la dinamica dei trent'anni precedenti non fosse compresa appieno, ha dato luogo nel corso della discussione a diverse interpretazioni errate. Ad esempio, un compagno di Tolosa ha parlato di una “continuità” nella lotta in questi trent'anni, segnata da vittorie e sconfitte, in particolare la mobilitazione contro il CPE (2006), contro la riforma delle pensioni di Sarkozy-Fillon (2010) e anche il movimento degli Indignados (2011). Ma proprio perché in questo periodo non c'è stata questa continuità (laddove le lotte attuali riecheggiano delle lotte passate), la classe operaia non è stata in grado di legare tra loro, nella sua memoria collettiva, le nuove e rare esperienze che stava vivendo.
Lo stesso vale per l'idea di “salto di qualità” utilizzata da alcuni compagni, in particolare in Brasile, per caratterizzare l'esplosione delle lotte in Gran Bretagna e in Francia. Questa concezione, che in generale tende a ridurre la coscienza a un semplice prodotto o riflesso della lotta immediata, sminuisce tutte le altre dimensioni del processo di presa di coscienza. L'idea di un “salto di qualità” può essere dannosa perché implica che la classe operaia abbia improvvisamente superato molte delle sue debolezze.
D'altra parte, gli interventi in Messico che hanno teso a diluire la lotta del proletariato portandola in ambiti come la difesa dell'ambiente o il femminismo sono stati giustamente criticati. In effetti l'ideologia che li sottende, favorita dalla perdita dell'identità di classe, rappresenta una chiara minaccia alla lotta autonoma del proletariato, l'unica in grado di risolvere i problemi della società attraverso il rovesciamento del capitalismo.
Sebbene i partecipanti agli incontri abbiano ammesso la realtà dell’ampiezza delle lotte attuali, va detto che in generale non sono stati in grado di tener conto della loro importanza come elemento fondamentale della rottura qualitativa. Milioni di lavoratori concentrati in pochi paesi dell'Europa occidentale che si mobilitano, nonostante il danno economico che dovranno subire, che lottano in solidarietà con i loro compagni per respingere la miseria che il capitalismo vuole imporre attraverso lo sfruttamento e la divisione, è di per sé una vittoria considerevole.
Alcuni compagni hanno criticato quella che considerano una sopravvalutazione del movimento da parte della CCI. In Gran Bretagna e in Francia, ad esempio, è stato detto:
- “Penso che la CCI stia sopravvalutando la sequenza della lotta. Non capisco il metodo di maturazione sotterranea. C'è qui un'associazione di idee, non è un (movimento) massiccio, si fa appunto riferimento a minoranze attive”.
- “È vero che alla fine delle manifestazioni c'erano discussioni, certo, ma non ci sono stati scioperi! Senza lo sciopero, il movimento si è rallentato. Il problema è che l'arma del proletariato è lo sciopero generale[2]. Nel Maggio ꞌ68 c'era uno sciopero generale, ma qui non è stato così [...]. Non voglio offuscare lo scenario, ma amplificare la profondità del movimento [come sta facendo la CCI], non sono sicuro che serva”. Nel caso in questione, ci sembra che si dimentica che quando centinaia di migliaia, se non milioni, di lavoratori in Francia sono scesi in piazza per manifestare, erano in sciopero!
In diversi luoghi (a Nantes, in Francia, in Brasile...) alcuni partecipanti hanno cercato di stemperare la realtà della rottura nella lotta di classe avanzata dalla CCI con il fatto che i sindacati non sono stati messi in discussione. Alcuni partecipanti a Nantes hanno risposto a questa obiezione con la seguente analisi: “Certo, i sindacati non sono stati messi in discussione, non c'è stata auto-organizzazione, ma il malcontento rimane molto forte e permanente, anche se non c'è una nuova lotta spettacolare. Perché bisogna vedere da dove viene la classe, essa esce da un periodo di trent'anni di difficoltà. In realtà, non c'è stata alcuna sconfitta politica. La classe sta raccogliendo le sue forze per andare più lontano”.
A questo noi aggiungiamo che in Francia (ma non solo) la borghesia ha anticipato la rabbia dei lavoratori e i sindacati hanno fatto di tutto per non essere contestati dai lavoratori. Di fronte alla necessità e alla volontà dei lavoratori in lotta di unirsi tra categorie e corporazioni, i sindacati hanno preso l'iniziativa mantenendo, dall'inizio alla fine, il più ampio fronte sindacale unito “ferocemente contrario” alla riforma delle pensioni.
Mentre alcuni interventi hanno teso a cercare “prove” e “fatti” per tentare di convincere gli altri o se stessi della realtà della “rottura”, altri compagni hanno cercato di illustrare il cambiamento della situazione attraverso la capacità dei “sindacati di lunga esperienza” (in Francia, in particolare) di “cavalcare il movimento”, di rispondere alle “aspirazioni all'unità” utilizzando “la trappola dell'intersindacale”. Nello stesso senso, questi compagni hanno messo in evidenza la complicità delle diverse frazioni della borghesia nell'isolare i vari focolai di lotta attraverso un black-out sapientemente dosato: “Perché la borghesia ha operato un black-out sugli scioperi all'estero? La borghesia conosce molto bene il suo nemico di classe. Questo è un altro segno della nostra maturità. Bisogna avere una visione globale, internazionale”. Alcuni compagni hanno giustamente sottolineato che non bisogna polarizzarsi su un elemento preso in sé stesso, ma che è necessario “vedere un insieme di indizi e saperli interpretare”, riferendosi in questo senso all'approccio di Marx, ma anche a quello di Lenin, che “aveva la capacità di percepire i cambiamenti nello stato d'animo del proletariato”.
Nel tentativo di fare chiarezza sulle cose, la CCI ha cercato sempre di andare oltre l’immediatezza, difendendo questa valida idea di un “processo di maturazione sotterranea”, di una rottura con il passato e non quella di un “salto di qualità”. Soprattutto, la CCI ha insistito per ampliare la portata delle questioni e porle con metodo, come illustrato da una delle sue presentazioni a Parigi: “Diverse interventi hanno evidenziato discussioni che non si vedevano da anni. Cosa ne facciamo di questo fatto? Come lo analizziamo? Lo inseriamo in un contesto più ampio e globale? Invece di guardare le cose al microscopio, dobbiamo fare un passo indietro e guardare attraverso un telescopio; in altre parole, adottare un approccio storico e internazionale. Siamo in un periodo in cui il capitalismo sta portando l'umanità alla rovina. La classe operaia ha il potenziale per lottare ed entrare in lotta, per essere in grado di fare una rivoluzione. A livello internazionale, negli ultimi tre decenni, abbiamo assistito a un calo delle lotte e a un declino della coscienza. La classe ha perso coscienza di sé, della propria identità. Ma l'estate scorsa in Gran Bretagna c'è stato un movimento enorme, come non se ne vedevano da quarant'anni! E’ un qualcosa di limitato alla Gran Bretagna? No, ciò dimostra che qualcosa stava cambiando profondamente su scala globale. E’ a partire da questo che abbiamo detto che qualcosa stava cambiando. Abbiamo visto la capacità di reagire all'aggravarsi della crisi economica. Abbiamo visto lotte in molti paesi. E’ in questo quadro che si inscrive la conferma della lotta contro la riforma delle pensioni in Francia. Abbiamo visto tre mesi di lotta e uno spirito combattivo. D'altra parte, iniziamo a vedere slogan e riflessioni che non si vedevano dagli anni ‘80. C'è un sentimento generale di stanchezza, un tentativo di riappropriarsi della storia. Ecco cosa c'è dietro lo slogan “tu ci porti a 64 anni, noi al Mai ꞌ68” [...]. C'è una tendenza a riappropriarsi del passato, come nel caso della rinascita dell'esperienza del CPE nel 2006, quando non se ne sentiva più parlare. Come spiegare questo? Ci sono altri aspetti minoritari su: fare la rivoluzione? Alcuni riflettono su: cosa è il comunismo? C'è uno sforzo della classe. La questione non è semplicemente: la riforma delle pensioni passa o no? Dobbiamo tirare delle lezioni. Come possiamo andare più lontano? Con quale metodo di lotta? Questa è la posta in gioco”.
Dobbiamo quindi riconoscere, come lezione fondamentale, la necessità di tener conto, per le nostre analisi, del contesto storico e internazionale: un'accelerazione della decomposizione della società capitalista, il suo distruttivo “effetto vortice”, la gravità e il pericolo della guerra, e allo stesso tempo la brutale accelerazione della crisi economica, con l'inflazione come potente stimolo alla lotta di classe. Dobbiamo anche riconoscere che lottando sul proprio terreno di classe, su scala massiva, il proletariato sta iniziando a guadagnare fiducia nella propria forza e sta per acquisire una crescente consapevolezza nel condurre la stessa lotta al di là delle corporazioni e delle frontiere.
Le lotte di oggi sono una prima vittoria: quella della lotta stessa.
WH, 26 giugno 2023
[1] Va sottolineato che la maggior parte di questi incontri si è svolta in una data simbolica, l'anniversario delle imponenti manifestazioni del 13 maggio 1968 in Francia. A questo proposito, raccomandiamo la lettura dei nostri articoli Maggio 68 e la prospettiva rivoluzionaria (1) Il movimento degli studenti nel mondo negli anni '60 [39] e Maggio 1968 e la prospettiva rivoluzionaria (II): fine della controrivoluzione, ripresa storica del proletariato mondiale [40]
[2] Per mancanza di tempo, non abbiamo potuto affrontare la questione della differenza tra "sciopero generale" e "sciopero di massa". Abbiamo però sottolineato il nostro disaccordo nell'equiparare questi due termini. Lo sciopero generale, se costituisce un'indicazione del malcontento della classe, si riferisce comunque all'organizzazione (e quindi al controllo) della lotta da parte dei sindacati. In questo senso, nelle mani dei sindacati, esso può anche costituire un mezzo per sfiancare la lotta. Allo sciopero generale, opponiamo lo sciopero di massa, come quello che si è manifestato magistralmente in Russia nel 1905, che si dota di un proprio strumento di centralizzazione della lotta e combina richieste economiche e politiche.
La tragica morte del giovane Nahel nel sobborgo parigino di Nanterre, ucciso da un poliziotto, ha scatenato una tempesta di fuoco. Immediatamente sono scoppiate rivolte in grandi e piccole città di tutta la Francia contro questa ignobile ingiustizia.
Come si può vedere dal video che è immediatamente circolato sui social network, Nahel è stato ucciso a sangue freddo a bruciapelo per un semplice rifiuto di obbedire. Questo omicidio segue una lunga lista di persone uccise e ferite dalla polizia, per lo più impunemente.
La proliferazione dei controlli a campione, la discriminazione spudorata e le molestie sistematiche nei confronti dei giovani il cui colore della pelle è un po' troppo “scuro” sono numerose. Un'intera fascia di popolazione, spesso povera e talvolta emarginata, non può più tollerare il costante razzismo di cui è vittima, il comportamento arrogante e umiliante di molti poliziotti o i discorsi d'odio che subisce mattina e sera in televisione e su Internet. L'ignobile comunicato stampa del sindacato Alliance, che si dichiara “in guerra” contro “parassiti” e “orde selvagge”, illustra questa insopportabile realtà.
Ma le ripugnanti sfumature xenofobe di molti poliziotti permettono anche a tutti i difensori della “democrazia” e dello “Stato di diritto” di mascherare a buon mercato il terrore e la violenza sempre più evidenti che lo Stato borghese e la sua polizia esercitano sulla società. L'omicidio di Nahel testimonia il crescente potere della violenza di Stato, una volontà poco velata di terrorizzare e reprimere di fronte all'inesorabile crisi del capitalismo, alle inevitabili reazioni della classe operaia e ai rischi di esplosione sociale (rivolte, saccheggi, ecc.) che continueranno a moltiplicarsi in futuro.
Se questa violenza è incarnata in modo ordinario dalla sottomissione degli sfruttati nei loro luoghi di lavoro, dalle continue umiliazioni e violenze sociali inflitte ai disoccupati e a tutte le vittime del capitalismo, essa si esprime anche nel comportamento sempre più violento di una parte significativa della polizia, della magistratura e di tutto l'arsenale repressivo dello Stato, sia quotidianamente nei “quartieri” che contro i movimenti sociali.
In seguito alla legge del 2017, che ha allargato le condizioni in cui la polizia può sparare, il numero di omicidi è semplicemente quintuplicato. Da quando questa legge è stata adottata da un governo di sinistra, quello di Hollande, la polizia ha il grilletto facile! Allo stesso tempo, la repressione dei movimenti sociali è aumentata costantemente negli ultimi anni, come dimostra il movimento dei gilet gialli con una moltitudine di persone accecate, mutilate e ferite. Più recentemente la lotta contro la riforma delle pensioni ha visto un terribile scatenamento della polizia, simboleggiato dai numerosi attacchi del BRAV-M (una brigata mobile composta da coppie di motociclisti, operante a Parigi durante le manifestazioni). Anche gli oppositori del mega-bacino di Sainte-Soline e gli immigrati clandestini espulsi da Mayotte sono stati oggetto di una repressione estremamente violenta. L'ONU ha persino condannato “la mancanza di moderazione nell'uso della forza” ma anche la “retorica criminalizzante” dello Stato francese. E a ragione! La Francia ha uno degli arsenali di polizia più estesi e pericolosi d'Europa. L'uso crescente di granate a razzo, lacrimogeni, carri armati antisommossa, ecc. tende a trasformare i movimenti sociali in veri e propri scenari di guerra, contro persone che le autorità non esitano più a etichettare spudoratamente come “criminali” o “terroristi”. I recenti disordini sono stati ancora una volta l'occasione per la borghesia di esercitare una feroce repressione, inviando 45.000 poliziotti, le orze speciali BRI e RAID, gendarmeria blindata, droni di sorveglianza, carri armati antisommossa, cannoni ad acqua, elicotteri... Nel 2005, i disordini nelle periferie sono durati tre settimane perché la borghesia ha cercato di calmare le acque evitando altri morti. Oggi la borghesia deve imporsi immediatamente con la forza e impedire che la situazione sfugga di mano. Di fronte a rivolte molto più violente e diffuse rispetto al 2005, colpisce con una forza decuplicata.
Più la situazione si deteriora, più lo Stato, in Francia come in tutto il mondo, è costretto a reagire con la forza e con una profusione di mezzi repressivi. Ma il ricorso alla violenza fisica e giuridica[1] accentua paradossalmente il disordine e la barbarie che la borghesia cerca di contenere. Sguinzagliando per anni i suoi cani contro le fasce più svantaggiate della popolazione e portando la retorica odiosa e razzista ai più alti livelli di governo e nei media, la borghesia ha creato le condizioni per un'enorme esplosione di rabbia e violenza cieca. E’ certo che la brutale repressione delle rivolte che hanno scosso la Francia negli ultimi giorni porterà in futuro a altre violenze e altro caos. Il governo di Macron ha semplicemente messo un coperchio su un fuoco che continuerà a divampare.
L'omicidio di Nahel è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Un'enorme ondata di rabbia è esplosa simultaneamente in tutta la Francia, in Belgio e in Svizzera. Scontri violenti con la polizia sono scoppiati ovunque, soprattutto nei grandi centri urbani di Parigi, Lione e Marsiglia. Ovunque, edifici pubblici, negozi, arredi urbani, autobus, tram e molti veicoli sono stati distrutti da rivoltosi incontrollabili, alcuni dei quali avevano anche 13 o 14 anni. Gli incendi hanno devastato centri commerciali, municipi e stazioni di polizia, oltre a scuole, palestre e biblioteche. I saccheggi sono aumentati rapidamente nei negozi e nei supermercati, a volte per i vestiti, a volte per il cibo.
Queste rivolte hanno espresso un vero e proprio odio per il comportamento dei poliziotti, la loro costante violenza, alle umiliazioni, al senso di ingiustizia e all’impunità. Ma come si può spiegare la portata di queste violenze e l'estensione del caos, quando proprio il governo ha inizialmente fatto leva sull'indignazione dopo l'omicidio di Nahel e ha promesso pene esemplari?
La tragica morte di un adolescente è stata la causa scatenante di queste rivolte, una scintilla, ma è stata l'aggravarsi della crisi del capitalismo e tutte le sue conseguenze per le popolazioni più precarie e rifiutate la vera causa e il carburante della rivolta, la fonte di un malessere profondo che alla fine è esploso. Contrariamente alle dichiarazioni da bar di Macron e della sua cricca, che danno la colpa ai “videogiochi che hanno intossicato” i giovani, o ai genitori che dovrebbero dare ai figli “due ceffoni”, i giovani delle periferie, già vittime di discriminazioni croniche, sono stati colpiti duramente dalla crisi, dalla crescente emarginazione, dall'impoverimento estremo, dal doversela cavare da soli, che li porta talvolta a ricorrere a traffici di ogni tipo. Insomma, abbandono e mancanza di prospettive. Ma lungi dall'essere il risultato di una violenza organizzata e mirata, le rivolte sono state un'esplosione della rabbia cieca di giovani senza bussola, che agiscono per disperazione e senza prospettiva. Le prime rivolte di periferia sono apparse in Francia all'inizio della fase di decadenza del capitalismo: da quelle del 1979 a Vaux-en-velin, vicino a Lione, a quelle attuali. Come abbiamo sottolineato in passato, ciò che accomuna tutte le rivolte è il fatto di essere “espressione della disperazione e dell'assenza di futuro che essa genera, e che si manifesta attraverso il loro carattere totalmente assurdo. È il caso delle rivolte nelle periferie francesi del novembre 2005 [...]. Il fatto che siano state le loro stesse famiglie, i vicini o gli amici più stretti le principali vittime delle razzie rivela il carattere totalmente cieco, disperato e suicida di questo tipo di rivolta. Infatti, sono state incendiate le auto dei lavoratori che vivevano in questi quartieri, sono state distrutte le scuole o le palestre utilizzate dai loro fratelli, sorelle o figli dei vicini. Ed è proprio per l'assurdità di queste rivolte che la borghesia ha potuto utilizzarle e rivoltarle contro la classe operaia”[2].
A differenza del 2005, quando le rivolte erano relativamente circoscritte alle periferie, come Clichy-sous-bois, i disordini dell'inizio dell'estate 2023 stanno interessando i centri urbani, il cuore delle città finora protetti e persino le piccole città di provincia prima risparmiate, come Amboise, Pithivier e Bourges, che sono state oggetto di atti vandalici. L'esacerbazione delle tensioni e la profonda disperazione che anima le persone coinvolte non hanno fatto altro che aumentare e amplificare il fenomeno.
Contrariamente a quanto sostengono i partiti della sinistra del capitale, guidati dai trotzkisti dell'Anp e dagli anarchici, le rivolte non sono un terreno favorevole alla lotta di classe, né una sua espressione, ma al contrario un vero e proprio pericolo. In effetti la borghesia può tanto più strumentalizzare l'immagine di caos trasmessa dalle rivolte quanto più queste fanno sempre dei proletari le vittime collaterali:
- per i danni e dalle distruzioni provocate, che penalizzano i giovani stessi e i loro quartieri;
- per la stigmatizzazione della gente delle periferie come “selvaggi” responsabili di tutti i mali della società;
- per la repressione, che ha trovato un'occasione d'oro per intensificare la lotta contro tutti i movimenti sociali e in particolare contro le lotte dei lavoratori.
Le rivolte sono quindi un'opportunità per la borghesia di scatenare tutta una serie di propagande per separare ulteriormente la classe operaia dai giovani delle periferie in rivolta. Come nel 2005, “la loro mediatizzazione ad oltranza ha permesso alla classe dominante di spingere il maggior numero possibile di lavoratori dei quartieri popolari a vedere i giovani rivoltosi non come vittime del capitalismo in crisi, ma come 'teppisti'. Questo non poteva che minare qualsiasi reazione di solidarietà da parte della classe operaia nei confronti di questi giovani”[3].
È facile per la borghesia e i media manipolare gli eventi confondendo le rivolte con la lotta dei lavoratori, la violenza indiscriminata e gratuita e gli sterili scontri con la polizia con la lotta di classe consapevole e organizzata. Criminalizzando gli uni, si può scatenare sempre più violenza contro gli altri!
Non è un caso che, durante il movimento contro la riforma delle pensioni, le immagini trasmesse in continuazione dalle televisioni di tutto il mondo sono state scene di scontri con la polizia, violenze e incendi di cassonetti. Si è voluto tracciare una linea di identità tra queste due espressioni di lotta sociale, di natura radicalmente diversa, nel tentativo di dare un'immagine di continuità e di pericoloso disordine. L'obiettivo era cancellare e impedire ai lavoratori di imparare le lezioni delle proprie lotte e di sabotare il processo di riflessione sulla questione dell'identità di classe. I disordini in Francia sono stati l'occasione perfetta per rafforzare questa confusione.
La classe operaia ha i suoi metodi di lotta che sono radicalmente opposti ai moti e alle semplici rivolte urbane. La lotta di classe non ha assolutamente nulla a che vedere con la distruzione e la violenza indiscriminate, gli incendi dolosi, le vendette e i saccheggi che non offrono alcuna prospettiva e nessun domani.
Anche se possono coordinarsi attraverso le reti sociali, il loro approccio come rivoltosi è immediato e puramente individuale guidato dall'istinto dei movimenti di folla, senza altro scopo che la vendetta e la distruzione. La lotta della classe operaia è l'antitesi di queste pratiche. Una classe le cui lotte immediate si inscrivono, al contrario, in una tradizione, in un progetto cosciente e organizzato per rovesciare la società capitalista su scala globale. In questo senso, la classe operaia deve stare attenta a non lasciarsi trascinare nel terreno paludoso delle rivolte, sulla china della violenza cieca e gratuita, e ancor meno in sterili scontri con le forze dell'ordine, che servono solo a giustificare la repressione.
A differenza delle sommosse, che rafforzano il braccio armato dello Stato, le lotte dei lavoratori, quando sono unitarie e in ascesa, permettono di far regredire la repressione. Nel maggio 1968, ad esempio, di fronte alla repressione studentesca, i movimenti di massa e l'unità dei lavoratori permisero di limitare e di far regredire la violenza dei poliziotti. Allo stesso modo, quando nel 1980 i lavoratori polacchi si mobilitarono in tutto il paese in meno di 48 ore, la loro unità e auto-organizzazione li protesse dall'estrema brutalità dello Stato "socialista". Solo quando hanno messo la loro lotta nelle mani del sindacato Solidarnosc, quando quest'ultimo ha ripreso il controllo della lotta, quando i lavoratori sono stati quindi divisi e privati della guida della lotta, la repressione si è scatenata selvaggiamente.
La classe operaia deve rimanere prudente e sorda al pericolo rappresentato dalla violenza indiscriminata, in modo da opporre la propria violenza di classe, l'unica che può portare al futuro.
WH, 3 luglio 2023
[1] Oltre alla repressione della polizia, le migliaia di giovani arrestati hanno subito processi sommari e condanne molto pesanti.
[2] Quelle différence entre les émeutes de la faim et les émeutes des banlieues ? [41] Révolution internationale n°394 (ottobre 2008).
[3] Idem
La Corrente Comunista Internazionale organizza un incontro online martedì 12 settembre dalle ore 17.00.
Questa riunione sarà a tema aperto, nel senso che non ci sarà una presentazione preliminare da parte nostra ma la discussione si svilupperà dalle questioni che ognuno di voi potrà porre all’insieme dei partecipanti. Questi incontri sono aperti a tutti coloro che desiderano incontrarsi e discutere con la CCI. Invitiamo caldamente tutti i nostri lettori e sostenitori a venire a discutere le questioni in gioco e a confrontare i punti di vista. Tutti i compagni sono invitati a inviare, assieme alla loro adesione, anche le questioni che chiedono di discutere, sviluppando eventualmente le idee che si sono fatti su di esse in modo da permetterci di organizzare al meglio il dibattito
Coloro che vorranno partecipare dovranno inviare un messaggio a: [email protected] [10] o alla sezione Contatti del nostro sito per poter ricevere istruzioni sulle modalità tecniche per partecipare alla riunione.
I dettagli tecnici su come collegarsi alla riunione saranno comunicati solo a coloro che avranno preso contatto con l'organizzazione.
In attesa di poterci sentire quanto prima inviamo a tutti saluti fraterni
CCI
Il nostro compagno Antonio ci ha lasciato questa primavera, alla vigilia del 25° Congresso internazionale della CCI. Antonio era uno dei vecchi militanti fondatori di Révolution Internationale (RI, sezione della CCI in Francia) ancora presenti nell’organizzazione. Il congresso gli ha tributato un primo omaggio, sottolineando in particolare “il suo coraggio e la sua modestia”, caratteristica tanto della sua vita personale che di militante.
L’influenza del Maggio ’68 e della Sinistra Comunista
Nel 1965, come altri studenti dell’università di Madrid incuriositi dallo sviluppo delle lotte operaie nelle Asturie, Antonio inizia ad impegnarsi in politica in un contesto in cui il punto di vista classista doveva costruirsi un cammino in mezzo alla confusione dominante dei canti delle sirene della “opposizione democratica” al regime. Antonio diffidava del PCE (Partito Comunista Spagnolo) a causa del suo stalinismo, ma dovette anche imparare a diffidare dei discorsi della miriade di gruppi trotskysti e maoisti apparsi all’epoca che, per quanto apparentemente più aperti e a “sinistra” del PCE, non costituivano nient’altro che una versione più radicale della sinistra del capitale ed altrettanto controrivoluzionaria. Questo interesse del compagno per le posizioni rivoluzionarie fu all’origine della sua emigrazione in Francia, dove arrivò, nella città di Tolosa, nel 1967.
Antonio aveva allora degli interessi culturali – in quest’epoca faceva teatro in lingua spagnola – che nei fatti non abbandonò mai in seguito, anche se questi interessi dovettero spesso scontrarsi con gli impegni familiari o politici. Nell’atmosfera di effervescenza politica di riflessione e discussione di prima del maggio ’68, e soprattutto durante questo, egli trovò una risposta alle questioni che si poneva. In questo contesto seppe situarsi immediatamente in una vera prospettiva internazionalista, interessato dall’esperienza storica del proletariato evitando la trappola della chiusura in un approccio “da immigrato”, e della fissazione sulla situazione e la storia del paese di origine.
Come lui stesso raccontava, la prima discussione in Francia che lo ha aiutato a rompere con l’atmosfera gauchiste di Madrid è stata quella avuta con alcuni dei membri fondatori di Révolution Internationale sulla natura imperialista della guerra in Vietnam, sulla necessità della difesa dell’internazionalismo proletario e della solidarietà operaia, e questo in opposizione all’idea di “guerra rivoluzionaria” difesa dai trotskysti e dai maoisti.
Antonio avrebbe incontrato in seguito Marc Chirik (MC) durante una riunione nel 1968 con gli altri membri fondatori di Révolution Internationale et dei “militanti” situazionisti. Rispetto a questi ultimi MC difese la natura proletaria della rivoluzione russa del 1917, la realtà della classe operaia come soggetto rivoluzionario della storia e la necessità di un’organizzazione rivoluzionaria. Nello stesso anno partecipò anche alla riunione in cui fu approvata la prima piattaforma di Révolution Internationale, basata sui principi politici di Internationalisme che MC aveva ereditato dalla Sinistra Comunista di Francia e trasmessi a sua volta ai giovani militanti.[1]
Antonio ritorna in Francia nel 1969, nel momento in cui il nucleo iniziale di Révolution Internationale vede le sue forze ridursi a causa di alcune dimissioni, ma anche perché una maggioranza di militanti di Tolosa si era trasferito nella capitale.
Dietro un apparente atteggiamento che poteva sembrare esitante, una profonda implicazione militante animava Antonio…
Anche se successivamente avrebbe dichiarato, parlando del 1968, “io non ero un militante”, Antonio riprende pienamente l’attività in Révolution Internationale nel 1970, nel 1972 partecipa al raggruppamento con il gruppo Cahiers du Communisme des conseils di Marsiglia e quello di Clermond Ferrand, da cui uscirà la seconda piattaforma di RI come gruppo politico con un radicamento territoriale e alla ricerca di contatti internazionali. Nel 1975 partecipa al primo Congresso della CCI di cui resterà militante fino alla fine della sua vita. Nel momento in cui il movimento di lotta di classe in Spagna raggiunge il suo apogeo e lo Stato accelera la sua politica di “transizione democratica” la pubblicazione “Accion Proletaria” (AP) non può essere più assicurata. Per fare fronte al problema, la CCI decide al suo primo congresso internazionale di mantenere la pubblicazione regolare di AP, producendo il giornale in Francia e introducendolo clandestinamente in Spagna. La sua collaborazione a questa pubblicazione è allora particolarmente apprezzata per la capacità del compagno di analizzare con cura le manovre democratiche della “transizione” in Spagna e di denunciarle con profondità. Per la sua capacità di parlare due lingue – era professore di spagnolo in Francia – si impegnò anche, a partire dal 1975, nella produzione della Rivista Internazionale in spagnolo. Il compagno ha sempre concepito il compimento delle sue responsabilità in una prospettiva internazionale e storica.
Per organizzare e sistematizzare l’intervento e la ricerca di contatti nello spazio di lingua spagnola, la CCI prende l’iniziativa di nominare una Commissione di lingua spagnola (CLE) di cui faceva parte Antonio. Per questo motivo Antonio partecipava regolarmente ai viaggi in Spagna e alle discussioni con i contatti, apportando la sua convinzione e la sua padronanza delle posizioni della CCI. I compagni che hanno viaggiato con lui hanno potuto apprezzare la sua grandissima simpatia, la sua conoscenza enciclopedica ma anche e soprattutto il suo humour, Ci torneremo!
Antonio ha partecipato a praticamente tutti i congressi internazionali della CCI, facendo parte di equipe di traduzione simultanea notevolmente efficaci – a tal punto che un gruppo di scienziati inviati ad una seduta di un congresso fu impressionato dalla qualità del lavoro. Restando anche sorpresi dai commenti di Antonio durante le pause, destinate a chiarire a dei compagni delle delegazioni spagnola, messicana o venezuelana parti di interventi non capite, … ma furono anche sorpresi dall’utilizzazione del microfono da parte di Antonio per fare delle battute.
Una lealtà incrollabile all’organizzazione e alla causa, nelle circostanze più varie
Nei momenti difficili della lotta dell’organizzazione contro lo spirito di circolo e per lo spirito di partito, Antonio ha sempre scelto la difesa dell’organizzazione. Anche se dotato di una predisposizione naturale a creare legami affinitari con dei compagni, Antonio non si è mai lasciato prendere ciecamente dalla “difesa dei suoi amici” contro i principi organizzativi della CCI. E quando qualcuno di essi ha lasciato l’organizzazione con dei risentimenti verso di essa, Antonio ha mantenuto la sua lealtà verso la CCI anche se questo poteva significare un allontanamento dai suoi vecchi amici.
Le “Antoniate” di Antonio
Pur riconoscendo alcuni suoi errori o negligenze, mancanze puntuali di attenzione o di implicazione, il compagno le inseriva spesso nella categoria delle sue “Antoniate”. Nei fatti si trattava di una categoria sufficientemente larga per includere sketch in cui il compagno faceva il "clown" per il divertimento di tutti noi.
Così, spesso, in occasione di incontri durante qualche festa, come per esempio il primo dell’anno, il nostro compagno sapeva mettere in scena il suo buon umore, il suo humour, mai caustico ma spesso pungente, sottile e amichevole rispetto ai suoi compagni. In effetti al suo repertorio appartenevano per lo più sketch improvvisati aventi per soggetto degli amici o dei compagni dell’organizzazione. Al servizio della sua “arte” Antonio sapeva utilizzare delle sottigliezze e le trappole delle lingue spagnola e francese, e talvolta anche dell’occitano. Si potevano passare delle ore in incontri conviviali tra compagni e condividere il suo buon umore.
Ma una « Antoniata » poteva anche manifestarsi in situazioni del tutto differenti e che non avevano niente di festaiolo, manifestando una particolare audacia da parte del nostro compagno
Per esempio, negli anni ’80 durante una diffusione di un volantino ai magazzini del porto di Marsiglia – roccaforte dei guardiani dell’ordine capitalista appartenenti alla CGT – una squadra di diffusione della CCI si trovò rapidamente alle prese con una pattuglia di “omoni” della CGT che volevano farci sloggiare. In tali casi l’obbiettivo è cercare di temporeggiare il più possibile per poter distribuire il maggior numero di volantini, cosa per niente facile in caso di entrata per piccoli gruppi. E Antonio, tra le risate di tutti, se ne esce a dire: “ah, ma io non posso rinunciare, io sono investito di un mandato che io sono tenuto a rispettare. Devo per forza completare questa diffusione!”
L'effetto di disorientamento che questa uscita di Antonio produsse nei ranghi della squadra sindacale ci permise di guadagnare preziosi minuti di diffusione, al termine dei quali il flusso di portuali che entravano a lavorare ci mise al riparo dalle intimidazioni.
Comunque la sua vita militante non era fatta solo di “Antoniate”, come lo testimoniano la sua implicazione regolare nella vita dell’organizzazione o ancora il fatto che lo stesso Antonio si ritrovò al centro di un episodio di difesa di una manifestazione contro i tentativi di intervento – messi in scacco – da parte dei poliziotti per fermare un giovane che si era reso responsabile di una scritta su un muro.[2]
Nella sua vita professionale certe “Antoniate” sono un vero condensato di humour, come riportato da un suo collega di facoltà venuto alle sue esequie e che ha anche sottolineato come Antonio rispettava i suoi studenti: un giorno in cui gli studenti sembravano non seguire la sua lezione, e discutevano fra di loro alle porte dell’aula, Antonio non fece nessun commento particolare, e si interruppe. Gli studenti, sorpresi, arrestarono il loro chiacchiericcio chiedendosi cosa stava succedendo. Allora Antonio riprese la parola per dire: “Oggi ho l’impressione di essere in un bar in Spagna. Nei bar spagnoli la televisione è accesa in permanenza, ma nessuno la guarda o la ascolta. Ma se una persona prova a spegnerla c’è sempre qualcuno che si mette a dire: chi ha spento la televisione? Oggi sono io la televisione del bar.” Lezione di tatto e pedagogia!
Antonio, un padre e un compagno amabile, impegnato contro le avversità
Antonio ha avuto una prima figlia che ha sempre sostenuto il suo militantismo e mantenuto una simpatia politica verso la CCI. Il suo secondo figlio soffre dalla nascita di un handicap fisico e intellettivo importante. Per poter comunicare con lui, Antonio ha imparato la lingua dei segni ed è sempre stato attento che l’handicap del figlio non lo allontanasse da tutto e da tutti. E tutti insieme i componenti della famiglia ci sono riusciti! Tra l’altro, al prezzo di un impegno instancabile di Antonio. L’implicazione del nostro compagno verso la sua famiglia è dovuta aumentare quando la sua compagna si è gravemente ammalata. Per anni hanno lottato fianco a fianco contro un cancro fino a che lei ha ceduto, consumata da questa battaglia.
La tensione fra le responsabilità personali di Antonio e le sue responsabilità militanti è stata spinta al massimo in diverse occasioni. Come detto da lui stesso, Antonio è stato parecchie volte sul punto di abbandonare la lotta politica, ma, alla fine, ha mantenuto la sua lealtà verso sé stesso, la sua famiglia e l’organizzazione, orientando la sua vita e la cura della sua famiglia a partire da quella che era la sua passione e la sua convinzione: il militantismo comunista.
Vogliamo aggiungere che la vita di questo compagno, che è riuscito a mantenere il suo militantismo per più di mezzo secolo (dal 1968 al 2023) contro ogni sorta di pressioni, costituisce un esempio di quello che noi dobbiamo trasmettere alla nuova generazione di militanti.
Benchè sia stato costretto, per lunghi periodi, a ridurre il suo impegno militante, Antonio ha potuto ritrovare in questi ultimi anni la fiamma di questa passione partecipando a riunioni comuni con compagni di AP (sezione della CCI in Spagna), RI (sezione della CCI in Francia) e di Rivoluzione Internazionale, assumendo ruoli di responsabilità organizzativa.
Un altro paradosso del nostro compagno, ovvero un’espressione della sua grande modestia o mancanza di fiducia in sé stesso: in diverse occasioni egli ha dichiarato a dei compagni che aveva difficoltà a interiorizzare il significato della nostra concezione che dice “mettere la militanza al centro della nostra vita”. Eppure è proprio quello che lui è riuscito a fare per tutta la sua vita!
L’ultima “Antoniata” di Antonio
Poco tempo dopo la morte della sua compagna, Antonio aveva avuto un attacco cardiaco che aveva affrontato da solo andando al pronto soccorso in piena notte. Il giorno dopo ne era uscito con delle arterie sbloccate ma comunque problematiche. E nei fatti Antonio ha avuto altri problemi cardiaci, curati e non ritenuti critici, ma che probabilmente sono all’origine del suo decesso, avvenuto poco tempo dopo. Quando noi insistevamo con lui perché ci informasse più regolarmente del suo stato di salute ci rispondeva che, nel suo paese natale, certe persone per dire “vi terrò al corrente” si sbagliavano e dicevano “vi terrò alla larga”. Una nuova Antoniata! L’ultima.
Anche se il compagno aveva la preoccupazione di non “disturbare” gli altri, era tuttavia perfettamente cosciente – e ne aveva già dato prova – della necessità sociale e politica di fare appello, ogni volta che fosse necessario, all’organizzazione e ai suoi militanti. Nei fatti, nella realtà ci teneva regolarmente informato sulla sua salute.
Ciononostante siamo stati tutti sorpresi della sua mancanza improvvisa. Addio compagno e amico.
Viceversa non siamo stati sorpresi dalla numerosa partecipazione al suo funerale, in particolare di vecchi suoi colleghi che ci hanno dato delle testimonianze toccanti, ma di cui non ci siamo sorpresi, relative in particolare al grande rispetto che Antonio aveva per i suoi studenti.
La CCI organizzerà nei prossimi mesi un omaggio politico al nostro compagno Antonio. I compagni che volessero parteciparvi devono scrivere alla CCI, e noi comunicheremo loro la data e il luogo.
CCI (08/08/2023)
[1] Sulla GCF vedere La Gauche Communiste de France | Courant Communiste International (internationalism.org) [42]
[2] Per maggiori dettagli su questo episodio si può leggere l’articolo Solidarité avec les lycéens en lutte contre la répression policière (témoignage d'un lecteur) [43]
Due anni fa, abbiamo scritto un articolo in cui denunciavamo il sostegno fornito dal GISC (ex FICCI) al tentativo di usurpazione della sinistra comunista da parte di un avventuriero chiamato Gaizka[3], di cui abbiamo mostrato la traiettoria. Da allora, il GISC ha continuato a moltiplicare i suoi attacchi alla CCI con l'unico obiettivo di screditare la nostra organizzazione e creare sfiducia nei suoi confronti.
Per questo abbiamo deciso di pubblicare una serie di articoli in un “dossier” che contiene le nostre diverse risposte agli attacchi calunniosi del GISC su, in ordine sparso: - il concetto di parassitismo politico, che appartiene al patrimonio del movimento operaio; - la nostra denuncia dell'avventurismo politico cui il GISC apporta il proprio sostegno; - la coerenza rivoluzionaria della nostra piattaforma; - la nostra analisi della fase attuale della decadenza del capitalismo, quella della sua decomposizione; il nostro intervento nella situazione mondiale sia di fronte alla guerra che rispetto alla lotta di classe; - e ancora la nostra posizione nei confronti del movimento anarchico sul tema dell'internazionalismo e del suo tradimento. Queste questioni sono affrontate nei seguenti articoli:
Questa serie di denunce dell'operato del GISC si rendeva necessaria per reagire alle calunnie e alle falsificazioni della realtà di cui la CCI è bersaglio da parte di questo gruppo parassitario. Avremmo ovviamente preferito dedicare le nostre forze ad altre attività più consone alla situazione mondiale, ma ci troviamo di fronte a una situazione paragonabile a quella del Consiglio Generale della I Internazionale (AIT), che all'epoca si trovò di fronte a un nemico interno costituito dall'Alleanza di Bakunin. Oggi un simile "nemico interno", il GISC, dilaga all'interno della sinistra comunista.
[1] NWBCW, acronimo inglese dello slogan No alla guerra se non guerra di classe. Leggere a tale riguardo il nostro articolo NWBCW: un comitato che trascina i partecipanti in un vicolo cieco [19].
[2] Nell’articolo Impasse et contradictions du CCI face au "parasitisme", à la TCI et au GIGC [47].
[3] Leggere L'avventuriero Gaizka ha i difensori che si merita: le canaglie del GIGC [48], (febbraio 2021)
Il marxismo e la storia della Prima Internazionale sottolineano il concetto di parassitismo per caratterizzare comportamenti distruttivi - all'interno delle organizzazioni politiche del proletariato - totalmente estranei ai metodi della classe operaia.
A. Il parassitismo politico non è affatto “un'invenzione della CCI”, il marxismo lo ha combattuto nell’AIT
Come mettiamo in evidenza nelle nostre tesi sul parassitismo[1] - a cui riferiamo molte delle considerazioni successive- il parassitismo è sorto storicamente in risposta alla fondazione della Prima Internazionale, che Engels ha descritto come “il mezzo per dissolvere e assorbire gradualmente tutte le diverse piccole sette”. (Engels, Lettera a Florence Kelly Vischnevetsky, 3 febbraio 1886). L’AIT era infatti uno strumento che obbligava le diverse componenti del movimento operaio a impegnarsi in un processo collettivo e pubblico di chiarimento, e ad adeguarsi a una disciplina organizzativa unitaria, impersonale, proletaria. Infatti, “imparata la lezione delle rivoluzioni del 1848, il proletariato non accettava più di essere guidato dall’ala radicale della borghesia e lottava ormai per stabilire una propria autonomia di classe. Ma ciò esigeva che nelle proprie file il proletariato superasse le concezioni e le teorie organizzative della piccola borghesia, della componente bohémien e degli elementi declassati che vi rimanevano ed esercitavano ancora un’influenza importante”[2].
Tuttavia, l’avanzata della lotta del proletariato necessitava di questo processo di dissoluzione e di assorbimento su scala internazionale di tutte le particolarità e le autonomie programmatiche e organizzative non proletarie.
Fu inizialmente nella resistenza a questo movimento che il parassitismo dichiarò la sua guerra al movimento rivoluzionario. Fu l’AIT la prima a confrontarsi con questa minaccia contro il movimento proletario, che la identificò e la combatté. Fu lei, a partire da Marx ed Engels, a definire parassiti quegli elementi politicizzati che, pur pretendendo di aderire al programma e alle organizzazioni del proletariato, concentrano i loro sforzi nella lotta, non contro la classe dirigente, ma contro le organizzazioni della classe rivoluzionaria. La base della loro attività è, infatti, denigrare e manovrare contro il campo comunista, pur affermando di appartenere ad esso e di servirlo. Così è riassunta questa frase del rapporto sull’Alleanza[3] al Congresso dell’Aia scritta da Engels: «Per la prima volta nella storia della lotta di classe, ci troviamo di fronte a una cospirazione segreta nel cuore della classe operaia, destinata a sabotare non il sistema di sfruttamento esistente, ma l’Associazione stessa che rappresenta il più acerrimo nemico di questo sistema». Quanto al rimedio consigliato, esso è senza ambiguità: «È giunto il momento, una volta per tutte, di porre fine alle lotte interne provocate quotidianamente nella nostra Associazione dalla presenza di questo corpo parassitario». (Engels, “Il Consiglio Generale a tutti i membri dell'Internazionale”, monito contro l’Alleanza di Bakunin[4])
B. La rinascita del parassitismo dagli anni ‘80
Come è avvenuto con l’Alleanza nell’AIT, è solo quando il movimento operaio passa da uno stadio di immaturità di base a un livello qualitativamente superiore, specificamente comunista, che il parassitismo diventa il suo principale oppositore. Nel periodo attuale, questa immaturità non è il prodotto dell’immaturità del movimento operaio nel suo insieme, come ai tempi dell’AIT, ma soprattutto il risultato dei cinquant’anni di controrivoluzione che seguirono alla sconfitta dell’ondata rivoluzionaria del 1917-23. Oggi, è questa rottura nella continuità organica con le tradizioni delle passate generazioni di rivoluzionari che spiega, soprattutto, il peso di concezioni e comportamenti antiorganizzativi piccolo-borghesi tra molti elementi che si dichiarano marxisti e della Sinistra Comunista.
Il parassitismo influenza elementi in cerca di posizioni di classe che trovano difficile distinguere tra autentiche organizzazioni rivoluzionarie e correnti parassite. È così che si spiega che, a partire dagli anni ‘90 e soprattutto dagli anni 2000, l’azione del parassitismo è aumentata, diventando sempre più distruttiva. Attualmente ci troviamo di fronte a molteplici raggruppamenti informali, che spesso agiscono nell’ombra, affermando di appartenere al campo della Sinistra Comunista, ma che dedicano le loro energie a combattere le Organizzazioni Marxiste esistenti piuttosto che lo Stato borghese. Come ai tempi di Marx ed Engels, questa ondata parassita reazionaria svolge una funzione di sabotare lo sviluppo del dibattito aperto e della chiarificazione proletaria, e di impedire l’istituzione di regole di condotta vincolanti per tutti i membri del campo proletario.
È stata significativamente alimentata da tutte le rotture che hanno avuto luogo nella storia della CCI. Né motivate, né giustificate da differenze politiche, queste sono state le conseguenze di comportamenti organizzativi non marxisti, non proletari, come quelli di Bakunin nell’AIT e dei menscevichi nel POSDR nel 1903, che esprimevano resistenza alla disciplina organizzativa e ai principi collettivi.
Di fronte alla classe operaia e all’ambiente politico proletario, la CCI non ha mai nascosto le difficoltà che ha incontrato. Così, nei primi anni Ottanta, essa si esprimeva in questi termini: “la messa in evidenza da parte delle Organizzazioni Rivoluzionarie dei loro problemi e discussioni interne costituisce una scelta per tutti i tentativi di denigrazione di cui sono oggetto da parte dei loro avversari. Questo è anche e particolarmente il caso della CCI. Certo, non è nella stampa borghese che si trovano manifestazioni di giubilo quando riferiamo sulle difficoltà che la nostra organizzazione può incontrare oggi. Questo è ancora troppo modesto nelle dimensioni e nell’influenza tra le masse lavoratrici perché le agenzie di propaganda borghese abbiano interesse a parlarne nel tentativo di screditarlo. È preferibile che la borghesia faccia un muro di silenzio intorno alle posizioni e all’esistenza delle organizzazioni rivoluzionarie. Per questo motivo, l'opera di denigrazione e di sabotaggio del loro intervento è assunta da tutta una serie di gruppi ed elementi parassitari la cui funzione è quella di allontanare dalle posizioni di classe gli elementi che si avvicinano a loro, per disgustarli da qualsiasi partecipazione al difficile lavoro di sviluppo di un ambiente politico proletario." (Risoluzione adottata dal 5° Congresso Internazionale della CCI, Rivista Internazionale n° 35)
Tutti i gruppi comunisti si sono confrontati con le malefatte del parassitismo, ma spetta alla CCI, perché oggi è l’organizzazione più importante dell’ambiente proletario, e anche la più rigorosa in termini di rispetto dei principi e degli statuti, essere oggetto di un’attenzione molto particolare da parte del movimento parassitario. In quest'ultimo si trovavano, e si trovano ancora per alcuni, gruppi formati e tutti usciti dalla CCI come il “Groupe Communiste Internationaliste” (GCI) e le sue scissioni (come “Contre le Courant”), il defunto “Communist Bulletin Group” (CBG) o l’ex “Frazione esterna della CCI” o anche la “Frazione interna della CCI” che si trasformò pochi anni dopo nel “Groupe International de la Gauche Communiste” (GIGC) tutte composte da scissioni della CCI. Ma il parassitismo non si limita a tali gruppi. Viene veicolato anche da elementi non organizzati, ovvero da coloro che si trovano di tanto in tanto in circoli di discussione effimeri, la cui principale preoccupazione è quella di far circolare ogni tipo di pettegolezzo sulla nostra organizzazione. Questi elementi sono spesso ex militanti che, cedendo alla pressione dell’ideologia piccolo-borghese, non hanno avuto la forza di mantenere il loro impegno nell’organizzazione, frustrati dal fatto che essa non ha “riconosciuto i loro meriti” al livello dell’idea che essi stessi se ne facevano o che non sopportavano le critiche a cui erano sottoposti. Si tratta anche di ex simpatizzanti che l’organizzazione non ha voluto integrare perché riteneva non avessero sufficiente chiarezza o che hanno rinunciato a impegnarsi per paura di perdere la loro “individualità” in un quadro collettivo (è il caso, ad esempio, del defunto “collettivo Alptraum” in Messico o di “Kamunist Kranti” in India). In tutti i casi si tratta di elementi la cui frustrazione derivante dalla propria mancanza di coraggio, dalla propria debolezza e dalla propria impotenza si è convertita in una sistematica ostilità nei confronti dell’organizzazione. Questi elementi sono ovviamente assolutamente incapaci di costruire qualsiasi cosa.
D’altra parte, sono spesso molto efficaci, con il loro piccolo clamore e le loro chiacchiere da pettegoli, nello screditare e distruggere ciò che l’organizzazione sta cercando di costruire.
C. I principali gruppi parassiti dagli anni ‘80
Ci limiteremo qui ai seguenti gruppi: il Communist Bulletin Group (CBG), la Frazione Esterna della CCI (FECCI) e la Frazione Interna della CCI (FICCI).
C.1 Il Communist Bulletin Group (CBG)
La lotta contro i clan, che l’XI Congresso della CCI aveva sostenuto all’unanimità, viene trasformata dal CBG in una lotta tra clan. Gli organi centrali sono inevitabilmente “monolitici”, l’individuazione della penetrazione delle influenze non proletarie, compito primario dei rivoluzionari, si presenta come un mezzo per spezzare gli “avversari”. I metodi di chiarificazione delle organizzazioni proletarie - dibattito aperto in tutta l’organizzazione, pubblicazione dei suoi risultati per informare la classe operaia - diventano il metodo del “lavaggio del cervello” delle sette religiose.
Non è solo la CCI che è attaccata: “Non è solo l’intero ambiente rivoluzionario di oggi che viene così attaccato in questo modo. Sono l’intera storia e le tradizioni del movimento operaio che vengono insultate. In realtà, le menzogne e le calunnie del CBG sono molto in linea con la campagna della borghesia mondiale sulla presunta morte del comunismo e del marxismo. Al centro di questa propaganda c’è un’unica idea che genera la più grande menzogna della storia: il rigore organizzativo di Lenin e dei bolscevichi porta necessariamente allo stalinismo. Nella versione del CBG di questa propaganda, è il bolscevismo della CCI che 'necessariamente' porta al suo cosiddetto 'stalinismo'. Evidentemente, il CBG non sa né cosa sia l’ambiente rivoluzionario, né cosa sia lo stalinismo”. (Parasitisme politique: le “C.B.G” fait le travail de la bourgeoisie [50] Revue Internationale n°83 (Parassitismo politico: il CBG fa il lavoro della borghesia)
C.2 La Frazione Esterna della CCI
In un articolo della nostra Revue Internationale scrivemmo nel 1986:
“L'ambiente politico proletario, già fortemente segnato dal peso del settarismo, come più volte evidenziato e deplorato dalla CCI, si è appena “arricchito” di una nuova setta. È appena apparso il n°1 di una nuova pubblicazione intitolata “Prospettiva internazionalista”, organo della “Frazione esterna della CCI” che “rivendica la continuità del quadro programmatico elaborato dalla CCI”. Questo gruppo è composto da compagni appartenenti alla “tendenza” che si è formata nella nostra organizzazione e che l’ha lasciata al suo VI Congresso[5] per “difendere la piattaforma della CCI”. Abbiamo già incontrato e messo in luce molte forme di settarismo tra i rivoluzionari di oggi, ma la creazione di una CCI-bis con le stesse posizioni programmatiche della CCI costituisce un apice in questo campo, un apice mai raggiunto finora. Allo stesso modo, quello che può essere considerato un apice è la quantità di calunnie che Perspective Internationaliste riversa sulla CCI; solo il Communist Bulletin Group (composto anch’esso da ex membri della CCI) si è spinto finora in questo campo. Fin dalla sua creazione, questo nuovo gruppo si pone quindi su un terreno che solo i delinquenti politici (che si erano distinti rubando materiale e fondi alla CCI) avevano in passato sfruttato con altrettanto fervore. Anche se i membri della “Frazione” non sono in alcun modo responsabili di tali atti, si può dire che il loro settarismo e la loro predilezione per l’insulto gratuito siano di cattivo auspicio per lo sviluppo futuro di questo gruppo e la sua capacità di contribuire allo sforzo di presa di coscienza del proletariato. In effetti, i giochetti della FECCI traducono solo una cosa: una totale irresponsabilità di fronte ai compiti che spettano oggi ai rivoluzionari, una diserzione dalla lotta militante”.(La “fraction externe du CCI” (discussione) [51] [2], Revue Internationale [52] n°45 [52]
C.3 La Frazione Interna della CCI (2001), che muterà in GIGC (Gruppo Internazionalista della Sinistra Comunista) nel 2013, costituisce indubbiamente un ulteriore passo nell’ignominia, giustificando così l’aver dedicato ad essa una parte importante di questo testo.
D. La FICCI (antenata della GIGC), una forma estrema di raggruppamento parassitario
Riportiamo qui parte della catena di eventi che ha portato alla formazione della FICCI (Frazione Interna della CCI), cristallizzazione nella CCI di un corpo estraneo, citando un comunicato ai nostri lettori che riporta le azioni, all’interno e all'esterno della nostra organizzazione, di membri della nostra organizzazione:
“ciò che ha causato il problema è che, con il pretesto di (...) disaccordi, un certo numero di militanti della sezione in Francia ha attuato (...) una politica di violazione permanente delle nostre regole organizzative. Sulla base di una reazione di “autostima ferita”, si sono gettati a capofitto in atteggiamenti anarchici di violazione delle decisioni del Congresso, denigrazione e calunnia, malafede, bugie. Dopo diverse carenze organizzative, alcune delle quali gravissime, che hanno richiesto ferme reazioni da parte dell’organizzazione, questi compagni hanno tenuto riunioni segrete durante il mese di agosto 2001 (…) È pervenuto all’organizzazione il verbale di una delle riunioni di questa tendenza segreta, contro la volontà dei suoi partecipanti. Ha permesso di evidenziare chiaramente, all’interno dell’organizzazione, il fatto che questi compagni, nella piena consapevolezza della gravità dei loro atti, stavano fomentando un complotto contro l’organizzazione, dimostrando così una totale slealtà nei confronti della CCI, che si è espressa in particolare attraverso: l’istituzione di una strategia per ingannare l’organizzazione e far passare la propria politica; un approccio golpista/gauchista che pone i problemi politici affrontati in termini di “recupero dei mezzi di funzionamento”; l'instaurazione di legami che conferiscano "una ferrea solidarietà" tra i partecipanti e contro gli organi centrali, voltando così nettamente le spalle alla disciplina liberamente assunta all’interno di un’organizzazione politica proletaria (comunicato ai nostri lettori – un attacco parassita che mira a screditare la CCI [53] in francese - 21 marzo 2002). Fin dalla sua costituzione, la FICCI si è sempre presentata come il miglior difensore della piattaforma e delle posizioni della CCI, ad eccezione, però, “dell'analisi dell'ultima fase della decadenza, quella della decomposizione”, e delle “tesi sul parassitismo politico”. La prima eccezione serviva ad essere più in linea con altri gruppi del milieu che non condividevano l’analisi della decomposizione. La seconda le permise di confutare più facilmente il fatto di costituire a sua volta un gruppo parassitario, anche se i suoi membri erano stati fino ad allora convinti difensori della necessità di lottare contro il parassitismo.
Un promemoria[6] dello stato di servizio del gruppo FICCI/GIGC
I membri della FICCI si sono deliberatamente posti al di fuori della nostra organizzazione a seguito dei seguenti comportamenti:
La FICCI come gruppo poliziesco
Infine i membri della FICCI sono stati esclusi dalla nostra organizzazione, non per questi comportamenti peraltro intollerabili ma per la loro attività di informatori con, al loro attivo, diversi atti di spionaggio. È così, in particolare, che hanno pubblicato, sul loro sito Internet, la data in cui si sarebbe tenuta una conferenza della CCI in Messico alla presenza di militanti di altri paesi. Questo atto ripugnante della FICCI consistente nell’agevolare il lavoro delle forze di repressione dello Stato borghese contro i militanti rivoluzionari è tanto più spregevole perché i membri della FICCI sapevano benissimo che alcuni dei nostri compagni in Messico erano già, in passato, stati vittime dirette della repressione e che alcuni sono stati costretti a fuggire dal loro paese di origine.
Ma il comportamento da spioni dei membri della FICCI non si limita a questo episodio. prima e dopo la loro esclusione dalla CCI, hanno sistematizzato la loro opera di spionaggio sulla nostra organizzazione e riferito regolarmente, nei loro bollettini, sui risultati così ottenuti (Vedi in particolare i bollettini della FICCI n°14, 18 e 19).
La loro sordida raccolta di informazioni è del tutto significativa del modo con cui queste persone concepivano il loro “lavoro di frazione” (pettegolezzi, rapporti di polizia). Infatti, l’esibizione di tali informazioni è rivolta anche a tutta la CCI, al fine di esercitare pressioni sui suoi militanti facendo loro capire che sono “sotto sorveglianza”, che nulla dei loro atti e gesti sfuggirà alla vigilanza della “Frazione Interna”.
Non è perché nasce dal cervello malato di persecutori ossessivi che tale controllo della nostra organizzazione e più in particolare di alcuni dei suoi membri non dovrebbe essere preso sul serio.
Per concludere sul comportamento poliziesco della FICCI, vale la pena citare la pubblicazione da parte di quest’ultima di un testo di 118 pagine dal titolo “La storia del Segretariato Internazionale della CCI”. Questo testo, stando al suo sottotitolo, pretende di raccontare “Come l'opportunismo si è imposto negli organi centrali prima di contaminare e iniziare la distruzione dell’intera organizzazione...” Questo scritto illustra, ancora una volta, la natura poliziesca dell’approccio della FICCI. In effetti, spiega la cosiddetta “evoluzione opportunistica” della CCI con gli “intrighi” di una serie di personaggi malvagi ed in particolare “la compagna del capo” (presentata come un agente dello Stato che esercita la sua influenza sul “capo”). È come se la degenerazione e il tradimento del partito bolscevico fossero stati il risultato dell’azione del megalomane Stalin e non la conseguenza del fallimento della rivoluzione mondiale e dell’isolamento della Rivoluzione in Russia. Questo testo nasce dalla più pura concezione poliziesca della storia a cui si è sempre opposto il marxismo. Ma il carattere poliziesco più odioso di questo testo è il fatto che svela molti dettagli sul funzionamento interno della nostra organizzazione e che sono pane benedetto per la polizia.
La politica del “cordone sanitario” della FICCI contro la CCI
Non riuscendo a convincere i militanti della CCI della necessità di escludere il “capo” e il “compagno del capo”, questo gruppetto parassitario si è dato l'obiettivo di trascinare dietro le sue calunnie gli altri gruppi della Sinistra comunista, al fine di stabilire un cordone sanitario attorno alla CCI e screditarla (vedi sotto gli episodi della “riunione pubblica del BIPR a Parigi” e del “Circulo”). Infatti sono tutti gli ambiti di intervento della CCI (permanenze, riunioni pubbliche, …) che la FICCI ha preso di mira, mentre noi avevamo vietato l’accesso ai suoi membri per il fatto stesso della loro attività di spionaggio.[7] Poiché abbiamo imposto la nostra decisione di rimuoverli da tali luoghi, a volte abbiamo dovuto affrontare minacce (compresa quella pronunciata ad alta voce per tagliare la gola a un nostro compagno) e attacchi da parte di questi teppisti.
La degenerazione opportunista della CCI, proclamata ma mai dimostrata dalla FICCI!
La FICCI si presenta come “la vera erede della CCI” che avrebbe conosciuto una degenerazione “opportunista” e “stalinista”. Dichiara di continuare l’opera, abbandonata a suo dire dalla CCI, di difesa nella classe operaia delle “vere posizioni di questa organizzazione” che sarebbero minacciate dallo sviluppo dell’opportunismo al suo interno che colpisce, in primo luogo, la questione del funzionamento. Abbiamo visto nella pratica di questo gruppo la propria concezione del rispetto degli statuti e anche delle più elementari regole di comportamento del movimento operaio: “sederci sopra”, calpestarle furiosamente.
Il metodo, consistente nel “suggerire” evitando il problema politico di fondo, facendo appello al “buon senso popolare”, ai metodi di caccia alle streghe praticati nel Medioevo
È così che la CCI è stata bersaglio di tante altre accuse da parte della FICCI, finora non citate, e di cui ecco un piccolissimo campione: la CCI sarebbe oggi colpita dallo stigma di “una lontananza progressiva dal marxismo e una tendenza sempre più dichiarata a proporre (e difendere) i valori borghesi e piccolo borghesi in voga (“giovanilismo”, femminismo e soprattutto “non violenza”); la CCI “farebbe il gioco della repressione”.
L’utilizzo da parte della FICCI, per i propri fini, di una riunione pubblica del BIPR
Il BIPR[8] è stato oggetto di un’audace manovra da parte della FICCI consistente nell'organizzare un incontro pubblico a Parigi il 2 ottobre 2004 a beneficio di questo gruppo. Si trattava infatti di un incontro pubblico volto a difendere la reputazione della FICCI, a scapito di quella del BIPR e con l’obiettivo di attaccare la CCI.
L’annuncio di questo incontro da parte del BIPR indicava che il suo argomento era la guerra in Iraq. D’altra parte, l’annuncio della FICCI ha sottolineato tutta l’importanza del proprio approccio: “Su nostra proposta e con il nostro sostegno politico e materiale, il BIPR organizzerà un incontro pubblico a Parigi (RP che, ci auguriamo, non sarà l'ultima) alla quale invitiamo tutti i nostri lettori a partecipare”. Ciò che emerge da questo appello è che, senza la FICCI, questa organizzazione della Sinistra Comunista, che esiste su scala internazionale e che è conosciuta da decenni, non avrebbe potuto prendere l’iniziativa e organizzare l’assemblea pubblica!
Infatti, questo gruppo parassitario ha utilizzato il BIPR come “fantoccio” per la propria pubblicità al fine di ottenere un certificato di rispettabilità, di riconoscimento della sua appartenenza alla Sinistra Comunista. E la delinquenza disinibita non ha esitato a utilizzare la rubrica dei contatti della CCI (che avevano rubato prima di lasciare l’organizzazione) per diffondere il loro invito a questo incontro pubblico.
L’alleanza della FICCI con un avventuriero (il cittadino B) nel 2004
Nel 2004 la CCI ha stretto un rapporto politico con un piccolo gruppo in ricerca argentino, il NCI (Nucleo comunista internacional). Alla fine di luglio 2004, un membro del NCI, il signor B., ha tentato una manovra coraggiosa: ha chiesto l’immediata integrazione del gruppo nella CCI. Ha imposto questa esigenza nonostante la resistenza degli altri compagni del NCI che, anche se avevano l’obiettivo di aderire alla CCI, sentivano il bisogno di realizzare preventivamente tutto un lavoro approfondito di chiarificazione e di assimilazione, poiché la militanza comunista può basarsi solo su solide convinzioni. La CCI ha respinto questa esigenza in linea con la nostra politica contro le integrazioni affrettate e immature che possono comportare il rischio della distruzione dei militanti e sono dannose per l’organizzazione.
Contemporaneamente, tra la FICCI e l’avventuriero B, si stringeva un’alleanza, certamente su iniziativa di B, al servizio di una manovra contro la CCI utilizzando, a sua insaputa, l'NCI. La manovra consisteva nel far circolare all’interno dell’ambiente politico proletario una denuncia della CCI e dei suoi “metodi nauseabondi” che sembrava provenire indirettamente dal NCI, poiché tale denuncia era firmata da un misterioso e fittizio “Circulo de comunistas internacionalistas” (cioè “CCI”, abbreviato!), animato dal cittadino B e che, a suo dire, doveva essere il “superamento politico” dell’NCI. Tali calunnie sono state veicolate mediante un volantino del “Circulo” distribuito dalla FICCI in occasione dell'assemblea pubblica del BIPR del 2 ottobre 2004 a Parigi. Sono stati inoltre messi online in diverse lingue sul sito del BIPR. Oltre a prendere di mira direttamente la CCI, il volantino in questione difendeva la FICCI, mettendo completamente in discussione una posizione assunta dal NCI il 22 maggio 2004, che aveva denunciato questo gruppo.
Il modo in cui il cittadino B è stato portato ad elaborare la sua manovra è tipico di un avventuriero, delle sue ambizioni e della sua totale mancanza di scrupoli e preoccupazione per la causa del proletariato. Il ricorso ai servizi di un avventuriero, da parte della FICCI, per soddisfare il proprio odio nei confronti della CCI e cercare di instaurare, con pubblica denigrazione, l’isolamento politico della nostra organizzazione, è degno dei personaggi meschini e spregevoli che popolano il mondo della piccola e grande borghesia.
L’utilizzazione poliziesca da parte del GIGC dei bollettini interni della CCI
Il GIGC possedendo i bollettini interni della CCI, attraverso un mezzo di cui non siamo a conoscenza, ha fatto tutta una clamorosa pubblicità intorno a questo evento, vedendo in questo la prova di una crisi della CCI. Il messaggio che queste spie patentate cercavano allora di trasmettere era molto chiaro: “c'è una “talpa” nella CCI che lavora a braccetto con l’ex FICCI!”. Era chiaramente un lavoro di polizia con nessun altro obiettivo se non quello di seminare sospetto, disordine e discordia all'interno della nostra organizzazione. Sono gli stessi metodi che la GPU, la polizia politica di Stalin, usava per distruggere dall’interno il movimento trotskista degli anni ‘30. Sono gli stessi metodi che avevano già utilizzato i membri dell'ex-FICCI (e in particolare due di loro, Juan e Jonas, membri fondatori della “GIGC”) quando fecero viaggi “speciali” in diverse sezioni della CCI nel 2001 per organizzare riunioni segrete e diffondere voci secondo cui uno dei nostri compagni (la “moglie del leader della CCI”, secondo la loro espressione) sarebbe un “poliziotto”.
Supporto del GIGC a Nuevo Curso e Gaizka[9]
La CCI aveva denunciato un tentativo di falsificare le vere origini della Sinistra Comunista da parte di un blog chiamato Nuevo Curso e orchestrato da un avventuriero, Gaizka, il cui obiettivo non è in alcun modo contribuire a chiarire e difendere le posizioni di questa Corrente ma a “farsi un nome” nell'ambiente politico proletario. Questo attacco alla corrente storica della Sinistra Comunista mira a trasformarla in un movimento dai contorni vaghi, amputato dei rigorosi principi proletari che ne hanno regolato la formazione, che costituisce un ostacolo alla trasmissione alle future generazioni di rivoluzionari delle conquiste della lotta delle frazioni di sinistra contro l’opportunismo e la degenerazione dei partiti dell'Internazionale Comunista.
Quanto all’avventuriero Gaizka, abbiamo fornito su di lui una grande quantità di informazioni, ad oggi non smentite, riguardanti i rapporti di questo signore nel mondo delle personalità della politica borghese (principalmente di sinistra ma anche di destra). È un comportamento e un tratto di personalità che condivide con gli avventurieri - anche se è ovviamente lontano dall’avere la statura di questi personaggi - meglio conosciuti nella storia come Ferdinand Lassalle e Jean Baptiste von Schweitzer che avevano operato all’interno del movimento operaio in Germania nel XIX secolo.
È con grande entusiasmo, e servilismo, che il GIGC aveva accolto l’ingresso sulla scena politica del blog Nuevo Curso: “Tutte le posizioni che difende sono molto chiaramente di classe e si situano nel quadro programmatico della Sinistra Comunista (…)”. Inoltre, poiché la nostra organizzazione aveva fornito informazioni sufficienti ai lettori per caratterizzare Gaizka (il principale animatore di Nuevo Curso) come un avventuriero con la particolarità di aver mantenuto, nel 1992-94, rapporti con il più importante partito della borghesia in Spagna a quell’epoca, il PSOE, non c’erano più dubbi sul significato dell'approccio di Nuevo Curso finalizzato a distorcere la Sinistra Comunista. Non sono state però queste informazioni accessibili a tutti (e smentite da nessuno, lo ripetiamo) a impedire al GIGC di venire in aiuto dell'avventuriero Gaizka, di fronte alla denuncia che gli abbiamo fatto: “bisogna sottolineare che fino ad oggi non abbiamo visto alcuna provocazione, manovra, denigrazione, calunnia o diceria, lanciata dai membri di Nuevo Curso, anche individualmente, né alcuna politica di distruzione contro altri gruppi o militanti rivoluzionari”[10]. È molto rivelatore che, per fugare ogni sospetto di avventurismo nei confronti di Gaizka, l’animatore del GIGC prenda come criterio un insieme di tratti politici che caratterizzano lui stesso in primo luogo, ma non necessariamente soprattutto Gaizka: provocatore, manovratore, denigratore, calunniatore, distruttore di reputazione, … Quanto a Gaizka, pur non essendo del calibro di un Lassalle o di uno Schweitzer, “cerca di giocare nel gruppo dei grandi” ed è riuscito anche a farsi riconoscere da un certo numero di loro grazie ad alcune sue capacità intellettuali, non riuscendo a trattare da pari con il più grande come fu il caso di Lassalle con Bismarck[11] [54]. In scala ridotta, Gaizka immaginava di poter svolgere un ruolo di rappresentante di una branca della Sinistra Comunista (la Sinistra Comunista Spagnola), inventata da lui stesso. La grande ambizione del “sig. GIGC”, da parte sua, è quella di coprire la CCI di spazzatura.
E. A titolo di conclusione (provvisoria).
Per illustrare la nostra analisi del fenomeno del parassitismo politico, ci siamo basati principalmente sull’esempio del GIGC (ex FICCI). Il fatto che questa organizzazione costituisca una sorta di caricatura del parassitismo ci ha permesso sia di denunciarne ancora una volta la sua malvagità e cattiveria, ma anche di evidenziare meglio i tratti salienti che caratterizzano questo fenomeno e che ritroviamo in altri gruppi o elementi che iscrivono la loro attività in un approccio parassitario, anche se in modo meno ovvio e più sottile. Pertanto, il GIGC-FICCI è, a nostra conoscenza, l'unico gruppo che ha deliberatamente adottato un atteggiamento di informatore, di agente cosciente della repressione capitalista. Tuttavia, adottando questo atteggiamento di agente cosciente (anche se non remunerato) dello stato borghese, questo gruppo esprime solo nella maniera più estrema l’essenza e la funzione del parassitismo politico (e che era già stato analizzato, come abbiamo visto, da Marx ed Engels): condurre, in nome della difesa del programma proletario, una lotta decisa contro le organizzazioni reali della classe operaia. E questo, naturalmente, a maggior beneficio del suo nemico mortale, la borghesia. E se certi gruppi si astengono dagli eccessi del GIGC, preferendo praticare un parassitismo “morbido”, più subdolo, ciò non li rende meno pericolosi, anzi.
Così come le vere organizzazioni del proletariato potranno assumere il ruolo loro affidato dal movimento operaio, come l'intera storia del movimento ha dimostrato, solo conducendo una lotta decisa contro la cancrena opportunista, esse potranno essere all'altezza della loro responsabilità solo conducendo una lotta altrettanto decisa contro la peste del parassitismo. Questo Marx ed Engels l’avevano compreso appieno dalla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento, e in particolare durante il Congresso dell'Aia della I Internazionale nel 1872 anche se, successivamente, un gran numero di marxisti, che comunque guidarono la lotta contro l'opportunismo, come Franz Mehring, non hanno compreso il significato e l’importanza della lotta contro l’Alleanza di Bakunin.
Questo è probabilmente uno dei motivi (insieme all'ingenuità e agli scivolamenti opportunistici) per cui la questione del parassitismo non è compresa nell'ambiente politico proletario. Ma non si può usare la debolezza del movimento operaio come argomento per rifiutare di vedere e affrontare i pericoli che minacciano la lotta storica della nostra classe. È con piena convinzione che rivendichiamo lo spirito di questa frase di Engels citata all’inizio dell'articolo:
“È giunto il momento, una volta per tutte, di porre fine alle lotte interne provocate quotidianamente nella nostra Associazione dalla presenza di questo corpo parassita.”
CCI 07 agosto 2023
[1] Costruzione dell'organizzazione dei rivoluzionari: tesi sul parassitismo [20] Rivista Internazionale n°22
[2] Questions d’organisation, III: le congrès de La Haye de 1872: la lutte contre le parasitisme politique. [55] Revue internationale n°87 in francese
[3] “Alleanza di Democrazia Socialista”, fondata da Bakunin, che troverà terreno fertile in settori importanti dell’Internazionale per le debolezze che ancora pesavano su di essa e che derivavano dall’immaturità politica del proletariato di allora, un proletariato che non si era ancora del tutto liberato dalle vestigie della fase precedente del suo sviluppo, e in particolare dai movimenti settari
[4] “Prima di entrare nell'AIT, Bakunin spiegò ai suoi seguaci perché l'AIT non era un'organizzazione rivoluzionaria: i proudhoniani erano diventati riformisti, i blanquisti erano invecchiati, e i tedeschi e il Consiglio Generale che presumibilmente dicevano di dominare, erano "autoritari”. Secondo Bakunin, ciò che mancava soprattutto era la "volontà" rivoluzionaria. Questo è ciò che l'Alleanza voleva assicurare andando oltre il programma e gli statuti e ingannando i suoi membri.
Per Bakunin, l'organizzazione che il proletariato aveva forgiato, che aveva costruito in anni di duro lavoro, era inutile. Ciò che era tutto per lui erano le sette cospiratorie che lui stesso aveva creato e controllato. Non era l'organizzazione di classe che lo interessava, ma il suo status personale e la sua reputazione, la sua "libertà" anarchica o quella che oggi viene chiamata "autorealizzazione". Per Bakunin e i suoi simili, il movimento operaio non era altro che il veicolo per la realizzazione della loro individualità e dei loro progetti individualistici.” Questioni di organizzazione, I: La Prima Internazionale e la lotta contro il settarismo [56] Rivista Internazionale n°20
[5] La Revue Internationale n°44, nell’articolo dedicato al 6° Congresso della CCI, dà conto delle dimissioni di questi compagni e della loro costituzione in “Frazione”. Il lettore potrà farvi riferimento, così come gli articoli pubblicati nelle Revue dal n°40 al 43, che riflettono l’evoluzione del dibattito all'interno della CCI.
[6] Le informazioni pubblicate di seguito sono un riassunto di parte di un articolo, L'avventuriero Gaizka ha i difensori che si merita: le canaglie del GIGC [48], che riporta in modo più dettagliato i disturbi di questo gruppo parassita.
[7] Riunioni pubbliche della CCI vietate alle spie [57] in francese
[8] BIPR: Ufficio Internazionale del Partito Rivoluzionario. Gruppo fondato nel 1984 dal Partito comunista internazionalista (Battaglia comunista) e dall'Organizzazione comunista dei lavoratori (CWO). Dal 2009, questo gruppo ha cambiato nome diventando Tendance Communiste Internationaliste (TCI).
[9] Leggi i nostri articoli (febbraio 2021) L'avventuriero Gaizka ha i difensori che si merita: le canaglie del GIGC [48]
[10] Nuovo attacco della CCI contro il campo proletario internazionale [58] (1° febbraio 2020) in francese
La lotta è davanti a noi!
Nell’ultimo anno nei paesi centrali del capitalismo e in tutto il mondo sono scoppiate importanti lotte operaie. Questa serie di scioperi è iniziata nel Regno Unito nell’estate del 2022 cui è seguito l’entrata in lotta di lavoratori di molti altri paesi: Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Stati Uniti, Corea… Ovunque, la classe operaia ha alzato la testa di fronte al notevole deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, all’aumento vertiginoso dei prezzi, alla precarietà sistematica e alla disoccupazione di massa, causata dall’accentuarsi della instabilità economica, dai problemi ecologici e dall’intensificazione del militarismo in connessione con la barbarie della guerra in Ucraina.
Un’ondata di lotte senza precedenti da tre decenni
Per tre decenni, il mondo non aveva visto una tale ondata di lotte simultanee in così tanti paesi o per un periodo così lungo. Il crollo del blocco dell'Est nel 1989 e le campagne sulla cosiddetta “morte del comunismo” avevano causato un profondo riflusso della lotta di classe a livello mondiale. Questo grande evento, l’implosione del blocco imperialista stalinista l’URSS, una delle due maggiori potenze mondiali, è stato la più spettacolare espressione dell’ingresso del capitalismo in una nuova fase della sua decadenza ancora più distruttiva, quella della sua decomposizione[1]. La putrefazione della società, con la sua quota di crescente violenza e caos a tutti i livelli, l’atmosfera nichilista e di disperazione, la tendenza a chiudersi in sé stessi... tutto ciò ha a sua volta avuto un impatto molto negativo sulla lotta di classe, con un notevole indebolimento della combattività rispetto al periodo precedente, quello a partire dal 1968. La rassegnazione che ha colpito per più di tre decenni la classe operaia britannica, un proletariato con una lunga esperienza di lotta, illustra da sola la realtà di questo riflusso. Di fronte agli attacchi della borghesia, alle "riforme" estremamente brutali, alla massiccia deindustrializzazione, al notevole calo del tenore di vita, i lavoratori di questo paese non hanno dato luogo ad alcuna mobilitazione significativa dopo la cocente sconfitta inflitta ai minatori dalla Thatcher nel 1985.
Se, di tanto in tanto, la classe operaia ha mostrato ancora segni di combattività e ha cercato di recuperare le sue armi di lotta (lotta contro il Contratto di Primo Impiego (CPE) in Francia nel 2006, il movimento degli Indignados in Spagna nel 2011, la prima mobilitazione contro la riforma delle pensioni in Francia nel 2019), dimostrando così di non essere affatto uscita dalla scena della storia, le sue mobilitazioni sono rimaste in gran parte senza futuro, incapaci di rilanciare un movimento più globale. Perché? In tutti questi anni i lavoratori non solo hanno perso la loro combattività ma sono stati anche vittime di un profondo riflusso della loro coscienza di classe, acquisita a caro prezzo nel fuoco delle loro lotte negli anni ’70 e ’80, dimenticando le lezioni delle loro lotte, i loro scontri con i sindacati, le trappole tese dallo Stato "democratico", perdendo fiducia in loro stessi, la capacità di unirsi, di lottare in modo massiccio... Erano addirittura arrivati a dimenticare in generale la loro identità di classe antagonista alla borghesia e la loro prospettiva rivoluzionaria. In questa logica, il comunismo sembrava definitivamente morto con gli orrori dello stalinismo, e la classe operaia sembrava non esistere più.
Una rottura nella dinamica della lotta di classe
Ciononostante, di fronte alla notevole accelerazione del processo di decomposizione[2] a partire dalla pandemia mondiale di Covid-19, e ancor più di fronte ai massacri della guerra in Ucraina e alle reazioni a catena che questa ha provocato sul piano economico, ecologico, sociale e politico, la classe operaia ha rialzato ovunque la testa, si è impegnata nella lotta e si è rifiutata di subire sacrifici in nome del cosiddetto “bene comune”. È una coincidenza? Una reazione superficiale unica e senza futuro di fronte agli attacchi della borghesia? NO! lo slogan "Ora basta"! in questo contesto di destabilizzazione generalizzata del sistema capitalista dimostra chiaramente che all’interno della classe si sta verificando un reale cambiamento di atteggiamento. Tutte queste espressioni di combattività fanno parte di una nuova situazione che si sta aprendo per la lotta di classe, una nuova fase che rompe con la passività, il disorientamento e la disperazione degli ultimi tre decenni.
Lo scoppio simultaneo di lotte da un anno non nasce affatto dal nulla. Sono il prodotto di un intero processo di riflessione nella classe attraverso una serie di tentativi e di errori precedenti. Già durante la prima mobilitazione in Francia contro la “riforma” delle pensioni alla fine del 2019, la CCI aveva individuato l’espressione di un forte bisogno di solidarietà tra generazioni e tra settori diversi. Questo movimento era stato accompagnato anche da altre lotte operaie in tutto il mondo, negli Stati Uniti e in Finlandia, ma si è estinto di fronte all’esplosione della pandemia di Covid nel marzo 2020. Allo stesso modo, dall’ottobre 2021, sono scoppiati movimenti di sciopero negli Stati Uniti in diversi settori, ma la dinamica di lotta è stata interrotta, questa volta dallo scoppio della guerra in Ucraina che ha inizialmente paralizzato i lavoratori, soprattutto in Europa.
Questo lungo processo di tentativi e di maturazione sfocia dall’estate del 2022 in una reazione determinata dei lavoratori sul proprio terreno di classe di fronte agli attacchi derivanti dalla destabilizzazione del capitalismo. I lavoratori britannici hanno aperto un nuovo periodo di lotta operaia internazionale, con quella che è stata chiamata “l’estate della rabbia”. Lo slogan "Quando è troppo è troppo" è stato elevato a simbolo dell'intera lotta proletaria nel Regno Unito. Questo slogan non esprimeva precise richieste da soddisfare, ma una profonda rivolta contro le condizioni di sfruttamento. Ha dimostrato che i lavoratori non erano più disposti ad accettare scadenti compromessi, ma erano pronti a continuare la lotta con determinazione. Questo movimento dei lavoratori britannici è particolarmente simbolico in quanto è la prima volta dagli anni ’85 che questo settore della classe operaia si ritrova sulla scena. E mentre l’inflazione e la crisi si intensificavano in tutto il mondo, notevolmente aggravate dal conflitto ucraino e dall’intensificarsi dell’economia di guerra, anche gli operatori sanitari in Spagna e negli Stati Uniti tornavano a lottare, seguiti da un’ondata di scioperi nei Paesi Bassi, un “mega sciopero” dei lavoratori dei trasporti in Germania, più di 100 scioperi contro gli arretramenti salariali e i licenziamenti in Cina, uno sciopero e manifestazioni dopo un terribile incidente ferroviario in Grecia, gli insegnanti che chiedono salari più alti e migliori condizioni di lavoro in Portogallo, 100.000 dipendenti pubblici che chiedono un aumento di salario in Canada e, soprattutto, un massiccio movimento del proletariato francese contro la riforma delle pensioni.
Il carattere altamente significativo di queste mobilitazioni contro l’austerità capitalista risiede anche nel fatto che in ultima analisi contengono anche un’opposizione alla guerra. Infatti, se la mobilitazione diretta dei lavoratori contro la guerra era illusoria, la CCI aveva sottolineato già nel febbraio 2022 che la reazione dei lavoratori si sarebbe manifestata sulla base degli attacchi contro il loro potere d’acquisto, che sarebbero risultatati dall’intensificazione e l’interconnessione di crisi e disastri, e che ciò sarebbe stato anche contrario alle campagne che chiedono l’accettazione di sacrifici per sostenere “l’eroica resistenza del popolo ucraino”. Anche questo portano in germe le lotte dell’ultimo anno, anche se i lavoratori non ne hanno ancora piena coscienza: il rifiuto di sacrificarsi sempre più per gli interessi della classe dominante, il rifiuto di sacrificarsi per l’economia nazionale e per lo sforzo bellico, il rifiuto di accettare la logica di questo sistema che sta portando l’umanità verso una situazione sempre più catastrofica.
Dobbiamo lottare uniti e solidali!
In queste lotte, l’idea che “siamo tutti nella stessa barca” è cominciata ad emergere nella mente dei lavoratori. Nei picchetti nel Regno Unito, gli scioperanti ci hanno detto che sentivano di lottare per qualcosa di più grande delle rivendicazioni corporativistiche dei sindacati. Lo striscione “Per tutti noi” sotto il quale si è svolto lo sciopero in Germania il 27 marzo è particolarmente significativo del sentimento generale che si sta sviluppando nella classe: “lottiamo tutti gli uni per gli altri”. Ma è in Francia che la necessità di lottare uniti si è espressa più chiaramente. I sindacati hanno cercato di dividere e di destabilizzare il movimento con la trappola dello “sciopero per procura” nei settori cosiddetti “strategici” (come l'energia o la raccolta dei rifiuti) per “fermare la Francia”. Ma i lavoratori in massa non sono caduti nella trappola, determinati a battersi tutti insieme.
Durante le tredici giornate di mobilitazione in Francia, la CCI ha distribuito più di 150.000 volantini: l’interesse per ciò che accadeva nel Regno Unito e altrove non è mai stato smentito. Per alcuni manifestanti il legame con la situazione nel Regno Unito sembrava ovvio: "È lo stesso ovunque, in tutti i paesi". Non è un caso che i sindacati del settore mobiliero hanno dovuto farsi carico di un movimento di sciopero durante l’arrivo (annullato) di Carlo III a Parigi, sciopero iniziato in nome della “solidarietà agli operai inglesi”. Nonostante l’inflessibilità del governo in Francia, nonostante i fallimenti nel respingere la borghesia o nell’ottenere salari migliori in Gran Bretagna o altrove, la più grande vittoria dei lavoratori è la lotta stessa e la coscienza, senza dubbio ancora balbettante e molto confusa, che formiamo una sola e stessa forza, che siamo tutti sfruttati, che, atomizzati, ciascuno nel proprio angolo, non possiamo nulla contro il capitale ma che, uniti nella lotta, diventiamo la più grande forza sociale della storia.
Certo, i lavoratori non hanno ancora ritrovato la fiducia nelle proprie forze, nella loro capacità di prendere in mano le lotte. Ovunque i sindacati hanno mantenuto il controllo dei movimenti, usando un linguaggio più combattivo per sterilizzare meglio i bisogni dell’ unità, pur mantenendo una rigida separazione tra i diversi settori. In Gran Bretagna, i lavoratori sono rimasti isolati dietro il picchetto di sciopero della loro azienda, anche se i sindacati sono stati costretti a organizzare alcune parodie di presunte manifestazioni “unitarie”. Allo stesso modo, se in Francia i lavoratori si sono riuniti in manifestazioni gigantesche, queste sono state sistematicamente sotto il controllo assoluto dei sindacati, bloccati dietro le bandiere della propria azienda, del proprio settore. A livello globale, il confinamento corporativo è rimasto una costante nella maggior parte delle lotte.
Durante gli scioperi, la borghesia, in particolare con le sue frazioni di sinistra, ha continuato a scatenare le sue campagne ideologiche sull’ecologia, l’antirazzismo, la difesa della democrazia e altro, intese a mantenere la rabbia e l’indignazione sul terreno illusorio della “legge” borghese e a dividere gli sfruttati tra bianchi/neri, uomini/donne, giovani/vecchi… In Francia durante il movimento contro la riforma delle pensioni si sono sviluppate campagne sia ecologiste, contro lo sviluppo di «mega-bacini», che democratiche, contro la repressione poliziesca. Sebbene la maggior parte delle lotte dei lavoratori siano rimaste su basi di classe, vale a dire in difesa delle condizioni materiali dei lavoratori di fronte all’inflazione, ai licenziamenti, alle misure di austerità del governo, ecc., il pericolo che queste ideologie rappresentano per la classe operaia rimane considerevole.
Prepararsi per le lotte di domani
Attualmente le lotte sono diminuite in diversi paesi, ma ciò non significa che un sentimento di scoraggiamento o di sconfitta si sia impadronito dei lavoratori. L’ondata di scioperi è continuata per un anno intero nel Regno Unito, mentre in Francia le proteste sono durate cinque mesi, nonostante la stragrande maggioranza dei lavoratori fosse consapevole fin dall’inizio che la borghesia non avrebbe ceduto immediatamente alle loro rivendicazioni. Così, settimana dopo settimana nei Paesi Bassi, mese dopo mese in Francia e per un anno intero nel Regno Unito, i lavoratori si sono rifiutati di gettare la spugna. Queste mobilitazioni operaie hanno dimostrato chiaramente che i lavoratori sono determinati a non accettare un ulteriore deterioramento delle loro condizioni di vita. Ma, nonostante tutte le bugie della classe dominante, la crisi non si fermerà: i prezzi delle case, del riscaldamento, del cibo non smetteranno di salire, i licenziamenti e i contratti precari continueranno a piovere, i governi continueranno i loro attacchi…
Indubbiamente, questa nuova dinamica di lotta è solo all'inizio e, per la classe operaia, "tutte le sue difficoltà storiche persistono, la sua capacità ad organizzare le proprie lotte e ancor più di prendere coscienza dei suoi progetti rivoluzionari sono ancora molto lontane, ma la crescente combattività di fronte ai colpi brutali inferti dalla borghesia alle condizioni di vita e di lavoro è terreno fertile su cui il proletariato può riscoprire la sua identità di classe, prendere nuovamente coscienza di ciò che è, della sua forza quando lotta, quando sviluppa solidarietà, quando poi sviluppa la sua unità. Si tratta di un processo, di una lotta che riprende dopo anni di atonia, di una potenzialità che gli scioperi attuali suggeriscono”[3] . Nessuno sa dove o quando sorgeranno nuove lotte significative. Ma ciò che è certo è che la classe operaia continuerà a lottare ovunque!
Essere milioni di persone a battersi, sentire la forza collettiva della nostra classe restando uniti nelle strade, tutto questo è essenziale, ma non è affatto sufficiente. Il governo francese ha fatto marcia indietro nel 2006, durante la lotta contro il CPE, non perché gli studenti e i giovani precari fossero più numerosi nelle strade, ma perché avevano immediatamente scippato il movimento ai sindacati, attraverso assemblee generali sovrane, di massa ed aperte a tutti. Queste assemblee non erano luoghi di chiusura nei propri settori o aziende, ma luoghi da cui partivano massicce delegazioni verso le aziende più vicine per cercare attivamente solidarietà. Oggi, l’incapacità della classe operaia di prendere in mano attivamente la lotta cercando di estenderla a tutti i settori è la ragione per cui la borghesia non è arretrata. Tuttavia, il recupero della propria identità ha permesso alla classe operaia di iniziare a rivendicare il proprio passato. Nei cortei in Francia si sono moltiplicati i riferimenti al Maggio 68 e alla lotta del 2006 contro il CPE. Cosa è successo nel 68? Come ha fatto il governo a fare marcia indietro nel 2006? In una minoranza della classe è in corso un processo di riflessione, che è uno strumento indispensabile per trarre insegnamenti dai movimenti dell'anno trascorso e per preparare le lotte future che dovranno andare ancora oltre quelle del 1968 in Francia o quelli del 1980 in Polonia.
Proprio come le lotte recenti sono il prodotto di un processo di maturazione sotterraneo che si sta sviluppando da qualche tempo, così gli sforzi di una minoranza per trarre lezioni dalle lotte recenti porteranno i loro frutti nelle lotte più ampie che ci aspettiamo. I lavoratori riconosceranno che la divisione delle lotte imposta dai sindacati può essere superata solo se riscoprono forme autonome di organizzazione come le assemblee generali e i comitati di sciopero eletti, e se prendono l’iniziativa di estendere la lotta contro tutte le divisioni corporativiste.
A&D, 13 agosto 2023
[1] Tesi su: La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [3] e su Rivista Internazionale n. 14
[2] Vedi « Rapporto sulla decomposizione per il 25° Congresso della CCI (2023) », Revue internationale n°170 (2023). Rapport sur la décomposition | Courant Communiste International (internationalism.org) [59]
[3] Rapporto sulla lotta di classe per il 25° congresso della CCI, 2023, Revue Internationale 170.
Da sabato scorso un diluvio di ferro e fuoco si è abbattuto sulle popolazioni che vivono in Israele e a Gaza. Da una parte Hamas. Dall’altra l’esercito israeliano. Nel mezzo, i civili che vengono bombardati, fucilati, giustiziati, presi in ostaggio. I morti si contano già a migliaia.
In tutto il mondo, le borghesie ci chiedono di scegliere da che parte stare. Per la resistenza palestinese contro l’oppressione israeliana. O per la risposta israeliana al terrorismo palestinese. Ciascuno denuncia la barbarie dell'altro per giustificare la guerra. Lo Stato israeliano opprime le popolazioni palestinesi da decenni, attraverso blocchi, vessazioni, uccisioni, posti di blocco e umiliazioni: ragion per cui (dicono) la vendetta sarebbe legittima. Le organizzazioni palestinesi uccidono persone innocenti con attentati, coltelli o bombe: ragion per cui (dicono) sarebbe necessaria la repressione. Ciascuna parte chiede che venga versato il sangue dell'altra.
Questa logica di morte è quella della guerra imperialista! Sono i nostri sfruttatori e i loro Stati che da sempre conducono guerre spietate in difesa dei propri interessi. E siamo noi, lavoratori, sfruttati, a pagarne sempre il prezzo, quello della nostra vita.
Per noi proletari non c’è nessun campo da scegliere, noi non abbiamo patria, non abbiamo nazione da difendere! Da qualsiasi lato delle frontiere noi siamo fratelli di classe! Né Israele né Palestina!
In Medio Oriente la guerra non ha fine
Il XX secolo è stato un secolo di guerre, le più atroci della storia umana, e mai una di queste ha servito gli interessi dei lavoratori. Questi ultimi sono sempre stati chiamati ad andare a farsi uccidere a milioni per gli interessi dei loro sfruttatori, in nome della difesa della “patria”, della “civiltà”, della “democrazia”, perfino della “patria socialista” (come alcuni presentavano l’URSS di Stalin e dei gulag).
Oggi c’è una nuova guerra in Medio Oriente. Da entrambe le parti, le cricche dominanti invitano gli sfruttati a “difendere la patria”, siano essi ebrei o palestinesi. Lavoratori ebrei che in Israele sono sfruttati dai capitalisti ebrei, lavoratori palestinesi che sono sfruttati dai capitalisti ebrei o dai capitalisti arabi (e spesso in modo molto più feroce dei capitalisti ebrei poiché, nelle fabbriche palestinesi, il diritto del lavoro è ancora quello del vecchio impero ottomano).
Gli operai ebrei hanno già pagato a caro prezzo la follia guerriera della borghesia durante le cinque guerre che hanno subito dal 1948. Appena lasciato i campi di concentramento e i ghetti di un'Europa devastata dalla guerra mondiale, i nonni di coloro che oggi indossano l'uniforme dell'esercito israeliano furono coinvolti nella guerra tra Israele e i paesi arabi. Poi i loro genitori pagarono il prezzo di sangue nelle guerre del 67, 73 e 82. Questi soldati non sono orribili bruti che pensano solo ad uccidere i bambini palestinesi. Si tratta di giovani coscritti, per la maggior parte operai, che muoiono di paura e disgusto, costretti a fare i poliziotti e i cui cervelli vengono riempiti dalla propaganda della “barbarie” degli arabi.
Anche gli operai palestinesi hanno già pagato un terribile prezzo di sangue. Cacciati dalle loro case nel 1948 dalla guerra voluta dai loro dirigenti, hanno trascorso gran parte della loro vita in campi di concentramento, arruolandosi volontariamente o forzati, da adolescenti, nelle milizie di Fatah, del FPLP o di Hamas.
D'altronde, i loro più grandi massacratori non sono stati i soldati dell'esercito di Israele ma quelli dei paesi in cui erano ammassati, come Giordania e Libano: nel settembre 1970 (il “settembre nero”), il “piccolo re” Hussein li sterminò in massa, tanto che alcuni di loro si rifugiarono in Israele per sfuggire alla morte. Nel settembre 1982, le milizie arabe (cristiane e alleate di Israele) li massacrarono nei campi di Sabra e Chatila a Beirut.
Nazionalismo e religione, veleni per gli sfruttati
Oggi, in nome della “Patria Palestinese”, si vogliono mobilitare nuovamente i lavoratori arabi contro gli israeliani, in maggioranza operai israeliani, così come chiedono a questi ultimi di farsi ammazzare in difesa della “terra promessa”.
Su entrambe le parti vengono riversate ondate disgustose di propaganda nazionalista, una propaganda assordante intesa a trasformare gli esseri umani in bestie feroci. Le borghesie israeliana e araba non hanno smesso di alimentarla per più di mezzo secolo. Ai lavoratori israeliani e arabi veniva costantemente detto che dovevano difendere la terra dei loro antenati. Nei primi, hanno sviluppato, attraverso una militarizzazione sistematica della società, una psicosi di accerchiamento per farne “buoni soldati”. Nei secondi hanno ancorato il desiderio di disfarsi di Israele per avere una loro casa. E per fare questo, i leader dei paesi arabi in cui erano rifugiati li hanno mantenuti per decenni in campi di concentramento, in condizioni di vita insopportabili.
Il nazionalismo è una delle peggiori ideologie che la borghesia abbia inventato. È l'ideologia che permette di mascherare l'antagonismo tra sfruttatori e sfruttati, di riunirli tutti dietro la stessa bandiera per la quale gli sfruttati saranno uccisi al servizio degli sfruttatori, per la difesa degli interessi di classe e per i privilegi di questi ultimi.
In più, a questa guerra si aggiunge il veleno della propaganda religiosa, che permette la creazione del più demenziale fanatismo. Gli ebrei sono chiamati a difendere con il sangue il muro del pianto del Tempio di Salomone. I musulmani devono dare la vita per la Moschea di Omar e per i luoghi santi dell'Islam. Ciò che accade oggi in Israele e Palestina conferma che la religione è “l’oppio dei popoli”, come dicevano i rivoluzionari del XIX secolo. La religione mira a consolare gli sfruttati e gli oppressi. A coloro per i quali la vita sulla terra è un inferno viene detto che saranno felici dopo la morte purché sappiano guadagnarsi la salvezza. E questa salvezza viene scambiata con sacrifici, sottomissione, perfino con l'abbandono della propria vita al servizio della “guerra santa”.
Il fatto che all’inizio del XXI secolo ideologie e superstizioni risalenti all’antichità o al Medioevo siano ancora ampiamente utilizzate per indurre gli esseri umani a sacrificare la propria vita la dice lunga sullo stato di barbarie in cui sta nuovamente precipitando il Medio Oriente, insieme a molte altre parti del mondo.
Le grandi potenze responsabili della guerra
Sono stati i dirigenti delle grandi potenze a creare la situazione infernale nella quale oggi muoiono a migliaia gli sfruttati di questa regione. Sono state le borghesie europee, e in particolare quella inglese con la “Dichiarazione Balfour” del 1917, che, dividendo per meglio dominare, hanno permesso la creazione di una “casa ebraica” in Palestina, favorendo così le utopie scioviniste del sionismo. Si tratta delle stesse borghesie che, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, da loro appena vinta, provvidero a trasportare in Palestina centinaia di migliaia di ebrei dell'Europa centrale usciti dai campi o che si erano allontanati dalla loro regione d'origine, così da non doverli accogliere nei loro rispettivi paesi.
Sono state proprio queste borghesie, prima la inglese e la francese, poi quella americana, ad armare fino ai denti lo Stato d'Israele per conferirgli il ruolo di punta di lancia del blocco occidentale in questa regione durante la Guerra Fredda, mentre l'URSS, da parte sua, armava il più possibile i suoi alleati arabi. Senza questi grandi “padrini”, le guerre del 1956, ‘67, ‘73 e ‘82 non avrebbero potuto aver luogo.
Oggi, le borghesie del Libano, dell’Iran, probabilmente della Russia, armano e incitano Hamas. Gli Stati Uniti hanno appena inviato la loro più grande portaerei nel Mediterraneo e hanno annunciato nuove consegne di armi a Israele. In effetti, tutte le grandi potenze partecipano più o meno direttamente a questa guerra e a questi massacri!
Questa nuova guerra rischia di far precipitare l’intero Medio Oriente nel caos! Non si tratta dell’ennesimo scontro sanguinoso che provoca ancora una volta lutti in questo angolo di mondo. La stessa portata delle uccisioni indica che la barbarie ha raggiunto un nuovo traguardo: giovani ad una festa di ballo uccisi con mitragliatrici, donne e bambini giustiziati in mezzo alla strada a distanza ravvicinata, senza altro obiettivo se non quello di soddisfare un cieco desiderio di vendetta, un tappeto di bombe per annientare un'intera popolazione, due milioni di persone private di tutto, acqua, elettricità, gas, cibo ... Non c'è alcuna logica militare in tutti questi abusi, in tutti questi crimini! Entrambi i campi si crogiolano nella furia omicida più spaventosa e irrazionale!
Ma la cosa ancora più grave è che questo vaso di Pandora non si chiuderà mai più. Come con l’Iraq, come con l’Afghanistan, come con la Siria, come con la Libia, non ci sarà alcun ritorno indietro, nessun “ritorno alla pace”. Il capitalismo trascina parti sempre più grandi dell’umanità nella guerra, nella morte e nella decomposizione della società. La guerra in Ucraina va avanti ormai da quasi due anni ed è impantanata in una carneficina senza fine. Anche nel Nagorno-Karabakh sono in corso massacri. E già un nuovo fonte di guerra minaccia le nazioni dell’ex Jugoslavia. Il capitalismo è guerra!
Per porre fine alla guerra, dobbiamo rovesciare il capitalismo
Gli operai di tutti i paesi devono rifiutarsi di schierarsi con l’uno o l’altro campo borghese. In particolare, non devono lasciarsi ingannare dai discorsi dei partiti che dicono di stare dalla parte della classe operaia, i partiti di sinistra e dell’estrema sinistra, che chiedono loro di dimostrare la loro “solidarietà con le masse palestinesi” in nome del loro diritto ad una “patria”. La patria palestinese non sarà mai altro che uno Stato borghese al servizio della classe sfruttatrice e che opprimerà queste stesse masse, con poliziotti e prigioni. La solidarietà dei lavoratori dei paesi capitalisti più avanzati non deve andare ai “palestinesi”, né agli “israeliani”, tra i quali troviamo sfruttatori e sfruttati. Va invece ai lavoratori e ai disoccupati di Israele e di Palestina (che peraltro hanno già condotto lotte contro i loro sfruttatori nonostante tutto il lavaggio del cervello di cui sono vittime), così come essa deve andare ai lavoratori di tutti gli altri paesi del mondo. La migliore solidarietà che possono offrire loro non è certamente quella di incoraggiare le loro illusioni nazionaliste.
Questa solidarietà passa soprattutto attraverso lo sviluppo della loro lotta contro il sistema capitalista responsabile di tutte le guerre, una lotta contro ogni propria borghesia e contro la borghesia in generale.
La pace, la classe operaia dovrà conquistarla rovesciando il capitalismo su scala globale, cosa che oggi esige uno sviluppo delle sue lotte su un terreno di classe, contro gli attacchi economici sempre più duri sferratile contro da un sistema immerso in una crisi insormontabile.
Contro il nazionalismo, contro le guerre in cui i vostri sfruttatori vogliono trascinarvi:
Proletari di tutti i paesi, unitevi!
CCI, 9 ottobre 2023
"Dobbiamo dire che quando è troppo è troppo! Non solo noi, ma tutta la classe operaia di questo paese deve dire, a un certo punto, che quando è troppo è troppo! (Littlejohn, responsabile della manutenzione nei settori specializzati dello stabilimento Ford di Buffalo, negli Stati Uniti).
Questo operaio americano riassume in una frase ciò che sta maturando nella coscienza di tutta la classe operaia, in tutti i paesi. Un anno fa, la "Estate della collera" è scoppiata nel Regno Unito. Scandendo "Quando è troppo è troppo", i lavoratori britannici hanno segnalato la ripresa della lotta dopo più di trent'anni di apatia e rassegnazione.
Questo appello è stato ascoltato oltre i confini. Dalla Grecia al Messico, contro lo stesso insopportabile deterioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, scioperi e manifestazioni si sono sviluppati tra la fine del 2022 e l'inizio del 2023.
In pieno inverno, in Francia, fu fatto un ulteriore passo: i proletari ripresero l'idea che "a un certo punto, quando è troppo è troppo!" Ma invece di moltiplicare le lotte locali e corporative, isolati gli uni dagli altri, sono stati in grado di riunirsi a milioni nelle strade. Oltre alla necessaria combattività, c'era la forza della massa. E ora è negli Stati Uniti che i lavoratori stanno cercando di portare la fiaccola della lotta un po' più lontano.
Negli Stati Uniti un nuovo passo avanti per la lotta di classe
Un vero e proprio blackout mediatico circonda il movimento sociale che sta attualmente travolgendo la prima potenza economica mondiale. E per una buona ragione: in un paese devastato per decenni dalla povertà, dalla violenza, dalla droga, dal razzismo, dalla paura e dall'individualismo, queste lotte dimostrano che un percorso completamente diverso è possibile.
Al centro di tutti questi scioperi brilla una vera e propria ondata di solidarietà operaia: "Ne abbiamo avuto tutti abbastanza: i lavoratori temporanei ne hanno avuto abbastanza, i dipendenti a lungo termine come me, ne abbiamo avuto abbastanza... perché questi lavoratori temporanei sono i nostri figli, i nostri vicini, i nostri amici" (lo stesso impiegato di New York). È così che i lavoratori stanno insieme, tra generazioni: i "vecchi" non scioperano solo per sé stessi, ma soprattutto per i "giovani" che soffrono condizioni di lavoro ancora peggiori e salari ancora più bassi.
Un senso di solidarietà sta gradualmente crescendo nella classe operaia quando comprendiamo che siamo "tutti nella stessa barca": "Tutti questi gruppi non sono solo movimenti separati, ma un grido di battaglia collettivo: siamo una città di lavoratori – colletti blu e colletti bianchi, sindacalizzati e non sindacalizzati, immigrati e nati qui" (Los Angeles Times).
Gli attuali scioperi negli Stati Uniti coinvolgono molto più dei soli settori che sono stati mobilitati. "Il complesso Stellantis a Toledo, Ohio, era pieno di applausi e clacson all'inizio dello sciopero" (The Wall Street Journal). "I clacson sostengono gli scioperanti fuori dallo stabilimento della casa automobilistica a Wayne, Michigan" (The Guardian).
L'attuale ondata di scioperi ha un significato storico:
Potremmo anche aggiungere i molteplici scioperi delle ultime settimane a Starbucks, Amazon e McDonald's, nelle fabbriche dell'aviazione e delle ferrovie, o quello che si è via via diffuso in tutti gli hotel della California... Tanti lavoratori che lottano per un salario dignitoso, di fronte all'inflazione galoppante che li riduce alla miseria.
Attraverso tutti questi scioperi, il proletariato americano dimostra che è possibile lottare anche per i lavoratori del settore privato. In Europa, finora, sono stati in stragrande maggioranza i dipendenti pubblici a mobilitarsi, la paura di perdere il lavoro è un ostacolo decisivo per i dipendenti delle aziende private. Ma, di fronte a condizioni di sfruttamento sempre più insostenibili, saremo tutti spinti alla lotta. Il futuro appartiene alla lotta di classe in tutti i settori, insieme e uniti!
Di fronte alla divisione, uniamo le nostre lotte!
La rabbia sta aumentando di nuovo in Europa, Asia e persino in Oceania. Anche Cina, Corea e Australia hanno avuto una serie di scioperi da questa estate. In Grecia, alla fine di settembre, un movimento sociale ha riunito i settori dei trasporti, dell'istruzione e della sanità contro una proposta di riforma del lavoro finalizzata a rendere l'occupazione più flessibile. Il 13 ottobre segna il ritorno delle manifestazioni in Francia, sulla questione dei salari. Anche in Spagna comincia a soffiare un vento di rabbia: il 17 e 19 ottobre scioperi nell'istruzione privata; il 24 ottobre, sciopero nella pubblica istruzione; il 25 ottobre, sciopero di tutto il settore pubblico basco; il 28 ottobre, manifestazione dei pensionati, ecc. Di fronte a queste previsioni di lotte, la stampa spagnola ha iniziato ad anticipare "un altro autunno caldo".
Questa lista non indica solo il crescente livello di malcontento e combattività della nostra classe. Rivela anche la più grande debolezza del nostro movimento oggi: nonostante la crescente solidarietà, le nostre lotte rimangono separate l'una dall'altra. I nostri scioperi possono avvenire contemporaneamente, possiamo anche essere fianco a fianco, a volte nelle strade, ma non stiamo davvero combattendo insieme. Non siamo uniti, non siamo organizzati in una sola e medesima forza sociale, in una sola e stessa lotta.
L'attuale ondata di scioperi negli Stati Uniti ne è l'ennesima dimostrazione lampante. Quando il movimento nei "Big Three" è stato lanciato, lo sciopero era limitato a tre stabilimenti "designati": a Wentzville, Missouri per GM, Toledo, Ohio, per Chrysler e Wayne, Michigan, per Ford. Queste tre fabbriche sono separate da diverse migliaia di chilometri, rendendo impossibile per i lavoratori riunirsi e combattere veramente insieme.
Perché questa dispersione? Chi organizza questa frammentazione? Chi controlla ufficialmente questi lavoratori? Chi organizza i movimenti sociali? Chi sono gli "specialisti della lotta", i rappresentanti legali dei lavoratori? I Sindacati! Nei quattro angoli del mondo, li ritroviamo a disperdere la risposta dei lavoratori.
Fu la UAW, uno dei principali sindacati degli Stati Uniti, a "designare" questi tre impianti! È la UAW che, mentre invoca falsamente un movimento "forte, unito e massiccio", limita volontariamente lo sciopero solo al 10% della forza lavoro sindacalizzata, mentre tutti i lavoratori proclamano a gran voce il loro desiderio di arrivare a uno sciopero totale. Quando i lavoratori di Mack Truck (camion Volvo) hanno cercato di unirsi ai "Big Three" nella loro lotta, cosa hanno fatto i sindacati? Si sono affrettati a firmare un accordo per porre fine allo sciopero! A Hollywood, mentre lo sciopero degli attori e degli scrittori andava avanti da mesi, un accordo padroni/sindacato è stato firmato proprio mentre i lavoratori del settore automobilistico si univano al movimento.
Anche in Francia, durante le manifestazioni che riuniscono milioni di persone nelle strade, i sindacati spezzettano i cortei facendo sfilare i "loro" iscritti raggruppati per corporazione, non insieme ma uno dietro l'altro, impedendo qualsiasi assembramento e discussione.
Negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Grecia, in Australia e in tutti i paesi, per fermare questa divisione organizzata, per essere veramente uniti, per essere in grado di riunirci, per sostenerci reciprocamente, per espandere il nostro movimento, dobbiamo strappare il controllo delle lotte dalle mani dei sindacati. Queste sono le nostre lotte, le lotte di tutta la classe operaia!
Ovunque possiamo, dobbiamo riunirci in assemblee generali aperte e di massa, autonome, che decidano realmente la direzione del movimento. Assemblee generali in cui discutiamo il più ampiamente possibile le esigenze generali della lotta, sulle ipotesi più unificanti. Assemblee generali dalle quali possiamo andare in delegazioni di massa per incontrare i nostri fratelli di classe, gli operai della fabbrica, dell'ospedale, della scuola, dell'amministrazione più vicina a noi.
Dietro ogni sciopero si profila l'idra della rivoluzione
Di fronte all'impoverimento, di fronte al riscaldamento globale, di fronte alla violenza della polizia, di fronte al razzismo, di fronte alla violenza contro le donne... negli ultimi anni, ci sono stati altri tipi di reazioni: le manifestazioni dei "gilet gialli" in Francia, raduni ecologisti come "Youth for climate", proteste per l'uguaglianza come "Black Lives Matter" o "MeToo", o grida di rabbia come durante le rivolte negli Stati Uniti, in Francia o nel Regno Unito.
Tuttavia, tutte queste azioni puntano a imporre un capitalismo più giusto, più equo, più umano e più verde. Ecco perché tutte queste reazioni sono così facilmente recuperate dagli Stati e dalle borghesie, che non esitano a sostenere tutti i "movimenti dei cittadini". Inoltre, i sindacati e tutti i politici stanno facendo tutto il possibile per limitare le richieste dei lavoratori al rigido quadro del capitalismo, avanzando la necessità di una migliore distribuzione della ricchezza tra datori di lavoro e dipendenti. "Ora che l'industria si sta riprendendo, [i lavoratori] dovrebbero condividere i profitti", ha detto Biden, il primo presidente degli Stati Uniti a presentarsi ai picchetti di sciopero.
Ma nella lotta contro gli effetti della crisi economica, contro gli attacchi orchestrati dagli Stati, contro i sacrifici imposti dallo sviluppo dell'economia di guerra, il proletariato si erge, non come cittadino che chiede "diritti" e "giustizia", ma come sfruttato contro i suoi sfruttatori e, alla fine, come classe contro il sistema stesso. Ecco perché la dinamica internazionale della lotta della classe operaia porta in sé il germe di una messa in discussione fondamentale di tutto il capitalismo.
In Grecia, nella giornata di azione del 21 settembre contro la riforma del lavoro, i manifestanti hanno collegato questo attacco ai disastri "naturali" che hanno devastato il paese quest'estate. Da un lato, il capitalismo distrugge il pianeta, inquina, aggrava il riscaldamento globale ancora e ancora, deforesta, cemento, prosciuga la terra, genera inondazioni e incendi. D'altra parte, ha eliminato i lavori che in precedenza avevano mantenuto la natura e protetto le persone, e ha preferito costruire aerei da guerra piuttosto che Canadair.
Al di là della lotta contro il deterioramento delle sue condizioni di vita e di lavoro, la classe operaia sta conducendo una riflessione molto più ampia su questo sistema e sul suo futuro. Qualche mese fa, nelle manifestazioni in Francia, abbiamo cominciato a leggere su alcuni cartelli il rifiuto della guerra in Ucraina, il rifiuto di stringere la cinghia in nome di questa economia di guerra: "Niente soldi per la guerra, niente soldi per le armi, soldi per i salari, soldi per le pensioni".
Crisi economica, crisi ecologica, barbarie bellicosa... Questi sono tutti sintomi delle dinamiche mortali del capitalismo globale. Il diluvio di bombe e proiettili che sta cadendo sulle popolazioni di Israele e Gaza, anche mentre scriviamo queste righe, mentre i massacri in Ucraina continuano, è l'ennesima illustrazione di questa spirale infernale in cui il capitalismo sta affondando la società e minacciando la vita di tutta l'umanità!
Attraverso il crescente numero di scioperi, vediamo che si stanno confrontando due mondi: quello della borghesia fatta di concorrenza e barbarie, e quello della classe operaia intrisa di solidarietà e di speranza. Questo è il senso profondo delle nostre lotte attuali e future: la promessa di un altro futuro, senza sfruttamento o classe sociale, senza guerra né confini, senza distruzione del pianeta o ricerca del profitto.
Corrente Comunista Internazionale, 8 ottobre 2023
La Tendenza Comunista Internazionalista (TCI) ha recentemente pubblicato una dichiarazione sulla propria esperienza con i comitati No War But the Class War (NWBCW), lanciati all’inizio della guerra in Ucraina[1]. Come loro affermano, “Non c'è niente di meglio di una guerra imperialista per rivelare la reale base di classe di uno scenario politico, e l'invasione dell'Ucraina lo ha certamente fatto”, spiegando che gli stalinisti e i trotskisti hanno dimostrato ancora una volta di appartenere al campo del capitale. Questi infatti, sia sostenendo l’indipendenza dell’Ucraina, che appoggiando la propaganda russa sulla “de-nazificazione” dell'Ucraina, chiamano apertamente la classe operaia a sostenere l’una o l’altra parte in una guerra capitalista che esprime l’acuirsi delle rivalità tra i più grandi squali imperialisti del pianeta e che minaccia conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. La TCI osserva inoltre che il movimento anarchico si è profondamente diviso tra coloro che chiedono la difesa dell’Ucraina e coloro che hanno mantenuto una posizione internazionalista di rifiuto di entrambi i campi. In contrasto con ciò, la TCI afferma che “La sinistra comunista di tutto il mondo è rimasta solidamente al fianco degli interessi internazionali della classe lavoratrice e ha denunciato questa guerra per quello che è”.
Fin qui tutto bene. Ma dissentiamo profondamente quando sostiene che “Da parte nostra, la TCI ha portato avanti la posizione internazionalista cercando di collaborare con altri internazionalisti che vedono i pericoli per la classe operaia mondiale, se non si organizza. Per questo abbiamo aderito all'iniziativa di sviluppare comitati a livello locale in tutto il mondo per organizzare una risposta a ciò che il capitalismo sta preparando per la classe lavoratrice di tutto il mondo”.
La necessità della polemica
A nostro avviso, l’appello della TCI alla formazione di comitati No War But the Class War è tutt’altro che un “passo avanti” nell’internazionalismo o un passo verso un solido raggruppamento di forze comuniste internazionaliste. Abbiamo già scritto diversi articoli per spiegare il nostro punto di vista su questo tema, ma la TCI non ha risposto a nessuno di questi, un atteggiamento che la TCI giustifica nella dichiarazione affermando di non volersi impegnare nella “solita vecchia polemica” con coloro che, a loro avviso, hanno frainteso le loro posizioni. Ma la tradizione della sinistra comunista, ereditata da Marx e Lenin e portata avanti nelle pagine di Bilan, è quella di riconoscere che la polemica tra elementi proletari è indispensabile per qualsiasi processo di chiarificazione politica. E in effetti, la dichiarazione della TCI è davvero una polemica nascosta, principalmente nei confronti della CCI. Ma per la loro stessa natura, tali polemiche nascoste, che evitano di riferirsi a organizzazioni specifiche e alle loro dichiarazioni scritte, non possono mai portare a un vero e onesto confronto di posizioni.
Nella sua dichiarazione su NWBCW, la TCI sostiene che la sua iniziativa è in continuità con l’approccio della corrente di sinistra nel processo avviato dalla conferenza di Zimmerwald del 1915, avendo già fatto un’affermazione simile nell’articolo “NWBCW e il “Vero Ufficio Internazionale” del 1915 [62]”: “Noi riteniamo che l’iniziativa di NWBCW sia conforme ai principi della Sinistra di Zimmerwald”.[2]
Ma l’attività della Sinistra di Zimmerwald, e soprattutto di Lenin, fu caratterizzata da un’incessante polemica volta alla decantazione delle forze rivoluzionarie. Zimmerwald mise assieme diverse tendenze del movimento operaio in opposizione alla guerra, e si manifestarono notevoli divergenze su una serie di questioni; la sinistra era pienamente consapevole che una posizione comune contro la guerra, come quella espressa nel Manifesto di Zimmerwald, non era sufficiente. Per questo motivo, la Sinistra di Zimmerwald non nascose le sue divergenze con le altre correnti alle conferenze di Zimmerwald e Kienthal, ma criticò apertamente queste correnti per la loro mancanza di coerenza nella lotta contro la guerra imperialista. In questo dibattito e attraverso di esso, Lenin e i suoi compagni forgiarono un nucleo che sarebbe diventato l'embrione dell’Internazionale Comunista.
Le nostre precedenti critiche all’iniziativa NWBCW
Come i lettori possono vedere dalla pubblicazione della nostra corrispondenza con la TCI in merito al nostro appello per una dichiarazione congiunta della sinistra comunista in risposta alla guerra in Ucraina, il rifiuto della TCI di firmare tale appello e la sua promozione di NWBCW come una sorta di progetto “rivale” hanno gravemente indebolito la capacità della sinistra comunista di agire assieme in questo momento cruciale. Ha vanificato la possibilità di riunire le sue forze per la prima volta dopo la rottura delle conferenze internazionali della sinistra comunista all’inizio degli anni Ottanta. La TCI ha scelto di interrompere questa corrispondenza[3].
Abbiamo anche pubblicato un articolo che traccia la storia reale di NWBCW nell’ambiente anarchico degli anni Novanta[4]. Questi gruppi manifestavano confusioni di ogni tipo, ma a nostro avviso esprimevano qualcosa di reale: la risposta di una piccola minoranza critica alle massicce mobilitazioni contro le guerre in Medio Oriente e nei Balcani, mobilitazioni che si muovevano su un terreno chiaramente gauchiste e pacifista. Per questo motivo, abbiamo ritenuto importante che la sinistra comunista intervenisse nei confronti di queste formazioni per difendere al loro interno chiare posizioni internazionaliste. Al contrario, le mobilitazioni pacifiste in risposta alla guerra in Ucraina sono molto poche e l’ambiente anarchico, come abbiamo già notato, è profondamente diviso sulla questione. Pertanto, nei vari gruppi NWBCW vediamo ben poco che ci abbia fatto mettere in discussione la nostra conclusione dell’articolo: “L’impressione che ricaviamo dai gruppi di cui sappiamo qualcosa è che si tratti principalmente di “duplicati” della TCI o dei suoi affiliati”. A nostro avviso, questa duplicazione rivela alcuni seri disaccordi sia sulla funzione che sul modo di operare dell’organizzazione politica rivoluzionaria nel suo rapporto con le minoranze che si collocano su un terreno proletario e con la classe nel suo complesso. Questo disaccordo risale all’intero dibattito sui gruppi di fabbrica e sui gruppi di lotta, ma non è il momento di svilupparlo in questo articolo[5].
Più importante - ma anche legata alla questione della differenza tra il prodotto del movimento reale e le invenzioni artificiali delle minoranze politiche - è l’insistenza del nostro articolo sul fatto che l’iniziativa di NWBCW si basa su una valutazione sbagliata della dinamica della lotta di classe oggi. Nelle condizioni attuali, non possiamo aspettarci che si sviluppi un movimento di classe direttamente contro la guerra, ma contro l’impatto della crisi economica – un’analisi che riteniamo sia stata ampiamente verificata dalla ripresa internazionale delle lotte innescata dal movimento di sciopero in Gran Bretagna nell’estate del 2022 e che, con inevitabili alti e bassi, non si è ancora esaurita. Questo movimento è stato una risposta diretta alla “crisi del costo della vita” e, pur contenendo i semi di una più profonda e diffusa messa in discussione dell’impasse del sistema e della sua spinta verso la guerra, siamo ancora molto lontani da questo punto. L’idea che i comitati NWBCW possano essere in qualche modo il punto di partenza per una risposta di classe diretta alla guerra può solo portare a una lettura errata della dinamica delle lotte attuali. Essa apre la porta a una politica attivista che, a sua volta, non sarà in grado di distinguersi dalle posizioni del “fare qualcosa ora” della sinistra del capitale. La dichiarazione della TCI insiste sul fatto che la sua iniziativa è innanzitutto politica e che si oppone all’attivismo e all’immediatismo, e sostiene che la direzione apertamente attivista presa dai gruppi NWBCW di Portland e Roma si basa su un malinteso sulla reale natura dell'iniziativa. Secondo la dichiarazione, “coloro che hanno aderito alla NWBCW senza capire di cosa si trattasse realmente, o meglio, che l'hanno vista come l'estensione della loro precedente attività di radical-riformismo. Questo è accaduto sia a Portland che a Roma, dove alcuni elementi pensavano che NWBCW fosse qualcosa per mobilitare immediatamente una classe che si sta ancora riprendendo da quattro decenni di arretramento e che sta appena ricominciando a muoversi nella lotta contro l'inflazione. La loro prospettiva immediatista e ultra-attivista ha portato solo alla scomparsa di questi comitati”. Per noi, al contrario, questi gruppi locali hanno capito meglio della TCI che un’iniziativa lanciata in assenza di un vero movimento contro la guerra - anche tra piccole minoranze - non può che fallire nel tentativo di creare un movimento dal nulla.
Un nuovo “fronte unico”?
Abbiamo detto che la Frazione Italiana della Sinistra Comunista, che pubblicava Bilan, insisteva sulla necessità di un rigoroso dibattito pubblico tra le organizzazioni politiche proletarie. Questo era un aspetto centrale del loro approccio di principio nei confronti dei raggruppamenti, opponendosi in particolare agli sforzi opportunistici dei trotskisti e degli ex trotskisti dell’epoca di ricorrere a fusioni e raggruppamenti che non si basavano su un serio dibattito sui principi fondamentali. A nostro avviso, l’iniziativa NWBCW si basa su una sorta di logica “frontista” che può solo portare ad alleanze senza principi e persino distruttive.
La dichiarazione ammette che alcuni gruppi chiaramente gauchiste hanno utilizzato lo slogan “No alla guerra se non guerra di classe” per nascondere il loro sostegno sostanziale a una parte o all’altra del conflitto. La TCI insiste sul fatto che non può impedire queste operazioni di appropriazione indebita della loro bandiera. Ma se si legge il nostro articolo sulla riunione di apertura del comitato NWBCW di Parigi[6], si scopre non solo che una parte considerevole dei partecipanti sosteneva “azioni” apertamente gauchiste sotto la bandiera di NWBCW, ma ancora che un gruppo trotskista che difende il diritto dell’Ucraina all’autodeterminazione, Matière et Révolution, era stato effettivamente invitato alla riunione. Allo stesso modo, il gruppo NWBCW di Roma sembra essere basato su un’alleanza tra la componente italiana della TCI, che pubblica Battaglia Comunista, e un gruppo puramente gauchiste[7].
Dobbiamo aggiungere che il presidium della riunione di Parigi era composta da due elementi che sono stati espulsi dalla CCI nei primi anni 2000 per aver pubblicato materiale che esponeva i nostri compagni alla repressione di Stato – un’attività che abbiamo denunciato come spionaggio. Uno di questi elementi è membro del Gruppo Internazionale della Sinistra Comunista, GISC, un gruppo che non solo è una tipica espressione di parassitismo politico, ma che è stato fondato sulla base di questo comportamento poliziesco e che quindi non dovrebbe trovare posto nel campo comunista internazionalista. L’altro elemento è attualmente rappresentante della TCI in Francia. Quando la TCI ha rifiutato di firmare la dichiarazione congiunta, ha sostenuto che la definizione di sinistra comunista che ne risultava era troppo ristretta, soprattutto perché escludeva gruppi definiti dalla CCI come parassiti. In realtà, si è dimostrato molto chiaramente che la TCI preferisce essere pubblicamente associata a gruppi parassitari come il GISC piuttosto che alla CCI e che la sua attuale politica, attraverso i comitati NWBCW, non può avere altro risultato se non quello di dare a questi gruppi un certificato di rispettabilità e di rafforzare il loro sforzo di lunga data per rendere la CCI un paria - proprio a causa della difesa di quest’ultima di chiari principi di comportamento che hanno ripetutamente violato.
In alcuni casi, come a Glasgow, i gruppi NWBCW sembrano essersi basati su alleanze temporanee con gruppi anarchici come l’Anarchist Communist Group, ACG, che hanno assunto posizioni internazionaliste sulla guerra in Ucraina, ma che sono legati a gruppi che si trovano su un terreno borghese (ad esempio Plan C nel Regno Unito). E di recente l’ACG ha dimostrato di preferire associarsi a questi gruppi gauchiste piuttosto che discutere con un’organizzazione internazionalista come la CCI, che ha escluso da un recente incontro a Londra senza suscitare alcuna protesta da parte della CWO[8]. Questo non significa che noi non vogliamo discutere con anarchici genuinamente internazionalisti, e nel caso del KRAS in Russia, che ha una comprovata esperienza di opposizione alle guerre imperialiste, abbiamo anche chiesto di sostenere la dichiarazione congiunta nella forma in cui potevano. Ma la vicenda dell’ACG è un altro esempio di come l’iniziativa di NWBCW ricordi la politica opportunista del fronte unico, in cui l’Internazionale Comunista esprimeva la propria disponibilità a lavorare con i traditori della socialdemocrazia. Questa era intesa come una tattica per rafforzare l’influenza comunista nella classe operaia, ma il suo vero risultato fu quello di accelerare la degenerazione dell’IC e dei suoi partiti.
La Sinistra Comunista Italiana fu, nei primi anni ‘20, un’aspra critica di questa politica opportunista dell’IC. Essa continuò ad aderire alla posizione originaria dell’IC, secondo cui i partiti socialdemocratici, avendo sostenuto la guerra imperialista ed essendosi opposti attivamente alla rivoluzione proletaria, erano diventati partiti del capitale. È vero che la loro critica alla tattica del fronte unico manteneva un’ambiguità: l’idea del “fronte unico dal basso”, basata sul presupposto che i sindacati fossero ancora organizzazioni proletarie e che fosse possibile a questo livello che i lavoratori comunisti e socialdemocratici potessero lottare insieme.
Nella conclusione della dichiarazione sui NWBCW, la TCI afferma che esiste un precedente storico per i comitati NWBCW nel movimento rivoluzionario: l’appello Per la creazione del fronte unico proletario contro la guerra [63] lanciato dal Partito Comunista Internazionalista (PCInt) in Italia nel 1944. Questo appello ha un contenuto fondamentalmente internazionalista, ma c’è da chiedersi perché parla di “fronte unico proletario”? E cosa si intende con la seguente richiesta:
“L'ora presente impone la formazione di un fronte unico operaio, l'unione cioè di tutti coloro che non vogliono la guerra, sia essa fascista o democratica.
Operai di tutte le formazioni politiche proletarie e senza partito! Unitevi ai nostri operai, discutete insieme problemi di classe al lume degli avvenimenti della guerra e formate di comune accordo in ogni fabbrica, in ogni centro, comitati di fronte unico capaci di riportare la lotta del proletariato al suo vero terreno di classe”.
Quali erano queste “formazioni politiche proletarie”? Si trattava forse di un appello alle file degli ex partiti operai a impegnarsi in un'attività politica comune con i militanti del PCInt?
Che non fosse una semplice imprecisione dell’appello del 1944 lo dimostrò, solo un anno dopo, l’“Appello” del Comitato di Agitazione del PCInt rivolto esplicitamente ai Comitati di Agitazione del Partito Socialista Italiano di unità proletaria, del Partito Comunista Italiano (stalinista), e di altre organizzazioni della sinistra borghese, chiamando ad un’azione comune nelle fabbriche. Ne abbiamo pubblicato un resoconto nella Rivista Internazionale n°7 del novembre 1983. Nella stessa Rivista abbiamo pubblicato anche una lettera del PCInt/Battaglia Comunista che rispondeva alle nostre critiche all’Appello. In questa lettera Battaglia Comunista scriveva:
“Il documento ‘Appello del Comitato di Agitazione del PCInt’, contenuto nel n.1 di Prometeo aprile ’45 fu un errore? Concesso. Fu l’ultimo tentativo della Sinistra Italiana di applicare la tattica del ‘fronte unico dal basso’ preconizzata dal PCd’I in polemica con l’Internazionale negli anni ‘21-‘23. Come tale noi lo cataloghiamo fra i ‘peccati veniali' perché i nostri compagni seppero mondarsene definitivamente, sul piano sia politico che teorico con una chiarezza che oggi ci rende sicuri di fronte a chiunque”.
Al che abbiamo risposto:
“Se un’offerta di fronte unico ai macellai stalinisti e socialdemocratici è un semplice peccato veniale, per poter parlare esplicitamente di sbandate che cosa avrebbe dovuto fare il PCInt nel ’45? Entrare nel governo? Ma Battaglia ci rassicura: i propri errori se li è rivisti da un bel pezzo, senza aspettare la CCI, e quindi non ha mai avuto motivo di nasconderli. Può essere. Ma quando nel 1977 abbiamo per la prima volta accennato sulla nostra stampa alle sbandate collezionate dal PCInt nell’immediato dopoguerra, Battaglia replicò con una lettera indignata in cui ammetteva le sbandate, ma sosteneva che erano responsabilità esclusiva dei compagni poi usciti nel ‘52 a costituire Programma Comunista”.
La continua difesa da parte della TCI dell’appello del 1944 per un Fronte Proletario Unito dimostra che questo profondo errore non è stato “eliminato sia politicamente che teoricamente” E la tattica del “fronte unico dal basso” del 1921-23 è ancora l'ispirazione per il “movimento” opportunista della TCI “No War but the Class War”.
La TCI ha quindi ragione su un punto a proposito di No War But the Class War: questa iniziativa è effettivamente in continuità con l'appello opportunista per un “fronte unico proletario” del PCint nel 1944. Ma non è una continuità di cui andare fieri, poiché questa tattica mette fortemente in ombra la linea di classe che esiste tra l’internazionalismo della sinistra comunista e il preteso internazionalismo del gauchisme, del parassitismo e della palude anarchica. Inoltre, NWBCW voleva essere un’alternativa esclusiva all’internazionalismo intransigente della Dichiarazione Congiunta della Sinistra Comunista, indebolendo così le forze rivoluzionarie non solo con l’opportunismo verso il gauchisme, ecc. ma anche con il settarismo verso altri gruppi autentici della Sinistra Comunista.
Amos
[1] Sull'iniziativa NWBCW (No War but the Class War): cos'è e cosa non è [64], 8 luglio 2023, Revolutionary Perspectives n.22.
[2] https://www.leftcom.org/it/articles/2022-07-27/nwbcw-e-il-%E2%80%9Cvero-ufficio-internazionale%E2%80%9D-del-1915 [62]
[3] Corrispondenza sulla Dichiarazione congiunta dei gruppi della Sinistra comunista sulla guerra in Ucraina [65].
[5] Vedi ad esempio Risposta a Battaglia Comunista, in Rivoluzione Internazionale n°11, dicembre 1977; The organisation of the proletariat outside periods of open struggle (workers' groups, nuclei, circles, committees) International Communist Current (internationalism.org) [67] in International Review 21; World Revolution 26, “Factory Groups and ICC intervention”.
[7] La dichiarazione contiene un link a un articolo di Battaglia Comunista sul destino del comitato di Roma the fate of the Rome committee, Sul Comitato di Roma NWBCW: un'intervista [68]. L’articolo descrive l’esito negativo dell’alleanza con un gruppo chiamato Società Incivile. Esso è scritto in un modo così oscuro che è molto difficile trarne qualcosa. Ma se si guarda al sito web di questo gruppo, sembra che si tratti di un gruppo del tutto gauchiste, che inneggia ai partigiani antifascisti e al defunto Partito Comunista Italiano stalinista. Si veda ad esempio: https://www.sitocomunista.it/canti/cantidilotta.html [69]; www.sitocomunista.it/resistence/resistenceindex.html; [70](https://www.sitocomunista.it/pci/pci.html [71]).
[8] ACG bans the ICC from its public meetings, CWO betrays solidarity between revolutionary organisations [72], World Revolution 397.
Dopo più di 30 anni di silenzio quasi completo, i lavoratori in Gran Bretagna sono tornati a lottare dall'estate del 2022 seguiti da quelli di altri paesi dell'Europa occidentale, manifestando così una rottura, un cambiamento nelle dinamiche della classe operaia su scala internazionale. Ciò dimostra che il proletariato non è stato sconfitto come classe storica e che sta ricominciando ad avanzare per lottare contro la miseria che si sviluppa ogni giorno di più, contro le condizioni disumane in cui sopravvivono tutti gli sfruttati del mondo.
Anche la classe operaia negli Stati Uniti è soggetta a condizioni di vita e di lavoro sempre peggiori, con aumenti del carico di lavoro e diminuzione del potere d'acquisto.
Moltiplicazione degli scioperi
Di fronte al peggioramento delle sue condizioni di lavoro e di vita, anche il proletariato negli Stati Uniti ha dimostrato di non essere disposto a portare sulle sue spalle un peso maggiore imposto dalla crisi economica. Già nel 2021 ci sono state un gran numero di lotte in quello che è stato chiamato Striketober (“L’ottobre degli scioperi")[1]; Sono stati documentati 346 scioperi che hanno coinvolto lavoratori di vari settori, in particolare della sanità, con la richiesta di salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Ad ottobre erano già circa 4,3 milioni i lavoratori mobilitati. Queste lotte sono continuate nel 2022, parallelamente alla ripresa delle lotte in Europa: sono stati registrati 385 scioperi che hanno continuato ad aumentare, concentrandosi di nuovo in ottobre, un mese prima delle elezioni di medio termine.
Nel settore sanitario, l'entità delle mobilitazioni ha raggiunto cifre storiche
Alcuni degli scioperi più importanti del 2022 si sono svolti nel settore sanitario, con richieste comuni contro un ulteriore sfruttamento: aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro e un aumento del numero di dipendenti (un singolo lavoratore fa oggi il lavoro che prima veniva fatto da 8-12 lavoratori, con l’obbligo degli straordinari), e la denuncia dei rischi per pazienti e personale, in particolare quelli legati alla pandemia. Solo per fare un esempio, più di 55.000 lavoratori dei servizi sociali a Los Angeles hanno votato per scioperare il 6 maggio e 15.000 infermieri in Minnesota e Wisconsin dal 12 al 15 settembre hanno fatto quello che è considerato il più grande sciopero degli infermieri del settore privato.
Le mobilitazioni in questo settore sono continuate, con richieste simili, nel gennaio 2023 guidate da oltre 17.000 infermieri, tra cui 7.000 dagli ospedali di Manhattan e del Bronx di New York che hanno scioperato rifiutando l'aumento offerto dai datori di lavoro che non si rendono conto del fatto che, come recitano i loro striscioni: "I lavoratori sono esausti ed esauriti". Il fatto che i sindacati abbiano impedito agli infermieri degli altri ospedali di sostenerli ha indebolito lo sciopero dal 9 al 12 gennaio, quindi alla fine hanno dovuto accettare lo stesso aumento concesso negli altri ospedali, che non era all'altezza delle loro richieste.
L'appello allo sciopero nelle ferrovie minacciava di paralizzare l'attività economica negli Stati Uniti
Molto importante è stata la proclamazione di uno sciopero alle ferrovie in quanto minacciava di diffondersi in tutto il paese colpendo gravemente le catene di produzione e l'economia nazionale a meno di due mesi dalle elezioni di medio termine. Più di 115.000 ferrovieri di varie aziende hanno indetto lo sciopero il 16 settembre 2022.
Le cattive condizioni di lavoro in questo settore sono peggiorate perché le principali ferrovie hanno ridotto di quasi un terzo la loro forza lavoro; circa 45.000 lavoratori sono stati licenziati negli ultimi sei anni. Hanno anche tagliato in modo consistenti i costi con meno treni, ma più lunghi e diminuendo anche il numero di lavoratori a bordo; soprattutto macchinisti e autisti lavorano fino a 24 ore continue e difficilmente possono prendere tempo libero a causa delle rigide regole di orario di lavoro, che impediscono loro anche di partecipare agli appuntamenti medici o assentarsi per problemi familiari perché i loro salari subirebbero tagli sostanziali. Il deragliamento del treno in Ohio, il 3 febbraio, che ha causato la combustione di grandi quantità di cloruro di vinile, elemento altamente tossico e cancerogeno, mettendo a rischio migliaia di persone e la vita dei ferrovieri, dimostra l'irresponsabilità omicida delle compagnie ferroviarie che per ottenere maggiori profitti aumentano la lunghezza e il carico dei treni.
La minaccia di sciopero è arrivata dopo 3 anni di conflitto e quando le aziende stanno realizzando profitti record grazie all'imposizione di condizioni di lavoro che spingono i lavoratori a licenziarsi.[2] I sindacati si sono schierati con la Casa Bianca quando questa ha affermato che "Queste tensioni devono essere risolte senza mettere a repentaglio l'economia o minare il sostegno dei democratici tra i lavoratori". Il presidente Biden aveva già evitato lo sciopero a luglio, imponendo un "periodo di riflessione", scaduto il 9 settembre senza che i lavoratori cambiassero posizione. Pertanto, nei negoziati del 15 settembre, Biden è nuovamente intervenuto formando un "Consiglio presidenziale di emergenza" e ricattando i lavoratori per raggiungere un accordo ed evitare il presunto danno che uno sciopero avrebbe causato a tutti. Con questo, i sindacati sono riusciti a ritardare lo scoppio dello sciopero dando tempo alla Camera dei rappresentanti e al Senato degli Stati Uniti, democratici e repubblicani uniti, di emanare una legge in due giorni, firmata il 30 novembre, per evitare la paralisi della rete ferroviaria da parte dello sciopero. Cioè, non è stato solo l'intervento del democratico Biden, ma soprattutto le azioni di sabotaggio della lotta e di sottomissione dei lavoratori da parte dei sindacati, che hanno fatto peggiorare le terribili condizioni di vita e di lavoro dei ferrovieri.
Di fronte agli attacchi dei padroni, del governo e dei sindacati, l'unità delle lotte
È necessario trarre le lezioni di queste lotte e di quelle passate per applicarle in altre mobilitazioni perché il malcontento continua ad aumentare in diversi settori come quello dei lavoratori dell'istruzione. Il 14 novembre 2022, quasi 48.000 professori hanno iniziato quello che è stato definito "il più grande sciopero accademico negli Stati Uniti" interrompendo le loro attività per cinque settimane per chiedere un aumento dei salari e migliori condizioni di lavoro presso l'Università della California, una delle più importanti scuole pubbliche degli Stati Uniti, che ospita 280.000 studenti provenienti da tutto il mondo. Lo sciopero è stato indetto da professori assistenti, dottorandi e ricercatori. Ricercatori e accademici post-dottorato avevano raggiunto un accordo provvisorio all'inizio di dicembre che migliorava il valore dei loro contratti, ma entrambi i gruppi hanno deciso di continuare lo sciopero fino a quando non ci fosse stata una soluzione per i professori assistenti, il gruppo più vulnerabile e su cui gravava il maggior carico di lavoro. Questa dimostrazione di solidarietà tra i lavoratori è una lezione importante che i lavoratori di tutto il mondo devono raccogliere.
Pochi mesi dopo, circa 65.000 lavoratori della scuola e insegnanti delle scuole pubbliche hanno organizzato il più grande sciopero negli Stati Uniti dal 2019. Decine di migliaia di lavoratori si sono uniti ai picchetti e a una manifestazione di massa il 21 marzo 2023, il primo di tre giorni di sciopero esteso in tutta la città di Los Angeles. I lavoratori che servono 420.000 studenti di istruzione di base e speciale hanno anche chiesto aumenti salariali e di personale per ridurre i carichi di lavoro. Lo sciopero è stato avviato dai lavoratori meno pagati (lavoratori della mensa, impiegati, autisti, bidelli, assistenti di sostegno). A loro si sono uniti migliaia di insegnanti, un'importante dimostrazione di solidarietà e unità verso la quale devono essere dirette le lotte.
Nella stessa dinamica e per la prima volta nei 257 anni di vita della Rutgers University, circa 9.000 lavoratori, al servizio di 67.000 studenti, hanno scioperato il 10 aprile. Educatori, ricercatori, medici e studenti laureati nei campus di New Brunswick, Newark e Camden chiedono stipendi più alti, parità di retribuzione per i professori a contratto, nonché il rifiuto dei contratti per un solo semestre. In una e-mail, i lavoratori dicono: "Siamo commossi e motivati dall'enorme spettacolo di azione e sostegno da parte di membri, studenti, collaboratori e partner nella comunità. INSIEME SIAMO FORTI E VINCEREMO! Contratto equo ora! Sciopero!".
Gli scioperi continuano a verificarsi. Circa 11.500 autori cinematografici e televisivi degli studi di Hollywood hanno iniziato, il 1° maggio, il loro primo sciopero in 16 anni per chiedere aumenti salariali, la creazione di un piano pensionistico e un'assicurazione sanitaria. A loro si aggiungono 160.000 attori, che hanno dichiarato lo sciopero giovedì 13 giugno 2023, che non si mobilitavano dal 1980 e si sono uniti anche gli sceneggiatori come non accadeva da più di 60 anni[3].
Sempre per aumentare i salari e migliorare le condizioni di lavoro, circa 600 autisti di autobus del Metropolitan Transit System hanno iniziato uno sciopero e manifestazioni all'inizio di maggio che hanno interessato diverse rotte in tutta la contea di San Diego. Il 2 giugno, 15.000 lavoratori di 41 hotel nel sud della California e in Arizona hanno iniziato uno sciopero di 3 giorni e minacciano altre giornate di azione a sostegno delle loro richieste. Separatamente, circa 459.000 lavoratori di UPS (consegna pacchi) si stanno preparando per un possibile sciopero il 1° agosto.
È essenziale riprendere le lezioni derivanti da altre lotte in tutto il mondo
Il proletariato deve avanzare verso la sua unità e lo sviluppo della sua coscienza che lo metta in grado di porre la necessità del rovesciamento del sistema capitalista e della costruzione di una comunità mondiale senza frontiere o altre divisioni, il comunismo.
La crisi economica continuerà a spingere i lavoratori di tutto il mondo a reagire e in questo processo, come abbiamo visto nelle lotte negli Stati Uniti, i sindacati sono il nemico immediato da affrontare. La combattività che la classe operaia mostra oggi nell'America del Nord ci mostra che sta avanzando nel riconoscimento della sua condizione di classe sfruttata, ma ha bisogno di unificare le sue lotte e recuperare le esperienze passate e quelle che emergono dalle mobilitazioni per il proletariato in Europa.
Le recenti lotte in Gran Bretagna e Francia ci hanno ricordato che:
"Essere molti non è abbastanza, dobbiamo prendere il controllo delle nostre lotte nelle nostre mani"; "Per prepararci a combattere, dobbiamo, ogni volta che possiamo, riunirci per discutere e imparare dalle lotte passate. È vitale riprendere i metodi di lotta che hanno reso forte la classe operaia e le hanno permesso, in certi momenti della sua storia, di scuotere la borghesia e il suo sistema:
- la ricerca di sostegno e solidarietà al di là della "propria" impresa, del "proprio" settore di attività, della "propria" città, della "propria" regione, del "proprio" paese;
- il dibattito più ampio possibile sulle necessità della lotta, qualunque sia l'impresa, il settore di attività o il paese;
- l'organizzazione autonoma della lotta, in particolare attraverso assemblee generali, senza lasciare il controllo ai sindacati o a qualsiasi altro organo di controllo borghese. L'autonomia della lotta, l'unità e la solidarietà sono gli elementi indispensabili nella preparazione delle lotte di domani![4]".
Dobbiamo andare verso il recupero e l'attuazione di tutte queste lezioni; questo è Il compito fondamentale che abbiamo in questo momento per poterci opporre alla continuazione della distruzione capitalista.
Yosjaz, 28/07/2023
[1] https://it.internationalism.org/content/1645/lotte-negli-stati-uniti-iran-italia-corea-ne-la-pandemia-ne-la-crisi-economica-hanno [76]
[2] Lo sciopero ferroviario indetto negli Stati Uniti preoccupa il paese a causa della mancanza di accordi concreti per annullarlo (notimerica.com) [77]
Abbasso i massacri, nessun sostegno a nessun campo imperialista!
Nessuna illusione pacifista
Internazionalismo proletario!
L’attuale bagno di sangue imperialista in Medio Oriente è solo l’ultimo di oltre un secolo di guerra quasi permanente che ha caratterizzato il capitalismo mondiale dal 1914.
I massacri di milioni di civili inermi, i genocidi, la riduzione in macerie di città e persino di interi paesi, non hanno portato a nulla se non alla promessa di ulteriori e peggiori atrocità.
Le giustificazioni o le “soluzioni” proposte dalle diverse potenze imperialiste, grandi o piccole che siano, all’attuale carneficina, come a tutte quelle che l’hanno preceduta, sono un gigantesco inganno per pacificare, dividere e preparare la classe lavoratrice sfruttata al massacro fratricida per conto di una borghesia nazionale contro un’altra.
Oggi un diluvio di fuoco e acciaio si abbatte sulle popolazioni di Israele e Gaza. Da una parte, Hamas. Dall’altra, l’esercito israeliano. In mezzo, i lavoratori bombardati, fucilati, giustiziati e presi in ostaggio. Migliaia di persone sono già morte.
In tutto il mondo, la borghesia ci invita a scegliere da che parte stare. Per la resistenza palestinese all’oppressione israeliana. O per la risposta israeliana al terrorismo palestinese. Ognuno denuncia la barbarie dell’altro per giustificare la guerra. Lo Stato israeliano opprime il popolo palestinese da decenni, con controlli, vessazioni, posti di blocco e umiliazioni. Le organizzazioni palestinesi hanno ucciso persone innocenti con pugnalate e bombardamenti. Ciascuna parte chiede che venga versato il sangue dell’altra.
Questa logica mortale è la logica della guerra imperialista! Sono i nostri sfruttatori e i loro Stati a condurre una guerra spietata in difesa dei propri interessi. E siamo noi, la classe operaia, gli sfruttati, a pagarne sempre il prezzo, con le nostre vite.
Per noi proletari non c’è nessun campo da scegliere, noi non abbiamo patria, non abbiamo nazione da difendere! Da qualsiasi lato delle frontiere noi siamo fratelli di classe! Né Israele né Palestina!
Solo il proletariato internazionale unito può porre fine a questi crescenti massacri e agli interessi imperialisti che vi si celano dietro. Questa soluzione unica, internazionalista, preparata da un manipolo di comunisti della Sinistra di Zimmerwald, è stata convalidata nell'ottobre 1917, quando la lotta rivoluzionaria della classe operaia ha rovesciato il regime capitalista e ha stabilito il proprio potere politico di classe. Con il suo esempio, l’Ottobre ispirò un più ampio movimento rivoluzionario internazionale che costrinse alla fine della Prima guerra mondiale.
L'unica corrente politica che è sopravvissuta alla sconfitta di questa ondata rivoluzionaria e ha mantenuto la difesa militante del principio internazionalista è stata la Sinistra Comunista. Negli anni Trenta, essa ha conservato questa linea fondamentale di classe durante la guerra di Spagna e la guerra sino-giapponese, mentre altre correnti politiche come gli stalinisti, i trotskisti o gli anarchici sceglievano il loro campo imperialista che istigava questi conflitti. La Sinistra Comunista ha mantenuto il suo internazionalismo durante la Seconda guerra mondiale, mentre queste altre correnti hanno partecipato alla carneficina imperialista, travestita da lotta tra "fascismo e antifascismo" e/o da difesa dell'Unione "sovietica".
Oggi le scarse forze militanti organizzate della Sinistra Comunista aderiscono ancora a questa intransigenza internazionalista, ma le loro scarse risorse sono ulteriormente indebolite dalla frammentazione in diversi gruppi e da uno spirito settario e reciprocamente ostile.
Ecco perché, di fronte alla crescente discesa nella barbarie imperialista, queste forze disparate devono fare una dichiarazione comune contro tutte le potenze imperialiste, contro gli appelli alla difesa nazionale dietro gli sfruttatori, contro gli ipocriti appelli alla "pace", e per la lotta di classe proletaria che porta alla rivoluzione comunista.
LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!
Corrente Comunista Internazionale
Internationalist Voice
______________________________
Perché questo appello?
Solo 20 mesi fa, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la CCI ha proposto ai gruppi della Sinistra Comunista un’analoga dichiarazione comune. I gruppi che l’hanno firmata, oltre alla CCI - Istituto Onorato Damen, Internationalist Voice, International Communist Perspective (Corea del Sud) - hanno successivamente prodotto due Bollettini di discussione dei gruppi della Sinistra Comunista discutendo le rispettive posizioni e differenze e hanno tenuto incontri pubblici in comune.
Tuttavia, altri gruppi della Sinistra Comunista si sono rifiutati di firmare l'appello (o non hanno risposto affatto) pur condividendone il principio internazionalista. Data l'urgenza ancora maggiore di difendere questo principio in comune oggi, chiediamo a questi gruppi - elencati qui di seguito - di riconsiderare e firmare questo appello.
Uno degli argomenti contro la firma della dichiarazione comune sull'Ucraina era che le differenze tra i gruppi erano troppo grandi per permetterlo. Non si può negare l'esistenza di queste importanti differenze, sia su questioni di analisi, di teoria, di concezione del partito politico, sia sulle condizioni di adesione dei militanti. Ma il principio più urgente e fondamentale dell'internazionalismo proletario, la frontiera di classe che distingue in generale le organizzazioni rivoluzionarie, è estremamente più importante. E una dichiarazione comune su questa questione non significa che le altre differenze siano dimenticate. Al contrario, i Bollettini di discussione dimostrano che un forum di discussione su di esse è possibile e necessario.
Un'altra argomentazione è stata la necessità di un'influenza più pratica della prospettiva internazionalista nella classe operaia, più ampia di un semplice appello limitato alla Sinistra Comunista. Naturalmente tutte le organizzazioni militanti comuniste internazionaliste vogliono una maggiore influenza nella classe operaia. Ma se le organizzazioni internazionaliste della Sinistra Comunista non sono nemmeno in grado di agire concretamente insieme sui loro principi fondamentali nei momenti cruciali del conflitto imperialista, come possono aspettarsi di essere prese sul serio da settori più ampi del proletariato?[1]
L'attuale conflitto israelo-palestinese, più pericoloso e imprevedibile di tutti i precedenti, che arriva a meno di due anni dal riemergere della guerra imperialista in Ucraina, e che si affianca a molti altri conflitti imperialisti che si sono riaccesi di recente (Serbia/Kosovo, Azerbaigian/Armenia, e le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina su Taiwan), significa che una dichiarazione internazionale comune è ancora più urgente di prima.
Per questo chiediamo direttamente e pubblicamente ai seguenti gruppi di cofirmare la dichiarazione comune internazionalista contro la guerra imperialista sopra riportata:
A:
Tendenza Comunista Internazionalista
PCI (Programma Comunista)
PCI (Il Partito Comunista)
PCI (Le Prolétaire, Il Comunista)
Istituto Onorato Damen
_____________________________
Altri gruppi che non hanno origini nella Sinistra Comunista ma che condividono le posizioni internazionaliste difese in questo appello possono comunicare il loro sostegno e distribuirlo.
[1] Per For an in depth debate on these arguments see https://en.internationalism.org/content/17240/correspondence-joint-statement-groups-communist-left-war-ukraine [80]
Dopo la guerra in Ucraina, questo nuovo conflitto in Medio Oriente conferma una volta di più che la guerra gioca un ruolo centrale in quello che abbiamo chiamato “l’effetto vortice”, cioè l’interazione accelerata di tutte le espressioni della decomposizione capitalista, minacciando sempre più la sopravvivenza stessa dell’umanità. Diventa vitale per i rivoluzionari mettere avanti una posizione internazionalista chiara contro tutti gli scontri imperialisti che si propagano attraverso il mondo.
Non si tratta di sottostimare gli altri aspetti della decomposizione, come per esempio la distruzione crescente dell’ambiente. In effetti, l’intensificazione della guerra non può che aggravare la crisi climatica, e allo stesso tempo questa non può che alimentare delle rivalità militari sempre più caotiche.
Ma questo non significa che non esiste più nessuna speranza per l’avvenire. Il ritorno della lotta di classe che è cominciata in Gran Bretagna più di un anno fa, e che si manifesta oggi negli Stati Uniti, mostra che la classe operaia non è vinta e che la sua resistenza allo sfruttamento contiene le potenzialità di un rovesciamento dell’ordine mondiale attuale e l’istaurazione di una nuova società senza sfruttamento, senza guerre, e con un rapporto armonico dell’uomo con la natura.
Per discutere di tutte questioni, la CCI indice una riunione pubblica via internet per il giorno:
7 novembre 2023, ore 18,30
Tutti i compagni che intendono partecipare sono invitati a scrivere al nostro indirizzo e riceveranno in seguito le istruzioni per collegarsi alla riunione.
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“Orrore”, “massacri”, “terrorismo”, “terrore”, “crimini di guerra”, “catastrofe umanitaria”, “genocidio”, ... le parole sulle prime pagine della stampa internazionale la dicono lunga sulla portata della barbarie a Gaza.
Il 7 ottobre, Hamas ha ucciso 1.400 israeliani, dando la caccia a vecchi, donne e bambini nelle loro case. Da allora, lo Stato di Israele si è vendicato e ha ucciso in massa. La raffica di bombe che piove su Gaza giorno e notte ha già causato la morte di oltre 10.000 palestinesi, tra cui 4.800 bambini. In mezzo agli edifici in rovina, i sopravvissuti sono privati di tutto: acqua, elettricità, cibo, medicine. Due milioni e mezzo di abitanti di Gaza sono in questo momento minacciati da carestie ed epidemie, 400.000 di loro sono prigionieri a Gaza City e ogni giorno centinaia cadono, dilaniati dai missili, schiacciati dai carri armati, giustiziati dai proiettili.
La morte è ovunque a Gaza, come in Ucraina. Ricordiamo la distruzione di Mariupol da parte dell'esercito russo, l'esodo delle popolazioni, la guerra di trincea che seppellì gli uomini. Ad oggi, quasi 500.000 persone sono morte. Una metà in ognuno dei due campo. Un'intera generazione di russi e ucraini viene ora sacrificata sull'altare dell'interesse nazionale, in nome della difesa della patria. E non è finita: a fine settembre, nel Nagorno-Karabakh, 100.000 persone sono dovute fuggire di fronte all'esercito azero e alla minaccia di genocidio. In Yemen, il conflitto di cui nessuno parla più, ha ucciso più di 200.000 persone e lasciato 2,3 milioni di bambini malnutriti. Lo stesso orrore della guerra in Etiopia, Myanmar, Haiti, Siria, Afghanistan, Mali, Niger, Burkina Faso, Somalia, Congo, Mozambico... E c’è il rischio di uno scontro Serbia e Kosovo.
Chi è responsabile di tutta questa barbarie? Fino a che punto può estendersi la guerra? E, soprattutto, quale forza può opporvisi?
Tutti gli stati sono criminali di guerra
Al momento in cui scriviamo, tutte le nazioni chiedono a Israele di “moderare” o “sospendere” la sua offensiva. La Russia chiede un cessate il fuoco, dopo aver attaccato l'Ucraina con la stessa ferocia un anno e mezzo fa, massacrando 300.000 civili in Cecenia nel 1999 in nome della stessa "lotta al terrorismo". La Cina “vuole la pace”, ma intanto massacra la popolazione uigura, minaccia il popolo di Taiwan con un inferno di fuoco ancora più grande. L'Arabia Saudita e i suoi alleati arabi vogliono fermare l'offensiva israeliana e nel frattempo decimano la popolazione dello Yemen. La Turchia si oppone all'attacco a Gaza mentre sogna di sterminare i curdi. Quanto alle grandi democrazie, dopo aver sostenuto “il diritto di Israele a difendersi”, ora chiedono “una tregua umanitaria” e “il rispetto del diritto internazionale”, loro che dal 1914 hanno dimostrato, con notevole regolarità, la loro competenza nelle stragi di massa.
Questo è l'argomento principale dello Stato di Israele: “l’annientamento di Gaza è legittimo”, come lo sono state le bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki e il tappeto di bombe incendiarie su Dresda e Amburgo. Le guerre in Afghanistan e in Iraq, gli Stati Uniti le hanno combattute con gli stessi argomenti e metodi di Israele oggi! Tutti gli stati sono criminali di guerra! Piccoli o grandi, dominati o potenti, apparentemente guerrafondai o moderati, tutti partecipano in realtà alla guerra imperialista nell'arena mondiale, e tutti considerano la classe operaia come carne da cannone.
Sono queste voci ipocrite e ingannevoli che vorrebbero farci avere fiducia nel loro slancio per la pace e nella loro soluzione: il riconoscimento di Israele e Palestina come due Stati indipendenti e autonomi. L'Autorità Palestinese, Hamas, Fatah dimostrano quello che sarebbe questo Stato: come tutti gli altri, sfrutterebbe i lavoratori; come tutti gli altri, reprimerebbe le masse; Come tutti gli altri, sarebbe stato un guerrafondaio. Ci sono già 195 Stati “indipendenti e autonomi” sul pianeta: insieme, ogni anno, dedicano più di 2.000 miliardi di dollari alla "difesa"! E per il 2024, questi budget esploderanno.
Le guerre di oggi, una politica di terra bruciata
Allora perché l'ONU ha appena dichiarato: "Abbiamo bisogno di un immediato cessate il fuoco umanitario. Sono passati trenta giorni. Quando è troppo, è troppo. Tutto questo deve finire ora"? Ovviamente, gli alleati della Palestina vogliono fermare l'offensiva israeliana. Per quanto riguarda gli alleati di Israele, quelle “grandi democrazie” che pretendono di rispettare il “diritto internazionale”, non possono lasciare fare l'esercito israeliano facendo finta di niente. L'IDF sta massacrando in modo fin troppo visibile. E soprattutto perché già stanno sostenendo militarmente l'Ucraina contro "l'aggressione russa" e i suoi "crimini di guerra". La barbarie delle due "aggressioni" non deve apparire troppo simile.
Ma c'è una ragione ancora più profonda: tutti cercano di limitare la diffusione del caos, perché tutti possono essere colpiti, tutti hanno qualcosa da perdere se questo conflitto si diffonde troppo. Sia l'attacco di Hamas che la risposta di Israele hanno una cosa in comune: una politica di terra bruciata. Il massacro terroristico di ieri e i bombardamenti a tappeto di oggi non possono portare ad alcuna vittoria reale e duratura. Questa guerra sta facendo precipitare il Medio Oriente in un'era di destabilizzazione e scontro.
Se Israele continua a radere al suolo Gaza e a seppellire i suoi abitanti sotto le macerie, c'è il rischio che la Cisgiordania vada in fiamme, che Hezbollah trascini il Libano in guerra, che l'Iran finisca per interferire troppo. La generalizzazione del caos in tutta la regione, ad esempio, non sarebbe solo un duro colpo per l'influenza americana, ma anche per le pretese globali della Cina, la cui preziosa Via della Seta passa attraverso di essa.
La minaccia di una terza guerra mondiale incombe sulla mente di tutti. Sui televisori, i giornalisti ne discutono apertamente. In realtà, la situazione attuale è molto più perniciosa. Non ci sono due blocchi, ordinati e disciplinati, che si fronteggiano, come nel 1914-18 e nel 1939-45, o durante la Guerra Fredda. Mentre la competizione economica e bellica tra Cina e Stati Uniti è sempre più brutale e oppressiva, le altre nazioni non si piegano agli ordini di nessuno di questi due colossi, ma fanno la loro parte, nel disordine, nell'imprevedibilità e nella cacofonia. La Russia ha attaccato l'Ucraina contro il parere della Cina. Israele sta schiacciando Gaza contro il parere americano. Questi due conflitti incarnano il pericolo che minaccia la morte di tutta l'umanità: il moltiplicarsi delle guerre il cui unico scopo è quello di destabilizzare o distruggere l'avversario; una catena infinita di abusi irrazionali e nichilisti; Ognuno per sé, sinonimo di caos incontrollabile.
Per una terza guerra mondiale, i proletari dell'Europa occidentale, dell'America del Nord e dell'Asia orientale dovrebbero essere pronti a sacrificare la loro vita in nome della Patria, a prendere le armi e ad uccidersi a vicenda per la bandiera e gli interessi nazionali, cosa che oggi non avviene assolutamente. Ma ciò che si sta sviluppando non ha bisogno di questa adesione, di questa irreggimentazione delle masse. Dall'inizio degli anni 2000, fasce sempre più vaste del pianeta sono piombate nella violenza e nel caos: Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Libano, Ucraina, Israele e Palestina... Questa cancrena si sta diffondendo a poco a poco, paese dopo paese, regione dopo regione. Questo è l'unico futuro possibile nel capitalismo, in questo sistema di sfruttamento decadente e putrescente.
Per porre fine alla guerra, il capitalismo deve essere rovesciato
Quindi, cosa fare? Gli operai di tutti i paesi non devono farsi illusioni sulla possibilità della cosiddetta pace, su qualsiasi soluzione da parte della "comunità internazionale", dell'ONU o di qualsiasi altro covo di briganti. Il capitalismo è guerra. Dal 1914 non si è quasi fermato, colpendo una parte del mondo e poi un'altra. Il periodo storico che ci attende vedrà questa dinamica mortale diffondersi e amplificarsi, con una barbarie sempre più insondabile.
Gli operai di tutti i paesi devono quindi rifiutarsi di lasciarsi trasportare, devono rifiutarsi di schierarsi con questo o quel campo borghese, all’Est, in Medio Oriente, come altrove. Devono rifiutarsi di lasciarsi ingannare dai discorsi che chiedono loro di mostrare la loro "solidarietà" con "il popolo ucraino sotto attacco", con "la Russia minacciata", con "le masse palestinesi martirizzate", con "gli israeliani terrorizzati" ... In tutte le guerre, da una parte e dall'altra delle frontiere, gli Stati reclutano soldati con la scusa di portare avanti una lotta tra il bene e il male, tra la barbarie e la civiltà. In realtà, tutte queste guerre sono sempre uno scontro tra nazioni concorrenti, tra borghesie rivali. Sono sempre conflitti in cui gli sfruttati muoiono a vantaggio dei loro sfruttatori.
La solidarietà dei lavoratori, quindi, non va ai "palestinesi" come non va agli "israeliani", agli "ucraini", ai "russi", perché tra tutte queste nazionalità ci sono sfruttatori e sfruttati. Va ai lavoratori e ai disoccupati di Israele e Palestina, della Russia e dell'Ucraina, come va ai lavoratori di tutti gli altri paesi del mondo. Non è manifestando "per la pace", non è scegliendo di sostenere una parte contro l'altra che possiamo portare una vera solidarietà alle vittime della guerra, alle popolazioni civili e ai soldati di entrambe le parti, proletari in divisa trasformati in carne da cannone, bambini indottrinati e fanatizzati. L'unica solidarietà consiste nel denunciare TUTTI gli Stati capitalisti, TUTTI i partiti che chiedono di schierarsi dietro questa o quella bandiera nazionale, questa o quella causa di guerra, TUTTI coloro che ci ingannano con l'illusione della pace e delle "buone relazioni" tra i popoli.
Questa solidarietà passa soprattutto attraverso lo sviluppo delle nostre lotte contro il sistema capitalista responsabile di tutte le guerre, una lotta contro le borghesie nazionali e il loro Stato.
La storia ha dimostrato che l'unica forza che può porre fine alla guerra capitalistica è la classe sfruttata, il proletariato, nemico diretto della classe borghese. Questo avvenne quando gli operai russi rovesciarono lo Stato borghese nell'ottobre 1917 e gli operai e i soldati tedeschi si ribellarono nel novembre 1918: questi grandi movimenti di lotta del proletariato costrinsero i governi a firmare l'armistizio. Questo è ciò che ha posto fine alla prima guerra mondiale, la forza del proletariato rivoluzionario! La pace vera e definitiva, dappertutto, la classe operaia dovrà conquistarla rovesciando il capitalismo su scala mondiale.
Questa lunga strada è davanti a noi. Oggi si tratta dello sviluppo di lotte su un terreno di classe, contro gli attacchi economici sempre più duri che ci vengono inflitti da un sistema immerso in una crisi insormontabile. Perché rifiutando il deterioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, rifiutando i sacrifici perpetui in nome del pareggio di bilancio, della competitività dell'economia nazionale o dei necessari sforzi bellici, cominciamo a sollevarci contro il cuore del capitalismo: lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
In queste lotte, restiamo uniti, sviluppiamo la nostra solidarietà, discutiamo e diventiamo consapevoli della nostra forza quando siamo uniti e organizzati. Il proletariato porta in sé, nelle sue lotte di classe, un mondo che è l'esatto opposto del capitalismo: da una parte, la divisione in nazioni impegnate in una competizione economica e bellica fino alla reciproca distruzione; dall'altro, una potenziale unità di tutti gli sfruttati del mondo. Il proletariato ha iniziato a percorrere questa lunga strada, a fare pochi passi: durante "l'estate della rabbia" nel Regno Unito nel 2022, durante il movimento sociale contro la riforma delle pensioni in Francia all'inizio del 2023, durante gli storici scioperi nei settori della sanità e dell'automotive negli Stati Uniti nelle ultime settimane. Questa dinamica internazionale segna il ritorno storico della combattività operaia, il crescente rifiuto di accettare il deterioramento permanente delle condizioni di vita e di lavoro, la tendenza a mostrare solidarietà tra settori e tra generazioni come lavoratori in lotta. In futuro, i movimenti dovranno fare il collegamento tra la crisi economica e la guerra, tra i sacrifici richiesti e lo sviluppo dei bilanci e delle politiche degli armamenti, tra tutte le piaghe che questo obsoleto capitalismo globale porta con sé, tra le crisi economiche, belliche e climatiche che si alimentano a vicenda.
Contro il nazionalismo, contro le guerre in cui i nostri sfruttatori vogliono trascinarci, le vecchie parole d'ordine del movimento operaio che figuravano nel Manifesto del Partito Comunista del 1848 sono più attuali che mai:
I proletari non hanno patria!
Proletari di tutti i paesi, unitevi!
Per lo sviluppo della lotta di classe del proletariato internazionale!
Corrente Comunista Internazionale, 7 novembre 2023
A differenza dell’estrema sinistra del capitale e degli elementi esaltati della piccola borghesia che vedono lo spettro della rivoluzione sociale dietro “tutto ciò che si muove”, i rivoluzionari, per realizzare un intervento lucido, devono dotarsi di una bussola, di un metodo che ha insegnato loro il marxismo, attingendo alle esperienze della storia del movimento operaio di quasi due secoli. È proprio questo metodo che solo può consentire loro di comprendere e intervenire nelle lotte della classe operaia con una visione storica e di lungo termine, per non cadere nella trappola dell’impazienza, dell’attesa di risultati immediati, ritrovandosi così alla coda dell’estrema sinistra del capitale o addirittura del sindacalismo di base.
Durante l’estate del 2022, la CCI ha inquadrato lo scoppio delle lotte nel Regno Unito non come un semplice evento locale ma come un fenomeno di portata storica e internazionale. La ripresa delle lotte operaie, ad un livello che non si vedeva in questo paese dagli anni ’80, ha segnato una vera e propria rottura nella dinamica della lotta di classe. Di fronte a un simile evento, la CCI ha deciso di produrre un volantino internazionale in cui affermavamo che gli scioperi di massa nel Regno Unito erano “un invito alla lotta per i proletari di tutti i paesi”.
Ciò è stato pienamente confermato nei mesi successivi poiché, oltre alla continuazione delle lotte in molti settori nel Regno Unito, sono scoppiati scioperi e mobilitazioni sia in diversi paesi europei che in altri continenti. Anch’essi, nella maggior parte dei casi, hanno raggiunto livelli mai visti da anni, confermando il ritorno della combattività operaia dopo diversi decenni di atonia su scala globale.
Nell’autunno del 2022, la CCI si è quindi impegnata all’interno di manifestazioni o picchetti di sciopero. La sezione britannica della CCI è intervenuta otto volte nei picchetti di sciopero, soprattutto a Londra ed Exeter, distribuendo diverse centinaia di volantini. Ma anche durante la fiera del libro anarchico di Londra. La CCI è stata presente anche alla giornata di mobilitazione interprofessionale tenutasi in Francia, il 29 settembre 2022. Nei dibattiti, nei cortei o nei picchetti, abbiamo difeso la dimensione internazionale degli attacchi e quindi la necessità di lottare tutti insieme, reagendo in maniera unitaria ed evitando di rimanere bloccati nelle lotte locali, all’interno della singola azienda o del proprio settore.
Allo stesso tempo, la CCI pubblicava regolarmente sulla sua stampa (sito web, giornali, Rivista Internazionale) articoli che mettevano in luce il terreno proletario di queste diverse lotte, ma soprattutto il loro significato storico, sottolineando che costituivano un vero trampolino di lancio per il recupero dell’identità di classe.
Lo scoppio della lotta contro la riforma delle pensioni in Francia a partire da gennaio ha dato nuovo slancio a questa dinamica di lotte internazionali. Questo movimento avrebbe riunito, quasi ogni settimana, per quasi cinque mesi, milioni di lavoratori nelle strade per opporsi ad un attacco spregevole da parte dello Stato borghese. Durante le quattordici giornate di mobilitazione, a Parigi e nelle altre province, la CCI ha mobilitato tutte le sue forze, raccogliendo intorno a sé i suoi simpatizzanti, per diffondere il più ampiamente possibile la sua stampa, distribuendo circa 130.000 volantini e assicurando la vendita militante dei propri giornali.
La qualità dell’intervento si basava sulla capacità della CCI di adattarsi all’evoluzione della reazione di classe su scala internazionale, ma anche all’evoluzione più specifica della lotta in Francia. Questo è il motivo per cui la CCI ha prodotto sia volantini di respiro internazionale, sia volantini più “territoriali” quando necessario. E questo per rispondere al meglio alle esigenze del movimento, non solo in Francia, ma soprattutto a livello internazionale, poiché nello stesso periodo sono scoppiate lotte in molti paesi, in cui la CCI è potuta intervenire.
In misura diversa, ciò è avvenuto in Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito e Messico.
Quali sono stati allora i principali temi difesi nelle manifestazioni sia attraverso volantini e giornali territoriali sia durante le discussioni all'interno dei cortei?
– Da gennaio 2023, un nuovo volantino internazionale dal titolo: “Come sviluppare un movimento massiccio, unito e solidale?” ha evidenziato la necessità di opporsi alle divisioni operate dai sindacati, sviluppando la solidarietà al di là della propria azienda, della propria impresa, del proprio settore di attività, della propria città, della propria regione, del proprio Paese.
– Successivamente, pur continuando a difendere la stessa necessità, la CCI ha messo al centro del suo intervento la difesa dell’autorganizzazione e dei metodi di lotta che permettono di creare un rapporto di forza con lo Stato borghese. Il volantino del 2 febbraio: “Essere numerosi non basta, dobbiamo anche prendere in mano le nostre lotte” e il terzo volantino internazionale: “Ovunque la stessa domanda: come sviluppare la lotta? Come possono i governi fare marcia indietro?”, ha risposto a questa preoccupazione espressa sempre più nel corso delle settimane, in particolare nelle discussioni che abbiamo avuto durante le manifestazioni. Abbiamo difeso in particolare la necessità di creare luoghi di discussione come le assemblee generali sovrane aperte a tutti.
– Nonostante le numerose debolezze, tutte queste lotte esprimevano un tentativo reale di creare una forza collettiva, unita, solidale, per ritrovarsi non come individui isolati, ma come classe sfruttata di fronte ai propri sfruttatori. Gli echi della lotta in Francia tra i lavoratori britannici e tedeschi lo hanno pienamente dimostrato.
Una delle responsabilità dei rivoluzionari consiste proprio nel contribuire allo sviluppo di questo sforzo verso il recupero dell’identità di classe. Anche per questo abbiamo sempre improntato il nostro intervento sulla necessità di riappropriarci dell’esperienza e della storia della classe operaia. Tanto più che questa preoccupazione si è espressa spontaneamente nella lotta in Francia attraverso lo slogan “Voi mettete il 64 [la nuova età per il pensionamento], noi vi rimettiamo il [maggio] 68” gridato in tutti i cortei. O ancora, nel rinascere del ricordo della lotta contro il CPE nel 2006. Quindi il volantino: “Come abbiamo vinto nel 2006?”, ha difeso l’esperienza delle Assemblee Generali sovrane che avevano contribuito alla dinamica di estensione di quel movimento fino a far arretrare il governo. Poche settimane dopo, il quarto volantino internazionale: “Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Messico, Cina... Andate oltre rispetto al 1968!”, ha esteso questo sforzo ma soprattutto ha permesso di difendere più esplicitamente la questione storica della ripresa delle lotte operaie e la sfida che essa contiene: il rovesciamento del capitalismo e la vittoria della rivoluzione proletaria per la sopravvivenza dell'umanità.
Nel complesso, i nostri diversi volantini sono sempre stati ben accolti, i titoli spesso colpivano nel segno e provocavano le reazioni dei manifestanti: “Sì, siamo tutti sulla stessa barca!”, “Sì, dobbiamo lottare tutti insieme!”, “Vengo dalla Germania e anche lì ci sono lotte!”, “Siamo italiani e siamo venuti a manifestare con gli operai francesi”, “Io ero lì nel maggio ‘68, dobbiamo rifare la stessa cosa!”, “Ah sì, bisogna proprio fare la rivoluzione!” Queste sono le reazioni più significative emerse nelle tante discussioni che abbiamo potuto avere. Restano, certo, minoritarie e talvolta confuse ma esprimono lo sforzo di riflessione che avviene nel profondo della classe operaia per riconoscersi come classe, per prendere in mano le lotte e sviluppare la battaglia che consenta alla classe a intraprendere la via della rivoluzione.
È proprio questa dinamica storica in atto che abbiamo evidenziato nel volantino che faceva il punto sulla lotta contro la riforma delle pensioni durante l’ultimo giorno di mobilitazione del 6 giugno in cui la voglia di lottare e battersi era ancora presente. In diverse occasioni i manifestanti, concordando con il titolo del volantino, ci hanno addirittura detto: “Abbiamo perso una battaglia ma non abbiamo perso la guerra!”. Quindi sí, “la lotta è davvero davanti a noi!”.
Il nostro intervento è stato accompagnato anche dalla distribuzione di centinaia di copie del terzo Manifesto della CCI[1] che, di fronte alla spirale sempre più mortale e distruttiva della società capitalista, difende con forza che il futuro dell'umanità è nelle mani della classe operaia. Riteniamo che sia responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie esporre alla classe operaia nel modo più lucido possibile le condizioni storiche in cui si svolge la sua lotta e le questioni a cui è confrontata.
È con lo stesso approccio che la CCI ha organizzato anche due cicli di incontri pubblici sulla lotta di classe nel mondo. Il tema del primo era: “Non siamo i soli a mobilitarsi… Ci sono lotte operaie in molti paesi!” Quello del secondo: “Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Messico, Cina... Andare oltre rispetto al 1968! "[2]. Questi incontri sono stati animati dal desiderio di chiarimento attraverso il confronto con le diverse posizioni presenti. Si è trattato di veri e propri luoghi di dibattito proletario dove si sono espressi sostegno, sfumature, dubbi e domande, e anche disaccordi con le posizioni della CCI. Questa partecipazione attiva ai dibattiti è un esempio della lenta maturazione della coscienza che sta avvenendo nel profondo della classe operaia globale e che è portata avanti più in particolare da piccole minoranze, spesso appartenenti a una nuova generazione, che si stanno gradualmente riconnettendo con l’esperienza del movimento operaio e della Sinistra Comunista.
Intervenendo attivamente nelle manifestazioni, così come con la nostra stampa web e cartacea, la CCI ha pienamente adempiuto alle sue responsabilità politiche all'interno della classe operaia. Il frutto di questo intervento si è manifestato in particolare nel fatto che nuovi elementi in cerca di posizioni di classe hanno preso contatto con la CCI e sono venuti, talvolta, anche a partecipare alle nostre riunioni pubbliche.
Se dallo scorso giugno la dinamica avviata nell’estate del 2022 nel Regno Unito sembra conoscere una certa “pausa”, lo scoppio di scioperi nel settore automobilistico negli Stati Uniti dimostra chiaramente che la dinamica delle lotte continua. Per la CCI, queste lotte economiche sono il terreno privilegiato perché la classe possa sviluppare la sua riflessione e la sua coscienza. È responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie contribuire alla maturazione di questo sforzo vitale per lo sviluppo dello scontro rivoluzionario.
Vincent, 1 ottobre 2023
[1] “Il capitalismo porta alla distruzione dell’umanità… Solo la rivoluzione mondiale del proletariato può mettervi fine”, https://it.internationalism.org/content/1719/il-capitalismo-porta-alla-distruzione-dellumanita-solo-la-rivoluzione-proletaria [12]
[2] Per una valutazione più approfondita di questi incontri pubblici vedi: “Perché la CCI parla di “rottura” nella dinamica della lotta di classe?”, https://it.internationalism.org/content/1748/perche-la-cci-parla-di-rottura-nella-dinamica-della-lotta-di-classe [82]
Dal 2020 si sono susseguiti colpi di Stato nell’Africa occidentale e centrale, dalla Guinea al Gabon passando per il Mali, il Burkina Faso e il Niger. Per non parlare dei “colpi di Stato costituzionali” avvenuti anche in Costa d’Avorio e in Ciad.
Una regione ancora più instabile
In Mali, Burkina Faso e Niger, i regimi corrotti e sanguinari sostenuti dalla Francia sono stati rovesciati da fazioni militari (altrettanto corrotte e sanguinarie) tra gli applausi della folla che non sopporta più di morire di fame a causa di predatori senza scrupoli e dei loro complici occidentali. Ma i manifestanti si illudono: né i golpisti, né i candidati che si precipitano alla porta per sostituire la Francia nella sua tradizionale zona d’influenza (Russia, Cina, ecc.) sono preoccupati per il destino della popolazione. Al contrario, questi colpi di Stato sono l’espressione di un’accelerata destabilizzazione della regione e la promessa di una miseria sempre maggiore.
La regione del Sahel, in cui il Niger occupa una posizione centrale, è caratterizzata da una crescente instabilità causata in particolare dall’acuta sofferenza economica delle popolazioni, dal deterioramento della sicurezza, dal rapido aumento della popolazione, dai massicci movimenti di migranti (4.1 milioni di persone sfollate solo nel 2022) e dal terribile degrado dell’ambiente.
L’intera regione sta vivendo un devastante aumento di attacchi effettuati da gruppi islamici armati, che approfittano della porosità e dell’estensione dei confini. Questi gruppi terroristici attaccano regolarmente le istituzioni statali, prendono di mira le comunità e bloccano i centri urbani interrompendo strade e linee di rifornimento. Burkina Faso, Mali e Niger sono tra i dieci paesi più colpiti dal terrorismo.
Secondo State Fragility Index (Indice di fragilità degli Stati), i paesi del Sahel sono tra i 25 Stati più fragili. La maggior parte dei loro governi non è in grado di controllare il proprio territorio. In Burkina Faso, ad esempio, i gruppi islamici armati controllano fino al 40% del territorio. Nonostante il “sostegno” del gruppo Wagner al governo maliano, in un anno lo Stato islamico ha raddoppiato il suo territorio nel paese.
L'espressione del caos crescente
Dopo il Mali e il Burkina Faso, l’imperialismo francese è costretto a evacuare il Niger con armi e bagagli, tra lo scherno dei manifestanti. Il Niger era considerato un “paese sicuro” sul quale diverse potenze imperialiste, in particolare Francia e Stati Uniti, contavano per preservare i propri interessi.
Ma, contrariamente a quanto sostiene la stampa borghese, questo colpo di Stato (come quelli che lo hanno recentemente preceduto in Mali o in Burkina Faso) non è un semplice capovolgimento di alleanze come quelli che capitavano durante la Guerra Fredda, con dei golpisti che oramai preferiscono trattare con la Russia o la Cina piuttosto che con i paesi occidentali. Si tratta, in realtà, dell'espressione di una forte accelerazione nella decomposizione della società borghese che tende a travolgere le aree più fragili del capitalismo nel caos più assoluto.
Lungi dall’essere un riorientamento imperialista a favore di un nuovo “partner”, vediamo invece fazioni borghesi totalmente irresponsabili che approfittano della destabilizzazione dei governi e della fragilità degli Stati per “tentare la fortuna”. Adottano qualsiasi discorso che permetta loro di conquistare il potere e sono pronti ad allearsi con chiunque sia in grado di sostenerli in quel momento. In Niger, il golpe è stato portato avanti apertamente contro l'ex potenza coloniale, con l'appoggio del Mali, del Burkina Faso e del relativo appoggio del gruppo Wagner, arma russa di destabilizzazione. Ma nessuno può escludere la possibilità che la giunta al potere faccia marcia indietro e finisca per negoziare con la Francia.
Il ciascuno per sé aumenta l'instabilità
Le grandi potenze imperialiste non si preoccupano del destino delle popolazioni o del mantenimento dei governi “democraticamente eletti” (che grande battuta!), ma delle conseguenze dei colpi di Stato in difesa dei loro sordidi interessi. In Gabon, ad esempio, i golpisti hanno cacciato Ali Bongo, grande difensore degli interessi francesi, senza mettere in discussione l'enorme influenza francese nel paese ... Infatti, questo colpo di Stato è stato descritto dalla stampa occidentale come un "riaggiustamento" e non ha suscitato “forte emozione” del Quai d'Orsay (Ministero degli Affari Esteri francese). In Niger, invece, i golpisti sono stati minacciati di sanzioni economiche e di intervento militare.
Ma le stesse reazioni dei grandi squali imperialisti sono avvenute in un contesto in cui regna l'ognuno per sé. Parigi ha subito tentato di organizzare un intervento militare ma, ancora una volta, ha dato prova della sua incapacità. Macron ha anche provato a mostrare i muscoli dicendosi "irremovibile" sul "ritorno alla legalità", quando tutto indica che non ne ha i mezzi: "La Francia spinge la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale a intervenire [...]. Ma sta anche cercando di coinvolgere i suoi partner europei nella mischia. Il problema è che i tedeschi non sono convinti dell’utilità dell’intervento, così come non lo sono gli italiani, che non hanno dimenticato i drammatici errori francesi in Libia. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, questi vogliono mantenere le loro posizioni in Niger”[1]. Mentre “i diplomatici francesi e il personale militare francese sottolineano con amarezza lo “sporco gioco in Niger” di Washington, che non ha nemmeno usato il termine “colpo di Stato”, […] un generale americano ha risposto: “A partire dal Niger stiamo combattendo contro l’influenza e la pressione della Russia, per il tramite della Wagner, e della Cina. Così come contro il terrorismo internazionale nel Sahel"[2].
Il caos in Niger è così bruciante e l’incapacità degli occidentali di agire di concerto è così evidente da costringere queste potenze imperialiste a rivedere il loro posizionamento sul posto per non perdere troppe “piume”. Questo vale anche per Washington, che considera il Niger come una pedina centrale nella lotta contro l’influenza di Cina e Russia nell’area, ma senza avere la certezza di poter contare sui golpisti.
In breve: “In Niger, l’Occidente non è nella posizione di sostenere un’invasione, anche se guidata da Stati regionali privi di legittimità interna. In ogni caso verrebbero percepiti come agenti guidati dall’Occidente”[3]. Soprattutto, “l’Occidente” ricorda senza dubbio il suo disastroso intervento militare in Libia nel 2011, che ebbe tra le sue conseguenze l’estensione del terrorismo jihadista in tutto il Sahel e il collasso di uno Stato in una situazione ancora inestricabile.
Tutti gli imperialismi presenti nella zona del Sahel si stanno quindi riposizionando per difendere meglio i propri interessi, anche se ciò significa accelerare il caos e accentuare le turbolenze imperialiste.
Amina, 25 settembre 2023
Il 7 ottobre, sotto una pioggia di razzi, un’orda di islamisti ha seminato il terrore nelle comunità israeliane che circondano la Striscia di Gaza. In nome della “giusta vendetta” contro “i crimini dell'occupazione”, in nome dei “musulmani di tutto il mondo” contro il “regime sionista”, Hamas e i suoi alleati hanno lanciato migliaia di “combattenti” fanatici a commettere le peggiori atrocità su civili indifesi, donne, anziani e perfino bambini. La ferocia di Hamas non ha avuto limiti: omicidi, stupri, torture, rapimenti, scuole prese di mira, persone innocenti assalite nelle loro case, migliaia di feriti...
Subito dopo queste barbare violenze di Hamas, Israele a sua volta ha scatenato tutto la sua potenza omicida sulla Striscia di Gaza in nome della lotta della “luce” contro le “tenebre”. Mentre scriviamo queste righe, l’aviazione israeliana sta bombardando incessantemente l’enclave sovrappopolata su cui governa Hamas, colpendo civili e terroristi senza distinzione, mentre Tsahal ha appena tagliato in due la Striscia di Gaza e circondato la sua capitale. Facendo “piovere fuoco infernale su Hamas”, il governo di Netanyahu sta radendo al suolo indiscriminatamente le case e portando nella tomba migliaia di vittime innocenti, tra cui diverse migliaia di bambini.
Un conflitto totalmente irrazionale
L’attacco di Hamas ha sbalordito il mondo intero. Israele, uno Stato la cui borghesia coltiva giorno dopo giorno, anno dopo anno, tra la popolazione, l’idea di una cittadella assediata, uno Stato con servizi di intelligence, il Mossad e lo Shin Bet, tra i più rinomati al mondo, uno Stato alleato di lunga data degli Stati Uniti e del loro arsenale di sorveglianza... Israele apparentemente non s’è accorto di niente: né le sospette esercitazioni di Hamas, né la concentrazione di migliaia di razzi e uomini. Lo Stato ebraico ha inoltre ignorato numerosi avvertimenti, in particolare quelli provenienti dal vicino Egitto.
Diverse ipotesi possono spiegare questa “sorpresa”:
Quello che è certo, in ogni caso, è che prima del 7 ottobre Netanyahu ha fatto tutto il possibile per rafforzare il potere e i mezzi di Hamas dal momento che questa organizzazione era, come lui e tutta la destra israeliana, totalmente contraria agli accordi di Oslo del 1993[1], che prevedevano l’autonomia palestinese. È stato lo stesso “Bibi” (Netanyahu) a rivendicare questa politica: “Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di Hamas e trasferire denaro ad Hamas. Questo fa parte della nostra strategia” Queste osservazioni sono state rivolte da Netanyahu l’11 marzo 2019 ai deputati del Likud (riportate dal principale quotidiano israeliano Haaretz il 9 ottobre).
Al momento è difficile determinare le cause di questo fiasco da parte delle forze di sicurezza israeliane. Ma ciascuna delle due ipotesi, così come le dinamiche in cui sta sprofondando il Medio Oriente, rivelano il caos crescente che regna nell’apparato politico della borghesia israeliana: instabilità delle coalizioni governative, corruzione di massa, processi per frode, brogli elettorali, un’altamente contestata riforma giudiziaria che mal dissimula i regolamenti di conti all’interno dell’apparato statale, le manie suprematiste degli ultraortodossi… Tutto questo in un contesto di crescente inflazione e di notevole esplosione della povertà.
Per quanto riguarda la cosiddetta “resistenza” di Hamas, la presenza stessa di questa organizzazione, in competizione con un’OLP marcia fino al midollo, alla guida della Striscia di Gaza è un’espressione caricaturale del caos e dell’irrazionalità in cui è precipitata la borghesia palestinese. Quando Hamas non reprime nel sangue le manifestazioni contro la povertà come nel marzo 2019 (cosa che ci fa ben capire quale potrebbe essere la sorte del “popolo palestinese” una volta “liberato” dal “colonialismo sionista” …), quando i suoi leader mafiosi non si ingozzano di aiuti internazionali (Hamas è una delle organizzazioni terroristiche più ricche del pianeta), quando non istiga attacchi terroristici, questo gruppo sanguinario predica un’ideologia quanto mai oscurantista, razzista e delirante.
Lo Stato d'Israele e Hamas, in tempi diversi e con mezzi diversi, hanno praticato la politica della ricerca del peggio che ha portato ai massacri di oggi. Una politica che, in definitiva, non andrà a beneficio di nessuno dei due belligeranti ma che diffonderà ancora di più la distruzione e la barbarie.
L’accelerazione del caos a livello globale
Il conflitto israelo-palestinese ovviamente non è un conflitto strettamente locale. A meno di due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, mentre tutta una serie di conflitti si riaccendono nei Balcani, nel Caucaso e nel Sahel, questo sanguinoso incendio non è solo l’ennesimo episodio di un conflitto che dura da decenni. Si tratta di una nuova tappa significativa nell’accelerazione del caos globale.
Nel prossimo futuro non si può escludere la possibilità che Israele sia costretto a intraprendere una guerra su tre fronti contro Hamas, Hezbollah e Iran. Un’estensione del conflitto avrebbe importanti ripercussioni a livello globale, innanzitutto con un massiccio afflusso di rifugiati da Gaza o dalla Cisgiordania e la destabilizzazione dei paesi confinanti con Israele. Avrebbe inoltre conseguenze immediate particolarmente devastanti per l’intera economia globale, vista l’importanza del Medio Oriente nella produzione di idrocarburi
Non va trascurata anche l’importazione del conflitto in Europa, con una serie di attentati mortali. In Belgio è già stato compiuto un attacco rivendicato dallo Stato islamico. Anche in Francia un professore è stato brutalmente assassinato da un giovane islamista il 13 ottobre, meno di una settimana dopo l’offensiva di Hamas.
Ma non è necessario aspettare che il conflitto si estenda per misurarne immediatamente la dimensione internazionale[2]. La portata dell’attacco di Hamas e il livello di preparazione richiesto lasciano pochi dubbi sul coinvolgimento dell’Iran, che è visibilmente pronto a dare fuoco all’intera regione per difendere i suoi interessi strategici immediati e cercare di uscire dall’isolamento. È una vera trappola quella che la Repubblica Islamica ha teso a Netanyahu. Questo è anche il motivo per cui Teheran e i suoi alleati hanno intensificato le provocazioni con attacchi missilistici da parte di Hezbollah e degli Houthi (Yemen) contro le postazioni israeliane. Senza dubbio anche la Russia ha avuto un ruolo nell’offensiva di Hamas: è un modo, almeno lo spera, di indebolire il sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa all’Ucraina.
Anche se la violenza non si diffondesse immediatamente in tutto il Medio Oriente, la dinamica della destabilizzazione è inevitabile. Pertanto, la situazione non può che preoccupare la Cina: ciò non solo indebolirebbe il suo approvvigionamento di idrocarburi, ma rappresenterebbe anche un ostacolo considerevole alla costruzione delle sue “vie della seta” fatte di porti giganteschi, ferrovie o idrocarburi. Tuttavia, anche la Cina, che qui si trova in una posizione ambivalente, potrebbe contribuire al caos, finendo per sostenere apertamente l’Iran, sperando così di allentare la pressione americana nel Pacifico.
Questo conflitto mostra fino a che punto ogni Stato applichi sempre più, per difendere i propri interessi, una politica di “terra bruciata”, cercando non più di acquisire influenza o conquistare interessi, ma di seminare caos e distruzione tra i suoi rivali.
Questa tendenza all’irrazionalità strategica, alle visioni a breve termine, all’instabilità delle alleanze e all’ ognuno per sé non è una politica arbitraria di questo o quello Stato, né il prodotto della sola stupidità di questa o quella fazione borghese al potere. È la conseguenza delle condizioni storiche, quelle della decomposizione del capitalismo, in cui tutti gli Stati si trovano[3]. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, questa tendenza storica e il peso del militarismo sulla società si sono profondamente aggravati.
Il conflitto israelo-palestinese conferma fino a che punto la guerra imperialista sia oggi il principale fattore di destabilizzazione della società capitalista. Prodotto delle contraddizioni del capitalismo, il vento della guerra alimenta a sua volta il fuoco di queste stesse contraddizioni, aumentando, sotto il peso del militarismo, la crisi economica, il disastro ambientale, lo smembramento della società... Questa dinamica tende a far marcire tutti i settori della società, indebolire tutte le nazioni, a cominciare dalla prima: gli Stati Uniti.
L’irrimediabile indebolimento della leadership americana
I capi di stato occidentali si sono precipitati dalla parte di Israele con una certa eccitazione e dubbi sul modo migliore per gestire la situazione. Si è anche visto il presidente francese, per una volta, rendersi ridicolo in un incontro diplomatico, chiedendo prima la mobilitazione contro Hamas della coalizione creata nel 2014 contro lo Stato islamico, per poi fare pietosamente marcia indietro in serata.
Accorrendo a Tel Aviv e nei paesi vicini a Israele, le potenze europee stanno cercano di approfittare della situazione per rimettere piede nella regione. Ma è stato ancora una volta Biden a riequilibrare il tutto, cercando di fare pressione su Israele affinché evitasse troppi spargimenti di sangue a Gaza. Ha anche inviato nella zona due portaerei per mandare un messaggio di fermezza a Hezbollah e all’Iran.
Quando gli Stati Uniti hanno realizzata la loro “presenza strategica” verso l’Asia durante l’era Obama (una politica proseguita da Trump e Biden), non hanno abbandonato l’influenza in Medio Oriente. Washington si adoperò, in particolare con gli Accordi di Abramo, per stabilire un sistema di alleanza tra Israele e diversi paesi arabi, in particolare l’Arabia Saudita, per contenere le aspirazioni imperialiste dell’Iran, delegando allo Stato ebraico la responsabilità del mantenimento dell’ordine.
Ma ciò senza tener conto della dinamica di crescente instabilità delle alleanze e della profonda tendenza al ciascuno per sé, a partire dalla borghesia israeliana che ha continuato ad anteporre i propri interessi imperialisti a quelli degli Stati Uniti. Mentre Washington è favorevole alla “soluzione” dei due Stati, Netanyahu ha aumentato le annessioni in Cisgiordania, rischiando di incendiare la regione, contando sul sostegno militare e diplomatico americano in caso di peggioramento del conflitto. Gli Stati Uniti oggi si ritrovano messi nell’angolo da Israele, costretti a sostenere le politiche irresponsabili di Netanyahu
La reazione vigorosa di Biden, per usare un eufemismo, mostra la scarsa fiducia che l’amministrazione americana ripone nella cricca di Netanyahu e la preoccupazione per la prospettiva di una catastrofica conflagrazione in Medio Oriente. Il conflitto israelo-palestinese costituisce un nuovo punto di pressione sulla politica imperialista americana, che potrebbe rivelarsi disastrosa in caso di allargamento. Washington dovrebbe allora assumere una considerevole presenza militare ed un sostegno ad Israele che peserebbe non solo sull’economia americana, ma sullo stesso sostegno all’Ucraina e ancor più, sulla sua strategia per arginare l’espansione della Cina.
Anche il discorso filo-palestinese della Turchia, membro “incorreggibile” della NATO, contribuirà a indebolire gli Stati Uniti nella regione, così come le tensioni tra Israele e diversi paesi dell’America Latina accentueranno senza dubbio le tensioni con il suo sponsor nordamericano. Washington cerca quindi di evitare che la situazione vada fuori controllo... un desiderio del tutto illusorio a lungo termine, data la dinamica disastrosa in cui sta sprofondando il Medio Oriente.
L’impatto della guerra sulla classe operaia
Le immagini degli abusi di Hamas e di Tsahal hanno fatto il giro del mondo e, ovunque, la borghesia ci ha invitato a scegliere da che parte stare. Su tutti i canali televisivi e su tutti i giornali, a sinistra e a destra, si scatena una propaganda sporca e bellicosa, spesso cruda, a volte più subdola, che invita tutti a scegliere tra la “resistenza palestinese” e la “democrazia israeliana”, come se non ci fosse altra scelta che sostenere l’una o l’altra di queste cricche borghesi assetate di sangue
Una parte della borghesia, soprattutto in Europa e Nord America, sta scatenando una feroce campagna per legittimare la guerra e gli abusi dell'esercito israeliano: “Noi difendiamo il diritto di Israele ad esistere, a difendersi e a garantire la sicurezza del suo popolo. E capiamo perfettamente che dobbiamo combattere il terrorismo” (Meloni). Naturalmente le borghesie si fregiano di tutte le virtù umanitarie deplorando ipocritamente le vittime civili nella Striscia di Gaza. Ma state tranquilli, brava gente, Scholz ne è certo: “Israele è uno Stato democratico guidato da principi molto umanitari e possiamo quindi essere sicuri che l’esercito israeliano rispetterà le regole derivanti dal diritto internazionale in tutto ciò che fa”.
La borghesia può anche fare affidamento sui suoi partiti di sinistra per alimentare la sua sporca propaganda nazionalista. Quasi tutti sostengono la difesa della Palestina. I loro discorsi spaziano dalla presunta difesa delle popolazioni palestinesi vittime dei bombardamenti allo spudorato sostegno ai barbari di Hamas. Strumentalizzando il legittimo disgusto suscitato dai bombardamenti su Gaza, gigantesche manifestazioni filo-palestinesi sono state organizzate a Londra e Berlino
È vero che la classe operaia oggi non è nella posizione di opporsi direttamente alla guerra e ai suoi orrori. Ma scegliere un campo imperialista contro un altro è una trappola mortale. Perché è accettare la logica della guerra che è “l’odio, le fratture e le divisioni tra gli esseri umani, la morte per la morte, l’istituzionalizzazione della tortura, la sottomissione, l’equilibrio dei poteri, come unica logica dell’evoluzione sociale.”[4] Perché significa credere alle palesi bugie che la borghesia ripete in ogni conflitto: “Dopo questa guerra ritornerà la pace”. Perché significa schierarsi dietro gli interessi della borghesia (difendere a tutti i costi il capitale nazionale anche se ciò significa portare l’umanità alla tomba) e rinunciare a lottare per l’unica prospettiva veramente capace di porre fine alla dinamica omicida del capitalismo: lotta per la difesa degli interessi storici del proletariato, lotta per il comunismo.
Gli operai in Israele e in Palestina si faranno sicuramente trascinare, nelle lora grande maggioranza, sul terreno del nazionalismo e della guerra. Tuttavia mediante la serie inedita di lotte in numerosi paesi, in particolare Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, la classe operaia ha mostrato che è capace di battersi, se non contro la guerra e il militarismo in quanto tali, comunque contro le conseguenze economiche della guerra, contro i sacrifici richiesti dalla borghesia per alimentare la sua economia di guerra. Si tratta di una tappa fondamentale dello sviluppo della combattività e, a termine, della coscienza di classe.[5]
La guerra in Medio Oriente, con l'aggravarsi della crisi e il fabbisogno aggiuntivo di armi che genererà ai quattro angoli del pianeta, non farà altro che aumentare le condizioni oggettive per questa nuova dinamica della lotta di classe.
Ma questa guerra porta con sé pericoli ancora imprevedibili per la classe operaia. Se i massacri dovessero aggravarsi o diffondersi ulteriormente, il sentimento di impotenza e di divisione all'interno della classe operaia rischia di costituire un ostacolo significativo allo sviluppo del suo sforzo di combattività e di riflessione. Come evidenziato dalle manifestazioni filo-palestinesi, il conflitto in Medio Oriente rischia di avere un impatto molto negativo sulla classe operaia, in particolare in Francia, Regno Unito o Germania, paesi in cui la presenza di numerosi ebrei e musulmani, assieme ai discorsi incendiari dei governi, rendono la situazione più che esplosiva.
La guerra israelo-palestinese provoca senza dubbio un sentimento di impotenza e drammatiche divisioni all’interno della classe operaia. Ma l’immensità dei pericoli e il compito da realizzare non devono spingerci al fatalismo. Se oggi la classe dominante riempie la testa dei lavoratori con la sua propaganda nazionalista e bellicosa, la crisi in cui sprofonda il capitalismo crea anche le condizioni per lo scoppio di lotte massicce e per l’emergere di una riflessione, in primo luogo tra le minoranze rivoluzionarie, poi nell'intera classe.
EG, 6 novembre 2023
[1] Firmato da Arafat, ex presidente dell'OLP, e Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano
[2] Le menzogne spudorate della sinistra borghese e degli stalinisti di ogni genere, che distorcono la posizione dei bolscevichi sulle lotte di liberazione nazionale (già errata all'epoca) per giustificare il loro cinico appoggio alla “causa palestinese” in nome della lotta per l'indipendenza dei popoli oppressi “contro il “colonialismo sionista” sono pura ipocrisia. È più che evidente che Hamas è una pedina nel grande scacchiere imperialista internazionale, largamente sostenuta e armata dall’Iran e, in misura minore, dalla Russia
[3] A questo proposito invitiamo i nostri lettori a consultare due nostri testi in materia:
– l’aggiornamento di “Militarismo e decomposizione” Militarismo e decomposizione (maggio 2022) | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [83]
– il terzo manifesto della CCI: Il capitalismo porta alla distruzione dell’umanità... Solo la rivoluzione proletaria mondiale può porvi fine | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [12]
[4] Terzo Manifesto della CCI
[5] Per sviluppare la riflessione sulla realtà della rottura attualmente in atto all'interno della classe operaia, vedere: “La lotta è davanti a noi”, La lotta è davanti a noi | Corrente Comunista Internazionale (internationalism.org) [84]
Il nostro compagno Miguel è mancato. Nato nel 1944, già dalla sua prima gioventù si ribellò contro questa società di barbarie e sfruttamento che è il capitalismo. Capì la necessità di una nuova società, ma allo stesso tempo quello che succedeva in URSS, presentata come “Patria del socialismo”, gli provocava molti dubbi su questo preteso “comunismo”. All’epoca andavano di moda altre “alternative”. Una era la Jugoslavia di Tito, un paese “non allineato”[1] che si presentava come un socialismo “autogestionario”. Emigrò laggiù, per studiare e lavorare, ma presto si rese conto che quel paese di socialismo non aveva niente, che non era altro che una delle numerose varianti del capitalismo di Stato. Da questa deludente esperienza nacque la sua convinzione che nessuna delle “Mecca” del “socialismo” (Russia, Jugoslavia, Albania, Cina, Cuba, ecc.) erano comunismo, né erano sulla strada di diventarlo, tutti erano Stati capitalisti in cui lo sfruttamento regnava con la stessa violenza che nei paesi ufficialmente capitalisti.
Ritornato in Spagna, lavorò in una fabbrica molto importante, la Standard Electrica, fu un operaio cosciente e combattivo, che partecipò attivamente nei diversi scioperi che scuotevano la Spagna, come parte della ripresa storica del proletariato la cui espressione più avanzata fu il grande sciopero di Maggio ’68. In quei tempi (1972-76) la dittatura franchista era incapace di far fronte all’enorme ondata di lotte e la borghesia preparava la famosa “transizione”, passare dalla dittatura franchista alla dittatura democratica, in altri termini lo Stato capitalista considerava ormai inutile il franchismo e il suo nazionalcattolicesimo e rinnovava il suo armamento democratico per meglio affrontare la classe operaia: sindacati “obreros” (sindacati “operai”), elezioni, “libertà”…
Presto il compagno arrivò a una seconda convinzione: i sindacati, tanto il vecchio sindacato verticistico del franchismo come i “sindacati operai” (Comisiones Obreras, UGT e compagnia) erano organi dello Stato borghese, servitori incondizionati del capitale, pronti a sabotare gli scioperi, dividere i lavoratori, deviarli verso vicoli ciechi. Membro della UGT finì con lo strappare la sua tessera durante il suo intervento in un’assemblea.
Nello stesso periodo fece i conti con un’altra esperienza negativa: aderente a uno dei numerosi gruppi trotskisti (la Liga Comunista) toccò con mano cosa è il gauchisme, lo strumento con cui, tramite un linguaggio operaista radicale, recuperare i militanti che rompono con il partito comunista o con i sindacati e cercano un’autentica alternativa proletaria internazionalista. Criticavano l’URSS, ma invitavano a difenderla come “Stato operaio degenerato”; si dicevano conto la guerra imperialista, però appoggiavano la guerra in Vietnam e altre guerre imperialiste in nome della “liberazione nazionale”; criticavano i sindacati, però spingevano a partecipare ad essi per “guadagnarli alla classe”; criticavano le elezioni, però invitavano a votare per “avere un governo operaio PCE-PSOE”; parlavano di “democrazia nell’organizzazione” ma in realtà essa era il modo in cui le diverse fazioni si disputavano a morte il controllo della stessa facendo ricorso a manovre, calunnie e ogni possibile bassezza.
Né l’incubo del “socialismo autogestionario” jugoslavo, né il sabotaggio sindacale, né la trappola del gauchisme impedirono la ricerca di posizioni realmente comuniste. In questa ricerca Miguel contattò la CCI e iniziò una serie di discussioni molto intense, che gli permisero di fare i conti con le esperienze vissute, e lo portarono infine ad aderire alla CCI nel 1980.
Da allora è stato un militante fedele alla causa del proletariato, abituato a riflettere e ad intervenire nelle riunioni per cercare di contribuire all’elaborazione comune delle nostre posizioni. Miguel era totalmente disponibile per le attività dell’organizzazione. Obbligato per motivi di lavoro a cambiare città, la sua prima preoccupazione era mantenere l’attività militante a tutti i livelli, le discussioni e le analisi come l’intervento nelle lotte, la diffusione della stampa, ecc.
Miguel era soprattutto molto attivo nelle lotte della classe, partecipando come lavoratore a numerose lotte (Telefonica, Standard) ed anche in lotte come alla Delphi, SEAT, a riunioni di disoccupati, ecc. Non esitava ad intervenire nelle assemblee, affrontando le manovre dei sindacati, proponendo dei mezzi per rafforzare le assemblee e ricercare l’estensione della lotta per rompere l’isolamento. Allo stesso modo partecipava a quelle riunioni in cui ci potevano essere discussioni di interesse per la chiarificazione rivoluzionaria e non esitava ad intervenire in forma chiara e valida difendendo le posizioni della CCI.
Diede anche un grande contributo nella diffusione della stampa. Portava con regolarità le nostre pubblicazioni in librerie, biblioteche e cercava senza stancarsi nuovi centri di diffusione. Nelle manifestazioni, nelle assemblee, negli assembramenti era il primo a diffondere la stampa della CCI con entusiasmo e una perseveranza realmente esemplare.
Era sempre disponibile per le attività dell’organizzazione e portò avanti un entusiasta lavoro di ricopiatura di stampa e libri del movimento rivoluzionario, ma anche di tutti i temi che potevano essere di interesse per la lotta rivoluzionaria della classe operaia. La biblioteca che riuscì a costituire è un tesoro per la trasmissione delle tradizioni e posizioni delle organizzazioni comuniste.
È stato un militante fino all’ultimo minuto. Afflitto da una dolorosa malattia chiedeva a tutti i compagni che andavano a visitarlo quali erano state le discussioni, ci chiedeva di leggergli i testi internazionali dell’organizzazione, ascoltando con attenzione quello che gli raccontavamo. Era, insomma, UN MILITANTE COMUNISTA DEL PROLETARIATO. Scriviamo queste righe con molto dolore, ma lo facciamo spinti e animati dalla sua militanza, disposti a continuare la lotta per accogliere quei giovani che, attualmente, si stanno confrontando con le trappole che Miguel riuscì a superare, che cercano le risposte che lui trovò e che animarono tutta la sua vita.
Corrente Comunista Internazionale, 27-9-23
[1] All’epoca esisteva il cosiddetto “movimento dei non allineati”, paesi che si dicevano fuori dai due blocchi imperialisti che dominavano il mondo: USA e URSS. Uno dei suoi promotori era Tito, presidente jugoslavo.
Links
[1] https://it.internationalism.org/files/it/3deg_manifesto_della_cci.pdf
[2] https://en.internationalism.org/manifesto-1975
[3] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[4] https://it.internationalism.org/content/1694/unestate-di-rabbia-gran-bretagna-la-classe-dominante-chiede-altri-sacrifici-la-risposta
[5] https://it.internationalism.org/manifesto-91
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/3/46/decomposizione
[7] https://it.internationalism.org/content/1642/rapporto-sulla-crisi-economica-del-24deg-congresso-della-cci
[8] https://it.internationalism.org/content/1640/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-2021
[9] https://it.internationalism.org/content/1504/rapporto-sulla-decomposizione-oggi-22deg-congresso-della-cci-maggio-2017
[10] mailto:[email protected]
[11] https://it.internationalism.org/content/1720/laccelerazione-della-decomposizione-capitalista-pone-apertamente-la-questione-della
[12] https://it.internationalism.org/content/1719/il-capitalismo-porta-alla-distruzione-dellumanita-solo-la-rivoluzione-proletaria
[13] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[14] https://it.internationalism.org/files/it/volantino_internazzionale_gennaio_2023.pdf
[15] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/interventi
[16] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[17] http://www.igcl.org/ecrire/?exec=article&id_article=839
[18] https://fr.internationalism.org/revolution-internationale/201501/9177/conference-debat-a-marseille-gauche-communiste-docteur-bourrin
[19] https://it.internationalism.org/content/1724/un-comitato-che-trascina-i-partecipanti-un-vicolo-cieco
[20] https://it.internationalism.org/rint/22_parassitismo
[21] https://it.internationalism.org/en/tag/4/61/cina
[22] https://it.internationalism.org/content/1727/essere-numerosi-non-basta-dobbiamo-anche-prendere-mano-le-nostre-lotte
[23] https://en.internationalism.org/content/17278/unions-dont-unite-our-struggle-they-organise-its-division
[24] https://it.internationalism.org/en/tag/4/72/gran-bretagna
[25] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[26] https://en.internationalism.org/content/17288/citizens-protest-not-class-struggle
[27] https://en.internationalism.org/worldrevolution/200803/2398/evolution-british-imperialism-bilan-1934
[28] https://en.internationalism.org/worldrevolution/200804/2413/bilan-1935-evolution-british-imperialism-part-2
[29] https://en.internationalism.org/icconline/2008/12/british-situation
[30] https://it.internationalism.org/en/tag/3/47/economia
[31] https://it.internationalism.org/files/it/volantino_internazionale._1_marzo_2023.pdf
[32] https://it.internationalism.org/en/tag/4/70/francia
[33] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[34] https://it.internationalism.org/files/it/bollettino_di_discussione.pdf
[35] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[36] https://it.internationalism.org/en/tag/7/109/sinistra-comunista
[37] https://it.internationalism.org/files/it/volantino_internazionale._scarica_e_diffondi.pdf
[38] https://it.internationalism.org/en/tag/3/50/internazionalismo
[39] https://it.internationalism.org/content/1416/maggio-68-e-la-prospettiva-rivoluzionaria-1-il-movimento-degli-studenti-nel-mondo-negli
[40] https://it.internationalism.org/content/maggio-1968-e-la-prospettiva-rivoluzionaria-ii-fine-della-controrivoluzione-ripresa-storica
[41] https://fr.internationalism.org/ri394/quelle_difference_entre_les_emeutes_de_la_faim_et_les_emeutes_des_banlieues.html
[42] https://fr.internationalism.org/tag/conscience-et-organisation/gauche-communiste-france
[43] https://fr.internationalism.org/icconline/2010/solidarite_avec_les_lyceens_en_lutte_contre_la_repression_policiere.html
[44] https://it.internationalism.org/content/1726/attaccare-la-cci-la-ragion-dessere-del-gigc
[45] https://it.internationalism.org/content/1759/i-fondamenti-marxisti-della-nozione-di-parassitismo-politico-e-la-lotta-contro-questo
[46] https://fr.internationalism.org/content/11083/pseudo-critique-plateforme-du-cci-gigc-simulacre-danalyse-discrediter-cci-et-sa
[47] http://www.igcl.org/Impasse-et-contradictions-du-CCI
[48] https://it.internationalism.org/content/1587/lavventuriero-gaizka-ha-i-difensori-che-si-merita-le-canaglie-del-gigc
[49] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/parassitismo
[50] https://fr.internationalism.org/rinte83/cbg.htm
[51] https://fr.internationalism.org/rinte45/fecci.htm
[52] https://fr.internationalism.org/content/revue-internationale-no-45-2e-trimestre-1986
[53] https://fr.internationalism.org/cci2002/Ficci.htm
[54] https://it.internationalism.org/content/1516/lassalle-e-schweitzer-la-lotta-contro-gli-avventurieri-politici-nel-movimento-operaio
[55] https://fr.internationalism.org/rinte87/parasitisme.htm
[56] https://it.internationalism.org/rint/20_settarismo
[57] https://fr.internationalism.org/ri338/rp.html
[58] https://igcl.org/Nouvelle-attaque-du-CCI-contre-le
[59] https://fr.internationalism.org/content/11034/rapport-decomposition
[60] https://fr.internationalism.org/content/11035/rapport-lutte-classe-25e-congres-du-cci
[61] https://it.internationalism.org/en/tag/4/90/stati-uniti
[62] https://www.leftcom.org/it/articles/2022-07-27/nwbcw-e-il-%E2%80%9Cvero-ufficio-internazionale%E2%80%9D-del-1915
[63] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwiVv4CP6L6BAxUn_bsIHcYQASoQFnoECBIQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.leftcom.org%2Fit%2Farticles%2F1944-02-01%2Fper-la-creazione-del-fronte-unico-proletario-contro-la-guerra&usg=AOvVaw2iDP0eIA2gmaETT7Wt38bj&opi=89978449
[64] https://www.leftcom.org/it/articles/2023-07-08/sull-iniziativa-nwbcw-no-war-but-the-class-war-cos-%C3%A8-e-cosa-non-%C3%A8
[65] https://it.internationalism.org/content/1696/corrispondenza-sulla-dichiarazione-congiunta-dei-gruppi-della-sinistra-comunista-sulla
[66] https://it.internationalism.org/content/1695/sulla-storia-dei-gruppi-no-war-class-war
[67] https://en.internationalism.org/ir/021_workers_groups.html
[68] https://www.leftcom.org/it/articles/2023-01-03/sul-comitato-di-roma-nwbcw-un-intervista
[69] https://www.sitocomunista.it/canti/cantidilotta.html
[70] http://www.sitocomunista.it/resistence/resistenceindex.html;
[71] https://www.sitocomunista.it/pci/pci.html
[72] https://en.internationalism.org/content/17378/acg-bans-icc-its-public-meetings-cwo-betrays-solidarity-between-revolutionary
[73] https://it.internationalism.org/en/tag/2/32/il-fronte-unito
[74] https://it.internationalism.org/en/tag/7/112/battaglia-comunista
[75] https://it.internationalism.org/en/tag/7/113/communist-workers-organisation
[76] https://it.internationalism.org/content/1645/lotte-negli-stati-uniti-iran-italia-corea-ne-la-pandemia-ne-la-crisi-economica-hanno
[77] https://www.notimerica.com/politica/noticia-eeuu-huelga-ferroviaria-convocada-eeuu-preocupa-pais-falta-acuerdos-tangibles-desconvocarla-20220912054109.html
[78] https://elpais.com/cultura/2023-07-13/hollywood-se-asoma-al-abismo-los-actores-convocan-a-la-huelga-y-paralizan-la-industria-del-entretenimiento-en-ee-uu.html
[79] https://it.internationalism.org/content/1722/come-sviluppare-un-movimento-di-massa-unito-e-solidale
[80] https://en.internationalism.org/content/17240/correspondence-joint-statement-groups-communist-left-war-ukraine
[81] https://it.internationalism.org/files/it/massacri_e_guerre_in_israele_0.pdf
[82] https://it.internationalism.org/content/1748/perche-la-cci-parla-di-rottura-nella-dinamica-della-lotta-di-classe
[83] https://it.internationalism.org/content/1693/militarismo-e-decomposizione-maggio-2022
[84] https://it.internationalism.org/content/1760/la-lotta-e-davanti-noi
[85] https://it.internationalism.org/en/tag/4/83/medio-oriente