La questione dei rapporti tra natura e cultura (a proposito del libro di Patrik Tort, Sesso razza & cultura)

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Le discussioni intorno al progetto di legge sul "matrimonio per tutti" nel 2013 in Francia hanno suscitato svariate posizioni, emozioni, magniloquenza e stupidità, e a maggior ragione quando "studi sul genere" sono stati branditi, da un campo o dall'altro, come argomento determinante. Poi, le appassionate e mutevoli controversie hanno preso una piega drammatica quando migliaia di profughi, cacciati dalle loro case dalla miseria e dalla guerra, sono venuti a bussare alle porte dei paesi sviluppati, e quando si sono udite le raffiche di kalashnikov destinate ad annientare, a Parigi, dei giovani per il loro stile di vita, ad Orlando altri giovani per il loro orientamento sessuale. La sinistra, la destra, l'estrema-destra e l'estrema-sinistra, tutte le famiglie dell'apparato politico della borghesia si sono fatte in quattro sulla scena del teatro mediatico - tra loro e all’interno di ciascuna - proclamando "io sono Charlie" o ancora "io non sono Charlie", raddoppiandosi in demagogia per non rimanere indietro di fronte alla concorrenza.

Abbandoniamo il teatrino della politica ufficiale e ritorniamo alle domande di fondo poste dal razzismo e dalla xenofobia, dal sessismo e dall’omofobia, da tutte queste condotte sociali che derivano dall'alienazione umana e che possono portare fino all'omicidio. Come spiegare un tale scatenamento di violenza sociale, come comprendere i pregiudizi che ne formano la base e che sembrano provenire da un'età oscura e passata? Come premunirsi, di fronte a questo tipo di problemi, contro il pensiero ideologico che il sistema borghese diffonde abbondantemente per mascherare la realtà ed accentuare le divisioni che indeboliscono il suo nemico storico, la classe dei proletari?

Intendiamoci, se la causa profonda di questi fenomeni risiede in una società divisa in classi antagoniste, fondata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dove la merce si è imposta come un tiranno su tutti i piani dell'esistenza, ivi compreso i più intimi, una società infine dove lo Stato, questo mostro freddo, domina e sorveglia ogni individuo, non stupisce che la violenza sociale sia estremamente elevata. In questo tipo di società, l'Altro, l'individuo che è di fronte a noi, è visto di colpo con sospetto, come un pericolo potenziale, al meglio come un concorrente, al peggio come un nemico. Viene stigmatizzato per mille ragioni, perché non ha lo stesso colore di pelle, lo stesso sesso, la stessa cultura, la stessa religione, la stessa nazionalità, lo stesso orientamento sessuale. Le molteplici sfaccettature della concorrenza, che sta alla base della società capitalista, provocano regolarmente la povertà, le guerre, i genocidi, ma anche, ad un'altra scala, lo stress, l'aggressività, l'assillo e la sofferenza psicologica, la mentalità pogromista, la superstizione, il nichilismo, lo scioglimento dei più elementari legami sociali[1].

Ma questa spiegazione non basta perché resta su un piano generale; bisogna, infatti, identificare la dinamica che genera questi pregiudizi e quegli atti che essi pretendono di giustificare, spiegare la sua sopravvivenza e le sue cause immediate e lontane.

È una delle più importanti questioni per la classe operaia. Innanzitutto perché, nelle sue lotte, è confrontata senza tregua alla necessità di riunire le sue forze, di battersi per conquistare la sua unità. La lotta per rigettare o neutralizzare i pregiudizi che dividono le sue forze, come il razzismo, il sessismo o lo sciovinismo per esempio, è indispensabile e non è per niente già vinta. Poi perché la prospettiva rivoluzionaria portata dal proletariato si dà come scopo la costruzione di una società senza classi, senza frontiere nazionali, la creazione infine di una comunità umana unificata a scala mondiale. Ciò vuol dire che la rivoluzione proletaria intende chiudere e concludere tutto un periodo della storia umana dove, dai primi raggruppamenti, mescolanze ed alleanze in seno alle società primitive fino alle lotte del XIX secolo per l'unità nazionale, ogni tappa nello sviluppo della produttività del lavoro ha condotto ad una rivoluzione dei rapporti di produzione ed ad un allargamento a scala superiore della società.

La difesa dell’opera di Darwin

Se il proletariato, in quanto classe storica dotata del progetto comunista, in quanto rappresentante per eccellenza del principio attivo della solidarietà, è spinto dalla pratica a superare queste divisioni, il razzismo, il sessismo o la xenofobia restano per lui un problema reale che riguarda il fattore soggettivo della rivoluzione. Le condizioni oggettive non bastano; affinché la rivoluzione sia vittoriosa occorre ancora che la classe sia soggettivamente in grado di condurre fino alla fine il suo compito storico, che sia in grado di acquisire nel corso stesso del suo movimento la capacità di unificarsi ed organizzarsi, una volontà, una combattività ed una coscienza sufficientemente evoluta, una profondità teorica, una morale sufficientemente ancorata, e, dal lato della minoranza comunista, una reale capacità di dare degli orientamenti politici chiari e convincenti, ed a costituirsi in partito mondiale appena le condizioni della lotta di classe lo permettono.

Il libro di Patrick Tort, Sesso, razza e cultura, può aiutarci a comprendere meglio queste questioni e costituire un reale stimolo per la riflessione degli operai più coscienti. Si conosce il rigore scientifico di questo autore[2], che non rende sempre agevole la lettura dei suoi libri, ma qui viene rivendicata con chiarezza la volontà di rendere questo tipo di problematica accessibile a tutti. Concepito sotto forma di un colloquio, il libro è composto di due parti: la prima affronta la questione del razzismo e prende posizione sulla decisione, presa recentemente in Francia da parecchie istituzioni statali o scientifiche, di abbandonare l'utilizzazione della parola "razza"; il secondo affronta la questione del sessismo e tenta di definire i rapporti tra il sesso ed i "generi". Tutte queste domande si intersecano con la biologia e le scienze sociali, e non possono trovare un inizio di chiarimento senza una critica delle concezioni dominanti sulla "natura umana", senza una critica della vecchia e affermata opposizione tra "natura" e "cultura".

Qui l'apporto di Darwin è considerevole. Nel suo campo, che è la scienza dei viventi, Darwin propone tutta una serie di strumenti teorici ed un percorso scientifico che permettono la costruzione di una visione materialista del passaggio della natura alla cultura, dal regno animale al mondo sociale dell'uomo. Patrick Tort è a livello internazionale uno dei migliori conoscitori di Darwin del quale pubblica le opere complete in francese per le edizioni Slat­kine (Ginevra) e Champion (Parigi). La pubblicazione del monumentale Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution (Dizionario del darwinismo e dell'evoluzione) da lui diretta, ha permesso di mettere a disposizione di tutti uno strumento inestimabile. In particolarmente, attraverso la nozione di effetto reversivo dell'evoluzione, ha molto contribuito a rendere comprensibile ciò che nell’opera antropologica di Darwin era stato occultato a causa del suo contenuto sovversivo[3]. Questa lotta resta ancora attuale perché si trovano ancora resistenze davanti ai fondamentali progressi permessi da Darwin. Ci sono coloro che, per evitare le questioni di fondo, simulano la sorpresa: "Che ci trovate in questo Darwin dunque? Si tratta di un nuovo culto reso ad uno scienziato alla moda?"[4]. Ci sono quelli che Patrick Tort chiama i "giubilatori precoci" (quelli che si rallegrano troppo presto, ndt) i quali, dimenticando che Darwin non era socialista, che era un uomo della sua epoca e che dunque condivideva una parte dei pregiudizi del tempo, agitano una citazione, accuratamente isolata, come un trofeo supposto squalificare l'insieme e la logica dell’opera[5].

Beninteso, noi non siamo necessariamente d’accordo con tutte le posizioni politiche che possono scaturire dal testo di Patrick Tort. Per noi è essenziale basarsi sugli apporti delle differenti discipline scientifiche per dare più corposità, più chiarezza alle nozioni che, per la maggior parte, il marxismo ha integrato da tempo al suo patrimonio teorico. Le grandi qualità di questo autore, oltre ad un metodo materialista rigoroso, sono la sua capacità di incrociare le differenti discipline, la sua critica alle idee ricevute ed al buonsenso comune, tanto ben prodotte, secondo le sue parole, sia dalla "destra liberale" che dalla "ideologia progressista dominante", cosa che lo porta a tenersi lontano dal ciarpame dei mass media, questi "grandi apparati di influenza".

Verso il capovolgimento della civiltà borghese

L'apporto fondamentale dell'antropologia di Darwin consiste in una descrizione coerente e materialista dell'apparizione della specie umana attraverso il meccanismo della selezione naturale che permette agli individui che presentano una variazione vantaggiosa di avere una discendenza più adattata e più numerosa. In fondo, il processo è lo stesso per tutte le specie. Nella lotta per l'esistenza i meno adatti sono eliminati, il che porta, quando si realizzano certe condizioni, alla trasformazione delle specie attraverso selezione prolungata delle variazioni vantaggiose, ed all'apparizione di nuove specie. Ciò che viene trasmesso alla discendenza, nel caso degli animali superiori[6], sono non solo le variazioni biologiche vantaggiose, ma anche gli istinti sociali, il sentimento di simpatia e l'altruismo che come tali servono da amplificatori allo sviluppo delle capacità razionali e dei sentimenti morali. Ciò che accade nell’uomo, è precisamente che lo sviluppo della simpatia e dell'altruismo va a contraddire l'eliminazione del più debole contrapponendovisi. La protezione dei deboli, l'assistenza verso i diseredati, la simpatia al riguardo dello straniero, che ci appare come simile malgrado le differenze nella cultura e nell'apparenza esterna, così come tutte le istituzioni sociali incaricate di incoraggiarle, tutte queste cose sono chiamate da Darwin civilizzazione.

Tort ne ricorda brevemente il contenuto:

"Per via degli istinti sociali, e delle loro conseguenze sullo sviluppo delle capacità razionali e morali, la selezione naturale [a sua volta] seleziona la civiltà che si oppone alla selezione naturale. È la formula semplificata e corrente di ciò che ho denominato effetto reversivo" (p.21).

È una concezione perfettamente materialista e dialettica. Nel caso dell'apparizione dell'Uomo si è operato un capovolgimento che adatta sempre più il suo ambiente ai suoi bisogni invece di adattarsi lui all’ambiente, in tal modo si libera dell'influenza eliminatoria della selezione naturale: all'inizio del processo è l'eliminazione dei deboli che predomina; poi, durante un'inversione progressiva, è la protezione dei deboli che finisce per imporsi, segno eminente, distinguibile, della solidarietà del gruppo. L'errore originario della sociobiologia consiste nel concepire la società umana come una collezione di organismi in lotta; postula dunque una semplice continuità tra il biologico (ridotto ad un'ipotetica concorrenza dei geni) ed il sociale. Anche in Darwin c’è una continuità, ma è una continuità reversiva. Difatti, il capovolgimento che abbiamo appena descritto produce non una rottura tra il biologico ed il sociale ma effetti di rottura. Questa nozione permette di comprendere secondo Tort l'autonomia teorica delle scienze dall'uomo e dalla società, pur mantenendo la continuità materiale tra natura e cultura. È un rigetto di ogni dualismo, di ogni opposizione fissa tra l'innato e l'esperienza, tra natura e cultura.

Le scoperte di Darwin alle quali si aggiungerà l'effetto reversivo come chiave indispensabile della comprensione della stessa opera, rappresentano un vero sconvolgimento delle nostre concezioni scientifiche sull'apparizione della società umana. Rimettendo in causa le vecchie certezze, la fissità delle specie, e l'apparente stabilità del mondo vivente, ed adottando la prospettiva della sua reale genealogia, Darwin apriva nuovi orizzonti. È lo stesso tipo di sconvolgimento che provò Anassimandro nell'antichità greca quando rimise in causa la concezione dominante secondo la quale il nostro pianeta doveva poggiare necessariamente su qualche cosa. In realtà, affermava, la Terra fluttua nel cielo ed in questo senso non ci sono né alti né bassi e cambiando semplicemente il punto di vista sulla realtà sensibile, Anassimandro apriva la via alla scoperta della Terra come una sfera - dove le persone che vivono agli antipodi non camminano a testa in basso - ed a tutte gli avanzamenti e scientifici che ne derivano[7].

Le conseguenze delle scoperte di Darwin sono ricordate da Patrick Tort:

• La selezione naturale non è più, a questo stadio dell'evoluzione, la forza principale che governa il divenire dei gruppi umani;

"In altre parole se l'evoluzione ha preceduto la storia, oggi la storia governa l'evoluzione" (p.199).

"occorre del biologico per fare del sociale, ma da una parte il sociale non potrebbe ridursi al biologico, e d’altra parte è il sociale che, dal punto di vista dell'Uomo attore e giudice della sua evoluzione, produce la verità del biologico nelle capacità che attraverso lui il biologico si rivela atto a svelare" (p.17).

• Poiché esiste una continuità (reversiva) tra natura e cultura, e poiché "l'uomo storico non ha comunque cessato di essere un organismo, l’evoluzione ingloba o include la storia" (p.18).

Non riproduciamo tutta la famosa citazione del capitolo IV de La Filiazione dell'uomo, ma solamente due frasi che sono fondamentali per comprendere l'importanza delle conclusioni di Darwin a proposito dell'uomo giunto allo stadio presente della "civiltà": "Una volta raggiunto questo punto, c'è solo una barriera artificiale ad impedire che le sue simpatie si estendano agli uomini di tutte le nazioni e di tutte le razze. È vero che se questi uomini sono separati tra loro per le grandi differenze di apparenza esterna o di abitudini, l'esperienza ci mostra purtroppo quanto tempo ci vuole prima che li guardiamo come nostri simili" (testo citato da Tort p.23).

Leggendo L'Autobiografia[8] che Darwin riservava unicamente alle persone a lui più vicine, si potrà constatare che aveva piena consapevolezza della natura rivoluzionaria delle sue scoperte, in particolare per il fatto che rimettevano in causa la credenza in Dio, essendo lui stesso diventato ateo. Ma era estremamente prudente per evitare che, nell'Inghilterra vittoriana così puritana e religiosa, la sua opera fosse messa all'indice. Si ritrova in questo passo la stessa visione profonda e rivoluzionaria del divenire umano: le frontiere nazionali sono per lui delle barriere artificiali che la civiltà dovrà superare ed abolire. Senza essere comunista, senza nemmeno considerare esplicitamente la distruzione delle frontiere nazionali, Darwin include, di fatto, nella sua visione l'ipotesi di una scomparsa del quadro nazionale. Nel suo spirito, la civiltà non è uno stato di fatto, è un movimento costante e doloroso ("quanto tempo ci vuole prima…"), un processo continuo di superamento che, una volta raggiunta l'unificazione dell'umanità, deve proseguire attraverso lo sviluppo del sentimento di simpatia verso tutti gli esseri sensibili, in altre parole oltre la sola specie umana.

Accostando la prospettiva forgiata da Darwin e quella forgiata da Marx, noi riteniamo che cade sulle spalle del proletariato e della sua solidarietà ricostituita il pesante compito di rovesciare la civiltà borghese per permettere il libero sviluppo della civiltà umana.

Contro il materialismo meccanicistico

Un'altra conseguenza importante è il modo con cui possiamo concepire la famosa "natura umana". Conosciamo l'errore dei socialisti utopisti. Malgrado tutti i loro meriti, essi erano incapaci, a causa dell'epoca in cui vivevano, di definire quali erano le premesse che nella società borghese avrebbero permesso di sconvolgere i rapporti sociali e costruire una società comunista. Bisognava dunque inventare di sana pianta una società ideale che fosse conforme alla natura umana compresa come criterio assoluto. Facendo ciò, i socialisti utopisti riprendevano la visione dominante del loro tempo, una visione idealistica largamente diffusa ancora oggi secondo la quale la natura umana è immutabile ed eterna. Il problema, risponde Marx, è che la natura umana si modifica costantemente durante la storia. Nello stesso momento in cui l'uomo trasforma la natura esterna, trasforma anche la sua natura.

La concezione difesa da Darwin sui rapporti tra natura e cultura ci permette di andare ancora oltre una semplice visione astratta di una natura umana effimera, fluida. Esiste una continuità tra il biologico ed il culturale, ciò che implica l'esistenza di un nucleo costante nella natura umana che è un prodotto di tutta l'evoluzione. Marx condivideva questa visione. È ciò che emerge da questo passo del Capitale in cui, in particolare, risponde all'utilitarismo di Geremia Bentham: "Per sapere, per esempio, ciò che è utile ad un cane, bisogna studiare la natura canina, ma non si potrebbe dedurre questa stessa natura dal principio di utilità. Se si vuole fare di questo principio il criterio supremo dei movimenti e dei rapporti umani, si tratta innanzitutto di approfondire in generale la natura umana e afferrarne poi le modifiche specifiche ad ogni epoca storica”[9].

Anche se le radici profonde della natura umana sono state riconosciute, l'errore di interpretazione commessa dai socialisti utopici resta ancora dominante oggi. Patrick Tort mette bene in evidenza la sua natura: "L'errore non è affermare l'esistenza di una "natura" nell'essere umano, ma di pensarla sempre sul modo di un'eredità onnipotente che lo governerebbe secondo l'intangibile legge di un determinismo univoco e subìto" (p.83). Questo determinismo univoco e subìto è la specificità del materialismo meccanicistico. Il materialismo moderno, in quanto ad esso, aggiunge una determinazione attiva proprio come l'aveva ben compresa Epicuro con la sua teoria del clinamen. Fin dalla sua tesi di dottorato, Differenza della filosofia naturale di Democrito e di Epicuro, Marx aveva riconosciuto questo apporto considerevole di Epicuro che superava il riduzionismo presente nell'atomismo di Leucippo e Democrito e che introduceva la libertà nella materia. Questa libertà significa che all’interno della natura niente è predestinato, come lo pretenderebbe un determinismo assoluto, e c'è un posto per la spontaneità degli agenti. Essa significa che per gli organismi che hanno acquistato una certa autonomia, "all'instante, io posso decidere di un atto, di un atto contrario o di un non atto senza doverlo ad un ‘programma’” (p.83).

Questo materialismo attivo - e non più passivo e subìto -, sostenuto da Patrick Tort, conduce a questa definizione che dovrebbe inserirsi in tutte le memorie: "la 'natura umana' è l'incalcolabile somma di tutte le possibilità dell'umanità. O ancora, su un modo deliberatamente esistenzialista: la "natura umana", è ciò che è nelle nostre mani" (p.86).

La storia del capro espiatorio

Abbiamo ricordato sopra che la persistenza del razzismo, del sessismo e della xenofobia è il prodotto di una società divisa in classi. È importante ricordarci questo fatto perché attraverso di esso è possibile comprendere perché la lotta del proletariato, in quanto la sola che possa condurre all'abolizione delle classi, include la lotta contro questi differenti fenomeni. Mentre diventa falso il contrario. Appena l'antirazzismo o il femminismo pretendono di condurre una lotta autonoma, essi diventano velocemente un'arma contro la classe operaia e prendono il loro posto in seno all'ideologia dominante. La stessa cosa avviene con il pacifismo che, quando non è esplicitamente legato alla lotta rivoluzionaria del proletariato contro il capitalismo in quanto sistema sociale, si trasforma in una pericolosa mistificazione.

Ma si tratta di problemi reali per il proletariato e noi dobbiamo, con Tort, approfondire l'analisi. La xenofobia non è semplicemente un rigetto dell'altro nel quale vedremmo solamente dei tratti di carattere totalmente differenti. Ciò è palese nel caso del razzismo, ma può e deve spiegarsi diversamente: "Il razzismo è il rigetto, su un essere che si esteriorizza, di ciò che si odia più in sé" (p. 22). Fondamentalmente, ciò che è rigettato sull’altro, non è ciò che è differente, ma quello che si vorrebbe bandire da sé stesso. "Nella sua versione più estrema, il razzismo deve dunque definirsi meno come il semplicistico "rigetto dell'altro" e più come la negazione del simile nel simile attraverso la fabbricazione di un ‘altro’ immaginato come meschino e minaccioso"(p.23).

La persona o la popolazione prese di mira non rappresentano un ignoto che minaccia; esse sono considerate come una minaccia perché sono precisamente una parte di noi stessi, quella parte che consideriamo disprezzabile. Come dice Patrick Tort, ricordando che gli ebrei e i cristiani tedeschi vivevano insieme da più di sedici secoli, è il simile più prossimo a diventare la vittima da annientare. Nell’Antico Testamento, "Il rituale del "capro espiatorio" è un rituale espiatorio che in quanto tale esternalizza la parte colpevole di sé e la vota al demonio ed al nulla simbolico del deserto" (p.28). Sappiamo che la società borghese è stata molto spesso il teatro di pogrom o di genocidi e che la classe dominante ne porta interamente la responsabilità. Ma bisogna allargare la comprensione e non fermarsi alle manifestazioni spettacolari di questi fenomeni. Bisogna percepire a che punto la ricerca di un capro espiatorio e la mentalità pogromista, con la violenza estrema che contengono, hanno le loro radici nel terreno della società capitalista, dove trovano sempre cose di cui nutrirsi.

Se si rilegge il passo de La Filiazione dell’Uomo citato prima, si comprende meglio ciò che vuole sottolineare Darwin con queste parole: "ci vuole tempo prima che li guardiamo come nostri simili". Il principio stesso della civiltà è il processo dello sviluppo della simpatia e cioè del riconoscimento del simile nell'altro. Siccome la civiltà è il prodotto della selezione naturale prima di invertirne la marcia, il processo di eliminazione dell'eliminazione (l'effetto reversivo definito da Tort) è sempre in corso, ed un ritorno indietro è periodicamente sempre possibile. Ma ciò che abbiamo detto sopra ci impedisce di parlare di una "natura umana" ancora primitiva. "L'antropologia influenzata da Darwin non ha cessato di usare metaforicamente un concetto biologico per interpretare, in seno alla civiltà, la riapparizione dei comportamenti ancestrali che rinviano l'umano alle sue origini animali: questo concetto è quello del ritorno atavico, purtroppo inflazionato e strapazzato nella psichiatria ereditarista francese del XIX secolo e nell'antropologia criminale italiana che se ne ispirò, ma che è tuttavia utile per pensare ciò che alberga in noi, attraverso il possibile riaffioramento, la manifestazione di un’ancestralità  eminentemente persistente" (p.27).

“Razza” e cultura

L'argomento più utilizzato per combattere il razzismo consiste nello spiegare che ciò che appare come grandi differenze nell'apparenza esterna degli esseri umani è obiettivamente trascurabile quando ci si pone a livelli genetici e molecolari. Si sa molto poco sulla "razza", perché designa, in effetti, una pseudo-realtà, e ciò che se ne sa sembra bastare per portarci alla conclusione della sua inesistenza. È dunque ridicolo essere razzista. Questo argomento è totalmente inefficace, risponde Patrick Tort. Se la ricerca scientifica domani affermasse, grazie a nuove scoperte, l’esistenza biologica delle "razze", ciò giustificherebbe di conseguenza il razzismo? La debolezza di questo argomento ci è data dal fatto che il razzismo si rivolge ai fenotipi[10]  (biologici e culturali) e non ai genotipi[11]; agli individui interi coi loro caratteri osservabili e non alle molecole. È allora facile per il conservatorismo identitario (Alain di Benoist, Zemmour, Le Pen), e per tutti i razzisti appellarsi al buonsenso: le razze sono un'evidenza che tutti possono vedere, basta paragonare uno scandinavo ed un indiano.

Certamente l'utilizzazione non scientifica che è stata fatta della parola "razza" squalifica totalmente il suo uso e ci obbliga almeno ad incorniciarla di virgolette. Ma in realtà, le "razze" esistono, in quanto corrispondono alle "varietà" che distinguono certe suddivisioni identificabili in seno ad una specie. Certamente, è una nozione molto difficile da delimitare, non è omogenea, resta sfumata proprio come, e più ancora, la nozione di specie, perché il vivente si evolve senza tregua sotto l'effetto delle variazioni incessanti e della modifica dell’ambiente. Così le specie non sono delle entità perenni ma gruppi che la classificazione raccoglie e sistema sotto delle categorie. Tuttavia esistono. Darwin ha mostrato che le specie sono in trasformazione permanente, ma che è possibile, allo stesso tempo, distinguerle perché corrispondono ad una stabilizzazione – certo relativa e temporanea se ci si riferisce alla scala dei tempi geologici - imposta dalla presenza delle altre specie in competizione con esse nella lotta per l'esistenza e per i bisogni stessi della classificazione. C'è, sotto la regolarità delle forme specifiche, una combinazione efficace rispetto ad un ambiente dato ed ad una nicchia ecologica che spiega che gli individui di una stessa specie si somigliano. "Anche se, nella storia della scienza degli organismi, le divisioni classificatorie hanno solamente un valore temporaneo e tecnico, c'è ancora un senso naturalista nel dire che c'è una sola specie umana, e che questa specie, come pressappoco tutte le specie biologiche, comprende delle varietà. Nella tradizione naturalistica, ‘razza’ è un sinonimo di varietà" (p.33).

Il razzismo è un fenomeno sociale, ed è al livello sociale che bisogna rispondere. Da questo punto di vista il passato coloniale continua ad avere delle conseguenze nocive ed il proletariato dovrà combattere fermamente "un'ideologia che converte caratteristiche di umani in segni di inferiorità nativa e permanente, e come minaccia per altri uomini" (p.41).

La problematica è globalmente la stessa per la questione del sessismo. Il sesso è una realtà biologica, ma il "genere", da parte sua, è una realtà culturalmente costruita, e dunque un divenire, un possibile che resta aperto. L'atteggiamento radicale di certe femministe o di certi "studi di genere" che vogliono "privare" il sesso della naturalizzazione è stupido tanto quanto quello che consiste nel negare la realtà delle differenze interraziali visibili. Il combattimento per l'uguaglianza sociale degli uomini e delle donne, che nel capitalismo non finirà mai, il combattimento per la simpatia verso l'altro, cioè per il riconoscimento dell'altro come simile malgrado tutte le differenze culturali, tutti questi combattimenti sono al centro dell'antropologia di Darwin. L'etica proletaria porta in sé tutta questa eredità. È per tale motivo che la lotta per il comunismo non è opera di individui robottizzati ed indifferenziati e non ha niente a che vedere con una negazione delle differenti culture umane, essa si definisce come l'unificazione nella diversità, l'inclusione dell'altro in seno ad un'associazione, ad una comunità che ha bisogno della ricchezza di tutte le culture[12].

La critica del dualismo e l'esigenza di una continuità reversiva tra natura e cultura, tra biologia e società, ci ha condotto ad una definizione forte della natura umana ed a riprendere la nozione darwiniana di civiltà come processo sempre incompiuto. Quali conseguenze per la lotta rivoluzionaria? In seno al capitalismo, questa lotta è innanzitutto una lotta per l'emancipazione del proletariato, anche se porta in sé l'emancipazione di tutta l'umanità. Il proletariato deve prepararsi ad una guerra civile particolarmente difficile di fronte ad una borghesia che non accetterà mai di cedere il suo potere. Tuttavia, non è principalmente attraverso la forza delle armi che il proletariato l’avrà vinta. L'essenziale della sua forza si basa nella sua capacità di organizzazione, nella sua coscienza di classe e soprattutto nella sua attitudine da una parte a conquistare la sua unità, dall’altra a conquistare tutta la massa degli strati non sfruttatori, o, almeno, a neutralizzarli nei periodi di indecisione all’inizio della battaglia. Questo processo di unificazione, di integrazione, va ad operarsi automaticamente visto che l'uomo è un essere sociale e che la natura umana contiene questo vantaggio evolutivo rappresentato dalla generalizzazione del sentimento di simpatia? Certo che no! Ma i risultati ed il percorso scientifico esposti nel libro di Patrick Tort confermano la visione marxista dell'importanza del fattore soggettivo per il proletariato, in particolare della coscienza, delle mentalità e più in generale della cultura. Confermano la validità della lotta della Sinistra Comunista contro il fatalismo della socialdemocrazia in degenerazione che difendeva la posizione opportunista di un passaggio graduale, automatico e pacifico del capitalismo al socialismo. Confermano che il divenire dell'umanità si trova nelle mani del proletariato.

Avrom Elberg

 


[1] Sulla natura della violenza in seno alla società borghese, vedere il nostro articolo, "Terrore, terrorismo e violenza di classe". Revue internationale, n..4, 3° trimestre 1978, o il nostro sito.

[2] Se ne può avere una dimostrazione lungo le 1000 pagine di Cosa è il materialismo? Parigi, Belin, 2016. Si tratta dell'ultimo libro di Patrick Tort di cui raccomandiamo la lettura a quelli che vorrebbe approfondire tutte le questioni trattate qui.

[3] Abbiamo presentato il lavoro di questo autore e la nozione di effetto reversivo dell'evoluzione nell'articolo: "A proposito del libro di Patrick Tort, L'Effetto Darwin, Una concezione materialista delle origini della morale e della civiltà". Vedere Révolution internationale, n°400, aprile 2009, o il nostro sito.

[4] Su France Culture, Jean Gayon, filosofo specializzato in storia delle scienze ed in epistemologia, non teme la banalità dichiarando a proposito di Darwin che "questi non è né Gesù, né Marx" (La Marche des Sciences - La Marcia delle Scienze -, emissione del 4 febbraio 2016 dedicato a "Darwin, sotto i fuochi dell'attualità").

[5] Il Partito comunista internazionale che in Francia pubblica Le Prolétaire appartiene al club dei "giubilatori precoci". Si potrà verificare leggendo la sua rivista Programme communiste, n°102, febbraio 2014. In una polemica in cui prende di mira la CCI, questo gruppo, accecato dalla leggenda di un Darwin malthusiano, realizza un vero tour de force confondendo non solo Darwin con il darwinismo sociale di Spencer, ma nello stesso slancio Darwin e la sociobiologia.

[6] Per "animali superiori" si intendono tradizionalmente nella storia naturale i vertebrati omeotermici, quelli cioè a temperatura costante, come gli uccelli ed i mammiferi.

[7] Vedere il nostro articolo, "A proposito del libro di Carlo Rovelli, Anassimandro di Mileto. Il posto della scienza nella storia umana". Révolution Internationale, n°422, maggio 2011, o il nostro sito.

[8] Charles Darwin, Autobiografia, Einaudi, 1962.

[9] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, settima sezione, capitolo XXIV: "Trasformazione del plusvalore in capitale, V., - I pretesi fondi di lavoro" , nota (b).

[10] Fenotipi: in genetica, l'insieme dei caratteri osservabili di un individuo.

[11] Genotipo: insieme dei geni di un individuo.

[12] La visione proletaria della ricchezza delle culture, considerate come un fattore positivo nella battaglia per l'unità nella lotta – in opposizione totale col multiculturalismo ed il comunitarismo borghese che riproducono l'ideologia identitaria - è sviluppata, con numerosi esempi storici, nel nostro articolo, "L'immigrazione ed il movimento operaio”, Revue internationale, n°140, 1 trimestre 2010, in italiano sul nostro sito.

Questioni teoriche: