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Andiamo a vedere come questa "invenzione" non è affatto tale, che significa solamente un adattamento del capitalismo di Stato alle condizioni di crisi più acuta e soprattutto a dei livelli importanti di decomposizione dell'ordine capitalista. Questa situazione esige un riadattamento tanto delle politiche economiche che dell'insieme dell'arsenale ideologico che ogni borghesia nazionale deve sviluppare per ingannare e sottomettere il proletariato. Tutte le borghesie nazionali, e più ancora quelle dei paesi della periferia, non hanno altra prospettiva che quella di ridistribuire la miseria. Il "neo-socialismo", proposto da Chavez ed applaudito da tutti gli alter-mondialisti, lo dimostra perché è impossibile sradicare la miseria senza rivoluzione comunista.
Il "progetto" chavista: un progetto chiaramente borghese
Il progetto "chavista" trova le sue origini nel movimento civico-militare-bolivariano sviluppato dagli ideologi della guerriglia degli anni 60 che aveva rotto col Partito comunista del Venezuela, progetto che fu ripreso negli anni 80 dal movimento MBR-200 (1); questo progetto mira allo sviluppo di una vera "borghesia nazionalista", diametralmente opposta alla borghesia "oligarchica" emersa dopo la sconfitta della dittatura del generale Marcos Perez Jimenez nel 1958. Questo movimento si ispira al modello capitalista di Stato di tipo stalinista (detto "marxista-leninista" dalla sinistra) condito da un supposto tropicalismo alla moda bolivaregna.
L'irresistibile ascesa di Chavez è fondamentalmente il frutto del livello elevato di decomposizione che colpisce la borghesia venezuelana ed è solo espressione della decomposizione del sistema capitalista nel suo insieme. I settori della borghesia che avevano governato negli ultimi decenni dell'ultimo secolo erano incollati al potere, protetti da un ambiente di impunità e di corruzione. Avevano perso la capacità di mistificare con le illusioni i settori più poveri della società: per potere affrontare la crisi economica, hanno ridotto progressivamente i piani sociali per i più poveri (grazie ai quali avevano potuto mantenere la "pace sociale"), provocando l'esplosione della povertà mentre hanno applicato draconiane misure di austerità contro la classe operaia, ed hanno causato anche un'impennata della disoccupazione e la caduta del potere d'acquisto delle masse lavoratrici.
L'incapacità di questi settori della borghesia al potere a gestire una situazione esplosiva fu messa in evidenza dalle sommosse della fame nel 1989, quando migliaia di magazzini commerciali furono saccheggiati, principalmente a Caracas, riuscendo solo ad infliggere una repressione terribile (le cifre, anche se non ufficiali, parlano di più di diecimila morti). Malgrado questo grido di allerta e di disperazione lanciata dai settori impoveriti, la borghesia nazionale fu incapace di realizzare il minimo di riforme necessarie nelle sue strutture di potere per contenere il malcontento sociale.
Questo contesto ha preparato il campo affinché si potesse concretizzare il primo passo del progetto chavista, il tentativo di colpo di stato del 1992 che, malgrado il suo insuccesso, ha permesso di portare un perfetto sconosciuto, Chavez, in primo piano. Quest'ultimo si lanciò nell'arena elettorale fin dalla sua liberazione nel 1994, facendo allora una critica devastante delle frazioni della borghesia al potere. Forte di un potente carisma personale, adattò poco a poco il progetto di "rivoluzione bolivariana" degli anni 60 al nuovo periodo storico caratterizzato dalla scomparsa dei due grandi blocchi imperialisti, attirando nelle sue fila milioni di poveri, illusi che il suo accesso al potere li avrebbe strappati alla loro miseria.
Dopo il suo schiacciante trionfo alle elezioni del 1998, comincia un processo che domina la scena politica fino ai nostri giorni, caratterizzato dallo scontro di due frazioni del capitale nazionale: da un lato, la "vecchia" borghesia rappresentata dai partiti tradizionali (principalmente AD, COPEI, qualche settore del MAS, etc.), dall'altro la "nuova borghesia" (i partiti ed i gruppi di sinistra, estremisti militari, ecc.) che era stato escluso del potere durante la seconda metà dell'ultimo secolo. In effetti, quando chavisti e soci dicono che il governo bolivaregno è quello degli "esclusi", non fanno riferimento all'immensa massa crescente dei poveri che vivono in questo paese, ma a quei settori della borghesia e della piccolo-borghesia che detengono oggi il potere e che si dividono il bottino costituito dalle ricette dello Stato, attaccando oggi con tutta la forza del loro rancore le altre frazioni della borghesia nazionale. Come i loro predecessori "adecos" e "copeyanos" (2), essi non hanno altre opzioni che quella di accentuare le condizioni di sfruttamento dei lavoratori ed attaccare questa massa di poveri che pretendono di difendere, generalizzando la miseria, ripartendo più "socialmente" delle briciole tra i settori più impoveriti attraverso la sedicente "Missions" (3) per tentare di mantenere la "pace sociale", utilizzando certamente tutto uno sproloquio "rivoluzionario" basato sulla demagogia ed il populismo.
Il chavismo : un movimento decomposto dalla nascita
Sarebbe falso vedere il chavismo come un prodotto "made in Venezuela", frutto delle caratteristiche puramente nazionali. Il "fenomeno" chavista è il prodotto delle contraddizioni proprie del sistema capitalista, della crisi che scuote il capitalismo a livello mondiale dalla fine degli anni 60 e che esige da ogni borghesia nazionale l'attacco permanente delle condizioni di vita delle masse lavoratrici e della popolazione nel suo insieme. Ma è anche il risultato del periodo di decomposizione in cui sprofonda il capitalismo da due decenni, decomposizione la cui espressione maggiore è stata la scomparsa del sistema dei blocchi imperialisti dopo l'implosione dell'ex blocco "socialista" nel 1989.
Nel caso particolare del Venezuela, l'apparizione del chavismo esprime in modo caricaturale la decomposizione della borghesia nazionale che raggiunge tali proporzioni che i suoi conflitti di interesse hanno creato le condizioni affinché il governo cadesse tra le mani di settori della piccola borghesia estremista che hanno chiaramente l'intenzione di mantenerselo ad ogni prezzo. La frazione "chavista" della borghesia tenta di differenziarsi "radicalmente" dall'ideologia democratica della "vecchia oligarchia" adattando la virulenza della sinistra del capitale venezuelano e dell’estremismo ai nuovi tempi della "fine della storia" (4).
La "democrazia partecipativa e protagonista" ha permesso al chavismo di mobilitare la popolazione per adattare giuridicamente il modello democratico borghese e controllare le istituzioni dello Stato attraverso l'adozione di una nuova costituzione. L'aspetto "innovativo" di questo modello borghese si trova nel fatto che rafforza la "nuova borghesia" chavista su due piani:
- sul piano economico, il sedicente "sviluppo endogeno" basato sul cooperativismo, la cogestione e l'autogestione, permette di sviluppare politiche di capitalismo di Stato con l'attribuzione delle risorse dello Stato alla nuova borghesia chavista ed ai settori del capitale privato che sostengono il progetto;
- sul piano economico e sociale, l'attribuzione delle risorse dello Stato attraverso organizzazioni come i Circoli bolivariani, le Missioni, le milizie, ecc., permette al chavismo un controllo politico e sociale del settore più miserabile rappresentato dalla maggioranza della popolazione (in questo il chavismo non si distingue in niente dai regimi stalinisti o fascisti). E questa attribuzione delle risorse permette soprattutto al chavismo di distribuire delle briciole che legittimano tutti i discorsi ideologici sulla "redistribuzione delle ricchezze" e "l'egualitarismo" della sinistra; è questo che, aprirà la via al "socialismo del XXI secolo", secondo il chavismo e l'insieme della sinistra.
Ma questo "socialismo", prima di "ridistribuire le ricchezze" (vecchia solfa borghese per giustificare la sua dittatura di classe) propone in effetti la ridistribuzione della miseria, "l'éguaglianza" della società dal basso, attraverso la precarietà. Il lavoro delle Missioni permette in effetti di liberalizzare le condizioni di lavoro, il che "flessibilizza" (cioè precarizza) la forza lavoro attraverso le cooperative dove i lavoratori percepiscono già stipendi inferiori al miserabile salario minimo senza beneficiare della più piccola protezione sociale. Peraltro, tutti i rami di servizio o di produzione di cui si occupano queste Missioni violando ogni forma di convenzioni collettive, sono il teatro di attacchi alle condizioni di lavoro dei lavoratori, regolari vittime del ricatto di licenziamento se non accettano le condizioni imposte dallo Stato.
Infine, nella misura in cui le Missioni hanno essenzialmente come funzione politica il controllo sociale, ed essendo richiesto l'attivismo "rivoluzionario" per potere racimolare le briciole distribuite dallo Stato, si sta determinando la caduta libera della qualità dei servizi pubblici. Nella misura in cui s'ingrandisce la copertura sociale delle Missioni, la precarietà si estende anche all'insieme della classe operaia ed all'insieme della società. Peraltro il cooperativismo, la cogestione e l'autogestione, forme di organizzazione della produzione alla quale la sinistra e gli estremisti attribuiscono una magica natura "anticapitalista", non eliminano in niente lo sfruttamento dei lavoratori da parte del capitale, che sia privato o statale: i rapporti di produzione di beni o di servizi propri a tutte le forme di organizzazione della produzione capitalista sono mantenuti, ed i beni e servizi prodotti dai lavoratori dovranno prima o poi essere sottomessi alle leggi del mercato. In altri termini, è quest'ultimo che deciderà i prezzi e dunque lo stipendio dei lavoratori.
Qui come altrove, la borghesia non ha altra scelta che giocare con la miseria, e il chavismo si è rivelato essere un maestro in materia. Tenta di imporre le sue ideologie all'insieme della società attraverso il sangue ed il fuoco, creando un ambiente di terrore, di persecuzione, di ricatto e di attacco permanente alle condizioni di vita dei lavoratori attraverso la disoccupazione, gli stipendi di miseria, gli oneri sociali, sviluppando un impoverimento che si traduce, nei fatti, in un aumento significativo della povertà e della malnutrizione (5), della criminalità e della prostituzione infantile e giovanile, mentre i nuovi ricchi chavisti si ripartiscono il bottino delle risorse dello Stato assegnandosi trattamenti e stipendi decine di volte superiori a quelli di un lavoratore, promovendo e permettendo inoltre dei livelli di corruzione tale che i regimi precedenti passano per esempi di bontà. E tutto questo in nome della sedicente "superiorità morale" della sinistra del capitale che non è niente altro che la morale ipocrita borghese elevata al suo parossismo.
In questo senso, non solo il chavismo è un puro prodotto della decomposizione della borghesia venezuelana, ma è inoltre un fattore acceleratore di questo deterioramento della classe borghese e della società venezuelana nel suo insieme. Ed è precisamente questa putrefazione che gli estremisti e la sinistra battezzano nel mondo intero "rivoluzione"! Quale impudenza!
La sola rivoluzione possibile è la rivoluzione proletaria
Il loro radicalismo piccolo-borghese spinge i settori estremisti che compongono il chavismo a battezzare "rivoluzione" un fenomeno che, come abbiamo visto, non è niente altro che una variante del capitalismo di Stato: una "nuova" forma giuridica di amministrazione dello Stato borghese per perseguire lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale nazionale. Che Chavez ed i suoi discepoli ed adulatori lo chiamino "socialismo" non è in sé un fenomeno nuovo: la sinistra e gli estremisti di ogni pelo non hanno mai smesso, durante tutto il XX secolo, di qualificare "socialista" il minimo governo in cui lo Stato assume il controllo della vita economica, politica e sociale (come fu il caso per tutti quei paesi in orbita russa che formavano il famoso "blocco socialista" e di cui sopravvivono solo la Cina, la Corea del Nord e Cuba) in cui è eliminato, o tende ad esserlo, il capitale privato e dove i mezzi di produzione passano sotto controllo dello Stato e della burocrazia. Oggi, la sinistra del capitale, in quanto forza protettrice degli interessi del capitale nazionale, innalza di nuovo la bandiera di questo "socialismo", e cioè del capitalismo di Stato, ma sotto i nuovi colori di movimenti anti-globalizzazione ed alter-mondialisti, per tentare di dare un fondo ideologico alla sua parola d'ordine: "Un altro mondo è possibile".
Questo "neo-socialismo" riprende così i temi populisti ai quali ricorre la borghesia nei suoi momenti di crisi economica e politica. La borghesia ricorre sempre in questi casi alla manipolazione dei settori più poveri della popolazione e della piccola borghesia depauperata, per tentare di controllare il malessere sociale generato dall'incremento della povertà e di utilizzarli per mantenere il suo dominio di classe.
L'accrescimento degli indici di miseria non può più essere nascosto ed è ineluttabile: malgrado le sfrontate manipolazioni delle cifre da parte degli organismi dello Stato, l'istituto nazionale delle statistiche (INE) indica che l'indice di povertà è aumentato del dieci per cento durante i sei anni di governo chavista (6).
Tuttavia, tale aumento della miseria non è dovuto alla cattiva gestione di Chavez, come i settori della borghesia all'opposizione tentano di fare credere: è impossibile sradicare la miseria nel capitalismo, perché questo modo di produzione richiede non solo un attacco permanente sui salari e le condizioni di vita dei lavoratori ma anche che, con la sua entrata in decadenza, crea una massa sempre più grande di proletari che sono buttati per strada senza che esista per essi la minima possibilità di essere integrati nell'apparato produttivo. La borghesia di fronte alla crisi non ha altra scelta che rendere sempre più precarie le condizioni di vita del proletariato per potere restare competitiva sul mercato mondiale e, certamente, poter mantenere i privilegi di cui gode in quanto classe dominante.
Ma la borghesia chavista deve fare i conti con un fattore che contrasta i suoi piani: l'approfondimento della crisi del capitalismo e della decomposizione dell'insieme della borghesia. Malgrado i proventi importanti tratti dall'aumento storico del prezzo del barile di petrolio su cui conta la borghesia venezuelana, questi non sono tuttavia eterni e sono peraltro insufficienti per rispondere al costo della "rivoluzione". L'approfondimento della crisi non tarderà a fare cambiare discorso all'apparato populista ed alle Missioni adottate dallo chavismo. Allora le masse si manifesteranno di nuovo. Ma queste manifestazioni saranno condannate a finire nei vicoli ciechi della rivolta sterile e dell'impotenza se la classe operaia non ha la capacità di dare una prospettiva alle masse più povere verso la distruzione ed il superamento del capitalismo. È dunque di grande importanza che i lavoratori reagiscano con la lotta contro gli attacchi alle loro condizioni di vita affrontando tutta questa ideologia bolivariana egualitaria.
P., 01-04-05
1. Movimento bolivariano rivoluzionario-200, formato in maggioranza dai militari che parteciparono con Chavez all'insurrezione nel 1992.
2. Sostenitori dei "vecchi" partiti dalla borghesia, Ad e COPEI.
3. Organizzazioni create e finanziate dallo Stato che lavorano nei servizi pubblici come quello della salute, dell'educazione, della distribuzione del cibo, ecc. Queste Missioni permettono così di sviluppare il lavoro precario attraverso il cooperativismo. La rete tessuta dalle Missioni permette anche ai partiti che sostengono il governo di esercitare un reale controllo sociale, poiché è stato preteso un impegno in favore della "rivoluzione bolivariana" per potere ricevere aiuti dallo Stato.
4. Uno dei consiglieri di Chavez negli anni 90 era l'argentino Norberto Ceresole, che aveva immaginato un modello battezzato "post-democrazia" che combinava un insieme di ideologie che vanno dal fascismo al bolivarismo passando per lo stalinismo. Vediamo in questo le origini, tipiche della decomposizione, del cocktail ideologico di Chavez.
5. Uno studio recente dell'istituto venezuelano di ricerche scientifiche sostiene che un terzo dei bambini tra i 2 ed i 15 anni sondati negli Stati del centro del paese soffrono di anemia. Questo livello terribile va fino al 71% dei bambini di meno di 2 anni in uno di questi Stati. È bene ricordarsi che, negli anni 80, la percentuale era vicina a quello dei paesi evoluti.
6. L'istituto nazionale di statistiche segnalava che la povertà era passata dal 42,8 % nel 1999 al 53 % nel 2004. Un recente studio dell'impresa Datos segnala tuttavia che la povertà tocca l' 81 % della popolazione, e cioè circa 21 milioni di persone (El Nacional, 31 marzo 2005).