Frazione e Partito nel dibattito della Sinistra Comunista

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Questo terzo numero della Rivista Internazionale viene dedicato al problema di frazione e partito, così come si è sviluppato nella sinistra comunista in seguito al riflusso dell’ondata rivoluzionaria degli anni ‘20 ed alla conseguente degenerazione dei partiti comunisti. Passare a costituire immediatamente nuovi partiti o svolgere un ruolo di minoranza, di frazione all’interno di questi? E quando tali partiti passano definitivamente alla controrivoluzione, è questo dato sufficiente per porre all’ordine del giorno la costruzione del nuovo partito? Sono questi i temi brucianti su cui si sono confrontati i rivoluzionari, dando luogo a dibattiti appassionati, ma giungendo anche a rotture storiche tra diverse correnti del movimento operaio, alimentate dal non facile periodo controrivoluzionario.

La disputa tra frazione e partito, come si può comprendere dalla lettura dei testi, lungi dall’essere una discussione oziosa sul miglior modo di organizzarsi, impegnava immediatamente i rivoluzionari su quelli che dovessero essere i compiti del momento e su come risolverli.

Si vedrà così Bilan contrapporre ai tentativi di Trotskij di ricostituire, su basi assolutamente velleitarie, una nuova Internazionale, il lavoro fondamentale di “bilancio” dell’esperienza passata per poter porre le premesse più salde possibili per la costruzione del futuro partito.

Sulla stessa linea si colloca il lavoro di Internationalisme negli anni quaranta e l’analoga polemica portata contro la prematura costituzione del PCInt in Italia nel 1943-45.

E’ all’interno di questa attività che si va precisando, soprattutto in Internationalisme, la concezione dell’organizzazione dei rivoluzionari come non una testa da prestare al movimento operaio, non uno “Stato Maggiore”, ma una parte della classe che opera al suo interno “per permettere alla classe stessa di acquistare la coscienza della sua missione, dei suoi fini e dei mezzi che sono le fondamenta della sua azione rivoluzionaria”.

La ripubblicazione di questi vecchi testi del movimento operaio, vale ancora una volta ripeterlo, non è un’operazione archeologica; la ricchezza della polemica portata avanti da Bilan contro Trotskij, e da Internationalisme nei confronti del PCInt sono un fondamentale contributo ad un dibattito ancora oggi attuale. In questa introduzione cercheremo di indicare brevemente il quadro storico in cui questo dibattito è nato ed ha iniziato a svilupparsi.

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La fondazione della III Internazionale, nel marzo 1919 a Mosca, si basava sulla vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia e sulla prospettiva della imminente rivoluzione mondiale, in vista della quale l’I.C. si era esplicitamente costituita. L’arenarsi negli anni successivi dell’ondata rivoluzionaria del proletariato mondiale e la parallela tendenza all’involuzione della rivoluzione russa assediata, trascinarono l’Internazionale in un processo degenerativo sempre più inarrestabile. Non ci interessa qui seguirne puntualmente il decorso; ci basti citare i primi episodi che esprimono il riflettersi all’interno delle organizzazioni proletarie dell’iniziata “inversione di tendenza” nella dinamica dello scontro di classe e cioè lo scioglimento nel Maggio 1920 del Bureau di Amsterdam dell’IC, perché composto di comunisti di sinistra, la repressione della rivolta di Kronstadt e le proibizioni delle frazioni nel contemporaneo X Congresso del Partito Bolscevico nel Marzo 1921, e nel giugno seguente, al III Congresso dell’IC, il riavvicinamento alla socialdemocrazia (tattica del “fronte unito”, della “lettera aperta”) e la contemporanea espulsione dall’Internazionale del KAPD (Partito Comunista Operaio di Germania), il principale interprete delle posizioni delle Sinistre Comuniste Tedesche ed Olandesi.

L’attuale programma rivoluzionario è debitore a queste ultime[1] di potenti anticipazioni nella critica dei sindacati, delle lotte di “liberazione nazionale”, della concezione “leninista” del partito; ma per la loro stessa natura di reazioni proletarie immediate alla degenerazione dell’IC, mancò loro la capacità di sistematizzare questi elementi in un tutto coerente ed organico. Il riflusso del movimento le trascinò con sé mostrandole incapaci non solo di progredire, ma anche di resistere sulle loro stesse posizioni degli anni ‘20, che vennero abbandonate a. favore delle posteriori elaborazioni di Pannekoek, oggi conosciute sotto il nome di “consiliarismo”. Toccò invece alla Sinistra Italiana, più formata programmaticamente, di tirare le fondamentali “lezioni della controrivoluzione” e stabilire un bilancio degli avvenimenti del primo dopoguerra capace di integrare nel programma rivoluzionario anche i reali apporti delle altre Sinistre Comuniste.

Questa capacità di assimilazione critica potrà sembrare paradossale ed incredibile a tutti quelli che considerano la Sinistra Italiana come sinonimo di “Leninismo di ferro” e di chiusura settaria alla discussione con altre correnti. Ma su entrambi i punti si tratta di una comoda leggenda, alimentata ad arte dagli attuali epigoni di questa corrente per giustificare il loro atteggiamento. In particolare Programma Comunista si accanisce nel minimizzare le divergenze con l’Internazionale Comunista, ridotte a questioncelle secondarie come la partecipazione o no alle elezioni. In realtà già nel corso del 1922 il contrasto fra la direzione di sinistra del PCd’I e l’Internazionale era arrivato ad un punto critico, come si vedrà chiaramente al IV Congresso Mondiale a fine anno.

E’ noto. che di fronte al tentativo di liquidare il partito di Livorno ‘21 con l’imposizione della fusione con un PSI di nuovo pencolante verso Mosca, l’esecutivo del partito (Bordiga, Fortichiari, Repossi, Terracini, Grieco) dimissiona in blocco, ritenendo incompatibili le proprie posizioni con la messa in pratica della linea dell’IC per l’Italia. Meno noto (visto che Programma si è sempre guardato bene dal pubblicare o richiamarsi a questo importante documento) è che nella primavera del 1923 Bordiga fece uscire dal carcere un Manifesto “a tutti i compagni del PCd’I” che doveva servire da base per la rottura aperta con l’Internazionale, ma la cui diffusione fu bloccata, prima dal rifiuto di Gramsci di firmarlo, poi dalla marcia indietro dei vari firmatari Togliatti, Terracini, etc. passati alla corrente di centro.

L’importanza di questo testo sta sia nel rivelare che Bordiga già nel ‘23 era convinto della necessità ed inevitabi1ità della rottura con l’IC, sia nelle righe che concludono le istruzioni ai destinatari: “Interessa molto diffonderlo anche all’estero, e a chi lo facesse sotto forma di traduzione saremmo assai grati”, che dimostrano la volontà di dare al dibattito proposto un piano internazionale. E non c’è motivo di stupirsene dato che la crisi economica, i licenziamenti e le persecuzioni fasciste avevano fatto emigrare già in Germania, Belgio e soprattutto in Francia un rilevante numero di militanti della Sinistra che, lungi dal chiudersi in sdegnoso isolamento, si erano pienamente integrati nelle lotte politiche e sociali di quei paesi, stabilendo stretti contatti con elementi di sinistra dei vari partiti comunisti. Di questa attività sono espressione i rapporti stabiliti dal gruppo di Michelangelo Pappalardi con i sinistri tedeschi, in particolare Korsch, il voto favorevole di un delegato francese alle tesi presentate al V Congresso Mondiale dalla Sinistra Italiana, e la presentazione al V Congresso del PCF a Lille (1926) di una Plateforme de Gauche (bordiguiste) come testo di opposizione.

Appare quindi chiaro che la famosa lettera di Bordiga a Korsch alla fine del 1926 non è un evento occasionale, ma piuttosto un consuntivo di tutto un lavoro di contatti svoltosi negli anni precedenti. D’altronde, nel corso delle polemiche sul Comitato d’Intesa nel luglio ‘25, lo stesso Bordiga, accusato di essere in relazione con elementi di sinistra di altri partiti, confermò l’esistenza di questi contatti, ma ne trasse il giudizio che: “oggi non è ancora possibile un orientamento parallelo di gruppi di estrema sinistra[2]”.

Come si vede, i motivi di fondo delle continue “marce indietro” rispetto alla rottura aperta vanno cercati più in questioni politiche che non nel “fatalismo napoletano di Bordiga”. Il vero problema è che la Sinistra Italiana - come acutamente nota Gramsci - si pone dal punto di vista di una minoranza internazionale e non di una maggioranza nazionale. Fintantoché i suoi aderenti sono convinti che l’Internazionale Comunista resta l’organismo che raggruppa la maggioranza delle forze ancora capaci di lottare per la rivoluzione, una scissione nella sola Italia, perfino maggioritaria, non ha alcun senso.

Soprattutto è viva la preoccupazione di imbarcarsi in iniziative internazionali basate sulla buona volontà, ma prive di quella chiara base programmatica che sola può permettere “un orientamento parallelo dei gruppi di estrema sinistra[3]. A questo si aggiungono le innegabili reticenze a rompere con l’Internazionale di Lenin, soprattutto per i compagni restati in Italia sul cui lavoro pesano carcere, confino e divieto di riunione.

In questo clima si effettua l’ultimo tentativo di organizzazione della Sinistra con la costituzione del Comitato d’Intesa (Luglio 1925) in vista del prossimo Congresso di Lione del PCd’I.

Quali che fossero le effettive intenzioni degli iniziatori (semplice coordinamento precongressuale o primo passo verso la Frazione), il Comitato verrà rapidamente sciolto in seguito alla campagna terroristica della direzione ed alla minaccia dell’IC di espulsione in blocco della Sinistra. La decisione sarà presa con notevoli resistenze interne di cui si ritrova una vivace descrizione nella lettera speditaci da Bruno Bibbi, un vecchio militante della Sinistra, allora emigrato in Francia:

... cademmo come degli ingenui nella trappola tesaci dai bolscevizzatori. Il Comitato d’Intesa, costituito dai compagni in Italia, era definito come il primo passo per la rottura completa della sinistra italiana con l’Internazionale; (fu portata avanti) una campagna asfissiante sia attraverso la stampa che attraverso i rappresentanti ufficiali all’interno del partito, influenzati anche dall’oscena e brutale opera contro l’opposizione russa. In Francia costituimmo, a similitudine dei compagni d’Italia, un “Comitato di Intesa” per mantenere i contatti con tutti i compagni della sinistra emigrati ed essere pronti a rispondere all’eventuale appello, che ormai ritenevamo inevitabile dai compagni italiani. Fu a questo punto che ricevemmo un invito a delegare un compagno a prendere contatti a Milano per avere un resoconto del 3°Congresso del partito che nel frattempo aveva avuto luogo a Lione, senza che alcun esponente della sinistra italiana in Francia, che purtanto rappresentava oltre l’ottanta per cento di tutti i membri del partito sul posto, fosse stato delegato al congresso.

A Milano il nostro rappresentante, che al ritorno portò una copia della dichiarazione di Bordiga al congresso di Lione, da voi pubblicata nell’apertura delle note sulla storia della sinistra[4], ebbe una profonda delusione. Si attendeva che dietro le (notizie) pubb1icate dal centrismo a proposito del Comitato d’Intesa si trovasse il comitato direttivo di una solida organizzazione che, malgrado gli sforzi del centrismo, riuscissi a controllare la maggior parte del partito; ma al posto di trovare una rete organizzativa di collegamento tra il Comitato d’Intesa e tutti i gruppi della sinistra sparsi attraverso l’Italia, trovò un vuoto ed una disorganizzazione completa. Di fronte alla sorpresa del nostro inviato il compagno Vercesi sorridente ci spiegò che tutto quello che aveva pubblicato la nostra stampa ed i rappresentanti ufficiali del neocentrismo era un bluff e che la funzione del Comitato d’Intesa alla sua costituzione era esclusivamente quella di regolare gli interventi dei compagni della sinistra nella discussione precongressuale e che nessuno, tanto meno Amadeo (Bordiga, n.d.r.) pensava ad atti di forza o di rottura con il partito e con l’Internazionale. (...) Con obiettività i compagni italiani informarono il nostro rappresentante che Repossi[5] dissentiva dalla linea della maggioranza della sinistra ed aveva compilato una circolare per la rottura che aveva deposto personalmente al domicilio dei compagni della sinistra di Milano.

Al suo ritorno a Parigi il nostro compagno fece una estesa relazione dei colloqui di Milano e di fronte ai fatti reali la quasi totalità dei compagni accettò adeguandosi alla posizione dei compagni italiani. Fu in questo frangente che una mezza dozzina di compagni capeggiati da Pappalardi e da Rossi si ribellarono e ruppero con la sinistra italiana in modo definitivo e presero contatti con gli operaisti tedeschi e notoriamente con Korsch”.

E’ importante notare che in questo momento il portavoce delle posizioni “attesiste” di Bordiga è Vercesi (Ottorino Perrone), che mantiene questo ruolo dopo la sua fuga all’estero, nel corso delle discussioni (Marzo-Aprile ‘27) con i compagni raccolti attorno a Michelangelo Pappalardi che ritiene oramai non rimandabile la rottura[6]. La divergenza aggravata da diverse valutazioni sulla natura di classe della Russia, risulta insanabile e Pappalardi si separa dal resto degli italiani, rompe con l’IC e pubblica “Le Reveil Communiste”, poi “L’ouvrier communiste”, che scivolerà sempre più su posizioni consiliariste.

Ma ad un anno di distanza, a Pantin (Parigi) nell’aprile 1928, è la stessa maggioranza guidata da Vercesi a rompere a sua volta ed a costituirsi in Frazione di Sinistra del PCI, iniziando la pubblicazione del giornale in lingua italiana Prometeo. Che cosa ha spinto a rompere gli ultimi indugi? Non è certo estranea la drammatica chiarificazione avvenuta in Russia: alla fine del 1927 trionfa definitivamente la teoria del socialismo in un solo paese e l’opposizione di sinistra è annientata. Kamenev e Zinoviev capitolano vergognosamente, mentre Trotskij rimasto saldo viene prima deportato ad Alma Ata, poi espulso dall’URSS. La sinistra russa, guidata da Trotskij, diventa con ciò l’esplicito punto di riferimento internazionale di tutti i gruppi e le correnti di opposizione alla de­generazione dell’IC. Sembra infine possibile un confronto su basi serie fra gli elementi di sinistra a livello internazionale, ed è assai probabile che questa nuova realtà abbia reso non solo necessario, ma urgente per la Sinistra Italiana darsi i mezzi organizzativi e pratici per intervenire attivamente in questo confronto.

Nel giugno 1928, in contemporanea con la pubblicazione del n°1 di Prometeo, la Frazione prende contatto con Trotskij, esule a Costantinopoli, aprendo così una discussione che non sarà facile e che si concluderà con una rottura definitiva. Come spiega estesamente il testo che pubblichiamo, uno dei punti centrali di divergenza è quello della funzione che l’opposizione internazionale deve avere, e quindi dei tempi e delle modalità della sua formazione. Trotskij considera la “costruzione’ dell’Opposizione Internazionale di Sinistra un compito immediato, attuabile mettendo assieme i gruppi più disparati grazie al proprio prestigio personale (e così avverrà nell’Aprile 1930 alla Conferenza Costitutiva di Parigi, cui Prometeo non partecipa). Conseguentemente scrive alla redazione di Prometeo:

Se la Sinistra Comunista in tutto il mondo contasse solo 5 aderenti, essi dovrebbero le stesso costruire una organizzazione mondiale contemporaneamente alla costruzione di una o più organizzazioni nazionali”. (19/7/1930)

Per gli italiani non sono gli accordi organizzativi a poter risolvere delle divergenze politiche. Ad una proposta di raggruppamento avanzata da “Contre le Courant” nel giugno 1928, rispondono:

Ci sono molte opposizioni. E’ un male; ma non c’è altro rimedio che il confronto delle rispettive ideologie, la polemica per poi arrivare a quello che ci proponete”.

Su Prometeo n°38 (1931) Vercesi precisa ulteriormente le posizioni della Frazione:

La nostra frazione precisava che ogni gruppo di opposizione doveva darsi una piattaforma. In funzione di questo problema noi vedevamo a1tresì la figura del centro internazionale non come organismo che si assegna come scopo quello della unificazione dei vari gruppi variopinti, ma di organismo che aiuta i gruppi di ogni paese a fondarsi sulla base di una piattaforma. (...) La posizione difesa dalla frazione in occasione della Conferenza di Parigi era in sostanza: ‘prima delle basi in ogni paese (piattaforma), poi conferenza internazionale di unificazione’(…).

Occorre prepararsi per le immancabili situazioni definitive, le quali, esse, permetteranno la costituzione di una frazione internazionale di sinistra, la quale non è che l’antefatto immediato di una nuova Internazionale. (...) “Frazione” su scala nazionale significa formazione che vive al contatto diretto con gli avvenimenti di classe e che vi trova alimento per la sua azione specifica per quanto è soluzione della crisi comunista. “Frazione” su scala internazionale significa che è già risolto o è sul punto di essere immediatamente risolto il problema dei rapporti di classe in un dato settore che dovrà sconvolgere tutto l’assetto mondiale e porrà quindi il problema della chiarificazione su scala internazionale”.

Come si vede, per Prometeo il processo di organizzazione politico-programmatica delle differenti frazioni di sinistra - espressioni del contributo del proletariato dei vari en paesi - non è il frutto di una riflessione teorica del tutto indipendente dal movimento storico del proletariato. Al contrario è il modificarsi dei rapporti di forza fra le classi, l’apertura di un nuovo periodo di lotte operaie che pone le condizioni oggettive per la conclusione di questo processo con la costituzione della Frazione Internazionale, che dovrà servire da ossatura della futura Internazionale. In una parola la frazione può e deve “aprire” un bilancio di tutta una fase del movimento rivoluzionario e portarlo avanti il più possibile. Ma “chiuderlo” è possibile solo in presenza di mutate condizioni oggettive, che esprimono l’apertura di una nuova fase storica. Solo allora la frazione potrà avere “il futuro che sapremo preparare”.

Nel novembre 1933, caduta nel vuoto la proposta di un Ufficio Internazionale di Informazione, la Frazione decide di pubblicare con i suoi mezzi la rivista Bilan, in lingua francese, sulle cui colonne si svolge quella chiarificazione politica che il Segretariato Internazionale dell’Opposizione ha finora sostituito con manovre, raggiri e accordi diplomatici intergruppi in vista della creazione di una fantomatica IV Internazionale.

Non è qui possibile ricordare tutte le questioni centrali su cui Bilan ha dato contributi fondamentali, in uno spirito di massima apertura alla discussione delle divergenze, che vede le sue pagine continuamente aperte ad interventi di esponenti di altre correnti politiche, dagli Internazionalisti belgi alla Sinistra Tedesca-Olandese.

Per il tema specifico da noi trattato, è utile invece ricordare che il 1935 rappresenta un punto importante nella storia di Bilan. Contrariamente a quanto era avvenuto per la socialdemocrazia, i partiti comunisti passano ufficialmente alla collaborazione di classe, ancora prima che scoppiasse la guerra (ingresso dell’URSS nella Società delle Nazioni, patto franco-sovietico, sostegno del PCF al governo Laval in Francia). Il congresso della Frazione abbandonò quindi il nome di Frazione di Sinistra del PCI per quello di Frazione Italiana della Sinistra Comunista. Dato che la rottura completa era avvenuta a Pantin nel ‘28, potrebbe sembrare un cambiamento solo formale, ma non è così poiché sullo stesso numero di Bilan appare la dichiarazione di rottura di ogni relazione politica con l’Opposizione Internazionale di Sinistra, ormai definitivamente naufragata con 1’“entrismo” nei partiti socialdemocratici. Bilan si trova quindi a registrare il suo quasi totale isolamento nella prosecuzione del lavoro avviato, ciò che la sottopone ad una crescente pressione ad “accelerare i tempi” per far fronte alla terribile responsabilità storica di cui è portatrice. Questa tendenza a “forzare il passo” si nota già nelle considerazioni di Vercesi sul significato del Congresso del ‘35:

… bisogna pensare che nella situazione attuale, benché non si abbia e non si possa avere un’influenza di massa, noi ci troviamo davanti alla necessità di agire non più come frazione di un partito che ha tradito, ma come - se così si può dire - partito in miniatura”. (Bilan n°28, marzo-aprile ‘36).

Ma sarà nel ’37-38, sotto la spinta di una situazione ancor più grave, che questa tendenza diverrà dominante e si esprimerà simbolicamente in un altro cambiamento di nome: Bilan viene sostituito da Octobre, organo dell’Ufficio Internazionale della GCI[7]. E’ in questo periodo che Vercesi elabora - di fronte al ritardo nell’esplosione della guerra - la sua teoria sull’economia di guerra, per cui la produzione di armi risolverebbe la crisi economica del capitalismo. Alla lotta interimperialistica per i mercati si sostituisce la “solidarietà interimperialistica contro la minaccia del proletariato”; al corso reale verso la guerra si sostituisce un ipotetico corso allo scontro di classe.

I risultati di questa illusione saranno disastrosi: lo scoppio della guerra trova la GCI completamente impreparata e, ciò che più conta, sbandata politicamente. Travolto dagli eventi Vercesi aggiorna la sua teoria, proclamando la “non esistenza sociale del proletariato durante la guerra” e la conseguente impossibilità di lavoro rivoluzionario finché essa duri. A questa tendenza liquidatoria della GCI si oppone la maggioranza della Frazione Italiana (FI) raggruppatasi a Marsiglia che si dedica al duplice compito di riallacciare la rete internazionale spezzata e portare a termine la critica delle teorie revisioniste della tendenza Vercesi.

Le tappe fondamentali di questo lavoro sono:

Gennaio ‘42: fondazione a Marsiglia del nucleo francese della GCI da parte di “compagni che rompono organizzativamente e politicamente con il confusionismo ed opportunismo delle organizzazioni trotskyste”.

Agosto 1943: Conferenza della FI che sottolinea - in accordo con il nucleo francese - la natura di classe degli scioperi del luglio ‘43 in Italia e di movimenti analoghi in Germania (inverno 42-43), mentre la tendenza Vercesi, sulla base della “inesistenza sociale del proletariato”, ne nega ogni possibilità di azione autonoma durante la guerra.

Maggio 1944: Conferenza della FI che condanna definitivamente le teoria revisio nista di Vercesi in una Dichiarazione Politica che ristabilisce le acquisizioni fondamentali della frazione.

Dicembre’44: il nucleo si trasforma in Frazione Francese della GCI che prenderà poi il nome di Sinistra Comunista di Francia (GCF) e pubblicherà il giornale l’Etincelle e l’organo teorico Internationalisme (l945—52).

Inizio’45:    la tendenza Vercesi, che è precipitata nella partecipazione al Comitato di Coalizione Antifascista di Bruxelles con tutti i partiti della borghesia italiana, è espulsa dalla FI.

In questo momento la notizia della costituzione, avvenuta nel 1943, del PCInt in Italia piomba come una bomba fra i compagni all’estero. Se da una parte questo conferma la natura di classe degli avvenimenti del ‘43, dall’altra apre una grossa divergenza fra Internationalisme, che propone il rientro della FI in Italia per garantire con la sua azione che il partito si inquadri strettamente nelle linee programmatiche stabilite dalla Sinistra Comunista Internazionale, e la maggioranza degli aderenti della FI che, ritenuto esaurito il loro compito, sciolgono la frazione alla Conferenza di Maggio ‘45 ed aderiscono individualmente al partito.

I risultati di questa liquidazione non tardano a manifestarsi: questi compagni si ritrovano nel partito assieme alla minoranza esclusa per la partecipazione alla guerra antifascista di Spagna ed alla minoranza esclusa per il Comitato Antifascista di Bruxelles, con Vercesi nella direzione del Partito, senza che nessuna chiarificazione politica sia ritenuta necessaria. L’euforia della “corsa al partito” ha cancellato tutto, tradimenti e discriminanti programmatiche, in un generale compromesso il cui migliore esempio è l’adozione all’unanimità al Convegno di Torino (1946) di una Piattaforma dovuta a Bordiga, quanto meno ambigua su alcuni punti centrali[8].

Contemporaneamente appare sempre più chiaro che la borghesia, edotta dall’esperienza del primo dopoguerra, è riuscita a stroncare la rinascente minaccia proletaria con un attacco preventivo (bombardamenti massicci sulle città operaie del Nord Italia, su Brema e Amburgo, occupazione militare della Germania e dispersione del suo proletariato in campi di prigionia in tutto il mondo). Per cui, in pieno corso controrivoluzionario, è l’esistenza stessa del partito che viene a perdere ogni base reale.

Internationalisme, fedele alla lezione di Bilan, condusse chiaramente e senza sotterfugi la critica di queste rovinose deviazioni, non cessando mai di chiedere la convocazione di una Conferenza Internazionale del la GCI che discutesse apertamente i punti di divergenza. Ma il resto della GCI eliminò il problema di un’imbarazzante chiarificazione nelle proprie fila, con la totale rottura di ogni tipo di rapporti con questo “interlocutore scomodo”. Di conseguenza è solo al Congresso di Firenze che le divergenze esplodono improvvisamente ed è lo stesso Vercesi - che è pure uno dei principali responsabili - a dover ammettere che “per correre dietro a delle chimere si è lasciato da parte il lavoro di formazione dei quadri che è in uno stato deplorevole” e che il partito non è che una frazione allargata. Commentano i compagni francesi:

Disgraziatamente in Italia non c’é né partito né frazione allargata, né influenza sulle masse, né formazione di quadri, dato che l’attività del P.C.Inter. tende a compromettere 1’immediato dell’una e l’avvenire dell’altra”. (Internationalisme n°36, luglio ‘48).

Ma neanche il Congresso riuscì a segnare una svolta, perché la risoluzione delle divergenze continua ad essere rimandata al futuro, incancrenendo ulteriormente la situazione. Nonostante Internationalisme non avesse cessato di sostenere che:

Ogni altra situazione consistente nell’evitare la discussione sulle questioni politiche e le divergenze, non farebbe infatti che preparare l’esplosione di crisi e scissioni ad ogni momento critico dell’avvenire. Non si salvaguarda “l’unità” di un’organizzazione con misure organizzative e burocratiche. Non se ne rinforzano le fondamenta coprendole di una leggera crosta di monolitismo che dia l’apparenza di un’omogeneità politica”. (Lettera a tutti i gruppi e militanti della GCI, 28 novembre 1946).

E’ solo nel 1952 che le divergenze vengono risolte all’interno del PCInt, non con la discussione, ma con la scissione dei militanti superstiti in due gruppi contrapposti (gli attuali Battaglia e Programma Comunista), in un clima di confusione ed accuse personali che hanno pesato catastroficamente fino ai giorni nostri sulla discussione politica fra i vari raggruppamenti di sinistra comunista.

In quello stesso 1952 Internationalisme cessa le pubblicazioni e si ha la dispersione anche geografica dei suoi militanti[9].

La curva della controrivoluzione stava toccando il suo punto più basso.

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Tutto il patrimonio di esperienze ed insegnamenti che viene dal lavoro delle frazioni negli anni ‘30 e ‘40 è ancora molto lontano dall’essere assimilato dalle nuove generazioni di rivoluzionari. Ciò è dovuto al silenzio quasi assoluto che c’é stato sul lavoro di Bilan e più ancora su quello di Internationalisme, ed alla mancata ristampa dei testi fondamentali anche da parte di quei gruppi che dichiarano esplicitamente di essere gli eredi del lavoro della frazione all’estero.

Certo si ha buon gioco a dichiararsene i continuatori quando si fa ben poco per favorire una minima conoscenza del lavoro di questi compagni. Si può così fare un uso a dir poca disinvolto delle citazioni, come quando Battaglia Comunista[10], per dimostrare che anche Bilan sosteneva la “perennità” del partito, cita il seguente passo dal n°1:

Il partito non cessa di esistere anche dopo la morte dell’Internazionale. Il partito non muore, tradisce. Il partito, ricollegandosi direttamente al processo della lotta di classe, è chiamato a continuare la sua azione anche quando l’Internazionale è morta. Così, in caso di guerra, il partito esiste e chiama il proletariato a prendere le armi, non per la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, ma per continuare la sua lotta nel corso stesso della guerra …”.

tagliando giusto le parole finali “... confondendo i suoi interessi con quelli del nemico di classe”. In questa maniera il testo è sufficientemente ambiguo per far credere ai lettori che ignorino la posizione di Bilan (cioè a tutti o quasi) che la Frazione all’estero sosteneva la perennità del partito proletario - anche se in modo un po’ sconclusionato - quando invece il testo voleva sostenere l’inevitabile passaggio “al nemico di classe” del partito che si mantenga in quanto tale nella controrivoluzione. Far dire ad uno scritto del movimento operaio il contrario di quello che voleva dire[11], è una grave scorrettezza, specie da parte di un gruppo che ha saputo fare sue numerose acquisizioni del lavoro di Bilan (vedi in particolare il rigetto delle lotte di liberazione nazionale).

Diverso è il caso di Programma Comunista il cui richiamo a Bilan è del tutto strumentale per garantire quella vantata continuità politica, organica e ... fisica negli anni. E’ tipico il silenzio con cui Programma ha avvolto gli anni di lavoro della frazione all’estero: nel testo “In difesa della continuità del Programma Comunista”, destinato a dimostrare la continuità di elaborazione della Sinistra Italiana dal 1920 al 1966 (46 anni complessivi), ai 16 anni che vanno dal 1926 al l943 sono dedicate solo 18 righe su 180 pagine! E comunque, quando se ne parla, è per sostenere che Bilan, lavorando controcorrente, era riuscito a “mantenere il filo della nostra tradizione, e gettarne il seme là dove esso non esisteva”.

Dopo questa prima posizione, da cui si lasciava intendere che ci fosse la massima omogeneità tra Programma e la Frazione, in seguito alla pubblicazione da parte nostra di alcuni testi di Bilan, Programma ha dovuto adottare una posizione più attenta, meno spudorata, ed ha cominciato ad ammettere che:

se è vero che la rivista Bilan ha fatto degli errori politici, erano proprio errori, concessioni a correnti di tipo ‘sinistra europea’, ma ciò in un comportamento oscillante che impedisce di pretendere che Bilan aveva una teoria particolare che avrebbe rivisto le posizioni originali dell’Internazionale e della Sinistra”. (Le Proletaire n°204, 4 ottobre 1975).

Ma neanche questa linea di difesa ha retto più e, seguendo Programma in questo invariante trasformismo, si giunge alla posizione ultima dei bordighisti che, nella serie di articoli “Sulla via del ‘partito compatto e potente’ di domani”, non solo si discostano da Bilan su una serie di questioni (gli “sbandamenti in questioni come quella nazionale o coloniale” e “la ricerca di una via diversa da quella battuta dai bolscevichi nell’esercizio della dittatura e nel ricorso alla NEP”), ma finiscono per stendere un velo pietoso su tutta l’opera di Bilan, i cui “sbandamenti” sarebbero dovuti all’impossibilità di avere le idee chiare fino a che non si è concluso il ciclo della controrivoluzione (posizione rispettabilissima, ma che applicata così a casaccio, per voler spiegare troppo, non spiega niente).

Nei fatti Bilan sta divenendo sempre più un’imbarazzante “eredità” e assistiamo al moltiplicarsi dei distinguo:

Noi l’avremmo tradita, perché abbiamo rinunciato - e con la massima chiarezza (sic!) - ad alcune enunciazioni che si leggono su Bilan a proposito della questione nazionale e del concetto, cui si rifà continuamente la CCI, della formazione del partito nel momento rivoluzionario (in caso contrario si è opportunisti!). Sissignore, queste deduzioni erano sbagliate (...). Non abbiamo paura di dire che ha sbagliato quando, per ragioni certo comprensibili, non è riuscito a rappresentarlo coerentemente (il marxismo e gli apporti successivi, n.d.r.)”. (Programma Comunista n°21, 12/9/77).

Finalmente quindi Programma prende le distanze da Bilan ed è costretto a rendere conto delle divergenze che ha con le posizioni della Frazione. Noi non possiamo che rallegrarci che si sia prodotta questa chiarificazione, confermandosi così la validità che ha avuto la nostra iniziativa di ripubblicazione dei testi di Bilan. Così Programma la smetterà di presentare la storia della sinistra a proprio uso e consumo e di falsificare le posizioni di Bilan come in quell’unico articolo dedicatogli, “Una pagina della battaglia rivoluzionaria” (Programma Comunista, n°21, 1957) in cui, tra le altre cose, si ha il coraggio di far passare l’articolo di Vercesi “I principi, armi della rivoluzione[12] per “la riaffermazione di quella che oggi chiameremmo ‘l’invarianza del marxismo’”.

Ci limitiamo qui a riprodurre solo uno dei tanti passi indicativi di quanto fosse “invariante” Bilan:

Le condizioni attuali (....) ci permettono di indicare due aspetti particolari circa la deformazione del significato delle questioni di principio.

La prima potrebbe essere detta quella del repertorio o del catalogo. Il militante, e soprattutto il dirigente proletario, possederebbe un dizionario marxista nel quale sarebbero poste, in formule semplicissime, le questioni di principio che, derivate da Marx o da Lenin, consentono di fabbricare un “marxismo” o un “leninismo” biblici, dai quali si possono far sortire degli anatemi contro gli “eretici”. Questi ultimi sarebbero soprattutto quelli che, elevandosi contro il riferimento a situazioni profondamente modificate della politica applicata da Marx o Lenin, cercano di tradurre in principi le nuove esperienze della lotta proletaria. Il sedicente marxista o leninista eleverà al rango di un dio Marx o Lenin, ma questa è una venerazione decorativa perché in realtà questi grandi capi proletari sono in questo modo pugnalati”.

Noi non ci proclamiamo gli eredi di Bilan. E’ questo un concetto che ci è estraneo, e lasciamo volentieri gli altri ricorrere ai tribunali borghesi per farsi riconoscere eredità di ogni sorta. Ma se una qualche eredità deve esistere, questa è l’eredità di tutta l’esperienza storica del movimento operaio e tocca, per definizione, allo stesso movimento operaio e a tutte le sue espressioni di avanguardia.

La nostra collocazione rispetto a Bilan, Internationalisme e, negli anni ‘60, rispetto al piccolo e valoroso gruppo Internacionalismo in Venezuela, è di continuatori tenaci della profonda opera di riflessione svolta da questi gruppi in preparazione del partito di domani. Non ne siamo certo - e lo diciamo con soddisfazione e piena responsabilità militante, gli unici continuatori, ma non nascondiamo la nostra convinzione di essere i più coerenti nella prosecuzione di questo lavoro. Contrariamente a chi tace o mente sul lavoro di Bilan, per farlo coincidere con le sue posizioni, noi pensiamo che sia nostro dovere militante mettere in evidenza tutta la contraddittorietà con cui si è sviluppato questo lavoro, sottolineando anzi quelli che ci sembra siano state le debolezze e gli errori di questi gruppi. Solo a queste condizioni avrà avuto un senso il lavoro di questi compagni e le nuove generazioni di rivoluzionari potranno farsene degnamente continuatrici.

All’interno di quest’ottica, noi crediamo che uno dei problemi più importanti per i rivoluzionari, quello relativo al processo di presa di coscienza del proletariato e del rapporto partito e classe, problema che tutt’oggi è al centro di dibattiti e polemiche tra i rivoluzionari, abbia ricevuto un importante contributo dal lavoro di Internationalisme, anche se l’attaccamento ancora presente nel gruppo alle formulazioni leniniste comporti una certa contraddittorietà nello sviluppo del discorso. Si può ad esempio riscontrare, nell’articolo “Sulla natura e funzione del partito politico del proletariato”, da noi ripubblicato in questa rivista, la contraddizione presente tra quanto viene affermato nelle tesi 6 e tutto il resto dell’articolo.

Pertanto, abbiamo ritenuto opportuno pubblicare, come appendice ai testi, alcuni stralci di un nostro articolo su questo tema “Coscienza di classe e ruolo dei rivoluzionari[13].

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Per concludere sappiamo bene che questo testo di introduzione non risulterà privo di incompletezze evidenti e di eventuali imprecisioni. Per le prime, vale quanto abbiamo scritto introducendo i testi di Bilan sulla guerra di Spagna: non ci interessa tanto rifare la storia, quanto contribuire al recupero del filo storico che di generazione in generazione lega gli apporti delle minoranze rivoluzionarie. Per quanto riguarda le seconde, esse sono inevitabili quando si tratta di ripresentare un oscuro lavoro rivoluzionario su cui hanno pesato gli anni della controrivoluzione e tanti reticenti silenzi.

Ben vengano quindi i contributi da altre organizzazioni ad integrare e correggere quanto da noi esposto; riaprire il dibattito sulle grandi questioni politiche sollevate in questi testi resta lo scopo principale di questo nostro lavoro.

La polemica aperta in vista della chiarificazione politica fra organizzazioni rivoluzionane è per noi un dovere militante cui nessuno deve sottrarsi, specie oggi che la tendenza allo spezzettamento ed alla chiusura settaria va sempre più invertendosi. Ancora una volta “noi pensiamo che avremo il futuro che sapremo preparare”.

Rivoluzione Internazionale



[1] Vedi l’articolo sulla Sinistra Comunista Tedesca in Rivoluzione Internazionale n°2.

[2]Per finirla con le rettifichel’Unità del 22/7/1925, citato in A. Bordiga, di A. De Clementi, edizioni PBE, pag. 226.

[3] La rapida disgregazione e scomparsa di gruppi come il KAPD e la generale tendenza dei gruppi fuori dell’IC a buttare via il bambino con l’acqua sporca non facevano che consigliare accresciuta prudenza, nascondendo in un certo modo l’irreversibilità dei processi degenerativi in corso nell’IC.

[4] Vedi Rivista Internazionale n°1.

[5] Operaio, deputato al parlamento ed a capo, insieme con Bruno Fortichiari, della Sinistra Comunista a Milano.

[6] Alcuni di questi compagni sono già fuori del partito, avendo dato le dimissioni per protesta contro le responsabilità dell’IC nella catastrofe dell’“ottobre tedesco” del 1923.

[7] La Sinistra Comunista Internazionale fu fondata nel 1938 dalla Frazione Italiana e dalla Frazione belga, formata dalla minoranza di sinistra che ruppe con la Lega dei Comunisti Internazionalisti del Belgio sulla questione spagnola. Su questa stessa questione una minoranza fu esclusa da Bilan per aver appoggiato la guerra antifascista. Vedi i testi della divergenza in Rivista Internazionale n°1.

[8] Vedi “Ambiguità sulla natura dei partigiani nella fondazione del P.C. Internazionale” su Rivoluzione Internazionale n°9.

[9] Alcuni di essi parteciperanno alla fondazione nel 1962 del gruppo Internacionalismo in Venezuela, che è oggi una delle nostre sezioni territoriali.

[10] Non si costruisce il partito della rivoluzione giocando al paradosso, Prometeo n°18, 1972.

[11] Come si vedrà, questo articolo viene scritto proprio per affermare la necessità del lavoro di frazione contro i tentativi volontaristici (di Trotskij) di costruire in piena controrivoluzione nuovi partiti. D’altra parte, nello stesso n°1 di Bilan, alla fine dell’articolo “XVI anniversario della rivoluzione russa (1933)”, riprodotto in “L’Antistalinismo di sinistra e la natura sociale dell’URSS”, a cura di B. Bongiovanni (ed. Feltrinelli) si può 1eggere: “L’evoluzione della frazione verso il partito non segue i procedimenti della pedagogia scolastica, ma segue la pedagogia degli avvenimenti. Questi evolvono verso grandi tormenti sociali ed è a questo fuoco che le frazioni di sinistra si svilupperanno e si ingrandiranno fino a divenire la guida delle lotte rivoluzionarie per la vittoria socialista in tutto il mondo. Occorre perciò costruire i quadri responsabili per i nuovi partiti comunisti, proprio come fece Lenin prima del 1917”.

[12] Bilan n°5, febbraio ‘34.

[13] La pubblicazione di questo articolo, la cui versione integrale si trova nella Révue Internationale n°7, ottobre 1976, al quale dovrebbe far seguito tra breve la pubblicazione di una brochure internazionale sullo stesso tema, può essere considerata una prima e parziale risposta all’articolo scritto sul tema da Battaglia in polemica con la CCI e apparso recentemente su Prometeo n°1 (IV serie) del primo settembre ’78.

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