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Secondo l'erronea idea "popolare" il comunismo sarebbe una società in cui tutto è diretto dallo Stato. Non c'è portavoce della borghesia, dai professori universitari ai giornalisti, che non propaghi instancabilmente questa idea che è alla base dell'identificazione fra comunismo e paesi stalinisti dell'Est.
Ma una menzogna anche ripetuta mille volte rimane sempre una menzogna. Per Marx, per Engels e per tutti i rivoluzionari che hanno seguito i loro passi, il comunismo è una società senza Stato, una società dove gli essere umani dirigono la loro vita senza che ci sia una potenza coercitiva a inquadrarli, senza governo, senza esercito, senza prigioni e senza frontiere.
Ma anche a questa versione del comunismo la borghesia ha la risposta pronta: "Certo, certo, ma non è altro che un'utopia, un sogno irrealizzabile: la società moderna è troppo complessa, troppo ramificata e gli esseri umani sono troppo inaffidabili, violenti ed avidi di potere e privilegi". I professori più raffinati (come ad esempio J. Talmon, autore del libro "Le origini della democrazia totalitaria") sono lì pronti a spiegare che qualsiasi tentativo di creare una società senza Stato non può che far nascere un mostruoso Stato-Leviatano, come quello apparso in Russia sotto Stalin.
E tuttavia c'è qualcosa che non quadra.... Se la visione di un comunismo senza Stato non è altro che un'utopia, un sogno inoffensivo, perché mai i padroni dell'attuale Stato spendono tante energie a ripetere la bugia per cui comunismo = controllo statale sulla società? Vuoi vedere che la versione autentica del comunismo costituisce veramente una sfida sovversiva all'ordine esistente e che questo è possibile perché questa versione corrisponde alle necessità del movimento reale che è necessariamente costretto a scontrarsi con lo Stato e con la società da lui protetta?
Se il marxismo costituisce il punto di vista teorico ed il metodo di lavoro di questo movimento, del movimento del proletariato internazionale, allora è facile vedere perché tutte le varianti dell'ideologia borghese, comprese quelle ad etichetta "marxista", hanno sempre fatto carte false pur di seppellire la teoria marxista dello Stato sotto immense discariche di immondizie intellettuali. Quando nel 1917 ha scritto Stato e rivoluzione Lenin parlava già di "riportare alla luce" la vera posizione marxista da sotto gli strati di scorie riformiste. Oggi, dopo tutte le campagne di propaganda sull'equazione capitalismo di Stato stalinista = comunismo, bisogna scavare ancora di più. Ecco il perché di questo articolo centrato su quell'avvenimento straordinario che fu la Comune di Parigi, prima rivoluzione proletaria della storia che per la classe operaia è stata una fonte preziosa di esperienza.
LA I INTERNAZIONALE: ANCORA UNA VOLTA, LA LOTTA POLITICA
Nel 1864 Marx usciva da più di un decennio di profonda immersione nel lavoro di ricerca teorica per ritornare all'impegno politico pratico. Nel decennio seguente l'essenziale delle sue energie sarà investito in due questioni politiche essenziali: la formazione di un partito internazionale dei lavoratori e la conquista del potere politico da parte del proletariato.
Dopo il lungo riflusso della lotta di classe seguito alla disfatta delle grandi insurrezioni sociali del 1848, il proletariato europeo cominciava a mostrare segni di ripresa a livello di coscienza e combattività. Lo sviluppo del movimento di scioperi su rivendicazioni sia economiche che politiche, la formazione di sindacati e cooperative operaie, la mobilitazione operaia su questioni di politica "estera", come il sostegno all'indipendenza della Polonia o alle forze antischiaviste nella guerra civile americana, tutto questo aveva convinto Marx che il periodo di disfatta volgeva ormai al termine. Per questo diede il suo sostegno all'iniziativa dei sindacati inglesi e francesi di formare nel settembre 1864 l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (1). Come dice Marx stesso nel Rapporto del Consiglio Generale dell'Internazionale al Congresso di Bruxelles del 1868: "Questa Associazione non è figlia nè di una setta, nè di una teoria. Essa è il prodotto spontaneo del movimento proletario, a sua volta creato dalle tendenze naturali ed incomprimibili della società moderna" (2). Il fato che le motivazioni di molti dei fondatori dell'Internazionale avessero poco in comune con le idee di Marx (ad esempio lo scopo principale dei sindacati inglesi era quello di utilizzare l'Internazionale per arginare l'afflusso di crumiri da altri paesi durante gli scioperi), non impedì dunque a quest'ultimo di giocarvi un ruolo decisivo; membro del Consiglio Generale per quasi tutta la sua esistenza, ne ha scritto molti dei documenti più importanti. L'Internazionale era allora il prodotto di un movimento proletario ad un certo grado del suo sviluppo storico, in una fase in cui stava ancora definendosi come una forza all'interno della società borghese. In una tale situazione era possibile e necessario che la frazione marxista lavorasse nell'Internazionale a fianco di altre tendenze della classe operaia, partecipando alle sue attività immediate a livello delle lotte quotidiane degli operai. Allo stesso tempo i marxisti si battevano per liberare l'organizzazione dai pregiudizi borghesi e piccolo-borghesi ed impregnarla per quanto possibile della chiarezza teorica e politica necessaria per poter agire da avanguardia rivoluzionaria di una classe rivoluzionaria.
Non è questo il momento di fare la cronistoria di tutte le lotte dottrinarie e pratiche affrontate dalla frazione marxista all'interno dell'Internazionale. Basterà ricordare che esse erano basate su principi già codificati nel Manifesto Comunista e ulteriormente rinforzati dall'esperienza delle rivoluzioni del 1848:
- "L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori medesimi" (3), di qui la necessità di un'organizzazione "decisa dagli operai e per gli operai" (4), e la rottura con l'influenza dei liberali e dei riformisti borghesi; in breve, battersi per una politica ed una linea di azione indipendenti per il proletariato e questo anche in un periodo in cui le alleanze con le frazioni progressiste borghesi erano ancora possibili. All'interno dell'Internazionale la difesa di questi principi doveva portare alla rottura con Mazzini e con i suoi discepoli nazionalisti borghesi.
- Di conseguenza "la classe operaia non può agire in tanto che classe che costituendosi in partito politico, distinto ed opposto a tutti i partiti formati dalle classi proprietarie" e dunque "questa costituzione della classe operaia in partito politico è indispensabile per assicurare il trionfo della rivoluzione sociale ed il suo scopo finale: l'abolizione delle classi" (5). Questa difesa di un partito di classe, un'organizzazione internazionale e centralizzata raggruppante i proletari più avanzati (6) è stata portata avanti contro tutti gli elementi anarchici, "anti-autoritari", federalisti, in particolare contro i seguaci di Proudhon e di Bakunin. Questi ultimi pensavano che ogni forma di centralizzazione fosse per definizione dittatoriale e che, comunque, l'Internazionale non avesse niente a che vedere con la politica, sia che si fosse in una fase di difesa che in una fase di attacco rivoluzionario. L'Indirizzo Inaugurale dell'Internazionale nel 1864 insisteva già sul fatto che la conquista del potere politico è divenuto il primo dovere della classe operaia" (7). La risoluzione del 1871 costituisce dunque un richiamo di questo principio fondamentale contro tutti quelli che credevano che si potesse fare una rivoluzione sociale senza che gli operai si prendessero la pena di formare un proprio partito e di battersi in quanto classe per il potere politico.
Nel periodo che va dal 1864 al 1871, il dibattito sull'impegno in "politica" era in gran parte centrato sulla questione se la classe operaia dovesse o no partecipare all'attività politica in un ambito borghese (appello per il suffragio universale, partecipazione dei partiti operai al parlamento, lotta per i diritti democratici, etc.), con l'obiettivo di ottenere riforme e rinforzare la sua posizione all'interno della società capitalista. I bakuninisti ed i blanquisti (8), campioni dell'onnipotenza della volontà rivoluzionaria, rifiutavano di analizzare le condizioni materiali concrete in cui agiva il movimento operaio e rigettavano tali tattiche come una deviazione dalla rivoluzione sociale. La frazione materialista di Marx dal canto suo constatava che il capitalismo in quanto sistema mondiale non aveva ancora creato tutte le condizioni per la trasformazione rivoluzionaria della società e che, di conseguenza, la classe operaia era ancora obbligata a lottare per delle riforme parziali, sia politiche che economiche. In questa lotta, non solo migliorava la sua condizione materiale, ma si preparava ed organizzava per la prova di forza rivoluzionaria che avrebbe inevitabilmente concluso la traiettoria storica del capitalismo verso la crisi e la catastrofe.
Questo dibattito sarebbe proseguito all'interno del movimento operaio nei decenni seguenti anche se in condizioni diverse e con diversi protagonisti. Ma nel 1871 un evento straordinario doveva far fare un salto di livello al dibattito sull'azione politica della classe operaia. Quello fu l'anno della prima rivoluzione proletaria della storia, l'anno della conquista effettiva del potere politico da parte della classe operaia: quello fu l'anno della Comune di Parigi.
La Comune e la concezione materialista della storia
"Ogni passo del movimento reale vale più di una dozzina di programmi" (9).
Il dramma e la tragedia della Comune di Parigi sono stati brillantemente analizzati da Marx in La guerra civile in Francia, pubblicato nell'estate del 1871 come Indirizzo Ufficiale dell'Internazionale. In questa polemica appassionata Marx mostra come una guerra tra nazioni, la Francia e la Prussia, si è trasformata in guerra tra classi: in seguito al disastroso crollo militare della Francia, il governo Thiers, con sede a Versailles, aveva concluso una pace impopolare e cercato di imporla a Parigi: Questo poteva solo essere fatto disarmando gli operai raggruppati nella Guardia Nazionale. Il 18 marzo 1871 truppe inviate da Versailles cercarono di impadronirsi dei cannoni della Guardia Nazionale: si trattava della prima tappa di una repressione massiccia che doveva colpire la classe operaia e le sue avanguardie rivoluzionarie. Ma gli operai di Parigi risposero scendendo in massa per le strade ed inducendo alla fraternizzazione le truppe di Versailles. Pochi giorni dopo fu proclamata la Comune.
Il nome di Comune era un ricordo della Comune rivoluzionaria del 1793, organo dei sanculotti durante le fasi più radicali della rivoluzione francese. Ma la seconda Comune aveva un significato completamente differente: non era rivolta verso il passato, ma verso il futuro, quello della rivoluzione comunista della classe operaia.
Marx durante l'assedio di Parigi aveva messo in guardia contro una insurrezione che, nelle condizioni militari del momento, sarebbe stata una "disperata follia" (10). Nonostante questo , non appena l'insurrezione si verificò, Marx e l'Internazionale presero posizione ed espressero una solidarietà incrollabile ai Comunardi -fra i quali i membri parigini dell'Internazionale giocarono un ruolo d'avanguardia, anche se quasi nessuno era di osservanza "marxista". Nessun altro atteggiamento era possibile di fronte alle infami calunnie lanciate dalla borghesia mondiale contro la Comune ed all'orribile vendetta che la classe dominante si prese su chi aveva osato sfidare la sua sacrosanta "civiltà": dopo il massacro di migliaia di combattenti sulle barricate, migliaia di altri, uomini, donne, bambini, furono abbattuti come bestie per le strade, incarcerati in condizioni disumane, deportati come forzati nelle colonie. Dai giorni della crocifissione dei ribelli di Spartaco, le classi dominanti non si erano più offerte il piacere di un simile bagno di sangue.
Ma al di là della questione elementare della solidarietà proletaria, c'è un altro motivo che ha spinto Marx a dare una enorme importanza alla Comune di Parigi. Anche se era storicamente "prematura", nel senso che non erano ancora presenti tutte le condizioni necessarie per la rivoluzione mondiale, la Comune è stata tuttavia lei stessa un avvenimento di portata mondiale, una tappa indispensabile sulla via di quella rivoluzione; è ancora oggi un tesoro di lezioni per il futuro, per la chiarificazione del programma comunista. Prima della Comune la frazione più avanzata della classe, i comunisti, avevano già compreso che la classe operaia doveva prendere il potere come primo passo verso la costruzione di una società senza classi. Ma nessuno sapeva in che forma il proletariato avrebbe stabilito la sua dittatura, perché un simile passo in avanti teorico poteva essere fatto solo basandosi sull'esperienza vivente della classe. L'esperienza in questione è stata appunto la Comune di Parigi, provando nel modo più vivente possibile che il programma comunista non è un dogma fisso e statico, ma evolve in stretta relazione con la pratica storica della classe operaia: non un'utopia, ma un grande esperimento scientifico il cui laboratorio è il movimento reale della società. E' del resto noto che Engels, nelle successive edizioni del Manifesto Comunista scritto nel 1848, aggiunse all'introduzione un punto specifico per affermare che l'esperienza della Comune aveva reso obsolete e superate le formulazioni del testo che esprimevano l'idea di impadronirsi dell'apparato statale esistente. Le conclusioni che Marx ed Engels hanno tirato dalla Comune sono, in altri termini, una dimostrazione ed una giustificazione del metodo materialistico storico. Come ben sintetizza Lenin in Stato e Rivoluzione:
"In Marx non vi è un briciolo di utopismo; egli non inventa, non immagina una società "nuova". No, egli studia, come un processo di storia naturale, la genesi della nuova società che sorge dall'antica, le forme di transizione tra l'una e l'altra. Egli si basa sui fatti, sull'esperienza del movimento proletario di massa e cerca di trarne insegnamenti pratici. Egli "si mette alla scuola" della Comune, come tutti i grandi pensatori rivoluzionari non esitavano a mettersi alla scuola dei grandi movimenti della classe oppressa,..." (11).
Il nostro scopo qui non è tracciare la storia della Comune, i cui principali eventi sono descritti in La guerra civile in Francia ed in molti altri lavori, alcuni dei quali scritti da rivoluzionari che, come Lissagaray, si erano battuti sulle barricate. Quello che cercheremo di fare è di esaminare che cosa precisamente Max ha imparato dalla Comune.
Marx contro l'adorazione dello Stato
"Non fu dunque una rivoluzione contro questa o quella forma di potere di Stato, legittimista, costituzionale, repubblicano o imperiale. Fu una rivoluzione contro lo Stato stesso, questo aborto soprannaturale della società; fu la riappropriazione del popolo e per il popolo della propria vita sociale." (12)
Le conclusioni che Marx ha tratto dalla Comune di Parigi, non erano pertanto un prodotto automatico dell'esperienza diretta degli operai. Esse erano una conferma ed un arricchimento di un elemento del pensiero di Marx che questi aveva assunto costantemente da quando aveva rotto con l'hegelismo per evolvere verso la causa proletaria.
Prima ancora di divenire chiaramente comunista Marx aveva già cominciato a criticare l'idealizzazione hegeliana dello Stato. Per Hegel il cui pensiero era nei fatti una mescolanza contraddittoria di radicalismo, derivato dalla spinta della rivoluzione borghese, ed il conservatorismo, ereditato dall'atmosfera opprimente dell'assolutismo prussiano, lo Stato, ed in particolare lo Stato prussiano esistente, era definito come l'incarnazione dello Spirito Assoluto, la forma perfetta dell'esistenza sociale. Nella sua critica di Hegel, Marx mostra al contrario che lungi dall'essere il prodotto superiore e più nobile dell'essere umano, il soggetto razionale dell'essere sociale, lo Stato, e soprattutto lo Stato prussiano burocratico, era un aspetto dell'alienazione dell'uomo, della sua perdita di controllo sui propri poteri sociali. Il pensiero di Hegel partiva da una logica capovolta: "Hegel parte dallo Stato e concepisce l'uomo come Stato soggettività; la democrazia parte dall'uomo e concepisce lo Stato come l'uomo oggettività" (13)
A quell'epoca il punto di vista di Marx era quello della democrazia borghese radicale (molto radicale nei fatti dato che, come abbiamo già dimostrato, la vera democrazia portava alla scomparsa dello Stato), un punto di vista secondo il quale l'emancipazione dell'umanità riguardava innanzitutto la sfera della politica. Ma ben presto, incominciando a vedere le cose dal punto di vista della prospettiva operaia, fu capace di capire che se lo Stato diventava estraneo alla società era perché questo è il prodotto di una società fondata sulla proprietà privata ed i privilegi di classe. Nei suoi scritti su La legge contro i ladri di legno, per esempio, egli incominciò ad assumere la concezione secondo la quale lo Stato è il guardiano dell'ineguaglianza sociale, di ristretti interessi di classe; in La questione ebraica iniziò a riconoscere che la reale emancipazione umana non poteva essere ristretta alla sola dimensione politica, ma richiedeva una forma di vita differente. Così fin dall'inizio del comunismo di Marx, questo ebbe sempre la preoccupazione di demistificare lo Stato.
Come abbiamo visto negli articoli su il Manifesto comunista, e le rivoluzioni del 1848 (14), nella misura in cui il comunismo emergeva in quanto corrente con una organizzazione ed un programma politico definito, egli proseguiva nello stesso spirito. Il Manifesto Comunista, scritto alla vigilia dei grandi sollevamenti sociali del 1848, vedeva come prospettiva non solo la presa del potere da parte del proletariato, ma l'estinzione dello Stato una volta che le sue radici, cioè la società divisa in classi, fossero state estirpate e soppresse. E le esperienze reali dei movimenti del 1848 permisero alla minoranza rivoluzionaria organizzata nella Lega comunista di fare molta luce sul cammino del proletariato verso il potere, mettendo in evidenza la necessità, in ogni sollevamento proletario, che la classe operaia conservi le sue proprie armi ed i suoi propri organi di classe, e suggerendo anche (nel 18 Brumaio di Luigi Bonaparte) che il compito per il proletariato rivoluzionario non era quello di perfezionare l'apparato dello Stato borghese, ma di distruggerlo.
In questo modo la frazione marxista non interpreterà l'esperienza della Comune senza patrimonio teorico: le lezioni della storia non sono "spontanee" nel senso in cui l'avanguardia comunista le sviluppa sulla base di un quadro d'idee già esistenti. Ma queste idee devono essere esse stesse costantemente riesaminate e testate alla luce dell'esperienza della classe operaia ed è merito degli operai parigini l'aver offerto una prova convincente che la classe operaia non può fare la rivoluzione impadronendosi di un apparato la cui struttura ed il cui modo di funzionamento sono adattati alla perpetuazione dello sfruttamento e dell'oppressione. Se il primo passo della rivoluzione proletaria è la conquista del potere politico, questo non può aversi senza la distruzione violenta dello Stato borghese esistente.
L'armamento degli operai
E' significativo il fatto che la Comune sia sorta dal tentativo del governo di Versailles di disarmare gli operai: ciò ha dimostrato che la borghesia non può tollerare un proletariato in armi. Al contrario, il proletariato può arrivare al potere solo con le armi in mano. La classe dominante più violenta ed impietosa della storia non permetterà mai di essere privata del potere attraverso un voto, essa dovrà essere costretta a farlo e la classe operaia non può difendere la sua rivoluzione contro tutti i tentativi di rovesciarla, se non dotandosi di una propria forza armata.
Nei fatti due delle critiche più rigorose fatte da Marx alla Comune sono che questa non aveva sufficientemente utilizzato la forza avendo manifestato una "paura superstiziosa" difronte alla Banca di Francia invece di occuparla e di utilizzarla come oggetto di patteggiamento, e che non si era lanciata all'offensiva contro Versailles quando questa non aveva ancora le risorse per condurre l'attacco controrivoluzionario del capitale.
Ma, malgrado queste debolezze, la Comune fece un passo avanti storico decisivo quando, in uno dei suoi primi decreti, decretò la dissoluzione dell'esercito esistente ed introdusse l'armamento generale della popolazione nella Guardia Nazionale che fu realmente trasformata in milizia popolare. Così facendo la Comune segnò il primo passo verso lo smantellamento del vecchio apparato statale, che trova la sua più alta espressione nell'esercito, in una forza armata che sorveglia la popolazione, obbedisce solo ai livelli superiori dell'apparato statale e non è sottoposto a nessun controllo dal basso.
Lo smantellamento della democrazia ad opera della democrazia operaia
A fianco all'esercito, e nei fatti strettamente interdipendente da questo, l'istituzione che concretizza più chiaramente lo Stato come una escrescenza parassitaria divenuta estranea alla società, è la burocrazia, questo insieme bizantino di funzionari permanenti che vedono lo Stato esclusivamente come loro proprietà privata. Anche qui la Comune prese delle misure immediate per liberarsi di questo parassita. Engels riassume molto succintamente queste misure nella sua Introduzione alla guerra civile in Francia:
"Contro questa trasformazione, inevitabile finora in tutti gli Stati, dello Stato e degli organi dello Stato, da servitori della società in padroni della società, la Comune applicò due mezzi infallibili. In primo luogo assegnò elettivamente tutti gli impegni amministrativi, giudiziari, educativi, per suffragio generale degli interessati e con diritto costante di revoca da parte di questi. In secondo luogo, per tutti i servizi, alti e bassi, pagò solo lo stipendio che ricevono gli altri operai. Il più alto assegno che pagava era di 6.000 franchi. In questo modo era posto un freno sicuro alla caccia agli impieghi e al carrierismo...." (15).
Anche Marx sottolineava che unendo le funzioni esecutive e legislative, la Comune era un "corpo agente", "non un organismo parlamentare" (16). In altri termini, essa era una forma superiore di democrazia rispetto al parlamento borghese: anche in giorni migliori di quelli, la divisione tra il potere legislativo e l'esecutivo faceva si che quest'ultimo tendeva a sfuggire al controllo del primo e generava una burocrazia sempre maggiore. Questa tendenza è stata pienamente confermata nell'epoca della decadenza del capitalismo nel corso della quale gli organi esecutivi dello Stato hanno fatto del legislativo una semplice apparenza, una facciata.
Ma senza dubbio la prova migliore del fatto che la democrazia proletaria incarnata dalla Comune era più avanzata di ogni altra forma che poteva esistere sotto la democrazia borghese, è il principio dei delegati revocabili:
"Invece di decidere ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare il popolo nel Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni..." (17).
Le elezioni borghesi sono fondate sul principio del cittadino atomizzato nella cabina elettorale, con un voto che non gli consente alcun controllo reale sui suoi "rappresentati". La concezione proletaria dei delegati eletti e revocabili, al contrario, non può funzionare che sulla base di una mobilitazione permanente e collettiva degli operai e degli oppressi. Secondo la tradizione delle sezioni rivoluzionarie dalle quali è sorta la Comune del 1793 (senza menzionare gli "agitatori" radicali eletti nei ranghi del Nuovo modello di esercito di Cromwell nella rivoluzione inglese), i delegati al Consiglio della Comune erano eletti da assemblee pubbliche tenute in ogni rione di Parigi. Formalmente parlando queste assemblee elettorali avevano il potere di formulare i mandati dei loro delegati e di revocarli se necessario. Nella pratica succedeva che la maggior parte del lavoro di supervisione e di pressione sui delegati della Comune era realizzato dai "Comitati di Vigilanza" e dai circoli rivoluzionari che sorgevano nei quartieri operai e che erano i luoghi dove si concentrava una intensa vita di dibattito politico, sia sulle questioni generali e teoriche alle quali erano confrontati gli operai, sia sulle questioni immediate di sopravvivenza, d'organizzazione e di difesa. La dichiarazione di principio del Club comunale che si riuniva nella chiesa di Saint Nicolas des Champs, nel tredicesimo "arrondissement", ci dà un'idea del livello di coscienza proletaria raggiunto dai proletari parigini nei due mesi di esistenza della Comune:
"I fini del Club Comunale sono i seguenti:
Combattere i nemici dei nostri diritti comuni, delle nostre libertà e della Repubblica.
Difendere i diritti del popolo, educarlo politicamente in modo che sia in grado di auto-governarsi.
Ricordare i principi ai nostri delegati se dovessero allontanarsene e sostenerli in tutti i loro sforzi per salvare la Repubblica. Ma soprattutto sostenere la sovranità del popolo che non deve mai rinunciare ai suoi diritti, a controllare l'azione dei suoi delegati.
Popolo, governa te stesso direttamente, attraverso delle riunioni politiche, attraverso la tua stampa; fai sentire la pressione su quelli che ti rappresentano - essi non possono andare troppo in là nella direzione rivoluzionaria...
Lunga vita alla Comune!".
Dal mezzo-Stato alla soppressione dello Stato
Fondata sulla mobilitazione permanente del proletariato in armi, la Comune, come dice Engels, "non era più uno Stato in senso stretto" (18). Lenin in Stato e rivoluzione cita questa frase e la sviluppa:
"La Comune cessava di essere uno Stato nella misura in cui essa non doveva più opprimere la maggioranza della popolazione, ma una minoranza (gli sfruttatori); essa aveva spezzato la macchina dello Stato borghese; invece di una forza particolare di oppressione, era la popolazione stessa che entrava in campo. Tutto ciò non corrisponde più allo Stato nel senso proprio della parola. Se la Comune si fosse consolidata, le tracce dello Stato si sarebbero "estinte" da sé: la Comune non avrebbe avuto bisogno di "abolire" le sue istituzioni: queste avrebbero cessato di funzionare a mano a mano che non avrebbero avuto più nulla da fare" (19).
In questo modo l'"anti-statalismo" della classe operaia opera a due livelli, o piuttosto in due tappe: prima la distruzione violenta dello Stato borghese; poi la sua sostituzione con una nuova specie di potere politico che nella misura del possibile evita gli "aspetti peggiori" i tutti gli Stati precedenti e che, in fin dei conti, rende possibile al proletariato di sbarazzarsi completamente dello Stato.
Dalla Comune al comunismo: la questione della trasformazione sociale
Il deperimento dello Stato è basato sulla trasformazione dell'infrastruttura economica e sociale, sull'eliminazione dei rapporti capitalisti di produzione e sul'evoluzione verso una comunità umana senza classi. Come abbiamo già detto, le condizioni materiali di una tale trasformazione non esistevano a livello mondiale nel 1871. In più la Comune fu al potere per soli due mesi ed in una sola città assediata, anche se ha ispirato tentativi rivoluzionari in altre città della Francia (Marsiglia, Lione, Tolosa, Narbonne, etc.).
Quando gli storici borghesi cercano di ridicolizzare le proclamazioni di Marx sulla natura rivoluzionaria della Comune, mettono in evidenza che la maggior parte delle misure economiche e sociali che essa ha preso erano ben poco socialiste: la separazione tra Chiesa e Stato, per esempio, è perfettamente compatibile con il repubblicanesimo borghese radicale. Anche le misure che avevano un impatto più specifico sul proletariato, come l'abolizione del lavoro di notte nei panifici, il sostegno alla formazione di sindacati, etc., erano concepite come una difesa degli operai contro lo sfruttamento piuttosto che come la soppressione dello sfruttamento stesso. Tutto questo ha portato alcuni "esperti" sulla Comune a vederci più l'ultimo respiro della tradizione giacobina che il primo vento della rivoluzione proletaria. D'altra parte, come ha notato Marx, si scambia la Comune per "una riproduzione dei Comuni medioevali, che prima precedettero questo stesso potere statale e poi ne divennero il sostrato" (20)
Tutte queste interpretazioni si basano su di una totale incomprensione della natura della rivoluzione proletaria. Le lezioni della Comune di Parigi sono fondamentalmente delle lezioni politiche, delle lezioni sulle forme e le funzioni del potere proletario, per la semplice ragione che la rivoluzione proletaria non può iniziare che come atto politico. Mancando di ogni potere economico nel seno della vecchia società, il proletariato non può ingaggiarsi in un processo di trasformazione sociale finchè non ha preso le redini del potere politico, e ciò a livello mondiale. La rivoluzione russa del 1917 è avvenuta in un periodo storico in cui il comunismo a livello mondiale era possibile e fu vittoriosa a livello di un grande paese. Ma anche qui, l'eredità fondamentale della rivoluzione russa è legata al problema del potere politico della classe operaia. Aspettarsi che la Comune potesse introdurre il comunismo in una sola città significa credere ai miracoli. Come dice Marx:
"La classe operaia non attendeva i miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre "par décret du peuple". Sa che per realizzare la propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese" (21).
Contro tutte le false interpretazioni della Comune, Marx insisteva sul fatto che essa "fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro" (22).
In questo passaggio Marx riconosce che la Comune fu innanzitutto e soprattutto una forma politica e che era fuori discussione che in una notte, sotto il suo dominio, si sarebbero realizzate delle utopie. E tuttavia, allo stesso tempo, egli riconosce che una volta che il proletariato ha preso le cose in mano, esso può e deve innescare, anzi "liberare", una dinamica che porta alla "trasformazione economica del lavoro", malgrado tutti i limiti obiettivi opposti a questa dinamica. E' per questo che la Comune, così come la rivoluzione russa, contiene delle lezioni valide anche per la futura trasformazione sociale.
Come esempio di questa dinamica, di questa logica verso la trasformazione sociale, Marx ha ricordato l'espropriazione delle fabbriche abbandonate dai capitalisti che erano fuggiti dalla città e la loro presa in carico da parte delle cooperative operaie che dovevano essere organizzate in una federazione unica. Per lui questo era una espressione immediata del fine ultimo della Comune, l'espropriazione generale degli espropriatori:
"Essa voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando i mezzi di produzione, la terra ed il capitale, che ora sono essenzialmente mezzi di asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero ed associato. Ma questo è comunismo, "impossibile" comunismo!. Ebbene, quelli tra i membri delle classi dominanti che sono abbastanza intelligenti per comprendere la impossibilità di perpetuare il sistema esistente -e sono molti- sono diventati gli apostoli seccati e rumorosi della produzione cooperativa. Ma se la produzione cooperativa non deve restare una finzione ed un inganno, se essa deve subentrare al sistema capitalista; se delle associazioni cooperative unite devono regolare la produzione nazionale secondo un piano comune, prendendola così sotto il loro controllo e ponendo fine all'anarchia costante e alle convulsioni periodiche che sono la sorte inevitabile della produzione capitalista: che cosa sarebbe questo, o signori, se non comunismo, "possibile" comunismo?" (23).
La classe operaia come avanguardia degli oppressi
La Comune ci ha lasciato importanti elementi per comprendere i rapporti tra la classe operaia, una volta che ha preso il potere, e gli altri strati non sfruttatori della società, in questo caso la piccola-borghesia urbana ed i contadini. Agendo come avanguardia determinata dell'insieme della popolazione sfruttata, la classe operaia ha mostrato la sua capacità a conquistare la fiducia di questi strati, che sono meno capaci di agire in quanto forza unita. E per mantenere questi strati a fianco della rivoluzione, la Comune ha introdotto una serie di misure economiche che alleggerivano i loro compiti materiali: l'abolizione di ogni tipo di debito e di imposta, la trasformazione di quella che è l'incarnazione immediata dell'oppressione per il contadino, "le sue odierne sanguisughe, il notaio, l'avvocato, l'usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati eletti da lui e davanti a lui responsabili" (24). Nel caso dei contadini, queste misure restavano largamente ipotetiche perché l'autorità della Comune non si estendeva ai distretti rurali. Ma gli operai di Parigi guadagnarono, in larga misura, il sostegno della piccola borghesia urbana, in particolare attraverso l'aggiornamento dell'obbligo dell'affitto e l'annullamento degli interessi.
Lo Stato come "male necessario"
Le strutture elettorali della Comune hanno anche permesso agli altri strati non sfruttatori di partecipare politicamente al processo rivoluzionario. Ciò era inevitabile e necessario e si sarebbe dovuto ripetere anche durante la rivoluzione russa. Ma allo stesso tempo, visto retrospettivamente, possiamo dire che una delle indicazioni del fatto che la Comune era una espressione "immatura" della dittatura del proletariato, che era espressione di una classe che non aveva ancora raggiunto il suo pieno sviluppo, sta nel fatto che gli operai non avevano organizzazioni specifiche indipendenti all'interno di queste nè un peso preponderante nei meccanismi elettorali. La Comune era eletta esclusivamente sulla base di unità territoriali (i quartieri) che, anche se dominate dal proletariato, non consentivano alla classe operaia di imporsi come una forza chiaramente autonoma (in particolare poi se la Comune si estendeva alla maggioranza dei contadini al di fuori di Parigi). E' per questo che i consigli operai del 1905 e del 1917-21, eletti dalle assemblee sui luoghi di lavoro e installati nei principali centri industriali, costituirono una forma più avanzata della dittatura del proletariato rispetto alla Comune. Possiamo anche arrivare ad affermare che la Comune corrispondeva più allo Stato composto da tutti i Soviet (degli operai, dei contadini, dei cittadini), che nacque dalla rivoluzione russa, che non all'organizzazione dei Consigli operai.
L'esperienza russa ha reso possibile chiarire il rapporto tra gli organi specifici della classe, i Consigli operai, e lo Stato sovietico nel suo insieme. In particolare essa ha mostrato che la classe operaia non può identificarsi direttamente con quest'ultimo, ma che al contrario essa deve esercitare una vigilanza costante e un controllo su questo Stato attraverso le proprie organizzazioni di classe che vi partecipano senza esserne inghiottite. Abbiamo già trattato questa questione in altri articoli, ma pensiamo sia importante insistere sul fatto che lo stesso Marx ha intravisto questo problema. La prima stesura de La guerra civile in Francia contiene il seguente passaggio:
"...La Comune non è il movimento sociale della classe operaia e, di conseguenza, il movimento rinnovatore di tutta l'umanità, ma soltanto lo strumento organico del suo movimento reale. La Comune non sopprime la lotta delle classi, mediante la quale la classe operaia si sforza di abolire, negandosi come tale, tutte le classi e, di conseguenza, ogni dominazione di classe... ma essa crea il clima più razionale nel quale questa lotta delle classi può svolgersi attraverso varie fasi nel modo più razionale e più consono all'essere umano." (25).
Si riscontra qui una chiara visione del fatto che la dinamica reale della trasformazione comunista non viene da uno Stato post-rivoluzionario poichè la funzione di questo, come per qualsiasi altro Stato, è di contenere gli antagonismi di classe, di impedirgli di dilaniare la società. Da cui il suo aspetto conservatore rispetto al movimento sociale reale del proletariato. Anche nella breve vita della Comune possiamo individuare delle tendenze in questa direzione. La Storia della Comune di Parigi di Lissagaray contiene molte critiche delle esitazioni, delle confusioni e, in certi casi, delle posizioni avanzate da alcuni delegati al Consiglio della Comune, molte delle quali incarnavano, nei fatti, un radicalismo piccolo-boghese obsoleto rimesso frequentemente in questione dalle assemblee dei quartieri più proletari. Uno dei club rivoluzionari locali arriva a dichiarare che bisognava dissolvere la Comune perché questa non era abbastanza rivoluzionaria!
In un passaggio famoso, Engels si immette nello stesso problema quando dice che lo Stato, il mezzo-Stato del periodo di transizione verso il comunismo, "...è un male che viene lasciato in eredità al proletariato riuscito vincitore nella lotta per il dominio di classe, i cui lati peggiori il proletariato non potrà fare a meno di amputare subito, nella misura del possibile, come fece la Comune, finchè una generazione cresciuta in condizioni sociali nuove, libere, non sia in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il ciarpame statale." (26). Prova ulteriore che, per il marxismo, la potenza dello Stato è la misura dell'asservimento dell'uomo.
Dalla guerra nazionale alla guerra di classe
C'è un'altra lezione vitale della Comune che non è legata al problema della dittatura del proletariato, ma ad una questione particolarmente spinosa nella storia del movimento operaio: la questione nazionale.
Come abbiamo già detto, Marx e la sua tendenza nel seno della Prima Internazionale riconoscevano che il capitalismo non aveva ancora raggiunto l'apogeo del suo sviluppo. Nei fatti il capitalismo era ancora limitato dalle vestigia della società feudale e da altri resti arcaici. Per questo motivo Marx ha sostenuto alcuni movimenti nazionali nella misura in cui essi rappresentavano la democrazia borghese contro l'assolutismo e tendevano all'unificazione nazionale contro la frammentazione feudale. Il sostegno che l'Internazionale ha dato all'indipendenza della Polonia contro lo Zarismo russo, all'unificazione italiana e tedesca, ai Nordisti in America contro il Sud schiavista durante la Guerra Civile si basava su questa logica materialista. Questa era anche la causa che mobilitava la simpatia e la solidarietà attiva della classe operaia: in Gran Bretagna per esempio si facevano delle riunioni per il sostegno all'indipendenza polacca, delle grandi manifestazioni contro l'intervento britannico a fianco dei Sudisti in America, anche se la mancanza di cotone derivante dalla guerra comportava reali privazioni per gli operai tessili inglesi.
In questo contesto in cui la borghesia non aveva completamente concluso i suoi compiti storici progressisti, il problema delle guerre di difesa nazionale era ben reale ed i rivoluzionari dovevano prendere in seria considerazione ogni guerra tra Stati; ed il problema si pone con forza quando scoppia la guerra franco-prussiana. La politica dell'Internazionale verso questa guerra è riassunta nel Primo Indirizzo del Consiglio Generale dell'AIT sulla guerra franco-prussiana. Nella sua essenza si trattava di una presa di posizione di un internazionalismo proletario fondamentale contro le guerre "dinastiche" della classe dominante. Essa citava un Manifesto prodotto dalla sezione francese dell'Internazionale allo scoppio della guerra:
"Ancora una volta col pretesto dell'equilibrio europeo e dell'onore nazionale, le ambizioni politiche minacciano la pace nel mondo. Operai francesi, tedeschi e spagnoli! Uniamo le nostre voci in un solo grido di condanna contro la guerra!... La guerra per una questione di preponderanza o di dinastia non può essere agli occhi degli operai che una assurdità criminale." (27)
Tali sentimenti non erano limitati ad una minoranza socialista: Marx rapporta, nel Primo Indirizzo, come gli operai internazionalisti francesi perseguitavano gli sciovinisti pro-guerra nelle strade di Parigi.
Nello stesso tempo l'Internazionale difendeva l'idea che "da parte della Germania, la guerra è una guerra di difesa" (28). Ma questo non voleva dire intossicare gli operai di sciovinismo: in risposta alla presa di posizione della sezione francese, i tedeschi affiliati all'Internazionale, pur accettando tristemente che una guerra difensiva era un male inevitabile, dichiarano anche: "...la guerra presente è esclusivamente dinastica... Siamo lieti di stringere la mano fraterna offertaci dagli operai di Francia... Memori del motto dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori: Proletari di tutti i paesi, unitevi! non dimentichiamo mai che gli operai di tutti i paesi sono nostri amici e i despoti di tutti i paesi sono nostri nemici" (29).
Il primo Indirizzo metteva anche in guardia gli operai tedeschi contro il pericolo della trasformazione della guerra in una guerra di aggressione da parte tedesca e riconosceva anche la complicità di Bismarck nella guerra, ancor prima delle rivelazioni sul telegramma d'Ems che ha provato fino a che punto Bismarck aveva attirato Bonaparte ed il suo "Secondo Impero" nella guerra. In ogni modo con la sconfitta dell'esercito francese a Sedan, la guerra è diventata veramente una guerra di conquista per la Prussia. Parigi fu assediata e la stessa Comune nacque sulla questione della difesa nazionale. Il regime di Bonaparte fu sostituito da una Repubblica nel 1870, perché l'Impero si era rivelato incapace di difendere Parigi; ora la stessa Repubblica provava che preferiva consegnare la capitale alla Prussia piuttosto che farla cadere nelle mani degli operai in armi.
Ma benchè all'inizio gli operai di Parigi pensavano ancora nei termini di una specie di patriottismo difensivo, di salvaguardia dell'onore nazionale da parte della stessa borghesia, il sollevamento della Comune marca un momento storico decisivo. Di fronte alla prospettiva di una rivoluzione operaia, le borghesie prussiana e francese unirono le proprie forze per schiacciarla: l'esercito prussiano rilascia i suoi prigionieri di guerra per gonfiare le truppe contro-rivoluzionarie francesi di Thiers e permette a queste ultime di attraversare le sue linee per portare l'assalto finale contro la Comune. Da questi avvenimenti Marx ha tirato una conclusione di portata storica:
"Il fatto che dopo la guerra più terribile dei tempi moderni l'esercito vincitore e l'esercito vinto fraternizzino per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti non indica, come pensa Bismarck, lo schiacciamento finale di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa della società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi con una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono uniti" (30).
Da parte sua il proletariato rivoluzionario di Parigi aveva già cominciato a fare un certo numero di passi in avanti oltre la fase patriottica iniziale: di qui il decreto che permetteva agli stranieri di partecipare alla Comune "perché la bandiera della Comune è quella della repubblica universale", o ancora la distruzione pubblica della colonna Vendome, simbolo della gloria marziale della Francia...
La logica storica della Comune di Parigi era quella di andare verso una Comune mondiale, anche se ciò non era ancora possibile in quell'epoca. E' per questo che la sollevazione degli operai di Parigi durante la guerra franco-tedesca, quali che siano le frasi patriottiche che l'hanno accompagnata, era in realtà il segno precursore delle insurrezioni del 1917-18 esplicitamente contro la guerra e dell'ondata rivoluzionaria che le ha seguite.
Le conclusioni di Marx aprono così la prospettiva del futuro. Poteva essere prematuro nel 1871 dire che la società borghese era ridotta in polvere. Quest'anno ha potuto marcare la fine della questione nazionale in Europa, come viene notato da Lenin ne L'imperialismo, fase suprema del Capitalismo; ma continuava a porsi nelle colonie, mentre il capitalismo entrava nella sua ultima fase di espansione. In un senso più profondo, la denuncia da parte di Marx della mistificazione della guerra nazionale anticipava quella che sarebbe diventata una realtà generale una volta che il capitalismo fosse entrato nella sua fase di decadenza. D'ora in poi tutte le guerre sarebbero state delle guerre imperialiste e -per quanto riguarda il proletariato- non si sarebbe potuto più porre il problema in termini di difesa nazionale, a nessun titolo.
I sollevamenti del 1917-18 hanno anche confermato ciò che aveva detto Marx sulla capacità della borghesia di unificarsi di fronte alla minaccia proletaria: di fronte alla possibilità di una rivoluzione mondiale degli operai, le borghesie d'Europa, che si erano reciprocamente lacerate per quattro anni, scoprirono improvvisamente che avevano tutto l'interesse a fare la pace al fine di far naufragare la sfida proletaria contro il loro "ordine" basato sul sangue versato. Ancora una volta, i vari governi del mondo furono "una sola cosa contro il proletariato".
CDW
1. Il nome dell'Associazione Internazionale dei lavoratori, in inglese suonava International Workingmen's Association invece che Worker's Association. Il riferimento agli "uomini lavoratori" era evidentemente un riflesso dell'immaturità del movimento della classe, dato che il proletariato non ha nessun interesse ad istituire nei propri ranghi divisioni sessuali. Come in tutte le grandi insurrezioni sociali, la Comune di Parigi vide una straordinaria effervescenza fra le donne proletarie che non solo misero bruscamente in questione il loro ruolo "tradizionale", ma si mostrarono spesso tra i difensori più coraggiosi e radicali della Comune, sia nei Club rivoluzionari che sulle barricate. Questa effervescenza fu all'origine delle sezioni femminili dell'Internazionale, ciò che per l'epoca era un passo avanti, anche se tali forme di organizzazione separata oggi non ha più senso.
2. "Quarto rapporto annuale del Consiglio Generale dell'A.I.T.", in "Il Consiglio Generale della Prima Internazionale", 1866-1868, Edizioni di Mosca, ed. francese, p. 281.
3. Prime righe degli "Statuti Provvisori dell'Associazione", in "Il Consiglio Generale della Prima Internazionale", 1864-1866, Edizioni di Mosca, ed. francese, p.243.
4. Discorso a Londra per il 7° Anniversario dell'Internazionale, 1871.
5. Risoluzione della Conferenza di Londra dell'Internazionale sull'azione politica della classe operaia, settembre 1871.
6. La formulazione "costituzione del proletariato in partito" riflette un'ambiguità sul ruolo del partito che era a sua volta un riflesso dei limiti storici di quel periodo. L'Internazionale aveva in sé delle caratteristiche di organizzazione unitaria (sindacato, etc.) della classe e non solo quelle della sua organizzazione politica. Per tutto l'800 l'idea di un partito che o rappresentava la classe o era la classe stessa nella sua forma organizzata, era profondamente radicata nel movimento operaio. Queste confusioni non furono superate che nel nostro secolo, quando - dopo dolorose esperienze - divenne chiaro che bisognava fare una distinzione tra organizzazione politica ed organizzazioni unitarie. Comunque già allora esisteva una chiarezza di fondo sul fatto che il partito non è un'organizzazione che raggruppa tutta la classe, ma solo i suoi elementi più avanzati. Una definizione simile si trova già nel Manifesto Comunista e la stessa Prima Internazionale si considerava in termini analoghi quando affermava che il partito operaio era "la parte della classe operaia arrivata alla coscienza dei suoi interessi comuni di classe" ("La questione militare prussiana ed il Partito operaio tedesco", scritto da Engels nel 1865).
7. "Il Consiglio Generale della Prima Internazionale", 1864-1866, Edizioni di Mosca, ed. francese, p.241.
8. I blanquisti (seguaci di Auguste Blanqui) condividevano con i bakuninisti il volontarismo e l'impazienza, ma erano chiarissimi sul fatto che il proletariato doveva stabilire la sua dittatura per creare una società comunista. E' per questo che Marx, in certe occasioni importanti, ha potuto allearsi con i blanquisti contro i bakuninisti sulla questione dell'azione politica della classe operaia.
9. Lettera di Marx a Bracke, 1875.
10. Secondo Indirizzo del Consiglio Generale dell'AIT sulla guerra franco-tedesca, Londra, 9 settembre 1870.
11. Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, p.887.
12. Marx, "La guerra civile in Francia" Primo abbozzo di redazione, Edizione "La vecchia Talpa", Napoli, p. 216
13. Critica della dottrina dello Stato di Hegel, 1843.
14. Vedi la nostra Révue Internationale nn. 72 e 73.
15. Edizione Newton Compton, pag.67.
16. La guerra civile in Francia, Newton Compton, p. 110
17. Ibidem, p.114
18. Lettera a Bebel, 1875.
19. Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, p. 901
20. La guerra civile in Francia, Newton Compton, p. 115.
21. Ibidem, p.118.
22. Ibidem, p. 115.
23. Ibidem, p. 117.
24. Ibidem, p. 120.
25. La guerra civile in Francia, Primo abbozzo di redazione, Edizione "La vecchia talpa", Napoli, p.220
26. Introduzione a La guerra civile in Francia, Engels 1891, Newton Compton, p.68.
27. Manifesto "Ai lavoratori di tutti i paesi" del 12 luglio 1870 citato nel Primo indirizzo del Consiglio Generale sulla guerra franco-prussiana, in La guerra civile in Francia, Newton Compton, p.70.
28. Primo Indirizzo del Consiglio Generale sulla guerra franco-prussiana, ibidem, p.72.
29. Risoluzione adottata all'unanimità da una assemblea di delegati, rappresentanti 50.000 operai sassoni a Chemnitz, citato nel Primo Indirizzo..., ibidem, p.73.
30. La guerra civile in Francia, Newton Compton, p.140.