Polemica con le concezioni moderniste. I dubbi sulla classe operaia

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Questo articolo è stato scritto a metà del 1983; esso è scritto sotto forma di polemica con dei gruppi modernisti, ora scomparsi, ma l'importanza degli argomenti lo rende ancora attuale, soprattutto dopo tutti i dubbi sulle possibilità rivoluzionarie della classe operaia seminati dalla forsennata campagna borghese sulla "fine del comunismo".

Quando la classe operaia mostra apertamente la sua forza, minacciando di paralizzare la macchina produttiva, facendo indietreggiare lo Stato, scatenando un fermento di vita nell'insieme della società, come fu il caso, per esempio, durante lo sciopero di massa dell'estate 1980 in Polonia, la questione: "la classe operaia è la forza rivoluzionaria della nostra epoca?" sembra assurda. In Polonia, come in tutte le lotte sociali che hanno scosso il capitalismo, il cuore del movimento sociale non era altro che il cuore della classe operaia: i cantieri navali del Baltico, la siderurgia di Nova Huta, le miniere della Slesia.

Quando gli operai arrivano a rompere le forze che li atomizzano in polvere impotente, quando la loro unione esplode in faccia alla classe dominante, facendo vacillare tutto il suo edificio, costringendola a fare marcia indietro, è facile, se non evidente, comprendere come e perchè la classe operaia è la sola forza capace di concepire e di intraprendere un rovesciamento rivoluzionario della società.

Ma quando la lotta aperta cessa, quando il capitale riprende il controllo e reinstalla la sua cappa di piombo sulla società, ciò che sembrava così evidente in un dato momento pare sfumare anche nel ricordo, e il capitale decadente impone ai suoi sudditi la propria sinistra visione del mondo: quella di una classe operaia sottomessa, atomizzata, che entra in ranghi silenziosi tutte le mattine in fabbrica, incapace di rompere le sue catene.

Non mancano allora dei "teorici" per spiegare a chi vuole ascoltarli che la classe operaia è nei fatti parte integrante del sistema, che essa ha un posto da difendere e che solo degli illuministi ciechi per il loro fanatismo possono vedere in questa massa di individui sottomessi la portatrice della nuova società.

Quelli che difendono sempre apertamente le bontà del sistema capitalista, sia nella forma "occidentale" che stalinista, non hanno altro credo. Ma i periodi di riflusso della lotta operaia fanno anche regolarmente riapparire dei gruppi o pubblicazioni che teorizzano i "dubbi" sulla natura storica della classe operaia, dubbi che si esprimono anche tra quelli che rivendicano la rivoluzione comunista e che, inoltre, non hanno illusioni nè sulla natura dei paesi cosiddetti "socialisti", nè su quella dei partiti occidentali sedicenti "operai".

La vecchia idea anarchica e populista secondo la quale la rivoluzione sarà essenzialmente l'opera non di una classe economica specifica, ma dell'insieme degli uomini che, in un modo o in un altro, subiscono l'inumanità del capitalismo, guadagna terreno.

Proprio come al momento del riflusso delle lotte operaie dopo l'ondata del 1968-744, l’ideologia "modernista", l'ideologia della "teoria moderna della rivoluzione" che rigetta "il vecchio movimento operaio" e il suo "marxismo impolverato" sembra conoscere attualmente, con il ripiegamento delle lotte operaie dopo la Polonia, un certo ritorno. Ne sono testimonianza, fra le altre, in Francia l'apparizione della rivista La Banquise ed il passaggio al ritmo trimestrale della rivista La guerre sociale, e in Gran Bretagna la riapparizione di Solidarity (1).

Queste pubblicazioni sono relativamente differenti fra di loro, ma esse condividono tutte lo stesso rigetto di questa idea di base del “vecchio marxismo”: la classe operaia è la sola forza veramente rivoluzionaria della società; la distruzione del capitalismo e l'apertura verso una società comunista esigono un periodo di transizione caratterizzato dalla dittatura politica di questa classe.

Non abbiamo l'intenzione di sviluppare qui una critica completa dell'insieme delle idee difese da questo tipo di corrente. (...).

Quello che ci importa è riaffermare, in un momento di riflusso provvisorio delle lotte della classe operaia e di maturazione accelerata delle contraddizioni sociali che conducono alla rivoluzione comunista, il ruolo centrale di questa classe, perché essa è la classe rivoluzionaria e perché, quando si ignora questa realtà essenziale della nostra epoca, ci si condanna da una parte a non comprendere il corso della storia che si sviluppa sotto i nostri occhi (vedere il pessimismo larvato de La Banquise) e dall'altra parte a cadere nelle trappole più grossolane dell'ideologia borghese (vedere le ambiguità di La guerre sociale e di Solidarity sul sindacato Solidarnosc in Polonia).

Ciò è tanto più necessario in quanto, come gli studenti radicali del '68, certi gruppi modernisti sviluppano spesso un'analisi lucida e documentata di certi aspetti del capitalismo decadente, cosa che non fa che aggiungere credibilità alle loro scempiaggini politiche.

CHE COSA E' IL PROLETARIATO?

Per Marx, come per tutti i marxisti, i termini di classe operaia e di proletariato sono sempre stati sinonimi. Tuttavia fra quelli che mettono in discussione la natura rivoluzionaria della classe operaia, senza tuttavia osare richiamarsi direttamente all'anarchismo o al populismo radicale della fine del secolo scorso, é frequente inventare una distinzione fra i due termini. La classe operaia comprenderebbe gli operai e gli impiegati che vediamo tutti i giorni sotto il dominio del capitale con le loro lotte per miglioramenti salariali e per l'occupazione. Il proletariato sarebbe una forza rivoluzionaria dai contorni più o meno indeterminati, comprendente un po' tutto quello che, in un momento o in un altro, può rivoltarsi contro l'autorità dello Stato. Esso può andare dall'operaio della metallurgia al teppista di professione, passando per le prostitute, ricchi o poveri, omosessuali o studenti, secondo il pensiero "modernista". (Vedere il fascino che esercitavano i fuorilegge sull'Internazionale Situazionista o su Le Mouvement Communiste; vedere il giornale Il teppista della metà degli anni '70; vedere la fissazione di Solidarity sul femminismo).

Per la rivista Invariance (di Camatte), nel 1974, la definizione di proletariato finì per essere allargata al suo massimo: l'intera umanità. Dalla comprensione che il dominio del capitale era diventato sempre più totalitario e impersonale sulla società se ne deduceva che era tutta la "comunità umana" che doveva rivoltarsi contro il capitale. Cosa che equivaleva a negare la lotta di classe come dinamica della rivoluzione.

Oggi, La Guerre sociale ci offre un'altra definizione, più restrittiva, ma di poco più precisa:

"Il proletario non è l'operaio, e nemmeno gli operai e gli impiegati, lavoratori dei livelli bassi. Il proletario non è il produttore, anche se il produttore può essere proletario. Il proletario è quello che è 'tagliato da', è 'l'escluso', è il 'senza risorse'" (La guerre sociale n.6, "Lettera aperta ai compagni del 'Partito Comunista Internazionale mantenuto'", dicembre 1982).

E' vero che il proletariato é escluso, tagliato da ogni capacità reale di controllo sulla vita sociale, e dunque sulla sua propria vita; é vero che, contrariamente a certe classi sfruttate precapitalistiche, egli non possiede i suoi mezzi di produzione e vive senza risorse. Ma non é solo questo. Il proletario non è un "povero" come un altro. Egli é anche un produttore, il produttore del plusvalore che viene trasformato in capitale. Egli é sfruttato collettivamente, e la sua resistenza al capitale è immediatamente collettiva. E queste sono differenze sostanziali.

Allargare la definizione di proletariato non significa accrescere la classe rivoluzionaria, ma diluirla nella nebbia dell'umanesimo.

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La Banquise, al seguito di Invariance, crede di poter fare riferimento a Marx per allargare la nozione di proletariato.

"Il prodotto si trasforma(...) in prodotto sociale, prodotto comune di un lavoratore complessivo, cioè di un personale da lavoro combinato, le cui membra hanno una parte più grande o più piccola nel maneggio  dell'oggetto del lavoro. Quindi col carattere cooperativo del processo lavorativo si amplia necessariamente il concetto del lavoro produttivo e del veicolo di esso, cioè del lavoratore produttivo. Ormai per lavorare produttivamente non è più necessario por mano personalmente al lavoro, è sufficiente essere organo del lavoratore complessivo e compiere una qualsiasi delle sue funzioni subordinate." (Marx, Il Capitale, Libro I, sezione V, cap. 14, Editori Riuniti)

Tuttavia, quello che Marx mette in rilievo qui non è che tutti nel mondo sarebbero diventati produttivi o proletari. Quello che egli sottolinea, è che la qualità specifica del compito assolto da questo o quel lavoratore non costituisce, nel capitalismo sviluppato, un criterio, una determinazione valida per stabilire se egli è produttivo o no. Modificando il processo di produzione secondo i suoi bisogni, il capitale sfrutta l'insieme della forza lavoro che esso compra, come quella di un lavoratore produttivo. L'utilizzazione concreta che esso fa di ognuno dei suoi salariati, operaio di panetteria o impiegato d'ufficio, produttore di armi o spazzino, è secondario dal punto di vista del sapere chi è sfruttato dal capitale. E' l'insieme complessivo che lo è. Il proletariato, la classe operaia include senz'altro oggi la maggior parte dei lavoratori del settore detto "terziario".

Per quanto si sia sviluppata, la dominazione del capitale non ha generalizzato a tutta la società la condizione di proletario. Il capitale ha generato una enorme massa di marginalizzati senza lavoro, soprattutto nei paesi sottosviluppati. Esso ha lasciato sopravvivere dei settori precapitalisti, come i piccoli contadini, il piccolo commercio, l'artigianato, le libere professioni.

Il capitale domina tutti i settori della società. E tutti quelli che subiscono il suo dominio nella miseria hanno delle ragioni per rivoltarsi contro di esso. Ma solo la parte che è direttamente legata al capitale attraverso il salariato e la produzione di plusvalore è veramente antagonista al capitale: essa sola costituisce il proletariato, la classe operaia.

PERCHÉ IL PROLETARIATO E' LA CLASSE RIVOLUZIONARIA?

Prima di Marx, la dinamica della storia della società rimaneva un mistero. Si faceva ricorso a delle nozioni di tipo religioso, come "La Provvidenza", al genio dei capi militari, o alla Storia con al S maiuscola, per tentare, invano, di tracciare un quadro coerente. Dimostrando il posto centrale della lotta di classe in questa dinamica, il marxismo ha, per la prima volta, permesso di comprenderla.

Tuttavia, facendo ciò, il marxismo non ha fornito una maniera di interpretare il mondo, ma una visione del mondo che permette allo stesso tempo di trasformarlo. Marx considerava che la sua scoperta fondamentale non era l'esistenza della lotta di classe in sè - che i teorici borghesi avevano già individuato - ma il fatto che la lotta di classe conduce alla dittatura del proletariato.

L'antagonismo inconciliabile tra classe operaia e capitale - dice Marx - deve condurre a una lotta rivoluzionaria per la distruzione dei rapporti sociali capitalisti e l'instaurazione di una società di tipo comunista. Questa rivoluzione avrà come protagonista la classe operaia; essa si dovrà organizzare in maniera autonoma, in quanto classe, rispetto al resto della società ed esercitare una dittatura politica al fine di distruggere da cima a fondo le basi del vecchio regime.

E' questa analisi che i modernisti rigettano:

"Per trasformare realmente le loro condizioni di esistenza, i proletari non devono sollevarsi in quanto 'classe operaia'; ma è questo la cosa più difficile, perché essi si battono proprio a partire dalle loro condizioni di esistenza. La contraddizione non sarà chiarita teoricamente se non quando essa sarà stata superata nella pratica." (La Banquise n° 1, "Prima della sconfitta", p. 11). "Il proletariato non deve ergersi in forza sociale prima di cambiare il mondo". (idem, n° 2, "La storia delle nostre origini", p. 29).

"Ma, fin d'ora, si finisce per chiudersi in questa oppressione se non la si attacca in quanto proletari, o in quanto esseri umani, e non sulla base di una specificità - che diventa sempre più illusoria - da conservare o da difendere. Il peggio è fare di questa specificità il depositario di una capacità di rivolta". (La guerre sociale, n° 5, "Verso la comunità umana", p. 32, sottolineatura nostra).

I modernisti non sanno che cos'è il proletariato fondamentalmente perché essi non comprendono perché il proletariato è rivoluzionario. Perché dovrebbe organizzarsi separatamente, in quanto classe, visto che esso deve battersi per l'eliminazione delle classi? Per i modernisti la classe operaia, in quanto classe, non è più rivoluzionaria di altri: in quanto classe, la sua lotta resta limitata ai miglioramenti salariali e alla difesa del lavoro da schiavo. Invece di costituirsi in classe politica, il proletariato dovrebbe cominciare con il negarsi come classe e affermarsi in quanto "esseri umani".

Il peggio, dice La guerre sociale, è fare di una specificità - essere operaio, per esempio - il depositario di una capacità di rivolta.

Con i modernisti, la storia sembra sempre cominciare con loro. La Comune di Parigi, lo sciopero di massa in Russia nel 1905, la Rivoluzione d'ottobre del 1917, il movimento rivoluzionario in Germania nel 1919, tutto ciò non ha dimostrato niente, non ha insegnato niente.

"La contraddizione non sarà chiarita teoricamente se non quando essa sarà stata superata nella pratica" dice La Banquise. Ma chi ha condotto le lotte rivoluzionarie contro il capitale da più di mezzo secolo se non la classe operaia che si batteva per la difesa delle sue aspirazioni specifiche?

Perché è sempre stato così?

"Perché nel proletariato pienamente sviluppato è fatta astrazione da ogni umanità, perfino dalla parvenza; perché nelle condizioni di vita del proletariato sono riassunte tutte le condizioni di vita dell'odierna società nella loro forma più inumana; perché l'uomo nel proletariato ha perduto sé stesso, ma, contemporaneamente, non solo ha acquistato la coscienza teorica di questa perdita, bensì è stato spinto direttamente dalla necessità ormai incombente, ineluttabile, assolutamente imperiosa - dall'espressione pratica della necessità - alla ribellione contro questa inumanità; ecco per quali ragioni il proletariato può e deve emanciparsi. Ma esso non può emanciparsi senza sopprimere le proprie condizioni di vita. Esso non può sopprimere le proprie condizioni di vita senza sopprimere tutte le inumane condizioni di vita della società attuale, che si riassumono nella sua situazione." (Marx, "La sacra famiglia", cap. 4, Ed. Riuniti).

Questa è la specificità della classe operaia: i suoi interessi immediati e storici coincidono con quelli dell'intera umanità, il che non è per nessuna altra classe della società. Il proletariato non può liberarsi del salariato capitalista, la forma più matura dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, senza eliminare ogni forma di sfruttamento, "tutte le inumane condizioni di vita della società attuale". Ma da ciò non deriva affatto che tutte le parti dell'umanità possiedano la forza materiale e la coscienza indispensabile per intraprendere una rivoluzione comunista.

La classe operaia trae la sua forza innanzitutto dalla sua posizione centrale nel processo di produzione. Il capitale non è macchine e materie prime; il capitale è un rapporto sociale. Quando, attraverso la sua lotta, la classe operaia rifiuta questo rapporto, il capitale è immediatamente paralizzato. Non c'è capitale senza plusvalore, non c'è plusvalore senza lavoro dei proletari, è in questo che risiede la potenza dei movimenti di sciopero di massa. Ciò spiega in parte perché la classe operaia può intraprendere materialmente la distruzione del capitalismo. Ma ciò non basta per spiegare perché essa può gettare le basi di una società comunista.

Gli schiavi di Spartaco, nell'antichità, o i servi della gleba nel feudalesimo avevano anch'essi una situazione centrale, determinante nel processo di produzione. Tuttavia le loro rivolte non potevano sboccare in una prospettiva comunista.

"La divisione della società in una classe che sfrutta e una classe che è sfruttata, in una classe che domina e una classe che è oppressa, è stata la conseguenza necessaria del precedente angusto sviluppo della produzione. Sino a quando il complessivo lavoro sociale fornisce solo un provento che supera soltanto di poco ciò che è necessario per un'esistenza stentata di tutti, sino a quando perciò il lavoro impegna tutto o quasi tutto il tempo della maggioranza dei membri della società, necessariamente la società si divide in classi." (Engels, "AntiDuhring, parte 3, cap. 2, Editori Riuniti).

Il proletariato è portatore del comunismo perché la società capitalista ha creato i mezzi materiali della sua realizzazione. Sviluppando le ricchezze materiali della società al punto di permettere una abbondanza sufficiente per sopprimere le leggi economiche, cioè le leggi della gestione della penuria, il capitalismo ha aperto una prospettiva rivoluzionaria per la classe che esso sfrutta.

Infine, il proletariato è portatore della rivoluzione comunista perché è il portatore della coscienza comunista. Se si escludono le visioni semireligiose precapitalistiche di una società senza sfruttamento, il progetto di una società comunista senza proprietà privata, senza classi, dove la produzione sia orientata esclusivamente verso il soddisfacimento dei bisogni umani, appare e si sviluppa con l'esistenza della classe operaia e delle sue lotte. Le idee socialiste di Babeuf, Saint-Simon, Owen, Fourier, traducono lo sviluppo della lotta operaia alla fine del 18° secolo e all'inizio del 19°. La nascita del marxismo, la prima teoria coerente e scientificamente fondata del comunismo coincide con l'apparizione della classe operaia come forza politica specifica (Movimento Cartista in Inghilterra, Rivoluzioni del 1848). Da allora, in una maniera o in un'altra, con più o meno chiarezza a seconda dei casi, tutte le lotte importanti della classe operaia hanno ripreso le idee comuniste.

Le idee comuniste, la teoria rivoluzionaria, non si sono sviluppate che attraverso e in vista della comprensione delle lotte operaie. Tutti i grandi passi avanti della teoria della rivoluzione comunista sono state il prodotto, non delle pure deduzioni logiche di qualche pensatore da biblioteca, ma dell'analisi militante e impegnata dei grandi passi del movimento reale della classe operaia.

Ancora, è per questo che è solamente la classe operaia che ha messo in pratica (Comune di Parigi, Ottobre '17) la distruzione del potere capitalista in una direzione comunista.

La storia del movimento comunista non è altro che la storia del movimento operaio.

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Questo vuol dire che il proletariato può fare la rivoluzione tutto solo ignorando il resto della società? Dopo il 19° secolo, il proletariato sa che il comunismo deve essere "l'unificazione del genere umano". L'esperienza della rivoluzione russa ha dimostrato l'importanza per la sua lotta dell'appoggio di tutti gli strati sfruttati. Ma l'esperienza ha anche messo in evidenza che solo il proletariato è capace di offrire un programma rivoluzionario coerente. L'unificazione dell'umanità, e in un primo tempo di tutti gli sfruttati, non può farsi che sulla base dell'attività e del programma della classe operaia. Organizzandosi in maniera separata, il proletariato non divide la società, esso si dà i mezzi per condurre la sua unificazione comunista.

E' perciò che, contrariamente a quello che affermano i modernisti, la marcia verso la rivoluzione comunista comincia con l'organizzazione unitaria della classe operaia come forza autonoma, con la dittatura del proletariato.

LO SCOMBUSSOLAMENTO DEL MODERNISMO

Il periodo storico

Comprendere il periodo storico attuale ignorando che è la classe operaia che è la forza rivoluzionaria, è difficile quanto capire la fine del regime feudale senza tener conto dello sviluppo della borghesia rivoluzionario.

Difficilmente si può sapere se le condizioni di un rovesciamento rivoluzionario si sviluppano o meno se non si sa ancora identificare il protagonista di una tale rivoluzione.

Chiunque conosce la storia del movimento operaio e comprende la sua natura rivoluzionaria sa che il processo che conduce il proletariato alla rivoluzione comunista non ha niente di lineare o di automatico. E' una dinamica dialettica fatta di arretramenti e di avanzate, dove solo una lunga pratica ed esperienza della lotta permette a dei milioni di proletari, sotto la pressione della miseria, di unificarsi, di ritrovare le lezioni delle lotte passate, si scoperchiare la cappa ideologica della classe dominante, per lanciarsi in un nuovo assalto contro l'ordine stabilito.

Ma quando nelle lotte operaie come classe non si vede che delle lotte senza uscita, senza comprenderle nella loro dinamica e potenzialità rivoluzionarie, non si può che rimanere sconcertati. Se non si vede nelle lotte come quelle della Polonia '80 che delle lotte "interne al capitalismo", è normale che si sia depressi, 15 anni dopo il Maggio '68; è normale che non si veda il fatto che, malgrado il riflusso momentaneo delle lotte operaie dopo il 1980, gli scioperi che, puntualmente, scoppiano qui e lì nel cuore dei paesi industrializzati (Belgio '82, Italia '83) dimostrano che non si assiste ad un imbrigliamento degli operai dietro gli interessi dell'economia nazionale e i suoi rappresentanti sindacali, ma, al contrario, a degli scontri sempre più violenti fra operai e sindacati.

E' così che il n° 1 de La Banquise si apre con questa frase caratterizzata dalla nostalgia delle barricate del 1968 a Parigi e da un tono depressivo:

"Sotto le pietre, la spiaggia, dicevamo prima della grande glaciazione. Oggi, la banchisa ha ricoperto tutto. Dieci, venti, cento metri di ghiaccio sopra le pietre, allora, la spiaggia..."

E' una depressione tanto senile quanto era infantile l'illusione degli studenti radicali del '68 che credevano che si potesse "tutto, e subito".

L'impotenza e la confusione del modernismo di fronte alla lotta operaia

Non è per niente un caso che pubblicazioni moderniste come Solidarity o La Guerre sociale abbiano cessato di uscire al momento delle lotte operaie in Polonia. Come la piccola borghesia di cui è una espressione "radicale", la corrente modernista vive nell'ambiguità e l'esitazione tra il rigetto dell'ideologia borghese e un disprezzo per le lotte terra terra degli operai. Quando la forza della rivoluzione si afferma, anche in maniera embrionaria, come in Polonia, la storia tende a sbarazzarsi delle ambiguità e quindi delle ideologie che vi pullulano. E' quello che è momentaneamente successo al modernismo durante l'anno 1980.

Ma lo scombussolamento politico di questa corrente non si arresta disgraziatamente all'impotenza. Essa può arrivare alla difesa delle posizioni più piattamente gauchistes quando deve pronunciarsi su una lotta operaia.

E' così che La Guerre Sociale si ritrova a fianco di trotskysti e altri democratici a ripetere che il sindacato Solidarnosc - l'organizzatore della sconfitta del proletariato in Polonia - è un organo proletario:

"Incontestabilmente Solidarnosc è un organo del proletariato. Il fatto che alla sua testa ci siano degli elementi usciti da strati sociali non operai (intellettuali ed altri) non toglie nulla al fatto che il proletariato fin dall'inizio si sia riconosciuto in esso. Come spiegare, se no, l'adesione della quasi totalità del proletariato polacco? Come spiegare l'influenza del sindacato su questo?" ("La Guerre Sociale", n° 6)

E' questo il modo di ragionamento limitato tipico dei gauchistes nello spirito della III Internazionale in degenerazione. Secondo questa logica la Chiesa polacca, che ha più fedeli polacchi di Solidarnosc, dovrebbe essere anch’essa "incontestabilmente un organo del proletariato"... e il Papa, Lenin!

La Guerre Sociale parla anche in termini generali della natura dei sindacati, ma solo per resuscitare la vecchia zuppa ambigua del gruppo "Pouvoir Ouvrier" (fine degli anni '60, proveniente anch'esso da Socialisme ou Barbarie) della “doppia natura dei sindacati”:

Il sindacato non è un organo del capitale, una macchina da guerra contro il proletariato, ma l'espressione organizzativa del suo rapporto col capitale, antagonismo e cooperazione. Esso esprime allo stesso tempo che il capitale non è niente senza il proletariato e, in termini immediati, viceversa." (idem)

Nel capitalismo decadente non c'è cooperazione tra capitale ed operai che possa tornare a profitto di questi ultimi. La visione che identifica, nella nostra epoca, i sindacati alla classe operaia, non è nient'altro che quella della propaganda delle classi dominanti (che sanno d'altronde cooperare a livello mondiale per costruire una credibilità a Solidarnosc). Essa poggia sull'idea che ci possa essere conciliazione tra l'interesse del capitale e l'interesse del proletariato; essa ignora la natura rivoluzionaria della classe operaia. E' così che la Guerre Sociale può fare candidamente la seguente constatazione:

"La differenza sostanziale tra Solidarnosc e il proletariato polacco è che il primo teneva conto degli interessi economici nazionali e internazionali, necessari alla sopravvivenza del sistema, mentre il secondo ha proseguito la difesa dei suoi interessi immediati senza preoccuparsi minimamente dei problemi della valorizzazione del capitale" (Idem)

Solo ignorando la natura rivoluzionaria del proletariato, considerando questo essenzialmente come una parte del capitale e non come il suo distruttore, si può vedere una qualunque identità tra gli "interessi economici nazionali e internazionali" del capitale e gli "interessi immediati" del proletariato.

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Il proletariato è la prima classe rivoluzionaria che sia allo stesso tempo una classe sfruttata. Il processo di lotte che lo conduce alla rivoluzione comunista è inevitabilmente marcato da periodi di riflusso, di ripiego. Questi ripieghi non si concretizzano solo in una diminuzione del numero di lotte operaie. Anche sul piano della coscienza il proletariato subisce un disorientamento che si traduce nell'indebolimento delle sue espressioni politiche rivoluzionarie e facilita il risorgere delle correnti che coltivano "il dubbio" sulla classe operaia.

La rottura del 1968, dopo quasi un mezzo secolo di controrivoluzione trionfante, ha aperto un corso verso lo sviluppo di scontri di classe sempre più decisivi. Questo corso non è stato rovesciato dal riflusso del dopo Polonia, come non lo fu con il riflusso del 1975-78. Le condizioni storiche di questo riflusso di consumano alla stessa velocità con cui si approfondisce la crisi economica del capitalismo e la realtà si incarica di distruggere, lentamente ma sistematicamente, i pilastri dell'ideologia borghese decadente (natura operaia dei paesi dell'est, Stato sociale, democrazia parlamentare, sindacati, lotte di liberazione nazionale, ecc.).

Maturano tutte le condizioni affinché la lotta del proletariato torni a ricordare, con tutta la sua forza, l'avvenire dell'umanità è rovesciare tutti i dubbi sulla sua natura rivoluzionaria.

                     RV

1. Questi tre gruppi sono direttamente o indirettamente legati a Socialisme ou Barbarie, rivista degli anni 50-60, il cui principale animatore, Castoriadis (alias Chaulieu, Cardan, Coudray) teorizzò lungamente il superamento del marxismo.

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