ottobre-novembre 2010
Quale che sia il nome dato alla violenza degli attacchi che a vagonate ci sta scaricando addosso il governo: riforme, politica del rigore o programmi d’austerità, il taglio è netto! Quale che sia il modo in cui si subisce la pressione dello sfruttamento capitalista, che sia da operaio di una grande fabbrica o di una piccola impresa, che sia da cassa integrato o con un’occupazione parziale, che sia da precario, da lavoratore dei servizi, impiegato, ingegnere, quadro, studente, disoccupato, pensionato…, tutti siamo presi alla gola.
La borghesia ci ha dichiarato una vera e propria guerra!
Se gli effetti dell’attacco sulle pensioni iniziano a farsi sentire già adesso, nei prossimi anni questi peseranno molto di più sulle nuove generazioni di proletari. Sicuramente già oggi tutti i proletari avvertono l’ampiezza e la profondità degli attacchi che sui vari piani vengono portati avanti simultaneamente.
I budget sociali sono ridotti all’osso ed i rispettivi servizi sono in piena rovina. La non sostituzione di chi va in pensione sta sfociando in una situazione da incubo o da catastrofe in particolare nel settore sanitario e dell’istruzione. La chiusura di strutture ospedaliere e di intere classi nelle scuole, in nome dell’economia da realizzare sul budget, prendono una piega sempre più drammatica. In sempre più imprese si esercita un ricatto sul licenziamento per far accettare una diminuzione dei salari o condizioni di lavoro sempre peggiori, come alla Fiat recentemente o alla General Motors di Strasburgo in Francia dove i salari sono stati ridotti del 10%. E le molteplici esperienze di questi ultimi anni mostrano che questi “sacrifici” non servono a niente: le carrettate di licenziamenti riprenderanno alla grande dopo qualche mese.
Le condizioni draconiane imposte ai disoccupati, che li sottomettono alla minaccia costante di essere cancellati delle liste di collocamento, diventano sempre più insopportabili. Chi non ha lavoro viene brutalmente isolato da ogni vita sociale, immerso nella miseria e l’inoperosità. Nel settore pubblico come nel privato, il sovraccarico per quelli che restano al lavoro è tale che non ne possono più. La sofferenza ed i suicidi per il lavoro sono diventati un fenomeno sociale sempre più diffuso. Un numero crescente di lavoratori dipendenti e di famiglie si trovano in “situazione di emergenza” non solo finanziaria ma anche fisiologica e psicologica. Il deterioramento delle condizioni di vita è accentuato dagli aumenti a ripetizione dei prezzi del gas, dell’elettricità, del combustibile, dell’affitto, dai nuovi aumenti di tariffe dei trasporti pubblici mentre, nei negozi, ciascuno può constatare l’altalena dell’aumento dei prodotti alimentari di prima necessità. Le cure mediche vengono rimborsate sempre meno mentre i contributi per la sanità schizzano in alto, così come le assicurazioni.
Finanche la caccia agli “evasori” fiscali, decretata come priorità dal governo, chi colpisce in massima parte? I milionari che possono disporre di ogni mezzo, più o meno “legale”, per mettere al sicuro i loro capitali o chi è costretto a pagare multe esorbitanti rispetto alle proprie misere entrate perché magari ha sbagliato a compilare la dichiarazione dei redditi?
Ormai è nel quotidiano che dobbiamo porci il problema di come nutrirci, avere un tetto, curarci, vestirci in modo decente, anche chi fino a pochi anni fa poteva ritenersi relativamente “tranquillo”.
Ed i giovani stanno ancora peggio: farsi una vita propria, avere di che vivere, pensare di avere dei figli, insomma avere una prospettiva davanti, tutto diventa estremamente difficile e vago, potendo contare solo sul quel poco di aiuto che la propria famiglia riesce ancora a darti.
Tocca a noi ingaggiare frontalmente la lotta!
L’aumento della rabbia e della indignazione è alimentato da una sensazione profonda d’ingiustizia. La borghesia dispiega senza sosta un’arroganza incredibile. Siamo costretti ogni giorno a sentire di sperperi del denaro pubblico, di imbrogli, clientele, intrecci dell’apparato politico ed imprenditoriale con la malavita, di corruzioni. Abbiamo dovuto assistere al fatto che anche di fronte alla sofferenza di intere popolazioni (per i rifiuti, il terremoto, le maree di fango, ecc) l’unico interesse è stato ed è ancora il lucro. Tutto questo da parte di chi (e non si tratta certo solo di un Berlusconi, ma di tutta l’apparato politico) al tempo stesso, con una ipocrisia mai vista, non solo ci viene a parlare di moralità e spirito di sacrificio, ma ci riduce ad una vita sempre più misera, da tutti i punti di vista. Da parte di chi a quelli che perdono il posto di lavoro, alle migliaia di precari della scuola che si troveranno a spasso, a quelli che non vengono pagati per mesi perché la sanità non ha soldi, sanno solo dire “abbiate pazienza, c’è la crisi!”. E quando hanno fatto qualcosa è stato dare la caccia all’immigrato, come a Milano con gli autobus blindati, o respingere i profughi, destinandoli ad una sorte atroce perché non sapevano che farsene, e adesso come in Francia si passa ai rom, non senza averne fatto di tutti loro il capro espiatorio della delinquenza dilagante, dell’insicurezza sociale, ecc.
Tutto questo ha certamente gettato un discredito importante sullo Stato ed il suo governo, ma non bisogna farsi illusioni. Un cambio di gestione, magari andando di nuovo a votare, non cambierà in niente la situazione e non impedirà nuovi attacchi. Ne è una prova il fatto che la politica del rigore viene adottata dappertutto tanto da governi di sinistra che da governi di destra. Le misure prese vanno dappertutto nella stessa direzione. In tutti i paesi i proletari sono confrontati ad attacchi simili ed ovunque sono di fronte alle stesse prospettive di condizioni di vita ancora più misere. In Grecia e in Spagna sono i governi di sinistra e social-democratici che, oltre all’attacco sulle pensioni, hanno appena imposto una brutale riduzione dei salari dal 10 al 20% a tutti i proletari. È questo che ci aspetta e che mostra il futuro che ci è riservato ovunque. E non è necessario essere indovini per sapere che sarà sempre peggio.
Non è perché abbiamo a che fare con dei poco di buono o gente marcia che la borghesia ci fa pagare a così caro prezzo la sua crisi, ma perché il sistema capitalista è in pieno fallimento su scala mondiale.
Il capitalismo non ci darà mai un governo più sociale o più equo. In Spagna, è stato il governo “socialista” di Zapatero che, di concerto con la destra, ha lanciato a fine giugno ed inizio luglio una grande campagna ideologica diffamatoria per screditare ed isolare il coraggioso sciopero dei lavoratori della metropolitana di Madrid in lotta contro la riduzione del 5% del salario[1].
La classe operaia sarà sempre più spinta a difendersi e del resto sta già iniziando a farlo[2]. In questa difesa non può evitare lo scontro con la classe dominante ed il suo sistema.
I proletari in Italia non sono soli!
La classe operaia in Italia deve prendere coscienza che non è sola ad affrontare questa realtà terribile, che in tutti i paesi, come classe, è spinta a fare la stessa lotta contro gli stessi attacchi. Dalla Cina a Panama, passando per il Bangladesh ed il Kashmir[3], la classe operaia sta mostrando di essere capace di sviluppare, in maniera massiccia e con determinazione, la sua lotta di classe contro classe su scala mondiale. Non c’è altra prospettiva che scendere in massa in lotta per difendersi, altrimenti il peggioramento delle nostre condizioni di vita è certo. Entrare in lotta in massa significa lottare insieme ed in modo determinato per realizzare la maggior estensione e unità possibile nella lotta. Solo un’ampia mobilitazione di fronte agli stessi attacchi è capace di far arretrare la borghesia. Ed anche se questa ritornerà inevitabilmente alla carica, questo è il solo modo per impedire ulteriori attacchi ancora peggiori. Ricordiamo ad esempio come, nel 2006 in Francia, i giovani studenti, in quanto futuri precari, sono riusciti ad imporre al governo Villepin il ritiro del Contratto di Primo Impiego[4].
Non è attraverso il susseguirsi di giornate di sciopero episodiche e sterili proposte dal sindacato che potremo fare questo.
Non è mettendoci nelle mani dei sindacati, questi specialisti del sabotaggio delle lotte e della divisione tra i lavoratori, che potremo stabilire un rapporto di forza rispetto alla classe dominante, ma prendendo noi stessi collettivamente l’iniziativa delle lotte, chiamando in prima persona DAPPERTUTTO a delle assemblee generali aperte a TUTTI i lavoratori, senza l’esclusiva di corporazioni o di settori, ai disoccupati, ai pensionati, agli studenti. E potremo farlo mantenendo il controllo di queste lotte nelle nostre mani attraverso il controllo permanente delle assemblee generali ed eleggendo delegati revocabili in qualsiasi momento.
Non c’è altra via possibile per imporre il nostro rifiuto ad un futuro che trascina l’umanità alla sua perdita e per costruire un altro futuro.
W./Eva, 26 settembre
[1] Vedi Spagna: Solidarietà con i lavoratori della metropolitana di Madrid! [1] ed il messaggio Piena solidarietà con gli scioperanti della metropolitana di Madrid [2].
[3] Vedi gli articoli rispettivi su queste lotte sul nostro sito www.internationalism.org [4].
La situazione politica attuale, che dura da qualche tempo in Italia, ha qualcosa di paradossale. Da una parte infatti abbiamo un governo che sembra essere tra i più odiati di tutta la storia repubblicana, che va avanti menando mazzate a più non posso contro lavoratori, immigrati e povera gente ed esibendo al tempo stesso il disprezzo più elementare per un senso di giustizia e di equità sociale, intascando tutto quello che si può razziare sul piano economico e garantendosi tutte le impunità attraverso la creazione di leggi ad hoc. Dall’altra abbiamo invece un’opposizione di centro-sinistra che, di fronte ad un avversario così smaccatamente cialtrone e colto più volte con le mani nel sacco, piuttosto che passare all’offensiva per cacciare via i mariuoli e gli affamatori, attende, cincischia, si divide, si fa auto-concorrenza, insomma le imbrocca tutte per non vincere. Anche se può sembrare inutile riportare in questo articolo gli elementi che confermano questa nostra osservazione, pensiamo che sia comunque importante farlo per capire fino a che punto è stato superato, da una parte come dall’altra, abbondantemente il segno.
Le porcate della destra …
Non c’è giorno che passi senza una dichiarazione di politici, soprattutto della maggioranza parlamentare, o di un episodio riportato da giornali che accresca l’assurdità della situazione politica italiana. Qualche settimana fa la deputata Angela Napoli, del gruppo di Fini (Fli), dichiarava che molte deputate si erano concesse in cambio di cariche pubbliche e, dopo essere stata zittita da tutti i partiti - compreso il suo - rincarava la dose un altro deputato della maggioranza (Pdl), Giorgio Stracquadanio, che dichiarava: “È assolutamente legittimo che per fare carriera ognuno di noi utilizzi quel che ha, l’intelligenza o la bellezza che siano”. Da ricordare che Stracquadanio è consigliere politico del ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini!! Certo è che chi ragiona così può consigliare qualsiasi riforma scolastica!
Il 22 settembre la Camera nega la richiesta di autorizzazione per l’uso delle intercettazioni contro Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia e attuale coordinatore campano del Pdl, indagato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Che il parlamento vieti l’uso di intercettazioni contro un indagato per associazione mafiosa non fa altro che confermare l’idea che si ha in Italia e forse in tutto il mondo della classe politica nostrana! Che la classe politica italiana, inoltre, avesse e abbia a che fare con associazioni mafiose non è un mistero per nessuno da decenni. La novità, con l’arrivo di Berlusconi, è che questo stato di cose viene quasi pubblicamente dichiarato e difeso senza il minimo pudore, come l’utilizzo del proprio corpo per entrare nei palazzi del potere.
Berlusconi - e molti della sua corte - dedicano la maggior parte del tempo non per portare l’economia italiana a standard europei, come richiesto dalla borghesia industriale[1], ma per modificare le leggi in modo da evitare i processi, diluire i procedimenti, condonare le pene, in breve per salvare la propria pelle dopo 30 anni e più di misfatti. Come confermato dall’ennesima storia di manomissione del bene pubblico con la scellerata storia della P3 che doveva servire tra l’altro, con l’avvicendamento di alcuni giudici costituzionali, ad influire sull’esito del lodo Alfano[2]. Fare l’elenco dei processi penali di Berlusconi è come studiare da avvocato, si riesce ad averne un’immagine leggendo qualche articolo di Marco Travaglio, ma risulta interessante vedere che non è solo lui ad avere a che fare con la legge, perché molti membri del suo partito e del Governo sono frequentatori assidui di avvocati e tribunali. E intorno ai parlamentari brandiscono coltello e forchetta gruppi di palazzinari e appaltatori pronti a spartirsi il bottino della ricostruzione, degli appalti, degli interventi straordinari, ecc...
Ci sono sempre stati scandali tra i politici, la corruzione non è di oggi e neanche le cosche mafiose sono una novità tra i banchi parlamentari. Questo è vero. Il parlamento e i governi sono, nel loro insieme, espressione della borghesia e quindi la corruzione, gli scandali sono nella norma. Ciò che è cambiato è la quantità e la qualità. Finora le abitudini sessuali dei politici restavano private, non venivano usate come arma di ricatto da sbandierare pubblicamente, non ci si vantava di certe amicizie come quelle mafiose, c’era un certo pudore anche perché non si doveva mostrare al popolo la sostanza di cui erano fatti i “loro rappresentanti” nelle istituzioni.
… e quelle della sinistra
Per quanto riguarda l’area del centro-sinistra, questa viene da tempo un po’ derisa e un po’ tempestata di critiche per la sua assoluta inerzia, per il suo andamento da bradipo (senza voler offendere questa cara creatura sudamericana). Il Partito Democratico, pur avendo molti parlamentari, è come se non esistesse. Non fa una vera opposizione, è ingovernabile a causa delle divisioni interne e non ha la capacità di coagulare attorno a sé tutta l’area che si oppone a Berlusconi. Anzi, di fronte alla possibilità di agguantare finalmente l’avversario politico, pare farlo apposta a disgregarsi ulteriormente. Prima l’uscita di Rutelli che, da vice premier del secondo governo Prodi fino al maggio del 2008, se ne esce dal PD per andare a dialogare con l’ex fascista Fini, quello che finora ha sostenuto anni e anni di malapolitica berlusconiana e che, dalla sala di regia della Questura di Genova, ha seguito (diretto?) il furioso pestaggio dei dimostranti contro il G8 del 2001. E ancora più di recente la sortita di Veltroni che, un po’ seccato di essere stato messo da parte, ha cominciato a rimettere tutto in discussione nel partito, la strategia, la politica, tanto da far gridare al sabotaggio. Certo è che è veramente deprimente leggere le parole d’ordine che lancia questo partito, anche nella versione del presunto “cattivo” Bersani il quale, di fronte a tanto provocatorio squallore, sa dire solo … “rimbocchiamoci le maniche”! Ma per fare che! I disoccupati, i cassaintegrati, quelli che stanno perennemente sotto ricatto di perderlo un lavoro, che maniche si devono rimboccare, per fare che? E’ questa ignavia, questa indolenza, questa vacuità di pensiero che è tutto il programma della sinistra e che riempie la scena di tutti i giorni. Tolto il PD, resta poi l’IDV di Di Pietro che, da ex poliziotto ed ex magistrato, si è convertito ad un ruolo di difensore della legalità, cercando di nascondere il fatto basilare che la legalità è quella dei padroni e che dunque, come questo governo mostra chiaramente, viene mutata tutte le volte che si rende necessario farlo per difendere gli interessi dei potenti.
Ma come è possibile una situazione del genere?
Se siamo arrivati a tanto è perché questa società non ha più futuro, perché non c’è più una prospettiva che possa perseguire. La crisi economica che si è installata ormai in maniera permanente a livello internazionale è una crisi irrisolvibile. Per cui la mancanza di dinamismo, lo stallo, la decomposizione in cui versa la società non è “colpa” di questo o quel personaggio politico, di questo o quel partito, ma è viceversa l’espressione dei tempi che viviamo. Il fatto che non ci sia spazio per uno sviluppo dell’economia secondo i meccanismi classici di mercato apre tutte le vie alternative della speculazione, del malaffare, del parassitismo per far fruttare comunque i capitali che girano per il mondo. Ugualmente sul piano politico i partiti, privi di ideali o di prospettive a lungo termine a cui far riferimento, cercano sempre più nel populismo la base su cui raccogliere adesioni, scavando spesso consapevolmente negli istinti più triviali della popolazione. Questo fenomeno non è soltanto di stampo italiano, perché al nostro Berlusconi fa da sponda Sarkozy in Francia, Putin in Russia e, in forme diverse, molti altri.
In questa fase di declino la società sembra perdere ogni principio etico e morale. La prevaricazione, l’abuso, il disprezzo delle regole, l’assenza di senso civico prendono il sopravento e questo – paradossalmente - particolarmente da parte della classe che domina la società.
Anche lo scontro fra le varie componenti borghesi non è più per la difesa di una strategia di sviluppo economico rispetto ad un altra[3], quanto piuttosto per imporre gli interessi economici della propria “banda” o quanto meno difenderla dallo strapotere degli altri. Ed allora la battaglia si fa a colpi di scandali, di rivelazioni scottanti sull’avversario, scavando con ogni mezzo nella vita privata degli altri per trovare quello che può screditarli agli occhi dell’opinione pubblica. Ed in questo sono maestri tutti, dall’ala democratica e legalista che ha messo allo scoperto le escort, i legami con la mafia e gli imbrogli finanziari di Berlusconi, a quella più apertamente prevaricatrice e opportunista che ha messo sotto accusa Fini per la casa a Montecarlo[4].
Per quanto riguarda le sinistre in particolare, anch’esse devono ricorrere in questo periodo a degli argomenti forti per poter avere un certo seguito, come i vari leader che l’hanno spuntata uno dopo l’altro in sud America, da Chavez a Evo Morales e Lula da Silva, anche se i loro argomenti contro la globalizzazione e in difesa della loro patria si trasforma presto in qualcosa di diverso, come le brame imperialiste che ha tirato fuori il Venezuela di Chavez. Per cui a breve anche queste “speranze” che alcuni hanno voluto riporre nella salita al potere delle sinistre in sud America non sembra portare lontano. Ma se mancano anche questi argomenti, come in Italia, …
Il governo Berlusconi non ha fatto altro che mostrare pubblicamente il degrado della classe politica, ma se Berlusconi è entrato in scena come rappresentante della borghesia è perché questa non è stata capace di produrre altro. Quale che sia l’esito del governo attuale, per i proletari non ne verrà nulla di buono perché dietro le chiacchiere di un Fini, di un Bersani o di un Di Pietro (e loro compari di sinistra come Vendola o Ferrero), non c’è altro se non continuare a farsi ammazzare di fatica perché non sanno offrire altro che il mantenimento di questa società, laddove l’unica salvezza per l’umanità intera è il rivolgimento completo di questo regime e l’instaurazione di una società nuova senza sfruttamento e senza classi.
CCI, 5 ottobre 2010
[1] Emma Marcegaglia all’attacco: “Non è vero che siamo andati meglio degli altri”, www.affaritaliani.it/economia/marcegaglia_berlusconi_pil_meglio24092010.... [6].
[2] Tutto sulla P3: piani, favori, appalti e giudici corrotti: www.blogo.it/post/8128/tutto-sulla-p3-piani-favori-appalti-e-giudici-cor... [7].
[3] Cosa del resto non facilmente realizzabile visto che le uniche misure reali di fronte alla crisi economica mondiale possono essere solo quelle di attacco ulteriore alle condizioni di vita dei lavoratori, cosa che appunto stanno facendo e su cui tutti sono concordi.
Dall’inizio del 2010 ad oggi ci sono state molte novità. Il governo e il padronato da una parte hanno sferrato attacchi furibondi contro la classe operaia, dimostrando così di essere perfettamente consapevoli del fatto che la crisi economica non è affatto finita e che il peggio deve ancora venire. Ma anche i lavoratori, da parte loro, non sono rimasti a guardare è hanno espresso una resistenza niente affatto passiva, sviluppando uno strumento che va acquisendo sempre più peso e importanza per la classe operaia: la solidarietà tra settori diversi.
Quali sono i fatti? Vediamo.
Innanzitutto i licenziamenti striscianti o nascosti che si sono ripetuti a migliaia e migliaia su tutto il territorio nazionale, a partire da quelli prodotti dal cosiddetto decreto Gelmini che ha fatto sì che i precari della scuola, insegnanti e personale ATA, a decine di migliaia quest’anno non lavoreranno, passando così da una situazione di precarietà lavorativa a quella di una precarietà sociale, senza stipendi e senza sussidi, se non una piccola e temporanea indennità di disoccupazione. Ma anche i tanti casi in cui aziende di dimensioni importanti, avendo al loro interno settori non più competitivi o comunque a rischio, vengono sottoposte a quello che ha preso il significativo nome di spezzatino, cioè lo smembramento in più aziende diverse tra cui una viene caricata di tutti i debiti e di tutti gli esuberi di manodopera, mentre le altre, alleggerite da questi problemi, vengono rilanciate sul mercato. E’ questo ad esempio il caso dell’Agile srl ex Eutelia dove, come viene giustamente denunciato dagli stessi lavoratori implicati, si è trovata la maniera di “Licenziare 9000 persone senza che nessuno se ne accorga!!! E’ iniziato il licenziamento dei primi 1200 lavoratori di Olivetti-Getronics-Bull-Eutelia-Noicom-Edisontel tutti confluiti in: AGILE s.r.l. ora Gruppo Omega Agile ex Eutelia (che) è stata consegnata a professionisti del FALLIMENTO. Agile ex Eutelia è stata svuotata di ogni bene mobile ed immobile. Agile ex Eutelia è stata condotta con maestria alla perdita di commesse e clienti. Il gruppo Omega continua la sua opera di killer di aziende in crisi, l’ultima è Phonemedia 6600 dipendenti che subirà a breve la stessa sorte. Siamo una realtà di quasi 10.000 dipendenti e considerando che ognuno di noi ha una famiglia, le persone coinvolte sono circa 40.000 eppure nessuno parla di noi.”[1]
In secondo luogo, naturalmente, condizioni di vera schiavitù per quelli che restano al lavoro, con un tentativo di generalizzare il più possibile la precarietà, sia dal punto di vista della sicurezza di potersi garantire un salario nel tempo, sia di quello delle condizioni di lavoro. Il cosiddetto piano Marchionne, imposto con una insolenza incredibile non solo dalla FIAT, ma dall’insieme dei partiti e dei sindacati alla classe operaia di quello stabilimento attraverso tutta una campagna di obiettivo ricatto, è ben più di un contratto locale e limitato ad un settore, ma esprime ormai chiaramente lo spartito su cui si muoverà d’ora in poi tutta l’imprenditoria nostrana. La deregulation a livello di contratti collettivi di lavoro, la libertà del padrone di poter imporre gli straordinari quando gli servono e di vietare qualunque reazione degli operai, la riduzione del salario, tutto ciò è il portato della politica padronale degli ultimi mesi.
Ma se gli attacchi sono arrivati a questo punto la reazione non si è fatta attendere. Le lotte di questi ultimi tempi riguardano molti settori e aziende a rischio. Così i precari della scuola, di fronte ad un vero e proprio licenziamento di massa che non ha dato luogo a nessuna protesta sindacale, a nessun intervento di quelle forze politiche che si dicono progressiste e di sinistra, si sono organizzati da soli, promuovendo la loro lotta con i mezzi che potevano utilizzare visto che a loro, senza posto di lavoro, non è concesso nemmeno scioperare. Sono state le manifestazioni di piazza che questi lavoratori hanno scelto per portare avanti la lotta: presidii davanti agli uffici scolastici provinciali o davanti al ministero, occupazione di questi uffici, manifestazioni di strada. Collegati fra loro tramite internet e le assemblee cittadine, i precari hanno cercato innanzitutto di far conoscere la loro situazione e le loro rivendicazioni, con manifestazioni anche clamorose, come lo sciopero della fame, effettuato in diverse città, o il blocco dello stretto di Messina[2], che ha visto la partecipazione di migliaia di lavoratori sulle due sponde dello stretto. Accanto a questo, i precari hanno cercato la solidarietà degli altri lavoratori della scuola[3], e quella dei genitori degli alunni, chiamati a manifestare con i precari in difesa di una scuola dove i loro figli possano vivere in condizioni più decenti e non stipati in 35 in aule che non li possono contenere.
Di questi giorni è ancora la lotta degli operai della Fincantieri, azienda in crisi che minaccia centinaia di licenziamenti e la chiusura di centri di produzione. Gli operai non ci stanno e hanno dato luogo a diverse manifestazioni, sia locali che a Roma, dove sono andati a rivendicare l’intervento del governo che, con le sue commesse, potrebbe evitare questi licenziamenti. Nelle loro manifestazioni gli operai si sono presi anche le manganellate della polizia, alla faccia della democrazia![4]
La lista non si ferma qui, molti altri sono gli episodi di lotta sparpagliati nel resto d’Italia. Ma la lotta non si manifesta solo attraverso scioperi e manifestazioni, ma anche attraverso una serie di altri fenomeni della più alta importanza, il cui elemento comune è la ricerca della solidarietà di classe come risultato finale di una riflessione su come lottare. La questione di come rendere più efficace la lotta è al centro di tutte le manifestazioni di questi mesi, in Italia come altrove. Nel recente passato la strada scelta è stata spesso quella della ricerca di manifestazioni clamorose, spettacolari, che i mezzi di informazione non potessero nascondere. Dalla presa in ostaggio dei dirigenti (copiata dai lavoratori francesi), all’occupazione di tetti e di carroponte (come all’INSE di Milano), agli scioperi della fame, all’occupazione del carcere dell’Asinara, ecc., i lavoratori le hanno inventate tutte per rompere il black-out con cui la borghesia cerca di nascondere le manifestazioni della lotta della classe. E che questa questione sia al centro della riflessione dei lavoratori è testimoniato dal dibattito che c’è stato a Milano tra una delegazione di operai della Tekel (Turchia) in lotta da anni contro i licenziamenti[5], e una di operai dell’INSE: qui i lavoratori si sono esplicitamente posti la questione se è più efficace accentrare l’attenzione sulla propria fabbrica anche con manifestazioni spettacolari (INSE) o se lo è invece di più andare a cercare gli altri lavoratori con manifestazioni di piazza (Tekel).
Ma questa tendenza alla solidarietà si manifesta anche in maniera esplicita in altri episodi. E’ indubbio che intorno a lotte che hanno segnato delle tappe in Italia c’è stata un’attenzione e una solidarietà, per lo meno morale, da parte di tantissimi proletari, come nel già citato caso dell’INNSE di Milano, quello dell’Agile ex Eutelia, della FIAT di Pomigliano, ecc. ecc. E questa solidarietà per la prima volta comincia, in Italia ma non solo, a superare le frontiere, con le due lettere di solidarietà che gli operai di Pomigliano hanno ricevuto da quelli della Fiat di Tichy in Polonia[6] o il sentimento di solidarietà che ha attraversato i proletari d’Italia all’ascolto delle notizie degli scioperi in Grecia, per esempio.
Ma c’è di più. Ormai da almeno un anno c’è una ricerca attiva della solidarietà attraverso la creazione di coordinamenti cittadini – tra cui i più interessanti sono a Milano, Roma e Torino - dei vari comitati di operai attivi nei vari posti di lavoro per cercare di dare una risposta unitaria agli attacchi che continuano a piovere da tutte le parti. Questi coordinamenti, che raccolgono un’impressionante lista di aziende e luoghi di lavoro diversi, sono assolutamente trasversali e raccolgono qualunque tipo di settore. Accanto a questi esiste poi il coordinamento precari della scuola, un coordinamento dei lavoratori della cultura ed una serie di altri coordinamenti più o meno di settore. Questi vari coordinamenti hanno avuto vari momenti di unificazione a livello nazionale. In particolare un’assemblea a giugno scorso e una prossima si terrà il 9 ottobre a Milano. La nascita di questi “coordinamenti di lavoratori in lotta” parte in generale da una forte insoddisfazione nei confronti dei sindacati:
“Dopo la finanziaria, la quasi certa approvazione del “collegato lavoro” e i diktat sull’austerità promossi dalla comunità europea, i padroni non sono soddisfatti e hanno concretamente trasformato unilateralmente in pratica, sostenuti da cisl-uil-ugl e dall’inerzia CGIL, tutte le loro richieste di flessibilità, precarietà, e produttività (…) Il sindacalismo di base, pur contribuendo in modo significativo nelle lotte di resistenza, allo stato attuale dimostra ancora i suoi limiti e una insufficiente capacità di attrazione tra le classi lavoratrici. La FIOM invece, l’unico sindacato tra i confederali, incatenata da decine di contraddizioni interne, fortemente limitata da una CGIL che non vuole rinnegare la via della concertazione coi padroni, oppone un corretta resistenza di principio che però non si traduce immediatamente in una forte mobilitazione almeno tra i metalmeccanici”.[7]
Ed anche se si considera il sindacato uno strumento ancora valido in generale, c’è una fortissima spinta a prendere nelle proprie mani l’iniziativa della lotta e a unificarla il più possibile:
“Quanto sta succedendo ci pone come lavoratrici e lavoratori di fronte a delle scelte da condividere in modo trasversale a prescindere dalla sigle sindacali di appartenenza e non (…).Seguiamo le proposte e le dinamiche di costruzione di mobilitazioni contro la precarietà e la disoccupazione a livello internazionale”.[8]”
“E’ necessario ricostruire, il più velocemente possibile, un´unità sempre maggiore della classe lavoratrice a prescindere dal comparto lavorativo, dall'appartenenza sindacale, dalla nazionalità, ecc.”[9]
Questa spinta all’unità sulla base degli interessi di classe è quello che ha orientato giustamente l’Assemblea autoconvocata del 18 giugno a Milano a partecipare, “con uno spezzone unitario ad entrambe le manifestazioni, della CUB e della CGIL, per coinvolgere nel percorso di unità quanti più lavoratori possibile”,[10] saltando a piè pari uno dei principali strumenti di divisione che offre da sempre il sindacato, quello di chiamare ognuno i propri aderenti a delle iniziative separate.
Un aspetto importante è la comprensione che la crisi è una crisi generale che tocca tutti, che l’attacco è unico e che la reazione deve essere altrettanto unica, anche se su questo piano occorre andare ancora avanti in quanto sussiste una debolezza nella comprensione della sua origine. Infatti, nelle varie prese di posizione, la crisi viene considerata spesso come il prodotto della cattiva gestione dei padroni e non come l’espressione del fallimento della società capitalista. Questa debolezza, che la classe saprà superare man mano che si confronterà con la dimensione mondiale di questa crisi e con l’impossibilità di poterla superare, è poi a sua volta all’origine di un’altra debolezza che consiste nel rivendicare la difesa di un certo settore produttivo o di una certa fabbrica (vedi INNSE) perché produttivi e moderni! Il che può essere sfruttato dai padroni per giustificare la chiusura di quei settori poco moderni o poco redditizi (vedi Termini Imerese)!
Ma quali che siano le debolezze che possono essere oggi presenti nel movimento della nostra classe, l’aspetto più importante, più dinamizzante, più potente è questa determinazione a non rimanere più isolati che viene con estrema chiarezza formulato in questo appello per la prossima assemblea nazionale:
“In questa situazione di profonda sconfitta che stiamo attraversando, in cui anche le singole vertenze contro le chiusure e i licenziamenti stanno mostrando tutti i limiti dell’isolamento e della mancanza di prospettiva, tutti noi lavoratori dobbiamo ritrovare la capacità di riunirci, di riorganizzarci in maniera autonoma e indipendente, per ricostruire la nostra capacità di organizzazione e resistenza e mettere efficacemente in discussione fino a rigettare i piani di ristrutturazione dei padroni. Dopo la riunione del febbraio scorso a Roma, nella quale lanciammo la proposta di cominciare a lavorare per la costruzione di un coordinamento stabile di lotta nazionale contro la crisi, nel quale ricomporre e organizzare le lotte dei lavoratori di tutti i comparti, crediamo sia giunto il momento di riconvocarci e rilanciare la piattaforma comune di tutti i lavoratori in lotta, organizzare la partecipazione comune alla manifestazione del 16 ottobre a Roma per renderla una giornata di riorganizzazione e ricompattamento di tutta l’opposizione di classe nel nostro paese, per promuovere una mobilitazione dal basso, articolata e permanente fino all’autorganizzazione dello sciopero generale come momento finale e decisivo di una grande mobilitazione di massa dei lavoratori contro governo e padroni.
SABATO 9 OTTOBRE, ORE 11.00 ALL’ARCI BELLEZZA
Milano, via Giovanni Bellezza 16, nell’ambito degli stati generali della precarietà.
Per aderire all’appello: coordinamentolucc@yahoo.it [12] – 3494906191 – 3495107754
Primi firmatari: Coordinamento Lavoratori Uniti Contro la Crisi, Milano; Comitato di Lotta per il Diritto al Lavoro, Livorno; Assemblea Lavoratori Autoconvocati, Torino; Coordinamento Lavoratori Autoconvocati, Roma”.
E’ per questo che invitiamo tutti i lavoratori, tutti i compagni, a partecipare a questa assemblea e a sostenere lo sforzo che la classe operaia, in Italia come nel resto del mondo, sta cercando di portare avanti per costruire la sua unità e la sua coscienza, le due armi indispensabili per affrontare l’inevitabile scontro di classe.
30/09/2010 CCI
[2] Vedi gli articoli riportati sul web ai seguenti indirizzi: www.orizzontescuola.it/node/11452 [14].
[5] Il resoconto di questo dibattito si trova sul forum Napolioltre, all’indirizzo https://napolioltre.forumfree.it/?t=49536058 [17] mentre notizie sulla lotta alla Tekel si trovano sullo stesso forum e sul n°166 di Rivoluzione Internazionale.
[6] https://www.dirittidistorti.it/articoli/12-...pomigliano.html [18], https://libcom.org/article/letter-fiat-workers-tychy [19] www.infoaut.org/articolo/lettera-dalla-fiat-di-tychy-lavoriamo-con-lentezza [20], https://libcom.org/news/strikes-fiat-letter...poland-15072010 [21]
[7] "Appello dal basso per una assemblea nazionale dei lavoratori contro la crisi".
[10] Risoluzione finale dopo l'assemblea del 18 giugno: "22.06.10 - Milano - Assemblea autoconvocata dei lavoratori in lotta"
Pubblichiamo la presa di posizione della CCI in Spagna sullo sciopero alla Metropolitana di Madrid alla quale aggiungiamo una dichiarazione di solidarietà di un gruppo di impiegati postali della capitale spagnola.
Alcune righe per esprimere la nostra più calorosa e fraterna solidarietà ai lavoratori della metropolitana di Madrid.
In primo luogo perché danno l’esempio che la lotta ampia e determinata è la sola risposta che hanno in mano gli sfruttati contro gli attacchi brutali che gli sfruttatori vogliono imporci. In questo caso contro una riduzione salariale del 5%. Un colpo d’ascia anti-operaio che è anche illegale dal punto di vista della stessa legalità borghese, perché si tratta né più né meno che di una violazione unilaterale della convenzione collettiva firmata precedentemente. E questi signori si permettono ancora di trattare da “delinquenti” gli operai della metropolitana!
Solidarietà anche contro la campagna di diffamazione ed il tentativo di “linciaggio morale” di questi compagni. Una campagna lanciata come si deve dai politici e dai media della destra più rancida, che ha presentato gli scioperanti come pedina di una campagna del PSOE contro il capofila del Partito Popolare a Madrid, Esperanza Aguirre, e che ha preteso, con la rabbia ed il fiele di cui questa destra è capace: “sanzioni!”, “licenziamenti”![1]. Ma soprattutto non bisogna dimenticare la vigorosa collaborazione della sinistra in questa campagna di isolamento e di denigrazione dei lavoratori. Aguirre e Rajoy hanno reclamato fermezza e frustate contro questi “vandali”, ma il ministro dell’Industria (del PSOE) ha messo a disposizione della regione una mobilitazione massiccia di altri mezzi di trasporto per spezzare lo sciopero, ed il ministro dell’Interno socialista ha messo a disposizione di Aguirre fino a 4.500 poliziotti supplementari!
I media “di sinistra”, con meno astio ma più ipocrisia, hanno invece rafforzato l’idea di “uno sciopero con presa di ostaggi” come intitolava El País il 30 giugno. Questi lacchè del sistema capitalista, cosiddetti “rossi” e che osano portare ancora nella loro sigla la “O” di operaio, sanno molto bene con chi devono schierarsi tra Esperanza Aguirre e le lotte operaie contro le esigenze degli sfruttatori.
Ciò che li ha più indignati non sono stati i “disagi” causati agli utenti. Basta vedere in quali condizioni devono spostarsi “gli utenti” nei giorni “normali” ed il caos che i “cittadini” devono sopportare a causa della loro negligenza crescente rispetto alle infrastrutture, in particolare i trasporti pubblici. Malgrado ciò che dicono, non sono neanche particolarmente irritati per le perdite causate alle imprese dovute ai ritardi e alle assenze degli impiegati. Infatti bisogna avere una notevole faccia tosta per accusare gli scioperanti della metropolitana di oltraggiare il “diritto al lavoro”, mentre il capitale spagnolo ha privato di questo diritto non meno di cinque milioni di proletari!
No. In verità ciò che li infastidisce e li preoccupa in questa lotta dei lavoratori della metropolitana di Madrid, è proprio il fatto che la lotta sia esplosa; che i lavoratori non abbiano accettato con rassegnazione i sacrifici e gli attacchi che piovono dappertutto e su tutti; che per respingere le ingiunzioni dell’azienda, gli operai non si sono accontentati di un piagnucolio sterile come quello dello sciopero dei funzionari dell’8 giugno[2], ma hanno dato l’esempio dell’unità e della determinazione. Anche El País lo riconosce nell’editoriale su citato: “Il comitato di impresa afferma che esisteva una convenzione in vigore fino al 2012 che la decisione della Comunità di Madrid (Regione di Madrid, ndr) rompe unilateralmente. Ma anche i funzionari avevano questa convenzione (e quest’ultimi si sono accontentati della pantomima dell’8 giugno”, sembra aggiungere in modo subliminale il gesuitico El País). È possibile che sia mancata una spiegazione più pedagogica sulla gravità della situazione che obbliga a fare questi sacrifici in cambio della sicurezza dell’impiego (… e poi accusano gli scioperanti di ricatto!), ed una maggiore chiarezza per spiegare come far quadrare la riduzione di stipendio con la garanzia ulteriore del mantenimento del potere di acquisto …”.
In quanto espressione di questa risposta di classe dei lavoratori, la lotta dei compagni di lotta della metropolitana di Madrid è piena di insegnamenti per tutti gli operai.
Le assemblee: cuore e cervello della lotta operaia
Una delle caratteristiche della lotta degli operai della metropolitana madrilena è stata quella di basarsi su assemblee veramente di massa. Già il 29 giugno, quando è stato deciso di non accettare di fare il servizio minimo garantito, molte persone non sono potute entrare nella sala dell’assemblea perché strapiena, ma il 30, mentre la campagna di denigrazione raggiungeva il culmine, c’erano ancora più persone del giorno precedente. Perché? Sono gli stessi lavoratori della metropolitana a rispondere: “bisognava dimostrare che siamo uniti come le dita di una mano”.
Grazie a queste assemblee si è cercato di evitare le molteplici astuzie abituali dei sindacati. Ad esempio, la dispersione e la confusione negli appelli allo sciopero. Ed infatti l’assemblea del 30 giugno ha deciso di applicare il servizio minimo garantito l’1 ed il 2 luglio per evitare di restare incastrati tra i sindacati favorevoli alla convocazione di uno sciopero totale e gli altri. L’assemblea ha deciso anche di mettere da parte il radicalismo verbale del vecchio portavoce del Comitato le cui dichiarazioni del tipo “andiamo a fare esplodere Madrid” erano più che altro utili ai nemici della lotta nella loro campagna di diffamazione e di isolamento dei lavoratori della metropolitana.
Ma le assemblee non sono solo servite a moderare le esaltazioni inutili o a evitare di cadere nelle provocazioni. Sono servite soprattutto a dare coraggio e determinazione a tutti i compagni di lotta ed a permettere quindi di misurare lo stato reale della combattività di tutto il personale. Per questo, invece del voto segreto ed individuale dei referendum sindacali, lo sciopero della metropolitana è stato deciso ed organizzato votando per alzata di mano, un voto dove la determinazione degli altri compagni ha incoraggiato gli incerti. Per quanto la stampa abbia agitato lo spettro della “pressione” su alcuni operai da parte dei picchetti di scioperanti, si sa bene che quello che ha incoraggiato gli operai ad unirsi allo sciopero è stata una decisione cosciente e volontaria, frutto di una discussione aperta e schietta dove si è potuto esporre i propri timori ma anche le ragioni per lottare. Su un sito aperto per esprimere la sua solidarietà con questo sciopero (usuariossolidarios.wordpress.com [25]) una giovane lavoratrice della metropolitana dice francamente che era andata all’assemblea del 29 giugno “per non avere più paura di lottare”.
La trappola del “servizio minimo garantito”
Nel caso di questo sciopero il decreto sul servizio minimo garantito è stato utilizzato come base di lancio per bombardare gli scioperanti, cercando di intimidirli e far loro abbandonare la lotta.
Per quanto la signora Esperanza Aguirre, nel suo palazzo presidenziale, abbia cercato di presentarsi come una donzella indifesa nelle le mani dei questi energumeni di scioperanti, la verità è che la legge permette alle autorità (cioè al padronato per gli impiegati pubblici) di fissare i termini per il servizio minimo garantito. Sapendo per esperienza di avere questo margine di manovra legale e, soprattutto, sentendosi sostenuta dal cuore mediatico delle reti TV, la presidentessa della Regione di Madrid ha macchinato una vera e propria provocazione: imporre un servizio minimo garantito sulla base del 50% del personale.
Con questa trappola ha cercato di mettere i dipendenti della metropolitana con le spalle al muro. Se accettavano il servizio minimo garantito veniva intaccata la loro volontà di non piegarsi ai diktat del padronato. Se non lo accettavano si assumevano la responsabilità di tutte le avversità che avrebbero dovuto sopportare i loro fratelli di classe, gli altri proletari, che costituiscono il grosso degli utenti della metropolitana.... In più, questa legge del servizio minimo garantito, che a detta dei difensori dell’ordine borghese “non esiste” benché “bisognerebbe rafforzarla”, offre la possibilità al governo, che è anche qui in ultima istanza il padrone, di imporre delle sanzioni se questo servizio minimo non viene garantito, il che gli dà un’ulteriore forza nel negoziato. Due giorni dopo che i lavoratori della metropolitana avevano ritirato il loro rifiuto al servizio minimo, la direzione della compagnia ha aumentato il numero dei lavoratori colpiti da sanzioni da 900 a 2800.
L’unico modo per uscire da una tale trappola è rompere la trappola grazie alla solidarietà di classe.
La solidarietà di classe è l’humus su cui cresce la combattività e la forza dei lavoratori
La forza delle lotte operaie non si misura alla loro capacità di provocare delle perdite nelle imprese capitaliste. Per fare questo, ed è quello che si può constatare anche nel caso della metropolitana di Madrid, bastano e avanzano gli stessi dirigenti delle imprese.
Questa forza non si misura neanche nella capacità di paralizzare una città o un settore. Anche qui è difficile rivaleggiare con lo Stato borghese stesso.
La forza delle lotte operaie nasce soprattutto dal fatto che esse enunciano, più o meno esplicitamente, un principio universale valido per tutti gli sfruttati: i bisogni umani non devono essere sacrificati sull’altare delle leggi del profitto e della concorrenza proprie del capitalismo.
Un scontro di questo o quel settore di lavoratori col proprio padrone per quanto possa essere radicale, se la borghesia riesce a presentarlo come qualche cosa di specifico o particolare riuscirà a sconfiggere questa lotta dando nel contempo un colpo al morale a tutta la classe operaia. Se, al contrario, i lavoratori arrivano a conquistare la solidarietà degli altri operai, se arrivano a convincerli del fatto che le loro rivendicazioni non sono una minaccia per gli altri sfruttati, ma l’espressione degli stessi interessi di classe, se fanno delle loro assemblee ed i loro assembramenti degli strumenti utili che altri lavoratori possono raggiungere, allora sì, si rafforzano loro e con loro l’insieme della classe operaia.
La cosa più importante per la lotta degli operai della metropolitana madrilena non è mandare i picchetti ad impedire l’uscita di questa o quella quantità di treni (anche se evidentemente è necessario che l’assemblea sappia se le sue decisioni sono state realizzate) ma, oltre a questo, spiegare ai loro compagni le ragioni della loro lotta, cominciando da quelli dell’EMT (Impresa municipale dei trasporti) o di Télémadrid (TV regionale) ed gli impiegati. Per il futuro della lotta non è essenziale realizzare questa o quella percentuale di “servizio minimo” (anche se la maggioranza dei lavoratori deve essere liberata delle costrizioni del lavoro in modo che le assemblee, i picchetti e gli assembramenti possano tenersi). La cosa più importante è guadagnare la fiducia e la solidarietà degli altri settori, andare nei quartieri per spiegare perché le rivendicazioni degli operai della metropolitana non sono né un privilegio né una minaccia per gli altri lavoratori, ma una risposta agli attacchi dovuti alla crisi.
Questi attacchi andranno a toccare tutti i lavoratori, di tutti i paesi, di tutte le condizioni, di tutte le categorie.... Se la borghesia riuscisse a far scontrare tra di loro i lavoratori, o se non altro a farli lottare isolati, con tutto il radicalismo che si vorrà ma ciascuno nel proprio angolo, finirebbe per imporre le esigenze del suo sistema di sfruttamento. Ma se, al contrario, le lotte operaie cominciano a far fermentare l’unità e l’aspetto di massa delle lotte contro queste esigenze criminali, saremo in grado di impedire l’applicazione di nuovi sacrifici ancora più cruenti sulle condizioni di vita dei lavoratori. Questo sarebbe un passo molto importante per lo sviluppo dell’alternativa proletaria di fronte alla miseria ed alla barbarie capitaliste.
Accion Proletaria, 12 luglio 2010
[1] Il governo spagnolo è alle mani del Partito socialista (PSOE), mentre la regione di Madrid (di cui è presidente la su detta Aguirre) e la città di Madrid, da cui dipende la gestione dalla metropolitana, sono tra quelle della destra (Partito popolare il cui dirigente nazionale è Rajoy). E per questo che questi due partiti hanno giocato al rimbalzo politichese dicendosene di tutti i colori ma mettendosi ben d’accordo sulle spalle dei lavoratori della metropolitana [NdT].
Naturalmente noi salutiamo calorosamente questa lettera espressione vivente di ciò che è la solidarietà operaia!
Buongiorno compagni!
Vi scriviamo questo testo dal Distretto 43 delle Poste di Madrid. In quanto fattorini stiamo tutto il giorno per strada; in quanto lavoratori, come chiunque di noi, abitiamo a chilometri di distanza dal posto di lavoro (del resto sono i padroni che hanno imposto le delocalizzazioni, obbligando i lavoratori a fare spostamenti sempre più lunghi e spossanti); siamo noi che soffriamo e paghiamo, in quanto settore pubblico, il banchetto al quale il governo ha invitato le banche; stiamo per essere privatizzati e siamo lavoratori con contratti precari e discontinui e, come voi lavoratori della metropolitana, non siamo dei funzionari. Vogliamo mandarvi il nostro sostegno più determinato. Vogliamo che sappiate che anche noi siamo stati costretti ad andare al lavoro in autobus facendo tragitti più lunghi[1], ma lo abbiamo fatto con il sorriso sulle labbra per la semplice ragione che avete dimostrato che SI PUO’, che non c’è ragione di essere sempre delle vittime schiacciate da questo mondo, ci avete ridato un po’ della nostra dignità persa da tanto tempo.
Vogliamo che sappiate che noi, che tutti i giorni parliamo con centinaia di persone per gli spostamenti di lavoro, sappiamo perfettamente che l’immagine del vostro movimento non è quella che danno i media: ci sono delle persone scontente, ma ce ne sono anche molte altre che il vostro movimento ha riempito di speranza, ci sono dovunque delle discussioni negli autobus, nelle strade, nei bar. Non c’è affatto una sola e unica reazione di condanna unanime.
Siamo con voi perché ci date speranza. Nel nostro distretto, durante il lavoro sentiamo commenti del tipo: “Sono sempre gli stessi che pagano” ai quali altri rispondono “Questa è una lotta con le palle” e altri dicono: “Questa si che è una lotta, non i nostri scioperi di un giorno”. Ci state mostrando la via.
Stiamo imparando delle lezioni. Delle lezioni come ad esempio il fatto che quando gli scioperi si decidono per alzata di mano dai lavoratori non veniamo venduti in anticipo. Noi siamo molto stanchi dei nostri sindacati, stanchi e ancora stanchi delle migliaia di volte che ci hanno venduto.
Per questo finiamo la nostra lettera dicendovi che i nostri cuori battono più rapidamente da lunedì, che qui stiamo facendo fronte con voi difendendo la vostra lotta ovunque andiamo.
Non fatevi intimidire, sappiamo bene che Aguirre o Zapatero, la COPE o la Prisa[2] hanno degli interessi opposti ai nostri, si sa che hanno l’abitudine di attaccarci. E’ quello che vogliono, sanno che migliaia di lavoratori hanno lo sguardo su di voi, perché siete il FUTURO e non il futuro grigio che loro vogliono venderci.
Se avete bisogno di noi sappiate che noi ci siamo; nell’attesa continueremo a difendervi di fronte a tutti quelli che oseranno denigrarvi.
Postini e postine del Distretto 43
1 luglio 2010
[1] Forse si fa riferimento al fatto che durante lo sciopero il governo ha messo in opera un servizio di autobus alternativo per trasportare le persone in maniera tale da sfruttare il maggior disagio contro gli scioperanti della metropolitana.
[2] Il COPE è la radio di destra e Prisa è l’azienda di comunicazione di sinistra (El País,…).
Pensiamo che non è necessario aggiungere altro per spiegare perché pubblichiamo questo articolo scritto dalla nostra sezione in Francia a fine agosto.
Decisamente Sarkozy non ha finito di regolare i suoi conti con l’immigrazione. Dopo la “pulizia della Francia alla Kärcher[2]”, Francia che occorre “sbarazzare dalla gentaglia”, il presidente francese si è lanciato nell’attuazione di una politica repressiva più aggressiva nei confronti della comunità “rom”.
Un centinaio di campi di “nomadi” sono stati evacuati manu militari. Gli occupanti, privati dei loro caravan e delle loro roulotte, sono stati gettati in mezzo alla strada, trattati peggio del bestiame, con i fucili puntati alle spalle. Con più di un migliaio di “rom” espulsi dalla Francia da fine luglio, il ministro dell’interno Hortefeux spera di superare la cifra di 9.875 espulsioni realizzate nel 2009 verso la Bulgaria e la Romania di questi indesiderabili rom, di cui più di 8.000 sono stati già espulsi dal territorio da gennaio 2010. Tuttavia, anche all’interno dell’apparato politico francese, numerosi “pezzi grossi” di varie sponde hanno sottolineato la loro opposizione a questa politica che puzza tanto di xenofobia la più abietta, una politica di pogrom. Gli unici a salutare queste posizioni di Sarkozy sono stati Le Pen, il cui partito difende questo da trent’anni, ed i “sarkozisti” stretti come Estrosi e … Kouchner (fondatore di Medici senza Frontiere e attuale ministro degli Esteri francese). Infatti il capo della diplomazia francese, in risposta ad una seconda messa in guardia dell’ONU di cui ha stigmatizzato “le caricature” e “le amalgami”[3], ha dichiarato: “Mai il Presidente della repubblica ha stigmatizzato una minoranza in funzione della sua origine” (!).
Così Villepin che, come ministro dell’Interno e poi Primo ministro della presidenza Chirac, aveva attuato parecchie misure anti-immigrati, si è levato con vigore contro questa politica troppo grossolana parlando di “macchia sulla bandiera francese”. Bernard Debré, deputato UMP[4] di Parigi, si dice “colpito” e sottolinea “il rischio di slittamento verso la xenofobia ed il razzismo”.
Il PS (Partito Socialista), pur denunciando quest’operazione con Rocard (Segretario del PS) che dichiara che “non si era mai visto questo dopo i nazisti” ha criticato Sarkozy ma per impegnarlo a proseguire il suo sforzo. Infatti in un comunicato datato 18 agosto critica il progetto del governo di eliminare 3.500 posti di poliziotti nei tre prossimi anni, e dichiara: “Non c’è mai stata tanta distanza tra le parole e le azioni di un governo. Se il PS critica il governo, non è perché fa troppo sulla sicurezza, è, al contrario, perché non agisce realmente”. È vero che il PS, da Joxe, Cresson e lo stesso Rocard, ne sa qualcosa visto che è stato questo partito ad attuare le prime misure restrittive negli anni 80.
Eppure, nonostante queste critiche sparate da ogni parte anche all’estero, dal papa all’ONU passando per l’Unione europea, e nonostante l’opposizione crescente nella popolazione francese a questa nauseante politica discriminatoria, Sarkozy e il suo ministro dell’Immigrazione, “l’ex” socialista Éric Besson, ha annunciato il 24 agosto “un’accelerazione delle espulsioni di extracomunitari bulgari e rumeni” la cui partenza, ipocritamente presentata come “volontaria”, significa “un ritorno” in paesi in cui questa frangia della popolazione è spesso perseguitata. E per dissuadere questi “approfittatori” e “delinquenti” dal ritornare per prendere di nuovo i 300 euro di “premio di espulsione”, il ministro istituirà delle schede biometriche verso i possibili contravventori per proibirne l’accesso alle frontiere.
In realtà, questo discorso del governo e questa politica particolarmente repressiva verso i rom servono a molti scopi.
Il più importante è focalizzarsi su una popolazione molto marginalizzata, spesso arretrata ed analfabeta, che forma una comunità chiusa e poco comunicativa, e che pertanto è facile criminalizzare per farne il capro espiatorio della crisi economica e una giustificazione della politica generale di repressione che adotta lo Stato francese. La cosa più ripugnante è che questa etnia, già relegata ad una sopravvivenza in vere cloache e scarichi della società, si ritrova facilmente esposta alla strumentalizzazione. L’attacco di Sarkozy contro i rom, in questo momento, poteva generare al massimo solo della compassione ma non un movimento attivo di solidarietà in loro difesa all’interno della classe lavoratrice; tanto più che la maggior parte degli sgombri ha avuto luogo durante le vacanze estive. Al di là delle dichiarazioni enfatiche ed ipocrite dei politicanti e di alcuni gruppi politici, nulla vi si è opposto.
Un altro aspetto di questo intenso battage mediatico è fare molto rumore per creare un diversivo alle tensioni sociali che si delineavano per il “rientro”. Per la sua vernice di “sicurezza”, questa propaganda serve anche a procurare dei mezzi giuridici per perpetrare arresti in massa o altri che mirano ad imporre forti ammende alle famiglie di immigrati i cui giovani hanno a che fare con la polizia. I genitori saranno ritenuti legalmente responsabili delle azioni del loro minore, quando questo è stato perseguito o condannato per un’infrazione e che viola i divieti e gli obblighi ai quali è sottoposto. Questi genitori potrebbero vedersi infliggere fino a due anni di prigione e 30.000 euro di multa quando nei fatti è la disoccupazione, la precarietà, la miseria che li ha erosi e reso incapaci di assumere il loro ruolo educativo.
Uno dei fiori all’occhiello delle nuove misure di sicurezza proposte da Sarkozy è “la decadenza della nazionalità francese”. Una delle argomentazioni avanzate da alcuni sostenitori della misura in oggetto è che “essere francese si merita”, cioè le stesse parole usate da Raphaël Alibert, Guardia dei Sigilli di Pétain, nel luglio 1940, per giustificare una legge che portava alla creazione della “Commissione di revisione delle naturalizzazioni”, la quale procederà alla “denaturalizzazione” di centinaia di migliaia di francesi, soprattutto ebrei[5]. E’ evidente che dal punto di vista dell’efficacia e dell’impatto che potrebbe avere nella pratica oggi, questa misura non ha nulla da vedere con quella del 1940. Ma presenta il vantaggio di tentare di aumentare la divisione della classe operaia tra lavoratori francesi e lavoratori immigrati di data più o meno recente. Inoltre permette una focalizzazione mediatica su un falso problema, completamente estraneo agli interessi degli sfruttati, quello della “nazionalità”.
No, nessuna nazionalità “si merita” e gli operai non sanno che farsene. Come diceva il Manifesto comunista del 1848 “I proletari non hanno patria”. Ed è tutti insieme, quale che sia il colore della pelle o l’origine etnica o nazionale, che dovremo lottare contro questa società che impone a tutti noi condizioni di vita ed un futuro catastrofici.
Wilma, 27 agosto
[1] https://www.corriere.it/politica/10_agosto_21/maroni_d57cd780-acea-11df-b3a2-00144f02aabe.shtml [28]
[3] Il suo amico Sarkozy, lui, non ha fatto un amalgama mettendo nello stesso sacco rom, “nomadi” di nazionalità francese da generazioni, immigrati e delinquenti!
[4] UMP (Union pour un mouvement populaire), partito di Sarkozy
[5] Sarkozy, contrariamente a Le Pen di cui prova a recuperare gli elettori, non se la prende con gli ebrei. Del resto, secondo la tradizione ebrea, lui stesso è ebreo poiché sua madre è ebrea. Ma fondamentalmente, dopo quello che è avvenuto durante la Seconda Guerra mondiale, una cosa del genere da parte di un Presidente della repubblica non sarebbe certo opportuno.
The Guardian chiama questi documenti sulla guerra in Afganistan “l’immagine disvelata” ma non è esattamente vero. Questi documenti sono segreti ma non sono “top secret” o con una classificazione ancora più alta. Molto di ciò che contengono (o di quello che è stato rapportato finora) era già di dominio pubblico e molto si poteva indovinare ragionevolmente dalle prese di posizioni ufficiali e dai servizi giornalistici. Un punto sulla controversa “intelligence” contenuta in molti dei documenti è che questa è una delle maggiori industrie lucrative in tutto il corrotto “Stato” dell’Afganistan, uno Stato putrido fino al midollo; molte delle informazioni, a questo livello, non sono per nulla affidabili. L’informazione proveniente dai ranghi più alti non è migliore: il servizio di intelligence afgano, il National Directorate of Security, è un forte rivale dell’ISI[2] del Pakistan, e i suoi servizi segreti agiscono di conseguenza. Gulbuddin Hekmatyar[3], ex alleato degli Usa e potente signore della guerra, è collegato con i servizi segreti iraniani, il che intorbida ancora di più le acque. Il generalmaggiore americano Michael Flynn ha detto in gennaio che gli articoli dei giornali stranieri sull’Afganistan erano più utili dell’intelligence sul posto.
Ciò che i documenti mostrano chiaramente però è l’estensione e la profondità della guerra, la sua vera dimensione e le rivalità imperialiste, i massacri e il caos che si estende. Mostrano la vera natura della guerra, le atrocità, le torture, le macchinazioni, la corruzione, e la crescente consapevolezza che la guerra non si può vincere. L’idea di un governo stabile in Afganistan fra due, quattro o dieci anni è chiaramente una battuta. Alla fine di questo mese 100.000 militari americani saranno sul posto, più altri 50.000, una decina di migliaia di “contractor”[4] e mercenari e migliaia di ONG che fanno più o meno gli interessi degli Stati di provenienza, più centinaia di migliaia di soldati afgani.
La propaganda attuale dell’ISAF/NATO è su come sia diminuito il numero dei civili feriti con la loro politica “courageous restraint”[5], e su come i talebani stanno incrementando il numero dei civili uccisi. Non c’è dubbio su quest’ultimo dato soprattutto man mano che la guerra si estende, ma i recenti ordini del generale Petrus di “perseguire il nemico senza sosta”, può significare solo maggiori sofferenze per i civili. Non esiste un nemico Talebano ma fazioni, gruppi etnici, tribù e spesso contadini locali che prendono le armi contro la distruzione militare della loro vita e della loro terra. Uno dei fattori di questa guerra è che quando c’è un attacco della Nato, a Kandahar o a Helmand per esempio, i talebani e le forze anticoalizione appaiono dove prima non esistevano. In aggiunta al caos così generato, le guardie frontaliere afghane, unità della polizia e dell’esercito in alcune circostanze lottano uno contro l’altro. Questa non è più una lotta contro i talebani o al-Qaeda ma una guerra locale regionale sempre più complessa che coinvolge fazioni di Pashtun, Uzbeki, Tagiki e Hazari con le grandi potenze coinvolte.
La guerra si sta allargando
La guerra si sta allargando, coinvolgendo e risvegliando altre forze imperialiste. Il territorio pachistano e la popolazione sono stati colpiti dalle unità speciali “nere” degli Stati Uniti, da aerei militari, elicotteri apache, droni e proiettili di obice e sono stati bombardati anche dai B52 per negare ai talebani quelle zone sicure descritte come “inaccettabili… intollerabili” dalla Casa Bianca. Questa è la lenta realizzazione della minaccia fatta molti anni fa dagli Stati Uniti di far ritornare il Pakistan “all’età della pietra”. Il presidente afgano Karzai ha avuto riunioni segrete con il servizio segreto pachistano (ISI), dove quest’ultimo auspicava un avvicinamento tra la sua fazione e la rete jihadista, patrocinata dall’ISI, di Sira-juddin Haqqani[6] concedendo a questi il sud dei Pashtun e consolidando Karzai a Kabul (gli Stati Uniti non erano presenti a queste trattative).
Sull’esempio del Grande Gioco tra Gran Bretagna e Russia più di cento anni fa, il Pakistan guarda alla piccola ma significativa, presenza dell’India in quello che loro chiamano il loro cortile con la paura e l’orrore di un imperialismo minacciato. Questo pericolo è sottolineato in un rapporto di Matt Waldmen dell’Harvard Carr Center, che documenta come l’ISI “orchestra, sostiene e influenza fortemente (i talebani)…(ed è ) rappresentato come partecipante o osservatore nel consiglio del comando supremo talebano, il Quetta Shura”. Come dice William Dalrymple nel The Guardian del 2 luglio 2010, l’Afganistan si sta trasformando in una guerra per procura tra India e Pakistan.
Dietro al Pakistan, la Cina si apposta nell’ombra e negli affari geostrategici in gioco, particolarmente nel confronto con l’Iran, Stati Uniti e forze britanniche hanno via libera lungo il confine afgano-iraniano. Quest’ultimo elemento è uno delle “utilità” della presenza americana in Afghanistan. Ci sono ulteriori tensioni all’interno della stessa ISAF/Nato; disaccordi ed azioni unilaterali che coinvolgono Germania, Francia, Olanda, Canada rispetto alla “politica” degli Stati Uniti che dimostrano la tendenza verso il caos imperialista dentro e fuori lo stesso Afghanistan.
Iraq: la guerra continua
A questo proposito la guerra in Iraq è istruttiva. Il Presidente Obama, che la chiamò “una guerra muta”, ha detto ora che lui l’ha portata ad “una fine responsabile... come promesso e nei tempi previsti”. Chiaramente questo è una novità per la popolazione dell’Iraq dove molti civili stanno vivendo in intollerabili condizioni spaventose e stanno morendo più che in Afganistan. Dopo 5 mesi dalle elezioni “democratiche” in Iraq non c’è ancora un governo che funziona; e, dal nulla, al-Qaeda ora si è fortemente installata qui. In ogni caso gli Stati Uniti non lasceranno l’Iraq così presto ma semplicemente si ritireranno dentro le loro fortezze.
Come Seumus Milne mostra nel The Guardian del 5 agosto, almeno 50.000 soldati degli Stati Uniti (più le forze britanniche e decine di migliaia di mercenari) rimarranno in 94 basi, “stando il allerta, addestrando... provvedendo alla sicurezza e mettendo in atto misure di antiterrorismo”. Nei fatti, come Milne chiarisce, c’è un “afflusso” di mercenari con “presenza durevole” in Iraq. Qui le uccisioni e la tortura sono ancora comuni, la salute e l’istruzione sono peggiorati, così come la posizione delle donne; millecinquecento posti di controllo dividono la capitale e gli iracheni che protestano nelle strade sui frequenti tagli di elettricità vengono identificati come “hooligan” e attaccati dalle truppe irachene. Se la guerra in Iraq è stata un monumentale e cruento fallimento da parte degli Stati Uniti e dell’imperialismo britannico, questi non solo vi sono ancora molto implicati ma ora si ritrovano impantanati in un caos ancora più sanguinario ed irrazionale in Afghanistan, che ha implicazioni anche più pericolose per l’intera regione ed oltre.
Baboon, 12-8-2010
[1] organizzazione internazionale che pubblica sul proprio sito documenti coperti da segreto, https://wikileaks.org/ [31]
[2] L’Inter-Services Intelligence (o ISI) è la più importante e potente delle tre branche dei servizi di Intelligence del Pakistan.
[3] Questo Hekmatyar è ben conosciuto come massacratore. Gli è stato dato aiuto e addestramento dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna nel 1980 e ha avuto colloqui con ufficiali britannici a Whitehall, sede del governo. I britannici addestrarono Hekmatyar nel condurre operazioni segrete nelle repubbliche mussulmane dell’Unione Sovietica.
[5] Letteralmente “controllo coraggioso”, cioè astenersi dall’aprire il fuoco in situazioni di pericolo . per evitare i cosiddetti “danni collaterali” (90 civili uccisi per errore in 5 mesi, ad esempio!).
[6] Haqqani è un signore della guerra della rete terroristica dell’Harkat-ul-Mujahideen (HUM). Il Pakistan l’ha appoggiato anche nella sua guerra per procura contro l’India in Kashmir. La Gran Bretagna ha offerto aiuto sottobanco all’HUM in passato e ci sono rapporti che dicono che la GB è stata coinvolta in unità di questo gruppo che sono state spedite per combattere nell’ex-Iugoslavia e nel Kosovo negli anni novanta. Molti combattenti dell’HUM hanno ricevuto aiuto indiretto dalla Gran Bretagna. Due dei quattro attentatori londinesi sono stati addestrati in campi del Pakistan controllati dall’HUM.
Nel 2009 si è fatta passare per una disoccupata alla ricerca di un impiego nella regione francese della Bassa Normandia. La sua motivazione? “La crisi. Non si parlava d’altro, ma senza realmente conoscerla, né che dimensioni avesse. Tutto dava l’impressione di un mondo sul punto di crollare. E tuttavia, intorno a noi, le cose sembravano sempre al loro posto”. Il suo scopo? Ottenere un CDI[2]. L’otterrà alla fine di 6 mesi di galera: “le condizioni sono miracolose (…): un contratto dalle 5.30 alle 8.00 di mattina, pagate alla tariffa della convenzione collettiva, 8,94 euro all’ora” (sic!). Ciò dà l’idea delle condizioni di vita di milioni di disoccupati o lavoratori precari: si arriva a chiamare “miracoloso” un misero contratto che permette di lavorare solo 2 ore e mezza al giorno, poco più del SMIC![3]
Le agenzie interinali e l’ufficio di collocamento
Il suo percorso comincia “ingenuamente” (secondo le sue parole), attraverso i lavori ad interim. Florence Aubenas vi giunge precisando fieramente “accetterò tutto”. “Qui, tutti accettano tutto” le rispondono! Rapidamente li gira tutti. Rapidamente li conosce tutti. Rapidamente capisce che non ha nessuna speranza di ottenere un impiego in questi tempi di crisi: non ha lavorato da 20 anni… non ha nessuna esperienza professionale … lei non ha un profilo “affidabile” per l’interim …
Raggiunge l’ufficio di collocamento, una delle esperienze più traumatizzanti. Tutto è organizzato per stare male. I locali sono tristi, non ci sono mezzi adeguati per la ricerca di lavoro, ci sono pochi computer ed uno solo è collegato ad una stampante funzionante. Uno schermo televisivo trasmette continuamente lo stesso ignobile slogan: “Avete dei diritti, ma anche dei doveri. Potete essere radiati”. Radiati… Lo Stato vuole incidere questa minaccia nelle menti, vera spada di Damocle… Niente più sussidi, niente più diritti, più niente… il vuoto… il nulla… Tutto è fatto per colpevolizzare gli operai, per far loro credere che se sono radiati è solo solo colpa loro. “Avete dei doveri”. Capite bene: “è normale fare qualche sforzo per cercare un impiego, voi che vivete alle spalle degli onesti lavoratori e siete pagati per non fare niente”. No! Tutte queste costrizioni imposte dal governo hanno un unico scopo: radiare quanti più disoccupati possibile per barare sulle cifre della disoccupazione e risparmiare.
Col passare delle pagine la ricerca di un lavoro diventa un percorso da combattimento usurante e scoraggiante.
Tutto comincia col primo appuntamento. L’impiegato annuncia a Florence Aubenas che deve avere il secondo appuntamento nelle successive 24 ore, se no…
Il secondo appuntamento non durerà più di venti minuti, nuove direttive “dall’alto”. (…).
E poi c’è l’appuntamento mensile, “un obbligo stabilito dall’amministrazione”, a costo di sborsare una grossa spesa per il trasporto. “Davanti allo sportello, una disoccupata aspetta, arrabbiata ma in silenzio, con gli occhi di disapprovazione. La si sente gonfia di lagnanze che non osa esprimere e che l’accompagnano da molto. Deve pensare continuamente alle convocazioni all’agenzia, soprattutto la notte. Sono obbligatorie una volte al mese, passa tutto un giorno qui, lo sa, bisogna venire in autobus da Dives per essere ricevuta venti minuti all’ufficio di collocamento - e talvolta anche dieci, come l’ultima volta. In un ufficio esposto a tutte le correnti d’aria, un impiegato che sospira tanto più che non le proporrà niente. E durante questo tempo, su tutte le trasmissioni televisive, sente i politici spiegare che le cifre della disoccupazione non sono così cattive. C’è da impazzire”
E ci sono ancora gli stage dai temi “bidoni”[4] che finiscono per “essere peggio di un lavoro”. Là ognuno a turno si presenta, racconta il suo doloroso percorso, e poi … Quando si conclude lo stage “imparare a redigere un CV”, non è previsto nessuno materiale per battere né stampare i nuovi CV redatti! Quando bisogna andare ad una “riunione speciale di informazione” risulta subito evidente che “che l’ufficio di collocamento non ha, in realtà, niente da annunciare a questa riunione!”. D’altra parte uno degli impiegati finisce per spiegare che loro hanno delle consegne, che bisogna far abbassare le cifre della disoccupazione e che questa riunione è uno dei modi: “si convoca una categoria di disoccupati, quadri, precari, poco importa. Una parte non verrà e senza giustifica è statistica. Saranno radiati”.
Del resto il personale dell’ufficio di collocamento non ha più nessuna illusione sul proprio ruolo: “è stato costituito da molto tempo (…) da lavoratori sociali. Oramai, il reclutamento mira innanzitutto al settore commerciale”. Non bisogna più dire “richiedenti impiego” ma “clienti”. Non bisogna più “fare del sociale” ma “fare delle cifre”. “Guadagnare in produttività è la priorità” del governo… altrimenti niente premi collettivi per l’agenzia! Allora, la durata dei colloqui non deve superare i 20 minuti. “In certe agenzie, certe volte ogni impiegato ha più di 180 richiedenti nel suo portafoglio, quando dovrebbe averne 60. La regione ha più di 4.000 dossier in ritardo. Nessuno arriva più a tenere il ritmo”.
Ed il personale scoppia: appaiono tentativi di suicidio, alcuni con triste successo: “sembra che si è appeso alle scale dell’ufficio di collocamento”. E gli utenti sono sempre più aggressivi. Gli impiegati dell’ufficio di collocamento ne sono sicuri, “(…) un giorno finirà per succedere un dramma, qualcuno entrerà nell’agenzia, taglierà loro la gola o sparerà loro addosso”. No, l’ufficio di collocamento non illude più nessuno, soprattutto non quelli che vi lavorano.
Alla fine, dunque, Florence Aubenas si vedrà giudicare, valutare e proporre un lavoro in meno di venti minuti: “volete cominciare una nuova vita? Fare le pulizie, che cosa ne pensate?” In realtà al suo profilo non corrisponde nessun’altra gran cosa. Accetta. In quanto al CDI che si è fissata come obiettivo, si rivela una missione impossibile: “questo tipo di impiego non esiste più nel vostro circuito. Presto non esisterà più da nessuna parte. Non si sa”.
Dopo 15 lunghi giorni di ricerche, Florence Aubenas trova il suo primo impiego, un “impiego” che nessuno vuole, anche i più poveri: fare le pulizie su un traghetto a Ouistreham.
Una moltitudine di piccoli contratti…
Eppure tutti l’avevano avvertita: se vedi un annuncio sul traghetto “non andarci. Non rispondere. Non pensarci nemmeno. Dimenticalo. (…) Quel posto è peggio di tutto”. Ouistreham, è peggio del “penitenziario e della galera messi insieme”. Si fanno le pulizie durante lo scalo tra le 21.30 e le 22.30, tutte le sere, con un guadagno “poco più di 250 euro al mese, con dei premi i giorni festivi o le domeniche”, ed è un contratto di 6 mesi. Bisogna avere un mezzo di trasporto. Florence Aubenas ne trova uno per caso: un’amica conosce qualcuno che può prestarle un’auto per qualche tempo… Il tragitto d’andata durerà 1 ora: “siccome solo il tempo passato a bordo è pagato, si perdono due ore per guadagnarne una”. Florence Aubenas chiede ad una collega: “non pensi che viene sprecato troppo tempo per il salario che si riscuote?” La collega non comprende. Da dove viene “per non sapere che è normale? Per il lavoro della mattina, lei deve percorrere un tragitto di tre ore”.
Sul posto, si tratta di pulire in tempi record i servizi e le cabine del traghetto: per esempio, massimo 3 minuti per i bagni! Il lavoro è duro, faticoso e senza interruzione. Tutto deve essere perfetto. Se non lo è, tutto deve essere rifatto. “In un quarto d’ora le mie ginocchia sono raddoppiate in volume, le mie braccia sono divorate da formiche e schiumo dal caldo (…)”. L’ora di lavoro dura un secondo ed un’eternità”.
Oltre a questo lavoro, Florence Aubenas trova un CDD (contratto a tempo determinato) tutti i sabati mattina per pulire dei bungalow in un campeggio. Viene assunta da un’agenzia di pulizia, l’Immacolata.
Per riuscire a sopravvivere bisogna effettivamente cumulare diversi impieghi, diversi contratti, diversi luoghi, diversi orari e ore di spostamento. Florence Aubenas ha “l’impressione di passare (il suo) tempo a girare, pensando senza pensare, la testa attraversata dalle combinazioni complicate di orari, di tragitti, di consegne”. L’Immacolata le “propone” anche delle sostituzioni. Le chiamate vengono effettuate di giorno in giorno, all’ultimo momento. Bisogna accettare. È il solo modo di sperare di ottenere qualche contratto che non sia breve. Vive nell’attesa e dorme poco. Le condizioni di lavoro saranno sempre le stesse: “lavare, spolverare, aspirare in tempo record una superficie enorme, senza sforare. E quando supera gli orari, non le vengono pagate le ore supplementari.
Per il datore di lavoro dare un lavoro estenuante e sottopagato è presentato quasi come un favore… “se non sei contenta, ce ne sono migliaia fuori pronte a prendere il tuo posto”. E’ semplice: gli operai non hanno scelta. Devono accettare tutto: essere costretti al servizio gratuito, fare delle ore non remunerate, essere presenti appena c’è bisogno … Il ricatto è insidioso, ma Florence Aubenas comprende bene che se si rifiuta o si lamenta, non avrà “una seconda opportunità”.
I contratti di pulizia sono disputati aspramente da parecchie imprese che negoziano orari sempre più ridotti: “l’impresa di pulizia precedente assicurava la prestazione in due ore, l’Immacolata le ha strappato il mercato rimediando quindici minuti”. Florence Aubenas ripartirà con tre quarti d’ora di ritardo… Al campeggio è ancora peggio. Il padrone annuncia fieramente: “vedrete, è veramente tranquillo. Laggiù ne avrete al massimo per 3 ore ed il vostro contratto ne prevede 3 ed un quarto”. Alla fine la squadra di 5 persone impiegherà 5 ore. “Si finisce faticosamente verso le 15,30. Non si è mangiato niente dalla mattina, non si riesce più a portare i secchi, non si è avuto il tempo di andare al bagno, ci si sente montare da una rabbia folle e disordinata”. Tutte le settimane seguenti somiglieranno a questa: con l’eccedenza di orario di 2 o 3 ore. E queste ore supplementari non saranno mai pagate!
Con un’altra impresa, Florence Aubenas farà l’esperienza del lavoro gratuito: “da noi i periodi di prova non sono pagati!”.
I sindacati…
Durante il suo periplo, Florence Aubenas conosce Victoria, settuagenaria che ha fatto tutta la sua carriera come donna delle pulizie e combattente sindacalista della prima ora. L’incontro avviene alla fine della manifestazione contro la crisi del 19 marzo 2009. Victoria spiegherà più tardi che aveva 22 anni quando si è iscritta al sindacato: “Questo era scontato”. Ma “il sindacalismo non era un affare facile in questo mondo di uomini, organizzato intorno alle grosse sezioni, i metallurgici, i cantieri navali, (…) Nelle manifestazioni, alcuni avevano vergogna di essere visti accanto alle cassiere di Continente o alle donne con una scopa. Era il loro sciopero, la loro marcia, la loro bandiera, il loro sindacato”. Victoria era nella sezione dei precari. Durante le riunioni non capiva tutti i termini usati. Ma se qualcuno chiedeva delle spiegazioni i responsabili sindacali si innervosivano: “non vedi che infastidisci tutti con le tue domande?” Alcuni se ne burlavano anche apertamente se un precario prendeva la parola. La redazione dei volantini si svolgeva sempre allo stesso modo. Le ragazze cominciavano a scrivere ma non appena ci mettevano un po’ di tempo in più, un responsabile scriveva il volantino al loro posto. Nessuno “aveva la pazienza di ascoltare quello che avevano da dire”. Alla fine le ragazze non distribuivano il volantino perché non corrispondeva alle loro idee. “Si facevano trattare da ‘scocciatrici’.”. “Mancavano definitivamente di ‘coscienza di lotta’.". Negli anni 80, viene tolta la parola a Victoria da un amico sindacalista in piena riunione mentre esprime il punto di vista delle donne delle pulizie: “mi rendo conto che i militanti non passano ormai più la scopa nei locali. Si cerca qualcuno per farlo. Perché non tu, Victoria, alcune ore per settimana? Saresti salariata”. Viene nominato allora un responsabile per dirigere la sezione dei “precari”, “un vero letterato, bardato di diplomi”, perché “occorre un intellettuale per rappresentare degnamente il sindacato (…). Non si può mandare una cassiera o una donna delle pulizie alle riunioni!” Alla fine degli anni 80 il sindacato non ha più denaro per Victoria: viene cacciata. “Quel giorno, li vede uscire dalla sala ridendo. (…) Non si trattiene. Grida: ‘banda di immondizie’.
Per la sua amica Fanfan, anche lei iscritta ad un sindacato nello stesso periodo, è la stessa storia. Viene cacciata ingiustamente dall’ipermercato dove lavora perché è alla testa di una piccola sezione sindacale. “Il sindacato non muove un dito per aiutarla. Fanfan lascia la militanza sindacale”.
Il sindacalismo, organo permanente di lotta, viene descritto come è veramente: un organo staccato dagli interessi della classe operaia, un organo elitario dove si difende un solo punto di vista: quello della centrale sindacale, quello di coloro i quali sono pagati per, come loro pretendono, “rappresentare i lavoratori”. Questo è un organo che decide per la classe operaia contro gli interessi della classe operaia.
Florence Aubenas ha scelto di raccontare la vita dei lavoratori e dei disoccupati di Caen ma la stessa storia si sarebbe potuta svolgere in qualsiasi altro posto. Il bilancio sarebbe stato lo stesso, le esperienze raccontate ed il dolore per la mancanza di futuro identici.
Detto questo, anche se la situazione dello sfruttamento capitalista e la descrizione del lavoro dei sindacati è implacabile (“A che serve? I sindacati hanno fatto casino a Caen per anni e le fabbriche hanno chiuso lo stresso”), questo libro non lascia alla fine nient’altro che disperazione. Quando il lettore finisce queste 300 pagine è facile immaginarlo silenzioso, scoraggiato, triste e spaventato per la situazione drammatica descritta dalla giornalista. Perché, alla fin fine, non emerge nessuna prospettiva per il futuro, nessun barlume di luce. Nella regione di Caen, come in molti posti, “in meno di un secolo, si è costruita l’industria, poi è stata completamente smantellata” ed ha lasciato solo desolazione e un sentimento di “no future”. “La Francia diventerà come il Brasile, (…) ci ritroveremo su mucchi di rifiuti, cercando di sopravvivere con quello che si trova”.
Florence Aubenas non va fino in fondo al suo ragionamento, non tira le conclusioni che le sue stesse descrizioni impongono.
Sì, il capitalismo semina la miseria! Sì, la sorte della classe operaia è indegna! Ma tutto questo è anche, e soprattutto, rivoltante. Di fronte all’orrore della schiavitù salariale, non è la paura né la disperazione che devono animare la classe operaia ma la combattività e la convinzione che essa può costruire un altro mondo! È proprio questa fiducia in sé stessa che oggi più le manca e che l’ha tanto inibita … fino ad ora.
Cunégonde (29 giugno)
[1] In italiano “Il lungosenna di Ouistreham”, edito in Francia dalla casa editrice Editions de l’Olivier
[2] Contratto a tempo indeterminato
[3] “Salario minimo interprofessionale di crescita” che corrisponde al vecchio “salario minimo interprofessionale garantito” ma senza l’aggancio all’inflazione. Il suo valore è di 8,86 euro lordi per ora di lavoro.
[4] “Lettera di candidatura spontanea”, “come redigere una lettera di risposta ad un’inserzione”?, “mettere in valore le proprie competenze”, “utilizzare il telefono nella ricerca di impiego”…
Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/content/spagna-solidarieta-con-i-lavoratori-della-metropolitana-di-madrid
[2] https://it.internationalism.org/content/piena-solidarieta-con-gli-scioperanti-della-metropolitana-di-madrid
[3] https://it.internationalism.org/content/italia-la-maturazione-della-lotta-di-classe
[4] https://world.internationalism.org
[5] https://it.internationalism.org/icconline/2006_tesi_mov_stud_fr
[6] http://www.affaritaliani.it/economia/marcegaglia_berlusconi_pil_meglio24092010.html
[7] http://www.blogo.it/post/8128/tutto-sulla-p3-piani-favori-appalti-e-giudici-corrotti
[8] https://it.internationalism.org/content/dietro-lo-scandalo-di-escort-festini-e-cocaina-gli-scontri-nella-maggioranza-governativa
[9] https://it.internationalism.org/content/i-perche-dello-scontro-fini-berlusconi
[10] https://it.internationalism.org/tag/4/75/italia
[11] https://it.internationalism.org/tag/3/46/decomposizione
[12] mailto:coordinamentolucc@yahoo.it
[13] https://colsenter.noblogs.org/
[14] https://www.orizzontescuola.it/node/11452
[15] https://www.orizzontescuola.it/node/11380
[16] https://www.ilgazzettinovesuviano.com/2010/09/17/sciopero-fincantieri-a-napoli-la-polizia-carica-i-manifestanti-di-martino-operai-caricati-a-freddo/
[17] https://napolioltre.forumfree.it/?t=49536058
[18] https://www.dirittidistorti.it/articoli/12-lavoro/261-dagli-operai-della-fiat-polonia-una-lettera-ai-lavoratori-di-pomigliano.html
[19] https://libcom.org/article/letter-fiat-workers-tychy
[20] http://www.infoaut.org/articolo/lettera-dalla-fiat-di-tychy-lavoriamo-con-lentezza
[21] https://libcom.org/news/strikes-fiat-letter-solidarity-poland-15072010
[22] https://senzasoste.it/
[23] http://www.proletaria.it/index.php/proletaria/Articolo-1/Lavoro/Proposta-per-una-riunione-nazionale-autoconvocata-dei-coordinamenti-e-dei-comitati-di-lotta-dei-lavoratori-e-delle-aziende-in-crisi
[24] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria
[25] https://usuariossolidarios.wordpress.com/
[26] https://es.internationalism.org/node/2891
[27] https://it.internationalism.org/tag/4/79/spagna
[28] https://www.corriere.it/politica/10_agosto_21/maroni_d57cd780-acea-11df-b3a2-00144f02aabe.shtml
[29] https://it.internationalism.org/rziz/2995/143_francia
[30] https://it.internationalism.org/tag/4/70/francia
[31] https://wikileaks.org/
[32] https://it.internationalism.org/tag/3/48/guerra
[33] https://it.internationalism.org/tag/3/49/imperialismo
[34] https://it.internationalism.org/tag/6/106/afganistan
[35] https://it.internationalism.org/tag/2/40/coscienza-di-classe