Published on Corrente Comunista Internazionale (https://it.internationalism.org)

Home > Rivoluzione Internazionale - 2000s > Rivoluzione Internazionale - 2009 > Rivoluzione Internazionale n°160

Rivoluzione Internazionale n°160

  • letto 4 volte

G20 e la crisi economica mondiale. Lo stato non è in grado di salvarci

Adesso che è finito il summit del G20 a Londra, qual è il messaggio che i capi della terra vogliono farci ricevere da questa ‘storica riunione’?

Prima di tutto che i capi del mondo e gli stati che loro rappresentano sono in grado di affrontare la catastrofe economica che minaccia il sistema capitalista. Come ha detto Gordon Brown il 2 aprile: “questo è il giorno in cui il mondo si è unito nella lotta contro la recessione globale non con le parole ma con un piano per una ripresa globale.”

Però questo ‘mondo’ del G20 si basa sulla concorrenza per i mercati. Un capitalista può prosperare solo a spese di un altro e lo stesso vale per i paesi capitalisti. Naturalmente hanno anche interessi in comune: devono tutti cooperare per tenere sotto controllo gli schiavi salariati, o anche sono riluttanti nel lasciare nazioni intere andare in fallimento anche quando sono loro concorrenti perché queste sono anche mercati per la loro merce o perché debitori. Ma non possono realizzare i loro profitti in un circolo infinito vendendo l’uno all’altro e perciò soffrono la maledizione della sovrapproduzione – il blocco dei mercati che porta alla bancarotta, il collasso delle industrie e la pandemia della disoccupazione.

La crisi attuale di sovrapproduzione è causata, non come dicono gli esperti economici da qualche ‘disequilibrio’ temporaneo dell’economia mondiale, ma dai rapporti sociali di base del capitalismo, dove la grande massa della popolazione produce ‘plusvalore’ che può essere realizzato solo tramite una estensione costante del mercato. Non essendo più in grado di espandersi dentro ciò che Marx chiamava i ‘campi di produzione esterni’  e conquistare nuovi mercati fuori di se stesso, il capitalismo per decenni ha affrontato questo problema nel rimpiazzare i veri mercati con il mercato artificiale del debito. Il ‘crollo del credito’ di oggi ha mostrato brutalmente i limiti di quel rimedio che adesso è diventato un veleno che erode il cuore stesso dell’economia.

Il ‘piano per una ripresa mondiale’ di Brown  è in realtà un piano per lo stesso tipo di falsa ripresa che abbiamo visto così spesso durante gli ultimi 40 anni - una ripresa basata sulla bolla del credito.

Lo stato non è in grado di salvarci

Naturalmente ci dicono che non possiamo permetterci di andare avanti come negli ultimi decenni. Lasciato a se stesso il ‘mercato libero’ porterà ad una depressione devastante come è successo negli anni ’30  e come minaccia di fare adesso. Allora ciò di cui abbiamo bisogno è molto più intervento statale per impedire che l’avarizia dei banchieri e speculatori sfugga ai controlli, trovare (o semplicemente stampare) i soldi necessari per stimolare l’economia e nazionalizzare le banche e altri settori economici chiave quando non c’è più altro da fare. Questo è il nuovo ‘keynesianismo’ che viene presentato come la soluzione al ‘neoliberismo’.

Ciò che non ci viene detto è che il ‘neoliberismo’ – con la sua enfasi sull’introduzione della concorrenza diretta in ogni aspetto dell’economia, sulla privatizzazione, sul ‘libero’ movimento dei capitali nelle aree del mondo dove la forza lavoro può essere sfruttata ad un prezzo molto più basso - era concepito come una risposta al fallimento del ‘keinesianismo’ alla fine della ripresa boom del dopoguerra negli anni ’70, quando l’economia mondiale iniziava ad affossarsi nelle paludi della stagflazione - recessione combinata con l’inflazione alle stelle.

Un'altra cosa che non ci viene detta è che il neoliberismo - includendo la sua recente meravigliosa invenzione, il ‘boom delle case’ – è stato fin dall’inizio una politica decisa e coordinata dallo Stato. Quindi tutte le politiche economiche fallite degli ultimi 40 anni, keinesiane o neoliberali sono fallimenti del capitalismo controllato o diretto dallo Stato.

Come può essere altrimenti? Lo Stato, come ha mostrato Engels attorno al 1880, non è altro che il capitalista collettivo ideale. La sua funzione non è di eliminare i rapporti capitalisti ma di preservarli a tutti i costi. Se le contraddizioni dell’economia mondiale si trovano nella fondamentale relazione sociale del capitalismo, lo Stato capitalista non può fare di più che cercare di tenere a bada gli effetti di queste contraddizioni.

Il capitalismo non può mettere mai le persone al primo posto

I mass media ufficiali cercano in tutti i modi di convincerci che dobbiamo avere fiducia nelle buone intenzioni dei leader del mondo. Hanno parlato soprattutto della politica del ‘cambiamento’, personificata in Barack Obama e la sua adorabile moglie. Ma in Francia e Germania Sarkozy e Merkel hanno recitato come politici pronti a contrastare  il potere americano e gli ‘irresponsabili’ imbrogli fiscali degli anglosassoni.

Ma questo lavoro di copertura ideologica non è perfetto. Non può passare inosservato, per esempio, che il G20 è un club delle economie più potenti del mondo e per questo motivo può essere che non si preoccupi troppo degli effetti delle sue decisioni sui popoli più poveri del mondo. Una delle decisioni del G20 è stata di aumentare il ruolo del Fondo Monetario Internazionale negli affari economici del mondo. Lo stesso FMI che ha guadagnato una spaventosa reputazione nell’imporre un’austerità draconiana in cambio del sostegno delle economie più deboli del mondo. Analogamente alla faccia delle previsioni sempre più pessimistiche di una imminente catastrofe ecologica era palese che il cambiamento del clima apparisse nelle decisioni dei capi del mondo non più di una semplice nota.

Allora a chi tocca il compito di abbellire il tutto? Questo è il ruolo della sinistra – le persone che organizzano grandi manifestazioni chiamando i leader del mondo a “mettere le persone al primo posto”. La coalizione dei sindacati, i gruppi della sinistra, le associazioni ambientaliste, religiose e caritatevoli, quelli che fanno campagne contro la povertà e gli altri che hanno fatto un appello per la manifestazione nazionale del 28 marzo esigevano un “processo trasparente e responsabile per riformare il sistema finanziario internazionale” che “ richieda il consulto di tutti i governi, parlamenti, sindacati e società civili, con le Nazioni Unite che giocano un ruolo chiave”. Loro pretendono che “queste raccomandazioni prevedono un pacchetto integrato per aiutare i leader del  mondo a trovare una via d’uscita dalla recessione” e può aprire la strada ad “un nuovo sistema che cerchi di far sì che l’economia lavori per le persone e il pianeta” con “il governo democratico dell’economia”, “posti di lavori decenti e servizi pubblici per tutti”, e “una economia verde” e così via.

Queste forze politiche non combattono in nessun modo la menzogna che lo Stato capitalista può trovare una via d’uscita dalla catastrofe in cui ci ha portato. Loro dicono semplicemente che nel mobilitare il ‘popolo dal basso’ noi possiamo mettere una sufficiente pressione sullo Stato per fargli assumere politiche veramente democratiche, umane ed ecologiche di cui approfitterà l’umanità e il pianeta. In altre parole vendono illusioni e ci incoraggiano a utilizzare le nostre energie per le riforme di un sistema sociale che non è riformabile ed è destinato a morire.

La resistenza non è inutile

Un altro messaggio proclamato ad alta voce all’incontro del G20: la resistenza è inutile. Evidentemente, dice la linea ufficiale, noi rispettiamo il diritto del popolo di protestare pacificamente e democraticamente. Possiamo anche capire perché le persone sono arrabbiate con questi banchieri avari. Ma se si va oltre i limiti della protesta accettabile e se sei preso, o più precisamente, ‘intrappolato’ dalle ben addestrate e armate truppe di polizia che ti tengono bloccato per ore, non importa se tu sei un anarchico con una maschera nera o una persona anziana o disabile che cerca disperatamente un bagno. L’utilizzo di questa tattica il primo giorno del G20  a Londra è stata una dimostrazione deliberata della repressione statale con lo scopo di scoraggiare lo scontento sociale e la rivolta che la borghesia sa bene che è all’orizzonte di ogni paese.

Non è danneggiando una banca nel contesto di una dimostrazione pianificata (come è stato il 1 aprile a Londra) che si ha una rivolta. Ma i segni di un genuino e massiccio scontento sociale sono abbastanza chiari quando tu guardi le recenti ondate di ribellioni degli studenti, insegnanti, disoccupati e molti altri che sono avvenute in Europa recentemente, culminando nel dicembre greco; gli scioperi selvaggi nelle raffinerie in Gran Bretagna, le occupazioni delle fabbriche contro i licenziamenti in Francia, Waterford, Belfast, Basildon e Enfield; gli scioperi di massa in Egitto, Bangladesh, o nelle Antille; i moti per la fame in una dozzina di paesi. I segni sono visibili anche nel numero crescente di giovani che discutono idee rivoluzionarie su internet, che formano circoli di discussione, mettono in discussione le false soluzioni offerte dai mass media ufficiali e di ‘sinistra’, che aprono il dibattito con le organizzazioni comuniste… Tutti questi sono i verdi germogli della rivoluzione che vengono nutriti dalla crisi del capitalismo in tutto il pianeta.

La resistenza non è inutile. Resistere agli attacchi economici del capitalismo e alla repressione politica, resistere ai suoi veleni ideologici è solo il punto iniziale per un vero movimento per cambiare il mondo.

(4/3/9, tradotto da WR n°323)

C’è la crisi, la borghesia fa quadrato

Non sarà sfuggito a nessuno l’inedito clima che si vive in Italia a livello di vita politica: un clima di “unità nazionale”, di “non disturbiamo il manovratore”. Sembra quasi di essere in un paese a regime unico, in cui non c’è una dialettica parlamentare, con un governo da un lato e un’opposizione che lo tallona e lo critica dall’altro . Questo atteggiamento dell’opposizione disorienta anche i militanti dei relativi partiti che non capiscono, si arrabbiano, pensano che sia colpa dei “dirigenti” non all’altezza. In realtà, i motivi sono altri e proveremo a ricordarli.

Intanto va osservato che di motivi per fare un’opposizione dura ce ne sarebbero - e come! - visto lo stato del paese e la maniera in cui il governo lo affronta. Innanzitutto siamo all’interno di una crisi economica che gli stessi commentatori borghesi descrivono come la più grave della storia, almeno dopo quella catastrofica del 1929. Una crisi che ha già visto fallimenti e chiusure di aziende, con tutte le conseguenze che ne derivano sul livello di vita delle persone. Ci sono tante famiglie che ormai non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese, altre che rischiano di vedersi portare via la casa perché non riescono più a pagare il mutuo. Per non parlare dei tanti giovani precari che, anche quando riescono a mantenere il posto di lavoro, ricevono salari così miseri che non possono nemmeno pensare di mettere su famiglia, o dei pensionati al minimo che ormai vivono in una situazione di vera e propria povertà.

Di fronte a questa catastrofe sociale cosa ha fatto il governo Berlusconi? Poco o niente. Ha iniziato con la farsa della “social card”, un’elemosina per poche centinaia di migliaia di anziani che, in realtà, è stata più un’umiliazione per tutte le file e le domande che questi anziani hanno dovuto fare piuttosto che un vero sollievo per le loro condizioni materiali. Dopo di questo, è venuto solo un incremento dei fondi della cassa integrazione, a conferma dell’impotenza a dare un vero impulso all’economia.

E’ vero che, da marxisti, noi sappiamo che il capitalismo non ha soluzioni vere alla crisi, ma questo non impedisce ai governi di altri paesi di provarci con diverse misure - e in primo luogo con massicci investimenti dello Stato - cosa che invece il governo Berlusconi non prova neppure.

E dove sono le critiche della cosiddetta opposizione a questa inerzia? Pressoché inesistenti, e soprattutto episodiche, anche da parte dei sindacati, di quella stessa CGIL che pure ambisce a presentarsi come il sindacato più combattivo.

Ancora più chiara la mancanza di opposizione è stata al momento del recente terremoto in Abruzzo. Mentre la prima preoccupazione di Berlusconi è stata di sminuire i disagi sopportati dai terremotati e di esaltare “il pronto intervento” della Protezione civile, l’opposizione che ha fatto? Con qualche piccola eccezione (1) ha fatto il coro a Berlusconi, limitando la sua autonomia di giudizio alle riserve sulla capacità del governo di essere rapido nella ricostruzione o alle sue scarse idee su come finanziarla.

Eppure anche qui di motivi di critiche ce ne sono tanti. Innanzitutto perché non è vero che l’emergenza è stata affrontata in maniera adeguata: a quindici giorni dal terremoto ci sono ancora tende senza riscaldamento, con la temperatura vicino allo zero, e paesi in cui gli aiuti sono nettamente insufficienti. Ma quello che indigna ancora di più è l’indifferenza con cui è stato affrontato il rischio di terremoto, in una zona dove da mesi si susseguivano scosse, e di fronte a diversi allarmi. A partire dalla casa dello studente, in cui erano apparse crepe già da settimane e dove gli studenti impauriti sono stati convinti a restare da un sopralluogo fatto da un architetto! (2) Per seguire con la inascoltata relazione tecnica sulla Prefettura, che ne aveva dichiarato l’assoluta inadeguatezza statica (e quindi a sicuro crollo in caso di terremoto): le Prefetture dovrebbero essere tutte a sicurezza sismica assoluta, visto che sono anche il luogo in cui si deve riunire lo stato maggiore della Protezione civile in caso di disastro! Sembra infine che pochi giorni prima del terremoto il sindaco abbia chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza, senza ricevere risposta, così come è rimasta senza risposta una lettera dello stesso sindaco che, a seguito delle scosse delle settimane prima, lamentava lo stato di sicurezza di diversi edifici pubblici, a partire dalle scuole, due delle quali erano state sgomberate dal sindaco stesso.

Insomma, se è vero che, in generale, la scienza non è ancora in grado di prevedere i terremoti, in questo caso c’era molto di più di una forte probabilità che il sisma ci sarebbe stato e che molti edifici erano a rischio. Di fronte a questa quasi certezza, il governo non ha mosso un dito, sperando che alla fine non succedesse niente (3).

Ma queste notizie, disponibili sui quotidiani, non hanno cambiato di un millimetro l’atteggiamento dell’opposizione al governo, che continua a limitare la sua critica alla maniera in cui si dovrebbero reperire i soldi per la ricostruzione.

Gli esempi di questa mancanza di una vera opposizione potrebbero continuare, come per esempio il quasi silenzio dell’opposizione di fronte agli interventi repressivi con cui la polizia ha fatto fronte alle proteste operaie contro la crisi, ma crediamo che ce ne sia abbastanza per non doverlo ancora dimostrare, e vedere invece quali ne sono i motivi reali.

Il motivo è uno solo, e di questo dovrebbero infine convincersi tutti quei militanti che sinceramente aderiscono a queste forze credendo che esse possano fare gli interessi dei lavoratori: tutti questi partiti della sinistra parlamentare ed extra (4), sono comunque partiti borghesi, la cui prima preoccupazione è quella di difendere gli interessi del capitale nazionale. E in questa situazione di crisi storica del capitale, la difesa di questo capitale passa innanzitutto per la preoccupazione di impedire che la classe operaia possa sviluppare le sue lotte per difendersi dalle conseguenze della crisi. Per impedire questo, i toni rimangono bassi, bisogna dare l’idea che non è che si può fare molto, che bisogna solo avere la pazienza di aspettare che “passi la nottata”. Nel momento del bisogno, tutte le forze borghesi si uniscono, a far fronte comune, come avviene anche nei momenti delle Sacri Unioni di fronte alle guerre. In questo caso il nemico non è una potenza straniera, ma il proprio proletariato, ed è di fronte a questo che bisogna fare fronte, anche a costo di rinunciare a screditare la controparte politica a fini elettoralistici.

Anche questo ci fa capire quanto delicata sia la situazione del capitale: questo organismo è così malato che i suoi difensori non vogliono correre nessun rischio e si stringono attorno al suo capezzale per vedere come difenderlo al meglio.

Probabilmente, di fronte a lotte dei lavoratori più ampie e massive, i partiti della sinistra borghese dovranno tornare ad una opposizione dura, perché in quel caso, non potendo impedire alle lotte di nascere, si tratterà per essi di prenderne il controllo per cercare di portarle alle sconfitte.

E’ perciò che comprendere la natura di fondo di queste forze è importante già da oggi, in modo da saperle affrontare quando cercheranno di sabotare le future lotte dall’interno.

19/04/09          Helios

1. C’è Di Pietro che a Berlusconi ne canta di tutti i colori. Ma il suo partito ha bisogno di visibilità, e una voce sola fuori dal coro non può certo far danni.

2. Per fortuna molti studenti non si sono fidati e si sono salvati perché dormivano fuori dalla casa.

3. Qui misuriamo tutto il cinismo della borghesia, per la quale la vita umana non vale niente: il solo calcolo che il governo ha fatto è stato il costo che avrebbe comportato un intervento preventivo, affidandosi alla buona sorte!

4. Infatti non è solo il PD a non fare opposizione, ma anche le varie Rifondazioni e PDCI, che ancora stanno sotto lo shock della perdita delle poltrone parlamentari.

Situazione italiana: 

  • politica della borghesia in Italia [1]

La crisi economica fa aumentare gli sfratti per morosità (contributo di un simpatizzante)

Ben 150 mila famiglie potrebbero presto restare senza abitazione; è sempre più forte la difficoltà delle famiglie in affitto sostenere gli attuali livelli di mercato. Data l’insostenibilità dei canoni, delle spese per l’abitazione e dell’aggravarsi della situazione economica e occupazionale, si prevede che altre 150.000 famiglie perderanno la propria abitazione subendo uno sfratto per morosità, incapaci di far fronte al pagamento dell’affitto. Il mercato dell’affitto privato è caratterizzato da quella famiglia tipo che oggi più che mai subisce gli effetti della crisi economica: il 20,5% dei nuclei sono unipersonali, il 67% delle famiglie in affitto percepisce un solo reddito e in queste il 39,6% è rappresentato da operai e il 29,2% da pensionati, più di un quinto dei capofamiglia ha oltre 65 anni e un quarto è costituito da donne. Uno spaccato sociale che, alla luce della gravissima crisi economica, potrebbe avere conseguenze nefaste per uno dei beni essenziali: la casa. Per le famiglie dove spesso l’unica entrata è un reddito da lavoro dipendente o una pensione, l’affitto incide con percentuali insostenibili: tra il 40 e il 50% a Genova e Torino, tra il 50 e il 70% a Bologna e Firenze, oltre il 70% a Milano e Roma. In generale, le spese totali per l’abitazione gravano sul reddito mediamente tra il 50 e il 70%, con i casi eclatanti di Milano e Roma, dove l’incidenza oscilla tra l’82 e il 92%. A fronte di un reddito medio da lavoro dipendente sostanzialmente invariato, gli affitti sono aumentati del 16% nel corso del 2008. Su un campione di 1.000 famiglie sottoposte a sfratto per morosità emerge come l’acuirsi della crisi economica stia colpendo le famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati anche sul fronte abitativo. Sul campione preso in esame, il 24% delle famiglie sfrattate per morosità ha subito la perdita del posto di lavoro del primo percettore del reddito, il 22% è precario, per un altro 21% il percettore è in cassa integrazione. Solo negli ultimi 5 anni, ricorda ancora lo studio, circa 120.000 famiglie hanno perso la loro abitazione, come emerge dai dati del Ministero dell’Interno del dicembre 2008.

Nella quasi totalità, per circa 100.000 casi, il provvedimento di sfratto è stato eseguito per morosità a causa dell’incidenza altissima dell’affitto sul reddito percepito. Guardando le aree metropolitane a più alta tensione abitativa, nel complesso sono stati emessi quasi 100.000 sfratti per morosità, circa 90.000 famiglie hanno subito un’esecuzione del provvedimento. A Milano e Roma circa 20.000 famiglie, a Napoli quasi 15.000, a Torino più di 10.000. Mentre a Genova, Firenze, Palermo e Roma circa il 10% delle famiglie in affitto, escludendo le abitazioni di proprietà pubblica, hanno subito uno sfratto per morosità.

P.

Vita della CCI: 

  • Lettere dei lettori [2]

Situazione italiana: 

  • economia italiana [3]

LAVORO PRECARIO/ raccontare il lavoro precario? E chi legge?

La lettera che segue ci è stata inviata da un simpatizzante che l’ha scaricata da un forum del Corriere del Mezzogiorno. La lettera è veramente bellissima perché esprime tutta la sofferenza dell’attuale generazione a cui la crisi storica del capitalismo non è neanche più in grado di offrire un’integrazione nel suo sistema di sfruttamento. Ma al tempo stesso la lettera si chiude con una speranza, una proposta, un atto di fiducia nel futuro. Noi pensiamo che sia questa fiducia che la classe operaia, i lavoratori tutti, devono recuperare perché lottare si può, resistere si può. Perché non c’è più rimasto nessuno spazio in cui trovare riparo all’interno di questa società. Quello che Maria denuncia per i precari tende a essere sempre più la condizione dei proletari di tutte le categorie, di tutti i paesi. E’ per questo che dobbiamo seguire l’indicazione di Maria.

“Sono rinchiusa in una scatola di plastica, trasparente, insonorizzata, urlo a squarciagola e nessuno mi ascolta. Ho perso il mio lavoro da insegnante precaria, sono laureata ma a che serve? E con me lo hanno perso in tanti, e con il nostro lavoro tanti sfrantummati, ragazzi emarginati, stranieri, italiani, i figli di tutte le periferie, perdono l’unica chance che avevano avuta da questa schifezza di società. Urlo per denunciare il precipizio nel quale questo governo ci sta portando, spingendo il Paese verso l’arretratezza più bieca, ma non è il solo governo ad essere sordo. Arrogante, trincerata dietro la sua ipocrisia, c’è una opposizione smidollata, “senza spina dorsale” come l’ha chiamata Nadia Urbinati! Urlo, urlo, ma nessuno si gira. Arroganti e volgari uomini d’affari (anche sporchi) scendono dalla Mercedes mentre alcuni bambini si avvicinano per chiedere qualche spicciolo, altri sono tornati a fare i “sciuscia”. Uffa che fastidio, questi signori non possono perdere tempo con dei morti di fame!!! Urlo ancora di più, ma non serve... da sola non ci riesco ...e se urlassimo di più, tutti noi che siamo sono chiusi come me in questa stanza asettica ed isolata ci potrebbe sentire qualcuno? maria da caserta”.

(lettera pubblicata sul forum del Corriere del Mezzogiorno)

Vita della CCI: 

  • Lettere dei lettori [2]

Conferenza di Copenaghen: crisi economica, crisi ecologica, il capitalismo non ha soluzioni

  • letto 6 volte
I rapporti che hanno accompagnato il Congresso Scientifico Internazionale sui Cambiamenti Climatici a Copenaghen sono più negativi che mai. Essi mostrano che gli scenari più catastrofici sul previsto riscaldamento globale si stanno realizzando con la previsione della distruzione dell’85% della foresta pluviale dell’Amazzonia e avvertono che il clima potrebbe raggiungere un punto critico. Ancora una volta, la logica del capitale della competizione tra le nazioni spinge nella direzione opposta persino le “migliori intenzioni” della borghesia. La crisi economica, pur riducendo il livello di produzione, porterà ulteriori stress a livello ecologico in tutti i paesi che cercheranno di rimanere competitivi. Anche le raccomandazioni degli esperti mondiali sui cambiamenti climatici sono intrappolate nel quadro capitalista.

Il congresso, tenutosi a marzo, ha tentato di apportare un aggiornamento al lavoro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC: foro intergovernativo sui cambiamenti climatici), che ha prodotto il suo ultimo rapporto nel 2007. Il Congresso ha avuto luogo nell’ambito della XV United Nations Conference of Parties to the Climate Change Convention (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, COP-15), tenutasi anch’essa a Copenhagen in dicembre.

Durante il congresso, un rapporto del Met Office's Hadley Centre (Centro dell’Ufficio Meteorologico Hadley) ha previsto che il maggior pericolo per la foresta amazzonica proviene dal riscaldamento globale, e non dalla deforestazione. “Si dimostra che un aumento di 2°C sopra i livelli pre-industriali, generalmente considerato il miglior caso di scenario di riscaldamento globale e l’obbiettivo degli ambiziosi piani internazionali di freno alle emissioni, potrebbe ancora portare alla scomparsa del 20-40% dell’Amazzonia in 100 anni. Una crescita di 3°C potrebbe portare alla distruzione del 75% per siccità nel secolo seguente, mentre un aumento di 4°C ne distruggerebbe l’85%.” (“Amazon could shrink by 85% due to climate change, scientists say”, guardian.co.uk, mercoledì 11 marzo 2009).

La distruzione della foresta pluviale potrebbe condurre ad una “situazione di feedback positivo”, un circolo vizioso in cui il rilascio di CO2 immagazzinato nella foresta si andrebbe ad aggiungere agli effetti dei cambiamenti climatici, fino alla distruzione delle foreste pluviali. Il congresso è giunto alla conclusione che c’è oggi un più forte rischio di un brusco ed irreversibile cambiamento climatico.

Alla fine del congresso, gli scienziati hanno lanciato 6 messaggi chiave ai politici partecipanti al COP-15:

1.      Lo scenario peggiore di cambiamento climatico prospettato dall’IPCC si è già realizzato;

2.      Modesti cambiamenti sul clima possono avere enormi effetti sulle popolazioni più povere;

3.      È necessaria un’azione rapida per evitare un “pericoloso cambiamento del clima”;

4.      Gli effetti negativi del cambiamento climatico saranno avvertiti in modo ineguale. I più poveri, le generazioni future e la fauna selvatica saranno i più colpiti;

5.      Esistono già dei modi per invertire effettivamente il cambiamento climatico;

6.      Per cambiare è necessario rimuovere degli ostacoli come le sovvenzioni, gli interessi acquisiti, le istituzioni deboli ed il controllo inefficace.

Perché la borghesia non sta ascoltando

Quali sono le possibilità che i politici accolgano e mettano in atto le raccomandazioni degli scienziati? Data la gravità delle scoperte, potranno i politici mettere da parte le loro differenze per il bene dell’umanità?

Per quanto possiamo acclamare gli sforzi degli scienziati di tutto il mondo diretti alla comprensione del fenomeno ed alle cause umane del cambiamento climatico, c’è comunque un fattore che manca nell’equazione degli scienziati: il sistema capitalista stesso.

Le forze fondamentali che determinano il sistema capitalista alienano l’uomo dalla natura. Il capitalismo è un sistema basato sullo sfruttamento del proletariato; è un sistema che per sopravvivere ha bisogno di espandersi, ed è un sistema che, benché globale, non può superare la concorrenza tra gli stati nazionali al suo interno.

Il fatto che il cambiamento del clima interesserà più i poveri che i ricchi non spingerà la borghesia a reagire. Il disprezzo della borghesia per gli sfruttati lo si vede nella povertà più abbietta di milioni di persone nel mondo. Ed i tentativi della classe lavoratrice di difendere e migliorare le proprie condizioni di vita sono stati frequentemente repressi con la violenza. Anche le leggi introdotte nel 19° sec. per migliorare la salute pubblica non furono ispirate dalle condizioni della classe operaia, ma dalla consapevolezza che i ricchi erano vulnerabili alle malattie causate dalle pessime condizioni sanitarie delle città.

Il congresso si è concluso affermando che i metodi per invertire il cambiamento climatico esistono già. Tuttavia, le misure economiche ecologiche proposte sono descritte in termini puramente capitalistici: nuove attività ecologiche in nuove industrie per lo sviluppo dell’ambientalismo, riduzione dei costi derivante dal non dover far fronte a problemi di salute e di distruzione ambientale, ecc. Ma il capitalismo può sopravvivere in modo sostenibile? Può continuare lo sfruttamento delle classe operaia senza distruggere l’ambiente? Le lobby ambientaliste sottopongono questa carota succulenta all’esame dei leader mondiali, che da tempo hanno però declinato l’offerta. Fondamentalmente, per il sistema capitalista, la salvaguardia delle condizioni ambientali ha un costo, così come lo ha la salvaguardia della salute della popolazione attiva. Questa è una somma tolta al reinvestimento nel capitale. Il governo americano non rimase sorpreso nel 2007 quando l’IPCC annunciò che gli sforzi per invertire il cambiamento climatico sarebbero costati “solo” tra lo 0,2 ed il 3,0% del PIL annuale.

Gli Stati non possono proteggere il pianeta

Uno dei miti della sinistra e dei movimenti ambientalisti è che la mancanza di azione su problemi sociali ed ambientali così importanti sia dovuta all’indebolimento degli apparati statali. Quanto un rafforzamento delle istituzioni internazionali che regolano l’emissione di gas serra possa portare a rovesciare questa situazione catastrofica, lo stiamo vedendo. La verità è che lo Stato opera soprattutto per difendere gli interessi nazionali della borghesia. Quando i governi di ciascun paese stanno uno di fronte all’altro al tavolo delle trattative, si confrontano come imperialisti rivali. Un esempio lampante ne sono le negoziazioni per la riduzione dei gas serra. Alla fine degli anni 90 la Gran Bretagna promise una maggiore riduzione delle emissioni di CO2 rispetto ai suoi rivali non perché avesse una reale preoccupazione per lo stato del pianeta, ma perché la sua base industriale tradizionale si era nel frattempo ridotta. E quando George Bush non volle firmare nessun accordo sul clima che non includesse lo “sviluppo nazionale”, lo fece in difesa degli interessi imperialisti degli Stati Uniti.

Le negoziazioni del COP-15 di oggi non sono differenti. Mentre gli USA accusano la Cina di aver aumentato le emissioni di CO2 più di ogni altro paese, la Cina risponde che l’occidente consuma la maggior parte dei beni che essa produce. “Come uno dei paesi in via di sviluppo, noi rappresentiamo l’humus della linea di produzione dell’economia globale. Produciamo cose che gli altri paesi consumano … Questa condivisione delle emissioni dovrebbe essere adottata dai consumatori e non dai produttori, dice Li, funzionario cinese della potente Commissione per lo Sviluppo Nazionale e le Riforme. Ed aggiunge che il 15–25% di tutte le emissioni di calore dei paesi mondiali deriva dall’esportazione dei manufatti.” (“Consuming nations should pay for carbon dioxide emissions, not manufacturing countries, says China”, guardian.co.uk, 17/3/9).

Lo stesso articolo mette in evidenza che le nazioni europee hanno provato ad aggirare i limiti loro imposti sulle quote di emissione attraverso l’acquisto di ulteriori “quote di emissione” dai paesi in via di sviluppo. Le promesse fatte dall’Unione Europea di elargire denaro alle “nazioni in via di sviluppo” per aiutarle ad introdurre tecnologie pulite sono state congelate fino a che paesi come Cina e India non si impegneranno di più a ridurre l’emissione di gas serra. Anche il modo in cui vengono calcolate le emissioni ha aperto una controversia.

Nessuno Stato può permettersi di essere generoso in un mercato mondiale strozzino, specialmente nell’attuale crisi economica. La conferenza di Copenaghen di dicembre si è tenuta sullo sfondo della più grande crisi economica nella storia del capitalismo. In questo contesto, raggiungere un traguardo sul piano della salvaguardia del pianeta che minerebbe un eventuale recupero dell’economia è pura fantasia.

Hugin, 4/4/2009

Questioni teoriche: 

  • Ambiente [4]

Per sviluppare le nostre lotte rompiamo la morsa sindacale!

  • letto 1 volta
Pubblichiamo questo articolo scritto dalla nostra sezione in Francia perché le questioni che si pongono i lavoratori in Francia, alle quali l’articolo cerca di rispondere, sono le stesse che si pongono i lavoratori in Italia, così come in qualsiasi altra parte del mondo.

Lottare, sì, ma come? Ognuno di noi si pone questa domanda di fronte alla moltiplicazione degli attacchi contro le nostre condizioni di vita. Cosa fare per battersi senza scontrarsi continuamente agli stessi vicoli ciechi e senza avere alla fine l’amaro della sconfitta e lo scoraggiamento in bocca?

Qual è il motore per lo sviluppo delle lotte?

È chiaro che per essere capace di fare arretrare la borghesia e frenare i suoi attacchi, ogni lotta operaia deve costruire ed imporre un reale rapporto di forza. Ma quando la classe operaia è forte?

- Quando è capace di esistere come classe unita in una stessa lotta, intorno alle stesse rivendicazioni unificanti.

- Quando l’appartenenza ad un settore particolare del proletariato è superata dalla coscienza di appartenere alla stessa classe di sfruttati imbarcati nella stessa galera capitalista, che subisce gli stessi attacchi e deve difendere gli stessi interessi generali.

Se si lotta solo come insegnante, postino, ferroviere, infermiere, operaio di questa o quell’impresa, come salariato di questa o quell’impresa, di questo o quel settore, che difende questo o quell’interesse specifico del proprio ufficio o della propria fabbrica, ci si espone a lasciarsi chiudere e ad isolarsi da tutti gli altri sfruttati in lotte che restano inevitabilmente molto limitate, e che per questo la borghesia può portarle alla sconfitta ed allo scoraggiamento una ad una.

Se invece andiamo a cercare gli operai della fabbrica affianco, gli infermieri dell’ospedale affianco ecc., allora si crea una reale dinamica di sviluppo della lotta. Quando una lotta scoppia in una fabbrica o in un settore anziché lasciarla isolata in questa fabbrica, in questo settore, la prima preoccupazione deve essere estendere la lotta, inviare delegazioni di massa verso i posti di lavoro vicini per trascinare altri lavoratori nella lotta. Si devono organizzare assemblee generali aperte a tutti, senza esclusioni, per farvi partecipare i lavoratori di altri settori. La vera solidarietà operaia in occasione di uno sciopero si forgia sulla base di un’estensione geografica della lotta.

Propagare ed estendere la lotta da un settore all’altro, da una fabbrica all’altra, è la manifestazione di una necessità vitale per la lotta stessa: quella di sviluppare la solidarietà attiva chiamando ad assemblee generali comuni, designando delegati eletti e revocabili in ogni momento, partecipando a manifestazioni quanto più unitarie possibile. Le manifestazione devono servire come momento di raccolta dei lavoratori di una stessa città in uno stesso posto, con il maggior sostegno possibile e la solidarietà di tutta la popolazione.

Ma come costruire un tale rapporto di forza? È possibile? Le esperienze non mancano. Nello sciopero di massa dell’agosto 1980 in Polonia, in modo spontaneo, prima che il sindacato Solidarnosc facesse man bassa sul movimento, sono stati gli operai di varie città a mandare delegazioni e rappresentanti al Comitato centrale di sciopero inter-fabbrica (MKS) per condurre i negoziati con lo Stato. Ciò che fa più paura alla borghesia è vedere emergere delle mobilizzazioni di massa ed unitarie attraverso le quali tutti gli sfruttati possono riconoscersi. È come futuri proletari che gli studenti in Francia si sono sollevati nella primavera del 2006 contro il progetto di CPE (contratto primo impiego), ed hanno organizzato, in alcuni posti ed in alcune facoltà parigine, assemblee generali aperte non solo a tutto il personale dell’università (insegnanti, tecnici e amministrativi) ma a tutti, genitori e nonni di studenti, lavoratori e pensionati. E questo non solo ha costretto il governo francese ad abrogare il CPE, ma ha determinato anche il ritiro precipitoso di un progetto simile in Germania, il che dimostra quanto la classe dominante abbia temuto il contagio. Sempre in Francia, nel dicembre 2008, il ministro dell’istruzione Darcos ha sospeso la sua riforma degli istituti universitari perché tremava all’idea che la sommossa degli studenti-precari in Grecia potesse estendersi al suo paese. Nel febbraio scorso gli operai britannici iniziano a rimettere in discussione con rabbia il nazionalismo di cui erano stati accusati in occasione dello sciopero nelle raffinerie e le centrali elettriche di Lindsey. Il governo britannico cede frettolosamente, in sole 48 ore, alle loro rivendicazioni ed accetta di creare nuovi posti di lavoro, mentre le negoziazioni salariali rischiavano di trascinarsi per settimane (vedi Rivoluzione Internazionale n. 159).

È la vastità della lotta in Guadalupa intorno alla rivendicazione unitaria di 200 euro d’aumento sui salari (ed il timore che questo slancio rivendicativo fosse preso a modello non solo nei Domini d’oltre mare, DOM, ma anche nella metropoli) che ha costretto il governo francese a fare marcia indietro (vedi articolo in questo numero).

I sindacati sabotano lo sviluppo della lotta

È precisamente questa dinamica verso l’unità nella lotta che i sindacati cercano continuamente di sabotare e far marcire. È quello che fanno ogni giorno isolando ed inquadrando ogni sciopero, imprigionandolo in rivendicazioni particolari, mettendo avanti la difesa di questo o quell’interesse specifico proprio di questa o quell’impresa, di questo o quel posto, diretta contro questo o quello padrone. I sindacati basano la loro influenza ed il loro controllo sul fatto che le lotte dei salariati restano chiuse nel quadro della difesa di una categoria, di una corporazione, di un’impresa o di un settore particolare, e sabotano così lo sviluppo delle lotte opponendo e dividendo gli operai tra loro. In questo modo hanno potuto far passare l’attacco contro i regimi speciali nella SNCF (ferrovie francesi) nel 2007, anche se in questa occasione si sono creati legami di solidarietà tra ferrovieri e studenti in lotta contro la riforma universitaria.

Allo stesso scopo organizzano le loro grandi “giornate d’azione intercategoriali” come quelle del 29 gennaio e del 19 marzo a Parigi, destinate a dar sfogo, incanalare, sterilizzare la rabbia e la combattività, a privarle o amputarle di ogni prospettiva e alla fine ad alimentare la divisione nelle file dei salariati. Deviano e snaturano la vera aspirazione all’unità operaia sostituendola con la loro artificiosa unità sindacale. Questa facciata di grande mobilità maschera in realtà l’intento di mantenere la divisione nella classe operaia. La manifestazione del 19 marzo a Parigi, ad esempio, con il pretesto che ci sarebbe stato un corteo troppo grande, ha permesso ai sindacati, d’accordo con la prefettura di polizia, di dividere la manifestazione in due cortei distinti e nettamente separati in modo da impedire al settore privato ed a quello pubblico di sfilare insieme. In questo modo hanno potuto rafforzare lo spezzettamento sistematico dei cortei dove ognuno sfila in compartimenti stagni dietro le bandiere del “suo” sindacato, della “sua” azienda, della “sua” città, del “suo” settore, ognuno con le proprie parole d’ordine o le proprie rivendicazioni. Le manifestazioni del 19 marzo non hanno quindi affatto rappresentato un passo avanti per la lotta operaia ma, al contrario, sono state un successo dell’inquadramento sindacale e delle sue manovre di divisione.

La necessità di scontrarsi con i sindacati

Oggi tutte le lotte cozzano contro questo ostacolo sindacale. L’esempio della lotta dei 1120 salariati della fabbrica di pneumatici Continental a Clairoix nell’Oise, minacciati di licenziamento come decine di migliaia di operai oggi, illustra questo sabotaggio permanente. Contando l’indotto ed il licenziamento già operante di 200 interinali, sono complessivamente 3.000 i salariati che si troveranno presto senza lavoro. Due anni dopo aver avallato l’accordo firmato dai sindacati con la direzione per il ritorno alle 40 ore lavorative invece di 35 con relativa perdita di salario, il tutto “per evitare i licenziamenti”, i lavoratori hanno la netta sensazione di essersi fatti “fregare”.

La fabbrica si trova in una zona industriale che si estende fino a Compiègne e raccoglie molte fabbriche importanti della regione i cui operai sono destinati alla stessa sorte; il loro sciopero con l’occupazione della fabbrica l’11 marzo ha ricevuto una forte solidarietà (visita di salariati di altre imprese, approvvigionamento di canestri-pasto) ed ha spinto i sindacati ad organizzare una manifestazione a Compiègne in occasione della “giornata di azione” del 19 marzo. Manifestazione che, in 5 chilometri di percorso, è passata da 3.000 a 15.000 persone nel centro città (cioè il quarto della popolazione dell’agglomerato!). Inoltre, gli scioperanti hanno ricevuto il sostegno degli operai di Inergy (impresa in sub-appalto del settore auto dove era stato attuato un piano per una cinquantina di licenziamenti) che hanno spontaneamente messo a loro disposizione degli autobus perché gli operai potessero recarsi alla sede della Continental a Reims e poi all’Eliseo il 25 marzo (dove sono stati ricevuti senza alcuno risultato).

Tuttavia, se queste manifestazioni di solidarietà venute dall’esterno sono state accolte con simpatia, queste sono rimaste a senso unico perché gli operai della Continental, strettamente controllati dai sindacati, non hanno messo in discussione il loro inquadramento. Lasciando la lotta nelle mani dei sindacati, non si sono posti la questione di andare in prima persona ed in massa alle fabbriche vicine per chiamarle a scendere in lotta, eppure sono circondati da fabbriche come Saint-Gobain, Colgate, Cadum, Aventis, Allard, CIE Automotive (in quest’ultima gli operai sono in cassa integrazione una settimana al mese).

I sindacati hanno accuratamente limitato le loro assemblee nell’ambito dell’impresa, minando così ogni iniziativa verso altri settori in lotta. Hanno, invece fortemente incoraggiato “azioni” tipo bombardare di uova i dirigenti, così come in altri posti hanno spinto i lavoratori in esubero a sequestrarli (come il Presidente della Sony France nel Landes o quello della 3M nel Loiret) o ad occupare l’impresa come a GSK - GlaxoSmithKline - a Evreux in Normandia.

Non è così che i salariati potranno difendersi e ottenere risposta alle loro rivendicazioni ma, al contrario, seguendo l’esempio, rimasto embrionale, della lotta dei metallurgici di Vigo (Spagna) nella primavera del 2006: questi hanno organizzato le assemblee generali non nella fabbrica ma nelle strade, permettono così agli altri operai di parteciparvi ed andare a manifestare insieme in massa (vedi Rivoluzione Internazionale n.145). È lo stesso metodo di lotta che è stato utilizzato nello sciopero di solidarietà all’aeroporto londinese di Heathrow nel 2005, in risposta ai licenziamenti di immigrati asiatici di un’impresa per i-pasti negli aerei (Rivoluzione Internazionale n.142). Non è la violenza, le azioni radicali o l’oltranzismo di qualche minoranza, che possono fare arretrare il nemico di classe; ma l’assunzione in prima persona da parte dei lavoratori dell’estensione della lotta, perché quest’estensione porta in sé una dinamica di unificazione di tutta la classe operaia.

Di conseguenza, per costruire un rapporto di forza a loro favore di fronte alla borghesia prendendo in mano la propria lotta, i lavoratori, in tutti i settori, non possono evitare lo scontro con i sindacati, le loro trappole, le loro manovre di sabotaggio e di divisione.

Eva, 28/3/2009

(da Révolution Internationale n.400, organo della CCI in Francia)

Patrimonio della Sinistra Comunista: 

  • Lotta proletaria [5]
  • La questione sindacale [6]

Guadalupe, Martinica, La Réunion: perché la borghesia ha fatto marcia indietro?

  • letto 21 volte

Di fronte ai movimenti di sciopero che hanno scosso il Guadalupe, la Martinica e, in misura minore, La Réunion, lo Stato francese ha dovuto alla fine retrocedere cedendo a quasi tutte le rivendicazioni operaie. In Guadalupe, gli accordi “Jacques Bino” (dal nome del sindacalista assassinato durante le sommosse di fine febbraio) firmati il 26 febbraio, ed il testo generale siglato il 5 marzo, prevedono un aumento di 200 euro per i salari più bassi ed integrano le 146 rivendicazioni dell’LKP1 sul potere d’acquisto (prezzo del pane, assunzione di insegnanti …). In Martinica è stato fatto un accordo simile il 10 marzo, che comprende anche qui un aumento per gli stipendi bassi e le 62 rivendicazioni del “Collettivo del 5 febbraio”2. A La Réunion la situazione è più sfumata. Nel momento in cui scriviamo, l’accordo proposto dallo Stato (150 euro per i salari più bassi e cose vaghe sulle 62 rivendicazioni del movimento) non è stato ancora firmato dal COSPAR3. Le discussioni sono ancora in corso. Comunque sia, l’andamento dei negoziati indicano un certo indietreggiamento della borghesia francese.

Perché la borghesia ha ceduto così? Di cosa ha avuto paura? Gli operai di queste isole come sono riusciti a strappare queste misure? Quale è stata la forza di questo movimento? Rispondere a tutte queste domande significa prepararci meglio per le lotte future.

La forza del movimento nelle Antille

E’ evidente che la prima espressione di forza della lotta nelle Antille è stata la grande combattività. Per 44 giorni in Guadalupe e 38 giorni in Martinica, la classe operaia si è mobilitata massicciamente, paralizzando l’insieme dell’economia. Le fabbriche, i porti, il commercio …, tutto è stato bloccato4.

Una lotta così lunga ed intensa è stata possibile non solo per la rabbia di fronte alla povertà crescente, ma anche per un profondo sentimento di solidarietà. La prima manifestazione in Guadalupe, il 20 gennaio, aveva riunito 15.000 persone. Tre settimane più tardi, il numero dei manifestanti superava i 100.000, quasi un quarto della popolazione! Questo sviluppo enorme si spiega in particolare per la permanente ricerca della solidarietà operaia. Gli scioperanti hanno fatto di tutto per estendere velocemente la lotta: fin dal 29 gennaio “gruppi di operai sobillatori” hanno regolarmente percorso Pointe-à-Pitre e la sua periferia, strada per strada, fabbrica per fabbrica, per portarsi dietro una parte sempre più larga della classe operaia e della popolazione.

La seconda espressione di forza è stata la presa in mano della lotta da parte degli stessi operai. E’ vero che l’LKP ha giocato un ruolo importante, redigendo la piattaforma delle rivendicazioni e conducendo tutti i negoziati. Ma è completamente falso ciò che affermano i media e cioè che il tutto sarebbe successo perché la classe operaia avrebbe obbedito ciecamente all’LKP e seguito Elie Domota, il leader carismatico! In realtà sono stati gli operai, e non i leader sindacali, a condurre la lotta! L’LKP si è costituito solo per inquadrare meglio e canalizzare questo malcontento in modo da evitare che questa presa in mano delle lotte da parte degli stessi operai andasse oltre i desideri della borghesia. Nei fatti uno degli elementi cruciali di questo movimento in Guadalupe è stata la diffusione pubblica dei negoziati tra l’LKP e lo Stato attraverso la radio e la televisione. Nella cronologia degli avvenimenti stabilita dall’LKP5 possiamo leggere “Sabato 24 gennaio: Grande manifestazione nelle strade di Point-à-Pitre 25.000 manifestanti. Invito ai negoziati con tutte le parti alle 16,30 al World Trade Center. […] Discussione aperta sull’accordo di metodo. Presenza eccezionale di Canal 10 che trasmette in breve differita” (sottolineato da noi). L’indomani un nuovo grande corteo raggruppava 40.000 persone! Questa diffusione dei negoziati ha galvanizzato i manifestanti perché dimostrava che questa lotta apparteneva a loro e non era solo nella mani degli “esperti sindacali” che negoziano nell’ombra e segretamente negli uffici statali. Questa diffusione pubblica ed in diretta dei negoziati (su Canal 10, RFO e Radyo Tambou) è andata avanti per tutta la settimana successiva, fino al 5 febbraio. In tale giorno, il segretario di Stato Yves Jégo, vedendo come si svolgeva la lotta e comprendendo il reale potenziale pericolo per la sua classe, ha chiesto la cessazione immediata di queste diffusioni in diretta. L’LKP si è limitato ad emettere una debole protesta perché in effetti questo “collettivo”, data la sua natura sindacale, si trova anche lui molto più a suo agio a negoziare segretamente tra “esperti”, (il che prova che all’inizio ha accettato questa trasmissione pubblica e diretta solo per la pressione operaia).

Questo movimento dunque ha avuto una grande forza intrinseca, ma ciò non basta a spiegare l’arretramento fino a questo punto dello Stato francese e “la concessione” di un aumento di 200 euro per i salari più bassi. Inoltre, la borghesia ha anche ceduto a La Réunion dove il movimento si era molto indebolito. Infatti, i sindacati, attraverso il collettivo COSPAR, erano riusciti in parte a sabotare il movimento chiamando a manifestare il 5 marzo, giorno della fine dello sciopero generale in Guadalupe, insistendo proprio sul fatto che loro non seguivano il modello “del movimento antilliano” (le Point del 4 marzo). Il collettivo si era così assicurato l’isolamento di questo sciopero. Ed infatti, senza la locomotiva della lotta in Guadalupe, le manifestazioni del 5 e 10 marzo saranno delle semi-sconfitte, con una mobilitazione ben al di sotto delle aspettative (rispettivamente circa 20.000 e 10.000 persone). E tuttavia, lo Stato francese ha ceduto anche qui. Perché?

La collera e le combattività operaie si sviluppano in tutti i paesi

La mobilitazione nelle Antille ed a La Réunion si inscrive in un contesto internazionale di sviluppo della combattività operaia.

In Gran Bretagna, per esempio, a fine gennaio è esploso uno sciopero alla raffineria del gruppo Total di Lindsey. Dopo avere tentato invano di dividere gli operai tra “inglesi” e “stranieri” ed al contrario, di fronte all’unità degli scioperanti (in queste manifestazioni ci sono stati slogan tipo “Centrale elettrica di Langage - Gli operai polacchi hanno raggiunto lo sciopero: Solidarietà” o “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”) la borghesia ha dovuto, anche lì, fare marcia indietro annullando la prevista soppressione di posti di lavoro ed annunciando la creazione di 102 nuovi posti6.

La borghesia dunque, a livello internazionale, non ha nessuna voglia di assistere ad una lotta che tende ad estendersi e diffondersi agli operai degli altri paesi, soprattutto se questa lotta si dota di metodi come l’estensione attraverso cortei che vanno fabbrica per fabbrica, l’organizzazione autonoma delle lotte ed il controllo dei negoziati attraverso la loro diffusione via radio …

E ciò è ancora più vero in Francia. Lo Stato francese ha ceduto così velocemente a La Réunion perché era prevista una grande manifestazione nella metropoli il 19 marzo. Per la classe dominante era imperativamente necessario che tutta questa storia di sciopero generale nei DOM (Domini d’oltremare) avesse fine per evitare che potesse ispirare troppo gli operai in Francia. Il giornale Liberation ha espresso chiaramente questa paura della borghesia francese in un articolo del 6 marzo: “Contagio. A Parigi, questa “rivolta” che ha colpito i dipartimenti di oltremare è stata male compresa dal potere. Salvo da Yves Jégo che ha saputo rapidamente esprimersi. Ma, per timore del contagio, Nicolas Sarkozy e François Fillon hanno invece tergiversato … finendo poi con l’aprire la borsa dello Stato”7.

La vera vittoria è la lotta stessa

Certamente la lotta nei DOM ne è uscita vittoriosa. L’aumento di 200 euro per i salari più bassi è una cifra non trascurabile. Tuttavia non bisogna farsi illusioni, le condizioni di vita della classe operaia nelle isole, come dovunque, continueranno inesorabilmente a deteriorarsi.

Infatti la borghesia già tenta di mettere in discussione alcuni degli accordi firmati. Sui 200 euro di aumento, 100 devono essere versati dallo Stato, 50 dalle collettività territoriali e 50 dal padronato. Ora, il Medef8 ha già annunciato che verserà solo una parte degli aumenti (in più, secondo i rami ed i settori) proprio come le collettività. In quanto allo Stato, il suo impegno alla fine non vale che per due anni! Come aveva detto l’ex ministro Charles Pasqua, “le promesse impegnano solamente quelli che le ascoltano”; il cinismo e l’ipocrisia della classe dominante sono ormai lampanti in questo ambito.

Sotto i colpi della crisi, la povertà continuerà a svilupparsi. Gli aumenti dei salari, se sono effettivi oggi, saranno annullati velocemente dal rialzo dei prezzi. E già per il 2009, in Martinica, è prevista la soppressione di 10.000 posti di lavoro.

La vera vittoria di questo movimento sta nella lotta stessa! Queste esperienze sono altrettante lezioni per preparare le lotte future e rafforzare la forza degli sfruttati: la loro unità, la loro solidarietà e la fiducia di essere capaci di prendere le lotte nelle proprie mani.

Pawel, 26/3/2009

1. Il LKP (Lyannaj kont profitasyon - Unione contro il sovra sfruttamento) è il collettivo che raggruppa 49 organizzazioni sindacali, politiche, culturali ed associative che hanno stabilito fin dal 20 gennaio la piattaforma rivendicativa.

2. Collettivo costruito sul modello del LKP fin dall’inizio del movimento in Martinica, il 5 febbraio. Raggruppa 25 organizzazioni sindacali, politiche e culturali.

3. COSPAR: Collettivo di organizzazioni sindacali, politiche ed associative di La Réunion, raggruppa 46 organizzazioni.

4. Leggi il nostro articolo redatto durante la lotta “Antilles : La lutte massive nous montre le chemin! [7]” alla pagina francese del nostro sito

5. Fonte: www.lkp-gwa.org/chronologie.htm [8]

6. “G.B. Scioperi nelle raffinerie di petrolio e nelle centrali elettriche: gli operai cominciano a fare i conti con il nazionalismo”, Rivoluzione Internazionale n.159; “Scioperi alle raffinerie in G.B.: un esempio eclatante di manipolazione delle informazioni da parte della borghesia”, ICC online sul nostro sito web.

7. Fonte: http ://www.liberation.fr/politiques/0101513929-la-societe-guadeloupeenne-entre-... [9].

8. Organizzazione padronale chiamata Movimento delle imprese di Francia.

Patrimonio della Sinistra Comunista: 

  • Lotta proletaria [5]

Volantino di Internasyonalismo (sezione della CCI nelle Filippine) Resistiamo agli attacchi capitalisti! Estendiamo la lotta!

  • letto 1 volta

Quello che sta accadendo ai lavoratori di Giardini del Sole succede anche in molte fabbriche, non solo a Cebu, non solo nelle Filippine, ma in tutto il mondo. Nei fatti i nostri fratelli e le nostre sorelle dell’America sono i primi a soffrire degli attacchi del capitalismo – restrizioni, lavoro in 3x8, cassa integrazione, riduzione di salario e delle indennità.

Perché tutto questo? Perché il sistema capitalista che disciplina i paesi e tutto il mondo è attualmente in una crisi acuta di sovrapproduzione. In breve, ci sono troppe merci invendute per il mondo. C’è sovrapproduzione perché, nel capitalismo, produciamo ben al di là di quello che possiamo consumare, ben al di là di quello che ci permettono i nostri salari da schiavi.

Il capitalismo ha ridotto i nostri salari per fare più profitto. Risultato: siamo sommersi di debiti che rendono ancora più difficile per noi comprare le derrate di base necessarie che noi abbiamo prodotto. Di conseguenza la sovrapproduzione diventa sempre più grande.

Per impedire la morte lenta che il capitalismo ci impone con le sue restrizioni, la rotazione del lavoro, le riduzioni dei salai e delle indennità, dobbiamo lottare. Per impedire gli attacchi del capitalismo, dobbiamo unirci e sostenerci gli uni con gli altri, nelle differenti fabbriche ed imprese. Nessuno ci può aiutare se non è della nostra propria classe, nostri fratelli e sorelle. Non ci possiamo aspettare niente dal governo, dall’ispettorato del lavoro e dai poliziotti. Sono tutti degli strumenti al servizio della classe capitalista. Non possiamo aspettarci niente dal TIPC1 o da non importa quale riunione tripartita tra noi, i capitalisti ed il governo. Non possiamo aspettarci che un governo corrotto, coperto di debiti, pro-capitalisti fino in fondo possa rimettere in piedi qualche cosa.

La nostra sola speranza è la nostra unità e l’estensione delle nostre lotte a più fabbriche!

Il governo e i capitalisti vorrebbero che noi ci sacrificassimo, che accettassimo le ristrutturazioni, la precarietà, la casa integrazione, la diminuzione dei salari e delle indennità e che soffrissimo ancora di più per salvare il sistema di sfruttamento! Questo sarebbe una sconfitta perché quello di cui abbiamo bisogno, in quanto schiavi del capitalismo, è un lavoro permanente, dei salari “decenti” e delle condizioni di lavoro UMANE!

Se ci sono lotte operaie in molte fabbriche, c’è una maggiore possibilità di difendere i nostri posti di lavoro e i nostri salari. NON DOBBIAMO FARE SACRIFICI PER SALVARE IL CAPITALISMO DALLA SUA CRISI!

Ma se siamo divisi, se agiamo in modo isolato nei diversi posti di lavoro, se lasciamo i nostri fratelli e le nostre sorelle di classe battersi da soli in una o due fabbriche, i capitalisti possono vincere e noi saremmo costretti a subire la crisi che loro stessi hanno provocato.

Dobbiamo fare delle assemblee aperte a tutti i lavoratori a tempo indeterminato, a progetto, sindacalizzati o no, siamo tutti membri delle ASSEMBLEE OPERAIE. Queste sono la sola forma di organizzazione della nostra lotta. Siamo noi in prima persona che dobbiamo discutere e decidere del nostro avvenire, non una minoranza!

Anche se accettassimo i sacrifici, questi non potrebbero risolvere la crisi di questo marcio sistema. Al contrario, sarebbe ancora peggio. Il problema viene dalla natura stessa del capitalismo e non c’è alcuna soluzione alla crisi di sovrapproduzione. La soluzione definitiva è ROVESCIARE il capitalismo e sostituirlo con un sistema dove non saremo più schiavi del capitalismo.

Internasionalysmo

1. Consiglio tripartito per la pace industriale

Vita della CCI: 

  • Interventi [10]

Patrimonio della Sinistra Comunista: 

  • Lotta proletaria [5]

Presa di posizione di Internasyonalismo come nuova sezione della CCI nelle Filippine

Guerra o rivoluzione. Barbarie o socialismo. Nella nostra epoca, sono queste le uniche alternative con cui il movimento proletario internazionale deve confrontarsi.

Poiché scegliamo rivoluzione e socialismo abbiamo scelto di integrarci nella CCI. Per fare della rivoluzione proletaria mondiale una realtà ed arrivare al comunismo, i comunisti devono avere un’organizzazione che sia mondiale per il suo scopo e la sua ampiezza. Ancora di più, un’organizzazione che abbia una piattaforma marxista chiara e coerente.

Abbiamo intrapreso un lungo e serio processo collettivo di chiarimento teorico basandoci sull’esperienza del movimento operaio internazionale e sulla nostra esperienza nelle Filippine in quanto militanti di un movimento proletario. Non è facile per noi, se si considera che nelle Filippine da 80 anni non c’è mai stata alcuna influenza della Sinistra comunista. Per quasi un secolo ci è stata inculcata l’idea, a noi ed a tutto il movimento operaio, che lo stalinismo-maoismo era “teoria del comunismo”.

Per noi la cosa più importante è il chiarimento teorico e la discussione per il raggruppamento dei rivoluzionari. Essere numerosi in un’organizzazione non serve a niente se questa non è costruita su dei fondamenti teorici chiari e solidi, basati su più di duecento anni di esperienza del proletariato mondiale.

È un grande passo per le minoranze rivoluzionarie comprendere la teoria della decadenza del capitalismo per  mantenere vivo il marxismo nell’epoca dell’imperialismo. La teoria della decadenza è alla base di ciò che ci ha convinto che la CCI ha la posizione più corretta e la piattaforma marxista più solida nel quadro dell’evoluzione reale del capitalismo ed anche per la sintesi delle lezioni della pratica del proletariato internazionale da più di due secoli.

Tuttavia la piattaforma della CCI non è una piattaforma rigida ma vivente, verificata dalla dinamica reale della lotta di classe e dall’evoluzione del capitalismo. E’ per tale motivo che è molto importante continuare il dibattito interno alla CCI ed stenderlo anche nel campo proletario in generale. Abbiamo visto come la CCI stimola e pratica questo dibattito.

Può darsi che la nostra comprensione della Sinistra comunista non sia così profonda quanto quella dei nostri compagni in Europa dove si trova la classe operaia con la più lunga e ricca esperienza. Ma siamo fiduciosi nel fatto che il nostro chiarimento teorico sia stato sufficiente per integrarci in un’organizzazione comunista internazionale.

Come nuova sezione di un’organizzazione internazionale centralizzata ed unitaria - la  CCI -, continuare a portare avanti discussioni viventi e dibattiti coi comunisti per analizzare e studiare le questioni cruciali per l’avanzamento della rivoluzione comunista mondiale sarà più organizzato, più centralizzato e più ampio. E soprattutto gli interventi delle minoranze rivoluzionarie saranno più efficaci.

Siamo coscienti di correre un grande rischio nel difendere fermamente la rivoluzione comunista e l’internazionalismo nelle Filippine. La destra e la sinistra della borghesia filippina, con le loro organizzazioni armate, odiano i rivoluzionari marxisti perché questi rappresentano un ostacolo alle loro mistificazioni ed alle loro menzogne per deviare le lotte del proletariato filippino dalla strada della rivoluzione proletaria internazionale. I comunisti di sinistra sono i nemici mortali di tutte le frazioni della borghesia filippina.

Questa è la sfida che i comunisti internazionalisti nelle filippine devono accettare: superare tutte le difficoltà e continuare il chiarimento teorico, gli interventi nelle lotte operaie nelle Filippine ed essere in contatto con tutti i compagni comunisti, in particolare in Asia.

Vogliamo mandare anche i nostri più calorosi saluti ai compagni in Turchia (EKS) che si sono integrati nella CCI come sua nuova sezione in questo paese. La formazione di due nuove sezioni della CCI, nelle Filippine ed in Turchia - nel momento in cui il sistema è in una crisi profonda e dove la resistenza della classe operaia comincia ad essere largamente diffusa - è un’indicazione concreta che dappertutto nel mondo si sviluppano elementi e gruppi alla ricerca di un’alternativa rivoluzionaria al capitalismo decadente ed in decomposizione; elementi che sono coscienti che il nazionalismo, la democrazia, il parlamentarismo ed il sindacalismo sono solamente inganni e mistificazioni.

Internasyonalismo (13 febbraio 2009).

 

Sviluppo della coscienza e dell' organizzazione proletaria: 

  • Corrente Comunista Internazionale [11]

Dichiarazione della nuova sezione turca della CCI: Enternasyonalist Komünist Sol si scioglie per integrarsi nella CCI

  • letto 2 volte
Nel primo numero di Dünya Devrimi, datato settembre 2008, abbiamo scritto: “… il motivo per cui abbiamo scelto il nome Dünya Devrimi è che abbiamo intrapreso una precisa direzione organizzativa per quanto riguarda il nostro futuro internazionale. Sulla base della conclusione a cui siamo giunti che un’organizzazione comunista non può esistere a livello nazionale o regionale e che i militanti comunisti, che agiscono in una località, devono essere parte di un’organizzazione comunista centralizzata a livello internazionale, stiamo discutendo la piattaforma della Corrente Comunista Internazionale che, al momento, ha sezioni in quattordici paesi e con la quale stiamo già lavorando insieme e con solidarietà, con la prospettiva di formare una sezione di questa organizzazione in Turchia. Come non c’è spazio per l’impazienza in ogni attività dei rivoluzionari, non c’è spazio per l’impazienza in questo processo di discussione, di chiarificazione e di integrazione nella CCI. Un’integrazione fatta in modo affrettato e superficiale, piuttosto che essere solida ed organica, darebbe cattivi risultati, perciò continuiamo il processo di integrazione, che sappiamo essere un processo a lungo termine, con pazienza e con l’obiettivo di sviluppare una reale chiarificazione. D’altro canto riteniamo utile, mentre portiamo avanti questo processo di chiarificazione, delineare le nostre attività accanto a quelle di un’organizzazione di cui condividiamo i principi politici così come la concezione di organizzazione centralizzata a livello internazionale. Per questo motivo abbiamo dato alla nostra pubblicazione il nome che la CCI dà alla sua stampa, World Revolution in Inghilterra, Revolución Mundial in Messico, Weltrevolution in Germania ed in Svizzera e Wereld Revolutie nei Paesi Bassi. In questo contesto abbiamo colto l’occasione per annunciare che stiamo lavorando per essere integrati nella ICC”.

Con grande felicità vogliamo informare i nostri lettori che, come risultato delle discussioni profonde tenute con pazienza, siamo stati integrati nella Corrente Comunista Internazionale e costituiamo la sezione della CCI in Turchia chiamata Dünya Devrimi, avendo sciolto il nostro gruppo precedente, Enternasyonalist Komünist Sol. Così Dünya Devrimi non è più la pubblicazione diffusa da pochi militanti in un solo paese ma è la pubblicazione di un’organizzazione centralizzata a livello internazionale. La nostra organizzazione è ora un’organizzazione unita a livello mondiale intorno ai nostri principi programmatici, la nostra piattaforma, è un’organizzazione mondiale e con questo modo di centralizzazione differisce da una fondazione sovranazionale dove le differenti organizzazioni nazionali non sono neanche correttamente informate dall’una all’altra. La decisione dei militanti che formavano Enternasyonalist Komünist di unirsi alla CCI non è un caso isolato a livello internazionale. Il nostro ultimo congresso internazionale, per la prima volta in un quarto di secolo, ha potuto dare il benvenuto a delegazioni di diversi gruppi su chiare posizioni di classe internazionaliste (OPOP dal Brasile, SPA dalla Corea, EKS dalla Turchia ed il gruppo Internasyonalismo dalle Filippine1, anche se quest’ultimo non ha potuto essere fisicamente presente). Contatti e discussioni sono da allora continuati con altri gruppi ed elementi di altre parti del mondo, in particolare in America Latina, dove abbiamo potuto tenere delle riunioni pubbliche in Perù, in Ecuador ed a Santo Domingo2. Con la stessa prospettiva, i militanti del gruppo denominato Internasyonalismo nelle Filippine hanno, proprio come noi che abbiamo raggiunto la CCI dalla Turchia, pazientemente portato avanti un processo di discussioni approfondite e sono diventati essi stessi parte della CCI, formando la sezione della nostra organizzazione in questo paese molto importante. Ci auguriamo che, con la ripresa della lotta di classe a livello internazionale, il fatto che la Corrente Comunista Internazionale ha ora due nuove sezioni sia solo un inizio.

Dünya Devrimi

1. OPOP: Oposição Operària (Opposizione Operaia); SPA: Socialist Political Alliance (Alleanza Politica Socialista); EKS: Enternasyonalist Komünist Sol (Sinistra Comunista Internazionalista);Internasyonalismo (Internazionalismo).

2. Vedi sul nostro sito web “Un dibattito internazionalista nella Repubblica Dominicana”; “Riunione pubblica della CCI in Perù. L’estensione del dibattito proletario nel continente americano” e “Reunion pública de la CCI en Ecuador: un momento del debate internacionalista [12]”.

Sviluppo della coscienza e dell' organizzazione proletaria: 

  • Corrente Comunista Internazionale [11]

Pakistan: il nuovo fronte imperialista di Obama

  • letto 1 volta
Barack Obama, già prima di essere eletto, aveva affermato la sua intenzione di bombardare duramente il Pakistan:

“Stanno complottando per colpire ancora. È stato un terribile errore non agire quando avevamo l’opportunità di eliminare durante  una riunione i leader di Al-Qaeda nel 2005. Se  abbiamo informazioni dai servizi su bersagli terroristici molto importanti su cui si può agire e il presidente Musharraf non lo vuole fare, lo faremo noi” (Guardian 1/8/08) “ Mr Obama… ha detto che il presidente George Bush avrebbe scelto il campo di battaglia sbagliato in Iraq e che avrebbe dovuto concentrarsi sull’Afghanistan e il Pakistan; ha detto che non esiterebbe ad utilizzare la forza per distruggere chi minacciava gli Usa e se il presidente del  Pakistan, Pervez Musharraf non agisse lo farebbe lui” (ibid 4/8/08).

Il presidente Musharraf si è dimesso nell’agosto scorso dopodiché abbiamo visto un deterioramento qualitativo a livello della sicurezza nazionale. Musharraf era seguito dal marito di Benazir Bhutto, assassinata, il corrotto Asif Zardari. Gli attacchi a Mumbai nel settembre scorso (vedi sul nostro sito “il massacro terrorista a Mumbai” e “la tensione crescente tra India e Pakistan alimentano gli attacchi terroristici”) indicavano un’ulteriore escalation delle tensioni imperialiste. L’India era stata chiara sui mandanti degli attacchi. Il Pakistan, da parte sua,  ha subito i suoi danni quando un gruppo di terroristi ha attaccato la squadra di cricket dello Sri Lanka, ferendone molti e uccidendo 6 soldati.

Recentemente un’accademia di addestramento della polizia è stata attaccata e messa sotto controllo per poco tempo da terroristi che sono entrati con fucili e granate, almeno 12 persone sono state uccise. Ci sono volute 8 ore prima che la polizia ne riprendesse il controllo. Questo mostra le conseguenze del bombardamento fatto dagli Usa nelle zone di confine: “un  drone, presumibilmente americano, oggi ha sparato due missili contro un presunto nascondiglio  legato ad un capo talebano, che ha minacciato di attaccare Washington. Il colpo ha ucciso 12 persone e ferito parecchi altri, secondo degli ufficiali. L’attacco è stato fatto il giorno dopo che il capo pakistano dei talibani, Baitullah Mehsud, si è dichiarato responsabile per un attacco mortale ad una accademia di polizia nella città di Lahore. Mehsud ha detto che l’attacco era una risposta agli  attacchi Usa su ipotetiche basi di militanti al confine con l’Afghanistan.” (Guardian 1/4/9).

L’effetto cumulativo di queste situazioni ha spinto Islamabad a concedere l’utilizzo della legge della sharia nella zona di Swat. Questo mostra l’indebolimento dello stato pakistano che deve fare concessioni ad una altra forma di legge dentro i suoi confini. Inoltre la pubblicità di un video di una giovane donna frustata pubblicamente è stata utilizzata come parte di una campagna per giustificare i futuri attacchi sul Pakistan.

I legami tra lo Stato e i terroristi

Uno dei problemi chiave che il governo pakistano ha nell’affrontare i talebani è dovuto ai legami profondi tra l’ agenzia di sicurezza pakistana ISI e alcuni degli elementi della Jihad. Questi collegamenti sono stati costruiti durante lo scontro tra il blocco americano e quello russo in  particolare durante gli anni ’80 quando gli americani finanziarono la creazione di una enorme forza della Jihad in Afghanistan: i Mujahadin. Molti di questi combattenti dopo la sconfitta dell’URSS hanno formato la base dei talebani. Non c’è mai stata una rottura netta tra l’esercito pakistano e quello della Jihad, tutti i tentativi di rottura erano destinati al fallimento perché l’esercito era unica forza capace di mantenere l’integrità dello stato.

Dopo gli attacchi di Mumbai, il segretario di Stato di allora, Condoleeza Rice, affermava che “tutte le istituzioni del Pakistan dovrebbero puntare nella stessa direzione” – che significa che il governo doveva mettere sotto controllo gli elementi instabili dentro l’ISI. A dispetto della enorme campagna di propaganda attorno ad Obama che porta ‘cambiamenti in cui possiamo credere’ lui è quasi perfettamente in continuità con G. Bush Jr, proprio come quest’ultimo implementava la politica di invasione dell’Afghanistan progettata da Bill Clinton.

Tra i talebani, il cui nome è diventato un grande contenitore per una varietà di forze, ci sono quelli che voglio rovesciare il governo e ristabilire il governo che c’era prima in Afghanistan. Molti di questi elementi attraversano le regioni di confine lottando in Afghanistan o in Pakistan secondo le necessità.

Ci sono anche gruppi tribali che non hanno mai accettato qualsiasi tipo di governo di Islamabad soprattutto nelle regioni del Baluchistan e Waziristan. Poi ci sono un numero crescente di persone disperate e sofferenti che non hanno alcuna speranza di istruzione e lavoro e i cui bambini finiscono spesso nella presa delle scuole religiose, le madrasse. Non c’è una mancanza di persone da cui reclutare perché ci sono più di un milione di persone spostate da una zona all’altra del Pakistan. In tutto è stato stimato che attualmente ci sono 1,5 milioni di bambini nelle madrasse dove generalmente si insegnano solo i versi coranici. In queste scuole i talebani fanno il loro reclutamento di kamikaze aiutati dal fatto che ogni attacco aereo degli Usa tende ad uccidere civili innocenti creando un vero odio e desiderio di vendetta che i talebani possono sfruttare. Le uccisioni e gli attacchi costanti nei confronti dell’esercito aumentano; negli ultimi 5 anni 1500 soldati pakistani sono stati uccisi lottando con le varie forze insorte.

Quali prospettive?

C’è una discesa accelerata nel caos. Gli Usa hanno una vera paura delle conseguenze di un collasso dell’amministrazione civile, dal momento che il Pakistan è in possesso dell’arma  nucleare. Gli Usa hanno affermato in modo bellicoso che l’avrebbero invaso per rendere sicure le basi se avessero pensato che fosse nel loro interesse. Qualsiasi invasione sarebbe estremamente provocatoria e peggiorerebbe drasticamente la situazione sociale.

C’è anche la questione dei rapporti tra Pakistan e India che erano già ad alta tensione anche prima degli attacchi di Mumbai. Dopo questi attacchi molte fazioni hanno richiesto direttamente il bombardamento del Pakistan. Qualsiasi attacco al Pakistan avrebbe attirato la Cina (sostenitore chiave del Pakistan), e quindi anche gli Usa, in una lotta con conseguenze disastrose per la regione.

Contro questa tendenza c’è solo il potenziale della lotta della classe operaia internazionale. In particolare nella regione abbiamo visto ondate di lotta nel Bangladesh che offrono una vera alternativa proletaria alla catastrofe del capitalismo in decomposizione.

Graham, 1/4/09

Geografiche: 

  • Pakistan [13]

Questioni teoriche: 

  • Imperialismo [14]

Darwin ed il Movimento Operaio

  • letto 88 volte
Quest’anno vede la commemorazione del bicentenario della nascita di Charles Darwin (ed il 150° anniversario dalla pubblicazione de l’Origine della Specie). L’ala marxista del movimento operaio ha da sempre salutato gli eccezionali contributi di Darwin alla comprensione dell’umanità di sé stessa e della natura.

Per molti aspetti Darwin è stato un personaggio tipico del suo tempo, interessato ad osservare la natura e felice di condurre esperimenti sulla vita animale e delle piante. Il suo lavoro empirico svolto, tra l’altro, su api, scarabei, vermi, piccioni e balani è stato scrupoloso e dettagliato. La tenace attenzione di Darwin per i balani (i cosiddetti “denti di cane”) fu tale che i suoi figli da piccoli “iniziarono a pensare che tutti gli adulti dovessero avere la stessa preoccupazione; uno di questi arrivò a chiedere a proposito di un vicino: ‘dove si prende cura dei suoi balani’?” (Darwin, Desmond & Moore).

Darwin si è distinto per la sua capacità ad andare oltre i dettagli, a teorizzare e a cercare i processi storici, mentre altri si accontentavano di catalogare i fenomeni o di accettare le spiegazioni esistenti. Un esempio tipico di ciò fu la sua risposta alla scoperta di fossili marini ritrovati sulle Ande a migliaia di metri di altitudine. Grazie all’esperienza di un terremoto e ai Principi di Geologia di Lyell, fu capace di comprendere l’entità dei movimenti della terra che avevano fatto sì che degli organismi marini finissero sulle montagne senza dover far ricorso a resoconti biblici di un diluvio universale. “Io sono un convinto sostenitore che senza riflessioni speculative non esistono delle buone ed originali osservazioni” (come scrisse in una lettera ad A.R. Wallace, il 22/12/1857).

Non aveva inoltre timore di prendere le osservazioni raccolte in un campo ed utilizzarle in altri campi. Benché Marx abbia posto poca attenzione alla maggior parte degli scritti di Thomas Malthus, Darwin utilizzò le idee di questi sulla crescita demografica della popolazione umana per sviluppare la sua teoria sull’evoluzione. “Nell’ottobre del 1838 mi capitò di leggere, per distrarmi, il libro di Malthus sulla popolazione e, essendo ben preparato ad apprezzare la lotta per l’esistenza che ha luogo dappertutto, grazie ad un’osservazione prolungata e ininterrotta delle abitudini degli animali e delle piante, all’improvviso mi colpì l’idea che nelle circostanze favorevoli le variazioni tendevano ad essere preservate, mentre in quelle non favorevoli ad essere distrutte. Il risultato di questo sarebbe la formazione di nuove specie. A partire da qui, disponevo finalmente di una teoria per il mio lavoro” (Darwin, “Ricordi dello sviluppo della mia mente e del mio carattere”).

Ciò avveniva 20 anni prima che questa teoria facesse la sua apparizione pubblica ne L’Origine della Specie, ma gli elementi essenziali sono già là. Ne L’Origine della Specie Darwin spiega che usa “l’espressione Lotta per l’Esistenza in senso largo e metaforico” e “per comodità” e che per Selezione Naturale intende la “preservazione delle variazioni favorevoli ed il rigetto di variazioni nocive”. L’idea di evoluzione non era nuova, ma nel 1838 Darwin stava già sviluppando una spiegazione di come le specie erano evolute. Metteva a confronto le tecniche degli allevatori/selezionatori di levriero e dei colombofili  (selezione artificiale) con la selezione naturale che considerava “la più parte bella della [sua] teoria” (Darwin citato in Desmond & Moore).

Il metodo del materialismo storico

A sole tre settimane dalla pubblicazione de L’origine della Specie, Engels scriveva a Marx: “Darwin, che ho appena letto, è magnifico. C’era un punto su cui la teleologa non era stata ancora demolita; adesso lo è. Inoltre, non avevamo mai avuto fino ad ora un così splendido tentativo per dimostrare lo sviluppo storico nella natura, almeno non con altrettanto successo”. La “demolizione della teleologia” fa riferimento al colpo che L’origine della specie ha portato a tutte le idee religiose, idealiste o metafisiche che cercano di spiegare i fenomeni attraverso i loro effetti piuttosto che con le loro cause. Questo è fondamentale in una visione materialista del mondo. Come Engels ha scritto ne L’Anti-Dürhing (capitolo 1), Darwin “ha assestato il colpo più rude alla concezione metafisica della natura dimostrando che tutta la natura organica attuale, le piante, gli animali e di conseguenza l’uomo, è il prodotto di un processo di evoluzione che è andato avanti per milioni di anni”.

Nei documenti di preparazione alla sua opera La Dialettica della Natura, Engels sottolinea il significato de L’origine della Specie. “Darwin, nel suo lavoro che ha fatto epoca, è partito dalla base più larga esistente della casualità. Precisamente, dalle infinite ed accidentali differenze tra gli individui di una stessa specie, differenze che si accentuano fino a trasformare le caratteristiche della specie, (…) l’hanno obbligato a mettere in questione le basi precedenti della regolarità in biologia, e cioè il concetto di specie nella sua rigidità e nella sua invariabilità metafisiche passate”.

Marx lesse L’origine della specie un anno dopo la sua pubblicazione e scrisse immediatamente ad Engels  (19/12/1860) “Ecco il libro che contiene la base, in storia naturale, per le nostre idee”. Più tardi scrisse che il libro era servito da “base naturale-scientifica alla lotta di classe nella storia” (lettera a Lassalle, 16/1/1862).

Nonostante il loro entusiasmo per Darwin, Marx ed Engels non erano però acritici al suo riguardo. Erano coscienti dell’influenza di Malthus ed anche del fatto che la perspicacia di Darwin veniva utilizzata nel “Darwinismo sociale” per giustificare lo statu quo della società vittoriana, la grande ricchezza per alcuni e per i poveri la prigione, le pene lavorative, la malattia, la carestia o l’emigrazione. Nella sua introduzione a La Dialettica della Natura, Engels avanza alcune implicazioni: “Darwin non sapeva quale amara satira dell’umanità scriveva (…) quando mostrava che la libera concorrenza, la lotta per l’esistenza, celebrata dagli economisti come la più alta realizzazione storica, è lo stato normale del regno animale”. È solamente “l’organizzazione cosciente della produzione sociale” che può condurre l’umanità, dalla lotta per la sopravvivenza all’estensione dei mezzi di produzione come base della vita, del piacere e dello sviluppo; e questa “organizzazione cosciente” esige una rivoluzione da parete dei produttori, la classe operaia.

Engels vedeva anche come le lotte dell’umanità (e la comprensione marxista di queste) superavano il quadro di Darwin: “la concezione della storia come una serie di lotte di classe è già ben più ricca nel suo contenuto e profondità di quella che si accontenta di ridurla alle fasi di lotta per l’esistenza” (La Dialettica della Natura, note e frammenti).

Tuttavia tali critiche non rimettono in causa il posto di Darwin nella storia del pensiero scientifico. In un discorso sulla tomba di Marx, Engels sottolineava che “come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia dell’umanità”.

Il marxismo dopo il darwinismo

Mentre Darwin è stato, di volta in volta, alla moda o antiquato nel pensiero borghese (mai presso scienziati seri), l’ala marxista del movimento operaio non l’ha mai abbandonato. Plekhanov, in una nota del suo libro La Concezione monista della storia (capitolo 5), descrive il rapporto tra il pensiero di Darwin e quello di Marx: “Darwin è riuscito a risolvere il problema di come si sono create le specie vegetali ed animali nella lotta per l’esistenza. Marx è riuscito a risolvere il problema di come sono sorti differenti tipi di organizzazione sociale nella lotta degli uomini per la loro esistenza. Logicamente, l’investigazione di Marx comincia precisamente là dove finisce quella di Darwin (…) Lo spirito di ricerca è assolutamente lo stesso nei due pensatori. E’ per tale motivo che possiamo dire che il marxismo è il darwinismo applicato alla scienza sociale”.

Un esempio dell’interdipendenza tra il marxismo ed i contributi di Darwin si trova nel libro Etica e Concezione Materialista della storia di Kautsky. Sebbene Kautsky sopravvaluta l’importanza di Darwin, egli si ispira al suo libro La Filiazione dell’Uomo per descrivere l’importanza dei sentimenti altruistici, degli istinti sociali nello sviluppo della morale. Nel capitolo 5 de La Filiazione, Darwin descrive come “l’uomo primitivo” è divenuto un essere sociale e come “[gli uomini] si sarebbero avvertiti reciprocamente del pericolo, ed aiutati reciprocamente durante gli attacchi. Tutto questo implica un certo grado di simpatia, di fedeltà e di coraggio”. Aggiungendo che “quando due tribù di uomini primitivi … entravano in competizione, se una comprendeva (…) un gran numero di membri coraggiosi, ben disposti e fedeli, sempre pronti ad avvertirsi del pericolo, ad aiutarsi ed a difendersi reciprocamente, non c’era alcun dubbio che questa tribù avrebbe vinto l’altra. Bisogna ricordarsi che la fedeltà ed il coraggio dovevano essere della massima importanza nelle guerre incessanti tra selvaggi. Il vantaggio dei soldati disciplinati su orde indisciplinate proviene principalmente dalla fiducia che ogni uomo prova nei suoi compagni. (…) Le persone egoiste ed attaccabrighe non si uniranno e senza unione niente può essere realizzato”. Probabilmente Darwin esagera sul fatto che le società primitive fossero in guerra permanente tra loro, ma la necessità della cooperazione come fondamento della sopravvivenza era altrettanto importante in attività come la caccia e la distribuzione del prodotto sociale. È l’altra faccia della “lotta per l’esistenza”, dove vediamo il trionfo della solidarietà e della fiducia reciproca sulla divisione e l’egoismo.

Da Darwin ad un avvenire comunista

Anton Pannekoek non solo era un grande marxista, ma anche un astronomo di rinomanza (un cratere della faccia nascosta della luna ed un asteroide portano il suo nome). Nessuna discussione su “marxismo e darwinismo” sarebbe completa senza far riferimento al suo testo del 1909 dallo stesso titolo.

In primo luogo, Pannekoek affina la nostra comprensione del rapporto tra marxismo e darwinismo. “La lotta per l’esistenza, formulata da Darwin e sottolineata da Spencer, esercita un effetto differente sugli uomini e sugli animali. Il principio secondo cui la lotta conduce al perfezionamento delle armi utilizzate nei conflitti, porta a risultati differenti negli uomini e negli animali. Nell’animale, porta ad uno sviluppo continuo degli organi naturali; è la base della teoria della filiazione, l’essenza del darwinismo. Negli uomini, porta ad uno sviluppo continuo degli attrezzi, dei mezzi di produzione. E’questo è, tuttavia, il fondamento del marxismo. Qui vediamo che il marxismo ed il darwinismo non sono due teorie indipendenti, ciascuna che si applica al proprio campo specifico, senza avere niente in comune con l’altra. In realtà, lo stesso principio è alla base delle due teorie. Formano un’unità. La nuova direzione presa dagli uomini, la sostituzione degli attrezzi agli organi naturali, fa si che questo principio fondamentale si manifesti in maniera differente nei due campi; quello del mondo animale si sviluppa secondo i principi darwinisti, mentre per l’umanità si applica il principio marxista”.

Pannekoek ha sviluppato anche l’dea dell’istinto sociale sulla base dei contributi di Kautsky e di Darwin: “Il gruppo presso cui l’istinto sociale è meglio sviluppato potrà mantenersi sul suo territorio, mentre il gruppo presso cui l’istinto sociale è poco sviluppato, o diventerà una facile preda per i suoi nemici, o non sarà in grado di trovare dei luoghi favorevoli alla sua alimentazione. Questi istinti sociali diventano, dunque, i fattori più importanti e decisivi che determinano chi sopravvivrà nella lotta per l’esistenza. È a causa di ciò che gli istinti sociali sono stati elevati alla posizione di fattori predominanti”.

“Gli animali sociali sono in grado di battere quelli che conducono la lotta individualmente”.

La distinzione tra gli animali e l’uomo sapiens risiede, tra l’altro, nella coscienza.

“Tutto ciò che si applica agli animali sociali si applica anche all’uomo. I nostri antenati scimmieschi e gli uomini primitivi che si sono sviluppati da questi erano tutti senza difesa, dei deboli animali che, come quasi tutte le scimmie, vivevano in tribù. In queste sono dovute apparire le stesse motivazioni sociali, gli stessi istinti sociali che, in seguito, si sono trasformati in sentimenti morali. Che i nostri costumi e la nostra morale non siano altro che sentimenti sociali, sentimenti che incontriamo negli animali, è riconosciuto da tutti; anche Darwin ha parlato delle “abitudini degli animali che negli uomini si chiamerebbe morale”. La differenza sta solo nel livello di coscienza; appena questi sentimenti sociali diventano chiari per gli uomini, prendono il carattere di sentimenti morali”.

Anche Pannekoek critica il “Darwinismo Sociale” quando mostra come i “darwinisti borghesi” sono caduti in un circolo vizioso - il mondo descritto da Malthus e Hobbes assomiglia, guarda caso, al mondo descritto da Hobbes e Malthus!: “Sotto il capitalismo, l’umanità somiglia per la maggior parte del tempo al mondo degli animali rapaci ed è per questo che i darwinisti borghesi hanno ricercato il prototipo umano negli animali che vivono solitari. Vi erano guidati dalla propria esperienza. Il loro errore, tuttavia, è stato quello di considerare le condizioni capitaliste come eterne. Il rapporto che esiste tra i nostri sistemi capitalisti concorrenziali e gli animali solitari è stato espresso da Engels nel suo libro, L’Anti-Dühring, come segue:«In fin dei conti, l’industria moderna e l’apertura del mercato mondiale hanno reso universale la lotta e, allo stesso tempo, le hanno impresso una violenza fin’ora sconosciuta. Adesso sono i vantaggi delle condizioni, naturali o artificiali, che decidono dell’esistenza o meno dei capitalisti individuali così come di tutta una serie di industrie e di paesi. Chi fallisce è rigettato senza pietà. È la lotta darwinista per l’esistenza dell’individuo, trasposta con un rabbia decuplicata dalla natura nella società. La condizione dell’animale nella natura appare come l’apogeo dello sviluppo umano»”.

Ma le condizioni capitaliste non sono eterne, e la classe operaia ha la capacità di rovesciarle e di porre fine alla divisione della società in classi dagli interessi contrapposti. “Con l’abolizione delle classi, l’insieme del mondo civilizzato diventerà una grande comunità produttiva. In seno a questa comunità, la lotta che opponeva i suoi membri cesserà e si trasformerà in lotta col mondo esterno. Non sarà più una lotta contro la nostra specie, ma una lotta per la sussistenza, una lotta contro la natura. Ma, grazie allo sviluppo della tecnica e della scienza, questa non potrà essere chiamata una vera lotta. La natura è subordinata all’uomo e, con pochi sforzi da parte di questo, essa lo servirà in abbondanza. Allora, una nuova vita si apre all’umanità: la liberazione dell’uomo dal mondo animale e la lotta per l’esistenza attraverso degli strumenti finirà e comincia un nuovo capitolo della storia dell’umanità”.

Car (da World Revolution, organo della CCI in Gran Bretagna)


URL Sorgente:https://it.internationalism.org/content/rivoluzione-internazionale-ndeg160

Collegamenti
[1] https://it.internationalism.org/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia [2] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori [3] https://it.internationalism.org/tag/situazione-italiana/economia-italiana [4] https://it.internationalism.org/tag/3/42/ambiente [5] https://it.internationalism.org/tag/2/29/lotta-proletaria [6] https://it.internationalism.org/tag/2/30/la-questione-sindacale [7] https://fr.internationalism.org/book/export/html/3712 [8] http://www.lkp-gwa.org/chronologie.htm [9] http://www.liberation.fr/politiques/0101513929-la-societe-guadeloupeenne-entre-dans-l-apres-greve [10] https://it.internationalism.org/tag/vita-della-cci/interventi [11] https://it.internationalism.org/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/corrente-comunista-internazionale [12] https://es.internationalism.org/node/2247 [13] https://it.internationalism.org/tag/4/64/pakistan [14] https://it.internationalism.org/tag/3/49/imperialismo