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Le relazioni fra i gruppi extraparlamentari, come è noto, sono frequentemente regolate a colpi di spranga. In altri casi, i medesimi gruppi sono pronti a scodinzolarsi a vicenda moltiplicando i segni di considerazione e di personale modestia. La contraddizione è solo apparente poiché nell'uno e nell’altro caso si tratta di adeguarsi opportunisticamente al dato immediato dei rapporti di forza, sia nello scontro per la testa del corteo, sia nelle discussioni bizantine per la presentazione di liste comuni al parlamento. Questo adeguarsi alla convenienza immediata è una via obbligata per i rappresentanti politici di mezze-classi storicamente incapaci di vedere al di là del proprio naso. Ma per le espressioni politiche della classe operaia, per le minoranze rivoluzionarie la cui azione non può che ispirarsi ai fini storici della prima classe della storia chiamata ad operare coscientemente la trasformazione radicale della società, una simile politica sarebbe un suicidio.
Se Bilan proclama di non poter essere che un “fattore” della chiarificazione rivoluzionaria non è per falsa modestia, né per “leccare” i gruppi dell’Opposizione (la critica spietata dal punto di vista politico che si trova in “Verso l’Internazionale 2 e ¾?” lo dimostra). E’ perché è cosciente del fatto che solo il lavoro collettivo delle frazioni d’avanguardia del proletariato dei vari paesi potrà trovare una soluzione rivoluzionaria ai “nuovi problemi” posti dall’esercizio del potere proletario in Russia; e questo lavoro non passa né per le sprangate, né per la diplomazia, ma per la discussione aperta delle divergenze. Né ci pare casuale che questo primo numero di Bilan si concluda, al punto V del “Progetto di costituzione di un Ufficio internazionale di informazione”, con la vibrante rivendicazione della continuità storica di questo metodo proletario di lavoro, questo sì, “invariante”.