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Le borghesie di tutti i paesi più sviluppati, ognuna per la difesa dei propri interessi imperialisti, compresi gli Stati Uniti, hanno salutato il piano Baker sulla politica estera americana, elaborato da un gruppo di studio comprendente alti responsabili politici americani, conservatori e democratici. Dopo la scottante sconfitta del presidente Bush e della sua amministrazione alle ultime elezioni americane per il rinnovo delle camere dei rappresentanti, provocata essenzialmente dall'insuccesso totale della politica imperialista degli Stati Uniti in Afghanistan e ancora più in Iraq, la borghesia americana doveva tentare di reagire. L’impantanarsi crescente del suo esercito in Iraq, l’assenza totale di prospettive, ed un caos crescente sono le manifestazioni dell’indebolimento della prima potenza imperialista. In un vicolo cieco totale, la borghesia americana stava già lavorando da mesi ad un nuovo orientamento che si voleva più credibile e meglio adattato alla difesa dei propri interessi imperialisti. La costituzione della commissione di inchiesta sull’Iraq ed il suo rapporto corrispondono a questa esigenza.
L’imperialismo americano non potrà impedire il suo indebolimento sull’arena mondiale
Questo piano affronta tutta la politica imperialista degli Stati Uniti. Esso parte dalla constatazione, sotto gli occhi di tutti, dell’assenza totale di possibilità di riuscita della politica di guerra americana in Iraq. Ma ancora di più, sottolinea lo sviluppo della politica anti-americana ed anti-israeliana in tutto il Vicino e Medio Oriente. Questo rapporto sembra quindi esprimersi contro la politica portata avanti da anni dagli Stati Uniti in questa parte del mondo. Preconizza un ritiro progressivo delle truppe americane dall’Iraq ed il rafforzamento dell’esercito irakeno che dovrebbe passare sotto la direzione del primo ministro Nuri Kamal Al-Maliki. Mentre gli attentati si succedono tutti i giorni, con un governo totalmente impotente ed un esercito americano rinchiuso nei campi fortificati, una tale proposta appare immediatamente per quello che è: irrealistica ed inapplicabile. Tanto è vero che il piano Baker si guarda bene dal precisare la data limite per il ritiro delle truppe americane dall’Iraq. Ed è così per tutte le altre proposte sostenute da questo rapporto. Colpiscono inoltre, alla lettura del rapporto, le proposte di riannodare un dialogo ufficiale con la Siria e l’Iran. Il rapporto precisa: “L’Iran deve ricevere proposte incentivanti, come il ristabilirsi delle relazioni con gli Stati Uniti, e dissuasive per fermare l’afflusso di armi destinate alle milizie irachene. Il paese deve essere integrato al Gruppo di studio sull’Iraq” (Courrier International del 14 dicembre 2006). Questa proposta del rapporto è talmente irrealistica che mostra chiaramente il vicolo cieco totale degli Stati Uniti in Iraq, e peggio ancora, la loro incapacità crescente a limitare le accresciute esigenze siriane ed iraniane. L’impossibilità per l’esercito americano di risolvere la situazione in Iraq spinge la borghesia americana a considerare di associare l’Iran nel tentativo di gestire il caos iracheno. Questa alternativa politica potrebbe tradursi solo in ulteriori pretese dell’Iran riguardo allo sviluppo della sua arma nucleare, ma anche verso l’insieme del vicino e Medio Oriente. Pretese e passi in avanti dell’imperialismo iraniano che né Israele, né gli stessi Stati Uniti, sarebbero in grado di sopportare. È molto probabile che, nei mesi a venire, il tono dei discorsi americani sulla politica internazionale sia più misurato e faccia più appello ad una “collaborazione internazionale”, su quella che la borghesia chiama la lotta contro il terrorismo internazionale. Nel caso molto improbabile che questa passasse, si determinerebbe una situazione ancora più caotica. Un segnale in tal senso ci viene dalla dichiarazione del re dell’Arabia Saudita Abdallah al vice presidente americano Dick Cheney, in visita qualche settimana fa a Riyad: “L’Arabia Saudita ha fatto sapere all’amministrazione Bush che in caso di ritiro delle truppe americane il regno potrebbe portare un sostegno finanziario ai sunniti in Iraq in qualsiasi conflitto che li opporrebbe agli Sciiti”. (Courrier International del 13 dicembre 2006). Gli Stati Uniti sono totalmente impantanati in Iraq. Nessuna delle opzioni considerate sul piano militare è soddisfacente per l’imperialismo americano. L’accresciuta contestazione alla supremazia americana non solo da parte dell’Iran, ma anche da parte di potenze imperialiste come la Francia, la Germania o la Russia, non può che spingere in futuro gli Stati Uniti, con l’evolvere della loro politica in Iraq, in una fuga in avanti sul piano militare, sempre più omicida e barbara. In questo capitalismo in piena decomposizione, le distruttive ed irrazionali azioni militari sono ancora e più che mai davanti a noi.
Rossi (da Révolution Internationale n.375)