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All’inizio dello scorso mese si è tenuto a Venezia il VI congresso del partito della cosiddetta “Rifondazione Comunista”, un evento che abbiamo seguito con interesse non perché tale partito possa costituire un punto di riferimento valido per la classe operaia, ma giusto per il motivo opposto, ovvero per la falsa alternativa che esso propone per tanti giovani e tanti proletari che sono sinceramente alla ricerca di una militanza di classe. Come è noto questo partito, che ha la pretesa di rappresentare l’aspirazione della gran parte della popolazione a raggiungere “un mondo migliore”, presenta al suo interno una forte frammentazione con posizioni che sono anche notevolmente differenziate. Al congresso, che si è appena chiuso, sono state presentate ben 5 diverse mozioni, ognuna espressione di una componente politica tra cui quella maggioritaria, che fa capo a Bertinotti, raccoglie uno stentato 59%. Con questo articolo ed un secondo previsto per il prossimo numero ci proponiamo di fornire elementi di riflessione utili a comprendere non solo che la linea maggioritaria del segretario non corrisponde agli interessi dei lavoratori, ma che le stesse minoranze, ognuna per proprio conto e tutte quante messe assieme, servono solo a illudere la gente che, nonostante tutto, c’è sempre la possibilità di capovolgere la politica del partito e portarlo su una via “rivoluzionaria”.
1. La svolta governista di Rifondazione
Il V Congresso di Rifondazione del 2002 era stato quello della cosiddetta “svolta a sinistra” per l’apertura ai movimenti alter-mondialisti che lo aveva caratterizzato; l’attuale VI congresso si è invece focalizzato tutto sulla scelta della maggioranza di orientare la politica del partito non solo verso la partecipazione ad una coalizione elettorale e di maggioranza governativa di centro-sinistra, ma addirittura verso la partecipazione in senso stretto alla composizione di un prossimo eventuale governo Prodi, con tanto di ministri targati RC. A questo le minoranze hanno reagito sparando a zero e denunciando il fatto che questa scelta sia stata fatta addirittura a prescindere da qualunque accordo di programma, come per dire “ci svendiamo al nemico senza neanche trattare sul migliore prezzo che si può strappare”. Sul fronte opposto Bertinotti e la sua maggioranza non hanno concesso il minimo spazio di trattativa o di mediazione su questo punto. Infatti la concomitante discussione e approvazione degli statuti ha modificato l’assetto di comando del partito, buttando fuori dalla segreteria tutte le minoranze a cui è stato riservato uno spazio effimero all’interno di un parlamentino del partito privo di ogni reale potere decisionale. In altri termini, il partito è stato blindato per ogni eventuale necessità. Questa scelta ha evidentemente tutto il sapore di rafforzare l’esecutivo di un partito che ha la necessità di effettuare scelte difficili, come quella della partecipazione al governo senza essere particolarmente appesantito da discussioni ai livelli degli organi decisionali. Ma perché questa scelta di Rifondazione di orientarsi verso una scelta governativa? A prescindere dal fatto che, in questo momento, è inopportuno sviluppare qualunque previsione su quale possa essere il colore del prossimo governo nazionale in Italia, bisogna tuttavia ricordare che le divisioni interne alla borghesia italiana tra un’opzione filo-americana ed un’altra di tipo più autonoma e filo-europeista, rappresentate grosso modo dalla coalizione di destra e da quella di sinistra rispettivamente, non si sono esaurite. Anche se spesso i messaggi che lanciano i politici sono fortemente criptati, gli interessi a schierarsi su un fronte o su un altro finiscono alla fine per permeare la stessa politica interna dei paesi. In questo senso la scelta di Bertinotti di predisporre il partito per una partecipazione al governo risponde a questa esigenza di una parte della borghesia italiana di poter contare su questo partito per condurre una politica più indipendente dagli USA. Ma RC come tale svolge anche un altro fondamentale ruolo per la borghesia tutta intera, cioè quello di far credere ai lavoratori che esista un partito veramente comunista al quale fare riferimento. Ed è proprio in risposta a questa seconda esigenza che tutte le minoranze hanno tanto starnazzato in questo ultimo periodo contro la scelta governista del partito, facendo spesso delle critiche molto dure allo stesso partito e alle scelte del passato:
“In un contesto storico segnato dall’esaurimento dello spazio riformistico l’ingresso dei partiti comunisti nei governi borghesi significa il loro coinvolgimento nelle politiche di attacco ai lavoratori. Così è stato per il PCF nel governo Jospin nel 97-2001, e per il nostro partito nella maggioranza del primo governo Prodi del 96-98. (…) La cancellazione della controriforma pensionistica di Berlusconi è doverosa: ma va combinata con la cancellazione della riforma Dini voluta dall’Ulivo che ha abbattuto le pensioni future dei giovani per fare largo al capitale finanziario. La cancellazione della legge 30 è una necessità: ma va congiunta all’abolizione del pacchetto Treu, imposto dal governo Prodi col voto del PRC, che ha introdotto la piaga del lavoro interinale. La cancellazione della “Bossi-Fini” è drammaticamente urgente: ma non può risparmiare i campi di detenzione (CPT) imposti dall’Ulivo agli immigrati, col voto favorevole del PRC, e tutte le loro brutture.” (mozione n. 3, pag. 20, sottolineature nostre).
Cosa dobbiamo pensare di un partito che, mentre dice di essere comunista, presenta al suo congresso una mozione in cui si afferma che Rifondazione ha condotto una politica di attacco ai lavoratori? E che per di più afferma che un coinvolgimento ulteriore in prossimi governi non potrebbe che aggravare queste responsabilità? D’altra parte, a leggere le varie mozioni, questa posizione è abbastanza condivisa dalle varie minoranze, il che significa che circa il 40% del partito considera la politica portata avanti da RC come una politica antiproletaria. E allora: che senso hanno queste minoranze se non quella di dare al partito una credibilità che non può avere? Ma aspettiamo di valutare altri importanti punti che seguiranno.
2. Il rapporto strumentale con il movimento alter-mondialista
Come abbiamo detto sopra, il partito aveva tentato la carta dei “movimenti” cercando di farsi uno spazio al loro interno. Ma il bilancio che ne viene fatto al congresso è disastroso: non solo non c’è stato un aggancio reale con il mondo altermondialista, ma di più tutte le componenti del partito denunciano un calo importante nel tesseramento e una minore presenza nelle realtà sociali. Più in particolare viene rimproverato alla maggioranza l’abbandono completo della politica di avvicinamento ai settori altermondialisti in nome dell’assunzione di future responsabilità governative:
“Fin da subito si è consumata una rottura con i settori di sinistra del movimento alter globalizzazione. Emblematico da questo punto di vista è lo strappo coi Disobbedienti, sui quali la maggioranza dirigente dei GC aveva investito tutto il senso del proprio agire. La prospettiva del governo si è tradotta nella dissociazione da parte della segreteria nazionale da tutti gli atti di “disobbedienza” che potevano compromettere la credibilità del PRC agli occhi del Centro liberale italiano: in questo quadro si inseriscono anche le recenti prese di distanza nei confronti di pratiche (quali la “spesa proletaria”) che in passato sono state assecondate acriticamente e che oggi vengono condannate nonostante le minacce repressive del governo.” (Mozione n. 3, pag. 22).
Si può capire tutta la doppiezza di un partito che si era aperto ad un settore sociale solo per ingrossare le proprie fila ma senza avere le risposte ai problemi che i giovani si pongono oggi. E questo vuoto di proposte è stato malamente nascosto da Bertinotti che ha dichiarato all’epoca di non voler fagocitare nessuno, di voler partecipare al movimento alla pari senza farsi maestro nei confronti di altri settori (ma che partito sarebbe mai questo???). D’altra parte la strumentalità di questa svolta movimentista è stata avvertita chiaramente anche dall’interno del partito dalla componente di Bellotti (mozione: “Rompere con Prodi”), che ricorda come:
“Il V Congresso del partito (2002) si era svolto all’insegna della svolta verso i movimenti, della “contaminazione”, della immersione e anzi dell’identificazione completa del PRC con i “movimenti” e in particolare con il movimento “noglobal”. (…) La “contaminazione” con i movimenti ha significato nella pratica la rincorsa alle azioni “disobbedienti” e in generale l’adozione di tutte le teorie “alla moda” negli stati maggiori dei Social Forum. Tale linea portava il partito a voltare le spalle al movimento operaio proprio mentre nel paese reale esplodeva il conflitto sociale, partendo dalla mobilitazione sull’articolo 18. (…) La centralità della contraddizione di classe viene negata, sostituita da una semplice elencazione di “culture critiche” (femminismo, ecologismo, pacifismo) che vengono proposte come pilastri fondanti della nuova identità comunista.” (mozione n. 5, pag. 33).
Come si vede, in Rifondazione c’è la mancanza più assoluta di coerenza su un punto di un certo spessore qual è quello di quale risposta dare alle nuove generazioni. D’altra parte anche chi, come l’on. Russo Spena, sembra prendere una posizione di sinistra appoggiando - a dispetto della direzione del partito - i recenti “espropri proletari” praticati a Roma alla Feltrinelli e in un centro commerciale, non fa che appoggiare opportunisticamente una posizione che è peraltro sbagliata dal punto di vista di classe, come abbiamo cercato di dimostrare in un recente articolo del nostro giornale1.
3. La partecipazione di Rifondazione alla campagna contro il comunismo
Il terzo e ultimo punto che vogliamo affrontare in questo primo articolo è l’identità politica e storica di Rifondazione. Come molti ricorderanno, Rifondazione viene fuori da quella costola del vecchio PCI che non ha voluto adeguarsi al “traghettamento di Occhetto verso la democrazia”2. Il nuovo partito, gestito in una prima fase da vetero-stalinisti alla Garavini e Cossutta, ha finito per costituire per la borghesia un utile polo di attrazione per tutti gli scontenti di una politica troppo responsabile e ligia alle esigenze della borghesia come era quella del vecchio PDS (ora DS). Il partito è un po’ per volta andato assumendo una nuova connotazione e oggi che la vecchia dirigenza stalinista è stata emarginata, la leadership di Bertinotti, ex sindacalista combattivo ma privo di una militanza di partito, esprime il nuovo partito della sinistra italiana. Il problema è che questo partito è oggi completamente privo di identità politica e storica. Si autodefinisce comunista, ma di fatto al suo interno ognuno dà a questo termine il significato più diverso. Questo carattere indefinito però, tutto sommato, ha fatto la fortuna di Rifondazione perché è proprio questa mancanza di definizione che permette a questo partito di incamerare tutte le tendenze di sinistra che si vogliono. La mancanza di una piattaforma più stretta, come quella dei vecchi PCI, è infatti un elemento che consente sia di lasciare libero l’ingresso a nuove componenti, sia di mantenere l’illusione in queste stesse componenti che vi possa essere un maggiore spazio di azione nel partito. Non è un caso che il partito sia infestato di trotskisti che, notoriamente, praticano la politica dell’entrismo, ovvero di lavorare all’interno di un partito che essi stessi considerano opportunista per poter avere la possibilità di “guadagnare alla propria causa” i suoi militanti. Naturalmente tutto ciò non toglie che ci siano delle prese di posizione di una certa importanza che fanno capire la reale posizione dei gruppi dirigenti del partito. Ci riferiamo in particolare al seguente passaggio della mozione di maggioranza:
“La critica allo stalinismo non è, quindi, semplicemente la critica alle degenerazioni di quei sistemi ma al nucleo duro che ha determinato quell’esito ed è per questo motivo il punto irrinunciabile per la costruzione di una nuova idea del comunismo e del modo di costruirlo”. (tesi n. 6, mozione n. 1, pag. 3).
Di fatto questo passaggio esprime il ripudio ufficiale del marxismo da parte di RC. Infatti, nel suo carattere secco, si vuole attribuire al marxismo (“il nucleo duro”) la responsabilità della degenerazione di quei sistemi che invece è legata alla sconfitta dall’interno della rivoluzione e dal ritorno della dominazione borghese attraverso lo stalinismo, che è il vero nemico del comunismo. Da qui capiamo che in realtà il termine “Rifondazione comunista” trova tutto il suo significato nel tentativo di riscrivere e dare un senso nuovo e diverso al termine comunismo, sulla base della pretesa critica al “nucleo duro” che avrebbe determinato l’esito della degenerazione! Questa dichiarazione fa il filo al “libro nero del comunismo”3 e a tutta la campagna anticomunista scatenata dopo la caduta del muro di Berlino, dandogli uno sbocco moderato di reinterpretazione democratica e non violenta del comunismo.
Ezechiele, 2 aprile 2005
1. Vedi a tale proposito il nostro articolo A proposito di “espropri proletari” pubblicato su RI n. 138.
2. Si tratta della metamorfosi subita dal PCI in seguito alla caduta del blocco dell’est e alla necessità di adeguare la propria politica ad un contesto internazionale e nazionale profondamente modificati. Che le condizioni operaie rimanessero immutate in tutto questo fa capire quanto poco già il vecchio PCI avesse a che fare con la difesa degli interessi della classe operaia. Sulla evoluzione di Rifondazione vedi i nostri articoli su RI n. 69 e 99 e 108.
3. Libro apparso negli anni ’90 dopo la caduta del muro di Berlino e che aveva lo scopo di raccontare tutte le malefatte del comunismo, che erano in realtà le malefatte degli odiati regimi stalinisti, fatti passare per comunisti. Vedi a tale proposito il nostro articolo su RI n. 104.