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70 anni fa, nel maggio 1936, esplodeva in Francia un'immensa ondata di scioperi operai spontanei contro l'aggravamento dello sfruttamento provocato dalla crisi economica e dallo sviluppo dell'economia di guerra. Nel luglio dello stesso anno, in Spagna, di fronte al sollevamento militare di Franco la classe operaia scendeva immediatamente in sciopero generale e prendeva le armi per rispondere all'attacco. Numerosi rivoluzionari, fino ai più celebri, come Trotsky, credettero di vedere in questi avvenimenti l'inizio di una nuova ondata rivoluzionaria internazionale. In realtà, a causa di un'analisi superficiale delle forze in campo, si lasciarono indurre in errore dall'adesione entusiasta degli operai e dalla "radicalità" di certi discorsi. Sulla base di un'analisi lucida del rapporto di forze a livello internazionale, la Sinistra Comunista d'Italia, nella sua rivista Bilan, comprese che i Fronti popolari, lungi dall'essere espressione di uno sviluppo del movimento rivoluzionario, esprimevano proprio il contrario: un movimento crescente che andava ad intrappolare la classe operaia in un'ideologia nazionalista, democratica e l'abbandono della lotta contro le conseguenze della crisi storica del capitalismo: "Il Fronte popolare si è rivelato essere il processo reale della dissoluzione della coscienza di classe dei proletari, l'arma destinata a mantenere, in tutte le circostanze della loro vita sociale e politica, gli operai sul campo del sostegno della società borghese" (Bilan n°31, maggio-giugno 1936). Infatti, rapidamente, sia in Francia che in Spagna, l'apparato politico della sinistra "socialista" e "comunista" saprà mettersi alla testa di questi movimenti e, chiudendo gli operai nella falsa alternativa fascismo/anti-fascismo, riuscirà a sabotarli dall'interno, ad orientarli verso la difesa dello Stato democratico ed alla fine a reclutare la classe operaia in Francia ed in Spagna per la carneficina inter-imperialista mondiale.
Oggi, in un contesto di lenta ripresa della lotta di classe e di rinascita di nuove generazioni alla ricerca di alternative radicali di fronte al fallimento sempre più evidente del capitalismo, il movimento alter-mondialista, come ATTAC, denuncia il liberismo selvaggio e la "dittatura del mercato" che "ruba il potere politico dalle mani degli Stati, e dunque dei cittadini "e chiama alla "difesa della democrazia contro il diktat finanziario". Questo "altro mondo" proposto dagli alter-mondialisti riconduce spesso a politiche molto attive durante gli anni 1930 o dagli anni 1950 a 70, dove lo Stato aveva, secondo loro, un posto più importante di attore economico diretto. In quest'ottica, la politica dei governi di Fronte popolare, con i loro programmi di controllo dell'economia da parte dello Stato, "d'unità delle forze popolari contro i capitalisti e la minaccia fascista", ed il programma di una "rivoluzione sociale", non può che essere presa ad esempio per dare man forte all'affermazione che un "altro mondo", un'altra politica, sono possibili in seno al capitalismo.
Così rievocare in occasione di questa 70ma ricorrenza il contesto ed il significato degli avvenimenti del 1936 é più che mai indispensabile:
- per ricordare le lezioni tragiche di quest'esperienze, in particolare la trappola fatale che costituisce, per la classe operaia, l'abbandono del campo della difesa intransigente dei suoi interessi specifici per sottoporsi alle necessità della lotta di un campo borghese contro l'altro;
- per denunciare la menzogna venduta dalla "sinistra" secondo cui quest'ultima sarebbe stata durante quegli avvenimenti l'incarnazione degli interessi della classe operaia, e mostrando al contrario come ne fu il becchino.
Gli anni 1930 - segnati dalla sconfitta dell'ondata rivoluzionaria degli anni 1917-23 e dal trionfo della controrivoluzione - si distinguono in maniera fondamentale dall'attuale periodo storico caratterizzato dal riemergere delle lotte e lo sviluppo, sebbene lento, della coscienza. Tuttavia, le nuove generazioni di proletari che cercano di liberarsi dalle ideologie controrivoluzionarie cozzano sempre contro questa stessa "sinistra", le sue trappole e le sue manipolazioni ideologiche, anche se questa porta gli abiti nuovi dell'alter-mondialismo. Ed esse non potranno riuscire a liberarsi se non riappropriandosi delle lezioni, pagate così care, dell'esperienza passata del proletariato.
Il Fronte popolare, un rafforzamento della lotta contro lo sfruttamento capitalista?
I Fronti popolari, che pretendevano di "unificare le forze popolari contro l'arroganza dei capitalisti e l'ascesa del fascismo", innescarono effettivamente una dinamica di rafforzamento della lotta contro lo sfruttamento capitalista? Rappresentarono una tappa sulla via dello sviluppo della rivoluzione? Per rispondere a questa domanda, un approccio marxista non può basarsi solo sulla radicalità dei discorsi e della violenza degli scontri sociali che a quell'epoca scossero vari paesi dell'Europa occidentale, ma su un'analisi del rapporto di forza tra le classi a scala internazionale e su tutta un'epoca storica. In quale contesto generale di forza e di debolezza del proletariato e della sua nemica mortale, la borghesia, si determinarono gli avvenimenti del 1936?
Il prodotto della sconfitta storica del proletariato
Dopo la potente ondata rivoluzionaria che obbligò la borghesia a mettere fine alla guerra, che portò la classe operaia a prendere il potere in Russia e fece vacillare il potere borghese in Germania e nell'insieme dell'Europa centrale, il proletariato subì per tutti gli anni 1920 una serie di sanguinose sconfitte. Lo schiacciamento del proletariato in Germania nel 1919, poi nel 1923, ad opera dei social-democratici del SPD e dei suoi "cani assetati di sangue", aprì la strada per l'arrivo di Hitler al governo. Il tragico isolamento della rivoluzione in Russia firmava la morte dell'Internazionale Comunista, lasciando così campo libero al trionfo della controrivoluzione stalinista che aveva annientato tutta la vecchia guardia dei bolscevichi e le forze vive del proletariato. Infine, gli ultimi soprassalti proletari furono spietatamente soffocati nel 1927 in Cina. Il corso della storia era stato rovesciato. La borghesia aveva ottenuto vittorie decisive sul proletariato internazionale ed il corso verso la rivoluzione mondiale lasciava il posto ad una marcia inesorabile verso la guerra mondiale, che significava il peggiore ritorno alla barbarie capitalista.
Tuttavia, queste schiaccianti sconfitte dei battaglioni d'avanguardia del proletariato mondiale non esclusero sussulti di combattività, talvolta importanti, in seno alla classe, in particolare nei paesi dove essa non aveva subito lo schiacciamento fisico o ideologico diretto nel quadro di scontri rivoluzionari del periodo 1917-1927. Così, durante la forte crisi economica degli anni 1930, nel luglio 1932, esplose in Belgio uno sciopero selvaggio dei minatori che prese velocemente una dimensione insurrezionale. A partire da un movimento contro l'imposizione di riduzioni dei salari nelle miniere del Borinage, il licenziamento degli scioperanti provocò un'estensione della lotta in tutta la provincia e scontri violenti con la gendarmeria. In Spagna, dagli anni 1931 al 1934 la classe operaia spagnola si lanciò, in numerosi movimenti di lotte represse selvaggiamente. Nell'ottobre 1934, è l'insieme delle zone minerarie delle Asturie e la cintura industriale di Oviedo e di Gijon che si lanciò in un'insurrezione suicida che fu schiacciata dal governo repubblicano e dal suo esercito dando adito ad una selvaggia repressione. Infine, in Francia, se la classe operaia era esaurita profondamente dalla politica "gauchiste" del PC la cui propaganda pretendeva, fino al 1934, che la rivoluzione fosse sempre imminente e che fossero necessari " soviet dappertutto ", essa, tuttavia, manifestava sempre una certa combattività. Durante l'estate 1935, confrontandosi con decreti legge che imponevano importanti riduzioni salariali ai lavoratori dello Stato, imponenti manifestazioni e violenti scontri con la polizia ebbero luogo negli arsenali di Tolone, Tarbes, Lorient e Brest. In questa ultima città, dopo che un operaio era stato colpito a morte dai calci dei militari, i lavoratori esasperati scatenarono violente manifestazioni e sommosse tra il 5 ed il 10 agosto 1935, facendo 3 morti e centinaia di feriti; decine di operai furono incarcerati1.
Queste manifestazioni di residua combattività, contrassegnata spesso dalla rabbia, la disperazione e lo smarrimento politico, costituivano in realtà "dei sussulti di disperazione" che non annullavano un contesto internazionale di sconfitta e di disgregazione delle forze operaie, come ricordava la rivista Bilan a proposito della Spagna : "Se il criterio internazionalista vuole dire qualche cosa, bisogna affermare che, sotto il segno di una crescita della controrivoluzione al livello mondiale, l'orientamento della Spagna, tra il1931 e 1936, poteva andare solamente verso una direzione parallela [al corso controrivoluzionario degli avvenimenti ndlr] e non nel corso inverso di uno sviluppo rivoluzionario. La rivoluzione non può raggiungere il suo pieno sviluppo se non come prodotto di una situazione rivoluzionaria a scala internazionale". (Bilan n°35, gennaio 1937).
Tuttavia, per reclutare gli operai dei paesi che non avevano subito lo schiacciamento di movimenti rivoluzionari, occorreva che le borghesie nazionali utilizzassero una particolare mistificazione. Là dove il proletariato era già stato schiacciato al termine di uno scontro diretto tra le classi, il reclutamento ideologico bellicista - dietro il fascismo o il nazismo, o da parte dello stalinismo, dietro l'ideologia specifica della "difesa della patria del socialismo", ottenuto essenzialmente per mezzo del terrore - apparivano come le forme particolari di sviluppo della controrivoluzione. A questi particolari regimi politici corrispondeva in modo generale, nei restanti paesi "democratici", lo stesso reclutamento guerriero realizzato sotto la bandiera dell'antifascismo. Per raggiungere tale scopo, le borghesie francesi e spagnole (ma anche altre, come per esempio quella belga) si servirono del raggiungimento della sinistra al governo per mobilitare la classe operaia dietro l'antifascismo in difesa dello Stato "democratico" e per mettere in opera l'economia di guerra.
Che le politiche del Fronte popolare non si svilupparono per rafforzare la dinamica delle lotte operaie era già chiaramente messo in evidenza dall'atteggiamento della sinistra verso le lotte proletarie rievocate sopra. Ciò si manifestò anche in Belgio. Durante gli scioperi insurrezionali del 1932 in questo paese, il Partito operaio belga (POB) e la sua commissione sindacale si rifiutarono di sostenere il movimento, ciò che orientò la rabbia dei lavoratori contro la social-democrazia: la Casa del Popolo di Charleroi sarà presa d'assalto dagli insorti mentre le tessere di membro del POB e dei suoi sindacati furono strappate e bruciate. Fu proprio per canalizzare la rabbia e la disperazione operaie che il POB porterà avanti fin dalla fine del 1933 il famoso "Piano del Lavoro", la sua alternativa "popolare" alla crisi del capitalismo.
In Spagna si manifestò in modo chiaro ciò che il proletariato poteva aspettarsi da un governo "repubblicano" e di "sinistra". Fin dai primi mesi della sua esistenza, la Repubblica spagnola mostrerà che in fatti di massacri di operai, non aveva niente da invidiare ai regimi fascisti: un gran numero di lotte degli anni 1930 vennero schiacciate dai governi repubblicani a cui fino al 1933 partecipò anche il PSOE. L'insurrezione suicida delle Asturie dell'ottobre 1934, incitata da un discorso "rivoluzionario" del PSOE in quel momento all'opposizione, venne isolata completamente da questo stesso PSOE e dal suo sindacato, l'UGT, che impedì ogni estensione del movimento. Da questo momento, Bilan pone in termini estremamente chiari la questione del significato dei regimi democratici di "sinistra":
"In effetti, dalla sua fondazione, nell'aprile 1931 e fino a dicembre 1931, la 'marcia a sinistra' della Repubblica spagnola, la formazione del governo Azana-Caballero-Lerroux, l'amputazione nel dicembre 1931 della sua ala destra rappresentata da Lerroux, non determina affatto condizioni favorevoli all'avanzamento delle posizioni di classe del proletariato o alla formazione di organismi capaci di dirigerne la lotta rivoluzionaria. E non si tratta per niente di vedere qui ciò che il governo repubblicano e radicale-socialista avrebbe dovuto fare per la salvezza della… rivoluzione comunista, ma di ricercare se sì o no, questa conversione a sinistra o all'estrema sinistra del capitalismo, questo concerto unanime che andava dai socialisti fino ai sindacalisti per la difesa della Repubblica, ha creato le condizioni dello sviluppo delle conquiste operaie e della marcia rivoluzionaria del proletariato. O, meglio ancora, se questa conversione non era dettata a sinistra dalla necessità, per il capitalismo, di ubriacare gli operai sconvolti [leggere presi al posto di sconvolti ndr] da un profondo slancio rivoluzionario, affinché non si orientassero verso la lotta rivoluzionaria (…)" (Bilan n°12, novembre 1934).
Infine, fu particolarmente significativo che gli scontri violenti di Brest e Tolone dell'estate 1935 esplosero nello stesso momento in si costituiva il Fronte popolare. Poiché queste lotte si erano sviluppate spontaneamente, contro le parole d'ordine dei leader politici e sindacali della "sinistra", questi non esitarono a trattare gli insorti da "provocatori" che turbavano "l'ordine repubblicano": "né il Fronte popolare, né i comunisti che sono nelle prime fila rompono i finestrini, saccheggiano i caffè, strappano le bandiere tricolori" (Editoriale dell'Humanité, 7 agosto 1935).
Dall'inizio dunque, come rilevava Bilan a proposito della Spagna fin dal 1933, le politiche del Fronte popolare ed i governi di sinistra non si trovavano per niente in una dinamica di rafforzamento delle lotte proletarie ma si svilupparono contro, scontrandosi addirittura con i movimenti operai sul terreno di classe allo scopo di soffocare questi ultimi soprassalti di resistenza alla "dissoluzione totale del proletariato all'interno del capitalismo" (Bilan n° 22, agosto-settembre 1935): "In Francia, il Fronte popolare, fedele alla tradizione dei traditori, non mancherà di incitare all'omicidio contro quelli che non si piegheranno davanti al 'disarmo dei francesi' e che, come a Brest ed a Tolone, scateneranno degli scioperi rivendicativi, delle battaglie di classe contro il capitalismo ed all'infuori dell'influenza dei pilastri del Fronte popolare" (Bilan n° 26, dicembre-gennaio 1936).
L'antifascismo lega i lavoratori alla difesa dello Stato borghese
I Fronti popolari non unirono tuttavia "le forze popolari di fronte all'ascesa del fascismo"? Di fronte all'arrivo al potere di Hitler in Germania all'inizio del 1933, la sinistra andò a sfruttare la spinta di frazioni di estrema destra o fascistizzante nei diversi paesi "democratici" per portare avanti la necessità della difesa della democrazia attraverso un largo fronte antifascista.
Questa strategia fu, per la prima volta, messa in pratica fin dall'inizio del 1934 in Francia e trovò il suo punto di partenza in un'enorme manipolazione. Il pretesto fu fornito dalla manifestazione violenta di protesta e di malcontento del 6 febbraio 1934 contro gli effetti della crisi e della corruzione dei governi della Terza Repubblica, manifestazione nella quale si erano infiltrati dei gruppi di estrema destra, ma anche militanti del PC. Alcuni giorni più tardi si assisté, tuttavia ad un brusco capovolgimento dell'atteggiamento del PC, legato ad un cambiamento di strategia emanato da Stalin e dall'Internazionale Comunista. Questi raccomandavano oramai di sostituire alla tattica "classe contro classe" una politica d'avvicinamento ai partiti socialisti. Da allora, il 6 febbraio fu presentato come una "offensiva fascista" ed un "tentativo di colpo di Stato" in Francia.
La sommossa del 6 febbraio 1934 permise alla sinistra di montare l'esistenza di un pericolo fascista in Francia e conformemente lanciare una larga campagna di mobilitazione dei lavoratori in nome dell'antifascismo e per la difesa della "democrazia". Lo sciopero generale lanciato nello stesso tempo dal PC e dallo SFIO fin dal 12 istillava l'antifascismo con la parola d'ordine "Unità! Unità contro il fascismo!" Il PCF assimilò velocemente il nuovo orientamento e la conferenza nazionale di Ivry di giugno '34 ebbe per unica questione all'ordine del giorno "l'organizzazione del Fronte unito di lotta antifascista"2, ciò che determinò velocemente la firma di un patto "di unità d'azione" tra il PC e lo SFIO il 27 luglio 1934.
Identificato il fascismo come "il nemico principale", l'antifascismo diventò allora il tema che permise di raggruppare tutte le forze della borghesia "innamorata di libertà" dietro la bandiera del Fronte popolare e dunque legare gli interessi del proletariato a quelli del capitale nazionale costituendo "l'alleanza della classe operaia con i lavoratori delle classi medie" per evitare alla Francia “la vergogna e le disgrazie della dittatura fascista", come dichiarò Maurice Thorez, segretario generale del PCF. Su tale scia, il PCF sviluppò il tema delle "200 famiglie ed i loro mercenari che saccheggiano la Francia e svendono l'interesse nazionale". Tutti, all'infuori di questi "capitalisti", subivano la crisi ed erano solidali e così si dissolveva la classe operaia ed i suoi interessi di classe nel popolo e la nazione contro "un pugno di parassiti": "Raccoglimento della Francia che fatica, che lavora e che si sbarazzerà dei parassiti che la erodono" (Comitato centrale del PCF, 02/11/1934).
D'altra parte, il fascismo veniva denunciato in modo isterico e quotidianamente come il solo guerrafondaio. Il Fronte popolare mobilitò allora la classe operaia nella difesa della patria contro l'invasore fascista ed il popolo tedesco venne identificato con il nazismo. Gli slogan del PCF esortano ad "acquistare francese!" e inneggiavano alla riconciliazione nazionale: "Noi, comunisti, che abbiamo riconciliato la bandiera tricolore dei nostri padri e la bandiera rossa delle nostre speranze" (M. Thorez, Radio Parigi, 17 aprile 1936). La sinistra trascinò così i proletari dietro il carro dello Stato attraverso il più esasperato nazionalismo, le peggiori espressioni dello sciovinismo e della xenofobia.
Questa campagna intensiva trovò la sua apoteosi nella celebrazione unitaria del 14 luglio 1935, sotto il tema della difesa "delle libertà democratiche conquistate dal popolo francese". L'appello del comitato organizzativo propose il seguente giuramento: "facciamo giuramento di restare uniti per difendere la democrazia, (…), per mettere la nostre libertà fuori dall'attentato del fascismo". Le manifestazioni si aprirono sulla costituzione pubblica del Fronte popolare, il 14 luglio 1935, facendo cantare la "Marsigliese" agli operai sotto i ritratti affiancati di Marx e di Robespierre e facendo loro gridare "Viva la Repubblica francese dei Soviet"! Così, grazie allo sviluppo della campagna elettorale per il "Fronte popolare della pace e del lavoro", i partiti di "sinistra" deviarono le lotte operaie dal campo di classe verso il campo elettorale della democrazia borghese, annegando il proletariato nella massa informe del "popolo della Francia" e lo reclutarono per la difesa degli interessi nazionali. "Era quella una conseguenza delle nuove posizioni del 14 luglio che rappresentavala conclusione logica della politica detta antifascista. La Repubblica non era il capitalismo, ma il regime della libertà, della democrazia che rappresenta, come si sa, la piattaforma stessa dell'antifascismo. Gli operai giuravano solennemente di difendere questa Repubblica contro i faziosi interni ed esterni, mentre Stalin raccomandava loro di approvare gli armamenti dell'imperialismo francese in nome della difesa dell'U.R.S.S" (Bilan n° 22, agosto-settembre 1935).
La stessa strategia di mobilitazione della classe operaia sul campo elettorale in difesa della democrazia, l'integrazione nell'insieme degli strati popolari e la mobilitazione per la difesa degli interessi nazionali, si ritrovava in diversi paesi. In Belgio, la mobilitazione dei lavoratori dietro la campagna intorno al "Piano del Lavoro" fu orchestrata con mezzi di propaganda psicologica che non avevano niente da invidiare a quella nazista o stalinista, e terminerà con l'entrata del POB al governo nel 1935. La propaganda antifascista, portata avantisoprattutto dalla sinistra del POB, trovò il suo culmine nel 1937 in un duello singolare a Bruxelles tra Degrelle, il capo del partito Fascista Rex, ed il primo ministro Van Zeeland che beneficiò dell'appoggio di tutte le forze "democratiche", compreso il PCB. Lo stesso anno, Spaak, uno dei dirigenti dell'ala sinistra del POB, sottolineava il "carattere nazionale" del programma socialista belga e propose di trasformare il partito in partito popolare, poiché difendeva l'interesse comune e non più l'interesse di una sola classe!
Tuttavia, fu nella Spagna che l'esempio francese ispirerà con maggior chiarezza la politica alla sinistra. Dopo i massacri nelle Asturie, anche il PSOE andò ad imperniare la sua propaganda sull'antifascismo, il "fronte unito di tutti i democratici" e sosterrà un programma di Fronte popolare di fronte al pericolo fascista. Nel gennaio 1935, firmerà col sindacato UGT, i partiti repubblicani, il PCE, un'alleanza di "Fronte popolare", con il sostegno critico della CNT3 e del POUM4. Questo "Fronte popolare" pretendeva sostituire apertamente la lotta operaia attraverso la scheda elettorale, con una lotta sul campo della borghesia contro la frazione "fascista" di questa, a favore della sua ala "antifascista" e "democratica". La lotta contro il capitalismo fu affossata a profitto di un illusorio "programma di riforme" del sistema che dovrebbe realizzare una "rivoluzione democratica". Mistificando il proletariato per mezzo di questo fallace fronte antifascista e democratico, la sinistra lo mobilitò sul campo elettorale ed ottenne un trionfo alle elezioni di febbraio 1936 : "Il fatto che nel 1936, dopo quest'esperienza [la coalizione repubblicana-socialista 1931-33 ndlr] molto indicativa sulla funzione della democrazia come mezzo di manovra per il mantenimento del regime capitalista, si è potuto di nuovo, come nel 1931-1933, spingere il proletariato spagnolo ad allinearsi su un piano non di classe ma di difesa della 'Repubblica', del 'Socialismo' e del 'Progresso' contro le forze della Monarchia, Clerico-fasciste e della reazione, dimostra la profondità dello smarrimento degli operai su questo settore spagnolo dove i proletari recentemente hanno dato prove di combattività e di spirito di sacrificio" (Bilan n° 28, febbraio-marzo 1936).
In realtà, la politica antifascista della sinistra e la costituzione di "Fronti popolari", riusciranno effettivamente ad atomizzare i lavoratori, a dissolverli nella popolazione, a mobilitarli per un adattamento democratico del capitalismo, mentre il veleno dello sciovinismo e del nazionalismo veniva istillato loro. Bilan non si ingannava quando commentò così la costituzione ufficiale della Fronte popolare il 14 luglio 1935: "è sotto il segno di imponenti manifestazioni di massa che il proletariato francese si dissolve in seno al regime capitalista. Malgrado migliaia e migliaia di operai che sfilano nelle vie di Parigi, si può affermare che sia in Francia che in Germania non esiste più una classe proletaria che lotta per i suoi obiettivi. A tale proposito, il 14 luglio segna un momento decisivo nel processo di disgregazione del proletariato e nella ricostituzione dell'unità sacrosanta della Nazione capitalista. (…) Gli operai hanno dunque tollerato la bandiera tricolore, cantato la 'Marsigliese' ed applaudito anche i Daladier, Cot ed altri ministri capitalisti che, con Blum, Cachin5, hanno solennemente giurato 'di dare pane ai lavoratori, lavoro alla gioventù e pace al mondo' o, in altri termini, piombo, caserme e guerra imperialista per tutti" (Bilan n° 21, luglio-agosto 1935).
Le misure economiche dei Fronti popolari : Lo Stato al servizio dei lavoratori?
Ma la sinistra non aveva, almeno attraverso i suoi programmi di rafforzamento del controllo da parte dello Stato sull'economia, limitato i tormenti della libera concorrenza del capitale "monopolistico" e protetto così le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia? Di nuovo, è importante localizzare le misure esaltate dalla sinistra nel quadro generale della situazione del capitalismo.
All'inizio degli anni 1930, l'anarchia della produzione capitalista era totale. La crisi mondiale gettò sul lastrico milioni di proletari. Per la borghesia trionfante, la crisi economica, legata alla decadenza del sistema capitalista, che si manifestò negli anni 30 attraverso una grande depressione dovunque ("crac" borsista del 1929, tasso di inflazione record, caduta della produzione industriale e della crescita, accelerazione vertiginosa della disoccupazione) la spingeva imperiosamente verso la guerra imperialista per la ripartizione di un mercato mondiale soprassaturato. "Esportare o morire" diventava la parola d'ordine di ogni borghesia nazionale, espressa con chiarezza dai dirigenti nazisti.
Marcia verso la guerra e sviluppo dell'economia di guerra
Dopo la Prima Guerra mondiale, con il trattato di Versailles, la Germania si vide privata delle sue magre colonie e con pesanti debiti di guerra. Si trovò incastrata al centro dell'Europa e, da questo momento, si pose il problema che andrà a caratterizzare l'insieme della politica di tutti i paesi dell'Europa durante i due decenni seguenti. Con la ricostruzione della sua economia, la Germania si troverà davanti alla necessità imperiosa di trovare degli sbocchi per le sue merci e la sua espansione non potrà farsi che dentro un ambito europeo. Gli avvenimenti si accelerarono con l'arrivo di Hitler al potere nel 1933. Le necessità economiche che spinsero la Germania verso la guerra troveranno nell'ideologia nazista la loro espressione politica: la rimessa in causa del Trattato di Versailles, l'esigenza di uno "spazio vitale" che può essere solamente l'Europa.
Tutto ciò convinse precipitosamente certe frazioni della borghesia francese che non si sarebbe potuto evitare la guerra e che la Russia sovietica in tal caso sarebbe stata una buona alleata per far fallire le mire del pangermanismo. Tanto più che a livello internazionale, la situazione si chirificava: nello stesso periodo in cui la Germania lasciò la Società delle Nazioni, l'URSS vi entrava. Quest'ultima, in un primo tempo, aveva giocato la carta tedesca per lottare contro il blocco continentale che le democrazie occidentali le imponevano. Ma quando i legami della Germania con gli Stati Uniti si rafforzarono, avendo quest'ultimi investito e, col piano Dawes6, riportato a galla l'economia tedesca sostenendo la ricostruzione economica del "bastione" occidentale contro il comunismo, la Russia stalinista rivide tutta la sua politica estera per tentare di rompere quest'alleanza. In effetti, fino a tardi, importanti frazioni della borghesia dei paesi occidentali credettero possibile evitare la guerra con la Germania facendo alcune concessioni e soprattutto orientando la necessaria espansione della Germania verso l'Est. Monaco nel 1938 tradurrà ancora quest'incomprensione della situazione e della guerra che verrà.
Il viaggio che il ministro francese degli affari esteri, Laval, effettuò a Mosca nel maggio 1935 andò a sottolineare spettacolarmente questa disposizione dell'imperialismo sulla scacchiera europea con l'avvicinamento franco-russo: la firma di Stalin ad un trattato di cooperazione implicava un riconoscimento implicito da parte di quest'ultimo della politica di difesa francese ed un incoraggiamento al PCF a votare i crediti militari. Alcuni mesi più tardi, nell'agosto 35, il 7mo Congresso del PCUS andava a trarre a livello politico le conseguenze dalla possibilità per la Russia di un'alleanza con i paesi occidentali per fare fronte all'imperialismo tedesco. Dimitrov, il Segretario generale dell'Internazionale Comunista, designò il nuovo nemico che occorreva combattere: il fascismo. I socialisti che prima venivano scherniti violentemente diventarono una, tra altre, forza democratica con cui bisognava allearsi per vincere il nemico fascista. I partiti stalinisti, negli altri paesi, seguirono nella sua svolta politica a 180° il loro grande fratello maggiore, il PC russo, divenendo così i migliori difensori degli interessi imperialisti della sedicente "patria del socialismo".
In breve, per tutti i paesi industrializzati, s'impose la necessità di sviluppare potentemente l'economia di guerra, non solamente la produzione massiccia d'armamenti ma anche tutta l'infrastruttura necessaria a questa produzione. Tutte le grandi potenze, sia "democratiche" che "fasciste", sviluppavano in modo simile sotto il controllo dello Stato una politica di "grandi lavori" ed un'industria d'armamenti interamente orientati verso la preparazione di una nuova carneficina mondiale. Intorno ad essa, l'industria si organizzava; impose le nuove organizzazioni del lavoro di cui il "taylorismo" sarà uno dei germogli più belli.
La sinistra e le misure di controllo statale
Una delle caratteristiche centrali delle politiche economiche della "sinistra" è proprio il rafforzamento delle misure d'intervento dello Stato per sostenere l'economia in crisi e il controllo statale su diversi settori dell'economia. Essa giustificava questo tipo di misure affermando che è "dall'economia dirigista, del Socialismo di Stato, [perché ndlr] che maturano le condizioni che devono permettere ai 'socialisti' di conquistare 'pacificamente' e progressivamente gli ingranaggi essenziali dello Stato" (Bilan n° 3, gennaio 1934). Queste misure erano sostenute con entusiasmo dall'insieme della socialdemocrazia europea. Vennero riprese nei programmi economici del Fronte popolare in Francia, conosciuti sotto il nome del piano Jouhaux. In Spagna, il programma della Fronte popolare si appoggiava su una larga politica di crediti agrari ed un vasto piano di lavori pubblici per il riassorbimento della disoccupazione, così come su delle leggi sociali che fissavano, per esempio, un salario minimo. Vediamo quale era il significato reale di tali programmi attraverso l'esame di uno dei loro grandi modelli, il "New Deal", messo in atto negli Stati Uniti dopo la crisi del 1929 dai democratici sotto Roosevelt, e l'analisi di una delle concretizzazioni teoriche più compiute di questo "Socialismo di Stato", il "Piano del Lavoro" del socialista belga Henri De Man.
Il "New Deal", messo in atto negli Stati Uniti a partire dal 1932, fu un piano di ricostruzione economica e di "pace sociale". L'intervento del governo mirava a ristabilire l'equilibrio del sistema bancario ed a rilanciare il mercato finanziario, a mettere in opera grandi lavori (dighe, programmi pubblici), e ad iniziare certi programmi sociali: attuazione di un sistema pensionistico, di un'assicurazione contro la disoccupazione, ecc.). Una nuova agenzia federale, la National Recovery Administration (NRA), aveva per missione di stabilizzare prezzi e salari cooperando con le imprese ed i sindacati. Creò la Public Works Administration (PWA) che doveva controllare l’attuazione della politica dei grandi lavori pubblici.
Il governo di Roosevelt aprì la via, foss’anche senza esserne consapevole, alla conquista degli ingranaggi essenziali dello Stato da parte del partito dei lavoratori? Per Bilan, è proprio vero il contrario: "L'intensità della crisi economica che imperversa, coniugata con la disoccupazione e la miseria di milioni di uomini, accumula le minacce di conflitti sociali temibili che il capitalismo americano deve dissipare o soffocare con tutti i mezzi in suo potere" (Bilan n° 3, gennaio 1934). Lungi dunque dall'essere misure in favore dei lavoratori, le misure di "pace sociale" furono attacchi diretti contro l'autonomia di classe del proletariato. "Roosevelt si è dato come scopo dirigere la classe operaia non verso un'opposizione di classe, ma verso la sua diluizione all'interno dello stesso regime capitalista, sotto il controllo dello Stato capitalista. Così, dei conflitti sociali non dovrebbero più sorgere dalla lotta reale - e di classe - tra gli operai ed i padronati ed essi si limiterebbero ad un'opposizione della classe operaia e della N.R.A, organismo dello Stato capitalista. Gli operai dovrebbero dunque rinunciare ad ogni iniziativa di lotta e affidare la loro sorte al proprio nemico " (Id).
Si trovano obiettivi simili nel "Piano del Lavoro" di Henri De Man? Quest'architetto principale di tali programmi di controllo Statale, grande ispiratore della maggior parte delle misure adottate tanto dai Fronti popolari che dai regimi fascisti (Mussolini era uno dei suoi grandi ammiratori) era il capo della scuola quadri del POB e, a partire da 1933, vicepresidente e grande divo del partito. Per De Man che aveva studiato profondamente gli sviluppi industriali e sociali negli Stati Uniti ed in Germania, era necessario abbandonare i "vecchi dogmi". Per lui, la base della lotta di classe è il sentimento d'inferiorità sociale dei lavoratori. Piuttosto che orientare il socialismo sulla soddisfazione dei bisogni materiali di una classe (i lavoratori), bisognava orientarlo verso i valori spirituali universali come la giustizia, il rispetto della personalità umana e la preoccupazione de "l'interesse generale". Finite dunque le contraddizioni inevitabili ed inconciliabili tra la classe operaia ed i capitalisti. Peraltro, proprio come la rivoluzione, bisognava rigettare anche il "vecchio riformismo" diventato inoperante in tempo di crisi: non serve più a niente rivendicare una parte più importante di una torta che si riduce sempre più, bisognava realizzare una nuova torta più grande. Ciò era l'obiettivo di quella che chiamava la "rivoluzione costruttiva". In quest'ottica, sviluppò per il "Congresso di Natale" 1933 del POB il suo "Piano del Lavoro" che prevedeva "riforme di struttura" del capitalismo:
- la nazionalizzazione delle banche che continuavano ad esistere ma che vendevano una parte delle loro azioni ad un'istituzione di credito dello Stato e che si sottoporranno agli orientamenti del Piano economico;
- questa stessa istituzione di credito dello Stato ricomprerà una parte delle azioni dei grandi monopoli in alcuni settori industriali di base, come l'energia, così che questi ultimi diverranno delle imprese miste, proprietà congiunte di privati e dello Stato;
- accanto a queste imprese "socie", continuava ad esistere un settore capitalista libero, stimolato e sostenuto dallo Stato;
- i sindacati saranno implicati direttamente in quest'economia mista di concertazione attraverso il "controllo operaio", orientamento che De Man propagò a partire dall'esperienze osservate nelle grandi fabbriche americane.
Queste "riforme di struttura", proposte da De Man, si orienteranno a favore della lotta della classe operaia? Per Bilan, De Man voleva "dimostrare che la lotta operaia deve limitarsi naturalmente agli obiettivi nazionali per forma e contenuto, che socializzazione significa nazionalizzazione progressiva dell'economia capitalista, o economia mista. Sotto la scusa della ‘azione immediata', De Man arriva a predicare l'adattamento nazionale degli operai nella 'nazione una ed indivisibile' e che (...) si offre come rifugio supremo degli operai repressi dalla reazione capitalista". In conclusione, "Le riforme di struttura di H.De Man hanno dunque per scopo riporre la lotta vera dei lavoratori - ed è quella la sua sola funzione - in un campo irreale, dove si esclude ogni lotta per la difesa degli interessi immediati e, attraverso di esso, storica del proletariato, in nome di una riforma di struttura che, nella sua concezione come nei suoi mezzi, può servire solamente alla borghesia per rafforzare il suo Stato di classe riducendo la classe operaia all'impotenza" (Bilan n° 4, febbraio 1934).
Ma Bilan va più lontano e situa l’attuazione del "Piano del Lavoro" rispetto al ruolo che giocava la sinistra nel quadro storico del periodo.
"L'avvento del fascismo in Germania mette fine ad un periodo decisivo della lotta operaia. (...). La socialdemocrazia che fu un elemento essenziale di queste sconfitte, è anche un elemento di ricostituzione organica della vita del capitalismo (...), essa adopera un nuovo linguaggio per continuare la sua funzione, rigetta un internazionalismo verbale non più necessario, per passare francamente alla preparazione ideologica dei proletari per la difesa della ‘ propria nazione'. (…), ed è in ciò che noi troviamo la vera origine del piano De Man. Quest'ultimo rappresenta il tentativo concreto di sancire, attraverso una mobilitazione adeguata, la sconfitta subita dall'internazionalismo rivoluzionario e la preparazione ideologica per l'incorporazione del proletariato alla lotta intorno al capitalismo per la guerra. E' per questo che il suo nazional-socialismo ha la stessa funzione del nazional-socialismo dei fascisti" (Bilan n° 4, febbraio 1934).
L'analisi del New Deal come del Piano De Man illustra con chiarezza che queste misure non miravano affatto a rafforzare la lotta proletaria contro il capitalismo ma a ridurre invece la classe operaia all'impotenza ed a sottometterla alle necessità della difesa della nazione. In questo senso, come notava Bilan, il piano De Man non si distingueva in niente dal programma di controllo dei regimi fascisti e nazisti attraverso lo Stato; o ancora dai piani quinquennali dello stalinismo applicati in URSS dal 1928 e che avevano del resto all'origine ispirato i democratici negli Stati Uniti.
Se tali misure furono generalizzate, fu perché esse corrispondevano ai bisogni del capitalismo decadente. In questo periodo, in realtà, la tendenza generale verso il capitalismo di Stato è una delle caratteristiche dominanti della vita sociale. "Ogni capitale nazionale, privato di ogni base per uno sviluppo potente, condannato ad una concorrenza imperialista acuta, è costretto ad organizzarsi nel modo più efficace per affrontare i suoi rivali, economicamente e militarmente, all'esterno, e, all'interno, fare fronte ad un'esacerbazione crescente delle contraddizioni sociali. La sola forza della società che sia capace di prendere in carico l'adempimento dei compiti che tale situazione impone è lo Stato. Effettivamente, solo lo Stato:
- può prendere in mano l'economia nazionale in modo globale e centralizzato ed attenuare la concorrenza interna che l'indebolisce per rafforzare la sua capacità ad affrontare come un tutto la concorrenza sul mercato mondiale;
- mettere in piedi la potenza militare necessaria alla difesa dei sui interessi di fronte all'esacerbazione degli antagonismi internazionali;
- infine, grazie alle forze di repressione e ad una burocrazia sempre più pesante, rafforzare la coesione interna della società minacciata dalla frammentazione per la decomposizione crescente dei suoi fondamenti economici (…)". (Piattaforma della CCI)
In realtà dunque, tutti questi programmi che miravano ad una nuova organizzazione della produzione nazionale sotto il controllo dello Stato, orientata interamente verso la guerra economica e verso la preparazione di una nuova carneficina mondiale (economia di guerra), corrispondevano e corrispondono perfettamente alle necessità di sopravvivenza degli Stati borghesi all'interno del periodo di decadenza.
Vittorie dei Fronti popolari: la "rivoluzione sociale" in marcia?
Ma gli scioperi massicci di maggio-giugno 1936 in Francia e le misure sociali prese dal governo del Fronte popolare, proprio come la "rivoluzione spagnola" scatenata nel luglio 1936 fanno piazza pulita di queste analisi pessimiste, non confermano al contrario, nella pratica, la giustezza del percorso dei fronti "antifascisti" o "popolari", non rappresentano in fin dei conti l'espressione concreta di questa "rivoluzione sociale" in marcia? Esaminiamo uno dopo l'altro ciascuno dei movimenti citati.
Maggio-giugno 1936 in Francia: i lavoratori sono mobilitati dietro lo Stato democratico
La grande ondata di scioperi che seguirà fin dalla metà maggio la salita al governo del Fronte Popolare dopo la sua vittoria elettorale del 5 maggio 1936, confermavano tutti i limiti del movimento operaio, contrassegnato dall'insuccesso dell'ondata rivoluzionaria e dalla sottomissione alla cappa di piombo della controrivoluzione.
Le "conquiste" del 1936
Fin dal 7 maggio, un'ondata di scioperi prese il via inizialmente nel settore aeronautico e poi nella metallurgia e l'automobile, con occupazioni spontanee di fabbriche. Queste lotte manifestavano soprattutto, malgrado tutta la loro combattività, quanto debole fosse la capacità dei lavoratori a condurre la lotta sul loro campo di classe. Infatti, fin dai primi giorni, la sinistra riuscirà a truccare in "vittoria operaia" la deviazione della combattività operaia sul campo del nazionalismo, dell'interesse nazionale. Se è vero che, per la prima volta, si assistette in Francia alle occupazioni di fabbriche, è anche la prima volta che si vedevano gli operai cantare al tempo stesso l'Internazionale e la Marsigliese, camminare dietro le pieghe della bandiera rossa mischiata a quelli della bandiera tricolore. L'apparato d'inquadramento costituito dal PC e dai sindacati fu padrone della situazione, riuscendo a chiudere nelle fabbriche gli operai che si lasciavano addormentare al suono della fisarmonica, mentre si decideva la loro sorte ai vertici, nei negoziati che termineranno con gli accordi di Matignon. Se c'era unità, non fu certamente quella della classe operaia ma sicuramente quella dell'inquadramento della borghesia sulla classe operaia. Quando alcuni irriducibili non compresero che dopo gli accordi bisognava riprendere il lavoro, l'Humanité s'incaricò di spiegare "che occorre capire quando uno sciopero deve finire ... bisogna sapere scendere anche al compromesso" (M. Thorez, discorso dell'11 giugno 1936) "che non bisogna spaventare i nostri amici radicali".
Durante il processo di Riom, intentato dal regime di Vichy contro i responsabile della "decadenza morale della Francia", lo stesso Blum si ricordò come le occupazioni di fabbrica andavano proprio nel senso della mobilitazione nazionale ricercata: "gli operai erano come i custodi, sorveglianti, ed anche, in un certo senso, come comproprietari. E constatare una comunità di diritti e di doveri nei confronti del patrimonio nazionale, non è questo che conduce ad assicurare ed a preparare la difesa comune, la difesa unanime?(...). È così questa misura che si crea poco a poco per gli operai una comproprietà della patria, che si insegna loro a difendere questa patria".
La sinistra ottenne ciò che voleva: aveva portato la combattività operaia sul campo sterile del nazionalismo, dell'interesse nazionale. "La borghesia è obbligata a ricorrere al Fronte popolare per canalizzare a suo profitto un'esplosione inevitabile della lotta di classe e non può farlo se non nella misura in cui il Fronte popolare appaia come un'emanazione della classe operaia e non come la forza capitalista che discioglie il proletariato per mobilitarlo per la guerra" (Bilan n° 32 Giugno-luglio 1936).
Per mettere fine ad ogni resistenza operaia, gli stalinisti andranno a massacrare a randellate coloro che "si lasciano indurre in un'azione sconsiderata", "quelli che non sanno finire uno sciopero" (M. Thorez, 8 giugno 1936) mentre il governo del Fronte popolare massacrava e mitragliava operai con i suoi gendarmi mobilitati a Clichy nel 1937. Brutalizzando o uccidendo le ultime minoranze di operai recalcitranti, la borghesia vinceva la sua scommessa trascinando l'insieme del proletariato francese alla difesa nazionale.
Fondamentalmente, il programma della Fronte popolare non aveva niente che potesse inquietare la borghesia. Il presidente del Partito radicale, E. Daladier, la rassicurava d'altronde fin dal 16 maggio: "Il programma del Fronte popolare non racchiude alcun articolo che possa turbare gli interessi legittimi di un qualsiasi cittadino, inquietare il risparmio, recare offesa ad alcuna forza sana del lavoro francese. Molti di quelli che l'hanno combattuto con più passione non l'avevano probabilmente letto mai" (L'oeuvre, 16 maggio 1936). Tuttavia, per poter diffondere l'ideologia anti-fascista ed essere completamente credibile nel suo ruolo di difensore della patria e dello Stato capitalista, la sinistra doveva per forza concedere qualche briciola. Gli accordi di Matignon e le pseudo conquiste del 1936 furono elementi determinanti per potere presentare l'arrivo della sinistra al potere come una "grande vittoria operaia", per spingere i proletari a fidarsi del Fronte popolare e farli aderire alla difesa dello Stato borghese fin nelle sue imprese guerriere.
Questo famoso accordo di Matignon, concluso il 7 giugno 1936, celebrato dalla CGT come una "vittoria sulla miseria", che attualmente ancora passa per un modello di "riforma sociale", è dunque la carota che si vende agli operai. Ma che cosa è esattamente?
Sotto l'apparenza di "concessioni" alla classe operaia, come gli aumenti di stipendio, le "40 ore", le "ferie pagate", la borghesia assicurava innanzitutto l'organizzazione della produzione sotto la direzione dello Stato "imparziale", come segnalava il leader della CGT Léon Jouhaux: "(...) l'inizio di un'era nuova, l'era delle relazioni dirette tra le due grandi forze economiche organizzate del paese. (…). Le decisioni sono state prese nella più completa indipendenza, sotto l'egida del governo, compiendo quest'ultimo, se necessario, un ruolo di arbitro che corrisponde alla sua funzione di rappresentante dell'interesse generale" (discorso radiodiffuso dell' 8 giugno 1936). Poi, avrebbe introdotto delle misure essenziali per fare accettare ai lavoratori un'intensificazione senza precedenti dei ritmi di produzione attraverso l'introduzione dei nuovi metodi di organizzazione del lavoro destinato a decuplicare i rendimenti orari tanto necessari per fare girare a pieno regime l'industria d'armamento. Sarà la generalizzazione del taylorismo, della lavorazione a catena e della dittatura del cronometro nella fabbrica.
Fu Léon Blum in persona che strapperà il velo "sociale" posto sulle leggi del 1936 in occasione del processo organizzato dal regime di Vichy a Riom nel 1942 cercando di fare del Fronte Popolare e delle 40 ore i responsabili della pesante sconfitta del 1940 in seguito all'assalto dell'esercito nazista:
"Il rendimento orario, di che cosa è funzione? (...) dipende dal buon coordinamento e dal buon adattamento dei movimenti dell'operaio alla sua macchina; dipende anche dalla condizione morale e fisica dell'operaio". C'é tutta una scuola in America, la scuola Taylor, la scuola degli ingegneri Bedeau, che vedete spostarsi nelle ispezioni che hanno spinto molto avanti lo studio dei metodi di organizzazione materiale che conduce al massimo rendimento orario della macchina, ciò che è precisamente il loro obiettivo. Ma c'é anche la scuola Gilbreth che ha studiato e ricercato i dati più favorevoli nelle condizioni fisiche dell'operaio affinché sia ottenuto questo rendimento. Il dato essenziale è ridurre la stanchezza dell'operaio. La giornata più corta, il tempo libero, il festivo pagato, il sentimento di una dignità, di un'uguaglianza conquistata, tutto ciò era, doveva essere, uno degli elementi che possono portare al massimo il rendimento orario estratto dalla macchina attraverso l'operaio".
Ecco come e perché le misure "sociali" del governo di Fronte popolare furono un passaggio obbligato per fare adattare i proletari ai nuovi metodi infernali di produzione che miravano all'armamento veloce della nazione prima di essere pronunciate le dichiarazioni ufficiali di guerra. Del resto, c'è da notare che le famose ferie pagate, sotto una forma o sotto un'altra, erano state concesse nella stessa epoca nella maggior parte dei paesi evoluti che s'incamminavano verso la guerra imponendo per questo ai loro operai gli stessi ritmi di produzione.
Così, nel giugno 1936, sotto l'ispirazione dei movimenti in Francia, esplose in Belgio uno sciopero degli scaricatori. Dopo avere provato a fermarlo, i sindacati riconobbero il movimento e l'orientarono verso rivendicazioni simili a quelle del Fronte popolare in Francia: aumento degli stipendi, settimana delle "40 ore" ed una settimana di ferie pagate. Il 15 giugno, il movimento si estese verso la Borinage e le regioni di Liège e Limburg, 350.000 operai entrano in sciopero in tutto il paese. Il risultato principale del movimento sarà un modo raffinato del sistema di concertazione sociale, attraverso la costituzione di una conferenza nazionale del lavoro dove padroni e sindacati si concertarono su un piano nazionale per ottimizzare il livello concorrenziale dell'industria belga.
Una volta ottenuti la fine degli scioperi e l'installazione duratura di un rendimento orario massimo dello sfruttamento della forza lavoro, non restava più al governo di Fronte Popolare che passare alla riconquista del terreno concesso. Gli aumenti salariali vennero assottigliati dall'inflazione alcuni mesi più tardi (aumento del 54% dei prezzi dei prodotti alimentari tra 1936 e 1938), le 40 ore saranno rimesse in causa dallo stesso Blum un anno dopo e dimenticate completamente quando il governo radicale di Daladier nel 1938 lanciò a pieno regime la macchina economica per la guerra, sopprimendo le maggiorazioni per le prime 250 ore di lavoro straordinario, annullando disposizioni delle convenzioni collettive che vietavano il lavoro a cottimo ed applicando delle sanzioni per ogni rifiuto di effettuare ore supplementari per la difesa nazionale: "(...) trattandosi delle fabbriche che lavorano per la difesa nazionale, le deroghe alla legge delle 40 h sono sempre state accordate. Inoltre, nel 1938, ho ottenuto dalle organizzazioni operaie un tipo di concordato, che portava a 45 h la durata del lavoro nelle fabbriche che operavano direttamente o non per la difesa nazionale". (Blum al processo di Riom). Infine, le ferie pagate, saranno divorate in un boccone poiché, su proposta del padronato, sostenuto dal governo Blum e dai sindacati, le feste di Natale e del Primo dell'anno saranno da recuperare. Una misura che si applicherà poi a tutte le feste legali e cioè 80 ore di lavoro supplementare che corrispondeva esattamente a 2 settimane di ferie pagate.
In quanto al riconoscimento dei delegati sindacali e delle convenzioni collettive, ciò non rappresentava in realtà che il rafforzamento dell'ascendente dei sindacati sugli operai attraverso il loro più largo insediamento nelle fabbriche. Per fare che cosa? Léon Jouhaux, socialista e dirigente sindacale, lo spiegò in questi termini: "le organizzazioni operaie [sindacati ndr] vogliono la pace sociale. Innanzitutto per non disturbare il governo di Fronte Popolare e, in seguito, per non frenare il riarmo". In effetti, quando la borghesia prepara la guerra, lo Stato si vede costretto a controllare l'insieme della società per orientare tutte le sue energie verso la macabra prospettiva. E, nella fabbrica è proprio il sindacato ad essere il più indicato per permettere allo Stato di sviluppare la sua presenza poliziesca.
Se si assiste ad una vittoria, è in verità quella, sinistra, del capitale che prepara la sola soluzione per risolvere la crisi: la guerra imperialista.
La preparazione alla guerra
In Francia, fin dall'origine del Fronte popolare, dietro il suo slogan "Pace, pane, libertà" ed al di là dell'antifascismo e del pacifismo, la difesa degli interessi imperialisti della borghesia francese sarà mischiata alle illusioni democratiche. In questo quadro, la "sinistra" sfruttò abilmente la preparazione della guerra a livello internazionale per mostrare che il "pericolo fascista era alle porte del paese", organizzando per esempio una pubblicità sull'aggressione italiana in Etiopia. Più nettamente ancora, la SFIO ed il PC si divisero il lavoro rispetto alla guerra civile spagnola: mentre la SFIO rifiutava l'intervento in Spagna in nome del "pacifismo", il PC esaltava quest'intervento in nome della "lotta antifascista".
Da allora, se c'era un compito per il quale il capitale francese doveva essere debitore al governo di Fronte popolare, fu proprio quello di avere preparato la guerra. Ciò in tre maniere:
- innanzitutto, la sinistra potette utilizzare la gigantesca massa degli operai in sciopero come mezzo di pressione sulle forze più retrograde della borghesia, imponendo le misure necessarie alla salvaguardia del capitale nazionale di fronte alla crisi e facendo passare tutto ciò per una vittoria della classe operaia;
- poi, il Fronte popolare lanciò un programma di riarmo che passò dalla nazionalizzazione delle industrie di guerra e su cui Blum dichiarerà all'epoca del processo di Riom: "ho depositato un grande progetto fiscale... che mira a tendere tutte le forze della nazione verso il riarmo e che fa di questo sforzo di riarmo intensivo la condizione stessa, l'elemento stesso di un avviamento industriale ed economico definitivo. Esso esce risolutamente dall'economia liberale, si mette sul piano di un'economia di guerra".
In effetti, la sinistra era cosciente della guerra che stava per scoppiare; fu lei a spingere all'intesa franco-russo denunciando violentemente le tendenze favorevoli all’accordo di Monaco nella borghesia francese. Le "soluzioni" che essa portava alla crisi non erano differenti da quelle della Germania fascista, dell'America del New Deal o della Russia stalinista: sviluppo del settore improduttivo delle industrie d'armamento. Qualunque sia la maschera dietro cui si nascondeva il capitale, le misure economiche adottate erano le stesse. Come fece notare Bilan: "Non è per caso se questi grandi scioperi scoppiano nell'industria metallurgica iniziando nelle fabbriche di aerei […] è che si tratta di settori che lavorano oggi a pieno rendimento, a causa della politica di riarmo perseguita in tutti i paesi. Questo fatto provato dagli operai ha costretto quest'ultimi a dover scatenare il loro movimento per diminuire il ritmo frastornante della catena (…)"
- infine e soprattutto, il Fronte popolare ha portato la classe operaia sul suo peggiore terreno, quello della sua sconfitta e del suo schiacciamento: il nazionalismo.
Con l'isteria patriottarda che sviluppò la sinistra mediante l'anti-fascismo, il proletariato fu portato a difendere una frazione della borghesia contro un'altra, la democratica contro la fascista, uno Stato contro un altro, la Francia contro la Germania. Il PCF dichiarò: "E' giunta l'ora per realizzare effettivamente l'armamento generale del popolo, di realizzare le riforme profonde che assicureranno una potenza decuplicata dei mezzi militari e tecniche del paese. L'esercito del popolo, l'esercito degli operai e dei contadini ben inquadrati, molto istruiti, ben guidati dagli ufficiali fedeli alla Repubblica". E' in nome di questo "ideale" che i "comunisti" andranno a celebrare Giovanna d'arco "grande liberatrice della Francia", che il PC chiamò ad un Fronte francese e fece propria la parola d'ordine che era quella dell'estrema destra alcuni anni prima: "La Francia ai francesi!". Fu sotto il pretesto di difendere le libertà democratiche minacciate dal fascismo che furono portati i proletari ad accettare i sacrifici necessari per la salvezza del capitale francese ed alla fine ad accettare il sacrificio della loro vita nella carneficina della Seconda Guerra mondiale.
In questo compito di boia, il Fronte popolare trovò degli alleati efficaci presso i suoi critici di sinistra: il Partito Socialista Operaio e Contadino (PSOP) di Marceau Pivert, Trotskysti o Anarchici. Questi andranno a sostenere il ruolo di raccattatori degli elementi più combattivi della classe e si porranno costantemente come "più radicali", ma saranno in effetti più "radicali" nella mistificazione della classe operaia. Le Gioventù Socialiste della Senna, dove i trotskisti come Craipeau e Roux fecero dell'entrismo, furono i primi a raccomandare ed organizzare milizie anti-fasciste, gli amici di Pivert che si raggruppavano in seno al P.S.O.P saranno più virulenti nel criticare la "vigliaccheria di Monaco”. Tutti erano unanimi nel difendere la Repubblica spagnola a fianco degli antifascisti e tutti parteciperanno più tardi alla carneficina inter-imperialista in seno alla resistenza. Tutti diedero il loro obolo alla difesa del capitale nazionale, ben meritandosi la patria!
Luglio 1936 in Spagna: Il proletariato mandato al macello della guerra "civile"
Attraverso la costituzione del Fronte popolare (Frente Popular) e la sua vittoria alle elezioni di febbraio 1936, la borghesia aveva istillato in seno alla classe il veleno della "rivoluzione democratica" ed era riuscita così a legare la classe operaia alla difesa dello Stato "democratico" borghese. In effetti, quando una nuova ondata di scioperi esplose immediatamente dopo le elezioni, essa fu frenata e sabotata dalla sinistra e dagli anarchici perché "faceva il gioco dei padroni e della destra". Ciò si realizzò tragicamente all'epoca del Pronunciamiento militare del 19 luglio 1936. Di fronte al colpo di Stato, gli operai risposero immediatamente con scioperi, occupazioni di caserme ed il disarmo di soldati, contro le direttive del governo che invitava alla calma. Là dove gli appelli del governo vennero rispettati (" Il governo comanda, il Fronte popolare ubbidisce"), i militari prendono il controllo con un bagno di sangue.
"La lotta armata sul fronte imperialista è la tomba del proletariato" (Bilan n°34)
Tuttavia, l'illusione della "rivoluzione spagnola" venne rafforzata dalla pseudo "scomparsa" dello Stato capitalista repubblicano, e dalla non esistenza della borghesia, il tutto nascosto dietro uno pseudo "governo operaio" ed organismi "più a sinistra" come "il Comitato centrale delle Milizie antifasciste" o il "Consiglio centrale dell'economia" che mantenevano l'illusione di un doppio potere. In nome di questo "cambiamento rivoluzionario", osì facilmente raggiunto, la borghesia chiese ed ottenne dagli operai la Sacra Unionr, intorno al solo ed unico obiettivo di battere Franco. Ora, "L'alternativa non sta tra Azaña e Franco, ma tra borghesia e proletariato; che l'uno o l'altro dei due partner sia battuto, ciò non impedisce a quello che sarà realmente vinto, il proletariato, che pagherà le spese della vittoria di Azaña o di Franco" (Bilan n° 33, luglio-agosto 1936).
Molto rapidamente, il governo repubblicano di Fronte popolare, con l'aiuto della CNT e del POUM, deviò così la reazione operaia contro il colpo di Stato franchista verso la lotta antifascista e fece manovre di reclutamento per spostare la lotta di una battaglia sociale, economica e politica contro l'insieme delle forze della borghesia, verso lo scontro militare nelle trincee unicamente contro Franco; l'armamento degli operai fu concesso solamente per mandarli a farsi massacrare sul fronte militare della "guerra civile", al di fuori dal loro campo di classe. "Si potrebbe supporre che l'armamento degli operai contenga delle virtù congenite dal punto di vista politico e che una volta materialmente armati, gli operai potranno sbarazzarsi dei capi traditori per passare alle forme superiori della loro lotta. Niente di tutto ciò. Gli operai che il Fronte Popolare è riuscito ad incorporare alla borghesia, poiché combattono sotto la direzione e per la vittoria di una frazione borghese, non hanno alcuna possibilità di evolvere su alle posizioni di classe" (Bilan n° 33, luglio-agosto 1936).
D'altra parte, questa guerra non aveva niente di "civile" ma diventò velocemente, con l'impegno delle democrazie e della Russia dal lato dei "Repubblicani", e dell'Italia e della Germania dal lato dei "Falangisti", un puro conflitto inter-imperialista ed il preludio alla 2a carneficina mondiale. "Al posto delle frontiere di classe, le sole che avrebbero potuto demolire i reggimenti di Franco, restituire fiducia ai contadini terrorizzati dalla destra, altre frontiere sono sorte, quelle specificamente capitaliste, e l’Union Sacréee è stata realizzata per la carneficina imperialista, regione contro regione, città contro città in Spagna e, per estensione, Stati contro Stati nei due blocchi democratici e fascista. Il fatto che non ci sia la guerra mondiale non significa che la mobilitazione del proletariato spagnolo ed internazionale non sia attualmente compiuta per il suo coinvolgimento sotto la bandiera imperialista dell'opposizione: fascismo-antifascismo" (Bilan n° 34, agosto-settembre 1936)
Le illusioni di una "rivoluzione sociale"
La guerra di Spagna sviluppò ancora un altro mito, un'altra menzogna. Sostituendo alla guerra di classe del proletariato contro il capitalismo la guerra tra "Democrazia" e" Fascismo", il Fronte popolare snaturava anche il contenuto della rivoluzione: l'obiettivo centrale non era più la distruzione dello Stato borghese e la presa del potere politico da parte del proletariato ma delle pretese misure di socializzazione e di gestione operaia delle fabbriche. Sono soprattutto gli anarchici e certe tendenze che si dicevano consiliariste che esaltarono in modo particolare questo mito, proclamando anche che, in quella Spagna repubblicana, antifascista e stalinista, la conquista delle posizioni socialiste erano ben più avanzate di quelle raggiunte dalla Rivoluzione d'ottobre in Russia.
Senza sviluppare qui questa questione, bisogna sottolineare tuttavia che queste misure, anche se fossero state più radicali di quanto non erano in realtà, non avrebbero potuto per niente cambiare il carattere fondamentalmente controrivoluzionario dello svolgimento degli avvenimenti in Spagna. Per la borghesia come per il proletariato, il punto centrale della rivoluzione può essere solamente quello della distruzione o della conservazione dello Stato capitalista.
Il capitalismo può adattarsi non solo momentaneamente alle misure di autogestione o delle pretese socializzazioni (realizzazioni di cooperative) degli sfruttamenti agricoli aspettando la possibilità di riportarli all'ordine alla prima occasione propizia, ma può anche perfettamente stimolarli come mezzi di mistificazione e di deviazione delle energie del proletariato verso le conquiste illusorie per distoglierlo dall'obiettivo centrale della Rivoluzione: distruzione del potere capitalista, il suo Stato.
L'esaltazione delle pretese misure sociali come il culmine della Rivoluzione è solamente una radicalità a parole che deviò il proletariato dalla sua lotta rivoluzionaria contro lo Stato e camuffò la sua mobilitazione come carne da cannone al servizio della borghesia. Avendo lasciato il suo campo di classe, il proletariato sarà arruolato non solo nelle milizie antifasciste degli anarchici e dei "poumisti" e sarà mandato al massacro come carne da cannone sui fronti, ma conoscerà inoltre un selvaggio supersfruttamento e sempre più sacrifici in nome della produzione per la guerra "di liberazione", dell'economia di guerra antifascista: riduzione degli stipendi, inflazione, razionamenti, militarizzazione del lavoro, allungamento delle giornate di lavoro. E quando il proletariato esasperato si sollevò, a Barcellona in maggio 1937, il Fronte popolare e la Generalidad di Barcellona, dove partecipavano attivamente gli anarchici, repressero apertamente e massacrarono la classe operaia di questa città, mentre i franchisti misero fine alle ostilità per permettere ai boia di sinistra di schiacciare nel sangue il sollevamento operaio.
Dai socialdemocratici agli estremisti, tutti erano daccordo, comprese certe frazioni di destra della borghesia, nel vedere nella salita della sinistra al governo in 1936 in Francia ed in Spagna (ma anche, probabilmente in modo meno spettacolare, in altri paesi come la Svezia o il Belgio) una grande vittoria della classe operaia ed un segno della sua combattività e della sua forza negli anni '30. Di fronte a queste manipolazioni ideologiche, i rivoluzionari d'oggi, come i loro predecessori nel rivista Bilan, hanno il dovere di affermare il carattere mistificatore dei Fronti popolari e delle "rivoluzioni sociali" cui questi pretendevano dare inizio. L'arrivo al potere della sinistra in quell'epoca esprimeva al contrario la profondità della sconfitta del proletariato mondiale, e permise un reclutamento diretto della classe operaia in Francia ed in Spagna nella guerra imperialista che tutta la borghesia stava preparando, per arruolarlo massicciamente dietro la mistificazione dell'ideologia anti-fascista.
" (…) Ed io pensavo soprattutto che era un immenso risultato ed un immenso servizio reso aver riportato queste masse e questa élite operaia all'amore ed al sentimento del dovere verso la patria" (dichiarazioni di Blum al processo di Riom).
Il "1936" segna per la classe operaia uno dei periodi più neri della controrivoluzione, dove le peggiori sconfitte della classe operaia le furono presentate come vittorie; dove, di fronte ad un proletariato che subiva ancora il contraccolpo dello schiacciamento dell'ondata rivoluzionaria iniziata in 1917, la borghesia poté imporre quasi senza colpo ferire la sua "soluzione" alla crisi: la guerra.
Jos
1. Leggere B. Kermoal, "Collera operaia alla vigilia del Fronte popolare", Le Monde diplomatique, giugno 2006, p.28.
2. Le citazioni riguardanti il Fronte popolare sono tratte generalmente da L. Bodin e J. Touchard, Fronte popolare 1936, Parigi: Armand Colin, 1985.
3. Confederazione nazionali del Lavoro, centrale anarco-sindacalista.
4. Partito Operaio di unificazione Marxista, piccolo partito concentrato in Catalogna che rappresentava l'estrema sinistra "radicale" della Socialdemocrazia. Faceva parte del "Bureau di Londra" che raggruppava internazionalmente le correnti socialiste di sinistra (SAPD tedesco, PSOP francese, Independent Labour Party britannico, ecc.).
5. Edouard Daladier: dirigente del Partito Radicale, numerose volte ministro a partire dal 1924 (in particolare delle Colonie e della Guerra) capo del governo nel 1933, 1934 e 1938. È a questo titolo che il 30 settembre 1938 firmò gli accordi di Monaco. Pierre Cot: cominciò la sua carriera politica come radicale e la finì come compagno di strada del PCF. Fu nominato ministro dell'Air (Aviazione) nel 1933 da Daladier. Léon Blum: capo storico dello SFIO (partito socialista) dopo la scissione del Congresso di Tours del 1920 da cui si formò il Partito comunista. Marcel Cachin: figura mitica del PCF, direttore de L'Umanité dal 1918 al 1958. I suoi stati di servizio sono eloquenti: fu interventista durante la prima guerra mondiale e, a questo titolo, fu mandato dal governo francese per dare a Mussolini, allora socialista, il denaro che gli doveva permettere di fondare Il popolo di Italia destinato a fare propaganda per l'entrata dell'Italia in guerra. Nel 1917, dopo la rivoluzione di febbraio, fu mandato in Russia per convincere il Governo provvisorio a proseguire la guerra. Nel 1918, si vantò di avere pianto quando la bandiera francese sventolava di nuovo su Strasburgo per la vittoria della Francia sulla Germania. Nel 1920, raggiunse il PCF, costituendo la destra del partito a fianco a Frossard. Tutta la sua vita si è distinta per il suo arrivismo e la sua servilità ciò che gli permise di condividere con talento tutte le svolte del PCF.
6. Piano adottato, su proposta del banchiere americano Charles Dawes, dalla Conferenza di Londra nell'agosto 1924 che raggruppava i vincitori della guerra e la Germania. Questo piano alleggerì questo paese dai "risarcimenti di guerra" che esso doveva pagare ai suoi vincitori (principalmente alla Francia), ciò che gli permise di rilanciare la sua economia e favorire gli investimenti americani…