Stalinismo, il blocco dell'Est

30 anni fa la caduta del muro di Berlino. Ancora una volta la borghesia si mobilitata per diffondere la sua grande menzogna

Documentari, trasmissioni radiofoniche, notiziari, articoli di stampa, commemorazioni pubbliche ... tutti mezzi disponibili per ripetere instancabilmente che la caduta del muro, il 9 novembre 1989, è stata il vero simbolo del "fallimento del comunismo". Tuttavia, come abbiamo sempre sostenuto, i regimi stalinisti del blocco dell'Est hanno sempre incarnato una particolare forma di capitalismo di Stato e mai nemmeno lontanamente la società comunista.

Perché i mass-media hanno tanto parlato della caduta del muro di Berlino?

In queste ultime settimane tutti i mezzi di comunicazione hanno trattato a lungo e in largo e soprattutto di traverso del ventennale della caduta del muro di Berlino. Trasmissioni speciali e documentari storici, dibattiti televisivi, serie di articoli nei giornali e nei settimanali, nessuno di noi ha potuto evitare questo enorme battage. Perché?

Anniversario del crollo dello stalinismo. 20 anni dopo l’euforia, la borghesia abbassa le ali

20 anni fa si è verificato uno degli avvenimenti più importanti della seconda parte del ventesimo secolo: il crollo del blocco imperialista dell’Est e dei regimi stalinisti d’Europa, tra cui il principale era quello dell’URSS.

Questo avvenimento è stato utilizzato dalla classe dominante per scatenare una delle campagne ideologiche più massicce e pericolose che si siano mai viste contro la classe operaia. Identificando falsamente, ancora una volta, lo stalinismo che stava affondando con il comunismo, e facendo del fallimento economico e della barbarie dei regimi stalinisti la conseguenza inevitabile della rivoluzione proletaria, la borghesia mirava a deviare i proletari da ogni prospettiva rivoluzionaria e ad assestare un colpo decisivo alle lotte della classe operaia.

Avvantaggiata dall’avvenimento, la borghesia ha anche approfittato per far passare una seconda grossa menzogna: con la scomparsa dello stalinismo, il capitalismo sarebbe entrato in un’era di pace e prosperità dove alla fine avrebbe potuto veramente espandersi. L’avvenire, come veniva promesso, si annunciava radioso.

Il 6 marzo 1991, George Bush padre, presidente degli Stati Uniti d’America, forte della sua recente vittoria sull’esercito iracheno di Saddam Hussein, annunciava l’inizio di un “nuovo ordine mondiale” e l’avvento di un “mondo in cui le Nazioni unite, liberate dal vicolo cieco della guerra fredda, sono in grado di realizzare la visione storica dei loro fondatori. Un mondo in cui la libertà e i diritti dell’uomo sono rispettati da tutte le nazioni.

Vent’anni dopo, avremmo potuto quasi riderci sopra se il disordine mondiale e la proliferazione dei conflitti ai quattro angoli del pianeta, che hanno caratterizzato il mondo dopo questo celebre discorso, non avessero sparso tanta morte e miseria. E su questo piano il bilancio diventa anno dopo anno più sempre più pesante.

Quanto alla prosperità, è del tutto fuori luogo parlarne. In effetti, dall’estate 2007 e soprattutto da quella del 2008, “al centro dei discorsi della borghesia le parole “prosperità”, “crescita” e “trionfo del liberalismo” si sono discretamente eclissate. Al tavolo del grande banchetto dell’economia capitalista si è istallato un convitato che si credeva di aver espulso per sempre. La crisi, lo spettro di una “nuova grande depressione”, simile a quella degli anni ‘30. Ieri il crollo dello stalinismo significava il trionfo del capitalismo liberale. Oggi lo stesso liberalismo viene accusato di tutti i mali dall’insieme degli specialisti e politici, compresi coloro che ne erano stati i più accaniti difensori, come il presidente francese Sarkozy! (leggi tutto l'articolo)

Delle difficoltà accresciute per il proletariato

Lo stalinismo ha costituito la punta di lancia della più terribile controrivoluzione subita dal proletariato nel corso della sua storia. Una controrivoluzione che ha permesso la più grande carneficina di tutti i tempi, la seconda guerra mondiale, e l’affossamento di tutta la società in una barbarie senza precedenti. Oggi, col crollo economico e politico dei cosiddetti paesi socialisti, con la scomparsa di fatto del blocco imperialista

Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est

I recenti avvenimenti nei paesi a regime stalinista, scontri alla testa del partito e repressione in Cina, esplosioni nazionaliste e lotte operaie in URSS, costituzione in Polonia di un governo diretto da Solidarnosc, rivestono un’importanza considerevole. Essi rivelano la crisi storica, l’entrata in un periodo di convulsioni acute dello stalinismo. In questo senso, essi ci danno la

Ungheria 1956: un’insurrezione proletaria contro lo stalinismo

Cinquant’anni dopo la rivolta operaia che scosse l’Ungheria nel 1956, gli avvoltoi della borghesia ne “celebrano” l’anniversario nel loro stile abituale. La stampa borghese tradizionale versa una lacrima sulla resistenza eroica del “popolo ungherese” “per l'indipendenza nazionale” e contro gli “orrori del comunismo”. Tutte queste celebrazioni non descrivono che l'apparenza della rivolta, e dunque mascherano e distorcono il suo significato reale

a 15 anni dl crollo del blocco dell'est, un'era di guerra e di caos

L'anno 1989 vede il crollo del blocco sovietico. Quest'avvenimento, frutto in primo luogo della crisi economica mondiale del capitale, avrà subito delle ripercussioni di notevole importanza sulla vita e lo sviluppo del capitalismo. La classe operaia deve ricordare che in quel periodo tutti i leader della borghesia mondiale promettevano una nuova epoca: "Un'era di pace e di stabilità". Secondo costoro il crollo dello stalinismo avrebbe significato la fine della barbarie. Invece, la sanguinosa evoluzione della realtà ha dimostrato molto presto proprio il contrario. Fin dall'inizio degli anni 1990, la barbarie si installava come un dato permanente nella vita della società, diffondendosi all'insieme del pianeta, colpendo in modo sempre più cieco, estendendosi progressivamente alle grandi metropoli capitaliste.

Rifondazione va a congresso per affilare le armi contro i lavoratori (1a parte)

All’inizio dello scorso mese si è tenuto a Venezia il VI congresso del partito della cosiddetta “Rifondazione Comunista”, un evento che abbiamo seguito con interesse non perché tale partito possa costituire un punto di riferimento valido per la classe operaia, ma giusto per il motivo opposto, ovvero per la falsa alternativa che esso propone per tanti giovani e tanti proletari che sono sinceramente alla ricerca di una militanza di classe.

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