Assalto al Campidoglio di Washington: gli USA nel cuore della decomposizione mondiale del capitalismo

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È così che i risultati elettorali vengono contesi in una repubblica delle banane. Questa dichiarazione ha fatto seguito all'invasione del Campidoglio del 5 gennaio da parte di diverse centinaia di partigiani di Donald Trump, venuti a interrompere la proclamazione della vittoria di Joe Biden. Si potrebbe pensare che un giudizio così severo sulla situazione politica degli Stati Uniti possa provenire da qualcuno visceralmente ostile all’America, o da un americano “di sinistra”. Niente affatto: è stato l’ex presidente George W. Bush, membro dello stesso partito di Trump. Questo ci dice molto sulla gravità di quello che è successo a Washington quel giorno. Qualche ora prima, davanti alla Casa Bianca, il presidente sconfitto, come un demagogo del terzo mondo, aveva riscaldato i suoi sostenitori affermando “Non ci arrenderemo mai. Non ve lo concederemo mai... non vi riprenderete mai il nostro Paese con la debolezza... So che tutti voi qui presto marcerete verso il Campidoglio per far sentire la vostra voce in modo pacifico e patriottico”.

In seguito a questo sottile e velato richiamo alla rivolta, la folla furiosa, guidata da bande semi-fasciste trumpiste come i Proud Boys, non ha dovuto far altro che camminare lungo il National Mall verso il Campidoglio e attaccare l’edificio, sorvegliato da una forza di sicurezza che è stata totalmente travolta. Come mai i cordoni di poliziotti, il cui compito era quello di sorvegliare l'accesso al Campidoglio, hanno permesso agli aggressori di superarli quando la forza impressionante messa davanti allo stesso edificio durante le dimostrazioni di Black Lives Matter è stata in grado di evitare qualsiasi perdita di controllo? Immagini così impressionanti possono solo alimentare l’ipotesi che l’assalto a questo emblema della democrazia americana sia stato un “11 settembre politico”.

Di fronte a questo caos, le forze sono state comunque dispiegate piuttosto rapidamente: sono state inviate truppe antisommossa e la Guardia Nazionale, un dimostrante è stato ucciso e altri tre sono morti, è stato imposto il coprifuoco mentre l'esercito pattugliava le strade di Washington. Queste immagini sorprendenti assomigliavano davvero alle notti post-elettorali nelle “repubbliche delle banane” del terzo mondo, lacerate da sanguinose rivalità tra cricche mafiose. Ma questi eventi, che hanno fatto notizia in tutto il mondo, non sono stati opera di qualche megalomane generale dell’esercito. Si sono svolti nel Paese più potente del pianeta, nella “più grande democrazia del mondo”.

La prima potenza mondiale al centro di un caos crescente

La “profanazione del tempio della democrazia americana” da parte di una folla composta da suprematisti bianchi armati di bastoni per selfie, da milizie armate di fanatici, da un teorico della cospirazione che indossava un elmo di pelliccia con le corna, è una flagrante espressione della crescente violenza e dell’irrazionalità che infetta la società americana. Le fratture nel suo apparato politico, l'esplosione del populismo dopo l'elezione di Trump, sono un’eloquente dimostrazione del fatto che la società capitalista sta marcendo. Infatti, come abbiamo sostenuto dalla fine degli anni Ottanta[1], il sistema capitalista, entrato nel suo periodo di decadenza con la I Guerra Mondiale, negli ultimi decenni sta sprofondando nella fase finale di questa decadenza, la fase della decomposizione. La dimostrazione più spettacolare di questa situazione è stata il crollo del blocco dell’est nel 1989. Questo grande evento non è stato semplicemente un’indicazione della fragilità dei regimi che governavano i Paesi di questo blocco. Ha espresso un processo storico che ha interessato l'intero sistema capitalistico globale e che da allora è andato sempre peggio. Finora gli Stati più potenti erano riusciti a spingere gli effetti più evidenti di questo processo verso i paesi già molto deboli della “periferia”: folle inferocite che fungono da carne da cannone per gli interessi di questa o quella cricca borghese, violenza estrema quotidiana, la povertà più nera visibile ad ogni angolo di strada, la destabilizzazione degli Stati e di intere regioni... tutto questo sembrava essere quello che accadeva solo nelle “repubbliche delle banane”.

Ma da alcuni anni questa tendenza generale colpisce sempre più esplicitamente i paesi "centrali". Certo, non tutti gli Stati sono stati colpiti allo stesso modo, ma è chiaro che la decomposizione colpisce ora i Paesi più potenti: il moltiplicarsi di attacchi terroristici in Europa, le vittorie a sorpresa di individui irresponsabili come Trump o Boris Johnson, l'esplosione di ideologie irrazionali e, soprattutto, la risposta disastrosa alla pandemia del Coronavirus che di per sé esprime un'accelerazione della decomposizione senza precedenti. Tutto il mondo capitalista, comprese le sue parti più "civili", sta evolvendo inesorabilmente verso la barbarie e convulsioni sempre più acute.

Se oggi, tra i paesi più sviluppati, gli Stati Uniti sono i più colpiti da questa putrefazione, questa rappresenta anche uno dei principali fattori di instabilità. L’incapacità della borghesia americana di impedire a un clown miliardario nutrito di Reality TV di accedere alla presidenza ha già mostrato il crescente caos dell’apparato politico statunitense. Durante il suo mandato, Trump non ha smesso di aggravare le divisioni nella società americana, in particolare quelle razziali, e di alimentare il caos in tutto il pianeta, attraverso ogni tipo di dichiarazioni pungenti e di accordi nebulosi presentati con orgoglio come sottili manovre di un abile uomo d'affari. Ricordiamo il suo scontro con il comando militare americano che gli ha impedito, all’ultimo minuto, di bombardare l’Iran, o il suo “storico incontro” con Kim Jong-un che solo poche settimane prima aveva soprannominato “Rocket Man”.

Dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19, dopo decenni di crisi dei sistemi sanitari, tutti gli Stati hanno dato prova di una negligenza criminale. Ma anche in questo caso lo Stato americano guidato da Donald Trump è stato in prima linea nel disastro, sia a livello nazionale, con un numero record di morti[2], sia a livello internazionale, attraverso la destabilizzazione di un’istituzione di cooperazione mondiale come l'Organizzazione mondiale della sanità.

L'assalto al Campidoglio da parte di bande di fanatici trumpisti fa pienamente parte di questa esplosione di caos a tutti i livelli della società. E’ stata un’espressione della crescita di conflitti totalmente irrazionali e violenti tra diverse parti della popolazione (bianchi contro neri, persone contro élite, uomini contro donne, gay contro eterosessuali, etc.) - la cui caricatura è rappresentata dalle milizie razziste pesantemente armate e dai teorici deliranti della cospirazione.

Ma queste “fratture” sono soprattutto il riflesso di scontri aperti tra cricche della borghesia americana: i populisti intorno a Trump da un lato, quelli con una maggiore preoccupazione per gli interessi a lungo termine del capitale nazionale americano dall’altro. All'interno del Partito democratico, insieme a elementi del Partito repubblicano, negli ingranaggi dello Stato e dell’esercito, nei grandi mezzi di informazione o nelle cerimonie hollywoodiane, le campagne di opposizione contro le gesticolazioni del presidente populista sono state costanti e talvolta molto virulente.

Questi scontri tra diversi settori della borghesia non sono una novità. Ma in una “democrazia” come quella statunitense, e contrariamente a quanto avviene nei Paesi del terzo mondo, essi avvengono normalmente nel quadro delle istituzioni, con un certo “rispetto dell’ordine”. Il fatto che stiano ora assumendo questa forma violenta in un Paese “modello di democrazia” testimonia lo spettacolare aggravamento del caos all’interno dell’apparato politico della classe dirigente, e questo segna un passo significativo nello scivolamento del capitalismo verso la decomposizione.

Aizzando la sua base di fan, Trump ha superato una nuova linea nella sua politica della “terra bruciata” che ha fatto seguito alla sconfitta alle elezioni presidenziali, che ancora si rifiuta di riconoscere. Il suo attacco contro il Campidoglio, simbolo legislativo della democrazia americana, ha aperto un abisso all’interno del Partito Repubblicano con la sua ala più “moderata” che non ha altra scelta che denunciare questo “colpo di Stato” contro la democrazia e prendere le distanze da Trump per salvare il partito di Abramo Lincoln. Per quanto riguarda i democratici, questi hanno alzato la posta in gioco facendo una grossa sceneggiata e gridando contro il comportamento criminale di Trump.

Per cercare di restituire l’immagine dell’America di fronte a una borghesia mondiale sconvolta, per contenere l’esplosione del caos nella “Terra della Libertà”, Joe Biden e la sua cricca si sono subito lanciati in una lotta a morte contro Trump, denunciando le sue azioni irresponsabili e chiedendo la sua destituzione dal potere anche nel breve periodo che precede l’insediamento del nuovo presidente.

La successione di dimissioni di ministri repubblicani, gli appelli per le dimissioni o per l’impeachment di Trump, così come gli inviti al Pentagono di sorvegliare da vicino il Presidente e di assicurarsi che non prema il bottone nucleare, sono testimoni di una volontà di eliminarlo dal gioco politico. Il giorno dopo l’attacco al Campidoglio, la crisi politica si è espressa col fatto che una metà della base elettorale di Trump lo ha rinnegato, mentre l’altra metà continua a sostenere e giustificare l’attacco. La carriera politica di Trump sembra essere seriamente compromessa. In particolare, si stanno prendendo misure per garantire che non possa essere più eleggibile alle elezioni nel 2024. Oggi, il presidente sconfitto ha un solo obiettivo: salvare la pelle di fronte alla minaccia di un procedimento giudiziario per istigazione all’insurrezione. La sera stessa dell’attacco al Campidoglio, Trump, pur rifiutandosi di condannare le loro azioni, ha invitato le sue truppe a “tornare a casa”. Due giorni dopo ha finito di mangiare il rospo descrivendo questo attacco come “atroce” e dicendo di essere “indignato dalla violenza, dall’illegalità e dal caos”. E, mantenendo un basso profilo, ha riconosciuto in silenzio la sua sconfitta elettorale e ha dichiarato che avrebbe lasciato il trono per Biden, pur insistendo sul fatto che non sarebbe stato presente all’inaugurazione del 20 gennaio.

È possibile che Trump venga eliminato una volta per tutte dal gioco politico, ma non sarà lo stesso per il populismo! Questa ideologia reazionaria e oscurantista è una piaga che può solo estendersi con l'aggravarsi della decomposizione sociale, di cui gli USA oggi sono l'epicentro. La società americana è più che mai divisa e lacerata. La violenza continuerà a crescere con il pericolo permanente di scontri (anche armati) all'interno della popolazione. La retorica di Biden sulla “riconciliazione” per il popolo americano mostra una comprensione della gravità della situazione, ma qualunque sia il successo parziale o temporaneo che questo possa avere, non può fermare la tendenza di fondo alla dislocazione sociale della prima potenza mondiale.

Il pericolo maggiore per il proletariato negli USA sarebbe quello di essere trascinato in questo confronto tra diverse fazioni della borghesia. Gran parte dell’elettorato di Trump è composto da lavoratori che rifiutano le “élite” e cercano un “uomo del destino”. Le promesse di Trump di rilanciare l’industria gli avevano permesso di raccogliere molti proletari disoccupati dalla "cintura di ruggine". C'è il rischio di scontri tra lavoratori pro-Trump e altri pro-Biden. Inoltre, la discesa nella decomposizione minaccia anche di accentuare il divario razziale endemico negli Stati Uniti, alimentando ideologie identitarie e mettendo il nero contro il bianco.

La gigantesca campagna democratica è una trappola per la classe operaia!

La tendenza alla perdita di controllo del suo gioco politico da parte della borghesia, come abbiamo visto con l’arrivo di Trump alla presidenza, non significa che la classe operaia possa trarre vantaggio dalla decomposizione del capitalismo. Al contrario, la classe dirigente non smette di scaricare gli effetti della decomposizione sulla classe operaia. Già nel 1989, quando il crollo del blocco dell’est era un'espressione lampante della decomposizione del capitalismo, la borghesia dei principali Paesi ha utilizzato questo evento per scatenare una gigantesca campagna democratica volta a tracciare un segno di uguaglianza tra la barbarie dei regimi stalinisti e l’autentica società comunista. I discorsi menzogneri sulla “morte della prospettiva rivoluzionaria” e sulla “scomparsa della classe operaia” hanno disorientato il proletariato, provocando un profondo riflusso nella sua coscienza e nella sua combattività. Oggi la borghesia sta strumentalizzando gli eventi in Campidoglio per lanciare una nuova campagna internazionale per la gloria della democrazia borghese.

Quando gli “insorti” stavano ancora occupando il Campidoglio, Biden ha subito dichiarato: “Come tanti altri Americani, sono sinceramente scioccato e rattristato che la nostra nazione, così a lungo faro di luce e speranza per la democrazia, sia giunta a un momento così buio... Il lavoro del momento e il lavoro dei prossimi quattro anni deve essere la restaurazione della democrazia”. A questo è seguita una cascata di dichiarazioni che vanno nella stessa direzione, anche all’interno del Partito Repubblicano. Dichiarazioni simili oltreoceano, in particolare da parte dei leader dei principali Paesi dell'Europa occidentale. “Queste immagini mi hanno fatto arrabbiare e rattristato. Ma sono sicura che la democrazia americana si dimostrerà più forte degli aggressori e dei rivoltosi”, ha dichiarato Angela Merkel. “Non cederemo alla violenza di coloro che vogliono mettere in discussione la democrazia” ha dichiarato Emmanuel Macron. E Boris Johnson ha aggiunto: “Per tutta la mia vita l’America è stata sinonimo di cose molto importanti. Un’idea di libertà, un’idea di democrazia”.

Dopo le mobilitazioni intorno alle elezioni presidenziali, che hanno visto una partecipazione record, e il movimento Black Lives Matter che chiede una polizia più “giusta” e “pulita”, grandi settori della borghesia mondiale stanno cercando di mobilitare il proletariato dietro la difesa dello Stato democratico contro il populismo. Il proletariato è chiamato a schierarsi dietro la fazione “Democratica” contro il “Dittatore” Trump. Questa falsa scelta è una pura mistificazione, una trappola per la classe operaia!

Sulla scia del caos internazionale che Trump ha alimentato, riuscirà il democratico Biden a stabilire un ordine mondiale più giusto? Certamente no! Il premio Nobel per la pace Barack Obama e il suo vice presidente Joe Biden hanno vissuto 8 anni di guerra ininterrotta. Le tensioni con la Cina, la Russia, l’Iran e tutti gli altri squali imperialisti non scompariranno miracolosamente.

Biden offrirà un futuro più umano ai migranti? Basta guardare a quanto crudelmente tutti i suoi predecessori, come tutte le “grandi democrazie”, hanno trattato questi “indesiderabili”. Basta ricordare che durante gli otto anni di presidenza Obama, con Biden come vicepresidente, ci sono state più deportazioni di immigrati che durante gli otto anni sotto George W. Bush. Le misure dell’amministrazione Obama contro gli immigrati non hanno fatto altro che aprire la porta all’escalation anti-immigrazione sotto Trump.

Forse che gli attacchi economici contro la classe operaia finiranno con il “ritorno alla democrazia”? Certo che no! Il crollo dell'economia mondiale in una crisi senza soluzione, ulteriormente aggravata dalla pandemia da Covid-19, porterà un’esplosione di disoccupazione, di povertà, di attacchi contro le condizioni di vita e di lavoro degli sfruttati in tutti i Paesi centrali guidati da governi “democratici”. E se Joe Biden riuscirà a “ripulire” la polizia, le forze repressive dello Stato democratico, negli Stati Uniti come in tutti i Paesi, si scateneranno ancora contro qualsiasi movimento della classe operaia, contro tutti i suoi sforzi di lotta per la difesa delle sue condizioni di vita e dei suoi bisogni più elementari.

Non c'è nulla da sperare nel “ritorno alla democrazia” in America. La classe operaia non deve lasciarsi cullare e intrappolare dai canti delle sirene delle fazioni democratiche dello Stato borghese. Non deve dimenticare che è stato in nome della difesa della democrazia contro il fascismo che la classe dirigente è riuscita a mobilitare decine di milioni di proletari nella seconda guerra mondiale, in gran parte sotto la guida della sinistra e dei fronti popolari. La democrazia borghese è solo il volto nascosto e ipocrita della dittatura del capitale!

L'attacco al Campidoglio è un nuovo sintomo di un sistema morente che sta trascinando l’umanità in una graduale discesa all’inferno. Di fronte alla realtà di una società borghese che sta marcendo in piedi, solo la classe operaia mondiale, sviluppando la lotta sul proprio terreno di classe contro gli effetti della crisi economica, può rovesciare il capitalismo e porre fine alla minaccia della distruzione del pianeta e della specie umana.

CCI 10 gennaio 2021

 

[2] Al momento in cui scriviamo, ci sono stati ufficialmente 363.581 morti per Covid-19 negli Stati Uniti, e 22 milioni di persone infettate. (Fonte: “Coronavirus : el mapa que muestra el número de infectados y muertos en el mundo por covid-19”, BBC News Mundo).

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