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Ripubblicando i testi di Bilan sulla guerra di Spagna non intendiamo fare opera di storici. Il nostro obiettivo e tutt’altro. Se la storia dell’umanità è sempre la storia delle lotte di classi, le lotte di ieri non si presentano al proletariato come un passato fisso, morto, ma come momenti sempre viventi della sua lotta storica per la trasformazione rivoluzionaria della società, della sua lotta sempre presente. La comprensione delle sue lotte di ieri costituisce per il proletariato, sola classe rivoluzionaria nella società capitalista, uno sforzo necessario e incessante per conoscere sempre più a fondo il contenuto e i mezzi della lotte che conduce, per superare le sue debolezze e i suoi errori, per evitarne le deviazioni, per forgiare la sua coscienza e le sue armi per le future battaglie e la vittoria finale.
I testi di Bilan hanno un interesse enorme e non solo perché le posizioni difese da Bilan erano la sola risposta giusta di classe ai problemi contro cui si scontrava il proletariato spagnolo quaranta anni fa, ma anche perché gli stessi problemi restano al centro delle attuali lotte del proletariato spagnolo e internazionale. Non si tratta di premiare a posteriori un gruppo rivoluzionario del quale nessun rivoluzionario potrebbe ignorare l’apporto ma di cogliere le sue posizioni che hanno sostenuto la prova del fuoco dell’esperienza e che devono servirci da filo conduttore negli scontri presenti e futuri della classe operaia. La forza dell’analisi che fa Bilan sulla situazione spagnola risiede prima di tutto nel fatto che questa situazione particolare viene posta in un contesto mondiale e storico.
Un errore diventato comune e che si ritrova anche nei ranghi dei comunisti di sinistra consiste nell’analizzare le situazioni partendo dal paese, isolatamente, in sé.
Una tale pratica che si vuole “marxista”, determinista, concreta, conduce inevitabilmente alle peggiori aberrazioni.
Lo “sviluppo ineguale” del capitalismo di cui parlava Marx, e le sue implicazioni nella lotte di classe, aveva tutta la sua importanza all’inizio del capitalismo e nel suo periodo ascendente. All’inizio il peso delle particolarità regionali e nazionali pesa ancore in modo preponderante sull’evoluzione tanto locale che generale. Ma nella misura in cui il capitalismo si sviluppa e crea il mercato mondiale, le specificità locali, pur permanendo, perdono d’importanza e cedono il passo di fronte alle leggi generali de1capitalismo in quanto sistema mondiale che impone il suo dominio su tutti i paesi.
Si può quindi dare come formula generale: più il capitalismo si sviluppa come sistema, più i paesi, presi individualmente, si trovano dipendenti dall’evoluzione del sistema come un tutto e giocano sempre meno, nell’analisi del loro sviluppo, i caratteri particolari di ogni paese.
E' nel periodo di decadenza, quando il sistema capitalista, come un tutto, entra in declino (in seguito allo sviluppo delle sue contraddizioni diventate insormontabili) che si manifesta al massimo grado questa unità mondiale del sistema. Diventa allora aberrante basare l’analisi, sotto il pretesto della legge dello “sviluppo ineguale”, partendo dalle particolarità di ogni paese e dal grado di sviluppo capitalista che avrebbe raggiunto.
Numerose sono queste analisi “marxiste” che, partendo dallo stadio arretrato dell’economia russa, presa isolatamente, arrivano a rigettare la possibilità stessa di una rivoluzione socialista e a negare di conseguenza ogni carattere proletario alla rivoluzione di ottobre. E’ un procedimento tipicamente menscevico che in ultima analisi applica alla crisi del capitalismo e alla rivoluzione proletaria lo schema e le norme della rivoluzione borghese. Fu a questo schema che si rifece l’Internazionale Comunista di Bukharin-Stalin per giustificare la politica del “blocco delle quattro classi” in Cina, riscoprendo la rivoluzione democratico-borghese dieci anni dopo la rivoluzione d’ottobre; a questo stesso schema si rifanno tanto coloro che hanno inventato la teoria della “rivoluzione doppia” (borghese e proletaria) che quelli che continuano a vedere un movimento progressista nelle guerre di “liberazione nazionale” e nelle rivoluzioni democratico-borghesi.
La prima difficoltà, il primo ostacolo contro cui si scontrava Bilan nell’analisi degli avvenimenti di Spagna era rappresentata dalle posizioni di chi poneva il “caso particolare” della Spagna, di chi parlava di “feudalesimo” e di lotta contro il “feudalesimo reazionario”. Una volta diventato una cosa in sé, lo stato arretrato dell’economia spagnola serviva da giustificazione a tutti i compromessi e apriva la porta ad ogni tradimento. Collocando la Spagna all’interno dell’economia mondiale, Bilan dimostrava la natura capitalista di questo paese, e non era che in questo quadro, quello di un’economia capitalista in crisi che doveva e poteva essere compresa la situazione della Spagna.
Non meno importante era collocare la lotta del proletariato spagnolo nel contesto dell’evoluzione generale, su scala mondiale, della lotta del proletariato. In quale corso si trova il proletariato nel decennio aperto dal 1930: in un corso di crescita della lotta rivoluzionaria o in quello che conduce, dopo aver subito profonde disfatte, demoralizzato, integrato nella difesa nazionale, inevitabilmente alla guerra imperialista?
Trotsky che aveva visto e denunciato nella vittoria di Hitler l’apertura della corsa alla guerra, cambia completamente di prospettiva con 1’avvento del Fronte Popolare in Francia a in Spagna e annuncerà con grande risonanza che “la rivoluzione è cominciata in Francia”.
Tutt'altra sarà l'analisi di Bilan che, non solo non vedrà nel trionfo del Fronte Popolare un rovesciamento del corso alla guerra, ma al contrario lo considererà come un rafforzamento di questo corso, una replica adeguata nei paese “democratici” all’isteria guerrafondaia della Germania e dell’Italia, un mezzo e dei più efficaci per far abbandonare al proletariato il suo terreno di classe, per mobilitarlo attorno alla difesa della “democrazia” e dell’interesse nazionale, preparazione necessaria per condurlo alla guerra imperialista.
In un tale contesto quale poteva essere la prospettiva dell’eroica lotta del proletariato spagnolo? E’ innegabile che il proletariato di Spagna diede, nella sua vigorosa lotta contro il sollevamento di Franco, soprattutto nei primi giorni, un magnifico esempio di combattività e di decisione. Ma per quanto grande fosse la sua combattività, lo sviluppo degli avvenimenti doveva presto mostrare che non era in suo potere di andare da solo alla vittoria rivoluzionaria in una situazione mondiale di rinculo e di smobilitazione della classe operaia internazionale.
Dai tragici avvenimenti del proletariato in Spagna dobbiamo trarre questa lezione preziosa: come l’ottobre 1917 ci mostra la possibilità di una vittoria della rivoluzione proletaria in un paese capitalisticamente arretrato, perché portata da un movimento generale della rivoluzione che il proletariato russo non faceva che esprimere ed annunciare, così il 1936 in Spagna ci mostra che è impossibile a un proletariato di un paese sottosviluppato, quale che sia la sua combattività, di rovesciare un corso generale di controrivoluzione trionfante. E questo non ha niente a che vedere con il fatalismo. Come scriverà Bilan: “Il compito del momento: non tradire.” Nel 1936 in Spagna non era in causa la vittoria della rivoluzione, ma essenzialmente di fare in modo che il proletariato non abbandonasse il suo terreno di classe e si lasciasse immolare per la controrivoluzione, nella sua forma fascista o democratica. Se il proletariato spagnolo non poteva far trionfare la rivoluzione, poteva e doveva restare fermamente sul suo terreno, rigettare ogni alleanza, e coalizione con frazioni della borghesia, rifiutarsi alle menzogne di una guerra antifascista che conteneva la fatalità del suo annientamento a serviva da preludio a sei anni di ininterrotti massacri di milioni di proletari nella seconda guerra mondiale.
La guerra di Spagna doveva ancora sviluppare un altro mito, un’altra menzogna. Nello stesso tempo in cui si sostituiva alla guerra di classe del proletariato contro il capitalismo la guerra tra democrazia e fascismo, si sfigurava il contenuto stesso della rivoluzione cambiando l’obiettivo centrale della rivoluzione: distruzione dello stato borghese e presa del potere politico da parte del proletariato in quello delle cosiddette misure di socializzazione e di gestione operaia delle fabbriche.
Saranno soprattutto gli anarchici e certe tendenze che si richiamavano al consigliarismo che si distingueranno nell’esaltare questo mito, giungendo perfino a vedere e proclamare in quella Spagna repubblicana, antifascista e stalinista, la conquista di posizioni socialiste ben più avanzate di quelle raggiunte dalla rivoluzione d’ottobre.
Non è nostra intenzione entrare qui in una analisi dettagliata sull’importanza e sul significato di queste misure. Si troverà, nei testi di Bilan che pubblichiamo, una risposta sufficientemente chiara a queste questioni. Ciò che vogliamo mettere in evidenza è che, anche se queste misure fossero state più radicali di quanto non lo furono in realtà, non avrebbero cambiato il carattere fondamentalmente controrivoluzionario dello svolgersi degli avvenimenti in Spagna.
Per la borghesia come per il proletariato il punto centrale della rivoluzione non può essere che quello della conservazione o della distruzione dello Stato capitalista. Il capitalismo può non solo adattarsi a misure di autogestione o di cosiddetta socializzazione, ma suscitarle esso stesso come mezzi di mistificazione e deviamento dell’energia del proletariato.
L’esaltazione di pretese misure sociali non è che un radicalismo verbale che ricopre, nel migliore dei casi, la stessa radice del vecchio riformismo: la marcia graduale della trasformazione sociale. Contro questo radicalismo verbaiolo e in totale accordo con Bilan, noi affermiamo che una rivoluzione che non comincia con la distruzione dello Stato capitalista può essere tutto ciò che si vuole fuorché una rivoluzione proletaria.
Nel 1936 in Spagna il proletariato ha subito una delle sue più sanguinose disfatte che gli ha valso quaranta anni di repressione feroce. Riflesso di questo corso di disfatte e di trionfante reazione, la Sinistra comunista ridotta a piccoli gruppi che trovavano la loro espressione in Bilan, era dolorosamente cosciente del suo isolamento e della sua impotenza nell’immediato. Come il partito bolscevico e il pugno di militanti nel 1914, restava fedele al comunismo andando contro-corrente.
Se la guerra e quaranta anni di controrivoluzione trionfante hanno avuto ragione, materialmente, della sua organizzazione, l’insegnamento della lotta e delle posizioni rivoluzionarie della Sinistra Comunista non sono stati perduti.
Oggi con la ripresa della lotta di classe e la prospettiva del suo sviluppo rivoluzionario, i comunisti ritrovano e riallacciano il filo di questa continuità politica.
Ripubblicando i testi di Bilan intendiamo farne degli strumenti per il riarmo politico del proletariato e dalle lezioni della disfatta di ieri forgiare le armi per la vittoria finale di domani.
CORRENTE COMMUNISTA INTERNAZIONALE
(dalla Revue Internationale, organo trimestrale della CCI, n°6)