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Di fronte alla guerra che devasta in permanenza il Medio Oriente e recentemente di fronte al conflitto che insanguina il Libano ed Israele, la posizione dei rivoluzionari non deve avere la benché minima ambiguità. Per questo sosteniamo interamente le rare voci internazionaliste e rivoluzionarie che emergono in questa regione, come quella del gruppo Enternasyonalist Komunist Sol in Turchia. Nella sua presa di posizione sulla situazione in Libano ed in Palestina, che abbiamo riprodotto in vari organi della nostra stampa territoriale, questo gruppo respinge fermamente ogni sostegno alle cricche e fazioni borghesi rivali che si affrontano e le cui vittime dirette sono milioni di proletari che siano d'origine palestinese, ebrea, sciita, sunnita, kurda, drusa o altro. Esso ha giustamente affermato che "l’imperialismo è la politica naturale che pratica qualsiasi Stato nazionale o qualsiasi organizzazione che funziona come uno Stato nazionale”. Ha anche denunciato il fatto che "in Turchia, come nel resto del mondo, la maggior parte dei gauchistes ha dato il suo sostegno totale all’OLP ed ad Hamas. Nell'ultimo conflitto, questi si sono espressi unanimemente per dire ‘siamo tutti Hezbollah’. Seguendo questa logica che consiste nel dire ‘il nemico del mio nemico è mio amico’, hanno sostenuto a pieno questa violenta organizzazione che ha spinto la classe operaia in una disastrosa guerra nazionalistica. Questo sostegno dei gauchistes al nazionalismo ci mostra perché questi non hanno molto da dire di diverso da ciò che dice l’MPH (Partito del Movimento Nazionale - i Lupi grigi fascisti) (...) La guerra tra Hezbollah ed Israele e la guerra in Palestina sono entrambe guerre interimperialiste ed i diversi campi in gioco utilizzano tutti il nazionalismo per trascinare la classe operaia della regione nel proprio campo. Più gli operai saranno aspirati nel nazionalismo, più perderanno la loro capacità di agire come classe. È per questo che né Israele, né Hezbollah, né l’OLP, né Hamas devono essere sostenuti, in nessuna circostanza". Ciò dimostra che la prospettiva proletaria vive e si afferma sempre, non solo attraverso lo sviluppo delle lotte della classe operaia ovunque nel mondo: in Europa, negli Stati Uniti, in America latina, in India o nel Bangladesh, ma anche attraverso la comparsa, in vari paesi, di piccoli gruppi e di elementi politicizzati che cercano di difendere le posizioni internazionaliste che sono il segno distintivo della politica proletaria.
La guerra in Libano costituirà una nuova tappa nella messa a ferro e fuoco di tutto il Medio Oriente e nella caduta del pianeta in un caos sempre più incontrollabile, una guerra alla quale tutte le potenze imperialiste avranno contribuito, dalle più grandi alle più piccole, in seno alla pretesa “Comunità internazionale”. 7000 bombardamenti aerei sul solo territorio libanese, senza contare gli innumerevoli lanci di razzi sul Nord di Israele, più di 1200 morti in Libano ed in Israele (di cui più di 300 bambini di meno di 12 anni), circa 5000 feriti, un milione di civili che hanno dovuto fuggire dalle bombe o dalle zone di combattimento. Altri, troppo poveri per fuggire, che si rintanano come possono con la paura in corpo... Interi quartieri, interi villaggi ridotti allo stato di rovine, ospedali straripati e pieni fino a scoppiare: questo il bilancio di un mese di guerra in Libano ed in Israele in seguito all'offensiva di Tsahal per ridurre l'influenza crescente dello Hezbollah, in risposta ad uno dei tanti attacchi omicidi delle milizie islamiche al di là della frontiera israelo-libanese. Le distruzioni sono valutate a 6 miliardi di euro, senza contare il costo militare della guerra stessa.
È una vera e propria politica di terra bruciata quella che lo Stato israeliano persegue con una brutalità, una crudeltà ed un accanimento incredibili contro le popolazioni civili dei villaggi del Libano del Sud, cacciate senza riguardo dalle loro terre, dalle loro case, ridotte a crepare di fame, senza acqua potabile, esposte alle peggiori epidemie. 90 ponti e innumerevoli vie di comunicazione sistematicamente tagliati (strade, autostrade...), 3 centrali elettriche e migliaia di abitazioni distrutte, un inquinamento dilagante, bombardamenti incessanti. Il governo israeliano ed il suo esercito non hanno smesso di proclamare la loro volontà di “risparmiare i civili” e massacri come quelli di Canaa sono stati definiti “incidenti spiacevoli” (come famosi i “danni collaterali” nelle guerre del Golfo e nei Balcani). Ma guarda caso, è tra la popolazione civile che si contano il maggior numero di vittime, e di gran lunga: 90% degli uccisi!
Quanto a l’Hezbollah, benché con mezzi più limitati e dunque meno spettacolari, esso ha praticato esattamente la stessa politica omicida e sanguinaria di bombardamento a tutto spiano, con i suoi missili che si accaniscono contro la popolazione civile e le città del nord di Israele (il 75% dei morti fanno parte delle popolazioni arabe che questo pretendeva di proteggere).
Sono tutti guerrafondai
Il vicolo cieco della situazione in Medio Oriente si era già concretizzato con l'arrivo al potere di Hamas nei territori palestinesi (che l’intransigenza del governo israeliano avrà contribuito a causare, “radicalizzando” una maggioranza della popolazione palestinese) e la lacerazione aperta tra le frazioni della borghesia palestinese, soprattutto tra Fatah ed Hamas, che impedisce ormai ogni soluzione negoziata. Dinanzi a questo vicolo cieco la reazione di Israele è stata quella che, oggi nel mondo, è la favorita di tutti gli stati: la fuga in avanti. Per ribadire la sua autorità Israele ha cambiato versante allo scopo di fermare l'influenza crescente di Hezbollah nel Sud Libano, aiutato, finanziato ed armato dal regime iraniano. Il pretesto invocato da Israele per iniziare la guerra è stato la liberazione di due soldati israeliani fatti prigionieri da Hezbollah: quattro mesi dopo sono sempre prigionieri delle milizie sciite. L'altra ragione invocata era “neutralizzare” e disarmare Hezbollah i cui attacchi ed incursioni sul suolo israeliano nel Sud Libano avrebbero costituito una minaccia permanente per la sicurezza dello Stato ebreo.
Alla fine l'operazione di guerra si chiude con una sconfitta cocente, che mette brutalmente fine al mito della invincibilità, dell'invulnerabilità dell'esercito israeliano. Civili e soldati nell'ambito della borghesia israeliana si rinviano la responsabilità di una guerra mal preparata. Al contrario, Hezbollah esce rafforzato dal conflitto ed ha acquisito una legittimità nuova, attraverso la sua resistenza, agli occhi delle popolazioni arabe. Hezbollah, come Hamas, era in partenza solo una delle tante milizie islamiche che si sono costituite contro lo Stato di Israele. È nato in occasione dell'offensiva israeliana nel Libano del Sud nel 1982. Grazie alla sua componente sciita è prosperato beneficiando del copioso aiuto finanziario del regime degli ayatollah e dei mullah iraniani. Anche la Siria lo ha utilizzato fornendogli un importante sostegno logistico che le ha permesso di farne una base di retroguardia quando è stata costretta nel 2005 a ritirarsi dal Libano. Questa banda di assassini sanguinari ha saputo allo stesso tempo tessere con pazienza una potente rete di sergenti reclutatori attraverso la copertura di un aiuto medico, sanitario e sociale, alimentato dai generosi fondi tratti della manna petrolifera dello Stato iraniano. Questi fondi gli permettono anche di finanziare le riparazioni delle case distrutte o danneggiate dalle bombe ed i razzi, allo scopo di arruolare la popolazione civile nelle sue fila. Abbiamo potuto vedere dai vari reportage che questa “armata dell'ombra” è composta da numerosi bambini tra i 10 ed i 15 anni che servono da carne da cannone in questi sanguinari regolamenti di conto.
La Siria e l'Iran formano momentaneamente il blocco più omogeneo attorno ad Hamas o ad Hezbollah. l'Iran mostra chiaramente le sue ambizioni a diventare la principale potenza imperialista della regione e il possesso dell'arma atomica gli garantirebbe in effetti questo ruolo. Questa è giustamente una delle grandi preoccupazioni della potenza americana poiché, dalla sua fondazione nel 1979, la “Repubblica islamica” ha manifestato un'ostilità permanente agli Stati Uniti.
E’ dunque con il segnale di via libera da parte degli USA che si è iniziata l'offensiva israeliana contro il Libano. Sprofondati fino al collo nel pantano della guerra in Iraq e in Afghanistan, e dopo il fallimento del loro “piano di pace” per regolare la questione palestinese, gli Stati Uniti possono soltanto constatare il fallimento palese della loro strategia che mira ad instaurare la “Pax americana” nel Vicino e Medio Oriente. In particolare, la presenza americana in Iraq da tre anni si è tradotta in un caos sanguinoso, una vera guerra civile terribile tra fazioni rivali, attentati quotidiani che colpiscono ciecamente la popolazione, al ritmo di 80-100 morti al giorno.
In questo contesto era fuori questione per gli Stati Uniti intervenire in prima persona quando il loro obiettivo nella regione è prendersela con questi Stati denunciati come “terroristi” ed incarnazione “dell'asse del male”, che sarebbero appunto la Siria e soprattutto l'Iran di cui Hezbollah ha il sostegno. L'offensiva israeliana che doveva fungere da avvertimento a questi due Stati dimostra la perfetta convergenza di interessi tra la Casa Bianca e la borghesia israeliana. È per questo che il fallimento di Israele segna anche un nuovo arretramento degli Stati Uniti ed un ulteriore indebolimento della leadership americana.
Il cinismo e l’ipocrisia di tutte le grandi potenze
Il colmo del cinismo e dell’ipocrisia è raggiunto dall’ONU che, per tutto il tempo, non ha fatto che proclamare la sua “volontà di pace” pur lamentando la propria “impotenza”(1). Questa è un’odiosa menzogna. Questo "covo di briganti" (secondo il termine usato da Lenin a proposito dell'antenato dell'ONU, la Società delle Nazioni) è la palude dove si trastullano i più mostruosi coccodrilli del pianeta. I cinque Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono i maggiori predatori della terra:
- Gli Stati Uniti, la cui egemonia si basa sulla più potente armata militare del mondo ed i cui misfatti, dalla proclamazione nel 1990 “di un’era di pace e di prosperità” da parte di Bush Senior, si commentano da soli (le due guerre del Golfo, l’intervento nei Balcani, l’occupazione dell’Iraq, la guerra in Afghanistan...).
- La Russia, responsabile delle peggiori atrocità all’epoca delle sue due guerre in Cecenia, che avendo mal digerito l’implosione dell’URSS e rimuginando un desiderio di rivincita, manifesta oggi nuove pretese imperialiste, approfittando della posizione di debolezza degli Stati Uniti. È per ciò che gioca la carta del sostegno all’Iran e più discretamente a Hezbollah.
- La Cina che, approfittando della sua crescente influenza economica, sogna di accedere alle nuove zone di influenza fuori dall’Asia del Sud-est. E in particolare fa gli occhi dolci all'Iran, partner economico privilegiato che gli dispensa la manna petrolifera ad una tariffa particolarmente vantaggiosa. Ciascuna di queste due potenze, ognuno per proprio conto, non ha fatto che cercare di sabotare le risoluzioni dell'ONU di cui erano parte pregnante.
- La Gran Bretagna che ha accompagnato fino a questo momento le principali spedizioni punitive degli Stati Uniti per la difesa dei propri interessi. Essa intende riconquistare la zona d’influenza di cui disponeva attraverso il suo vecchio protettorato in questa regione (principalmente Iran ed Iraq).
- La borghesia francese è sempre nostalgica dell’epoca in cui si spartiva le zone d'influenza in Medio Oriente con la Gran Bretagna. Per questo si è ricongiunta al piano americano sul Libano, intorno alla famosa risoluzione 1201 dell'ONU, che mette assieme anche il piano di re-impiego del FINUL. Per questo ha accettato di portare il suo impegno nel Libano del Sud da 400 a 2.000 soldati nell'ambito della FINUL.
Anche altre potenze sono in lizza, come l’Italia che, in cambio del più grosso contingente delle forze dell’ONU si vedrà affidare dopo febbraio 2006 il comando supremo del FINUL in Libano. Così, appena qualche mese dopo il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, Prodi dopo avere criticato aspramente l’impegno dell’equipe Berlusconi in Iraq, presenta la stessa minestra in Libano confermando le ambizioni dell’Italia ad avere un suo posto nella corte dei grandi, a rischio di lasciarci le penne. Ciò dimostra che tutte le potenze sguazzano nella guerra.
Il Medio Oriente offre oggi un concentrato del carattere irrazionale della guerra, dove ogni imperialismo vi si infila sempre più per difendere i propri interessi al prezzo di un'estensione sempre più ampia e devastante dei conflitti, i quali implicano un numero di Stati sempre grande.
L'estendersi delle zone di scontro nel mondo è una manifestazione del carattere inevitabile della barbarie di guerra del capitalismo. La guerra ed il militarismo sono realmente diventati il modo di vita permanente del capitalismo decadente in piena decomposizione. Questa è una delle caratteristiche essenziali del tragico vicolo cieco di un sistema che non ha null’altro da offrire all'umanità se non seminare miseria e morte.
La borghesia americana è in un vicolo cieco
Il gendarme garante della conservazione “dell'ordine mondiale” è oggi esso stesso un attivo e potente fattore d'accelerazione del caos.
Come è possibile che il primo esercito del mondo, dotato dei mezzi tecnologici più moderni, dei servizi di informazioni più potenti, di armi sofisticate capaci di individuare e raggiungere con precisione degli obiettivi a migliaia di chilometri di distanza, si ritrovi intrappolato in un tale pantano? Come è possibile che gli Stati Uniti, il paese più potente del mondo, sia diretto da un mezzo imbecille circondato da una banda di attivisti poco conforme all'immagine tradizionale di una “grande democrazia” borghese responsabile? È vero che Bush junior, qualificato dallo scrittore Norman Mailer “il peggior presidente della storia degli Stati Uniti: ignorante, arrogante e completamente stupido”, si è circondato di una equipe di “teste pensanti” particolarmente “calde” che gli dettano la “sua” politica: dal vicepresidente Dick Cheney al segretario di Stato alla Difesa Donald Rumsfeld, passando per il suo guru-manager Karl Rove e per il “teorico” Paul Wolfowitz. Quest'ultimo fin dall'inizio degli anni 1990 si è fatto il portavoce più conseguente di una “dottrina” che enunciava chiaramente che “la missione politica e militare essenziale dell'America per il dopo-guerra fredda consisterà nel fare in modo che nessuna superpotenza rivale possa emergere in Europa dell'Ovest, in Asia o nei territori dell'ex Unione sovietica”. Questa “dottrina” è stata resa pubblica nel marzo 1992 quando la borghesia americana si illudeva ancora sul successo della sua strategia, all’indomani del crollo dell'URSS e della riunificazione della Germania. Questa gente, qualche anno fa, dichiarava che per mobilitare la nazione, imporre al mondo intero i valori democratici dell'America ed impedire le rivalità imperialiste, “ci vorrebbe un nuovo Pearl Harbor”. Bisogna ricordare che l'attacco alla base delle forze navali americane da parte del Giappone nel dicembre 1941, che fece 4500 morti e feriti da parte americana, permise l'entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli Alleati facendo oscillare un'opinione pubblica fino ad allora in gran parte reticente all’entrata in guerra, mentre le più alte autorità politiche americane erano al corrente del progetto di attacco e non intervennero. Da quando Cheney e compagni sono arrivati al potere, grazie alla vittoria di Bush junior nel 2000, non hanno fatto altro che attuare la politica prevista: gli attentati dell'11 settembre gli sono serviti da “un nuovo Pearl Harbor” ed è in nome della loro nuova crociata contro il terrorismo che hanno potuto giustificare l'invasione dell'Afghanistan, poi dell’Iraq, varare nuovi programmi militari particolarmente costosi, senza dimenticare un rafforzamento senza precedenti del controllo poliziesco sulla popolazione. Il fatto che gli Stati Uniti si danno tali dirigenti che giocano con le sorti del pianeta come tanti apprendisti stregoni obbedisce alla stessa logica del capitalismo decadente in crisi che ha portato al potere Hitler in Germania in un altro periodo. Non è questo o quell’individuo al vertice dello Stato che fa evolvere il capitalismo in un senso o nell’altro, è al contrario questo sistema in piena deliquescenza che permette a questo o quell'individuo, rappresentativo di questa evoluzione e capace di metterla in atto, di accedere al potere. Ciò esprime chiaramente l’impasse storica nella quale il capitalismo spinge l'umanità.
Il bilancio di questa politica è sconfortante: 3000 soldati morti dall'inizio della guerra in Iraq tre anni fa (di cui più di 2800 per le truppe americane), 655.000 iracheni sono periti tra marzo 2003 e luglio 2006, mentre gli attentati mortali e gli scontri tra frazioni sciite e sunnite si sono intensificati. Sono 160.000 i soldati che occupano il suolo iracheno sotto l'alto comando degli Stati Uniti e che si ritrovano incapaci di “garantire la missione di mantenimento dell'ordine” in un paese sul bordo dell’esplosione e della guerra civile. Al nord, le milizie sciite tentano di imporre la loro legge e moltiplicano le dimostrazioni di forza, al sud gli attivisti sunniti, che rivendicano con orgoglio i loro legami con i talebani ed Al Qaida, hanno appena auto-proclamato una “repubblica islamica” mentre al centro, nella regione di Bagdad, la popolazione è esposta a bande di saccheggiatori, ad autobombe e la minima uscita isolata delle truppe americane si espone ad un’imboscata.
Le guerre in Iraq ed in Afghanistan assorbono somme colossali che aumentano sempre più il deficit di bilancio e precipitano gli Stati Uniti in un indebitamento faraonico. La situazione in Afghanistan non è meno catastrofica. La caccia all’uomo interminabile contro Al Qaïda e la presenza anche qui di un esercito d'occupazione ridanno credito ai talebani cacciati dal potere nel 2002 ma che, riarmati dall'Iran e più discretamente dalla Cina, moltiplicano le imboscate e gli attentati. I “demoni terroristi” che sono Bin Laden o il regime dei talebani sono del resto, l’uno e l'altro, delle “creature” degli Stati Uniti per far fronte all’ex-URSS all'epoca dei blocchi imperialisti, dopo l'invasione delle truppe russe in Afghanistan. Il primo è una ex-spia reclutata dalla CIA nel 1979 che, dopo aver servito ad Istanbul, da intermediario finanziario in un traffico d’armi dell'Arabia Saudita e degli Stati Uniti verso la macchia afgana, è diventato “naturalmente”, fin dall'inizio dell'intervento russo, l'intermediario degli americani per distribuire il finanziamento della resistenza afgana. I secondi sono stati armati e finanziati dagli Stati Uniti ed il loro accesso al potere si è compiuto con la completa benedizione dello Zio Sam.
È anche evidente che la grande crociata contro il terrorismo lungi dal portare alla sua estirpazione ha avuto, al contrario, come solo effetto il proliferare delle azioni terroristiche e degli attentati kamikaze dove il solo obiettivo è di fare maggiori vittime possibili. Oggi, la Casa Bianca resta impotente di fronte agli sberleffi più umilianti che gli infligge lo Stato iraniano. Ciò fa ringalluzzire potenze di quarto o quinto ordine come la Corea del Nord che si è permessa di procedere l'8 ottobre ad una prova nucleare che ne fa l'8° paese detentore dell'arma atomica. Questa enorme sfida mette in pericolo l'equilibrio di tutto il Sud-est asiatico e consolida le aspirazioni di altri Stati a dotarsi dell'arma nucleare. Giustifica inoltre una nuova militarizzazione ed il rapido riarmamento del Giappone che si orienta verso la produzione di armi nucleari per far fronte al suo immediato vicino. Questo è “l'effetto domino” della fuga davanti nel militarismo ed il “ciascuno per sé”.
Bisogna anche ricordare la situazione di caos terribile che imperversa in Medio Oriente ed in particolare nella striscia di Gaza. Dopo la vittoria elettorale di Hamas a fine gennaio, è stato sospeso l'aiuto internazionale diretto ed il governo israeliano ha organizzato il blocco dei trasferimenti di fondi delle entrate fiscali e doganali all'Autorità palestinese. 165.000 funzionari non vengono pagati da 7 mesi, ma la loro rabbia e quella di tutta una popolazione, di cui il 70% vive al di sotto della soglia di povertà con un tasso di disoccupazione del 44%, viene facilmente recuperata negli scontri di strada che ancora una volta contrappongono regolarmente, dal 1 ottobre, le milizie di Hamas a quelle di Fatah. I tentativi di formare un governo di unione nazionale abortiscono l’uno dopo l’altro. Mentre si stava ritirando dal Libano del Sud, Tsahal ha assalito di nuovo le zone di confine con l'Egitto al limite della striscia di Gaza ed ha ripreso a bombardare missili sulla città di Rafah, con la scusa di dare la caccia agli attivisti di Hamas. Per quelli che possono ancora avere lavoro, i controlli sono incessanti. La popolazione vive in un clima di terrore e d'insicurezza permanenti. Dal 25 giugno sono stati registrati 300 morti in questo territorio.
Il fiasco della politica americana è dunque palese. È per questo che si assiste ad un'ampia rimessa in discussione dell'amministrazione Bush, anche nel proprio campo, quello dei repubblicani. Le cerimonie di commemorazione del 5° anniversario dell'11 settembre sono state l'occasione di critiche incendiarie contro Bush, riprese poi dai mass media americani. Cinque anni fa la CCI è stata accusata di avere una visione machiavellica della storia quando cercava di dimostrare l'ipotesi che la Casa-Bianca aveva lasciato con cognizione di causa che si perpetrassero gli attentati per giustificare le avventure militari in preparazione (2). Oggi, un numero incredibile di libri, documentari, articoli su Internet non soltanto rimettono in discussione la versione ufficiale dell'11 settembre, ma in buona parte avanzano teorie molto più “forti” e denunciano un complotto ed una manipolazione concertata dell’equipe di Bush. Nella stessa popolazione, secondo i sondaggi recenti, più di un terzo degli americani e quasi la metà della popolazione di New York pensa che c’è stata una manipolazione degli attentati, che l'11 settembre è stato un "inside job" (un “lavoro dall'interno”).
Inoltre, il 60% della popolazione americana pensa che la guerra in Iraq sia una “cattiva cosa” e tra questa la maggior parte non crede alla tesi della detenzione di potenziale nucleare né ai legami di Saddam con Al Qaida e pensa che questi sono stati solo dei pretesti per giustificare un intervento in Iraq. Una mezza dozzina di libri recenti (di cui quello del giornalista-vedetta Bob Woodward che sollevò lo scandalo del Watergate all'epoca di Nixon) elabora atti d'accusa implacabili per denunciare questa “menzogna” di Stato e richiedere il ritiro delle truppe dall’Iraq. Questo non significa affatto che la politica militariste degli Stati Uniti può essere sabotata, ma è pur vero che il governo è costretto a tener conto ed a mettere in luce le sue contraddizioni per tentare di adattarsi.
La presunta ultima "gaffe" di Bush che ammette il parallelo con la guerra in Vietnam è concomitante con le "fughe"... orchestrate dalle interviste accordate da James Baker stesso. Il piano dell'ex capo di Stato-maggiore dell'era Reagan, poi segretario di Stato all'epoca di Bush padre raccomanda l'apertura del dialogo con la Siria e l'Iran e soprattutto un ritiro parziale delle truppe di Iraq. Questo tentativo di arginare la situazione sottolinea il livello d'indebolimento della borghesia americana per la quale il ritiro puro è semplice dall’Iraq sarebbe l'affronto più scottante della sua storia, cosa che non può permettersi. Il parallelo con il Vietnam è in realtà una sottovalutazione ingannevole. All'epoca, il ritiro delle truppe dal Vietnam permise agli Stati Uniti un riorientamento strategico benefico delle sue alleanze e gli permise di attirare la Cina nel proprio campo contro l’ex-URSS. Oggi il ritiro delle truppe americane dall’Iraq sarebbe una capitolazione pura e semplice senza alcuna contropartita e comporterebbe un discredito completo della potenza americana. Comporterebbe allo stesso tempo l’esplosione del paese che porterebbe ad un aggravamento considerevole del caos in tutta la regione. Queste contraddizioni sono le manifestazioni evidenti della crisi e l'indebolimento della leadership americana e dell’acuirsi del “ciascuno per sé” testimone del caos crescente nelle relazioni internazionali. Un cambiamento della maggioranza al prossimo Congresso, in occasione delle prossime elezioni di “metà-mandato”, ed anche l’eventuale elezione di un presidente democratico, tra due anni, non potrebbe portare a nessun’altra "scelta" diversa dalla fuga in avanti nelle avventure militari. L’equipe di “eccitati” che governa a Washington ha dato prova di un livello d'incompetenza raramente raggiunto da un'amministrazione americana. Ma indipendentemente dalle equipe che si succederanno, non si potrà cambiare il dato di fondo: di fronte ad un sistema capitalista che sprofonda nella sua crisi mortale, la classe dominante non è capace di dare altra risposta che la fuga davanti nella barbarie guerriera. E la prima borghesia mondiale potrà solo mantenere il suo posto in questo dominio.
La lotta di classe è la sola alternativa alla barbarie capitalista
Negli Stati Uniti, il peso del sciovinismo dispiegato nel periodo successivo all'11 settembre è in gran parte scomparso con l'esperienza del doppio fiasco della lotta antiterrorista e della paralisi della guerra in Iraq. Le campagne di reclutamento dell'esercito penano a trovare candidati pronti ad andare a farsi ammazzare in Iraq, mentre le truppe sono prese dalla demoralizzazione. Nonostante i rischi, migliaia di diserzioni si producono sul campo. Si è constatato che più di un migliaio di disertori si sono rifugiati in Canada.
Questa situazione non riflette soltanto l’impasse della borghesia ma annuncia un'altra alternativa. Il peso sempre più insopportabile della guerra e della barbarie nella società è una dimensione indispensabile della presa di coscienza da parte dei proletari sul fallimento irrimediabile del sistema capitalista. La sola risposta che la classe operaia può opporre alla guerra imperialista, la sola solidarietà che può dare ai suoi fratelli di classe esposti ai peggiori massacri, è mobilitarsi sul suo terreno di classe contro i propri sfruttatori. È battersi e sviluppare le sue lotte sul terreno sociale contro la propria borghesia nazionale. E questo la classe operaia ha iniziato a farlo nello sciopero di solidarietà che hanno fatto i dipendenti dell'aeroporto di Heathrow nell'agosto 2005, in pena campagna antiterrorista dopo gli attentati di Londra, verso gli operai pakistani licenziati dall'impresa di ristorazione Gate Gourmet. Come lo ha fatto con la mobilitazione dei futuri proletari contro il CPE in Francia o degli operai della metallurgia a Vigo in Spagna. Come lo hanno fatto sul suolo americano i 18.000 meccanici della Boeing nel settembre 2005 che si sono opposti alla riduzione dell'importo della loro pensione pur rifiutando la discriminazione di trattamento tra i giovani e vecchi operai. Come lo hanno fatto gli operai della metropolitana e dei trasporti pubblici in uno sciopero a New York la vigilia di Natale lo scorso anno. Di fronte ad un attacco sulle pensioni che riguardava esplicitamente soltanto coloro che sarebbero stati assunti in futuro, hanno affermato la loro presa di coscienza che battersi per il futuro dei propri figli fa parte della propria lotta. Queste lotte sono ancora deboli ed il cammino che porterà ad un scontro decisivo tra il proletariato e la borghesia è ancora lungo e difficile, ma esse testimoniano una ripresa delle lotte di classe su scala internazionale. Costituiscono il solo barlume di speranza possibile di un futuro diverso, di un'alternativa per l'umanità alla barbarie capitalista.
W (21 ottobre)
1. Questo cinismo e questa ipocrisia sono venute in piena luce sul campo, attraverso un episodio degli ultimi giorni della guerra : un convoglio composto da una parte della popolazione di un villaggio libanese, tra cui molte donne e bambini che cercavano di fuggire dalla zona dei combattimenti, è andato in panne ed è stato preso di mira dalle mitragliatrici di Tsahal. I membri del convoglio hanno allora cercato rifugio presso un campo dell’ONU nelle vicinanze. Gli è stato risposto che per loro era impossibile accoglierli, che loro non avevano nessun mandato per farlo. La maggior parte (58) sono morti sotto le mitragliate dell’esercito israeliano e sotto lo sguardo passivo delle forze della FINUL (secondo la testimonianza ad un telegiornale di una madre di famiglia sopravvissuta).
2. Vedi l’articolo “Pearl Habour 1941, le ‘Torri Gemelle’ 2001, Il machiavellismo della borghesia”, Rivoluzione Internazionale n.124, febbraio-marzo 2002