L'impossibile unità europea

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L'Europa Unita, capace di eliminare le frontiere nazionali per cui sono caduti milioni di uomini nell'ultimo secolo, è davvero a portata di mano, come suggeriscono i vari movimenti europeisti? Il trattato di Maastricht appena andato in vigore cambierà davvero qualcosa? Lo spettacolo pietoso dei paesi CEE incapaci perfino di trovare una soluzione unitaria per il caos jugoslavo (che pure è alle porte dell'Europa) la dice lunga sulla natura utopica di un simile progetto. D'altra parte il fallimento dello SME costituisce un esempio vivissimo di quanto sia ancora attuale quel progetto di costruzione di una "unità europea" che doveva, secondo i suoi difensori, essere un esempio della capacità del capitalismo di instaurare una cooperazione economica, politica e sociale. Questo non toglie che la borghesia tornerà ancora in futuro a tirare fuori la storia dell'unità europea, cercando in particolare di utilizzare le campagne europeiste per polarizzare le preoccupazioni della classe operaia su un problema che le è estraneo, dividendola su un falso dibattito.

E' dunque necessario dimostrare che tutte le chiacchiere sull'unità europea servono solo a preparare la strada a nuove alleanze militari in vista del confronto armato, sbocco ultimo della crisi capitalista.

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I differenti progetti di unificazione europea sono spesso presentati come tappe verso la creazione della nuova "Nazione Europa" capace di avere un notevole peso economico e politico nel mondo. Una simile idea ha avuto una grande popolarità, tanto più che settori interi della borghesia se ne sono fatti portavoce entusiastici, parlando di "Stati Uniti d'Europa", sull'esempio degli Stati Uniti d'America.

L'IMPOSSIBILITA' DI UNA NUOVA NAZIONE VITALE NELLA DECADENZA DEL CAPITALISMO

Gli Stati Uniti di Europa oggi sono un'utopia e chi afferma il contrario non prende in considerazione i due presupposti indispensabili alla loro realizzazione. Il primo fattore è di carattere generale ed è che la formazione di nuove nazioni può avvenire solo in periodi storici particolarmente favorevoli e questo non lo è. Il secondo fattore è quello della violenza necessaria ad un simile processo, che non può essere portato a termine grazie alla "buona volontà dei governi" o "le aspirazioni dei popoli", qualsiasi cosa dica la propaganda borghese. L'esistenza stessa della borghesia è legata alla proprietà (privata o statale che sia) e la nascita di uno Stato comporta necessariamente l'espropriazione violenta di alcune frazioni nazionali borghesi da parte di altre. E' d'altronde sufficiente dare uno sguardo alla storia della nascita delle nazioni dal Medio Evo ai giorni nostri per rendersene conto.

Nel Medio Evo la situazione sociale, economica e politica è stata così descritta da Rosa Luxemburg: "Durante il Medio Evo, quando il feudalesimo dominava, i legami tra le parti e regioni di uno stesso Stato erano estremamente deboli. Così, ogni città importante produceva con il suo circondario cittadino la maggioranza delle merci di cui aveva bisogno; analogamente aveva le sue leggi, il suo governo, le sue milizie; le città più grandi e ricche dell'occidente a volte conducevano per conto proprio delle guerre e concludevano trattati con potenze straniere. Ogni comunità di una certa importanza aveva una sua vita isolata ed ogni porzione del dominio di un signore feudale o anche ognuna delle proprietà di un semplice cavaliere costituivano un piccolo Stato semi-indipendente" (1).

Ma all'interno stesso del feudalesimo sono già all'opera le forze che metteranno all'ordine del giorno il suo superamento: "La rivoluzione nei metodi produttivi e nelle relazioni commerciali avvenuta alla fine del Medio Evo, l'aumento dei mezzi di produzione e lo sviluppo di un'economia basata sulla circolazione del danaro e sul commercio internazionale, assieme alla creazione degli eserciti permanenti, tutto ciò favorì lo sviluppo del potere monarchico e l'affermazione dell'assolutismo. La tendenza centrale dell'assolutismo fu la creazione di un apparato statale centralizzato. Il 16° e 17° secolo costituiscono il fulcro dello scontro tra la centralizzazione assolutistica ed i resti del particolarismo feudale" (1). Il processo di costruzione di Stati moderni centralizzati, cominciato dai monarchi assolutisti, fu portato a termine dalla borghesia: "L'abolizione delle dogane interne e delle autonomie, sia fiscali sia giudiziarie, nelle varie municipalità e nelle terre signorili, furono le prime preoccupazioni della borghesia moderna. Di pari passo andò la creazione di una possente macchina statale che combinasse tutte le funzioni: dall'amministrativa sotto controllo del governo centrale alla legislativa affidata al Parlamento, dalle forze armate unificate sotto il comando del governo, alle dogane uniformate di fronte ai paesi stranieri, alla moneta unica valida in tutto il paese, ecc. Analogamente lo Stato moderno ha uniformato il più possibile l'educazione laica nelle scuole, l'insegnamento religioso nelle parrocchie, organizzando secondo gli stessi principi l'insieme dell'apparato statale. In una parola, la tendenza dominante del capitalismo è la massima centralizzazione possibile" (1).

All'interno di questo processo di formazione delle nazioni moderne la guerra ha sempre giocato un ruolo di primo ordine, sia per eliminare le resistenze interne dei settori retrogradi, sia per delimitare in modo vantaggioso le frontiere rispetto agli Stati confinanti. La Germania ci offre un buon esempio del ruolo della violenza nella costituzione di uno Stato forte: dopo aver sconfitto l'Austria e sottomesso i principi tedeschi, è la vittoria del 1871 contro la Francia che permette alla Prussia di imporre in modo stabile l'unità tedesca.

Analogamente la costituzione degli Stati Uniti d'America nel 1776, benché le sue origini non nascano da una società feudale (le colonie americane conquistarono l'indipendenza con le armi contro la madrepatria inglese), fornisce un'ulteriore illustrazione in questo senso: "Il primo nucleo dell'Unione delle colonie inglesi in Nord America, che erano state fino ad allora l'una indipendente dall'altra, che differivano tra loro sia politicamente che socialmente e che avevano interessi per molti versi divergenti, questo primo nucleo fu creato dalla rivoluzione" (1). Ma bisognò attendere la vittoria del Nord nella guerra di secessione del 1861 perché venisse a termine la costruzione di uno Stato moderno dalla forte coesione come sono gli Stati Uniti oggi: "E' in quanto difensori del centralismo che gli Stati del Nord agirono, rappresentando così lo sviluppo del grande capitale moderno, del moderno macchinismo, della libertà individuale e della libertà di fronte alla legge, cioè i veri e propri caratteri del lavoro salariato, della democrazia e del progresso borghese" (1).

L'800 vede la costituzione di nuove nazioni (Germania, Italia) o la lotta accanita per una tale costituzione (Ungheria, Polonia). Tutto questo "non è assolutamente fortuito, ma corrisponde alla spinta esercitata dall'econo­mia capitalista in pieno sviluppo che trova nella nazione il quadro più appropriato per il suo ulteriore sviluppo" (2).

L'entrata del capitalismo nella sua fase di decadenza, agli inizi del secolo, impedisce ormai l'emergere di nuove nazioni capaci di inserirsi come validi concorrenti nella pattuglia dei paesi più industrializzati (3). Non a caso le sei maggiori potenze industriali negli anni '80 (Usa, Giappone, Russia, Germania, Francia e Inghilterra) sono le stesse sei dall'inizio del secolo. Nel contesto della decadenza del capitalismo e della competizione imperialista per mercati ormai saturi di merci, le nazioni arrivate in ritardo sull'arena mondiale tendono a restare sempre più in ritardo rispetto al plotone di testa. Marx sottolineava già nell'800 l'antagonismo permanente che esiste fra tutte le frazioni nazionali della borghesia: "La borghesia vive in uno stato di guerra permanente: prima contro l'aristocrazia, poi contro quelle frazioni della stessa borghesia i cui interessi contrastano con il progresso dell'industria, sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri" (4). Se la contraddizione con le resistenze feudali è stata ormai liquidata dal capitalismo, quella fra le diverse nazioni borghesi non ha fatto che esacerbarsi nella fase di decadenza. Basta questo a mostrare il carattere ipocrita e menzognero di tutte le chiacchiere sulla unione pacifica di diversi paesi.

Tutte le nazioni che nasceranno in questa fase, come per esempio la Jugoslavia (28 settembre 1918), risulteranno da modifiche di frontiere, da spezzettamenti di paesi sconfitti durante le guerre mondiali, e si troveranno quindi del tutto prive degli attributi necessari ad una grande nazione.

La fase attuale ed ultima della decadenza, quella della decomposizione della società, non solo è sfavorevole alla nascita di nuove nazioni, ma addirittura spinge alla disgregazione quelle dotate di minore coerenza. L'URSS è esplosa per questo e la sua esplosione ha agito come moltiplicatore di dissociazione in tutto l'Est europeo, dalla Cecoslovacchia alla Jugoslavia.

Poiché l'Europa non si è costituita in nazione alla fine dell'800, quando la nascita di nuove nazioni era ancora possibile, è del tutto impossibile che ci riesca adesso. Tuttavia, vista l'importanza dell'area - la più forte concentrazione industriale del mondo - è inevitabile che essa sia il teatro in cui si annodano e si sciolgono le alleanze imperialiste determinanti nel rapporto di forze internazionale. Così, dalla fine della II guerra mondiale fino al crollo dell'Est, l'Europa ha costituito la prima linea di fronte al blocco russo. Ancora oggi, dopo la disgregazione dell'ormai inutile blocco occidentale, l'Europa è il teatro principale del confronto fra Stati Uniti e Germania, i capifila dei futuri blocchi imperialisti, se arriveranno a costituirsi. A questa rete di alleanze imperialiste si sovrappone (ed a volte si contrappone) la mutevole rete di alleanze economiche contro la concorrenza di altri paesi.

L'EUROPA: UNO STRUMENTO DELL'IMPERIALISMO AMERICANO

Dopo la II guerra mondiale, l'Europa - semi distrutta - rischiava di cadere nelle mani dell'imperialismo russo. Per gli Usa era vitale sostenerla per renderla meno vulnerabile: il piano Marshall, votato nel 1948 e che prevedeva per il periodo 1948-1952 un aiuto di 17 miliardi di dollari, fu lo strumento di cui l'imperialismo Usa si servì per raggiungere i suoi obiettivi (5). La sua attuazione fu una delle pedine mosse in quegli anni dai due capifila imperialisti per costituire i loro blocchi. Nello stesso 1948 il blocco occidentale mette a segno la rottura della Jugoslavia con Mosca, il che impedisce la costituzione di una Federazione Balcanica filorussa assieme alla Bulgaria ed all'Albania, e la creazione del Patto di Assistenza di Bruxelles, che lega militarmente gli Stati del BENELUX, la Francia e la Gran Bretagna. Questo patto si trasformerà l'anno successivo nel Patto Atlantico, che porterà infine alla creazione della NATO nel 1950. Nel frattempo la Russia non dorme: dà inizio alla "guerra fredda" con il blocco di Berlino ed il colpo di stato filorusso in Cecoslovacchia (1948), costituisce nel 1949 il COMECON (Consiglio di assistenza economica) fra i paesi del suo blocco. Dall'Europa la polarizzazione dilaga nel resto del mondo: tanto per fare un esempio, dal 1946 al 1954 si svolge il primo round del confronto indocinese che terminerà con la disfatta delle truppe francesi a Dien Bien Phu.

Il piano Marshall funge da collante per i paesi beneficiari e la struttura che lo gestisce, l'"Organizzazione Europea di Cooperazione Economica", è l'antesignana di tutti gli "accordi" che la seguiranno. Tuttavia sono le necessità imperialistiche a dettare questi accordi ed in particolare quello della "Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio" (Ceca). "Il partito europeista animato da Robert Shumann si afferma nel 1949-50, nel momento in cui più si teme un'offensiva dell'URSS, e in cui si desidera rafforzare la capacità di resistenza europea, mentre contemporaneamente si varano sul piano politico il Consiglio di Europa e la Nato. Così si precisa il disegno di superare i particolarismi e di procedere verso la messa in comune delle grandi risorse europee, che sono alle basi della sua potenza, e cioè il carbone e l'acciaio" (6). E' così che nel 1952 nasce la Ceca, mercato comune per il carbone e l'acciaio tra Francia, Germania, Italia e BENELUX. Benché questa nuova comunità sia più autonoma della OECE, la sua funzione essenziale è ancora il rafforzamento economico - e dunque politico - della prima linea occidentale di fronte al blocco russo. Il fatto che la Gran Bretagna non faccia parte della Ceca non costituisce un indebolimento di questa vista la posizione geografica della Gran Bretagna e il suo forte legame con gli Usa.

La creazione della CEE (Comunità Economica Europea) nel 1957, con lo scopo di arrivare "alla soppressione graduale dei diritti di dogana, all'armonizzazione delle politiche monetarie, finanziarie e sociali, alla libera circolazione della mano d'opera ed al libero gioco della concorrenza" (6) costituisce un'altra tappa del processo di rafforzamento della coesione del blocco occidentale. Anche se, in prospettiva, essa costituisce un potenziale concorrente degli Usa, la CEE è in un primo momento uno stimolo al loro sviluppo economico: "L'Europa costituisce il luogo privilegiato degl'investimenti economici americani che, dopo il 1950, si sono moltiplicati di 15 volte. Il movimento dei capitali è rimasto relativamente modesto fino al 1957 (anno di creazione della CEE, ndr), per accelerare in seguito. La creazione del mercato continentale europeo portò gli americani a modificare la loro strategia per diversi motivi: la creazione di un sistema comunitario di tariffe rischiava di escluderli; i vecchi investimenti rischiavano di essere superati perché, all'interno di un mercato unificato risultava, tanto per fare un esempio, più vantaggioso investire in Italia o in Belgio, in termini di manodopera, tasse o sovvenzioni statali. Infine e soprattutto il nuovo mercato europeo rappresentava un insieme paragonabile agli Usa in popolazione, potenza industriale e, a medio termine, in livello di vita e presentava dunque delle potenzialità di vendita da non sottovalutare" (6).

In effetti lo sviluppo economico dell'Europa fu tale (nel corso degli anni '60 diventò la prima potenza industriale del mondo) che i suoi prodotti diventarono concorrenti diretti di quelli americani. Ma la somma statistica delle varie economie non significava affatto unità economica o politica, resa impossibile dai contrastanti interessi economici. Tanto per fare un esempio la Germania richiedeva un allargamento della CEE e maggiori scambi con gli Usa perché aveva bisogno di collocare le sue eccedenze di merci, mentre la Francia si batteva per una CEE più chiusa per proteggere la sua industria dalla concorrenza internazionale. Lo scontro fra la Francia e gli altri paesi si polarizza sulle reiterate domande di ammissione dell'Inghilterra che fino ad allora non aveva voluto aderire. Il governo De Gaulle, per scrollarsi di dosso la tutela americana, sosteneva che non poteva partecipare alla Comunità un paese che avesse relazioni "privilegiate" con gli Usa.

Così, "la CEE fu un successo molto relativo e non riuscì ad imporre una strategia comune. Il fallimento dell'EURATOM, nel 1969-70, ed il mezzo successo dell'aereo europeo Concorde, sono lì a testimoniarlo" (6). Tutto questo non deve sorprenderci nella misura in cui una strategia comune ed autonoma dell'Europa sul piano politico e in buona parte su quello economico, si sarebbe necessariamente scontrata con i limiti imposti dalla disciplina del blocco dominato dagli Usa.

Con il crollo del blocco avversario dell'Est questa disciplina è scomparsa provocando la dissoluzione, nei fatti, del blocco occidentale che era tenuto insieme dalla necessità di opporsi all'imperialismo russo. Il solo fattore di coesione attuale dell'Europa è di ordine economico, e cioè la necessità di accordarsi in qualche modo contro la concorrenza americana e giapponese. Ma questo fattore di coesione di per sè stesso è troppo debole per resistere alle tensioni imperialiste crescenti che attraversano e dilaniano l'Europa.

L'EUROPA: TERRENO DI LOTTA PER IL PREDOMINIO DA PARTE DEI GRANDI IMPERIALISMI

Gli accordi economici che sono alla base della CEE affermano il libero scambio all'interno della comunità, con tuttavia delle clausole che permettono ai vari paesi di proteggere almeno in parte certi settori della loro produzione. Di pari passo si sviluppano le misure protezionistiche, aperte o dissimulate, contro i paesi estranei alla CEE. In effetti gli accordi non mirano tanto ad eliminare la concorrenza fra i paesi europei, quanto a combattere la concorrenza Usa e giapponese. Ne sono una testimonianza gli ostacoli ipocriti messi all'importazione di auto giapponesi, per proteggere l'industria automobilistica europea. Così come ne è testimonianza (sull'altro fronte) l'accanimento con cui gli Usa cercano di incrinare il fronte europeo durante i negoziati GATT, riuscendovi, tra l'altro, nella faccenda delle sovvenzioni all'agricoltura.

Al di là di queste misure strettamente economiche ne esistono altre, allo stato di progetto o già in vigore, il cui scopo evidente è quello di rafforzare i legami fra i vari paesi. Così, per "proteggersi contro l'immigrazione di massa" e contemporaneamente contro "i fattori di destabilizzazione interna", sono stati approvati gli accordi di Schengen, firmati da Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo ed Olanda, cui si sono poi aggiunti Spagna e Portogallo.

Il significato di questi accordi non è tanto economico quanto politico perché rafforzando l'interdipendenza dei paesi membri, aprono la possibilità ad una maggiore indipendenza rispetto agli Usa. E questa possibilità non è una ipotesi campata in aria perché fra i paesi firmatari c'è la Germania che è il solo paese che abbia una possibilità di costituire un nuovo blocco contrapposto agli Usa. E' per questa ragione che Inghilterra e Olanda, fedeli alleati europei degli Stati Uniti, si dedicano ad un aperto lavoro di sabotaggio di questi tentativi di costruzione di un'Europa più "politica".

Le tensioni interimperialiste escono ancora più allo scoperto quando si tratta di accordi di cooperazione militare fra i paesi europei che sono in prima linea nel progetto di resistenza rispetto all'egemonia Usa. La condanna inglese della creazione della Brigata franco-tedesca, così come la reazione olandese: "L'Europa non deve essere sottomessa agli accordi franco-tedeschi", mostrano chiaramente gli schieramenti sul campo. Non a caso gli Usa, al di là di qualche dichiarazione di pura facciata, si sono sempre opposti al trattato di Maastricht, e questo nonostante il fatto che i suoi alleati inglesi ed olandesi siano in grado di paralizzare dall'interno gli accordi grazie al loro diritto di veto (8).

E' tuttavia evidente che anche questo ostruzionismo degli alleati degli Usa può arrivare fino ad un certo punto, pena la loro progressiva emarginazione dagli accordi europei. Se si arrivasse a tanto, la Comunità Europea si spaccherebbe, con evidenti danni economici per tutti, ma si accelererebbero i preparativi di costituzione di un nuovo blocco opposto agli Stati Uniti.

UN TERRENO PROPIZIO ALLE CAMPAGNE IDEOLOGICHE CONTRO LA CLASSE OPERAIA

Dato che il "progetto europeo" non è che una favola, che serve solo a mascherare il processo di costituzione di un nuovo blocco imperialista, la classe operaia non ha evidentemente niente da guadagnare a scendere in campo a favore di questo o quell'imperialismo. Vanno quindi rispediti al mittente sia gli appelli dei nazionalisti "ultrà", che si presentano come i "garanti dell'integrità nazionale" o anche come i "difensori degli interessi operai minacciati dall'Europa del capitale", sia gli appelli dei non meno nazionalisti sostenitori della "casa europea". Fra le menzogne utilizzate da questi ultimi alcune sono diventate veri e propri slogan della propaganda borghese.

"L'unità della maggioranza dei paesi europei porterà la pace nel mondo o almeno in Europa". Alla base di questa stupidaggine c'è l'idea che, se Francia e Germania sono alleate, non sarà più riproponibile lo scenario della I e II guerra mondiale. Questo sarà forse possibile (sempre che la Francia non cambi idea all'ultimo momento, passando al campo Usa), ma non cambia granché. Lo sviluppo di un'unità politico-militare dell'Europa non significa altro che l'apertura di una dinamica di formazione di un nuovo blocco imperialista intorno alla Germania. Se la classe operaia lascia alla borghesia le mani libere per costituire un nuovo blocco, allora ci sarà una nuova guerra mondiale ed a questo punto da che parte stiano i francesi non cambierà granché per i proletari.

"Una simile unione permetterebbe agli europei di evitare le calamità (miseria, fame, massacri etnici) che devastano la maggioranza degli altri paesi". Questa idea è complementare a quella precedente. Da una parte si cerca di far credere che potranno esistere delle isole felici, non toccate dalla crisi mondiale del capitalismo. Dall'altra si cerca di martellare nelle teste degli operai che questo miracolo sarebbe possibile se la classe operaia europea si affidasse alle frazioni "illuminate" e "lungimiranti" della sua borghesia, abbandonando al suo destino i proletari degli altri paesi. In una parola se accetta di sottomettersi alla difesa dei loro interessi nazionali, a sue spese.

"La classe operaia è in buona parte su posizioni reazionarie e nazionaliste, visto che si oppone in maggioranza all'unità europea". E' vero che, sottoposti alla propaganda borghese, gli operai si sono fatti spesso trascinare in questo falso dibattito, in particolare in occasione dei referendum su Maastricht. Ed è ugualmente vero che non sono stati insensibili ad appelli "in difesa delle loro condizioni di vita" che nascondevano in modo più o meno velato richiami al nazionalismo o alla xenofobia vera e propria. Questa è certamente una debolezza da parte dei lavoratori che sono permanentemente esposti alla pressione dell'ideologia. Ma alla borghesia non basta spingerli a schierarsi su un falso fronte, deve anche rinfacciare loro di essersi schierati. E così tutta la repellente schiera di commentatori, preti e sociologi imperversa su giornali e televisioni a spiegare che è fra gli operai che si trovano i "nuovi razzisti", in modo da dividere ulteriormente la classe in "reazionari" e "progressisti".

Di fronte alle menzogne sul "superamento delle frontiere" o sulla "Europa dei popoli", così come di fronte agli appelli alla chiusura nazionalista per "proteggersi dai costi sociali dell'Unione Europea" gli operai non hanno nessuna scelta da fare. La loro sola via è quella della lotta intransigente contro tutte le frazioni della borghesia per la difesa delle loro condizioni di esistenza e lo sviluppo di una prospettiva rivoluzionaria, attraverso la crescita della loro solidarietà ed unità internazionale di classe. La loro sola via di salvezza è la messa in pratica della vecchia e sempre attuale parola d'ordine del movimento operaio: "Gli operai non hanno patria. Proletari di tutti i paesi, unitevi!".

    20/2/93               M.

1. Rosa Luxemburg, in "La questione nazionale".

2. "La lotta del proletariato nella decadenza del capitalismo. Lo sviluppo di nuove nazioni capitaliste", in Revue Internationale n.23.

3. Vedi l'articolo "Nazioni nate morte", Revue Internationale n.69.

4. Il Manifesto Comunista

5. Non a caso l'iniziativa di questo piano di aiuti "civili" fu il super generale Marshall, capo di Stato Maggiore dell'esercito Usa durante la II guerra mondiale.

6. "La seconda metà del XX secolo", libro 6°, pag.241, Pierre Leon, in "Storia economica e sociale del mondo".

7. Una simile iniziativa mostra come la Francia (ma anche la Spagna e l'Italia) senta il bisogno di rafforzarsi di fronte al potente e vicino alleato tedesco.

8. La politica degli Stati Uniti come su un duplice binario. Da una parte si oppongono ai tentativi francesi e tedeschi di associarsi per rendersi autonomi. Dall'altra creano un loro "Mercato Comune" per prepararsi ad una situazione mondiale sempre più difficile. La NAFTA, Associazione per il libero scambio nordamericano, mercato comune con Messico e Canada, non è un semplice accordo economico, ma un tentativo di rafforzare il controllo sull'area direttamente influenzata dagli Usa, sia contro le tendenze alla decomposizione sia contro le "incursioni" dei concorrenti europei e giapponesi.

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