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L’eruzione del populismo nel paese più potente del mondo, che è stato coronato dal trionfo di Donald Trump nel 2016, ha portato a quattro anni di decisioni contraddittorie ed erratiche, a denigrare le istituzioni e gli accordi internazionali, intensificando il caos globale e portando all’indebolimento e al discredito del potere americano e accelerando ulteriormente il suo declino storico. La situazione sta diventando più grave e le divisioni interne nella vita sociale americana stanno apparendo apertamente. A questo si aggiunge la pandemia, la cui gestione ha mostrato la grande irresponsabilità dell’approccio populista, ignorando le misure preventive proposte dagli scienziati al punto che gli Stati Uniti hanno il maggior numero di morti al mondo. Ed ancora il terrore statale, la violenza nelle manifestazioni antirazziste (BLM), la crescita dei gruppi armati suprematisti, l’aumento della criminalità; e, nel quadro di questa feroce escalation di eventi, il 6 gennaio 2021, con le bande trumpiste che si sono impadronite del Campidoglio, il “simbolo dell’ordine democratico”, per cercare di impedire la ratifica del risultato a favore della fazione Biden.[1] La pandemia ha accelerato le tendenze alla perdita di controllo della situazione sociale; le divisioni interne della borghesia americana si sono acuite in un’elezione dove, per la prima volta nella storia, il presidente e candidato alla rielezione ha accusato il sistema del paese più democratico del mondo di “frode elettorale” nello stile di una “repubblica delle banane”. Gli Stati Uniti sono ora l’epicentro della decomposizione sociale.
Per spiegare, attraverso un’analisi marxista, questa “nuova” situazione della vecchia superpotenza, abbiamo bisogno di un approccio storico. Prima di tutto, dobbiamo spiegare in che modo gli Stati Uniti sono diventati la maggiore potenza mondiale, il paese che ha dominato il commercio, la politica e la guerra, e come la loro moneta è diventata una moneta mondiale. Nella prima parte di questo articolo esamineremo il percorso storico intrapreso dagli Stati Uniti, dalla loro fondazione al loro punto più alto, la loro ascesa come poliziotto mondiale incontrastato, esamineremo cioè gli eventi dalla fine del XVIII secolo alla caduta del blocco orientale nel 1989. Questo è il periodo storico che è stato marcato dalla supremazia del capitale americano a livello mondiale. Il collasso del blocco orientale ha segnato l’inizio della fase finale dell’evoluzione del capitalismo: la decomposizione sociale[2]. Con questa fase inizia anche il declino della leadership americana e lo scivolamento del sistema borghese nel caos e nella barbarie. La seconda parte di questo articolo tratterà il periodo dal 1990 ad oggi. In 30 anni di decomposizione della società borghese, gli Stati Uniti sono diventati un fattore di aggravamento del caos, e la loro leadership mondiale non potrà essere recuperata, qualunque cosa la presidenza Biden proclami nei suoi discorsi. Non è una questione di desideri; sono le caratteristiche di questa fase finale del capitalismo che determinano le tendenze che quest’ultimo è obbligato a seguire, conducendo l’umanità inesorabilmente nell’abisso se il proletariato non vi porrà un termine attraverso la rivoluzione comunista mondiale.
1. La formazione degli Stati Uniti: dal sogno americano alla realtà del capitalismo
Quando Marx scrisse Lavoro salariato e Capitale, e soprattutto Il Capitale, quei grandi classici del marxismo, egli esaminò il funzionamento interno del paese capitalista più sviluppato dell'epoca: La Gran Bretagna, patria della rivoluzione industriale e culla del capitalismo moderno. Nel XVIII secolo, gli Stati Uniti avevano appena iniziato a consolidarsi come paese nel nuovo continente. La Dichiarazione d’Indipendenza da parte delle 13 colonie il 4 luglio 1776 e la stesura della Costituzione degli Stati Uniti avrebbero portato avanti il vertiginoso sviluppo del capitalismo in Nord America.
In questo articolo non approfondiremo la storia delle 13 colonie britanniche. Tuttavia, vorremmo sottolineare che una delle grandi lamentele delle colonie nacque a causa dell’aumento delle tasse e della mancanza di “rappresentanza”, ecco perché lo slogan era “One Man, One Vote” o “No taxation without representation”[3]. La democrazia cominciò ad apparire come la migliore cornice per lo sviluppo della “libera impresa e della proprietà privata” e non fu una coincidenza se gli Stati Uniti cominciarono a considerarsi il garante della democrazia in tutto il mondo.
Il XVIII secolo fu dominato dalle grandi potenze coloniali: Gran Bretagna, Francia, Spagna e, in misura minore, Olanda e Portogallo. Ecco perché il riconoscimento dell’indipendenza degli Stati Uniti avvenne in un clima di rivalità e conflitti territoriali tra queste potenze. Il trattato di Parigi del 1783 riconosceva l’indipendenza degli Stati Uniti e i loro diritti territoriali fino al Mississippi. La Francia possedeva la Louisiana; la Spagna dominava la Florida e aveva il controllo assoluto sul vice-regno della Nuova Spagna, che poi divenne il Messico.
Nel 1787, la Convenzione Costituzionale decise di creare una Costituzione per i 13 nuovi Stati, eliminando così gli scontri tra loro (tra New Jersey e New York per esempio). L’obiettivo era quello di risolvere il problema delle casse vuote per far fronte all’invasione da ovest di Gran Bretagna e Spagna. Contemporaneamente all’approvazione della Costituzione nel 1789, fu approvata anche la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”. Poiché la crescente borghesia era una nuova classe sfruttatrice e il capitalismo era un sistema basato sull’estrazione di plusvalore dalla classe operaia, tutte queste dichiarazioni sui “diritti”, come nel motto della rivoluzione francese “Liberté, égalité et fraternité”, erano solo coperture ideologiche per giustificare i moderni rapporti di sfruttamento capitalistico, un programma per raggiungere il consolidamento del capitalismo contro il vecchio regime feudale e le sue conseguenze. Queste grandiose “dichiarazioni” sarebbero presto diventate solo una copertura per uno sfruttamento feroce senza alcuna parvenza di umanità: la schiavitù, il razzismo e la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti sono una dimostrazione dell’abisso tra le “affermazioni” della democrazia e la realtà della vita sotto il capitalismo.
Le navi arrivavano ai porti della costa orientale piene di immigrati che aspiravano ai nuovi e fertili territori e volevano creare le loro imprese; in altre parole, il “sogno americano” era una possibilità per milioni di immigrati di migliorare la propria situazione. La legge permise la migrazione e numerosi Europei partirono per colonizzare il west americano. La popolazione americana aumentò enormemente grazie all’immigrazione. Nel 1850, c’erano 23 milioni di abitanti che diventarono 92 milioni nel 1910, cioè più della popolazione della Gran Bretagna e della Francia messe insieme. Nella fase ascendente del capitalismo l’emigrazione era diversa da quella di oggi. All’epoca dell’espansione del capitalismo, la possibilità di condizioni di vita migliori era reale mentre oggi si tratta semplicemente di una fuga cieca e suicida, un vero e proprio vicolo cieco. Così oggi, le carovane di migliaia di migranti che partono dall’America Centrale cercando di raggiungere gli Stati Uniti via terra si scontrano con la fame, le bande di trafficanti e la repressione statale, così che la maggior parte di loro trova solo sofferenze indicibili o la morte pura e semplice.
L’espansione del capitalismo verso occidente era conosciuta, in una frase coniata nel 1845, come "Destino Manifesto[4]". Il capitalismo si diffuse e si aprì attraverso la canna del fucile, con i Winchester in pugno; le popolazioni indigene furono sfollate o sterminate e i sopravvissuti di questo esproprio violento e forzato furono confinati nelle riserve. “La frontiera” fu estesa per tutto il XVIII secolo in nome di una cosiddetta predestinazione con “una missione dettata dalla volontà divina”. Il “Destino manifesto” esprimeva l’ideologia dei primi coloni, protestanti e puritani, che si vedevano come una nazione “eletta” destinata a diffondersi dall’Atlantico al Pacifico. Questa espansione accompagnò l’arrivo delle ferrovie[5] e la crescente necessità di approvvigionamento di merci. Sembrava che il capitalismo subisse un’espansione illimitata, basata sull’idea di un progresso permanente in uno Stato quasi autonomo. Questa “espansione interna” continuò fino all’inizio del XX secolo.
All’inizio del XIX secolo, la giovane repubblica americana adottò una dottrina che avrebbe segnato la sua storia: la Dottrina Monroe. Elaborata nel 1823 da Quincy Adams e presentata al Congresso degli Stati Uniti da James Monroe, questa dottrina costituì una pietra miliare della politica estera americana che poteva essere riassunta nella frase “l’America per gli Americani”. Già dalla Dottrina fu chiaro che gli Stati Uniti non solo proclamavano la loro volontà di porre fine alla presenza degli Europei sul suolo americano, ma anche che la base di questa dottrina era di fatto insufficiente rispetto ai territori che gli Stati Uniti avrebbero dominato sul pianeta.
Questa mitica “frontiera” ha subito un’espansione vertiginosa nel XIX secolo. Napoleone Bonaparte aveva rivenduto la Louisiana e tutto il bacino del Mississippi, poi gli americani hanno portato via la Florida alla Spagna (1821) e vinto la guerra contro il Messico nel 1846, guadagnando più della metà del territorio messicano e raggiungendo così la costa del Pacifico. Più tardi, nel 1898, la guerra tra Stati Uniti e Spagna si concluse con una vittoria americana, che prese il controllo di Cuba, di altre isole caraibiche e delle lontane Filippine. Questo dimostrava già il declino dell’impero spagnolo e la crescita degli Stati Uniti come potenza regionale[6]. “Lo stesso anno in cui George Washington divenne presidente degli Stati Uniti, quindici navi cariche di seta e tè arrivarono dall’esotico e leggendario porto asiatico di Canton, mentre le navi da New York, Boston e Filadelfia penetravano coraggiosamente nella zona monopolizzata dalla Compagnia delle Indie Orientali. E in meno di quindici anni le navi battenti bandiera americana, armate dei loro valorosi marines, facevano scalo a Calcutta, nelle Filippine, in Giappone, Turchia, Egitto e Marocco. La storia del commercio estero degli Stati Uniti iniziò in modo spettacolare[7]. Nel Pacifico, dalla metà del XIX secolo, gli Stati Uniti cominciarono a far sentire la loro presenza contribuendo all’“apertura” del Giappone al capitalismo. Allo stesso tempo, la Gran Bretagna penetrò in Cina e stabilì le sue relazioni con questo paese asiatico. Tuttavia, in questa fase, gli Stati Uniti non avevano abbastanza potere per diffondere la loro presenza e difendere i loro possedimenti, cosa che avvenne soprattutto all’inizio del XX secolo.
Il lungo processo di incorporazione degli Stati nell’Unione iniziò nel 1787 fino alle ultime annessioni del 1959. L’Alaska fu portata via ai Russi nel 1867, ma fu solo nel gennaio 1959 che l’Alaska divenne il 49° Stato, mentre le Hawaii ne divennero il 50° nell’agosto dello stesso anno. Stiamo parlando di più di 170 anni, un periodo durante il quale il territorio si è esteso fino alla conquista dell’“ultima frontiera”, cioè fino alla costa pacifica della California. Nella frenetica avanzata del capitalismo sulle immense terre del Nord America, era necessario affrontare gli Stati schiavisti del Sud per due motivi: da un lato, consolidare l’unità dello Stato nazionale, mettendo fine al secessionismo sudista che minacciava costantemente l’indipendenza e, dall’altro, eliminare il sistema arcaico della schiavitù, cosa che permise allora di avere “cittadini liberi” ... liberi di vendere la propria manodopera! Era questa un’impresa ancora più necessaria visto che, fino alla prima guerra mondiale, gli Stati Uniti soffrivano di una carenza di forza lavoro.
Nel XIX secolo, gli Stati Uniti divennero il più grande importatore di schiavi. Il lavoro di questi schiavi agricoli era concentrato negli Stati del Sud. D’altra parte, il Nord industriale si basava sullo sviluppo dello sfruttamento del lavoro salariato, il che poneva un problema al capitalismo: l’industria dominava il paese e il lavoro doveva “circolare liberamente” affinché il capitale potesse utilizzarlo indiscriminatamente. I proprietari di schiavi resistettero a questa logica del capitale e si staccarono dal Nord industriale. La sanguinosa guerra civile (1861-1865) portò a una vittoria totale del capitalismo e diede una dura lezione alle tentazioni separatiste. Questa avanzata del capitalismo era stata salutata dal marxismo perché i rapporti di produzione borghesi portavano con sé i loro becchini: il moderno proletariato. Ecco perché “In un discorso di congratulazioni al signor Lincoln per la sua rielezione a presidente, abbiamo espresso la nostra convinzione che la guerra civile americana si sarebbe dimostrata di grande importanza per il progresso della classe operaia come la guerra d’indipendenza americana si era dimostrata per quella della borghesia”.[8]
Mentre gli Stati Uniti erano impegnati nella loro guerra di secessione, in Messico, la Francia aveva imposto un membro della casa d’Asburgo come imperatore messicano. Napoleone III intendeva così contendere agli Stati Uniti la zona d’influenza. Se questo accadeva non era una questione di “compiacenza” dello zio Sam o perché la Dottrina Monroe fosse una fantasia, no; semplicemente gli Stati Uniti erano occupati dalla guerra civile, ma una volta che questa finì, gli US furono in grado di espellere la Francia dalla loro naturale zona di influenza. Per dare una lezione agli Europei e tenere sotto controllo le loro future pretese, gli Stati Uniti spararono all’imperatore Maximillian nonostante gli appelli dell’aristocrazia europea e di scrittori come Victor Hugo. Fu un episodio che doveva dare il tono della futura politica globale.
All’inizio del XX secolo “gli Stati Uniti costituivano la società capitalista più vigorosa del mondo e avevano la più potente produzione industriale (...) La produttività aumentava più che mai, lo stesso per i profitti, i salari e le entrate nazionali”. “Ma quando Marx morì negli anni 1880, il capitalismo statunitense aveva raggiunto la produzione industriale britannica, e poi l’aveva superata definitivamente, per fare degli Stati Uniti la prima potenza industriale del mondo (...) La prima guerra mondiale provocò un notevole calo della produzione europea e un aumento della produzione statunitense, tanto che al tempo della rivoluzione russa gli Stati Uniti producevano quasi quanto l'intera Europa”[9].
Per la borghesia americana e tutti i suoi ideologi, sembrava che la manna capitalista fosse una “caratteristica naturale” del sistema; tuttavia, la realtà si basava sulla conquista di un vasto territorio in cui, man mano che la “frontiera” avanzava verso ovest, aumentava la domanda di ogni sorta di forniture e merci, un processo che era anche capace di assorbire un gran numero di immigrati; e, mentre le cifre della crescita salivano, i prestiti che sostenevano questa espansione venivano dall’Europa. Nel 1893, Chicago divenne la sede dell'Esposizione Mondiale, che mise gli Stati Uniti al primo posto tra le potenze industriali. Ma il “Sogno Americano” stava in realtà raggiungendo i suoi limiti; l’inizio del XX secolo e la prima guerra mondiale annunciavano l’entrata del capitalismo nella sua decadenza storica con l’apparire di nuove condizioni che rendevano conto dell’evoluzione degli Stati Uniti nel loro emergere come potenza mondiale.
2. La Prima Guerra Mondiale e la Grande Depressione del 1929
La prima guerra mondiale mostrò la necessità di una “nuova divisione del mondo”. Potenze industriali come la Germania arrivarono tardi alla divisione del mercato mondiale. Mentre la Francia e la Gran Bretagna avevano guadagnato molto attraverso l’estensione delle loro conquiste coloniali, e gli Stati Uniti dominavano il continente americano avendo consolidato la loro espansione da est a ovest, la Germania non aveva quasi nulla e voleva una nuova divisione del mondo. Sotto il capitalismo non c’è modo di trovare altri territori se non attraverso la guerra e dal 1914, la guerra divenne il modo di vita del capitalismo decadente[10].
La “Grande Guerra” trascinò tutta l’Europa nella distruzione, nei massacri e nella barbarie pura e semplice. La Germania scatenò le ostilità. Era la prima volta nell’era moderna che l'Europa viveva una situazione così drammatica.
Gli Stati Uniti mantennero la loro “neutralità” fino al 1917. C’era un enorme peso di illusioni sullo sviluppo illimitato del capitalismo in un paese che era lontano dai problemi dell’Europa. Nonostante l’affondamento della RMS Lusitania da parte di un sottomarino tedesco nel 1915, il presidente Woodrow Wilson mantenne la “neutralità”; una neutralità molto utile perché gli Stati Uniti aumentarono la produzione in modo notevole, diventando il grande fornitore di munizioni dell’Intesa: provviste militari di ogni tipo, alimenti, ecc. Le navi americane andavano avanti e indietro attraverso l'Atlantico cariche di merci e materiali per rifornire il fronte di guerra. Ecco perché la Germania sapeva che doveva dichiarare guerra agli Stati Uniti per porre fine a questo supporto logistico alla Gran Bretagna e alla Francia. Nel 1917, la Germania rinnovò i suoi attacchi sottomarini senza limiti. Inoltre, la Germania interferì in Messico, approfittando degli sconvolgimenti sociali in quel paese. Berlino chiese al governo messicano di dichiarare guerra agli Stati Uniti, aggiungendo che la vittoria del campo tedesco avrebbe permesso al Messico di riconquistare i territori perduti[11]. Perché gli Stati Uniti potessero mantenere il loro ruolo di principale fornitore e proteggere le loro navi, il loro canale di Panama e una “zona d’influenza” in preda alle convulsioni, la “neutralità” era già inutile e l’entrata in guerra era una necessità imperiosa per la borghesia americana, nonostante i tentativi di Wilson di bloccare questa via. In ultima analisi, la logica del capitalismo prevalse contro le intenzioni puritane e sincere di mantenere la pace.
“L'entrata in guerra dell’America cambiò decisamente il rapporto di forza industriale tra i combattenti e, di conseguenza, il rapporto di forza militare. Senza gli Stati Uniti la forza industriale della Gran Bretagna e della Francia da un lato e della Germania e dei suoi alleati dall’altro era almeno comparabili, ma con gli Stati Uniti il rapporto di forza cambiò arrivando a un valore di circa tre a uno a sfavore della Germania. Con questo la prospettiva di una vittoria militare tedesca divenne senza speranza”[12]. Gli Stati Uniti inviarono un milione di uomini sul fronte occidentale, il principale teatro di guerra, la loro industria fu il grande braccio strategico che costrinse la Germania ad arrendersi, e il trattato di Versailles stabilì le condizioni perché i vinti pagassero le riparazioni di guerra. Gli Stati Uniti spinsero per la creazione della Società delle Nazioni sulla base dei “Quattordici Punti” proposti da Woodrow Wilson. Tuttavia, gli Stati Uniti non aderirono mai a questa organizzazione per mantenere la loro “neutralità” in caso di futuri conflitti.
Mentre i centri industriali d’Europa e le loro popolazioni furono duramente colpiti da distruzioni e massacri, gli Stati Uniti, situati a migliaia di chilometri dai campi di battaglia, mantennero l’industria in piena crescita e la popolazione lontana dalle sofferenze dirette prodotte dalla guerra. Francia e Gran Bretagna, i paesi “vittoriosi”, non recuperarono la loro forza industriale. Nel 1919, tutti i belligeranti europei ebbero una crescita inferiore di oltre il 30%, mentre gli Stati Uniti uscirono dalla guerra rafforzati e con una concentrazione di oro nei loro forzieri più accresciuta che mai. A metà del XIX secolo, la Gran Bretagna era la potenza mondiale incontrastata e il suo Impero, sul quale “il sole non tramonta mai”, era lì a dimostrarlo; ma dopo la Prima Guerra mondiale dovette accettare a malincuore la sua posizione dietro gli Americani. Gli Stati Uniti passarono dallo stato di debitore a quello di maggior creditore e prestatore dell’Europa durante il periodo dopo la guerra. Il declino del capitalismo inaugurò una nuova organizzazione all’interno della costellazione imperialista.
“La situazione dell’economia britannica, un tempo potente, è stata esemplificata dalla situazione del 1926, quando questa ha fatto ricorso a tagli salariali diretti nel vano tentativo di ripristinare il suo vantaggio competitivo sul mercato mondiale (...). L’unico vero boom fu quello degli Stati Uniti, che beneficiarono sia delle sofferenze dei loro antichi rivali che dello sviluppo accelerato della produzione di massa, simboleggiato dalle catene di montaggio di Detroit che sfornavano il Modello T Ford. L’incoronazione dell’America come prima potenza economica mondiale rese anche possibile tirare su l’economia tedesca grazie all’iniezione di prestiti massicci”.[13]
In realtà, dopo la guerra, non ci fu né ripresa dell’economia né espansione di nuovi mercati. Per gli Stati Uniti, fu grazie alla guerra che aumentarono massicciamente le loro esportazioni verso l’Europa, e il fatto di aver mantenuto intatta la loro forza industriale rafforzò l’idea nella borghesia americana di una “crescita illimitata”. Tuttavia, il 1929 e la Grande Depressione infransero questa ideologia e ricordarono a tutti che il capitalismo era entrato nella sua fase di decadenza e che la crisi e la guerra sarebbero stati d’ora in poi il suo modus operandi.
La Grande Depressione colpì l’America come una maledizione biblica. Una fortissima disoccupazione, imprese in bancarotta, fame nelle strade... le immagini di desolazione si ripeterono in tutto il paese e le devastazioni si estesero al resto del mondo. Lo Stato americano, sotto la direzione di Franklin D. Roosevelt, decise di intervenire. Il capitalismo di Stato, che aveva preso forma dalla Prima Guerra mondiale, divenne onnipresente e intervenne in salvataggio dell’economia. Il “New Deal” non era altro che keynesianimo, con l’investimento dello Stato nelle infrastrutture che aveva la funzione di rivitalizzare l’intera industria. L’attuazione di questo piano fu ritardata e gli effetti positivi attesi tardarono ad arrivare. Così, negli anni ‘30, la borghesia mondiale cercò una via d’uscita dalla situazione e l’unica che la borghesia riuscì a trovare fu una nuova guerra mondiale, che fu possibile solo grazie allo schiacciamento del proletariato. Questa volta la guerra sarebbe stata più devastante e mortale e gli Stati Uniti ne sarebbero usciti ancora meglio posizionati come potenza mondiale incontrastata.
3. La seconda guerra mondiale
Ancora una volta fu la Germania a dover mettere in discussione lo status quo. L’annessione dell’Austria e l’invasione lampo della Polonia nel 1939 aprirono nuove ostilità. Gli Stati Uniti, il cui territorio era al riparo dai campi di battaglia, mantennero ancora una volta la loro neutralità. Mentre la Francia veniva invasa da un esercito di occupazione e la Gran Bretagna subiva i bombardamenti tedeschi, gli Stati Uniti riattivarono il loro ruolo di fornitori per il fronte; la disoccupazione venne riassorbita e l’industria americana riprese la sua frenetica produzione. Non fu il New Deal ma la guerra a permettere la ripresa dell’apparato produttivo americano.
La Germania sembrava inarrestabile. All’interno degli Stati Uniti c’era una forte resistenza a un’entrata in conflitto, l’ala “isolazionista”, normalmente concentrata nel Partito Repubblicano, non era d’accordo con l’entrata in guerra dell’America, e c’era una forte simpatia di settori della società americana verso le potenze dell’Asse e in particolare verso la Germania. La borghesia americana sapeva che la Germania avrebbe preso il controllo dell’Europa se non fosse intervenuta. Contrariamente alla prima guerra mondiale, questa volta il Giappone, che aveva già diffuso le sue ambizioni imperialiste in Manciuria e occupato gran parte della Cina, entrò immediatamente in guerra dalla parte dell’Asse (Berlino-Roma-Tokyo) e cercò di dominare il Pacifico.
Per poter entrare in guerra era necessario per la borghesia americana rompere con gli isolazionisti, ma anche convincere la popolazione e neutralizzare la classe operaia dietro la bandiera a stelle e strisce. Un attacco era necessario per giustificare la sua entrata in guerra senza trovare resistenze. Le crescenti provocazioni contro il Giappone diedero i loro frutti e nel dicembre 1941 l’impero di Hirohito abboccò all’amo e attaccò Pearl Harbour nelle Hawaii. Il machiavellismo della borghesia americana è degno di studio: la perdita di vite umane e le distruzioni materiali sono secondarie quando si tratta di obiettivi imperialisti[14]. Ancora una volta, l’entrata in guerra dell’America fece pendere l’ago della bilancia a favore degli alleati e tutta la sua industria fu destinata al rifornimento di armi e altro materiale per gli alleati. Il New Deal non aveva mantenuto la sua promessa di piena occupazione: nel 1938 c'erano 11 milioni di disoccupati e nel 1941 erano ancora più di 6 milioni. Fu solo quando tutto l’apparato industriale fu approntato per rispondere alle esigenze della guerra che la disoccupazione finalmente calò. E con ciò il miraggio di aver superato la crisi economica riapparve all’orizzonte americano.
La borghesia americana aveva messo su un esercito moderno capace di intervenire in tutto il mondo e la ricerca scientifica aveva già sfruttato la fissione nucleare. La sua “neutralità” pacifica era armata fino ai denti. Essere una potenza economica è intimamente legato alla capacità dello Stato nazionale di difendere i propri interessi a livello mondiale.
“Sotto il capitalismo non c’è un’opposizione fondamentale tra guerra e pace, ma c’è una differenza tra le fasi ascendente e decadente della società capitalista e, di conseguenza, una differenza nella funzione della guerra (e nel rapporto tra guerra e pace) nelle due rispettive fasi. Mentre nella fase ascendente la guerra aveva la funzione di allargare il mercato in vista di una maggiore produzione di beni di consumo, in quella di decadenza la produzione si concentra essenzialmente sulla produzione di mezzi di distruzione, cioè in vista della guerra. La decadenza della società capitalista si manifesta in modo impressionante nel fatto che mentre nel periodo ascendente le guerre portavano allo sviluppo economico, nel periodo decadente l’attività economica è orientata essenzialmente alla guerra.
Questo non significa che la guerra sia diventata lo scopo della produzione capitalistica, che rimane la produzione di plusvalore, ma significa che la guerra, assumendo un carattere permanente, è diventata il modo di vita del capitalismo decadente”.[15]
La Seconda Guerra mondiale fu chiaramente molto più distruttiva della prima. Globalmente morirono più di 50 milioni di persone, tra cui un gran numero di civili. La distruzione di fabbriche e di quartieri operai nei paesi nemici introdusse un nuovo elemento perché, per indebolire le capacità dell’avversario, era essenziale distruggere i centri della forza lavoro, le fabbriche di munizioni e gli impianti per la produzione di alimenti e medicine, ecc. La distruzione dell’Europa permise l’ascesa di una potenza di secondo livello, l’URSS, i cui appetiti imperialisti sembravano insaziabili. Gli Stati Uniti dovevano usare la loro nuova potenza, la bomba atomica, per negoziare con Stalin da una posizione di forza. Ecco perché a Yalta, nel febbraio 1945, mentre gli americani non avevano ancora completato la costruzione delle loro armi atomiche, Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill fecero credere ai russi il contrario, volendo questi ultimi invadere il Giappone prima di maggio. Sotto Harry S. Truman, l’accordo di Potsdam fu completato all’inizio di agosto 1945, ma Truman ricevette dei telegrammi che confermavano il successo dei test della bomba atomica nel New Mexico e fu così in grado di esercitare una maggiore pressione sull’URSS sapendo di possedere già l’arma che gli avrebbe garantito una superiorità nei confronti dei russi. Gli Stati Uniti sganciarono le loro bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, su un Giappone già sconfitto e che non rappresentava più una minaccia per gli Alleati, soprattutto per impressionare i russi. Il bombardamento atomico mise fine alle ambizioni dell’URSS. La Seconda Guerra Mondiale non era ancora finita ed era già cominciata la Guerra Fredda.
4. La guerra fredda: una conseguenza del “secolo americano”
Gli Stati Uniti si sono assicurati il controllo globale alla fine della Seconda Guerra mondiale. La creazione dell’ONU, l’accordo di Bretton Woods (nel 1945, l’80% dell’oro mondiale si trovava negli Stati Uniti), la Banca Mondiale, il FMI, il GATT, la NATO... rappresentavano tutta un’architettura organizzativa che assicurava la superiorità mondiale americana a livello economico, politico e, soprattutto, militare. Le basi americane si moltiplicarono in tutto il pianeta, 800 in totale più basi segrete esistenti probabilmente in paesi come Israele e Arabia Saudita. Durante la guerra gli Stati Uniti, con oltre 12 milioni di uomini sotto le armi, avevano raddoppiato il loro Prodotto Nazionale Lordo, e alla fine della guerra rappresentavano “la metà della capacità produttiva mondiale, la maggior parte delle eccedenze alimentari, e quasi tutte le riserve finanziarie. Gli Stati Uniti erano in testa in una vasta gamma di tecnologie essenziali per la guerra moderna e la prosperità economica. Il possesso di ampie scorte di petrolio nazionale e il controllo dell’accesso alle vaste riserve di petrolio dell’America Latina e del Medio Oriente contribuirono alla posizione di dominio globale degli Stati Uniti” (D. S. Painter, Encyclopaedia of US Foreign Policy)[16].
Così, “la forza americana è stata favorita dai vantaggi derivanti dal relativo isolamento geografico dell’America. Distante dall’epicentro di entrambe le guerre mondiali, la patria americana non aveva subito nessuna delle massicce distruzioni dei mezzi di produzione che le nazioni europee avevano sperimentato, e la sua popolazione civile era stata risparmiata dal terrore dei raid aerei, dei bombardamenti, delle deportazioni e dei campi di concentramento che portarono alla morte di milioni di non combattenti in Europa (più di 20 milioni di civili nella sola Russia)”.[17]
Dal 1945, l’asse principale della politica estera americana nella Guerra Fredda fu il “contenimento dell'URSS” e del blocco falsamente chiamato “comunista”. Le ambizioni dell’URSS si videro presto apertamente: la Russia inghiottì gli Stati baltici, installò il suo governo in Polonia, negoziò l’accesso al Mar Nero con la Turchia, alimentò la guerra civile in Grecia e non nascose le sue pretese verso il Giappone e le isole Curìli con le quali avrebbe rafforzato il suo potere dall’Europa al Pacifico. Gli Stati Uniti concepirono la loro strategia con il “Piano Marshall” nel 1947: più di 12,5 miliardi di dollari per la ricostruzione urbana, per alleviare la fame e fornire beni in tutta Europa. In breve, il Piano Marshall serviva a permettere agli europei di continuare a comprare beni americani. Per il resto, l’obiettivo principale era di impedire lo sviluppo in Europa di condizioni che permettessero all’URSS, e ai partiti “comunisti” fedeli a Mosca, di fomentare una situazione socialmente instabile e integrare nuovi membri nel blocco russo, il caso della Cecoslovacchia essendo un esempio eloquente che non poteva essere ripetuto.[18]
Alla fine della guerra, George Marshall arrivò in Cina per cercare di formare una coalizione. Tuttavia Mao Tse Tung del PCC e Chiang Kai-Shek del Kuomintang, consigliati da Mosca, misero da parte le loro rivalità e fecero fronte comune contro gli americani e ruppero i negoziati nella primavera del 1946.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’URSS e gli Stati Uniti si incontrarono per dividere la Corea lungo il 36° parallelo, ma nel 1950, il Nord, sostenuto dai Russi, invase la Corea del Sud, che era sotto il controllo americano. Gli orrori della Guerra Fredda erano giunti al macabro compimento[19]: la guerra durò 3 anni e costò 3 milioni di morti, con famiglie divise e un’angoscia duratura per la popolazione coreana. Gli Stati Uniti riuscirono ad avere la meglio e respinsero le forze nordcoreane verso la frontiera inizialmente concordata. Questa guerra segnò l’inizio di una situazione in cui gli Stati Uniti furono la prima e incontrastata superpotenza mondiale per i successivi 40 anni.
L’Europa era divisa dalla “cortina di ferro”. La NATO fu creata nel 1949 per la protezione militare dell’Europa occidentale, e nel 1955 l’URSS rispose con il Patto di Varsavia. Il mondo fu immerso in una minaccia permanente di conflitto, missili e ogni sorta di armamenti venivano esibiti da entrambe le parti mentre la “pace” capitalista diventava una nuova spada di Damocle.
A poco a poco gli Stati Uniti imposero la loro autorità. Nel 1956, quando il Regno Unito e la Francia, con la connivenza di Israele, agirono impulsivamente nel tentativo di riprendere il canale di Suez, gli americani imposero la loro disciplina e relegarono la Francia e il Regno Unito a un ruolo secondario dietro gli Stati Uniti.
L’unico scontro diretto tra i due leader di blocco, USA e URSS, fu la “crisi dei missili di Cuba” nel 1962, che terminò con un accordo segreto tra l’amministrazione Kennedy e Nikita Kruscev. Altri scontri di questo periodo sono stati fatti per mezzo di intermediari.
L’ostacolo più importante per il “secolo americano” fu la guerra in Vietnam. Il Vietnam era diviso tra Nord e Sud, il Sud sotto l’influenza di Washington e il Nord sotto l’URSS e la Cina. Questa guerra portò a numerose divisioni all’interno della borghesia americana e l’idea di essere “impantanati nella palude vietnamita”, così come i progressi di Mosca in Medio Oriente, contribuirono a far sì che gli americani terminassero questa guerra e riorientassero la loro politica estera. Anche se più di 500.000 uomini erano stati inviati in Vietnam nel 1968, questi dovettero abbandonare l’ex colonia francese e, nel 1973, furono firmati gli “Accordi di Parigi” che stabilivano la partenza degli americani dal Vietnam del Sud. Questo portò presto alla presa di Saigon da parte del Vietnam del Nord nel 1975 e alla riunificazione del paese nel 1976 sotto l’egida “comunista” con il grandioso nome di Repubblica Socialista del Vietnam.
A parte questo fiasco, che non fu insignificante, gli Americani riuscirono a raggiungere la Luna e a primeggiare nella ricerca scientifica e tecnologica in campo militare. Nelle rivalità con il blocco “comunista” essi riuscirono a contenere l’URSS in tutto il continente americano. Cuba fu un’eccezione che Washington si promise che non si sarebbe ripetuta: la Dottrina Monroe fu applicata alla lettera. L’influenza cubana si limitò al romanticismo intorno alla rivoluzione di uomini con la barba che alimentò il gauchisme guerrigliero simboleggiato da Che Guevara. In Medio Oriente gli Stati Uniti fecero di Israele la loro testa di ponte per contenere i flirt arabi con Mosca. In Estremo Oriente, invece, il fallimento della guerra del Vietnam portò qualcosa di positivo per Washington: riuscì ad attirare la Cina nel blocco occidentale, con una rottura definitiva di questa con i Russi. Naturalmente, gli Stati Uniti dovettero abbandonare la loro precedente posizione che riconosceva Taiwan come governo della Cina; l’imperialismo non ha rimorsi né vergogna, questi sentimenti non esistono per esso perché ciò che prevale è il freddo calcolo degli interessi più sordidi per assicurare il potere e il controllo sugli altri. La guerra fredda ha visto quattro decenni di manovre, di “contenimento” e infine l’accerchiamento dell’URSS.
Gli Stati Uniti non intervennero nella rivolta ungherese del 1956, ma quando l’URSS invase l’Afghanistan all’inizio degli anni ’80, fu costretta a sostenere e parteggiare per la “resistenza” contro l’invasione sovietica, dando così vita ai Mujaheddin e a quella che poi divenne al-Qaeda, guidata da Osama Bin Laden, che combatterono a fianco degli Americani. All’inizio del ventunesimo secolo, tutti questi “alleati” avevano cominciato a fare i loro giochi fino al punto di osare ribellarsi e attaccare il loro vecchio padrone.
Conclusione
Dalla fine del XVIII secolo, la costituzione degli Stati Uniti ha permesso loro di conquistare un territorio immenso e di accogliere un flusso costante di emigrati. L’industrializzazione del Nord ebbe la meglio sull’anacronistico sistema schiavista del Sud e, con esso, il capitalismo consolidò le basi della sua espansione. Alla fine del XIX secolo gli Stati Uniti erano già un paese il cui territorio si estendeva dall’Atlantico al Pacifico. Dobbiamo qui notare che gli Stati Uniti sono letteralmente la somma di Stati che genera un’unità nazionale mantenuta sotto vincoli. Ma il “Destino Manifesto” era che gli Stati Uniti si sarebbero diffusi in tutto il mondo; dopo tutto, questo “destino” era quello del capitalismo americano, espresso nei sogni dei primi pionieri. La fine dell’espansione americana sul proprio territorio nazionale e la delimitazione della Dottrina Monroe (di fronte alle potenze europee) della zona d’influenza degli Stati Uniti in tutto il continente americano coincise con l’apertura del XX secolo e l’inizio della decadenza del capitalismo. La prima guerra mondiale fu l’espressione aperta della fine della fase progressiva del capitalismo e dell’inizio del suo declino storico.
Gli Stati Uniti uscirono dalla Prima Guerra Mondiale molto rafforzati, e i prestatori di ieri divennero debitori; in contrasto con quanto avvenne in Europa, dove anche i vincitori Gran Bretagna e Francia furono incapaci di riprendere il loro antico posto sullo scacchiere internazionale e dove gli Stati Uniti si posizionarono come prima potenza mondiale, divenendo il grande fornitore dell’Intesa. Essendo geograficamente lontani dai campi di battaglia, la loro produzione industriale e la loro popolazione rimasero intatte e si concentrarono sulla produzione per rifornire il fronte. La Grande Depressione mostrò fino a che punto il capitalismo di Stato aveva già preso il controllo della vita economica, sociale e militare. Anche se il New Deal non risolse la crisi, mostrò il ruolo dello Stato. La Seconda Guerra Mondiale ha più che confermato il ruolo degli Stati Uniti come potenza mondiale. Questa volta il suo ruolo di fornitore fu superiore, le riserve di oro erano concentrate nei forzieri americani e il suo esercito era presente su tutto il pianeta, in cielo, mare e terra. Tutto il suo apparato produttivo e scientifico era subordinato alle necessità della guerra. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, abbiamo visto il coronamento del grande vincitore di due guerre mondiali: gli Stati Uniti. La guerra fredda fu completamente dominata dagli Americani, mentre il blocco russo implose nel 1989 senza che un colpo fosse sparato o un missile lanciato dall’Occidente. Ma il dominio americano era fondato su sabbie mobili, mentre il suo impero era incancrenito dal cancro del militarismo. Mentre il blocco sovietico, con la Russia in testa, era esausto e dissestato per l’esaurimento del suo apparato produttivo dopo decenni di tentativi di tenere il passo nella corsa agli armamenti, gli stessi Stati Uniti hanno minato la loro supremazia sotto il peso di un’economia soggetta alle esigenze della guerra. La posizione di prima potenza mondiale non si difende con la poesia ma con il mantenimento e l’espansione di un potente esercito. È lo stesso in questo periodo in cui finisce il “secolo americano”. Il peso delle spese militari aveva spinto l’URSS al fallimento, ma l’industria degli armamenti è uno spreco puro e semplice per il capitale mondiale, per il capitale nel suo insieme, e così l’URSS non è sola a soffrire di questo peso. Analizzeremo nella seconda parte di questo articolo come questi sviluppi hanno avuto un effetto negativo anche sulla capacità competitiva del capitale americano.
Gli Stati Uniti possono essere considerati come il classico paese della decadenza del capitalismo. Se la Gran Bretagna e la Francia erano le potenze dell’ascesa del capitalismo, gli Stati Uniti sono diventati la più grande potenza attraverso le condizioni create dalla decadenza del capitalismo, in particolare la guerra come “stile di vita” di un sistema in declino. Questa decadenza ha aperto la sua fase terminale, la decomposizione sociale che, dalla fine degli anni '80, ha segnato un’accentuazione qualitativa delle contraddizioni di questo modo di produzione. Trent’anni di decomposizione sociale hanno portato i paesi centrali del capitalismo, e soprattutto gli Stati Uniti, a diventare la forza motrice del caos.
Marsan
[1] Vedi Assalto al Campidoglio di Washington: gli USA nel cuore della decomposizione mondiale del capitalismo.
[3] “Un uomo, un voto” o “nessuna tassa senza una rappresentanza”.
[5] Il presidente Abramo Lincoln firmò il Pacific Railroad Act (Legge sulle ferrovie del Pacifico) nel 1862. Questa legge autorizzava la costruzione di una ferrovia transcontinentale da parte di due compagnie, la Union Pacific Railroad e la Central Pacific Railroad.
[6] Il pretesto per questa guerra fu l’affondamento della corazzata USS Maine nel porto dell’Avana il 15 febbraio 1898. La Spagna si rifiutò di vendere Cuba agli americani e l’invio della corazzata senza preavviso fu un’aperta provocazione. Ancora oggi si specula su “chi ha affondato la Maine”. Quello che è certo è che il crimine andò a vantaggio degli Stati Uniti che, dopo la guerra contro la Spagna, controllavano Cuba, Puerto Rica e persino le Filippine. Il machiavellismo della borghesia statunitense ha una lunga storia.
[7] Eugenio Pereira Salas: Los primeros contactos entre Chile y los Estados Unidos. 1778-1809 (Santiago: Ed. Andres Bello, 1971.) (In spagnolo).
[8] Il Messaggio all’Unione Nazionale del Lavoro degli Stati Uniti (Address to the National Labour Union of the United States) fu scritto da Marx e letto da lui alla riunione del Consiglio Generale della Prima Internazionale nel maggio 1869. Vedi anche la lettera del dicembre 1864 scritta da Marx e indirizzata ad Abraham Lincoln a nome della Prima Internazionale, che fu pubblicata in Gran Bretagna nel Daily News, nel Reynolds Newspaper e nel Bee-Hive (Messaggio dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori ad Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti d'America – Address of the International Working Men's Association to Abraham Lincoln, President of the United States of America).
[9] Fritz Sternberg, Capitalism and Socialism on Trial.
[10] Vedi “Guerra, militarismo e blocchi imperialisti nella decadenza del capitalismo” in International Review 52 and 53 (disponibile in inglese, francese e spagnolo). Sulla base delle analisi della Gauche Communiste de France, questo articolo spiega la diversa natura delle guerre nel periodo del capitalismo ascendente e di quelle nel suo periodo di decadenza.
[11] Vedi l’articolo La borghesia messicana nella storia dell'imperialismo, nella Rivista Internazionale n° 77 (in inglese, The Mexican bourgeoisie in the history of imperialism, francese e spagnolo) e il libro La guerra secreta en Mexico, di Friedrich Katz, edizione ERA.
[12] Fritz Sternberg, Capitalism and socialism on trial.
[13] Vedi Decadence of Capitalism (x): For revolutionaries, the Great Depression confirms the obsolescence of capitalism, in Rivista Internazionale n° 146 (in inglese, francese e spagnolo).
[14] Per meglio comprendere come i mass-media americani hanno confrontato l’11 settembre con il 1941, vedi Pearl Harbor 1941, Twin Towers 2001: Machiavellianism of the US bourgeoisie nella Rivista Internazionale n°108 (in inglese, francese e spagnolo).
[15] Rapporto della Conferenza della Sinistra Comunista di Francia del luglio 1945 ripreso nel Rapporto sul corso storico adottato al 3° Congresso della CCI, citato in War, militarism and imperialist blocs in the decadence of capitalism, Rivista Internazionale n°52, (in inglese, francese e spagnolo).
[16] History of US foreign policy since World War II (Storia della politica estera Americana dalla II Guerra mondiale), in Rivista Internazionale n° 113, in inglese, francese e spagnolo.
[17] Ibidem.
[18] Gli accordi di Yalta (1944) unirono i Cechi e gli Slovacchi in un’unica repubblica governata da Edouard Benes con l’approvazione degli alleati. L’idea era che l’URSS avrebbe permesso alla Cecoslovacchia di agire da cuscinetto, ma Stalin lavorò per radicalizzare il partito socialdemocratico ceco (CSK), che prese il ministero degli interni e la carica di primo ministro (Gottwald), tra gli altri. Fu organizzato un colpo di stato legale, ci furono intrighi, “suicidi” (Jan Masaryk, ministro degli esteri), ecc. fino a che, nel febbraio 1948, gli stalinisti presero il controllo totale. Gli Stati Uniti non reagirono in tempo, cosa di cui si lamentò Churchill.
[19] Il tonnellaggio delle bombe atomiche era già superiore a quello della seconda guerra mondiale, e l’uso di sostanze chimiche, come il napalm in Vietnam, fu una drammatica conferma di una guerra fredda sempre più barbara.