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Berlusconi & company possono certamente restare soddisfatti per come hanno giocato le loro carte nell’avventura irachena. Senza neanche mettere in pericolo un solo soldato, Berlusconi può adesso sedere al tavolo dei vincitori e mandare finanche le proprie truppe di occupazione… pardon, gli uomini per l’ennesima missione umanitaria. Anche se le difficoltà e le divisioni interne alla borghesia nazionale hanno imposto al governo di centro-destra un atteggiamento prudente nei confronti del conflitto, alla fin fine Berlusconi ha concesso parecchio agli alleati anglo-americani. Anzitutto a livello logistico, permettendo ai mezzi e alle truppe americani di transitare per l’Italia, usando le ferrovie e i porti della penisola che, per la sua posizione geografica, costituisce un ottimo ponte tra l’Europa e il Medio Oriente. In secondo luogo a livello politico: l’adesione dell’Italia alla famosa lettera di intenti degli otto paesi europei che si sono schierati a favore della causa americana e quindi per il conflitto ha costituito, prima ancora che un atto di appoggio agli alleati anglo-americani, una rottura del fronte europeo e una grana di non poco conto per quelli che, come Francia, Germania e lo stesso presidente della Commissione Europea Prodi, puntavano a fare di questa sfida sulla questione irachena un passaggio nel processo di costruzione di una unità politica europea. Questo Berlusconi glielo doveva agli USA nella misura in cui, se oggi abbiamo in Italia questo governo, è anche per l’interferenza americana nella politica italiana.
Lo scontro interno alla borghesia
Ma naturalmente più Berlusconi spinge in questa direzione, più i rapporti interni con le altre forze politiche della borghesia italiana, orientate verso un’opzione di maggiore autonomia, diventano difficili. Ricordiamo che, dopo lo sfaldamento dei due blocchi imperialisti avvenuto dopo l’autunno ‘89, in Italia c’è stato un sotterraneo processo di liberazione nazionale dalla tutela americana che si è espresso attraverso la lotta alla mafia e i processi a esponenti dei partiti governativi DC e PSI (la famosa tangentopoli) allo scopo di tagliare ogni legame tra gli USA e i suoi referenti in Italia (appunto la mafia e gli esponenti dei governi di 40 anni di influenza americana). Quello che abbiamo oggi è la compresenza delle due opzioni imperialiste che si fronteggiano e che, in situazioni acute come questa, escono allo scoperto e si combattono ferocemente. Questo spiega la riacutizzazione dello scontro a cui stiamo assistendo in questo momento che è diventato violentissimo, con affermazioni che non hanno riscontri nel passato come quella del primo ministro che accusa i magistrati di essere golpisti e faziosi. Accanto a questo c’è un gioco di ricatti incredibile nella misura in cui Berlusconi si è permesso di dire che, se i magistrati avessero insistito con il loro atteggiamento persecutorio, egli avrebbe rivelato delle cose su Prodi. D’altra parte le forze di governo stanno cercando di blindare ulteriormente le loro posizioni con il cosiddetto lodo Meccanico, cioè con il ripristino dell’immunità per le alte cariche dello stato che, probabilmente, finirà per essere estesa a tutti i parlamentari. Come dire che, se proprio la sinistra insiste con il mettere sotto pressione Berlusconi, la destra è pronta a rompere il gioco e a spostare le carte su un altro tavolo.
Ma le sinistre che fanno, oltre a “tormentare” il governo?
Le sinistre, sia chiaro, non sono per principio contrarie alla politica del governo Berlusconi. D’altra parte non c’è nessun atto del governo attuale che sia qualitativamente dissimile da quelli precedenti di centro-sinistra: le mani in tasca ai lavoratori le hanno messe gli uni quanto gli altri, la guerra l’hanno fatta anche, e in maniera ben più esplicita, i governi di sinistra! L’aspetto più importante che divide destra da sinistra è appunto la scelta di campo internazionale, filo-atlantismo per Berlusconi, posizione blandamente europeista per il centro-sinistra.
A parte dunque questo contrasto sull’opzione internazionale, le sinistre in genere hanno come compito specifico e peculiare quello di controllare la classe operaia per deviarla dal suo terreno di lotta. E’ per questo che stiamo assistendo in questi giorni all’ennesima fregatura, quella relativa al referendum sull’estensione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori ad aziende con meno di 15 lavoratori. Questo referendum, come tutti gli altri, è una tipica operazione di mistificazione della borghesia. La classe dominante ha i suoi normali strumenti per legiferare, che sono il parlamento e - oggi come oggi - sempre più lo stesso esecutivo. Il referendum si pone quindi come una prova del nove per la borghesia per dimostrare alla popolazione che, se vuole, può esprimere in prima persona il suo parere. Di qui tutto il suo carattere mistificatorio dato che, come è noto, la borghesia con i suoi mass-media è capace di controllare qualunque scelta popolare. D’altra parte, nella misura in cui una vittoria del referendum porrebbe qualche problema alla borghesia perché, almeno in prima istanza, dovrebbe accettare le limitazioni nelle condizioni di licenziamento nelle aziende di più piccola taglia, si vede pure come la stessa sinistra si sia disunita sulla scelta del referendum per disperdere i voti e preparare una sconfitta alla prossima scadenza del 15 giugno. Ma la maniera migliore perché i lavoratori non subiscano alcuna sconfitta a questo referendum è capire che il referendum, comunque vada, è una truffa, che i lavoratori non devono seguire le lusinghe dei falsi partiti operai e dei sindacati che hanno tutti tradito la causa del proletariato. Le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia non si possono modificare con un voto. Solo la lotta delle masse operaie può modificare i rapporti di forza.
Ezechiele,1/6/03