Gli anni ’50 e ’60: Damen, Bordiga, e la passione per il comunismo

Printer-friendly version

Prima della nostra esplorazione dei tentativi dell’anarchismo spagnolo di affermare un “comunismo libertario” durante la guerra civile spagnola del 1936-39, avevamo pubblicato il contributo della Sinistra Comunista Francese (GCF) sulle caratteristiche del periodo di transizione[1], un testo basato sui progressi teorici della sinistra italiana e belga degli anni ’30. La GCF faceva parte di una certa rinascita delle organizzazioni politiche proletarie dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma nei primi anni ’50 il mondo proletario stava affrontando una profonda crisi visto che divenne sempre più evidente che la dura sconfitta subita dalla classe dei lavoratori non s’era dissolta con la guerra – ma, al contrario, la vittoria della democrazia sul fascismo aveva ulteriormente acuito il disorientamento del proletariato. La fine della contro-rivoluzione cominciata negli anni ’20 aveva ancora molta strada da fare.

Nel nostro libro The Dutch and German Left, in particolare al capitolo 11, “La Lega comunista-spartachista e la ‘corrente dei consigli’ (1942-50)”, abbiamo considerato i progressi significativi che furono compiuti in una parte della sinistra comunista olandese: il tentativo del gruppo Communistenbond Spartakus di aprirsi ad altre correnti (come la GCF) e di riappropriarsi di alcune vecchie posizioni del Partito Comunista Operaio Tedesco ( KAPD) – costituiva una svolta rispetto alle idee anti-partitiche sviluppate negli anni ’30. Tuttavia, questi progressi furono deboli e le idee sostanzialmente anarchiche che erano state adottate dalla maggioranza della sinistra tedesco-olandese in reazione alla degenerazione del bolscevismo riacquistarono presto forza, contribuendo a un lungo processo di frammentazione in gruppi principalmente locali e focalizzati sulla lotta immediata dei lavoratori.

Nel 1952, la GCF si sciolse: in parte a causa di una diagnosi sbagliata del corso storico che portava alla conclusione che fosse imminente una terza guerra mondiale e alla partenza di Marc Chirik, il membro più influente della GCF, verso il Venezuela; in parte per una combinazione di tensioni personali e differenze politiche non chiarite. Marc lottò contro queste difficoltà in una serie di ‘lettere da lontano’, nelle quali provava anche a delineare i compiti delle organizzazioni rivoluzionarie nelle condizioni storiche dell’epoca, ma non poté arrestare la disintegrazione del gruppo. Alcuni dei suoi membri si unirono al gruppo Socialismo o Barbarie intorno a Cornelius Castoriadis, di cui parleremo in un prossimo articolo.

Nello stesso anno, una spaccatura più importante avvenne tra le due maggiori correnti del Partito Comunista Internazionale in Italia – correnti che erano esistite più o meno fin dall’inizio, ma che erano state capaci di stabilire un certo modus vivendi quando il partito stava attraversando un’euforica fase di crescita. Quando l’arretramento nella lotta di classe divenne sempre più evidente, l’organizzazione, di fronte alla demoralizzazione di molti dei lavoratori che fin dall’inizio si erano uniti ad essa sulla base di un attivismo superficiale, fu inevitabilmente costretta a riflettere sui propri compiti e direzione futura.

Gli anni ’50 e i primi anni ’60 furono così un periodo buio per il movimento comunista, che affrontava un vero e proprio prolungamento della dura contro-rivoluzione calata sulla classe operaia negli anni ’30 e ’40, ma in questo periodo dominava l’immagine di un capitalismo vincente che sembrava essersi ripreso – forse definitivamente – dalla catastrofica crisi degli anni ’30. In particolare, era il trionfo del capitale statunitense, della democrazia, di un’economia che passava in maniera relativamente veloce dall’austerità del dopo guerra al boom dei consumi degli ultimi anni ’50 e dei primi anni ’60. Sicuramente questo periodo ‘glorioso’ aveva i suoi lati oscuri, soprattutto il rigido scontro tra i giganti imperialisti, col conseguente proliferare di guerre locali e la minaccia globale di un olocausto nucleare. Inoltre, nel blocco ‘democratico’, c’era una vera e propria ondata di paranoia verso il comunismo e la sovversione, esemplificata dalla caccia alle streghe maccartista negli USA. In quest’atmosfera, le organizzazioni rivoluzionarie, dove ancora esistevano, erano persino più ristrette, persino più isolate di quanto lo erano state negli anni ’30.

Questo periodo segnò quindi una profonda rottura con il movimento che aveva scosso il mondo in seguito alla Prima Guerra Mondiale e anche con le coraggiose minoranze che avevano resistito all’avanzata della contro-rivoluzione. Poichè il boom economico proseguiva, la forte convinzione che il capitalismo fosse un sistema passeggero, condannato a morire per le sue intime contraddizioni, appariva molto meno evidente rispetto agli anni 1914-1945, quando il sistema sembrava essere travolto da una gigantesca catastrofe dopo un’altra. Forse era il marxismo stesso ad aver fallito? Questo era sicuramente il messaggio portato avanti da una dozzina di sociologi e altri intellettuali borghesi, e tale idea sarebbe presto penetrata negli stessi movimenti rivoluzionari, come abbiamo visto nella nostra recente serie di articoli sulla decadenza[2].

Allo stesso tempo, non era del tutto scomparsa la generazione di militanti che era stata forgiata dalla rivoluzione o dalla lotta contro la degenerazione delle organizzazioni politiche che essa stessa aveva creato. Alcune figure chiave della sinistra comunista rimasero attive dopo la guerra e durante il periodo di arretramento degli anni ’50 e ’60, e, al di là di tutto, per essi la prospettiva del comunismo non era affatto morta e sepolta. Pannekoek, anche se non era più legato a un’organizzazione, pubblicò il suo libro sui Consigli operai e sul loro ruolo nella costruzione di una nuova società[3], e fino alla sua vecchiaia rimase in contatto con una serie di gruppi che comparvero dopo la guerra, come Socialismo o Barbarie. I militanti che durante la guerra avevano rotto col trotskismo, come Castoriadis e Munis, mantennero un’attività politica e provarono a tratteggiare la visione di ciò che stava oltre l’orizzonte del capitalismo. E Marc Chirik, sebbene ‘non organizzato’ per più di un decennio, di sicuro non abbandonò il pensiero e la ricerca rivoluzionaria; e quando nella metà degli anni ’60 ritornò alla militanza organizzata, avrebbe chiarito la sua prospettiva su diverse questioni, non ultimo sui problemi del periodo di transizione.

Abbiamo intenzione di ritornare agli scritti di Castoriadis, Munis e Chirik in prossimi articoli. Pensiamo valga la pena parlare dei loro contributi individuali anche se il lavoro che portarono avanti fu quasi sempre fatto nel contesto di un’organizzazione politica. Un militante rivoluzionario non esiste come mero individuo, ma come parte di un organismo collettivo che, in ultima istanza, è generato dalla classe operaia e dalla sua lotta per diventare cosciente del suo ruolo storico. Un militante è per definizione un individuo che s’impegna alla costruzione e alla difesa di un’organizzazione politica, e che è perciò motivato da una profonda lealtà nei confronti dell’organizzazione e dei suoi bisogni. Ma – e qui, come vedremo in seguito, ci allontaniamo dalle concezioni sviluppate da Bordiga – l’organizzazione rivoluzionaria non è un collettivo anonimo, nel quale l’individuo sacrifica la sua personalità e quindi abbandona le sue capacità critiche; un’organizzazione politica sana è un’associazione in cui le individualità dei diversi compagni sono valorizzate piuttosto che soppresse. In un’associazione del genere, c’è spazio per i contributi teorici particolari di compagni diversi e, ovviamente, per un dibattito sulle differenze sorte tra gli individui militanti. Così, come abbiamo riscontrato in tutta questa serie, la storia del programma comunista non è solo la storia delle lotte della classe operaia, delle organizzazioni e delle correnti che si sono ispirate a queste lotte e le hanno elaborate in un programma coerente, ma anche degli individui militanti che hanno aperto la strada in questo processo di elaborazione.

Damen e Bordiga come militanti rivoluzionari

In quest’articolo torniamo al lavoro della sinistra comunista italiana che, prima della guerra e sotto forma della Frazione in esilio, fornì un contributo insostituibile alla nostra comprensione dei problemi della transizione dal capitalismo al comunismo. Questo contributo era stato anche sviluppato a partire dai fondamenti marxisti stabiliti dalla corrente di sinistra in Italia durante la fase precedente, quella della guerra mondiale imperialista e dell’ondata rivoluzionaria post-bellica. Dopo la seconda guerra imperialista, nonostante gli errori e gli scismi che afflissero il Partito Comunista Internazionale, l’eredità teorica della sinistra italiana non scomparve. Anche se esamineremo in particolare la questione del periodo di transizione o altre problematiche, sarà impossibile ignorare l’interazione e spesso l’opposizione che si ebbe durante tutto questo periodo tra due leader di questa corrente: Onorato Damen e Amedeo Bordiga.

Durante i tempestosi giorni del periodo bellico e rivoluzionario 1914-1926, Damen e Bordiga dimostrarono chiaramente la caratteristica principale di un militante comunista: la capacità di opporsi all’ordine dominante. Damen fu imprigionato per agitazioni contro la guerra; Bordiga combatté instancabilmente per sviluppare il lavoro della sua frazione all’interno del Partito Socialista e quindi premere per una scissione con l’ala destra e i centristi e, in seguito, per la formazione su solidi principi di un partito comunista. Quando la stessa nuova Internazionale Comunista si assestò su posizioni opportuniste nei primi anni ’20, Bordiga fu di nuovo in prima linea all’opposizione alle tattiche dei Fronti Uniti e alla ‘bolscevizzazione’ dei partiti comunisti: ebbe il coraggio immenso di alzarsi alla riunione del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista a Mosca nel 1926 e denunciare direttamente Stalin come il becchino della rivoluzione. Quello stesso anno Bordiga fu arrestato ed esiliato sull’isola di Ustica[4]. Nel frattempo, anche Damen era attivo nella resistenza ai tentativi dell’Internazionale Comunista di imporre le sue politiche opportuniste al partito italiano, inizialmente dominato dall’ala sinistra. Insieme a Fortichiari, Repossi e altri, formò nel 1925 il Comitato di Intesa[5]. Durante il fascismo, subì più di un episodio di confino ed esilio, ma non rimase in silenzio, guidando ad esempio una rivolta di prigionieri a Pianosa.

In questa congiuntura, comunque, ci fu una differenza nella reazione dei due militanti che doveva avere conseguenze di lungo periodo. Bordiga, messo agli arresti domiciliari e costretto ad abiurare ogni attività politica (come poi sembrarono gentili i fascisti!), evitò ogni contatto coi suoi compagni e si concentrò del tutto sul suo lavoro da ingegnere. Riconobbe che la classe dei lavoratori aveva subito una sconfitta storica, ma da questo non trasse la stessa conclusione dei compagni che formarono la Frazione in esilio. Quest’ultima capì che era necessario come non mai mantenere un’attività politica organizzata, anche se non poteva più avere la forma di un partito. Così, al tempo della formazione della Frazione italiana e nel corso di tutti i decenni estremamente fertili che seguirono, Bordiga fu del tutto tagliato fuori da questi sviluppi teorici[6]. Dall’altro lato, Damen mantenne i contatti e al suo ritorno in Italia raggruppò un numero di compagni dalla Frazione con l’idea di contribuire alla formazione del partito. C’erano militanti come Stefanini, Danielis e Lecci, che erano rimasti fedeli alle posizioni principali della Frazione lungo tutti gli anni ’30 e la guerra. Nel 1943, fu proclamato nel Nord Italia il Partito Comunista Internazionale (PCInt); il partito fu poi rifondato nel 1945 in seguito a un’integrazione un po’ affrettata di elementi vicini a Bordiga nel Sud Italia[7].

Di conseguenza, il partito unito, formato intorno a una piattaforma scritta da Bordiga, fu fin dall’inizio un compromesso tra due correnti. Quella vicina a Damen, era molto più netta su molte posizioni di classe fondamentali che non erano molto lontane dagli sviluppi intrapresi dalla Frazione – per esempio, l’esplicita adozione della teoria della decadenza del capitalismo e il rifiuto della posizione di Lenin sull’autodeterminazione delle nazioni.

In tal senso – e noi non abbiamo mai nascosto le nostre critiche al profondo opportunismo implicito nella formazione del partito fin dai suoi primissimi inizi – la corrente ‘Damen’ mostrò una capacità di assimilare alcuni dei più importanti apporti programmatici della Frazione italiana in esilio, e persino di assumere alcune questioni chiave sorte all’interno della Frazione italiana per poi avanzare verso una posizione più elaborata. Fu questo il caso della questione del sindacato. All’interno della Frazione la discussione era rimasta irrisolta. In quell’occasione Stefanini era stato il primo a difendere l’idea che i sindacati fossero già stati integrati nell’ordine capitalistico. Sebbene non si possa dire che la posizione della corrente ‘Damen’ sia sempre stata totalmente coerente sulla questione del sindacato, certamente fu più netta di quella che sarebbe diventata la visione ‘bordigista’ dominante dopo la scissione del 1952.

Questo processo di chiarificazione si estese anche ai compiti di un partito comunista nella rivoluzione proletaria. Come abbiamo visto nei precedenti articoli della serie[8], la Frazione, a dispetto di alcune persistenti idee sul partito che esercitava la dittatura del proletariato, aveva sostanzialmente superato questa posizione, insistendo sul fatto che una lezione chiave della rivoluzione russa era che il partito non avrebbe dovuto identificarsi con lo Stato di transizione. La corrente Damen andò persino oltre e chiarì che il compito del partito non era l’esercizio del potere. La sua piattaforma del 1952, ad esempio, afferma che “mai e per nessuna ragione il proletariato dovrebbe cedere il suo ruolo nella lotta. Non dovrebbe delegare la sua missione storica ad altri o trasferire il suo potere ad altri – nemmeno al suo stesso partito politico”.

Come mostriamo nel nostro libro La Sinistra Comunista Italiana, queste intuizioni erano connesse quasi logicamente a certi avanzamenti sulla questione dello Stato:

Molto più ardita è la posizione che prende il Partito Internazionalista sul problema dello Stato nel periodo di transizione, influenzato in maniera evidente da Bilan e Octobre. Damen e i suoi compagni respingono l’assimilazione della dittatura del proletariato con quella del partito, e, di fronte ad uno “Stato proletario”, rivendicano nei consigli la più ampia democrazia. Essi non rifiutano l’ipotesi, verificatasi a Kronstadt, di scontri tra lo “Stato operaio” e il proletariato, e sostengono che in questo caso il partito comunista si dovrebbe schierare a fianco di quest'ultimo: ‘La dittatura del proletariato non può in alcun caso ridursi alla dittatura del partito, anche se si tratta del partito del proletariato, intelligenza e guida dello Stato proletario. Lo Stato e il partito al potere, in quanto organi di una tale dittatura, portano in germe la tendenza al compromesso con il vecchio mondo, tendenza che si sviluppa e si realizza, come ha dimostrato l’esperienza russa, per l'incapacità momentanea della rivoluzione in un dato paese ad estendersi, collegandosi al movimento insurrezionale degli altri paesi. Il nostro partito (...) a) dovrà evitare di diventare lo strumento dello Stato operaio e della sua politica...; dovrà difendere gli interessi della rivoluzione stessa negli scontri con lo Stato operaio. b) dovrà evitare di burocratizzarsi, facendo del suo centro direttivo, come dei suoi centri periferici, un campo di manovra per il carrierismo di funzionari; c) dovrà evitare che la politica di classe sia pensata e realizzata con dei criteri formativi e amministrativi[9].

Tuttavia, la corrente Damen abbandonò del tutto l’intuizione più importante della Frazione – il concetto stesso di ‘frazione’ come forma e funzione che un’organizzazione rivoluzionaria deve assumere in un periodo di sconfitta nella lotta di classe –, così come il concetto strettamente connesso di ‘corso storico’, la necessità di comprendere i rapporti di forza globali tra le classi che possono subire profondi mutamenti durante l’epoca di decadenza. Incapaci di svolgere una vera e propria critica dei considerevoli errori compiuti nel ’43 – la costituzione di un ‘partito’ in un solo paese in un periodo di profonda contro-rivoluzione, i damenisti sbagliarono ulteriormente nel teorizzare il partito come una necessità permanente e persino come una realtà permanente. Inoltre, nonostante si restringessero rapidamente in un ‘mini-partito’, fu conservato l’entusiasmo iniziale del gruppo del ’43-’45 nell’incrementare la presenza nella classe operaia e fornire una guida risoluta nella sua lotta, al costo di ciò che di cui realmente si aveva bisogno: una chiarificazione teorica sulle necessità e le possibilità del periodo.

La corrente opposta vicina a figure come Bordiga e Maffi, fu, in generale, molto più confusa sulle più importanti posizioni di classe. Bordiga più o meno ignorò le acquisizioni della Frazione e difese il ritorno alle posizioni del primo dei due congressi della Terza Internazionale, che per lui erano basate sulla ‘restaurazione’ del programma comunista da parte Lenin. Un forte sospetto di ‘innovazioni’ opportunistiche al marxismo (che, a dir la verità, erano cominciate a fiorire sul terreno della contro-rivoluzione), lo portarono al concetto di ‘invarianza’ del programma fissato nel 1848 e che bisognava dissotterrare dal momento che veniva periodicamente seppellito dagli opportunisti e dai traditori[10]. Come spesso abbiamo indicato, la nozione di invarianza è basata su una geometria altamente ‘variabile’, così che, per esempio, Bordiga e i suoi sostenitori potevano sia affermare che il capitalismo fosse entrato nella sua epoca di guerre e rivoluzioni (una posizione fondamentale della Terza Internazionale), sia polemizzare allo stesso tempo contro la nozione di decadenza in quanto fondata su un’ideologia “gradualista e pacifista”[11].

La questione della decadenza ebbe importanti ripercussioni quando si passò ad analizzare la natura della rivoluzione russa (definita come una rivoluzione duale, non diversamente dalla visione consiliarista), e in particolare quando si passò a caratterizzare la lotta per l’indipendenza nazionale che stava sorgendo nelle colonie di più vecchia data. Mao, invece di essere visto per ciò che era, ossia un’espressione della contro-rivoluzione stalinista e un vero e proprio prodotto della decadenza del capitalismo, fu salutato come un grande rivoluzionario borghese sulla scia di Cromwell. Successivamente, i bordighisti se ne uscirono con il medesima apprezzamento per i Khmer Rossi in Cambogia, e questa profonda incomprensione della questione nazionale dovette causare il caos nel partito bordighista alla fine degli anni ’70, con un considerevole elemento di abbandono dell’internazionalismo tout court.

Sulla questione del partito, sugli errori dei bolscevichi nella gestione dello Stato sovietico, fu come se la Frazione non fosse mai esistita. Il partito prende il potere, regge la macchina dello stato, impone il Terrore Rosso senza pietà…sembrò che erano stati dimenticati persino gli importanti avvertimenti di Lenin sulla necessità della classe dei lavoratori di fare attenzione alla burocratizzazione e all’autonomizzazione dello Stato di transizione. Come sosteniamo in un precedente articolo di questa serie[12], il più importante contributo di Bordiga sugli insegnamenti della rivoluzione russa nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, ‘Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe’ (1946), contiene certamente qualche intuizione sul problema della degenerazione, ma il suo anti-democraticismo piuttosto dogmatico non gli permette di riconoscere il problema del partito e dello Stato che si sostituiscono al proletariato (si veda l’ultima nota).

Comunque: sebbene la corrente di Bordiga non mise mai apertamente in discussione la formazione del partito nel 1943, fu capace di comprendere che l’organizzazione era entrata in un periodo molto più difficile e che compiti differenti erano all’ordine del giorno. In primo luogo, Bordiga era stato scettico circa la formazione del partito. Senza mostrare la minima conoscenza del concetto di frazione – infatti, abbandonò la sua stessa esperienza di lavoro nella frazione precedente alla Prima Guerra Mondiale con la sua successiva teoria sul partito storico e formale[13], ci fu una certa comprensione che mantenere semplicemente un intervento routinario nella lotta immediata non era la strada da seguire e che era fondamentale ritornare ai fondamenti teorici del marxismo. Per quanto concerne le posizioni programmatiche principali, avendo rifiutato il contributo della Frazione e di altre espressioni della sinistra comunista, il lavoro non fu completato, o finanche tentato. Ma quando si passò a certe questioni teoriche più generali, e in particolare a quelle riguardanti la natura della futura società comunista, ci sembra che in questo periodo fu Bordiga piuttosto che i ‘damenisti’ a lasciarci l’eredità più importante.

La passione per il comunismo: la difesa di Bordiga dei Manoscritti economico-filosofici del 1844

Bordiga et la passion du communisme, una raccolta di scritti a cura di Jacques Camatte del 1972, è la migliore testimonianza della profondità della riflessione di Bordiga sul comunismo, in particolari le due maggiori relazioni presentate all’assemblea di partito nel 1959-60 dedicate ai Manoscritti economico-filosofici: ‘Commentarii dei Manoscritti del 1844’ (1959-60) e ‘Tavole immutabili della teoria comunista di partito’ (le pagine indicate appartengono al primo dei testi indicati, prese dalla edizione italiana: A. Bordiga, Testi sul comunismo, La Vecchia Talpa, Napoli 1972).

Bordiga posiziona così i Manoscritti del ’44 nel corpo degli scritti di Marx:

Un altro volgarissimo luogo comune è che Marx nei suoi scritti giovanili fosse hegeliano, e solo dopo sia stato materialista storico; e magari più vecchio un volgare opportunista! Compito della scuola marxista rivoluzionaria è di rendere palese a tutti i nemici (che hanno la scelta di tutto prendere o tutto rigettare) il monolitismo di tutto il sistema dal suo nascere alla morte di Marx e anche oltre (concetto base della ‘invarianza’, - rifiuto base dell’evoluzione ‘arricchitrici’ della dottrina del partito)” (p. 116).

In appena un paragrafo, abbiamo sia i punti di forza sia i punti deboli dell’approccio di Bordiga.

Da una parte, la difesa intransigente della continuità del pensiero di Marx e il rigetto dell'idea che i Manoscritti del ’44 siano il prodotto di un Marx che era essenzialmente idealista e hegeliano (o almeno feuerbachiano), una nozione che è stata associata in particolare all’intellettuale stalinista Althusser e che è già stata criticata nei precedenti articoli di questa serie[14].

Per Bordiga, i Manoscritti del ’44, con la loro accurata esposizione dell’alienazione capitalistica e la loro ispirata descrizione della società comunista che verrà, indicano già che Marx aveva compiuto una rottura qualitativa con le più avanzate forme di pensiero borghese. In particolare, i Manoscritti del ’44, che contengono un’ampia sezione dedicata alla critica della filosofia hegeliana, dimostrano che qualunque cosa Marx avesse acquisito da Hegel in materia di dialettica, la sua rottura con Hegel – che significò capovolgerlo, ‘metterlo a testa in giù’ – e l’adozione di una visione del mondo comunista, si affermano esattamente nello stesso momento. Bordiga accentua in particolare il rifiuto di Marx del vero e proprio punto di partenza del sistema hegeliano: l’Io. “Quello che è chiaro è che per Marx l’errore di Hegel consiste nel poggiare tutto il suo colossale edificio speculativo, col suo rigoroso formalismo, su su di una base astratta, quale la ‘coscienza’. Come Marx dirà tante volte, è dall’essere che bisogna partire, e non dalla coscienza che l'io ha di se stesso. Hegel è chiuso alle sue prime mosse nell'eterno vano dialogo tra il soggetto e l'oggetto. Il suo soggetto è l’Io inteso in senso assoluto…” (p. 115).

Allo stesso tempo, è evidente che per Bordiga i Manoscritti del ‘44 forniscono la prova per la sua teoria dell’invarianza del marxismo, un’idea che pensiamo essere contraddetta dagli sviluppi reali del programma comunista che abbiamo descritto lungo tutta questa serie. Ma torneremo in seguito sulla questione. Ciò che condividiamo della lettura di Bordiga dei Manoscritti del ’44 è soprattutto la centralità del concetto marxiano di alienazione, non solo nei Manoscritti, ma nella sua intera opera; una serie di fondamentali elementi nella concezione di Bordiga della dialettica della storia; e la messa in risalto della visione del comunismo che, di nuovo, Marx mai ripudiò nei successivi lavori (sebbene, dal nostro punto di vista, l’arricchì).

La dialettica della storia.

I riferimenti di Bordiga al concetto di alienazione nei Manoscritti del ’44, rendono conto della sua generale visione della storia, a partire dalla sua affermazione che “il massimo di alienazione dell'uomo si raggiunge nel presente tempo capitalista” (p. 119). Senza abbandonare l’idea che l’emergere e lo sviluppo del capitalismo e la distruzione del vecchio modo di sfruttamento feudale siano la precondizione per la rivoluzione comunista, egli disdegna il superficiale progressismo della borghesia, la quale vanta la sua superiorità sui precedenti modi di produzione e di vita. Bordiga argomenta che il pensiero borghese è in un certo senso vuoto a paragone con le tanto derise visioni pre-capitalistiche. Per lui, il marxismo ha dimostrato che “quei vostri richiami sono vuote ed inconsistenti menzogne, a titolo più chiaro di quello che lo siano ancora più antiche opinioni dell'umano opinare che voi borghesi credete di aver sommerso per sempre sotto la fatuità della vostra retorica illuministica” (p. 159). Di conseguenza, anche se sia la borghesia, sia il proletariato formulano una loro critica della religione, c’è di nuovo una frattura tra i punti di vista delle due classi: “anche nei casi (non generale) in cui gli ideologi della moderna borghesia hanno osato rompere apertamente con i principi della Chiesa cristiana, noi marxisti non definiamo questa sovrastruttura di ateismo, come una piattaforma comune alla borghesia e al proletariato” (p. 113).

Con affermazioni del genere, Bordiga sembra legare il suo pensiero ad alcune delle critiche ‘filosofiche’ al marxismo della Seconda Internazionale (e, per esteso, della filosofia ufficiale della Terza), come quelle di Pannekoek, di Lukacs e di Korsch, i quali rifiutarono l’idea secondo cui, dato che il socialismo è il passo logicamente successivo nello sviluppo storico e richiede solo il ‘superamento’ dell’economia e dello Stato capitalista, allora il materialismo storico è semplicemente il passo successivo nello sviluppo del materialismo classico borghese. Queste prospettive sono basate su una radicale sottovalutazione dell’antagonismo tra le visioni del mondo della borghesia e del proletariato, dell’inevitabile necessità di una rottura rivoluzionaria con le vecchie forme. C’è una continuità, naturalmente, ma è tutt’altro che graduale e pacifica. Questo modo di approcciare il problema è del tutto coerente con l’idea che la borghesia può vedere il mondo naturale e sociale solo attraverso la lente distorta dell’alienazione, che sotto il suo dominio ha raggiunto la sua fase ‘suprema’.

Lo slogan ‘contro l’immediatezza’ caratterizza più di una volta i sottotitoli di questi contributi. Per Bordiga era fondamentale evitare qualsiasi restrizione dell’indagine all’attuale momento storico e guardare oltre il capitalismo, sia prima che dopo. Nell’epoca contemporanea, il pensiero borghese è forse più immediatista che mai, più che mai concentrato sul particolare, sul qui e ora, sul breve periodo, dal momento che vive nella paura mortale che il guardare l’attuale società con la lente della storia ci permetterebbe di comprenderne la natura transitoria. Ma Bordiga sviluppa anche una polemica contro le ‘grandi narrazioni’ classiche della borghesia nella sua epoca più ottimista: non perché grandi, ma perché le narrazioni della borghesia deformano la storia reale. Proprio come la transizione dal pensiero borghese a quello proletario non è semplicemente un altro passo in avanti, così la storia in generale non è un progresso lineare dall’oscurità alla luce, ma è espressione della dialettica in movimento: “Il progresso dell’umanità e del sapere del travagliato homo sapiens non è continuo, ma avviene per grandi isolati slanci tra i quali si inseriscono sinistre ed oscure cadute in forme sociali degeneranti fino alla putrefazione” (p. 160). Questa non è un’affermazione casuale: altrove, nello stesso testo, afferma: “la concezione banale dell’ideologia dominante vede questo cammino (della storia umana) come una continua e costante ascesa; il marxismo non condivide questa visione, e definisce una serie di oscillazioni tra crescite e declini, interconnesse da violente crisi”. Una chiara risposta, uno potrebbe pensare, a coloro che rifiutano il concetto dell’ascesa e del declino di susseguentesi modi di produzione…

La lettura dialettica della storia vede il movimento come risultante dallo scontro – spesso violento – di contraddizioni. Ma contiene anche la nozione della spirale e del ‘ritorno a un livello più alto’. Così il comunismo del futuro è, in senso forte, un ritorno dell’uomo a se stesso, come Marx lo definisce nei Manoscritti del ’44, dato che non è solo una rottura con il passato, ma una sintesi di qualunque cosa l’umanità sia stata finora: “l’uomo ritorna a se stesso, in se stesso, ma non come era partito alla origine della sua lunga storia, bensì disponendo finalmente di tutte le perfezioni di uno sviluppo immenso, sia pure acquisite nella forma di tutte le successive tecniche, costumi, ideologie, religioni, filosofie, i cui lati utili erano – se ci è lecito così esprimerci  – captati nella zona di alienazione” (p. 120)

Un esempio più concreto su questo lo troviamo in un breve articolo sugli abitanti dell’isola di Janitzio in Messico[15], scritto nel 1961 e incluso nella raccolta di Camatte. Qui Bordiga sviluppa l’idea che “nel comunismo naturale e primitivo” l’individuo, legato ancora ai suoi simili in una reale comunità, non prova la stessa paura della morte che emerse con l’atomizzazione sociale generata dalla proprietà privata e dalla società di classe; e questa cosa ci fornisce l’indicazione che nel comunismo del futuro, dove il destino dell’individuo sarà connesso a quello della specie, la paura della morte personale e “ogni culto della vita e della morte” verranno superati. Bordiga conferma in questo modo la sua continuità col filone centrale della tradizione marxista che afferma che in un certo senso “i membri delle società primitive erano più vicini all’essenza umana” – che il comunismo del lontano passato può anche essere compreso come una pre-figurazione del comunismo del futuro[16].

Ciò che il comunismo non è

La difesa di Bordiga dei Manoscritti del ’44 è, su un piano generale, una lunga diatriba contro l’inganno del ‘socialismo reale’ nei paesi del blocco dell’Est, che avevano acquisito una nuova linfa vitale sulla scia della ‘guerra antifascista’ del 1939-45. Il suo attacco era strutturato su due livelli: negazione e affermazione. Negazione delle pretese che ciò che esisteva in URSS e in regimi simili avesse qualcosa a che fare con la concezione di Marx del comunismo, prima di tutto a livello economico; affermazione delle caratteristiche fondamentali dei rapporti di produzione comunisti.

Una barzelletta comune nella vecchia URSS racconta di un istruttore che sta facendo lezione nella scuola del partito ai giovani membri dei Comsomol sulla questione chiave ‘ci sarà il denaro nel comunismo?':

storicamente, compagni, ci sono tre posizioni su questo problema. C’è l’ala destra, la deviazione proudhonista-bukhariniana : nel comunismo, ognuno avrà denaro. Poi c’è la deviazione infantile dell’ultra-sinistra: nel comunismo, nessuno avrà denaro. Qual è la posizione dialettica del marxismo-leninismo? È ovviamente questa: nel comunismo, alcune persone avranno denaro, e altre no”.

A prescindere se Bordiga conoscesse o meno questa barzelletta, la sua risposta allo stalinismo nei suoi Commentarii procede in una direzione simile. Una prefazione a una delle edizioni staliniste dei Manoscritti del ’44 indica che il testo di Marx contiene una polemica contro la teoria dell’eguaglianza dei salari di Proudhon, implicando che, in linea con l’autentico marxismo praticato nell’URSS, sotto il socialismo doveva esserci la diseguaglianza dei salari. Ma, nella successiva sezione intitolata ‘Aut salariato, aut socialismo’, Bordiga indica che nei Manoscritti del ’44, così come in altre opere come Miseria della filosofia e Il capitale, Marx radicalmente “[rifiuta] la vacuità proudhoniana che concepisce un socialismo che conserva i salari, come li conserva la Russia. Marx non batte la teoria dell’eguaglianza, ma la teoria del salario. Salario è non-socialismo, anche se si potesse livellarlo. Ma non livellato, non egualitario, è un non-socialismo a (cento volte) più forte ragione” (p. 124).

Il paragrafo successivo è intitolato ‘Aut denaro, aut socialismo’. Come il lavoro salariato persiste in URSS, così deve persistere il suo corollario: il dominio dei rapporti umani da parte del valore di scambio e quindi del denaro. Recuperando la dura critica del denaro come espressione dell’alienazione degli esseri umani che Marx, citando Shakespeare e Goethe, sviluppò nei Manoscritti del ’44 e ripeté nel Capitale, Bordiga insisteva che “le società dunque in cui il denaro circola sono società in cui domina l'alienazione del lavoro e dell'uomo; società di proprietà privata, restano nella preistoria barbara dell’umana specie” (p. 131).

Bordiga dimostra, infatti, che gli stalinisti hanno in comune col padre dell’anarchismo più di quanto a loro piaccia ammettere. Proudhon, in linea con la tradizione del ‘comunismo rozzo’ che già Marx riconosce come reazionaria al punto che lui stesso sposò il comunismo, prevede una società nella quale “il prodotto annuale è diviso socialmente in parti eguali tra tutti i membri della società, che sono diventati tutti dei lavoratori salariati”. In altre parole, questa nozione di comunismo o socialismo era quella in cui la miseria delle condizioni del proletariato veniva generalizzata piuttosto che abolita, e in cui la ‘società’ stessa diventa il capitalista. A coloro che – non solo gli stalinisti, ma anche i loro apologeti di sinistra, i trotskysti – negavano che l’URSS potesse essere una forma di capitalismo perché si era (più o meno) sbarazzata degli individui possessori di capitale, Bordiga replica: “La questione dove siano i capitalisti non ha senso. La risposta c’è stata fin dal 1844: la società è un capitalista astratto”.

Il destinatario polemico di questi saggi non sono solo gli espliciti difensori dell’URSS. Se il comunismo abolisce il valore di scambio, è perché ha abolito tutte le forme di proprietà[17] – non solo la proprietà statale come nel programma dello stalinismo, ma anche la versione classica dell’anarco-sindacalismo (che Bordiga attribuisce anche al contemporaneo gruppo Socialisme ou Barbarie con la sua definizione del socialismo come gestione della produzione da parte dei lavoratori): “la terra ai contadini e le fabbriche agli operai e simili vili parodie della grandiosità del programma del partito comunista rivoluzionario” (p. 170). Nel comunismo l’impresa individuale deve essere abolita come tale. Se continua ad esistere la proprietà di coloro che vi lavorano, o persino della comunità locale, essa non è stata realmente socializzata, e le relazioni tra le diverse imprese auto-gestite devono necessariamente essere fondate sullo scambio di merci. Ritorneremo su questo problema quando ci concentreremo sulla visione del socialismo sviluppata da Castoriadis e dal gruppo Socialismo o Barbarie.

Come Trotsky che nel 1924 era improbabile potesse essere a conoscenza dei Manoscritti del ’44 – nel visionario passaggio conclusivo di Letteratura e Rivoluzione[18],così Bordiga in seguito passa dall’ambito della negazione del capitalismo e della sua alienazione, dall’insistere su ciò che il socialismo non è, all’affermazione positiva di ciò che l’umanità sarà nei superiori stadi della società comunista. I Manoscritti del ’44, come abbiamo indicato in un precedente articolo di questa serie[19], sono pieni di passaggi che descrivono in che modo saranno trasformate sotto il comunismo le relazioni tra gli uomini e tra l’umanità e la natura, e Bordiga nei suoi due testi ne cita in maniera estesa i passaggi più significativi, soprattutto lì dove trattano della trasformazione delle relazioni tra gli uomini e le donne e dove insistono sul fatto che la società comunista permetterà l’emergere di un grado più elevato di coscienza.

La trasformazione delle relazioni tra i sessi

Per tutti i Manoscritti del ’44 Marx ripudia il ‘comunismo rozzo’ che, mentre attacca la famiglia borghese, considera ancora la donna come un oggetto e specula sulla prossima ‘comunione delle donne’. Al contrario, Bordiga cita Marx: il livello in cui le relazioni tra maschio e femmina sono state umanizzate è una misura del reale progresso della specie. Ma, allo stesso tempo, sotto il capitalismo, la donna e le relazioni tra i sessi rimarranno prigioniere del rapporto di scambio.

Dopo aver ripreso il pensiero di Marx su queste tematiche, Bordiga fa una digressione sul problema della terminologia, del linguaggio.

Nel citare questi passi, è necessario adoperare a volte la parola uomo a volta la parola maschio, in quanto la prima espressione indica tutti i membri della specie… Quando mezzo secolo fa si fece una inchiesta sul femminismo, misera deviazione piccolo borghese dell'atroce sottomissione della donna nelle società proprietarie, il valido marxista Filippo Turati rispose con queste solo parole: donna…è uomo. Voleva dire: lo sarà nel comunismo, ma per la vostra società borghese è un animale, o un oggetto” (pag.143).

Femminismo una deviazione borghese? Questa è una posizione radicalmente rifiutata da coloro che affermano che possono esistere un ‘femminismo socialista’ o un ‘anarco-femminismo’. Ma, dal punto di vista di Bordiga, il femminismo ha un punto di partenza borghese dal momento che mira all’‘eguaglianza’ dei sessi entro i rapporti sociali esistenti; e questo porta logicamente alla pretesa che le donne dovrebbero potere ‘egualmente’ combattere negli eserciti imperialisti o diventare direttori di aziende e primi ministri.

Il comunismo non aveva bisogno dell’aggiunta del femminismo o anche di un ‘femminismo socialista’, dato che è sempre stato, fin dall’inizio, difensore della solidarietà tra uomini e donne nel qui ed ora, ma tutto questo può essere realizzato solo nella lotta di classe, nella lotta contro l’oppressione e lo sfruttamento capitalista e per la creazione di una società in cui la ‘forma originaria dello sfruttamento’ – cioè della donna da parte dell’uomo – non sarà più possibile. Inoltre, il marxismo ha anche riconosciuto che la donna – a causa della sua doppia oppressione e del suo senso morale più avanzato (legato in particolare al suo ruolo storico nella crescita dei bambini) – è spesso l’avanguardia della lotta, per esempio nella rivoluzione del 1917 in Russia che cominciò con le manifestazione delle donne contro la carenza di pane, o più recentemente nelle lotte di massa in Egitto nel 2007. Infatti, secondo la scuola di antropologia di Cris Knight, Camilla Power e altri, che si identifica nella tradizione antropologica marxista, la moralità e la solidarietà femminile giocarono un ruolo cruciale nell’affermazione di una cultura umana nella prima “rivoluzione umana”[20]. Bordiga concorda con quest’opinione nella sezione dei Commentarii intitolata ‘Amore, bisogno di tutti’, dove argomenta che la funzione passiva assegnata alla donna è meramente un prodotto dei rapporti di proprietà e che, infatti, “in effetti, secondo natura, la donna, essendo l’amore il fondamento della riproduzione della specie, è il sesso attivo, e le forme monetarie tratte con questo vaglio si rivelano contro-natura(p. 148). E continua con un riassunto di come l’abolizione del rapporto di scambio trasformerà questa relazione: “Nel comunismo non monetario come bisogno l’amore avrà lo stesso peso e senso nei due sessi, e l’atto che lo consacra realizzerà la formula sociale che il bisogno dell’altro uomo è il mio bisogno di uomo, in quanto il bisogno di un sesso si attua come bisogno dell’altro sesso”.

Bordiga poi spiega che questa trasformazione sarà basata sul cambiamento materiale e sociale introdotto dalla rivoluzione comunista: “Questo non è ponibile come solo rapporto morale fondato su un certo modo del rapporto fisico, perché il valico sta nel fatto economico: i figli e il loro onere non riguardano i due genitori che si congiungono, ma la stessa comunità”.  È a partire da questo punto che l’umanità futura potrà rompere le limitazioni imposte dalla famiglia borghese.

Ad un altro livello di vita cosciente

In un precedente articolo di questa serie[21], affermavamo che certi passaggi dei Manoscritti del ’44 avevano senso solo se li prendiamo come anticipazioni di una trasformazione della coscienza, di un nuovo modo di essere, che i rapporti sociali comunisti renderanno possibile. L’articolo considera abbastanza a lungo il passo tratto da ‘Proprietà privata e comunismo’ dove Marx parla del modo in cui la proprietà privata (compresa nel suo senso più generale) è servita a restringere la sensibilità umana, a ostruire – o, per usare un termine più preciso della psicoanalisi, reprimere – l’esperienza sensibile dell’uomo; di conseguenza, il comunismo porterà l’‘emancipazione dei sensi’, un nuovo rapporto mentale e corporeo col mondo che può essere paragonato allo stato di ‘ispirazione’ provato dagli artisti nei loro momenti maggiormente creativi.

Verso la fine del testo di Bordiga ‘Tavole immutabili della teoria comunista di partito’, c’è una sezione intitolata ‘Giù la personalità: ecco la chiave’. Riprenderemo la questione della ‘personalità’ più avanti, ma vogliamo innanzitutto soffermarci sul modo in cui Bordiga, nella sua interpretazione dei Manoscritti del ’44, immagina la trasformazione della coscienza umana nel futuro comunista.

Egli comincia affermando che nel comunismo sarà possibile “la uscita dal millenario inganno dell’individuo solo di faccia al mondo naturale, stupidamente detto dai filosofi esterno. Esterno a che? Esterno all’‘Io’, questo supremo deficiente; ma esterno alla specie umana non è più lecito dire, perché l'Uomo specie è interno alla natura stessa, è parte del mondo fisico”. E prosegue dicendo “in questo testo possente l’oggetto e il soggetto divengono, come l'uomo e la natura, una cosa stessa. Anzi tutto è natura, tutto è oggetto; l’uomo soggetto, l‘uomo ' contro natura’ sparisce, con l’illusione dell’io singolo” (p. 181).

Questo può essere solo un riferimento a un passo del capitolo ‘Proprietà privata e comunismo’ in cui Marx afferma:

solo quando ovunque, nella società, la realtà oggettiva diventa per l’uomo realtà delle forze essenziali dell’uomo, essa diventa umana realtà, e perciò realtà delle sue proprie forze essenziali, tutti gli oggetti diventano per lui l’oggettivazione di lui stesso, oggetti che affermano e realizzano la sua individualità, oggetti suoi, cioè lui stesso diventa oggetto” (Manoscritti, Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 240)

Continua Bordiga:

Abbiamo visto che quando da singolo diventa di specie, lo spirito, povero assoluto, si va a dissolvere nella natura oggettiva. Ai cervelli singoli, misere macchinette passive, abbiamo sostituito il cervello sociale. Di più, Marx ha superato i sensi corporali singoli, nel senso umano, collettivo”. E prosegue citando i Manoscritti del ’44 sull’emancipazione dei sensi, insistendo che anche questo indica l’emergere di un tipo di coscienza collettiva – ciò che potremmo definire il passaggio dal “senso comune” dell’ego isolato al comunismo dei sensi.

Cosa ce ne facciamo di queste concezioni? Prima di abbandonarle come fantascienza, dovremmo ricordare che, soprattutto nella società borghese, mentre prendiamo l’ego come se fosse il centro assoluto del nostro essere (‘Io penso, dunque io sono’), c’è anche una lunga tradizione di pensiero che insiste che l’ego sia solo una realtà relativa, al massimo una particolare frazione del nostro essere. Quest’idea è sicuramente centrale nella teoria psicoanalitica, per la quale l’ego adulto emerge solo attraverso un lungo processo di repressione e divisione tra coscio e inconscio – ed è, inoltre, l’‘unica sede dell’angoscia’[22] perché, preso com’è tra le pretese della realtà esterna e gli impulsi insoddisfatti rimossi nell’inconscio, è costantemente preoccupato del suo stesso superamento o estinzione.

È anche un’idea che è stata portata avanti in molte delle tradizioni mistiche occidentali e orientali, sebbene probabilmente fu sviluppata più coerentemente dalla filosofia indiana, soprattutto dal Buddhismo con la sua dottrina dell’‘anātman’ – l’inesistenza di un io separato e permanente. Ma tutte queste tradizioni tendono a concordare sul fatto che è possibile, attraverso una penetrazione diretta negli stati inconsci, superare la coscienza dell’io quotidiano – e perciò il tormento di un’angoscia permanente. Spogliate di ogni distorsione ideologica che inevitabilmente le accompagna, le lucidissime intuizioni di queste tradizioni accrescono fortemente la possibilità che gli esseri umani siano capaci di attingere ad un altro tipo di coscienza, nel quale la parola noi non è più vista come un’alterità nemica e il centro della consapevolezza passa, non solo intellettualmente ma attraverso un’esperienza corporea diretta, dall’atomo isolato al punto di vista della specie – addirittura al punto di vista di qualcosa in più della specie: della natura, di un universo in evoluzione che diventa conscio di se stesso.

È difficile leggere i precedenti passi di Bordiga e concludere che stia parlando di qualcosa totalmente diverso. Ed è importante notare che Freud, nel capitolo di apertura de Il disagio nella civiltà, ammetteva l’esistenza di un “sentimento oceanico”, l’esperienza di un’unità erotica col mondo, sebbene poteva solo considerarla una regressione a uno stadio infantile precedente l’emergere dell’io. Tuttavia, nello stesso capitolo, accetta anche la possibilità che le tecniche mentali dello yoga possano aprire la porta a “stati primordiali della mente che sono stati a lungo nascosti”. Per noi, la questione da sviluppare teoricamente – e forse per le generazioni future da investigare più praticamente – è se le antiche tecniche di meditazione possano portare solo ad una regressione, ad una caduta all’unità indifferenziata dell’animale o del neonato, o se possono essere momenti di un dialettico ‘diventare coscienti’, un’esplorazione auto-cosciente delle nostre stesse menti. In questo caso, le istanze di un ‘sentimento oceanico’ puntano non solo al passato infantile, ma verso l’orizzonte di una coscienza umana più avanzata e più universale. Questa fu certamente la via adottata da Erich Fromm nel suo studio Psicoanalisi e Buddhismo Zen, ad esempio quando scrive su ciò che chiama lo “stato di non-repressività”, definito come “uno stato in cui una persona acquisisce di nuovo l’immediato, non distorto senso di realtà, la semplicità e la spontaneità del bambino; inoltre, dopo aver attraversato il processo di alienazione, di sviluppo della propria intelligenza, la non-repressività è il ritorno all’innocenza a un livello superiore; questo ritorno all’innocenza è possibile solo dopo che uno ha perduto la propria innocenza”[23].

Contro la distruzione dell'ambiente

Ma gli scritti teorici di Bordiga di questo periodo non posero la questione della relazione tra uomo e natura solo a un livello filosofico. Egli la sollevò anche nelle sue lungimiranti riflessioni sulla questione delle catastrofi capitalistiche e sul problema dell’ambiente. Scrivendo sui disastri a lui contemporanei come l’alluvione nella valle del Po nel 1957 e l’affondamento del transatlantico Andrea Doria nell’anno precedente, Bordiga mette di nuovo in campo la sua conoscenza specialistica come ingegnere e soprattutto il suo profondo rifiuto del ‘progresso’ borghese per mostrare come la tendenza di questo all’accumulazione contiene i germi di tali catastrofi e, in ultima istanza, della distruzione della natura stessa[24]. Bordiga è particolarmente veemente nei suoi articoli circa la frenesia dell’urbanizzazione che poteva già individuare nel periodo di ricostruzione post-bellica, denunciando l’ammassarsi degli uomini in spazi urbani sempre più limitati e la conseguente filosofia del ‘verticalismo’ nella costruzione. Egli argomenta che questa riduzione degli esseri umani al livello di formiche è un prodotto diretto dei bisogni di accumulazione che saranno rovesciati nel futuro comunista, riaffermando la pretesa di Marx ed Engels di superare la divisione tra città e campagna:

Quando sarà possibile, dopo aver schiacciata con la forza tale dittatura ogni giorno più oscena, subordinare ogni soluzione e ogni piano al miglioramento delle condizioni del vivente lavoro, foggiando a tale scopo quello che il lavoro morto, il capitale costante, l’ arredamento che la specie uomo ha dato nei secoli e seguita a dare alla crosta della terra, allora il verticalismo bruto dei mostri di cemento sarà deriso  e soppresso, e per le orizzontali distese immense di spazio, sfollate le città gigantesche, la forza e l’intelligenza dell’animale uomo progressivamente tenderanno a rendere uniforme sulle terre abitabili la densità della vita e la densità  del lavoro, rese ormai forze concordi e non, come nella deforme civiltà odierna, fieramente nemiche, e tenute solo insieme dallo spettro della servitù e della fame” (‘Spazio contro il cemento’ in Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, Ed. Iskra, p.123). È importante anche notare che quando Bordiga, nel 1952, formulò una specie di “programma rivoluzionario immediato”, incluse l’istanza di arrestare ciò che aveva già considerato come la congestione e il ritmo di vita disumani portati dall’urbanizzazione capitalistica (un processo che da allora ha raggiunto livelli molto più elevati di irrazionalità). Così il settimo dei nove punti richiede “l’arresto della costruzione di case e luoghi di lavoro nelle grandi città e anche nelle più piccole, come punto di partenza per la distribuzione uniforme della popolazione nella campagna. La riduzione della velocità e del volume del traffico e il suo divieto quando è inutile” (in un prossimo articolo intendiamo tornare di nuovo agli altri punti di questo “programma”, perché contengono diverse formulazioni che, dal nostro punto di vista, possono essere fortemente criticate).

È interessante notare che, quando si passa alla dimostrazione del perché tutto questo cosiddetto progresso delle città capitalistiche non è niente del genere, Bordiga fa ricorso a quel concetto di decadenza che tende ad escludere in altre polemiche – per esempio nel titolo ‘Le strane e meravigliose storie della decadenza della società moderna’[25]. D'altra parte, tale termine è del tutto in linea con la visione generale della storia che abbiamo considerato sopra, dove le società possono “degenerare fino alla putrefazione” e attraversano fasi di crescita e declino. È come se Bordiga, una volta uscito fuori dal mondo ‘ristretto’ delle polemiche politiche e obbligato a ritornare ai fondamenti della teoria marxista, non potesse che riconoscere che il capitalismo, come tutti i precedenti modi di produzione, deve entrare anch’esso in un epoca di declino – e che quest’epoca è da tempo su di noi, a dispetto dei prodigi della ‘crescita nel declino’ del capitalismo che stanno soffocando l’umanità e minacciando il suo futuro.

Il problema dell’‘invarianza’

Dobbiamo ora tornare all’idea di Bordiga che i Manoscritti del ’44 provano la sua teoria dell’“invarianza del marxismo”. In diverse occasioni abbiamo affermato che questa è una concezione religiosa. In una sferzante polemica col gruppo bordighista che pubblica Programma Comunista, Mark Chirik notò la stretta somiglianza tra il concetto bordighista di invarianza e l’atteggiamento musulmano di sottomissione a una dottrina immutabile[26].

Il destinatario di quest’articolo erano, è vero, soprattutto gli epigoni di Bordiga, ma cosa disse lo stesso Bordiga sulla relazione tra il marxismo e le fonti delle dottrina invarianti del passato? In un testo seminariale intitolato precisamente ‘L’invarianza storica del marxismo’[27], egli scrive:

Per quanto dunque la dotazione ideologica della classe operaia rivoluzionaria non sia più rivelazione, mito, idealismo, come per le classi precedenti, ma positiva "scienza", essa tuttavia ha bisogno di una formulazione stabile dei suoi principii e anche delle sue regole di azione, che assolva il compito e abbia la decisiva efficacia che nel passato hanno avuto dogmi, catechismi, tavole, costituzioni, libri-guida come i Veda, il Talmud, la Bibbia, il Corano, o le Dichiarazioni dei diritti. I profondi errori sostanziali e formali contenuti in quelle raccolte non hanno tolto, anzi in molti casi hanno contribuito proprio per tali "scarti", alla enorme loro forza organizzativa e sociale, prima rivoluzionaria, poi controrivoluzionaria, in dialettica successione.

Nei suoi Commentarii, Bordiga era già conscio dell’accusa che tali idee lo riconducevano ad una visione religiosa del mondo:

Quando, a un certo punto, il nostro banale contraddittore (…) ci dirà che noi costruiremo così una nostra mistica ,atteggiandosi lui, poverello, a mente che ha superato tutti i fideismi  e le mistiche e ci deriderà coi termini di prostrati a tavole Mosaiche o talmudiche, di biblici o coranici, di evangelici e catechisti, gli risponderemo (…) che non abbiamo motivo di trattare come un’offesa l’affermazione che ancora al nostro movimento,  fin quando non ha trionfato nella realtà (che nel nostro metodo precede ogni ulteriore conquista della coscienza umana) , può essere adeguata una mistica o, se si vuole, un mito.

Il mito, nelle sue innumerevoli forme, non fu un vaneggiare di menti che avevano occhi fisici chiusi alla realtà (…) ma è una tappa insostituibile della sola via di conquista reale della consapevolezza” (p. 160).

Bordiga ha ragione a considerare che il pensiero mitico fu davvero un “passaggio insostituibile” nell’evoluzione della coscienza umana, e che la Bibbia, il Corano o la Dichiarazione dei diritti dell’uomo furono, a un certo punto della storia, prodotti veramente rivoluzionari. Ha ragione anche a riconoscere che l’adesione a queste “tavole della legge” divenne, a un certo punto della storia, contro-rivoluzionaria. Ma il meccanismo attraverso il quale esse divennero contro-rivoluzionarie in circostanze storiche nuove, fu precisamente l’idea che fossero insostituibili e invariabili. L’Islam, ad esempio, considera la sua rivelazione più pura della Torah ebraica perché si afferma che mentre la seconda fu soggetta a revisioni ed edizioni successive, nemmeno una parola del Corano è stata alterata dal momento in cui l’arcangelo Gabriele lo dettò a Maometto. La differenza tra l’idea marxista del programma comunista e il mito o il dogma religioso è che il marxismo considera i suoi concetti non come una rivelazione ultima di origine sovraumana, bensì come il prodotto storico degli esseri umani e quindi li conferma o li rifiuta attraverso il successivo sviluppo storico o l’esperienza. Infatti, insiste che le rivelazioni mitiche o religiose sono esse stesse i prodotti della storia umana, e perciò limitate nei loro scopi e nella loro chiarezza persino nei loro massimi gradi di realizzazione. Accettando l’idea che il marxismo stesso è una sorta di mito, Bordiga perde di vista quel metodo storico che altrove è capace di usare così bene.

Ovviamente è vero che il programma comunista non è malleabile all’infinito e ha un nocciolo invariabile di principi generali, come la lotta di classe, la natura passeggera della società divisa in classi, la necessità della dittatura del proletariato e del comunismo. Inoltre, c’è un senso in cui queste linee guida generali possono sembrare un improvviso lampo di ispirazione. Da qui Bordiga può scrivere:

Una nuova dottrina non può apparire in qualunque momento storico, ma vi sono date e ben caratteristiche - e anche rarissime - epoche della storia in cui essa può apparire come un fascio di abbagliante luce, e se non si è ravvisato il momento cruciale ed affisata la terribile luce, vano è ricorrere ai moccoletti, con cui si apre la via il pedante accademico o il lottatore di scarsa fede.” (‘L’invarianza storica del marxismo’)

È molto probabile che Bordiga abbia in mente la fase incredibilmente ricca di lavoro di Marx che diede la luce ai Manoscritti del ’44 e ad altri testi fondamentali. Ma Marx per primo non considerava questi testi come le ultime parole sul capitalismo, la lotta di classe o il comunismo. Anche se, dal nostro punto di vista, non abbandonò mai i contenuti essenziali di questi scritti, lui li considerava come un ‘primo abbozzo’ che doveva essere sviluppato e a cui bisognava dare fondamenta più solide con un’ulteriore ricerca, essa stessa strettamente connessa alle sperimentazioni pratico-teoriche compiute dal movimento reale del proletariato.

Nei Commentari, Bordiga riporta anche un preciso passo nei Manoscritti del ’44 come prova dell’invarianza, in cui Marx scrive che “L’intero movimento della storia, è, quindi, l’atto REALE di generazione del comunismo – l’atto di nascita di esso nella sua esistenza empirica – ma è anche, per la sua coscienza pensante, il movimento del DIVENIRE della storia stessa, COMPRESO E RESO COSCIENTE” (pag.153)

E Bordiga aggiunge che il soggetto di questa coscienza non può essere il singolo filosofo: può solo essere il partito di classe del proletariato mondiale. Ma se, come dice Marx, il comunismo è il prodotto dell’intero movimento della storia, allora esso deve essere iniziato ad emergere molto prima della comparsa della classe operaia e delle sue organizzazioni politiche, così che la fonte di questa coscienza deve essere più vecchia di entrambe – proprio come, entro la società capitalistica, è anche più estesa delle organizzazioni politiche di classe, anche se generalmente queste ne sono l’espressione più avanzata. Inoltre, dal momento che il comunismo può diventare chiaro a se stesso, “concepito e saputo”, unicamente quando diventa comunismo proletario, questa è sicuramente un’ulteriore prova che il comunismo e la coscienza comunista è qualcosa che evolve, che non è statica, ma è un processo in divenire – e quindi non può essere invariante.

Individuo e specie

Nel marxismo, la critica all’individualismo ha una lunga storia che risale alla critica di Marx a Hegel e, in particolare, al suo attacco a Max Stirner. Nell’argomentare contro il punto di vista filosofico del pensatore isolato, Bordiga si pone su un terreno solido, citando il tagliente commento dell’Ideologia tedesca su San Max: “la filosofia sta allo studio del mondo attuale come la masturbazione all’amore sessuale”. Come abbiamo visto, anche l’idea che l’ego sia in qualche modo un costrutto illusorio ha un lungo pedigree. Ma Bordiga va oltre. Come abbiamo già notato, la sezione delle ‘Tavole immutabili...’ citata in precedenza, in cui Bordiga prevede che l’umanità comunista sarà capace di accedere a un tipo di coscienza di specie o cosmica, è intitolata ‘Giù la personalità: ecco la chiave!’. È come se Bordiga volesse che l’individuo sia sussunto alla specie piuttosto che realizzato attraverso la specie.

L’esperienza di uno stato di coscienza che supera l’ego tende a essere un’esperienza limite piuttosto che uno stato permanente, ma, ad ogni modo, non abolisce necessariamente la personalità. Forse la personalità come una maschera; la personalità come un tipo di proprietà privata; la personalità come aspetto esteriore dell’illusione di un ego assoluto – si potrebbe argomentare che sono queste le forme di personalità che in futuro saranno superate. Ma la natura stessa ha bisogno della diversità per svilupparsi, e questo non è meno vero per la società umana. Persino i buddisti non affermano che l’illuminazione fa svanire l’individuo. C’è una storia Zen che racconta come uno studente approccia il suo insegnante dopo aver sentito che quest’ultimo aveva raggiunto il satori, il lampo fulmineo dell’illuminazione. Lo studente chiede al maestro “come ci si sente ad essere illuminati?”. Al che il maestro risponde: “Misero come sempre”.

Nella stessa sezione di ‘Tavole….’ Bordiga cita la “splendida espressione” dei Manoscritti del ’44 che l’umanità è un essere che soffre, e che se non soffre, non può conoscere la gioia. Quest’essere umano fatto di carne, mortale e individuale esiste ancora nel comunismo, che per Marx è “l’unica società in cui lo sviluppo libero e originale degli individui cessa di essere una mera frase” (Ideologia tedesca, ‘Il libero sviluppo degli individui’).

Sappiamo che Bordiga avanzò una tagliente critica al feticcio borghese della democrazia, basata com’è sulla falsa idea del cittadino isolato e sul fondamento reale di una società atomizzata dallo scambio di merci. L’intuizione che sviluppava in Il principio democratico e altrove ci permette di esporre l’essenziale vacuità delle strutture più democratiche dell’ordine capitalistico. Ma arriva un punto nel pensiero di Bordiga in cui egli perde di vista ciò che era autenticamente ‘progressivo’ nella vittoria dello scambio di merci su tutte le precedenti forme di comunità: la possibilità di un pensiero critico individuale senza cui la “scienza positiva” – che Bordiga stesso reclama come il punto di vista del proletariato – non sarebbe emersa. Applicata alla concezione di Bordiga del partito, questa linea di pensiero porta al concetto di un’organizzazione “monolitica”, “anonima” e persino “totalitaria” – tutti termini che sono stati usati con approvazione nel canone bordighista. Esso porta a teorizzare la negazione del pensiero individuale e quindi delle differenze e dei dibattiti interni. E come in tutti i regimi totalitari, c’è sempre almeno un individuo che diventa tutt’altro che anonimo – che diventa oggetto di culto della personalità. E questo è proprio ciò che veniva giustificato dentro il Partito Comunista Internazionale nel dopo-guerra da coloro che vedevano in Bordiga il “leader brillante”, il genio che poteva (anche quando non era ancora un membro del partito!) trovare risposte a tutti i problemi teorici che si presentavano all’organizzazione. Questo fu l’aberrante modo di pensare attaccato nell’articolo del GCF ‘Contro la concezione del capo geniale’[28].

Il contributo di Bordiga

A volte abbiamo criticato l’idea di Bordiga che un rivoluzionario è qualcuno per il quale la rivoluzione è già avvenuta. Finché questo implica l’ineluttabilità del comunismo, quelle critiche sono valide. Ma c’è anche una verità nel detto di Bordiga. I comunisti sono coloro che rappresentano il futuro nel presente, come afferma Il Manifesto del Partito Comunista, e in questo senso essi misurano il presente – e il passato – alla luce della possibilità del comunismo. La ‘passione per il comunismo’ di Bordiga – il suo insistere a dimostrare la superiorità del comunismo su qualunque cosa la società di classe e il capitalismo avessero prodotto – gli permetteva di resistere alle false visioni di progressi capitalisti e ‘socialisti’ che venivano diffuse all’interno della classe operaia negli anni ’50 e ’60 e, forse la cosa più importante, per dimostrare in pratica che, nei fatti, il marxismo non è un dogma invariante ma una teoria vivente, dal momento che non c’è dubbio che i contributi di Bordiga sul comunismo arricchiscono la nostra comprensione di esso.

All’inizio di quest’articolo abbiamo fatto riferimento al necrologio di Damen del 1970, che provò a fare una valutazione dell’intero contributo politico di Bordiga. Damen comincia con l’elencare tutto ciò che “dobbiamo a Bordiga”, innanzitutto l’immenso contributo che fornì nel suo periodo ‘classico’ sulla teoria dell’astensionismo e della relazione tra partito e classe. Ma egli, come abbiamo visto, abbastanza a ragione non risparmia Bordiga dalla critica del suo ritiro dall’attività politica dalla fine degli anni ’20 all’inizio degli anni ’40, il suo rifiuto a commentare tutti i drammi politici ed economici che affollano questo periodo. Esaminando il suo ritorno alla vita politica alla fine della guerra, Damen è anche caustico sulle ambiguità di Bordiga sulla natura capitalistica dell’URSS. Sarebbe potuto andare oltre e avrebbe potuto mostrare come il rifiuto di Bordiga di riconoscere le acquisizioni della Frazione portò a una chiara regressione politica su problematiche chiave come la questione nazionale, i sindacati e il ruolo del partito nella dittatura del proletariato. Ma ciò che manca nel testo di Damen è una valutazione del reale contributo alla nostra comprensione del comunismo che Bordiga garantì nei suoi ultimi anni – un contributo che la sinistra comunista ha ancora bisogno di assimilare, non in ultimo perché è stato assunto in seguito da altri dal dubbio programma, come la corrente ‘comunizzazione’ (di cui Camatte fu uno dei padri fondatori), che l’hanno usato per produrre risultati che Bordiga stesso avrebbe certamente disconosciuto come propri. Ma questo richiederà un altro articolo, e prima di farlo vogliamo considerare le altre ‘teorie della rivoluzione proletaria’ che furono sviluppate negli anni ’50, ’60, ’70.

C.D. Ward

 


[1] In the aftermath of World War Two: debates on how the workers will hold power after the revolution: https://en.internationalism.org/content/9523/aftermath-world-war-two-debates-how-workers-will-hold-power-after-revolution

[2] The post-war boom did not reverse the decline of capitalism https://en.internationalism.org/internationalreview/201111/4596/post-war-boom-did-not-reverse-decline-capitalism.

[3] https://libcom.org/article/workers-councils-anton-pannekoek. In Italiano edito da Feltrinelli: A. Pannekoek, Organizzazione rivoluzionaria e consigli operai, 1970. Si veda anche l’articolo alla nota 1.

[4] Ad Ustica, Bordiga incontrò Gramsci, il quale aveva avuto un ruolo centrale nell’imporre la linea dell’Internazionale Comunista all’interno del partito italiano e allontanare Bordiga dalla leadership. Ormai Gramsci era già ammalato e, nonostante le loro considerevoli differenze, Bordiga non esitò a prendersi cura di lui e a lavorarci insieme per la formazione di un circolo di formazione marxista.

[5] Questo testo è disponibile sul sito della Tendenza Comunista Internazionalista. https://www.leftcom.org/it/articles/1988-01-01/comitato-d-intesa-primo-campanello-d-allarme.

[6] I problemi pratici che Bordiga affrontò durante questo periodo furono certamente considerevoli, ad esempio veniva seguito da due agenti di polizia ovunque andasse. Tuttavia, c’era un elemento volontario nell’isolamento di Bordiga dai suoi compagni, e Damen, in una sorta di necrologio scritto poco dopo la morte di Bordiga nel 1970, fu nettamente critico rispetto al comportamento politico di Bordiga: “In questo particolare clima va considerata la sua condotta politica, il rifiuto costante ad assumere politicamente un atteggiamento che potesse qualificarlo responsabilmente. Si sono così susseguiti avvenimenti politici, a volte di importanza storica, che sono passati accanto a questa sdegnosa estraneità, senza eco alcuna: il conflitto Trotsky-Stalin; lo stalinismo; la nostra Frazione che all’estero, in Francia e Belgio, continuava storicamente la ideologia e la politica del partito di Livorno; la Seconda Guerra Mondiale e, infine, lo schieramento della Russia sul fronte della guerra dell'imperialismo. Né una parola, né un rigo proprio nello stesso spazio storico, su un piano più allargato e complesso di quello della prima guerra mondiale”. O. Damen, Bordiga, Editoriale periodici italiani 1977. Uno studio degli ‘anni oscuri’ di Bordiga è stato pubblicato in italiano: Arturo Peregalli e Sandro Saggioro, Amadeo Bordiga. – La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945). Edizioni Colibrì, Milano, Novembre 1998.

[7] Si veda il seguente articolo: The Second Congress of the Internationalist Communist Party, The Italian Fraction and the French Communist Left https://en.internationalism.org/internationalreview/201211/5366/italian-fraction-and-french-communist-left.

[8] Si veda in particolare Communism Vol. 3, Part 4 - The 1930s: debate on the period of transition (https://en.internationalism.org/ir/127/vercesi-period-of-transition).

[9] Si veda p. 202. Queste intuizioni dei potenziali pericoli provenienti dallo Stato ‘proletario’ sembrano essere state dimenticate, a giudicare dalla sorpresa espressa dal delegato del Partito Comunista Internazionale/Battaglia Comunista al Secondo Congresso della Corrente Comunista Internazionale, dopo aver letto una proposta di risoluzione sullo Stato nel periodo di transizione che era basata sulle intuizioni della Frazione e della GCF. La risoluzione fu approvata definitivamente al Terzo Congresso: Resolution on the State in the Transition Period https://en.internationalism.org/node/2733. Si veda anche: The period of transition: Polemic with the P.C.Int.-Battaglia Comunista https://en.internationalism.org/node/3168.

[10] Nella sua prefazione a Russie et Révolution dans la Théorie Marxiste, Spartacus 1975, Jacques Camatte mostra che il Bordiga degli anni rivoluzionari successivi alla Prima Guerra Mondiale non difendeva il concetto di ‘invarianza’, riferendosi in particolare al primo articolo della collezione, ‘Le lezioni della storia recente’, che argomenta che il movimento reale del proletariato può arricchire la teoria, e che critica apertamente certe idee di Marx sulla democrazia e alcune prescrizioni tattiche del Manifesto del Partito Comunista “il sistema di un comunismo critico può naturalmente essere compreso in relazione all’integrazione dell’esperienza storica successiva al manifesto di Marx, e, se necessario, in una direzione opposta a certi comportamenti tattici di Marx ed Engels che si sono dimostrati sbagliati”.

[11] The post-war boom did not reverse the decline of capitalism https://en.internationalism.org/internationalreview/201111/4596/post-war-boom-did-not-reverse-decline-capitalism.

[12] In the aftermath of World War Two: debates on how the workers will hold power after the revolution https://en.internationalism.org/content/9523/aftermath-world-war-two-debates-how-workers-will-hold-power-after-revolution.

[13] https://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/considerazioni.htm.

[14] Si vedano in particolare: The alienation of labour is the premise for its emancipation https://en.internationalism.org/internationalreview/199207/1797/alienation-labour-premise-its-emancipation, The study of Capital and the foundations of Communism https://en.internationalism.org/internationalreview/199311/1570/study-capital-and-foundations-communism.

[15] A Janitzio la morte non fa paura.

[16] Si veda anche il precedente articolo di questa serie: The Mature Marx - Past and Future Communism (https://en.internationalism.org/internationalreview/199506/1685/mature-marx-past-and-future-communism).

[17] Una esposizione piuttosto chiara della concezione di Bordiga del socialismo può essere trovata in un articolo di Adam Buik (https://libcom.org/article/bordigism) del Partito Socialista della Gran Bretagna, che, con tutti i suoi difetti, ha sempre compreso chiaramente che il socialismo comporta l’abolizione del lavoro salariato e del denaro.

[18] Trotsky and the culture of communism (https://en.internationalism.org/internationalreview/200210/9651/trotsky-and-culture-communism )

[19] Communism: the real beginning of human society (https://en.internationalism.org/internationalreview/199210/3571/communism-real-beginning-human-society). Quest’articolo, come altri della serie, si riferisce anche agli scritti di Bordiga sul comunismo.

[20] Woman's role in the emergence of human culture (https://en.internationalism.org/internationalreview/201212/5422/womans-role-emergence-human-culture), and Women's role in the emergence of human solidarity (https://en.internationalism.org/content/6964/womens-role-emergence-human-solidarity).

[21] Communism: the real beginning of human society (https://en.internationalism.org/internationalreview/199210/3571/communism-real-beginning-human-society)

[22] Freud, New Introductory Lectures, London 1973, p. 117.

[23] Erich Fromm, Psychoanalysis and Zen Buddhism, 1960, p. 91, 1986 Allen and Unwin edition. Fromm, allievo della Scuola di Francoforte che ha anche lavorato molto sugli scritti giovanili di Marx, considera che, portata alla sua logica conclusione, il vero fine della psicoanalisi (che potrebbe essere ottenuto su larga scala solo in una “società sana”) non è semplicemente rilevare sintomi nevrotici o sottomettere le pulsioni al controllo dell’intelletto, ma rendere l’inconscio conscio e quindi raggiungere una vita non repressa. Così definisce il metodo della psicoanalisi in relazione a questo obiettivo: “esso esamina lo sviluppo fisico di una persona dall’infanzia in poi e prova a disvelare le esperienze più passate al fine di assistere la persona nel fare esperienza di ciò che ora è represso. Esso procede dal disvelare le illusioni sul mondo, passo dopo passo, così che diminuiscano le distorsioni paratattiche e le intellettualizzazioni alienate. Col diventare meno estranea a se stessa, la persona che attraversa questo processo diventa meno estraniata dal mondo; poiché si è aperta alla comunicazione con l’universo interiore, la persona si è aperta alla comunicazione col mondo esteriore. Scompare la falsa coscienza, e con essa la polarità conscio-inconscio” (ivi, p. 107 – nostra traduzione dall’inglese). Altrove (p. 105) compara questo metodo con quello Zen, che usa sì concetti differenti, ma anch’esso procede attraverso una serie di più piccole realizzazioni o ‘satori’ verso livelli qualitativamente superiori di essere nel mondo.

[24] Si veda la raccolta Amadeo Bordiga Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, Iskra 1978. Si veda anche il nostro articolo Flooding: the shape of things to come (https://en.internationalism.org/worldrevolution/201403/9567/flooding-shape-things-come), che esamina l’idea di Bordiga sul ruolo distruttivo nell’accumulazione capitalistica.

[25] https://www.marxists.org/archive/bordiga/works/1956/weird.htm.

[26] International Review n. 14, A caricature of the Party: the Bordigist Party (https://en.internationalism.org/node/2647 ).

[27] https://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/invarianza_falsarisorsa.htm.

[28] Against the concept of the "brilliant leader" https://en.internationalism.org/ir/033/concept-of-brilliant-leader.

Correnti politiche e riferimenti: 

Questioni teoriche: