90 anni fa, la rivoluzione tedesca: di fronte alla guerra il proletariato ritrova i suoi principi internazionalisti

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90 anni fa, la rivoluzione proletaria culminava in modo tragico in Germania nelle lotte del 1918 e 1919. Dopo l‘eroica presa del potere da parte del proletariato in Russia nell’ ottobre del 1917, il cuore della battaglia per la rivoluzione mondiale si spostò in Germania. Là fu condotta la battaglia decisiva, ed essa fu persa. La borghesia mondiale ha sempre voluto mantenere questi avvenimenti nell'oblio. Tuttavia, non potendo negare l'esistenza delle lotte in quel periodo, la borghesia afferma pretestuosamente che quest'ultime sono state condotte in nome della "democrazia" e della "pace" – in altri termini, per le stesse "meravigliose" condizioni che attualmente regnano nella Germania capitalista.

Lo scopo della serie che iniziamo con quest'articolo è quello di mostrare come la borghesia tedesca si sia trovata molto vicino alla perdita del potere di fronte al movimento rivoluzionario. Malgrado la sua sconfitta, la rivoluzione tedesca, come la rivoluzione russa, attualmente deve essere un incoraggiamento per noi. Essa ci ricorda che non è solo necessario ma anche possibile rovesciare il dominio del capitalismo mondiale.

Questa serie sarà costituita da cinque articoli. Il primo è dedicato alla maniera in cui il proletariato rivoluzionario si è riappropriato dei suoi principi internazionalisti di fronte alla I guerra mondiale. Il secondo tratterà le lotte rivoluzionarie del 1918. Il terzo verrà dedicato al dramma che si è svolto durante la costituzione del Partito comunista fin dal 1918. Il quarto esaminerà la sconfitta del 1919. L'ultimo tratterà il significato storico dell'assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, insieme all'eredità che questi rivoluzionari ci hanno tramandato.

La sconfitta e lo smarrimento

L'ondata rivoluzionaria internazionale, iniziata durante la I Guerra mondiale, si è avuta solo dopo qualche anno dalla grande sconfitta politica subita dal movimento operaio: il crollo dell'Internazionale socialista nell’agosto del 1914. Esaminare perché la guerra è potuta scoppiare, e perché sia fallita l'Internazionale, costituisce pertanto un elemento essenziale per comprendere la natura ed il corso delle rivoluzioni in Russia ed in Germania.

La strada verso la guerra

All'inizio del XX secolo, la minaccia della guerra mondiale era nell'aria. Le grandi potenze la stavano preparando febbrilmente. Il movimento operaio la prevedeva e si allertava contro di essa. Il suo scoppio fu ritardato per due motivi: il primo fu l'insufficienza della preparazione militare dei principali protagonisti. La Germania stava ancora completando la costruzione di una marina militare (da guerra) in grado di rivalizzare con quella della Gran Bretagna, già padrona degli oceani. Essa stava trasformando l’isola di Helgoland in base navale, e terminava la costruzione del canale tra il Mare del Nord ed il Baltico, ecc. Alla fine del primo decennio del secolo, questi preparativi erano compiuti. Ciò conferiva ancora più importanza all'altro motivo: la paura che incuteva la classe operaia. Questa paura non era solo un'ipotetica speculazione del movimento operaio. Anche importanti rappresentanti della borghesia la esprimevano con estrema chiarezza. Von Bulow, cancelliere tedesco, dichiarava che era proprio per la socialdemocrazia che la guerra veniva rinviata. Paul Rohrbach, infame sostenitore di certi circoli guerrafondai, apertamente imperialisti, di Berlino, scriveva: "a meno che non abbia luogo una catastrofe, la sola cosa che possa costringere la Germania a mantenere la pace, è la fame di coloro che non hanno il pane". Il generale von Bernhardi, eminente teorico militare dell'epoca, sottolineava nel suo libro La guerra di oggi

(1913) che la guerra moderna comportava elevati rischi perché essa per avere luogo avrebbe dovuto mobilitare ed irreggimentare milioni di persone. Questo punto di vista non si basava solo su considerazioni teoriche, ma sull'esperienza pratica della prima guerra imperialista del XX secolo tra paesi di prima importanza. Questa guerra, svoltasi tra la Russia ed il Giappone (1904-1905), aveva prodotto il movimento rivoluzionario del 1905 in Russia.

Questo tipo di considerazioni mantenevano viva all'interno del movimento operaio la speranza che la classe dominante non avrebbe osato scatenare la guerra. Questa speranza dissimulava le divergenze all'interno dell'Internazionale socialista, in un momento in cui era necessario fare chiarezza, all'interno del proletariato, attraverso un dibattito aperto. Il fatto che nessuna componente del movimento socialista internazionale "volesse" la guerra dava un'impressione di forza e di unità. Tuttavia l'opportunismo ed il riformismo non si opponevano alla guerra per principio ma semplicemente perché temevano che il suo scoppio avrebbe provocato la perdita delle loro istituzioni legali e finanziarie. Da parte sua, il "centro marxista" vicino a Kautsky temeva la guerra principalmente perché essa avrebbe distrutto l'illusione di un movimento operaio che lui voleva mantenere unito a tutti i costi.

Ciò che in realtà convinceva sulla capacità della classe operaia di impedire la guerra, era soprattutto l'intensità della lotta di classe in Russia. In questo paese, gli operai non avevano impiegato molto tempo a riprendersi dalla sconfitta del movimento del 1905. Alla vigilia della Prima Guerra mondiale, una nuova ondata di scioperi di massa raggiungeva il suo culmine nell'impero degli Zar. In un certo senso, la situazione della classe operaia in questo paese può avere qualche somiglianza con quella della Cina di oggi: essa costituiva una minoranza della popolazione, ma era altamente concentrata in fabbriche moderne finanziate dal capitale internazionale, ferocemente sfruttata in un paese arretrato che non disponeva di meccanismi di controllo politico tipo liberalismo parlamentare borghese. Tuttavia, c'è una importante differenza: il proletariato russo era stato educato nelle tradizioni socialiste dell'Internazionalismo, mentre gli operai cinesi attuali soffrono ancora l'incubo della contro rivoluzione stalinista.

Tutto ciò faceva della Russia una minaccia per la stabilità capitalista.

Ma la Russia non era un esempio significativo del rapporto di forza internazionale tra le classi. Il cuore del capitalismo e delle tensioni imperialiste si situava nell’Europa occidentale e centrale. La chiave della situazione internazionale non si trovava in Russia ma in Germania. La Germania era il paese che contestava l'ordine mondiale delle vecchie potenze coloniali. Ed era anche il paese in cui il proletariato era il più forte, il più concentrato, con la più sviluppata educazione socialista. Il ruolo politico della classe operaia tedesca si evidenziava principalmente attraverso il fatto che i principali sindacati erano stati fondati dal partito socialista, mentre in Gran Bretagna – l'altra nazione capitalista dominante in Europa – il socialismo appariva solo come appendice del movimento sindacale. In Germania, le lotte quotidiane degli operai avevano tradizionalmente luogo nell'ottica del grande scopo socialista finale.

Tuttavia, alla fine del XIX secolo era cominciato in Germania un processo di involuzione politica dei sindacati socialisti, di "emancipazione" di questi ultimi rispetto al partito socialista. I sindacati mettevano apertamente in discussione l'unità tra il movimento e lo scopo finale. Il teorico del partito, Edouard Bernstein, non fece che generalizzare questo orientamento con la sua celebre formulazione: “il movimento è tutto, lo scopo finale è nullo”. Questa messa in discussione del ruolo dirigente della Socialdemocrazia all'interno del movimento operaio, della predominanza dello scopo sul movimento, provocò un conflitto all'interno del partito socialista (SPD) e dei suoi sindacati. Dopo lo sciopero di massa del 1905 in Russia, questo conflitto s'intensificò. Esso finì con la vittoria dei sindacati sul partito. Sotto l'influenza del "centro" animato da Kautsky – che voleva mantenere "l'unità" del movimento ad ogni costo, il partito decise che la questione dello sciopero di massa era compito dei sindacati[1]. Ma lo sciopero di massa conteneva tutta la questione della futura rivoluzione proletaria! Così, alla vigilia della Prima Guerra mondiale, la classe operaia tedesca ed internazionale si venne a trovare completamente disarmata.

Dichiarare il carattere non politico dei sindacati costituiva una preparazione all'integrazione del movimento sindacale nello Stato capitalista. Ciò forniva alla classe dominante l'organizzazione delle masse di cui essa aveva bisogno per mobilitare gli operai per la guerra. A sua volta, questa mobilitazione nel cuore del capitalismo, andava a determinare la demoralizzazione ed il disorientamento degli operai in Russia – per i quali la Germania costituiva il principale referente – ed ad imbrigliare il movimento degli scioperi di massa che in essa si svolgevano.

Il proletariato russo, che conduceva scioperi di massa dal 1911, aveva già dietro di sé un'esperienza recente di crisi economiche, di guerre e di lotte rivoluzionarie. Ciò non accadeva in Europa occidentale e centrale. Là, la guerra veniva scatenata dopo un lungo periodo di sviluppo economico, durante il quale la classe operaia aveva conosciuto reali miglioramenti delle sue condizioni d'esistenza, aumenti salariali e caduta della disoccupazione, ma anche lo sviluppo di illusioni riformiste; un periodo in cui le guerre si erano principalmente svolte alla periferia del capitalismo. La prima grande crisi economica mondiale non sarebbe scoppiata che 15 anni dopo, nel 1929. La fase di decadenza del capitalismo non cominciava con una crisi economica, come si aspettava il movimento operaio, ma con la crisi della guerra mondiale. Con la sconfitta e l'isolamento dell'ala sinistra del movimento operaio sulla questione dello sciopero di massa, non c'era più ragione per la borghesia di rinviare oltre la corsa alla guerra imperialista. Al contrario, ogni ritardo poteva esserle fatale. Attendere significava attendere lo sviluppo della crisi economica, la lotta di classe e la coscienza rivoluzionaria del suo becchino!

Il crollo dell'Internazionale

Il corso alla guerra mondiale era così aperto. La sua esplosione provocò il crollo dell'Internazionale socialista. Alla vigilia della guerra, la Socialdemocrazia organizzò dimostrazioni di protesta in tutta l'Europa. La direzione del SPD inviò Friedrich Ebert (futuro assassino della rivoluzione) a Zurigo in Svizzera con fondi del partito per impedire che fossero confiscati, e Bruno Haase, eterno esitante, a Bruxelles per organizzare la resistenza internazionale contro la guerra. Ma una cosa è opporsi alla guerra prima che esploda, ed un'altra è prendere posizione una volta che è cominciata. E là, i sermoni della solidarietà proletaria, pronunciati solennemente ai congressi internazionali di Stoccarda nel 1907 e a Basilea nel 1912 in gran parte si rivelarono platonici. Anche alcuni membri dell'ala sinistra che avevano sostenuto azioni immediate apparentemente radicali contro la guerra - Mussolini in Italia, Hervé in Francia – in quel momento si unirono al campo dello sciovinismo.

L'estensione del fiasco dell'Internazionale sorprese tutto il mondo. È ben noto come inizialmente Lenin pensasse che le dichiarazioni della stampa del partito tedesco in favore della guerra fossero opera della polizia per destabilizzare il movimento socialista all'estero. Anche la borghesia sembrava sorpresa alla notizia del tradimento dei suoi principi da parte della Socialdemocrazia. Essa aveva puntato principalmente sui sindacati per mobilitare gli operai effettuando accordi segreti con la loro direzione alla vigilia della guerra. In alcuni paesi, i grandi partiti socialdemocratici si opposero realmente alla guerra. Ciò dimostra che l'apertura politica del corso alla guerra non significò automaticamente il tradimento da parte delle organizzazioni politiche. E fu per tale motivo che il fallimento della Socialdemocrazia nei principali paesi in guerra si dimostrò più sorprendente. In Germania, in alcuni casi, anche gli elementi più risoluti  contro la guerra all'inizio non fecero sentire la loro voce. Al Reichstag dove 14 membri della frazione parlamentare della Socialdemocrazia erano contro il voto sui crediti di guerra e 78 a favore; lo stesso Karl Liebknecht si sottomise all'inizio alla tradizionale disciplina della frazione.

Come spiegarlo?

Per farlo, bisogna porre gli avvenimenti nel loro contesto oggettivo. A tale proposito, il fondamentale cambiamento nelle condizioni della lotta di classe, provocato dall'ingresso in una nuova epoca storica di guerre e rivoluzioni, è determinante. E' in questo contesto che è possibile comprendere appieno che il passaggio dei sindacati nel campo borghese era storicamente inevitabile. Poiché queste organizzazioni erano l'espressione di una tappa particolare della lotta di classe nel corso della quale la rivoluzione non era ancora all'ordine del giorno, essi per loro natura non sono mai stati degli organismi rivoluzionari; con il nuovo periodo, durante il quale la difesa degli interessi immediati di qualsiasi parte del proletariato implicava automaticamente una dinamica verso la rivoluzione, essi non potevano più servire la loro classe d'origine e potevano solo sopravvivere passando al campo nemico.

Ma ciò che si spiega chiaramente per i sindacati si dimostra insufficiente per i partiti socialdemocratici. Resta chiaro che con la Prima Guerra mondiale, i partiti persero il loro vecchio centro di gravità, la mobilitazione per le elezioni. E' anche vero che il cambiamento delle condizioni determinava ugualmente la sparizione dei fondamenti stessi dell'esistenza dei partiti di massa della classe operaia. Di fronte alla guerra ed alla rivoluzione un partito rivoluzionario deve essere capace di andare controcorrente e nello stesso tempo di andare contro lo stato d'animo dominante nella classe nel suo insieme. Ma il compito principale di un'organizzazione politica della classe operaia – la difesa di un programma e, in particolare, dell'internazionalismo proletario – non varia col variare del periodo. Al contrario, esso diventa ancora più importante. Così, benché fosse storicamente inevitabile che il partito socialista conoscesse una crisi di fronte alla guerra mondiale e che le correnti al suo interno infestate dal riformismo e dall'opportunismo tradissero, ciò non bastò, tuttavia, a spiegare ciò che Rosa Luxemburg definì come “la crisi della Socialdemocrazia”.

E' ugualmente vero che un cambiamento storico fondamentale provoca necessariamente una crisi programmatica; le vecchie tattiche utilizzate da molto tempo ed anche i principi apparvero improvvisamente superati – come la partecipazione alle elezioni parlamentari, il sostegno ai movimenti nazionalisti ed alle rivoluzioni borghesi. Ma su alcuni punti dobbiamo ricordare che molti rivoluzionari dell'epoca, pur non comprendendo ancora le implicazioni programmatiche e tattiche del nuovo periodo, rimasero fedeli all'internazionalismo proletario.

Cercare di spiegare ciò che è successo solo a partire dalle condizioni oggettive ci porta a considerare che tutto ciò che fa parte della storia è fin dall'inizio inevitabile. Da questo punto di vista, si rimette in discussione la possibilità di trarre delle lezioni storiche giacché noi stessi siamo il prodotto di “condizioni oggettive”. Nessun vero marxista negherà l'importanza di queste condizioni oggettive. Ma se noi esaminiamo la spiegazione che gli stessi rivoluzionari dell'epoca hanno dato sulla catastrofe che ha conosciuto il movimento socialista nel 1914, vedremo che essi hanno posto per primo l'importanza dei fattori soggettivi.

Una delle ragioni principali del fallimento del movimento socialista risiede nel suo sentimento illusorio d'invincibilità, nella sua convinzione errata che la vittoria era certa. La Seconda internazionale basava questa convinzione su tre elementi essenziali già identificati da Marx: la concentrazione del capitale e dei mezzi di produzione ad un polo della società e dall'altro il proletariato spossessato; l'eliminazione degli strati sociali intermedi la cui esistenza confondeva la principale contraddizione sociale; e la crescente anarchia del modo di produzione capitalista, che si esprimeva principalmente sotto la forma della crisi economica e che costringeva l’affossatore del capitalismo, il proletariato, a mettere in discussione lo stesso sistema. Per se stesso, questo punto di vista era completamente valido. Queste tre condizioni per il socialismo sono il prodotto di contraddizioni oggettive che si sviluppano indipendentemente dalla volontà delle classi sociali e, a lungo termine, inevitabilmente si impongono. Tuttavia, esse danno origine a due problematiche conclusioni. La prima, è che la vittoria è ineluttabile. La seconda, è che la vittoria può essere ostacolata solo dal suo scoppio prematuro, e se il movimento operaio cede alle provocazioni.

Queste conclusioni erano tante più pericolose in quanto esse erano, benché parzialmente, profondamente giuste. E' vero che il capitalismo crea inevitabilmente le condizioni materiali della rivoluzione e del socialismo. Ed il pericolo della provocazione, da parte della classe dominante, di scontri prematuri è molto veritiero. Vedremo tutta l'importanza tragica rivestita da quest'ultima questione nella terza e quarta parte di questa serie.

Ma il problema di questo schema dell’avvenire socialista è che esso non concede alcun posto ai fenomeni nuovi come le guerre imperialiste tra le potenze capitaliste moderne. La questione della guerra mondiale non entrava in questo schema. Noi abbiamo già visto che già da tempo il movimento operaio riconosceva l'inevitabilità della guerra prima che essa veramente scoppiasse. Ma per l'insieme della Socialdemocrazia, riconoscerla non la portò a concludere che la vittoria del socialismo non era inevitabile. Queste due parti dell'analisi della realtà rimasero separate una dall'altra in un modo che può apparire quasi schizofrenico. Questa incoerenza, capace d'essere fatale, non è insolita. Molte delle grandi crisi e delle grandi confusioni nella storia del movimento operaio provengono dall'irrigidirsi sugli schemi del passato, dal ritardo della coscienza sull'evoluzione della realtà. Possiamo, per esempio, citare il sostegno al Governo provvisorio ed alla prosecuzione della guerra del Partito bolscevico dopo febbraio 1917 in Russia. Il partito era prigioniero dello schema della rivoluzione borghese legata al 1905 e che si rilevò inadeguato nel nuovo contesto della guerra mondiale. Sono state necessarie Le Tesi di aprile di Lenin e mesi di discussioni intense per venire fuori dalla crisi.

Poco prima della sua morte nel 1895, Friedrich Engels fu il primo a tentare di trarre le necessarie conclusioni dalla prospettiva di una guerra generalizzata in Europa. Dichiarò che essa avrebbe posto l'alternativa storica: socialismo o barbarie. L'inevitabilità della vittoria del socialismo fu apertamente messa in discussione. Ma lo stesso Engels non riuscì immediatamente a trarre tutte le conclusioni da questa visione. Per tale motivo, non riuscì a capire che l'apparizione della corrente d'opposizione dei Die Jungen (“I Giovani”) nel partito tedesco, nonostante tutte le sue debolezze era un'espressione autentica del malcontento giustificato di fronte al quadro delle attività del partito (principalmente orientato verso il parlamentarismo) divenuto largamente insufficiente. Di fronte all'ultima crisi del partito che conobbe  prima della sua morte, Engels esercitò tutto il suo peso in favore della difesa del mantenimento dello status quo nel partito, in nome della pazienza e della necessità di evitare le provocazioni.

È Rosa Luxemburg che, alla svolta del secolo, nella sua polemica contro Bernstein, trarrà delle conclusioni decisive della visione sostenuta da Engels sulla prospettiva "socialismo o barbarie". Benché la pazienza costituisca una delle virtù principali del movimento operaio e che è necessario evitare scontri prematuri, da un punto di vista storico, il principale pericolo che si presentava non era più l'avvento di una rivoluzione prematura ma proprio il fatto che essa potesse scoppiare troppo tardi. Questo punto di vista porta tutta la sua insistenza sulla preparazione attiva della rivoluzione, sull'importanza centrale del fattore soggettivo.

Questa condanna del fatalismo che cominciava a dominare la Seconda Internazionale, questa revisione del marxismo, stava per divenire una delle linee di demarcazione di tutta l'opposizione della sinistra rivoluzionaria prima e durante la Prima Guerra mondiale[2].

Come Rosa Luxemburg scriverà nella sua brouchure La crisi della Socialdemocrazia: "Il socialismo scientifico ci ha insegnato a comprendere le leggi obiettive dello sviluppo storico. Gli uomini non fanno la loro storia inventandosela. Ma comunque sono essi a farla. Il proletariato dipende nella sua azione dal grado di sviluppo sociale dell'epoca, ma l'evoluzione sociale non si fa al di fuori del proletariato, quest'ultimo è il suo impulso e la sua causa, suo prodotto e sua conseguenza".

Proprio perché ha scoperto le leggi obiettive della storia, per la prima volta una forza sociale, la classe del proletariato cosciente, può mettere in pratica in modo deliberato la sua volontà. Essa non fa solo la storia, ma può influenzarne consapevolmente il corso.

"Nella storia, il socialismo è il primo movimento popolare che si stabilisce come scopo, e che  sia incaricato dalla storia, a dare all'azione sociale degli uomini un senso cosciente, di introdurre nella storia un pensiero metodico e, attraverso di esso, una volontà libera. Ecco perché Friedrich Engels dice che la vittoria definitiva del proletariato socialista costituisce un salto che fa passare l'umanità dal regno animale al regno della libertà. Ma questo stesso 'salto' non è estraneo alle leggi ferree della storia, esso è legato alle migliaia di scalini precedenti dell'evoluzione, un'evoluzione dolorosa e purtroppo lenta. E questo salto non potrebbe essere portato a termine se, dall'insieme delle premesse materiali accumulate dall'evoluzione, non scocchi la scintilla della volontà cosciente della grande massa popolare" (ibid.).

Il proletariato deve fare il "suo apprendistato (...) e [tentare] di prendere in mano il proprio destino, di impadronirsi del governo della vita sociale. Lui che era il giocattolo passivo della sua storia, tenta di divenirne il lucido pilota" (ibid.).

Per il marxismo, riconoscere l'importanza delle leggi obiettive della storia e delle contraddizioni economiche - ciò che gli anarchici negano o ignorano - va di pari passo col riconoscimento degli elementi soggettivi[3]. Essi sono intimamente legati e si influenzano reciprocamente. Li possiamo osservare in relazione ai più importanti fattori che hanno sabotato poco a poco la vita proletaria nell'Internazionale. Uno di questi fattori era l'erosione della solidarietà all'interno del movimento operaio. Quest'ultima evidentemente fu favorita dall'espansione economica che ha preceduto il 1914 e dalle illusioni riformiste che questa ha generato. Ma essa fu anche il risultato della capacità della classe nemica di imparare dalla sua esperienza. Bismarck aveva introdotto procedimenti di assicurazione sociale (e nello stesso tempo leggi anti-socialiste) con lo scopo di sostituire la solidarietà tra i lavoratori con la loro dipendenza individuale di fronte a quello che più tardi diventerà "lo Stato assistenziale". Dopo che il tentativo di Bismarck di distruggere il movimento operaio mettendolo fuori legge fallì, il governo della borghesia imperialista che gli successe alla fine del XIX secolo, rovesciò la sua tattica. Avendo preso coscienza che le condizioni di repressione stimolavano la solidarietà operaia, il governo ritirò le leggi anti-socialiste ed invitò ripetutamente la Socialdemocrazia a partecipare alla "vita politica", (cioè alla direzione dello Stato) accusandola di rinunciare in modo "settario" al "solo mezzo pratico" che potesse permettere un reale miglioramento della vita dei lavoratori.

Lenin ha mostrato il legame esistente tra i livelli oggettivo e soggettivo relativamente ad un altro fattore decisivo nel decadimento dei principali partiti socialisti: la trasformazione della lotta per la liberazione dell’umanità in una routine quotidiana e vuota. Identificando tre correnti all’interno della Socialdemocrazia, egli presentava la seconda corrente "‘detta del centroche esita tra i socialsciovinisti ed i veri internazionalisti" caratterizzandola: "'il centro', questi sono uomini di routine, erosi da un legalismo putrido, corrotti dall'ambiente del parlamentarismo, ecc., funzionari civili abituati alle sinecura ed ad un lavoro 'tranquillo'. Storicamente ed economicamente, essi non rappresentano uno strato distinto. Ma rappresentano soltanto la transizione tra una fase passata del movimento operaio, quella del 1871-1914 (...) ed una fase nuova, divenuta obiettivamente necessaria dopo la Prima guerra imperialista mondiale, che ha inaugurato l’era della rivoluzione sociale"[4].

Per i marxisti dell'epoca, la "crisi della Socialdemocrazia" non era qualche cosa che accadeva fuori del loro campo d'azione. Essi si sentivano personalmente responsabili per quello che stava accadendo. Per loro, il fallimento del movimento operaio dell'epoca era il loro fallimento. Infatti, Rosa Luxemburg affermava: "noi abbiamo le vittime della guerra sulla coscienza".

Quello che è straordinario nel fallimento dell'Internazionale socialista, è che esso non è stato determinato in primo luogo né da un'inadeguatezza del programma, né da un'analisi erronea della situazione mondiale.

"Il proletariato mondiale non soffre di una mancanza di principi, di programmi o di slogan ma di una mancanza d'azione, di resistenza efficace, di capacità di attaccare l'imperialismo al momento decisivo"[5].

Per Kautsky, l'incapacità a mantenere l'internazionalismo provava l'impossibilità a farlo. Ne deduceva che l'Internazionale era essenzialmente uno strumento dei tempi di pace che doveva essere accantonato durante la guerra. Per Rosa Luxemburg e per Lenin, l'insuccesso dell'agosto 1914 proveniva soprattutto dall'erosione dell'etica della solidarietà proletaria ed internazionale all'interno della direzione dell'Internazionale.

"Allora si produsse l'orribile, l'incredibile 4 agosto 1914. Doveva accadere? Un evento di una tale importanza non può essere un semplice incidente. Esso deve avere delle cause obiettive profonde, significative. Ma forse queste cause si trovavano negli errori dei dirigenti del proletariato, nella stessa Socialdemocrazia, nel fatto che la nostra volontà di lottare era fiaccata, che il nostro coraggio e le nostre convinzioni ci avevano abbandonato" (ibidem, sottolineato da noi).

L'inversione di corrente

Il fallimento dell'Internazionale socialista fu un evento di un'importanza storica ed una sconfitta politica crudele. Ma esso non costituì una sconfitta decisiva, irreversibile, per tutta una generazione. Una prima prova ci venne data dal fatto che gli strati più politicizzati del proletariato rimasero fedeli all'internazionalismo proletario. Richard Müller, dirigente del gruppo "Revolutionäre Obleute", dei delegati di fabbriche della metallurgia ricordava: "Nella misura in cui le grandi masse popolari, già prima della guerra, erano state educate sotto l'influenza della stampa socialista e dei sindacati, ed avevano opinioni precise sullo Stato e la società, anche se all'inizio non si espressero apertamente, esse rifiutarono direttamente la propaganda di guerra e la guerra"[6]. Ciò costituisce un contrasto impressionante con la situazione degli anni ‘30, in seguito alla vittoria dello Stalinismo in Russia e del fascismo in Germania, dove gli operai più avanzati furono coinvolti sul terreno politico del nazionalismo e della difesa della patria "antifascista (imperialista)" o "socialista".

La mobilitazione per la guerra non era dunque la prova di una sconfitta profonda ma di un temporaneo abbattimento delle masse. Questa mobilitazione venne accompagnata da scene di isterismo di massa. Ma non bisogna confondere queste dimostrazioni con un coinvolgimento attivo della popolazione come era accaduto durante le guerre nazionali della borghesia rivoluzionaria in Olanda o in Francia. L'intensa agitazione pubblica del 1914 trova le sue radici soprattutto nel carattere massiccio della società borghese moderna e nei suoi mezzi di propaganda e di manipolazione a disposizione dello Stato capitalista fino allora sconosciuti. In questo senso, l'isterismo del 1914 non era completamente nuovo. In Germania, già avevamo assistito ad un fenomeno simile durante la Guerra franco-prussiana del 1870. Ma esso prese un nuovo aspetto col cambio di natura della guerra moderna.

La follia della guerra imperialista

Sembra che il movimento operaio abbia sottovalutato la potenza del gigantesco sisma politico, economico e sociale provocato dalla guerra mondiale. Avvenimenti di un livello e di una violenza così colossali, al di là del controllo di ogni forza umana, sono capaci di provocare le più estreme emozioni. Alcuni antropologi pensano che la guerra risvegli un istinto di difesa di "auto-conservazione", cosa che gli esseri umani condividono con altre specie. Vero o no, ciò che è sicuro, è che la guerra moderna risveglia vecchie paure dormienti nella nostra memoria storica e collettiva, trasmesse di generazione in generazione dalla cultura e dalle tradizioni in un modo consapevole o no: la paura della morte, la fame, lo stupro, l’esodo, l'esclusione, la privazione, l'asservimento. Il fatto che la guerra imperialista moderna generalizzata non sia più limitata a soldati di mestiere ma che coinvolga tutta la società ed introduce armamenti aventi un potere distruttivo senza precedenti, non può che aumentare il panico che essa crea. A ciò bisogna aggiungere le profonde implicazioni morali. Nella guerra mondiale, non solo una casta particolare di soldati ma milioni di lavoratori arruolati nell'esercito sono portati ad ammazzarsi. Il resto della società, nelle retrovie, deve funzionare per lo stesso scopo. In questa situazione, i principi morali fondamentali che rendono ogni possibile società umana, non si applicano più. Come dice Rosa Luxemburg: "ogni popolo che intraprende l'assassinio organizzato si trasforma in un'orda barbarica"[7].

Tutto ciò produsse nel momento dell'esplosione della guerra una vera psicosi di massa ed un'atmosfera di pogrom generalizzato. Rosa Luxemburg rende conto del modo in cui le popolazioni di intere città si trasformarono in plebaglia impazzita. I germi di tutta la barbarie del secolo XX secolo, compresi Auschwitz e Hiroshima, erano già contenuti in questa guerra.

Come avrebbe dovuto reagire all'esplosione della guerra il partito dei lavoratori? Decretando lo sciopero di massa? Chiamando i soldati alla diserzione? Un non senso, risponde Rosa Luxemburg. Il primo compito dei rivoluzionari era di resistere a quello che, in passato, Wilhelm Liebknecht aveva definito ciclone di passioni umane quando si riferiva alla guerra del 1870.

"Tali esplosioni de 'l'anima popolare' sono stupefacenti, strabilianti, schiaccianti per la loro furia elementare. Uno si sente impotente, come di fronte ad una potenza superiore. È come una forza maggiore. Essa non ha un avversario tangibile. E' come un'epidemia, presso le persone, nell'aria, dappertutto. (...) Così, questa non era affatto un'epoca in cui era possibile andare contro corrente"[8].

Nel 1870, la Socialdemocrazia nuotò contro corrente. Commento di Rosa Luxemburg: "Essi sono rimasti al loro posto e, per quarant'anni, la Socialdemocrazia è vissuto sulla forza morale con la quale si era opposta ad un mondo di nemici"[9].

E là, essa arriva al punto cruciale della sua argomentazione: "La stessa cosa sarebbe potuta accadere oggi. All'inizio, non avremmo potuto fare altro che salvare l'onore del proletariato, e le migliaia di proletari che muoiono nelle trincee in un'oscurità spirituale, non sarebbero morti in una confusione mentale, ma con la certezza che quello che aveva per loro rappresentato tutto durante la loro vita, l'Internazionale, la Socialdemocrazia liberatrice andava oltre un frammento di sogno. La voce del nostro partito avrebbe agito come guastafeste verso l'avvelenamento sciovinista delle masse. Essa avrebbe preservato il proletariato intelligente dal delirio, ed avrebbe frenato la capacità dell'imperialismo di avvelenare ed ad abbrutire le masse nel giro di poco tempo. Con l'avanzare della guerra, (...) ogni elemento vivente, elementi onesti, progressisti ed umani si sarebbero raccolti sotto la bandiera della Socialdemocrazia"[10].

Conquistare questo "incomparabile prestigio morale" costituisce il primo compito dei rivoluzionari di fronte alla guerra.

Per Kautsky ed i suoi seguaci era impossibile comprendere tali preoccupazioni verso gli ultimi pensieri che avrebbero avuto i proletari in divisa prima di morire. Per lui, provocare la rabbia della folla e la repressione dello Stato una volta esplosa la guerra, era solamente un gesto inutile e vano. Il socialista francese Jaurès aveva dichiarato in passato: l'Internazionale rappresenta tutta la forza morale del mondo. Ora, molti dei suoi vecchi dirigenti non sapevano più che l'internazionalismo non è un gesto vano ma la prova di vita o morte del socialismo internazionale.

La svolta ed il ruolo dei rivoluzionari

Il fallimento del Partito socialista condusse ad una situazione realmente drammatica. Come prima conseguenza, esso permise una perpetuazione apparentemente indefinita della guerra. La strategia militare della borghesia tedesca era la seguente: evitare l'apertura di un secondo fronte, ottenere una vittoria rapida sulla Francia e poi inviare tutte le sue forze sul fronte orientale per provocare la capitolazione della Russia. La sua strategia contro la classe operaia seguì lo stesso principio: coglierlo di sorpresa ed ottenere la vittoria prima che quest'ultimo avesse il tempo di riprendersi dal disorientamento.

A settembre 1914 (Battaglia della Marna), l'invasione della Francia falliva, e, con essa, l'intera strategia fondata su una vittoria rapida. Non solo la borghesia tedesca ma quella di tutto il mondo si trovò intrappolata nel dilemma se ritirarsi o non. Seguirono massacri senza precedente di milioni di soldati, completamente insensati anche dal punto di vista capitalistico. Lo stesso proletariato fu intrappolato nell'assenza di alcuna prospettiva immediata che potesse mettere fine alla guerra con una propria iniziativa. Il pericolo che sorse poi fu la distruzione della principale condizione materiale e culturale per il socialismo: lo stesso proletariato.

I rivoluzionari sono legati alla propria classe come la parte lo è al tutto. Le minoranze non si potranno mai sostituire alla capacità di organizzarsi e alla creatività delle masse, ma la storia ci insegna che esistono circostanze in cui l'intervento dei rivoluzionari può assumere un'importanza determinante.Tali circostanze vanno ricercate nel processo rivoluzionario quando le masse lottano per la vittoria. E' allora fondamentale aiutare la classe a trovare la strada giusta, a riconoscere le trappole tese dal nemico, ad evitare di arrivare in anticipo o in ritardo all'appuntamento con la storia. Ma esse esistono anche nei momenti di sconfitta, quando è vitale trarne i giusti insegnamenti. Tuttavia, in questo caso, è necessario fare delle distinzioni. Di fronte ad una sconfitta schiacciante, questo compito è fondamentale a lungo termine per trasmettere delle lezioni alle generazioni future. Nel caso della sconfitta del 1914, l’impatto decisivo che i rivoluzionari avrebbero potuto avere era così immediato come durante la stessa rivoluzione, e ciò non solo a causa del carattere non definitivo della sconfitta subita, ma perché le condizioni della guerra, facendo letteralmente della lotta di classe una questione di vita o di morte, fecero emergere una straordinaria accelerazione della politicizzazione.

Di fronte alle privazioni della guerra, era inevitabile che la lotta economica della classe si sviluppasse e prendesse immediatamente un carattere apertamente politico, ma i rivoluzionari non potevano aspettare che ciò si verificasse. Il disorientamento della classe, come abbiamo visto, era soprattutto il prodotto di una mancanza di direzione politica. Era perciò responsabilità di tutti quelli che rimasero rivoluzionari nel movimento operaio d'iniziare l'inversione di corrente. Ben prima degli scioperi sul "fronte interno", anche prima delle rivolte dei soldati nelle trincee, i rivoluzionari dovevano mostrarsi ed affermare il principio della solidarietà proletaria internazionale.

Cominciarono questo lavoro in Parlamento denunciando la guerra e votando contro i crediti di guerra. Fu l'ultima volta che questa tribuna fu usata a fini rivoluzionari. Ma ciò fu accompagnato, fin dall'inizio, dalla propaganda e dall'agitazione rivoluzionarie illegali e dalla partecipazione alle prime manifestazioni per chiedere pane. Un compito di elevata importanza per i rivoluzionari era anche quello di organizzarsi per chiarire il loro punto di vista e, soprattutto, stabilire contatti con i rivoluzionari all'estero e preparare la fondazione di una nuova Internazionale. Il Primo Maggio 1916, lo Spartakusbund (la Lega Spartakus), nucleo del futuro partito comunista (KPD), si sentì per la prima volta abbastanza forte per scendere apertamente in strada e massicciamente. Era il giorno in cui, tradizionalmente, la classe operaia celebrava la sua solidarietà internazionale. Lo Spartakusbund indisse manifestazioni a Dresda, Jena, Hanau, Braunschweig e soprattutto a Berlino. 10.000 persone si concentrarono sulla Postdamer Platz per ascoltare Karl Liebknecht denunciare la guerra imperialista. Una battaglia di strada esplose nel vano tentativo di impedire il suo arresto.

Le proteste del Primo Maggio privarono l'opposizione internazionalista del suo più conosciuto leader. Altri arresti seguirono. Liebknecht fu accusato d'irresponsabilità ed anche di esibizionismo. In realtà, la sua azione del Primo Maggio era stata decisa collettivamente dalla direzione dello Spartakusbund. E' vero che il marxismo critica gli atti vani del terrorismo e l'avventurismo, contando sull'azione collettiva delle masse, ma il gesto di Liebknecht fu ben più che un atto di eroismo individuale. Incarnava le speranze e le aspirazioni di milioni di proletari di fronte alla pazzia della società borghese. Come Rosa Luxemburg scriverà più tardi: “Tuttavia non dimentichiamoci che la storia del mondo non si fa senza grandezza di anima, senza elevati principi morale, senza gesti nobili"[11]. Questa grandezza d'anima si estende rapidamente dallo Spartakusbund ai metallurgici. Il 27 giugno 1916 a Berlino, alla vigilia del processo di Karl Liebknecht, arrestato per avere condotto un'agitazione pubblica contro la guerra, una riunione di delegati di fabbriche fu prevista a seguito alla manifestazione illegale di protesta indetta dallo Spartakusbund. All'ordine del giorno c'era la solidarietà con Liebknecht; contro la resistenza di Georg Ledebour, unico rappresentante presente del gruppo d’opposizione all'interno del Partito socialista, l'azione fu proposta per il giorno seguente. Non ci fu discussione. Tutti si alzarono e rimasero in silenzio.

Il giorno seguente alle 9, i tornitori fermarono le macchine delle grandi fabbriche d'armamento del capitale tedesco. 55.000 lavoratori di Löwe, AEG, Borsig Schwarzkopf deposero i loro attrezzi e si riunirono davanti alle porte delle fabbriche. Nonostante la censura militare, la notizia si estese come un lampo attraverso tutto l'impero: gli operai delle fabbriche d'armamento andarono a solidarizzare con Liebknecht! E non solo a Berlino, ma a Braunschweig, sui cantieri navali di Brema, ecc. Azioni di solidarietà vi furono anche in Russia.

La borghesia spedì migliaia di scioperanti al fronte. I sindacati lanciarono nelle fabbriche una caccia ai "caporioni". Ma non appena veniva arrestato qualcuno la solidarietà degli operai aumentava ancora. Solidarietà proletaria internazionale contro la guerra imperialista: era l'inizio della rivoluzione mondiale, il primo sciopero di massa nella storia della Germania.

La fiamma che si era accesa sulla Postdamer Platz si estese ancora più velocemente fra la gioventù rivoluzionaria. Inspirati dall'esempio dei loro capi politici, prima ancora degli esperti metallurgici, i giovani avevano lanciato il primo più grande sciopero contro la guerra. A Magdeburgo e, soprattutto, nello Braunschweig che era un bastione di Spartakus, le manifestazioni illegali di protesta del Primo Maggio si trasformarono in un movimento di sciopero contro la decisione del governo di versare d'autorità una parte del salario degli apprendisti e dei giovani operai su un conto speciale per finanziare lo sforzo di guerra. Gli adulti entrarono in sciopero di sostegno. Il 5 Maggio, le autorità militari dovettero ritirare questa misura per impedire una maggiore estensione del movimento.

Dopo la battaglia dello Skagerrak nel 1916, solo ed unico scontro di tutta la guerra tra i marinai britannici e tedeschi, un piccolo gruppo di marinai rivoluzionari progettò di impadronirsi della corazzata Hyäne e deviarla verso la Danimarca per fare "una dimostrazione di fronte al mondo intero" contro la guerra[12]. Anche se questo progetto venne rivelato e fatto fallire, esso prefigurava le prime rivolte aperte che ebbero luogo nella marina di guerra, a partire dall’ agosto 1917. Queste presero il via dalle paghe e dalle condizioni di vita degli equipaggi. Ma, rapidamente, i marinai posero un ultimatum al governo: o terminate la guerra, o noi scendiamo in sciopero. Lo Stato rispose con un'ondata di repressione. Due leader rivoluzionari, Albin Köbis e Max Reichpietsches, furono giustiziati.

Dalla metà di aprile 1917, un'ondata di scioperi massicci ebbe luogo a Berlino, Lipsia, Magdeburgo, Halle, Braunschweig, Hannover, Dresda e nelle altre città. Anche se i sindacati e la SPD non osarono più opporsi apertamente, tentarono comunque di limitare il movimento a questioni economiche; ma i lavoratori di Lipsia avevano formulato una serie di richieste politiche - in particolare fermare la guerra - che furono riprese in altre città.

Gli ingredienti di un profondo movimento rivoluzionario esistevano dunque fin dall'inizio 1918. L'ondata di scioperi di aprile 1917 costituì il primo intervento massiccio di centinaia di migliaia di operai in tutto il paese per difendere i loro interessi materiali su un terreno di classe ed opporsi direttamente alla guerra imperialista. Questo movimento fu anche inspirato dalla rivoluzione che era cominciata in Russia a febbraio 1917 e solidarizzava apertamente con questa. L'internazionalismo proletario si era impadronito del cuore della classe operaia.

D'altra parte, con il movimento contro la guerra, la classe operaia aveva ricominciato a produrre la propria direzione rivoluzionaria. Non si trattava solo dei gruppi politici come lo Spartakusbund o la Sinistra di Brema che formeranno nel 1918 il KPD (Partito Comunista tedesco). Parliamo anche della comparsa di strati altamente politicizzati e di centri di vita e di lotta di classe, legati ai rivoluzionari e che simpatizzavano con le loro posizioni. Uno di questi centri si trovava nelle città industriali, in particolare nella metallurgia, e si esprimeva nel fenomeno dell’Obleutes, delegati di fabbriche. "Nella classe operaia industriale esisteva un piccolo nucleo di proletari che non solo rigettavano la guerra, ma che avevano voluto impedire la sua esplosione a qualsiasi costo; e quando scoppiò, decisero che era loro dovere di farla smettere con tutti i mezzi. Erano pochi. Ma persone molto determinate ed attive. Costituivano la contrapposizione a quelli che andavano a morire al fronte per i loro ideali. La lotta contro la guerra nelle fabbriche e negli uffici non conosceva la stessa celebrità della lotta al fronte ma essa comportava gli stessi pericoli. Quelli che la conducevano erano motivati dai più alti ideali dell'umanità"[13].

Un altro di questi centri esisteva nella nuova generazione di operai, fra gli apprendisti ed i giovani operai che non avevano altra prospettiva che essere spediti a morire nelle trincee. Il centro di gravità di questo fermento fu costituito dalle organizzazioni della gioventù socialista che, già prima della guerra, si era caratterizzato rivoltandosi contro "la routine" che stava caratterizzando la vecchia generazione.

Anche all'interno delle forze armate, dove la rivolta contro la guerra impiegò più tempo per svilupparsi rispetto al fronte "interno", si stabilì una posizione politica avanzata. Come in Russia, il centro di resistenza nacque fra i marinai che erano in diretto contatto con gli operai e le organizzazioni politiche nei loro porti d'ormeggio ed il cui lavoro e le condizioni di vita somigliavano molto a quelle degli operai delle fabbriche, da cui in generale essi provenivano. Inoltre, molti marinai furono arruolati nella marina mercantile "civile", e questi erano giovani che avevano viaggiato in tutto il mondo e per i quali la fraternità internazionale non era una formula ma un modo di vita.

Inoltre, la comparsa e la moltiplicazione di queste concentrazioni di vita politica s'accompagnavano ad un'intensa attività teorica. Tutti i testimoni diretti di questo periodo danno conto dell'alto livello teorico dei dibattiti nelle riunioni e nelle conferenze illegali. Questa vita teorica trova la sua espressione nella brochure di Rosa Luxemburg La crisi della Socialdemocrazia, negli scritti di Lenin contro la guerra, negli articoli della rivista di Brema Arbeiterpolitik ed, anche, nella massa di volantini, manifesti e dichiarazioni che circolavano nell'illegalità più totale e che fanno parte delle più profonde e coraggiose produzioni della cultura umana realizzata durante il XX secolo.

Era stata raggiunta la tappa perché venisse aperta la tempesta rivoluzionaria contro uno dei più potenti e più importanti bastioni del capitalismo mondiale.

La seconda parte di questa serie tratterà delle lotte rivoluzionarie del 1918. Esse ebbero inizio dagli scioperi massicci del gennaio 1918 e dal primo tentativo di formare dei consigli operai in Germania che culminarono negli eventi rivoluzionari del 9 novembre che posero fine alla Prima Guerra mondiale.

Steinklopfer



[1] Decisione presa dal Congresso del Partito tedesco a Mannheim, nel 1906.

[2] Nelle sue memorie sul movimento della gioventù proletaria, Willi Münzenberg che era a Zurigo durante la guerra, ricorda il punto di vista di Lenin: "Lenin ci ha spiegato l'errore di Kautsky e della sua scuola teorica di falso marxismo che si attende tutto dallo sviluppo storico dei rapporti economici e quasi niente dai fattori soggettivi d'accelerazione della rivoluzione. All'opposto, Lenin ha sottolineato il significato dell'individuo e delle masse nel processo storico. Ha sottolineato la tesi marxista secondo la quale sono soprattutto gli uomini che, nel quadro di rapporti economici determinati, fanno la storia. Questa insistenza sul valore personale degli individui e dei gruppi nelle lotte sociali ha determinato in noi una grande impressione e ci ha incitati a fare i più grandi sforzi possibili". (Münzenberg, Die Dritte Front "Il terzo fronte" tradotto da noi dal tedesco).

[3] Difendendo giustamente, contro Bernstein, l'esistenza di una tendenza alla scomparsa degli strati intermedi ed alla tendenza alla crisi ed all'impoverimento del proletariato, la sinistra tuttavia non riuscì a capire fino a che punto il capitalismo era temporaneamente arrivato, negli anni che hanno preceduto la guerra, ad attenuare queste tendenze. Questa mancanza di chiarezza si esprime, per esempio nella teoria di Lenin su "l'aristocrazia operaia" secondo la quale solamente una minoranza privilegiata e non grandi settori della classe operaia, aveva ottenuto degli aumenti salariali sostanziali. Ciò portò a sottovalutare l'importanza della base materiale sulla quale si erano sviluppate le illusioni riformiste che hanno permesso alla borghesia di mobilitare il proletariato nella guerra.

[4] "I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione", 28 maggio 1917.

[5] "Rosa Luxemburg Speaks" "Discorsi di Rosa Luxemburg" nella Crisi della Socialdemocrazia, Pathfinder Press 1970, tradotta dall'inglese da noi.

[6] Richard Müller, Vom Kaiserreich zur Republik, 1924-25 ("Dall'Impero alla Repubblica"), tradotto da noi dal tedesco.

[7] "Rosa Luxemburg Speaks" "Discorsi di Rosa Luxemburg" ibid. nota 5.

[8] Ibid., nota 5.

[9] Ibid., nota 5.

[10] Ibid., nota 5.

[11] Ibid., nota 5.

[12] "Against Capital Punishment", novembre 1918, ibid., nota 5.

[13] Dieter Nelles: Proletarische Demokratie und Internationale Bruderschaft - Das abenteuerliche Leben des Hermann Knüfken.

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