Decade 1980-1989
Il fatto che le prime grandi lotte degli “anni della verità" (come noi abbiamo chiamato gli anni '80 ([1]) si siano avute proprio in Polonia dipende dalla debolezza della borghesia nei cosiddetti paesi "socialisti". Debolezza che si esprime sia sul piano economico che su quello politico. Infatti, l’esplosione operaia dell'estate '80 è scaturita direttamente dalla catastrofe economica che attanaglia il capitale polacco, uno degli anelli più deboli di questo insieme di paesi, poco sviluppati e particolarmente vulnerabili alla crisi, che costituisce il blocco dell'Est.
Ma questa esplosione si è potuta avere perchè, sul posto, la borghesia non disponeva di una delle armi essenziali che altrove utilizza oggi contro il proletariato: una sinistra che, grazie al suo linguaggio "operaio" e al suo posto nell'opposizione, può sabotare dall'interno, deviare e svuotare le lotte proletarie. Nelle grandi concentrazioni operaie dell'Occidente, anch'esse colpite duramente dalla crisi in questi ultimi anni (come testimoniano i 30 milioni di disoccupati, secondo l'OCDE), la borghesia cerca di far fronte in modo preventivo alla tendenza alla ripresa delle lotte proletarie. E, a tal fine, si appoggia fondamentalmente sulle manovre della sinistra, partiti "operai" e sindacati, che ha il compito fondamentale di immobilizzare la classe operaia, mentre i vari governi s'incaricano di mettere in opera un'austerità crescente. L'esempio migliore è quello della Gran Bretagna, dove, a partire dal 1978, di fronte alle lotte operaie, i laburisti e i sindacati sono passati all'opposizione rinunciando alla politica del “contratto sociale", che aveva per scopo di fare aderire i lavoratori agli obiettivi governativi, e radicalizzando notevolmente il loro linguaggio contro la politica della signora Thatcher. Così la borghesia inglese, una delle più agguerrite del mondo, utilizzando la "sinistra all'opposizione", è riuscita a venire a capo delle lotte del 78-79, e a far praticamente tacere il proletariato nel periodo successivo, proprio quando questo subiva uno degli attacchi più violenti della sua storia.
I regimi esistenti nell'Europa dell'Est, sorti direttamente dalla controrivoluzione, basano il loro potere essenzialmente sul terrore poliziesco e non hanno la stessa flessibilità. Ma nel 1980 in Polonia, di fronte all'ampiezza del movimento di scioperi ed in un contesto internazionale di ripresa delle lotte, la borghesia non ha potuto impiegare la repressione sanguinosa come aveva fatto nel '70 e nel '76. Nell'agosto essa viene sopraffatta dalla situazione ed è nella breccia aperta nelle sue linee di difesa che si è spinto il proletariato per sviluppare le lotte più importanti da 50 anni a questa parte.
Pertanto l'enorme sviluppo delle lotte in Polonia non è solamente dovuto alla gravità della crisi e dell'attacco contro il livello di vita degli operai. Un fattore almeno altrettanto importante è da attribuire all'incapacità della borghesia locale di utilizzare quelle armi politiche ben sperimentate in Occidente.
Solo "a caldo”, con la creazione del sindacato Solidarnosc, la classe dominante ha potuto dotarsi di un'arma efficace contro il proletariato. Ed è a livello internazionale che la borghesia ha condotto la sua controffensiva. Nell'agosto '80 anche la borghesia ha compreso in maniera chiara che siamo ormai entrati negli "anni della verità" ed ha accelerato i suoi preparativi per affrontarli.
LO SPIEGAMENTO DI FORZE DELLA BORGHESIA
Avendo compreso la dimensione mondiale dello scontro con il proletariato, la borghesia ha sviluppato i suoi dispositivi a livello mondiale. A questo scopo, ha saputo far passare in secondo piano gli antagonismi interimperialisti, salvo restando la possibilità di utilizzare i contrasti reali come mezzo per una divisione dei compiti.
In questa divisione, è toccato ai governi del blocco dell'Est il compito di intimidire gli operai di questa regione con le minacce di intervento e di repressione violenta da parte del "grande fratello". Questi governi avevano anche il compito di screditare le lotte operaie in Polonia attraverso campagne nazionaliste del tipo: "i polacchi sono pigri e rissosi, per questo l'economia sprofonda", "la loro agitazione è responsabile delle nostre difficoltà economiche" ...
Ma l'essenziale del lavoro è toccato alle grandi potenze occidentale che hanno fatto fronte a tutta una serie di compiti:
- salvataggio economico del capitale polacco in fallimento, soprattutto attraverso un rinnovamento dei suoi crediti,
- credibilizzazione delle campagne di intimidazione sviluppate da Mosca con continue intimazioni all'URSS a non effettuare alcun intervento in Polonia, attraverso il bombardamento di mass-media come "Radio Europa libera" o la BBC,
- campagne dirette ai proletari d'Occidente sul tema: "i problemi affrontati dagli operai in Polonia sono specifici di questi paesi e di questo blocco (gravità della crisi economica, penuria, miseria, totalitarismo)",
- presa in carico, sia materiale che politica, da parte della sinistra e dei sindacati occidentali, del consolidamento di Solidarnosc (invio di fondi, di materiale per la stampa, di delegazioni incaricate di insegnare al neonato sindacato le diverse tecniche di sabotaggio delle lotte... ),
- sabotaggio sistematico delle lotte operaie nei paesi occidentali attraverso queste stesse organizzazioni che, oltre ad impiegare tutto l'arsenale classico ("giornate di azione", scioperi "bidone", divisione della classe in settori professionali o geografici) hanno sviluppato in questi ultimi mesi delle enormi campagne pacifiste destinate ad insabbiare e smobilitare l'inquietudine reale e giustificata dei lavoratori rispetto alla minaccia di guerra (cfr. "Crisi e lotta di classe", in Révue Internationale n. 28). E’ interessante infine notare come i sindacati dell'Occidente, per riverniciare la facciata e facilitare così il lavoro di sabotaggio della combattività operaia, si siano serviti della popolarità che ha Solidarnosc presso quegli stessi operai che devono inquadrare: il cinismo, la doppia faccia della borghesia, soprattutto quella di sinistra, non hanno limiti!
Anche in Polonia, questa offensiva borghese di indebolimento della classe operaia mondiale ha avuto come risultato:
- lo sviluppo del "sindacato indipendente" a detrimento delle più grandi conquiste dell'agosto ‘80: lo sciopero di massa, l'autorganizzazione delle lotte;
- lo sviluppo delle illusioni nazionaliste, democratiche ed autogestioniste promosse da questo sindacato, che hanno trovato alimento nella passività del proletariato degli altri paesi.
Contrariamente alle assurdità snocciolate da quelli che pensavano che in Polonia il proletariato stava radicalizzando la sua lotta e si apprestava a sferrare un attacco decisivo al capitalismo (persino la rivoluzione!), è di importanza fondamentale comprendere perchè si sia verificato questo indebolimento progressivo tra l'agosto ‘80 e il dicembre '81, malgrado le enormi riserve di combattività della classe operaia in Polonia, comprendere e mettere in evidenza perchè la borghesia ha aspettato circa un anno e mezzo per scatenare la repressione. Si tratta di mostrare chiaramente che la repressione non è derivata da uno scavalcamento proletario della borghesia e del suo agente Solidarnosc, ma al contrario al fatto che di fronte all'offensiva di questi il proletariato si è trovato in POSIZIONE DI DEBOLEZZA.
E questa debolezza SI E' MANIFESTATA A LIVELLO MONDIALE.
LA SCONFITTA OPERAIA
Con l'instaurazione dello stato di guerra in Polonia, il proletariato ha subito una sconfitta: sarebbe illusorio e dannoso nasconderselo. Solo dei ciechi e degli incoscienti possono pretendere il contrario.
E' una sconfitta perchè, in questo paese, gli operai sono oggi imprigionati, deportati, costretti a lavorare con il fucile sulla schiena per un salario ancora più miserabile del precedente. La loro resistenza allo stato d'assedio durata parecchie settimane, per quanto coraggiosa e determinata, era destinata alla sconfitta.
Le differenti forme di resistenza passiva saranno alla fine anch’esse vinte perchè non si basano più su estesi movimenti di massa, ma su una somma di operai ricondotti alla dispersione dalla repressione e dal terrore.
E' una sconfitta perchè in Polonia il proletariato si è lasciato smobilitare e ingannare dalle mistificazioni della borghesia e perchè la repressione che ha subito oggi non gli dà realmente i mezzi per trarre le lezioni dalla sua esperienza, per prendere coscienza della posta in gioco nelle sue lotte. Ciò soprattutto per il fatto che Solidarnosc, il nemico più pericoloso, non è affatto smascherato, ma ha assunto l'aureola di martire. E infine si tratta di una sconfitta perchè questo colpo di stato è arrivato al proletariato di tutti i paesi sotto forma di demoralizzazione e di vero disorientamento di fronte alle campagne sferrate dalla borghesia dopo il 13 dicembre.
Il proletariato mondiale ha subito questa sconfitta da quando il capitalismo, in modo concentrato, è riuscito ad isolare il proletariato polacco dal resto della classe e a chiuderlo ideologicamente nel quadro delle proprie frontiere di blocco (paesi "socialisti" dell'Est) e nazionali ("la Polonia è affare dei polacchi"); da quando è ' riuscito, grazie a tutti i mezzi di cui dispone, a fare degli operai degli altri paesi degli SPETTATORI inquieti certo, ma PASSIVI, a distoglierli dalla sola forma che può avere la solidarietà di classe: la generalizzazione delle lotte in tutti i paesi, mettendo avanti una schifosa caricatura di solidarietà: le manifestazioni sentimentali, le petizioni umanitarie e la carità cristiana con l'invio di pacchi per Natale.
LA MANCATA GENERALIZZAZIONE DELLA LOTTA OPERAIA E' IN SE' UNA DISFATTA. Questa è la prima e la più importante lezione degli avvenimenti polacchi. Il colpo del 13 dicembre, la sua preparazione e le sue conseguenze sono una vittoria della borghesia. Sono esempi dolorosi per il proletariato della efficacia della strategia della "sinistra all’opposizione" che il capitalismo sta sviluppando a livello mondiale.
Questo esempio dimostra ancora una volta che, nella decadenza del capitalismo, la borghesia non affronta il proletariato nello stesso modo del secolo scorso. Allora le disfatte inflitte al proletariato con repressioni sanguinose non consentivano alcuna ambiguità su chi era amico e nemico: come nei casi della Comune di Parigi o della rivoluzione del 1905 che, pur annunciando aspetti propri di questo secolo (sciopero di massa e consigli operai), conservava ancora caratteristiche proprie del secolo scorso (soprattutto rispetto ai metodi della borghesia). Oggi invece, la borghesia scatena la repressione solo dopo un'adeguata preparazione ideologica, nella quale la sinistra e i sindacati giocano un ruolo decisivo, e che è destinata sia ad indebolire la capacità di difesa del proletariato che ad impedirgli di trarre tutti gli insegnamenti necessari dalla repressione.
Il capitalismo non ha rinunciato e non rinuncerà mai alla repressione aperta e brutale contro il proletariato. E' la sua arma preferita nei paesi arretrati in cui il proletariato è meno concentrato. Ma il suo campo di azione non si limita a queste regioni. In generale questa è un'arma destinata a completare una sconfitta del proletariato, a dissuaderlo il più a lungo possibile dal riprendere la lotta, e "dare un esempio" al resto della classe operaia, demoralizzandola. E’ questa la funzione del colpo di stato del 13 dicembre '81 in Polonia.
Tuttavia, nelle grandi concentrazioni operaie, la arma essenziale della borghesia è l'arma ideologica. E' per questo che il proletariato deve guardarsi bene dall'accumulare sconfitte ideologiche come quella di oggi, che andranno a sbriciolare il potenziale di combattività dei suoi battaglioni decisivi e gli impediranno di ingaggiare lo scontro frontale contro il capitalismo.
QUALI PROSPETTIVE ?
Le lotte operaie dell'estate '80 in Polonia sono il primo assalto di un certo livello negli “anni della verità" contro la fortezza capitalista. Nonostante i loro protagonisti non ne siano coscienti, esse costituiscono un primo appello al proletariato mondiale. Confuso nel clamore della propagande borghese, questo appello alla generalizzazione della lotta è rimasto però senza risposta. Anzi, se ci riferiamo ad esempio alle statistiche sul numero di giorni di sciopero (che pur non potendo essere considerate come criterio assoluto indicano almeno una tendenza), gli anni '80 e '81 sono, dal 1968, tra quelli in cui la combattività operaia si è manifestata di meno. Attualmente, nelle grandi potenze capitalistiche come gli USA e la Germania Occidentale, la borghesia è capace di fare accettare agli operai, senza alcuna reazione da parte loro, peggioramenti significativi del livello di vita (vedi gli accordi nel settore automobilistico negli USA e nella metallurgia in Germania). Il "cordone sanitario" posto dalla borghesia mondiale attorno all’"appestato" proletariato polacco è stato efficace. Relativamente disarcionata nell'agosto '80, la borghesia è riuscita con il tempo, ed in maniera netta, a superare vittoriosamente questo primo scontro.
Ma questo significa forse che il proletariato è già completamente battuto, che la borghesia ha sin da oggi le mani libere per imporre la sua soluzione alla crisi, la carneficina mondiale? Niente affatto. Per dura che sia, la sconfitta subita dal proletariato in Polonia in seguito alle sue lotte è solo parziale. Per le stesse ragioni per le quali il primo scontro degli "anni della verità" è scoppiato in questo paese (debolezze dell'economia e del regime) e che hanno permesso alla borghesia di isolare così facilmente le lotte (paese di secondo ordine, relativamente decentrato rispetto alle grandi concentrazioni industriali e proletarie), per queste stesse ragioni, le lotte in Polonia non erano decisive. La disfatta è parziale perchè lo scontro era parziale. La lotta è stata ingaggiata da un battaglione del proletariato mondiale in avanscoperta, mentre il grosso delle truppe, quelle delle enormi concentrazioni industriali di Occidente, in particolare in Germania, non è ancora entrato in battaglia. Proprio per impedire questo la borghesia occidentale ha sviluppato la sua campagna attuale, sotto la guida del direttore d'orchestra Reagan (non a caso si parla del "Reagan show"). Questa campagna è la continuazione di quella messa in piedi molto prima del colpo di stato del 13 dicembre e nei fatti lo ha reso possibile.
La sola differenza sta nel fatto che, prima di questa data, la campagna prendeva di mira sia gli operai d'Occidente sia quelli polacchi nella misura in cui questi ultimi restavano in prima linea negli scontri di classe, mentre ora la borghesia occidentale mira principalmente al proletariato del proprio blocco. Dopo aver messo a tacere il distaccamento più combattivo del proletariato mondiale, il capitale deve concentrare l'attacco ideologico in direzione dei battaglioni più importanti: quelli dai quali dipenderà l'esito della lotta.
E' in questo senso che non bisogna considerare queste campagne come diretti preparativi ideologici in vista della guerra imperialista. Certo, ciascun blocco non perde nessuna occasione per marcare dei punti a proprio favore in questo campo, dato che i conflitti tra i blocchi non scompaiono mai. E’chiaro inoltre che un'eventuale disfatta generale del proletariato significherebbe un nuovo olocausto imperialista. Tuttavia è importante sottolineare che l'obiettivo principale dell'attuale campagna è di prevenire ogni esplosione proletaria nelle principale metropoli del capitalismo, tentando di legare gli operai di questi paesi al carro dello Stato "democratico". L'utilizzazione del rigetto del "totalitarismo del blocco dell'Est" non ha nell'immediato la funzione di inquadrare la classe per la guerra contro l'altro blocco, ma di SMOBILITARE LE LOTTE OPERAIE, condizione prioritaria per questo inquadramento.
Come nelle campagne pacifiste la paura della guerra è sfruttata per distogliere il proletariato dal proprio terreno di classe, così nel "Reagan show" attuale la divisione tra blocchi o anche tra paesi è utilizzata per sbriciolare la combattività del proletariato e del suo fronte di lotta. Rispetto a questo fronte, non assistiamo ad una divisione tra i settori della borghesia, ma ad una divisione del lavoro al loro interno.
Quali sono le possibilità di riuscita di questa campagna borghese ?
Anche se questa classe non ha ancora le mani libere per apportare la sua soluzione guerriera alla crisi, bisogna pensare che riuscirà comunque a mantenere la sua cappa di piombo ideologica fino ad annientare definitivamente la combattività operaia ?
Come abbiamo detto precedentemente, questo pericolo esiste. Ma è importante mettere in evidenza le carte vincenti di cui dispone oggi il proletariato e che distinguono la situazione presente da quella che esisteva alla vigilia del 1914 o negli anni 30, quando il rapporto di forze globale era in favore della borghesia. In questi due casi il proletariato era già stato direttamente battuto nelle grandi metropoli (in particolare in quelle dell'Europa Occidentale: Germania, Francia, Gran Bretagna), sia sul piano esclusivamente ideologico (alla vigilia del 1914 grazie al peso del riformismo ed al tradimento dei partiti socialisti) sia su entrambi i piani (dopo la terribile disfatta degli anni 20).
Non è questa la situazione attuale; infatti le generazioni operaie dei grandi centri industriali non hanno subito disfatte fisiche, le mistificazioni democratiche ed antifasciste non hanno più lo stesso impatto del passato, il mito della "patria socialista" è moribondo e, infine, i vecchi partiti operai passati al nemico capitalista, i PC e PS, hanno una capacità di inquadramento del proletariato molto inferiore rispetto a quando tradirono.
E' per tutte queste ragioni che le riserve di combattività del proletariato sono ancora praticamente intatte e, come abbiamo visto con la Polonia, enormi. Questa combattività non potrà essere controllata all'infinito dalla borghesia, malgrado tutte le campagne, manovre e mistificazioni dispiegate a livello internazionale.
Ma le mistificazioni grazie a cui la borghesia riesce ancora a impedire alla classe operaia mondiale di intraprendere uno scontro aperto sono destinate ad essere direttamente attaccate dall'aggravamento della crisi:
- il mito degli "Stati socialisti" che, a suo tempo, fu una delle armi migliori di inquadramento della classe operaia, vive oggi le sue ultime ore di fronte al tracollo economico di questi Stati, alla miseria crescente che si abbatte sulla classe operaia che vi vive e alle esplosioni sociali che ne derivano;
- l’idea che esistano "specificità nazionali" o di blocco, che ha permesso l’isolamento del proletariato in Polonia, sarà sempre più sconfitta nella pratica dal livellamento in basso della situazione economica di tutti i paesi come delle condizioni di vita di tutti i lavoratori;
- l'illusione che accettando sacrifici si potrà evitare una situazione molto peggiore (illusione che ha condizionato gli operai americani o tedeschi quando hanno acconsentito a riduzioni di salario in cambio di un'ipotetica garanzia dell'impiego) non potrà resistere all'infinito all'aggravamento inesorabile di questa situazione;
- la fiducia nelle virtù di questa o quella medicina miracolo ("economia dell'offerta", nazionalizzazioni, autogestione, etc.) capace, se non di guarire (questa fase è ormai superata), almeno di impedire l'aggravamento della situazione economica, si scontra sempre più duramente con la realtà dei fatti.
Più in generale, tutti i pilastri ideologici del sistema attuale subiranno l'assalto del crollo economico:
- tutte le grandi frasi dei politicanti sulla "civilizzazione", la "democrazia", i "diritti dell’uomo", la "solidarietà nazionale, la “fraternità umana", la "sicurezza", 1’”avvenire della società" etc. appariranno sempre più per quello che sono: volgari buffonate, ciniche menzogne;
- a masse crescenti di proletari, comprese quelle dei paesi finora più prosperi, il sistema attuale svelerà la sua natura e diventerà sinonimo per loro di barbarie, terrore statale, egoismo, insicurezza e disperazione.
Malgrado e a causa delle terribili prove che l'aggravamento della crisi impone al proletariato, questa gioca a sua vantaggio. E' un punto a suo favore tanto più importante in quanto lo sviluppo della crisi attuale è ben più in grado di aprirgli gli occhi di quella del 1929.
In effetti, dopo la violenta caduta degli inizi degli anni 30, il capitalismo aveva dato per alcuni anni l'illusione di un ristabilimento grazie a massicci interventi statali e soprattutto allo sviluppo di un'economia di guerra. Questo ristabilimento momentaneo che si è compiuto nel 1938 ha consentito tuttavia di completare la smobilitazione del proletariato, già considerevolmente indebolito dalle sconfitte degli anni 20, e gettarlo, mani e piedi legati, nel secondo macello mondiale.
Oggi invece la borghesia ha esaurito tutte le risorse delle politiche neokeynesiane ed ha da decenni già sviluppato pienamente la sua economia di guerra. Nessuna illusione di ristabilimento può essere più offerta alla società: il carattere assolutamente inesorabile della crisi s'impone a tutti con forza, tanto che anche i più ferventi difensori accademici del capitalismo sono costretti a riconoscerlo. Dopo che il premio Nobel neokeynesiano Samuelson ha constatato amaramente nel 1977 "la crisi della scienza economica", il premio Nobel monetarista Friedman confessa nello stesso anno: "Non capisco cosa succede" (Newsweek).
Se la recessione del 1971 era stata seguita da una ripresa euforica durata fino al 1973, quella del 1974-75 ha lasciato il posto ad una ripresa evanescente, quella che comincia nel 1980 continua ancora, smentendo le previsioni su una "nuova ripresa”. Sono state esaurite tutte le medicine somministrate lungo gli anni 70 per ritardare le scadenze, che diventano oggi un aggravamento del male. Di fronte alla sovrapproduzione delle merci, le grandi potenze capitaliste hanno tentato di venderle usando e abusando del credito. Il risultato è notevole: tra il 71 e l'81, il debito totale del Terzo Mondo è passato da 86,6 a 524 miliardi di dollari, con un aumento di 118 miliardi nel 1981. La maggior parte di questi paesi è nella condizione di insolvenza: nel paese del "miracolo", il Brasile, campione del mondo dell'indebitamento, su 100 dollari prestati solo 13 sono investiti produttivamente, gli altri 87 sono destinati a pagare gli interessi e gli ammortamenti dei debiti precedenti. Questo indebitamento del Terzo Mondo non è che una parte dell'indebitamento totale, che supera di molto i 1000 miliardi di dollari e grazie a cui il capitalismo ha cercato di evitare la crisi nel corso degli anni 70. La bancarotta del Terzo Mondo esprime quella di tutta l’economia mondiale.
Inutilmente i paesi dei centri del capitalismo hanno tentato per un decennio di sospingere gli effetti della crisi verso la periferia. Ora anche il proletariato delle metropoli è colpito dalla crisi e sarà costretto, malgrado tutte le manovre della sinistra all’opposizione, a riprendere la lotta, come ha cominciato a fare quello dei paesi periferici (Brasile 78-79, Polonia 80-81). Questo proletariato non potrà essere isolato dalla borghesia con la stessa facilità di quello polacco. Allora ci saranno le condizioni per une reale generalizzazione mondiale delle lotte proletarie, di cui le lotte polacche hanno messo in evidenza la necessità ([2]) . Questa generalizzazione non è una tappa semplicemente quantitativa dello sviluppo della lotte de classe. Sarà invece un passo realmente QUALITATIVO del proletariato in quanto:
- la generalizzazione permetterà di superare le illusioni veicolate tra gli operai dalla sinistra, consentendo di sconfiggere l’unità internazionale della borghesia contro la lotta di classe;
- essa sola creerà le condizioni per il rovesciamento dello Stato capitalista (contrariamente a quanto pensano alcuni, come il GCI, che ponevano già come compito degli operai polacchi di prendere le armi);
- essa sola darà al proletariato coscienza della sua forza, del fatto che le sue lotte molteplici sono preparativi per la rivoluzione comunista, di cui “l’idea ridiventerà familiare per la classe, dopo mezzo secolo di eclisse”.
Proprio perchè la crisi colpisce ora in pieno le grandi metropoli capitaliste, questa generalizzazione diviene possibile. Il camino sarà lungo e difficile, comporterà ancora altre sconfitte, parziali ma dolorose. L’essenziale di questa lotta è davanti a noi; per molto tempo ancora, il proletariato si scontrerà ancora con i sabotaggi della sinistra e in particolare delle sue frazioni “radicali” come il sindacalismo di base”. Solo dopo essersi sbarazzato delle molteplici trappole della sinistra, il proletariato potrà attaccare frontalmente lo Stato capitalista in vista della sua distruzione. SI ANNUNCIA UNA LUNGA E DIFFICILE BATTAGLIA CHE IL PROLETARIATO, CON L’AIUTO DEL CROLLO DELL’ECONOMIA CAPITALISTA, PUO’ SENZ’ALTRO VINCERE.
12/03/82 FM
L'ondata di scioperi in Polonia durante l'estate del 1980 é stata giustamente definita come un classico esempio dello sciopero di massa analizzato da Rosa Luxemburg nel 1906. Una così chiara correlazione tra il recente movimento operaio polacco e gli eventi descritti dalla Luxemburg in "Sciopero di massa, partiti e sindacati" 75 anni fa costringe i rivoluzionari a ribadire la validità della sua analisi e la sua applicabilità all'attuale lotta di classe.
Per contribuire all'approfondimento di questo problema il seguente articolo cerca di dimostrare in che misura la teoria della Luxemburg corrisponda alla realtà delle odierne lotte operaie.
LE CONDIZIONI ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI DELLO SCIOPERO DI MASSA
Per Rosa Luxemburg, lo sciopero di massa era il risultato del particolare stadio di sviluppo cui era arrivato il capitalismo agli inizi del secolo. Lo sciopero di massa "é un fenomeno storico che in un certo momento emerge dalle condizioni sociali con la forza della necessità storica" (Sciopero di massa, partiti e sindacati, in Scritti Politici, Rosa Luxemburg, Editori Riuniti, p. 3O3. Tutte le citazioni successive sono tratte dalla stessa edizione) Lo sciopero di massa non é un fatto accidentale né d'altra parte é il risultato di una propaganda o preparazione precedente - in una parola non può essere creato artificialmente - é invece il prodotto di un preciso stadio di evoluzione del capitalismo. Benché la Luxemburg si riferisca spesso a questo o quello sciopero in particolare, il vero scopo del suo opuscolo é dimostrare che non si può valutare uno sciopero di massa isolato dal suo contesto storico: é solo come prodotto di un nuovo periodo storico che può avere un senso.
Questo nuovo contesto storico era uguale in tutti i paesi. Contro l'idea che lo sciopero di massa fosse una particolarità legata alle condizioni dell'assolutismo russo, la Luxemburg affermò che le condizioni storiche che lo causavano erano presenti non solo in Russia, ma anche in Europa e nel Nord America ed erano: "la grande industria con tutte le sue conseguenze, la moderna divisione in classi, gli aspri scontri sociali" (p. 348). Per lei la rivoluzione russa del 1905, in cui lo sciopero di massa aveva svolto un ruolo così importante, aveva realizzato: "i risultati generali dello sviluppo capitalistico internazionale nel caso particolare dell'assolutismo russo" (p. 350). La rivoluzione russa non era che, "un precursore della nuova serie delle rivoluzioni proletarie dell'occidente" (p. 351). Le condizioni economiche che hanno prodotto lo sciopero di massa, secondo la Luxemburg, non erano circoscritte ad un paese, ma avevano un significato internazionale. Per usare le sue parole, questo tipo di sciopero "non é altro che la forma universale della lotta di classe proletaria, risultante dalla tappa attuale dello sviluppo capitalista e dei suoi rapporti di produzione."
Questo "attuale stadio del capitalismo" era infatti il crepuscolo del capitalismo. L'aumento dei conflitti inter-imperialisti, delle minacce di guerra mondiale, la fine di ogni possibilità di graduali miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori, in breve la minaccia crescente della sopravvivenza stessa del proletariato nel capitalismo, queste erano le nuove condizioni storiche che accompagnavano l'avvento dello sciopero di massa.
La Luxemburg vide con chiarezza che questa nuova forma di lotta era il prodotto di un cambiamento di portata storica delle condizioni economiche, quelle che noi oggi individuiamo come la fine della fase ascendente del capitalismo e la prefigurazione della decadenza del capitalismo.
Nei paesi a capitalismo avanzato esistevano ormai enormi concentrazioni di lavoratori, abituati a lottare tutti insieme, e le cui condizioni di vita e di lavoro erano pressappoco le stesse dappertutto. La borghesia, in quanto prodotto di un certo sviluppo economico, stava diventando una classe sempre più concentrata e sempre più abituata a identificarsi con l'apparato statale. I capitalisti, come i proletari, avevano imparato a stare uniti contro la classe nemica.
Se da una parte le condizioni economiche non permettevano ai lavoratori di poter conseguire alcuna vittoria in campo produttivo, dall'altra la rovinosa situazione della democrazia borghese, cui la Luxemburg accenna nel suo opuscolo, rendevano sempre più difficile al proletariato consolidare le conquiste fatte a livello parlamentare. Quindi anche il contesto politico, come quello economico, dello sciopero di massa non era l’assolutismo russo, ma la crescente decadenza politica della borghesia a livello mondiale. Il capitalismo aveva ormai posto le basi per un violento scontro di classe a livello mondiale in ogni campo: economico, sociale e politico.
L’OBIETTIVO DELLO SCIOPERO DI MASSA
L'obiettivo cui tendeva lo sciopero di massa non era diverso da quello delle precedenti lotte proletarie. L'obiettivo era lo stesso, ma era espresso in maniera più appropriata alle nuove condizioni storiche. Ciò a cui tendeva e tenderà sempre, fino alla fine del capitalismo, la lotta della classe operaia, è: limitare lo sfruttamento capitalistico all'interno della società borghese e abolire questo sfruttamento abolendo la stessa società borghese. Nella fase ascendente del capitalismo la lotta operaia era, per motivi storici, separata in due aspetti, uno di difesa immediata ed uno di offensiva rivoluzionaria, che pur essendo implicito nel precedente, era rimandato ad un futuro più lontano.
La novità dello sciopero di massa è che, essendo prodotto dalle condizioni oggettive di cui abbiamo detto prima (e cioè l'impossibilità per la classe operaia di difendere le proprie condizioni di vita all'interno del sistema borghese in decadenza) rimette insieme i due aspetti, prima separati, della lotta operaia. Pertanto, come afferma la Luxemburg, una qualunque piccola lotta, apparentemente difensiva, può portare all'esplosione di un conflitto generalizzato "a contatto con il vento del periodo rivoluzionario".
Ad esempio, "il conflitto esploso sulla questione dei due operai della fabbrica Putilov puniti si era, nel giro di una settimana, tramutato nel prologo della più potente rivoluzione dei tempi moderni”.
Viceversa, un'ondata rivoluzionaria può in un momento di stasi disperdersi in tante lotte isolate, potenzialmente idonee ad originare a loro volta in seguito un nuovo assalto generalizzato al sistema.
Ma nell'epoca dello sciopero di massa non solo c’è stata una fusione tra le lotte offensive generalizzate e quelle difensive" e localizzate, ma anche una stretta interazione tra l'aspetto politico e quello economico della lotta proletaria. All'epoca del parlamentarismo (1'apogeo della fase ascendente del capitalismo) l'aspetto politico e quello economico delle lotte erano artificialmente separati, sempre per ben definite ragioni storiche.
La lotta politica non era "condotta dalla massa stessa in un'azione diretta, ma secondo la forma dello Stato borghese, per via rappresentativa, mediante la pressione sulle rappresentanze legislative". Ma "non appena la massa appare sul campo di battaglia" tutto questo cambia perchè "in un'azione rivoluzionaria di massa, lotta politica e lotta economica sono tutt’uno" (p. 356).
In queste condizioni le lotte politiche del proletariato sono intimamente connesse a quelle economiche, soprattutto perchè la lotta politica condotta tramite i delegati al parlamento non corrisponde più alla realtà delle cose.
Nel fare l'analisi dello sciopero di massa, la Luxemburg mette soprattutto in guardia contro il pericolo di considerare i diversi aspetti separati 1'uno dall'altro, perchè la caratteristica di questo tipo di scioperi è la mescolanza dei differenti piani di lotta proletaria: offensivo/difensivo, generalizzato/localizzato, politico/economico, in un solo movimento che tende allo sbocco rivoluzionario.
La reale natura delle condizioni storiche a cui il proletariato reagisce con lo sciopero di massa crea un'interconnessione inscindibile tra i diversi piani delle lotte proletarie. Una loro artificiosa separazione, compiuta con l'obiettivo di individuare per esempio "lo sciopero di massa politico puro" sarebbe un sezionamento che “come ogni altro non porta a conoscere il fenomeno nella sua essenza vivente, ma semplicemente lo uccide” (p. 331).
LE FORME DI LOTTA ALL'EPOCA DELLO SCIOPERO DI MASSA
L'obiettivo della forma di organizzazione sindacale - ottenere miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori all'interno del sistema - diventa sempre meno attuabile nelle condizioni storiche che hanno prodotto lo sciopero di massa. Nella sua ultima polemica con Karl Kautsky la Luxemburg afferma giustamente che in quest'epoca il proletariato non lotta più con la certezza di ottenere miglioramenti reali, e dimostra statisticamente come almeno un quarto degli scioperi dell'epoca non abbiano portato ad alcun successo. Gli operai entrano in sciopero perchè le loro condizioni di vita sono tali da non lasciargli altra scelta ed è questo che rafforza le possibilità di una lotta offensiva generalizzata.
Di conseguenza il successo di una lotta non si misura più in base ai miglioramenti economici ottenuti, ma in base allo sviluppo di coscienza proletaria che la lotta ha prodotto, anche se la lotta è stata sconfitta sul piano dei miglioramenti economici. E' per questo che la Luxemburg dice che la fase dell'insurrezione aperta "non può altrimenti riuscire che attraverso la scuola di una serie di insurrezioni parziali, che appunto perciò devono concludersi provvisoriamente con parziali apparenti sconfitte" (pp. 325-326)
In altre parole non importa quale sia il risultato di questo o quell'episodio di lotta, la vera vittoria o la vera sconfitta dello sciopero di massa è determinata dal suo atto culminante, l'insurrezione proletaria. Non a caso i miglioramenti politici ed economici ottenuti dagli operai russi con le lotte del 1905 e quelle precedenti furono annullati in seguito alla sconfitta della rivoluzione, dimostrando come il ruolo delle organizzazioni sindacali, cioè lottare per ottenere miglioramenti economici all'interno del sistema capitalistico, non avesse più senso.
Ma vi sono altri motivi per cui i sindacati sono ormai superati come forma di organizzazione del proletariato.
Lo sciopero di massa non può essere preparato in anticipo, esso è nato senza che vi sia stata nessuna pianificazione a tavolino di un "nuovo metodo di lotta delle masse proletarie". I sindacati, legati alla forma organizzativa permanente, preoccupati dei loro conti in banca e delle loro liste di adesione, non possono essere in alcun modo all'altezza delle forme organizzative dello sciopero di massa, la cui evoluzione è strettamente legata alla lotta stessa.
I sindacati tendono a limitare il campo di interesse degli operai all'interno delle diverse branche industriali cui essi appartengono, lo sciopero di massa nasce invece "dalla fusione di diversi punti particolari, di differenti cause" e tende quindi ad eliminare ogni tipo di divisione all'interno del proletariato.
I sindacati organizzano soltanto una minoranza della classe operaia, mentre allo sciopero di massa partecipano tutti gli strati della classe, sindacalisti e non.
Man mano che la lotta proletaria, nelle sue nuove caratteristiche, tendeva ad esprimersi al di fuori dei sindacati, questi tendevano sempre più a passare dalla parte del capitalismo contro lo sciopero di massa. L'apparizione dei sindacati allo sciopero di massa si esprimeva, secondo la Luxemburg, in due modi. Uno di questi era la netta ostilità di burocrati come Bomelberg, esemplificata dal rifiuto del congresso sindacale di Colonia perfino di discutere dello sciopero di massa, perchè si rischiava, secondo i burocrati di "giocare con il fuoco".
L'altra forma presa da questa opposizione era l'apparente appoggio dei sindacalisti radicali e di quelli francesi ed italiani. Questi erano favorevolissimi a "tentare" la strada dello sciopero di massa, come se questa forma di lotta potesse essere attaccata al carro dell'apparato sindacale. Oppositori e "sostenitori" erano convinti che lo sciopero di massa non fosse un fenomeno che sorgeva dal profondo dell'attività della classe operaia, ma soltanto uno strumento tecnico di lotta da poter usare o vietare a seconda della preferenza dei sindacati. I rappresentanti sindacali, a tutti i livelli, non potevano evidentemente capire un movimento il cui sviluppo non solo non poteva essere da loro controllato, ma tendeva alla creazione di nuove forme organizzative contrapposte ai sindacati.
La risposta dell'ala radicale e della base dei sindacati o degli stessi sindacalisti allo sciopero di massa fu indubbiamente un tentativo di adattarsi alle necessità della lotta di classe. Ma era la forma e la funzione del sindacalismo stesso (al di là della buona volontà dei suoi militanti) ad essere superato dallo sciopero di massa. Il sindacalismo radicale esprimeva una risposta proletaria all'interno dei sindacati. Ma dopo il definitivo tradimento della classe operaia da parte dei sindacati durante la prima guerra mondiale e la successiva ondata rivoluzionaria, il sindacalismo radicale fu anch’esso recuperato e divenne un potente mezzo di castrazione delle lotte operaie.
La concezione della Luxemburg sulla questione sindacale, quale è espressa nel suo opuscolo sullo sciopero di massa, non è così chiara.
Per lei i sindacati potevano risollevarsi dal loro fallimento ed il suo era un punto di vista comprensibile dato che a quel tempo i sindacati non erano ancora diventati dei semplici agenti del capitale quali sono oggi. Nel capitolo finale del suo opuscolo la Luxemburg suggerisce la subordinazione dei sindacati alla direzione del Partito Socialdemocratico quale freno alle loro tendenze reazionarie. Ma queste tendenze dovevano rivelarsi irrimediabili.
In più la Luxemburg vede il Soviet di Pietrogrado del 1905 come un'organizzazione complementare ai sindacati. La storia avrebbe provato che queste due forme organizzative erano antagoniste. I consigli operai sarebbero stati l'espressione dell'epoca degli scioperi di massa e delle rivoluzioni, laddove i sindacati erano gli organi delle lotte operaie difensive e localizzate.
Non è un caso che il primo consiglio operaio sia sorto alla vigilia del periodo di scioperi di massa in Russia. Creati da e per la lotta con delegati eletti e revocabili, questi organi potevano non solo raggruppare tutti i lavoratori in lotta, ma anche centralizzare tutti gli aspetti della lotta - economico e politico, offensivo e difensivo - nell'ondata rivoluzionaria. Fu il consiglio operaio - anticipando la struttura e i fini dei futuri comitati di sciopero ed assemblee generali - ad essere il più naturalmente adatto alla direzione e agli scopi del movimento di sciopero di massa in Russia.
Anche se è stato impossibile per la Luxemburg capire tutte le implicazioni della nuova fase che si andava aprendo agli inizi del secolo, i rivoluzionari di oggi devono a lei la loro comprensione delle conseguenze dello sciopero di massa sul piano organizzativo. La più importante è che lo sciopero di massa e i sindacati sono, essenzialmente, in contrapposizione, conseguenza questa implicita, anche se non espressa esplicitamente nell'opuscolo della Luxemburg.
Dobbiamo ora cercare di capire quanto la sua analisi è applicabile alla lotta di classe attuale; vedere in che misura la lotta proletaria durante la decadenza del capitalismo conferma o contraddice le linee generali dello sciopero di massa così come da lei analizzato.
CONDIZIONI OGGETTIVE DELLA LOTTA DI CLASSE DURANTE LA DECADENZA
Gli scioperi di massa dei primi anni di questo secolo erano una reazione alla fine della fase ascendente del capitalismo e all'inizio di quelle condizioni che caratterizzano la fase di decadenza.
Considerando che oggi queste condizioni sono diventate completamente evidenti e croniche, si può concludere che le spinte oggettive verso lo sciopero di massa sono oggi mille volte più grandi e più forti di ottanta anni fa.
I "risultati generali dello sviluppo capitalistico internazionale” che per la Luxemburg erano alla base dell'insorgenza del fenomeno storico dello sciopero di massa, si sono sviluppati sempre più dall'inizio del secolo ed oggi sono più evidenti che mai.
In effetti, gli scioperi di massa descritti dalla Luxemburg non erano scoppiati esattamente nel periodo di decadenza capitalista qual è generalmente definito dai rivoluzionari. Ma noi sappiamo che se è vero che il 1914 è una data cruciale per l'inizio della fase senile del capitalismo, è anche vero che lo scoppio della I guerra mondiale è stata la conferma delle contraddizioni economiche dei dieci anni precedenti.
Il 1914 ha dato la prova conclusiva che le condizioni economiche, sociali e politiche della decadenza capitalista erano ormai pienamente presenti.
In questo senso le nuove condizioni storiche che in primo luogo hanno dato origine allo sciopero di massa sono ancora oggi presenti. Per affermare il contrario bisognerebbe dimostrare che le condizioni attuali dell'infrastruttura capitalistica sono complessivamente diverse da quelle di meno di ottant'anni fa. Ma questo sarebbe ben difficile perchè le condizioni mondiali tipiche del 1905 - e cioè grandi contrasti interimperialistici e conflitti di classe generalizzati - sono più che mai caratteristici del periodo attuale. Il primo decennio del secolo ventesimo non era certamente l'apogeo del capitalismo ascendente! Il capitalismo aveva già superato il suo culmine e scivolava verso la situazione ciclica di guerra mondiale-ricostruzione-crisi:
"l'odierna rivoluzione russa sta ad un punto del cammino storico che ha già oltrepassato la cima, il culmine della società capitalistica” (p. 350)
Che incredibile perspicacia sulle fase di ascendenza e declino del capitalismo da parte di questa rivoluzionaria nel 1906!
LO SCIOPERO DI MASSA E IL PERIODO DI RIVOLUZIONE
Lo sciopero di massa è quindi il risultato delle condizioni di declino del capitalismo. Ma per la Luxemburg le cause materiali che erano in definitiva responsabili delle sciopero di massa, non erano completamente sufficienti a spiegare perchè questo tipo di lotta veniva fuori in quel momento. Per lei lo sciopero di massa è il prodotto del periodo rivoluzionario. Il periodo di chiaro declino del capitalismo deve coincidere con un movimento di classe ascendente e non sconfitto, perchè il proletariato possa essere in grado di usare la crisi come una leva per portare avanti i suoi interessi di classe mediante lo sciopero di massa. Viceversa, se il proletariato ha subito una sconfitta decisiva, le condizioni di decadenza tendono a rafforzare la passività piuttosto che dare origine ad esplosioni generalizzate. Questo permette di spiegare perchè lo sciopero di massa è scomparso dopo la prima metà degli anni venti ed è riapparso solo recentemente dal 1968 in poi.
Il periodo attuale è quindi un periodo rivoluzionario come quello degli anni 1896-1905 in Russia? La risposta è si.
Il 1968 ha segnato la fine della controrivoluzione ed aperto un'epoca di conflitti rivoluzionari, non solo in un paese, ma nel mondo intero. Si potrebbe obiettare che, nonostante il 1968 abbia segnato la fine del periodo di sconfitta proletaria, non siamo ancora in un periodo rivoluzionario. Questo è abbastanza vero se per “periodo rivoluzionario" si intende solo il periodo di dualismo di potere e di insurrezione armata. Ma la Luxemburg parla di "periodo rivoluzionario" in un senso molto più ampio. Per lei la Rivoluzione Russa non inizia con la data ufficiale del 22 gennaio 1905, ma nel 1896, ben nove anni prima, nell'anno dei potentissimi scioperi di San Pietroburgo.
Il periodo di insurrezione aperta nel 1905 è il culmine di un lungo periodo di rivoluzione della classe operaia russa.
Infatti questo è il solo modo coerente di interpretare il concetto di periodo rivoluzionario. Se una rivoluzione è la presa del potere da parte di una classe a spese della vecchia classe dirigente, il rovesciamento sotterraneo dei vecchi rapporti di forza tra le classi a favore della classe rivoluzionaria è quindi una parte vitale del periodo rivoluzionario così come lo è il momento di lotta aperta, di scontri militari etc. Questo non significa che i due aspetti del periodo rivoluzionario sono esattamente equivalenti che cioè 1896=1905 - ma che non possono essere arbitrariamente separati, che la fase di insurrezione aperta non può essere isolata ed opposta alla sua fase preparatoria.
La famosa affermazione della Luxemburg che lo sciopero di massa è la ricomposizione di un movimento che può "durare per decenni" sarebbe incomprensibile secondo il punto di vista che solo il periodo di insurrezione stesso può dare origine a scioperi di massa.
Naturalmente al momento del rovesciamento della vecchia classe dominante gli scioperi di massa raggiungeranno il loro massimo sviluppo ma ciò non è per niente in contraddizione con il fatto che il periodo di scioperi di massa inizia quando la prospettiva rivoluzionaria va appena aprendosi. Per noi questo significa che l'epoca degli attuali scioperi di massa è iniziata nel 1968.
LA DINAMICA DELLA LOTTA ATTUALE
Quello che caratterizza la lotta proletaria degli ultimi 12 anni (quello cioè che la distingue da quella dei 40 anni precedenti) è l'interazione tra lotta difensiva e lotta offensiva, il continuo oscillare dei conflitti dal livello economico a quello politico.
Non si tratta necessariamente di un progetto cosciente formulato dalla classe operaia, ma piuttosto di un risultato del fatto che oggi diventa sempre meno possibile mantenere un livello di vita sufficiente. E' proprio per questo che tutti gli scioperi tendono a diventare lotte per la sopravvivenza:
“scioperi che diventano sempre più frequenti, che per lo più terminano senza alcun successo definitivo, ma che, malgrado ciò, o proprio a causa di ciò, hanno un maggior significato in quanto esplosioni di contraddizioni intense, profonde, che vanno a sconfinare sul terreno politico." (Teoria e Pratica, Testo di "News and Letters")
Sono le attuali condizioni economiche di crisi aperta che, come nel 1900, portano avanti la dinamica dello sciopero di massa, ed iniziano a concentrare i diversi aspetti della lotta proletaria.
Ma forse dichiarando che quello attuale è un periodo di scioperi di massa noi stiamo commettendo qualche errore. Le lotte degli ultimi dodici anni non sono state iniziate, continuate e terminate dai sindacati? Questo non significa che quelle attuali sono lotte sindacali, motivate da interessi strettamente difensivi ed economici, che non hanno niente a che vedere col fenomeno dello sciopero di massa? A parte il fatto che le lotte più significative degli ultimi dodici anni hanno abbattuto i limiti imposti dal sindacato, una simile conclusione non terrebbe conto di una delle caratteristiche fondamentali della lotta di classe nella decadenza del capitalismo. Oggi in ogni lotta controllata dai sindacati vi è un conflitto ora aperto, ora nascosto tra i lavoratori ed i loro sedicenti rappresentanti: i burocrati sindacali della borghesia. Gli operai nel capitalismo decadente hanno dunque una doppia sfortuna: hanno come nemici non solo i loro avversari dichiarati come i datori di lavoro ed i partiti di destra, ma anche i loro pretesi amici del sindacato, con tutti i loro sostenitori.
La crisi e la fiducia in se stessi, come classe non ancora sconfitta spingono oggi gli operai a porsi il problema dei limiti imposti alla loro lotta dal muoversi su un piano di pura difesa economica e settoriale. I sindacati, tuttavia, hanno il compito di mantenere l'ordine nella produzione e di porre fine agli scioperi. Queste organizzazioni capitalistiche tentano continuamente di deviare i lavoratori nel vicolo cieco del sindacalismo. La lotta tra il sindacato e i lavoratori, aperta o sotterranea, non è fondamentalmente frutto della volontà degli operai o dei sindacati, ma è il risultato di cause economiche ed oggettive che li costringono in ultima analisi ad agire 1'uno contro l'altro.
La forza motrice della attuale lotta di classe non deve essere quindi ricercata nelle illusioni che ad un certo punto gli operai si erano fatti sui sindacati, ed ancora meno nelle azioni più radicali occasionalmente portate avanti dai sindacati per non perdere il contatto con le lotte, ma nella dinamica degli interessi antagonistici degli operai e dei sindacati.
Questo meccanismo interno del periodo che precede gli scontri rivoluzionari, insieme con la crescente forza e chiarezza dell'intervento dei comunisti, finirà con il rivelare agli operai la natura delle lotte in cui sono già impegnati, mentre le difficoltà dei sindacati nell'imbrogliare gli operai e contemporaneamente difendere in modo sempre più sfacciato l'economia capitalista, porterà i proletari a distruggere nella pratica questi organismi della borghesia.
Sarebbe dunque disastroso per chi si pretende rivoluzionario giudicare la dinamica della lotta operaia attraverso la sua apparenza sindacalista, come fanno tutte le varianti della sociologia borghese. La precondizione per mettere in luce e chiarificare le possibilità rivoluzionarie della lotta operaia è evidentemente il riconoscimento che queste possibilità esistono realmente. Non è un caso che l'estate polacca 1980, il momento più alto nel periodo attuale degli scioperi di massa dal 1968, ha rivelato chiaramente la contraddizione tra la vera forza della lotta operaia ed il sindacalismo.
L'ondata di scioperi in Polonia ha coinvolto letteralmente la massa della classe operaia di quel paese, toccando tutte le industrie e le attività. Da punti dispersi e per motivi differenti in partenza, il movimento si è fuso, attraverso scioperi ed azioni concrete di solidarietà, in uno sciopero generale contro lo Stato capitalista. Gli operai hanno cominciato a tentare di difendersi da soli contro il razionamento e l'aumento dei prezzi. Di fronte ad uno Stato brutale, intransigente, ed un'economia nazionale in fallimento, il movimento è passato all'offensiva ed ha sviluppato obiettivi politici. Gli operai hanno rifiutato i sindacati e creato le proprie organizzazioni: assemblee generali e comitati di sciopero per centralizzare la loro lotta, impegnandovi l'energia enorme della massa proletaria. E' un esempio incomparabile dello sciopero di massa.
Il fatto che la rivendicazione dei sindacati liberi sia divenuta predominante negli obiettivi dello sciopero ed il fatto che gli MKS (comitati di sciopero interfabbrica) si siano disciolti per lasciare il posto al nuovo sindacato Solidarnosc non possono nascondere la vera dinamica di milioni di operai polacchi che hanno fatto tremare la classe dominante.
Sul piano storico, il punto di partenza per l'attività rivoluzionaria in questa fase è la comprensione che lo sciopero di massa in Polonia è annunciatore di futuri scontri rivoluzionari, pur riconoscendo le illusioni immense che gli operai hanno ancora oggi nei confronti del sindacalismo. Gli avvenimenti di Polonia hanno arrecato un colpo decisivo alla teoria che la lotta di classe nella nostra epoca è sindacalista, malgrado le impressioni che derivano dalle apparenze superficiali.
Ma, oltre la teoria secondo cui la lotta di classe è per sua natura tradeunionista, anche nei suoi momenti più alti, ne esiste un'altra, che afferma che questi momenti più alti, espressi negli scioperi di massa, sono un fenomeno eccezionale, completamente distinto nelle sue caratteristiche dagli episodi meno drammatici dello scontro di classe. Secondo questa ipotesi, prevalentemente la lotta operaia è difensiva ed economicista e rimane quindi organicamente sotto il controllo sindacale, ed è solo in occasione isolate, come in Polonia, che gli operai passano all'offensiva, avanzando rivendicazioni politiche, esprimendo un obiettivo che sarebbe diverso. A parte la sua incoerenza di fondo - secondo cui la lotta proletaria può essere sindacalista (cioè capitalista) o proletaria in differenti momenti - questa visione cade nella trappola della separazione tra i differenti aspetti dello sciopero di massa - offensivo/difensivo, economico/politico - e così, come diceva la Luxemburg, mina l'essenza vivente dello sciopero di massa e lo priva del suo contenuto d'insieme. Nel periodo di sciopero di massa, ogni lotta difensiva, anche se modesta, contiene il germe o la possibilità di un movimento offensivo, e ogni lotta offensiva è fondata sulla necessità costante per la classe di difendersi. Il rapporto tra lotta economica e politica è evidente.
Ma la visione che separa questi aspetti interpreta lo sciopero di massa in maniera isolata - come uno sciopero con masse che sbucano fuori all'improvviso - considerandolo il risultato soprattutto di circostanze congiunturali, come la debolezza dei sindacati in un determinato paese, o il miglioramento di questa o quella economia. Questa visione non vede lo sciopero di massa che come un'offensiva, un affare politico, sottovalutando il fatto che questo aspetto dello sciopero di massa è alimentato dalle lotte difensive, localizzate ed economiche. Soprattutto bisogna dire che questo punto di vista non tiene conto del fatto che viviamo in un periodo di sciopero di massa oggi, provocato non da condizioni locali o temporanee, ma dalla situazione generale della decadenza capitalista che si ritrova in ogni paese.
Tuttavia, il fatto che alcuni degli esempi più significativi di sciopero di massa si siano verificati nei paesi dell'Est e in quelli arretrati sembra dare credito all'idea della natura eccezionale di questo tipo di lotte, allo stesso modo in cui l'apparizione dello sciopero di massa in Russia ai primi del 1900 sembrava confermare la convinzione che non si sarebbe mai visto nulla di simile in Occidente.
La risposta che Rosa Luxemburg ha dato all'idea dell'esclusività russa dello sciopero di massa è particolarmente valida ancora oggi. La Luxemburg ammetteva che l'esistenza del parlamentarismo e del sindacalismo all'Ovest potevano temporaneamente arginare la spinta verso lo sciopero di massa, ma non eliminarla, perchè questa è nata sulle basi stesse dello sviluppo capitalistico internazionale. Se lo sciopero di massa in Germania e altrove ha preso un carattere "nascosto e latente" e non una qualità pratica, attiva come in Russia, questo non può nascondere il fatto che lo sciopero di massa era un fenomeno storico e internazionale.
Questo argomento risponde ancora oggi alle tesi di chi sostiene che lo sciopero di massa non può esplodere all'Ovest. E' vero che la Russia 1905 ha rappresentato un passo qualitativo enorme nello sviluppo della lotta di classe proprio come la Polonia 1980. Ma è anche vero che questi punti forti, come la Polonia, sono internamente legati alle manifestazioni "nascoste e latenti" dello sciopero di massa all'Ovest, perchè questo emerge dalle stesse cause e si scontra con gli stessi problemi. Così, anche se il parlamentarismo e i sindacati sofisticati dell'Ovest possono soffocarle, queste tendenze, che in Polonia esplodono in enormi scioperi di massa, non sono affatto scomparse. Al contrario, gli scioperi di massa aperti che finora sono stati contenuti ad Ovest avranno accumulate tanta più forza quando gli ostacoli saranno rimossi.
In fin dei conti, è il livello delle contraddizioni del capitalismo che determinerà la ampiezza delle esplosioni future:
“... più l'antagonismo tra capitale e lavoro è sviluppato, più efficaci e decisivi dovranno essere gli scioperi di massa."
Più che attraverso una rottura brutale e completa con le lotte economiche, difensive, arginate dai sindacati, i salti qualitative della coscienza, dell'autorganizzazione dello sciopero di massa si verificheranno in una spirale accelerata di lotte operaie. Le fasi nascoste e latenti delle lotte, che seguiranno spesso gli scontri aperti, come è già avvenuto in Polonia, continueranno a rendere fertile il terreno per le lotte future.
Il movimento oscillatorio di avanzate e ritirate, di offensiva e difensiva, di dispersione e generalizzazione, diverrà più intenso in relazione con l'impatto crescente dell'austerità e della minaccia di guerra.
Alla fine, " ... nella tempesta del periodo rivoluzionario, il terreno perso viene recuperato, le ineguaglianze si annullano e il ritmo del progresso sociale cambia, di colpo raddoppia la sua velocità."
Tuttavia, se abbiamo finora parlato della possibilità oggettiva dell'evoluzione dello sciopero di massa, non si deve dimenticare che gli operai dovranno diventare sempre più coscienti della lotta che hanno avviato per condurla alla conclusione vittoriosa. Questa coscienza deve diventare sempre maggiore, in particolare nei confronti dei sindacati, che nel corso di questo secolo sono diventati più capaci nel contenere lo sciopero di massa. Non è questo il luogo per prendere in considerazione tutti i mezzi di adattamento che possono impiegare i sindacati. Ricorderemo solo come questi ultimi si pongono come surrogati di reali esigenze: simulano la generalizzazione delle lotte, pongono in atto tattiche radicali prive di ogni efficacia, rivendicazioni politiche che spingono a sostenere un pagliaccio al posto di un altro nel circo parlamentare.
Lo sviluppo vittorioso dello sciopero di massa dipenderà in ultima istanza dalla capacità della classe operaia di battere la "quinta colonna" costituita dai sindacati oltre ai suoi nemici "aperti", come polizia, padroni, politicanti di destra, etc. Ma lo scopo del testo non è quello di definire gli ostacoli che incontra la maturazione della coscienza nella strada che porta al punto culminante, vittorioso, dello sciopero di massa.
In questa sede verranno delineate invece le possibilità oggettive dello sciopero di massa nella nostra epoca, dal punto di vista della necessità e dell'organizzazione economica.
LE FORME DELLA LOTTA DI CLASSE OGGI
Il periodo delle sciopero di massa tende, a lungo termine, a frantumare i sindacati. La forma sindacalista, attraverso cui si presenta la lotta di classe moderna non è che questo: apparenza.
Qual è allora la forma adeguata, la più appropriata allo sciopero di massa nella nostra epoca?
L'assemblea generale degli operai in lotta e i suoi comitati eletti e revocabili.
Tuttavia questa forma, che è animata dallo stesso spirito dei soviet, è l'eccezione in materia di organizzazione nella maggioranza delle lotte operaie di oggi. Solo al livello più alto della lotta sorgono assemblee e comitati di sciopero fuori del controllo sindacale. E anche in queste situazioni, come in Polonia '80, le organizzazioni degli operai soccombono alla fine al sindacalismo.
Ma non possiamo spiegare queste difficoltà delle lotte attuali affermando che certe volte sono sindacaliste ed altre, invece, quando arrivano all'autorganizzazione, proletarie. La sola interpretazione coerente dei fatti rimane questa: è estremamente difficile per una vera autorganizzazione emergere ed imporsi.
La borghesia ha i seguenti vantaggi in questo campo: tutti i suoi organi di potere, economici, militari, politici ed ideologici sono già insediati permanentemente, sperimentati e provati da decenni. In particolare i sindacati hanno il vantaggio di poter sviare la coscienza operaia utilizzando la memoria storica della loro natura un tempo operaia. I sindacati hanno pure una struttura organizzativa permanente all'interno della classe operaia. Il proletariato solo di recente è venuto fuori dalla più profonda disfatta della sua storia, senza alcuna organizzazione permanente che lo proteggesse. Si può capire quanto gli sia difficile trovare la forma più appropriata alla sua lotta. Appena il malcontento si manifesta, i sindacati sono pronti a "farsene carico", con la complicità di tutti i rappresentanti dell'ordine capitalista.
Inoltre gli operai non entrano in lotta oggi per realizzare ideali, per combattere deliberatamente i sindacati, ma per scopi molto pratici e immediati - cercare di difendere il loro livello di vita. Perciò, nella maggior parte dei casi attuali, gli operai accettano la "direzione" autoproclamata dai sindacati. Non è perciò strano che solo quando i sindacati non esistono o sono apertamente contro gli operai emerga la forma dell'assemblea generale.
Solo dopo confronti ripetuti con i sindacati, nel contesto di una crisi economica mondiale e con lo sviluppo in forza dello sciopero di massa, la forma dell'assemblea generale diventerà veramente la caratteristica generale piuttosto che l’eccezione che attualmente rappresenta ancora. In Europa occidentale, questo significherà apertura di scontri diretti con lo Stato.
Malgrado ciò, gli operai s'imbatteranno in altri problemi, anche se il controllo cosciente della loro lotta avrà già dato un enorme impulso sulla via della rivoluzione. La presenza permanente di sindacati a livello nazionale continuerà ad essere un'enorme minaccia per la classe.
Poiché lo sciopero di massa non è un semplice avvenimento ma il susseguirsi di un movimento che si estende su un arco di anni, la sua forza, come risultato, non emergerà immediatamente, perfettamente, in modo pienamente maturo. Le forme che prenderà saranno adeguate al ritmo accelerato del periodo dello sciopero di massa, scandito da salti qualitativi nell'autorganizzazione, come da ritirate parziali e recuperi, sotto il fuoco costante dei sindacati, ma con l'aiuto portato dall'intervento chiaro dei rivoluzionari. Più di ogni altra, la legge storica del movimento della lotta di classe non risiede oggi nella sua forma ma nelle condizioni oggettive che la spingono avanti.
La dinamica dello sciopero di massa "non risiede nello sciopero di massa stesso né nei suoi dettagli tecnici, ma nelle dimensioni sociali e politiche delle forze della rivoluzione".
Questo significa che la forma della lotta di classe non ha importanza oggi, che è secondario che gli operai restino o no all'interno dell'inquadramento sindacale? Tutt'altro. Se la forza motrice dietro queste azioni resta l'interesse economico, questi interessi non possono realizzarsi che con il livello necessario di coscienza e organizzazione. E l'interesse economico della classe operaia - abolire lo sfruttamento - richiede un grado di autorganizzazione e di coscienza mai realizzato da alcuna altra classe nella storia. Di conseguenza, armonizzare la propria coscienza soggettiva con i propri interessi economici è il compito centrale del proletariato.
Se il proletariato si rivela incapace di liberarsi nei momenti decisivi dalla morsa organizzativa e politica dei sindacati, allora la classe non realizzerà mai il risultato ultimo dello sciopero di massa - la rivoluzione - ma sarà schiacciata dalla controffensiva della borghesia.
FS
Il testo che pubblichiamo qui di seguito è uno degli ultimi del "Gruppo di lavoratori marxisti" messicano, un raggruppamento che, nonostante la sua effimera esistenza, fa parte di quel movimento di risposta alla degenerazione dell'Internazionale Comunista che è noto con il nome di Sinistra Comunista. Lo pubblichiamo per portare una ulteriore testimonianza di quel prezioso lavoro di bilancio e di critica degli errori del passato che vari gruppi in tutto il mondo hanno fatto tra le due guerre, e che è in generale sconosciuto ai compagni, soprattutto in Italia.
Non può non colpire l'attualità del tema, le lotte di liberazione nazionale, che continuamente viene agitato dalla borghesia come mistificazione contro il proletariato: la campagna messa recentemente in atto dalle forze di "sinistra" sul Salvador ne è 1'ultima testimonianza.
La violenta
ostilità di tutte le forze della borghesia, la campagna di denuncia pubblica di
stile stalinista fatta dalla sezione messicana della IV Internazionale contro i
militanti e il gruppo in quanto provocatori, agenti di Hitler e di Stalin, la
repressione del governo di sinistra (vedi il loro "Appello"
pubblicato sul n°10 della nostra Revue Internationale), e soprattutto la
burrasca della guerra che si avvicinava velocemente ebbero ragione delle deboli
forze della sinistra messicana, impossibilitate a resistere a lungo contro una
tale coalizione.
Il "Gruppo dei lavoratori marxisti" sparì nella tormenta del 1939. Ma nel piccolo lasso di tempo ( 2 anni ) della sua esistenza, il gruppo comunista di sinistra del Messico seppe portare un efficace contributo nella difesa delle principale posizioni comuniste. Questo contributo, offerto negli anni più bui del movimento rivoluzionario internazionale, non deve restare sconosciuto alle nuove generazioni.
Il testo è uno studio analitico delle tesi del 2° Congresso dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale.
E' assolutamente inevitabile per ogni gruppo comunista che esca dal lungo corso della degenerazione e del tradimento finale della III Internazionale non solo denunciare la controrivoluzione staliniana ma anche sottomettere ad una critica minuziosa i lavori dell'Internazionale Comunista fin da i suoi primi anni, i gloriosi anni di Lenin. Proprio come le frazioni italiana e belga della sinistra comunista internazionale, la sinistra messicana non poteva contentarsi semplicemente di fare la apologia di tutto ciò che veniva da Lenin, come facevano i trotskisti o come sono tornati a fare ancora oggi tanti gruppi di sinistra comunista. Lo stalinismo non è caduto dal cielo. E se è assurdo gettare il bambino con l'acqua sporca, condannare cioè l'Internazionale Comunista perchè nel suo seno si è potuto sviluppare e trionfare lo stalinismo, è altrettanto assurdo pretendere che l'acqua sia sempre stata assolutamente pura e perfettamente limpida, presentare la storia dell'Internazionale divisa in due periodi ben separati, il primo dei quali, puro, rivoluzionario, viene bruscamente interrotto dall’esplodere della controrivoluzione. Queste fantasticherie di un paradiso felice e di un orribile inferno senza legami fra di loro non hanno niente a che vedere con un movimento reale, quale è la storia del movimento comunista in cui la continuità passa attraverso profonde rotture e in cui le rotture future hanno i loro germi nel processo stesso della continuità.
Nella prima parte di questo testo la sinistra messicana cerca di dimostrare come i trotskisti e altri "antimperialisti" snaturino senza vergogna le posizioni di principio enunciate nelle tesi del II Congresso dell'I.C. Essa rivendica i suoi principi internazionalisti come un'acquisizione del movimento comunista e denuncia ogni alterazione come una regressione verso posizioni nazionalistiche borghesi. Nel seguito la sinistra messicana si proponeva di fare la critica delle insufficienze, delle ambiguità che queste tesi contenevano, in particolare il terzo paragrafo della seconda tesi. Mentre i primi due paragrafi mettono chiaramente l'accento sulla separazione necessaria tra gli interessi di classe degli sfruttati e l'ingannevole concetto borghese di un sedicente interesse nazionale comune a tutte le classi, il terzo paragrafo resta nel vago, nella semplice descrizione dello sfruttamento intensivo della maggioranza dei paesi sottosviluppati da parte di una minoranza di paesi a capitale altamente sviluppato senza tirare altra conclusione che "questa è la situazione propria dell'epoca del capitale finanziario imperialista".
Da questa constatazione la maggioranza dell'Internazionale intorno a Lenin e al partito bolscevico concludeva che in certe circostanze, e precisamente in un periodo rivoluzionario, il proletariato concentrato nei paesi a più alto sviluppo capitalista poteva trovare nel suo assalto contro il mondo capitalista un appoggio nelle lotte di liberazione nazionale dei paesi sottosviluppati soggetti all'oppressione delle grandi potenze. L'errore di una tale conclusione sta nel fatto di far derivare meccanicamente, dall'esistenza di antagonismi tra paesi dominanti e paesi dominati, l'affermazione secondo cui questi antagonismi costituiscono un'opposizione storica inconciliabile con l'ordine sociale esistente.
La pretesa natura rivoluzionaria delle lotte di liberazione nazionale e delle varie guerriglie nazionaliste è stato uno dei cavalli di battaglia della borghesia per confondere le idee ad un proletariato che iniziava appena a ritrovare la via della lotta verso la fine degli anni '60. 0ggi l'aggravarsi della crisi economica ha fatto cadere molte maschere, dai Cubani, costretti a combattere come mercenari in Angola, ai guerriglieri Montoneros, che si sono recentemente accodati al governo dei generali torturatori dell'Argentina in nome della lotta di liberazione nazionale delle isole Falkland.
La sparizione della sua rivista, "Comunismo", nel 1939, ha impedito alla sinistra messicana di proseguire la sua critica implacabile delle posizioni ambigue della III Internazionale. Ma già questa prima parte del loro studio costituisce un contributo molto importante a questo lavoro.
Tocca ai rivoluzionari di oggi riprenderlo e continuarlo.
UN'ANALISI DELLE TESI DEL II CONGRESSO DELL'INTERNAZIONALE COMUNISTA - 1920 1a parte
SULLA QUESTIONE NAZIONALE E COLONIALE
"Abolite lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e avrete abolito lo sfruttamento di un nazione sull'altra".
Il paragrafo 2 delle Tesi del II Congresso dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale dice testualmente:
"Il Partito comunista, in quanto espressione cosciente della lotta di classe proletaria per lo abbattimento del giogo della borghesia, conformemente al proprio compito precipuo - che è quello di combattere la democrazia borghese e di smascherare le sue menzogne e ipocrisie - non deve muovere da principi astratti e formali sulla questione nazionale, ma prima di tutto da un'analisi precisa della situazione storica concreta e soprattutto economica; in secondo luogo, deve separare nettamente gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, dal concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali, che esprimono di fatto gli interessi della classe dominante; in terzo luogo, deve separare nettamente le nazioni oppresse, soggette, prive di diritti, dalle nazioni che opprimono, sfruttano e godono di ogni diritto, per contrapporsi alle menzogne della democrazia borghese che dissimulano l'asservimento coloniale e finanziario della grande maggioranza della popolazione mondiale da parte di un'infima minoranza di paesi capitalisti più progrediti e più ricchi, fatto caratteristico dell'epoca del capitale finanziario e del colonialismo". (riprodotto da J. Degras, "Storia dell'Internazionale Comunista", edizione Feltrinelli, Milano 1975).
Analizziamo questo paragrafo con cura, punto per punto.
LA LOTTA CONTRO LA DEMOCRAZIA.
La parte più significativa di questo paragrafo è senza alcun dubbio il suo inizio: l'affermazione chiara, senza equivoci, che il compito essenziale del Partito Comunista Mondiale non è la famosa "difesa della democrazia" di cui tanto ci parlano oggi i pretesi "comunisti", ma al contrario la lotta contro di essa.
Questa affermazione ripetuta tante volte in altre tesi dell'Internazionale dell'epoca di Lenin, benché oggi negata categoricamente dall'istituzione che porta ancora questo nome, serviva a Lenin e ai suoi compagni come punto di partenza proprio per lo studio delle questione nazionale e coloniale. E non c'è altro punto di partenza!
Quelli che non accettano la lotta contro la democrazia borghese come il compito principale dei comunisti, non possono mai dare una soluzione marxista a queste questioni.
LA MENZOGNA DELL ‘ EGUAGLIANZA NEL SISTEMA CAPITALISTA
Il primo paragrafo delle tesi spiega più in dettaglio quali sono questi "principi astratti e formali" che il Partito della Rivoluzione Proletaria deve rigettare come base della sua tattica nelle questioni nazionale e coloniale.
“È caratteristica della democrazia borghese, per la sua stessa natura, il porre in modo astratto o formale la questione dell'uguaglianza in generale, e dell’uguaglianza nazionale in particolare. Con la generica affermazione di una uguaglianza della personalità umana, la democrazia borghese proclama 1'uguaglianza giuridica formale del proprietario e del proletario, dello sfruttatore e dello sfruttato, ingannando fino in fondo le classi oppresse. L'idea di uguaglianza, che è di per sé un riflesso dei rapporti di produzione mercantili, viene trasformata dalla borghesia in uno strumento di lotta contro l'abolizione delle classi, col pretesto di una presunta uguaglianza assoluta della personalità umana".(ibidem)
La lotta per l'abolizione delle classi sarebbe evidentemente superflua se, come afferma la borghesia, 1'uguaglianza fosse realmente possibile allo interno della società attuale nonostante la sua divisione in classi. La verità è che non solo non c’è uguaglianza nel seno di questa società, ma che non può essercene. Le tesi aggiungono, alla fine del paragrafo citato:
"Il significato autentico della rivendicazione dell’uguaglianza consiste puramente nella rivendicazione di abolire le classi".
E ancora, al paragrafo 4, si parla di:
"Perché soltanto l'azione congiunta assicurerà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica nazionale”.
In altre parole: affermare l'esistenza dell'uguaglianza o, almeno nella società attuale, la possibilità della sua esistenza, ha lo scopo di mantenere in piedi lo sfruttamento e l'oppressione delle classi e delle nazioni. Rivendicare 1'uguaglianza sulla base dell'abolizione delle classi mira allo scopo opposto: la distruzione della società attuale e la costruzione di una nuova società senza classi. La prima è l'arma preferita di tutti i riformisti al servizio della controrivoluzione. La seconda è una rivendicazione del proletariato cosciente dei suoi interessi di classe, l’esigenza del Partito della Rivoluzione Proletaria Mondiale.
I PROLETARI NON HANNO “INTERESSI NAZIONALI”
Per il secondo punto delle tesi citate, il Partito Comunista Mondiale deve rigettare il "concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali" perchè questi interessi non esistono e non possono esistere giacché tutte le nazioni sono divise in classi dagli interessi opposti e inconciliabili, quindi quelli che parlano di "interessi nazionali" coscientemente o inconsciamente, difendono gli interessi delle classi dominanti. L’affermazione secondo cui potrebbero esistere degli "interessi nazionali", cioè interessi comuni a tutti i membri di una nazione, si fonda appunto sulla sedicente "uguaglianza formale e giuridica dello sfruttatore e dello sfruttato" proclamati ipocritamente dalle classi possidenti e sfruttatrici stesse.
Sulla strada di Marx ed Engels, noi dobbiamo combattere la menzogna che dice per esempio che "tutti i messicani" sarebbero uguali e che noi avremmo interessi comuni e quindi una "patria" comune da difendere. La patria appartiene a loro. I lavoratori, come è stato affermato con assoluta chiarezza nel Manifesto dei Comunisti cento anni fa, non hanno patria.
Il nostro futuro non conoscerà patrie differenti in nome delle quali le classi possidenti potranno spedire gli sfruttati sui campi di battaglia, ma una sola patria: 1'umanità lavoratrice.
IL BUON VICINO DELLA BORGHESIA MESSICANA
Per combattere con efficacia la borghesia e distruggere la sua società, noi dobbiamo rigettare non solo la menzogna dell'uguaglianza degli uomini all'interno delle nazioni, ma anche quella dell'uguaglianza delle nazioni. Dobbiamo dimostrare, come ci mostra il secondo punto delle tesi citate, che "l'asservimento dell'immensa maggioranza delle popolazioni del globo a una minoranza di ricchi paesi capitalisti (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone) mediante la potenza finanziaria e colonizzatrice" è "una situazione caratteristica dell'epoca del capitalismo finanziario e imperialista” e che questo asservimento, di conseguenza, non può sparire con qualche ipocrita dichiarazione contro l'imperialismo in nome di una sedicente politica di "buon vicinato", ma solo con la distruzione del capitalismo stesso, con la sua distruzione violenta da parte del proletariato mondiale.
Non dobbiamo stancarci di ripetere questa verità fondamentale, non in una forma astratta, generale, ma in una forma che smascheri concretamente ogni giorno l'ipocrisia democratica di cui parlano le tesi. Nel caso del Messico, è necessario smascherare la menzogna secondo cui un paese capitalista avanzato e, conseguentemente, imperialista come gli Stati Uniti, potrebbe essere il "buon vicino" di un paese capitalista arretrato come il Messico. Bisogna distruggere la menzogna secondo cui l'amicizia che lega in questo momento gli sfruttatori dell'America del nord ai servili sfruttatori messicani equivale a una "amicizia tra i popoli dell'America del nord e del Messico" come gli sfruttatori di questi due paesi vorrebbero far credere. Bisogna al contrario insistere sul fatto che i nostri soli buoni vicini sono i proletari e tutti gli oppressi degli Stati Uniti e del mondo intero, ai quali ci uniscono dei veri interessi comuni contro gli sfruttatori e le loro rispettive "patrie".
IL PATRIOTTISMO CONTRORIVOLUZIONARIO DEGLI STALINISTI E DEI TROTSKYSTI
Tutto quello che abbiamo detto è accettato "teoricamente" dai sedicenti "comunisti" di stampo stalinista e trotskista, ma, nella pratica, essi fanno il contrario. Gli stalinisti del Messico e degli Stati Uniti sono oggi in prima fila tra quelli che fanno l'elogio della "nuova politica" dell'imperialismo nordamericano. I trotskisti non lo fanno così apertamente, ma utilizzano il metodo indiretto che consiste nell'attaccare solo i "cattivi vicini" della borghesia messicana: l'imperialismo inglese, tedesco, giapponese...
Ma la loro lotta contro le posizioni fondamentali dell'Internazionale Comunista del tempo di Lenin va più lontano. Utilizzando un metodo proprio dei rinnegati, gli stalinisti e i trotskisti "dimenticano" il punto delle tesi che parla di "separare nettamente gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, dal concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali, che esprimono di fatto gli interessi della classe dominante" e si dedicano esclusivamente all'altro punto che parla di "separare nettamente le nazioni oppresse, soggette, prive di diritti, dalle nazioni che opprimono e sfruttano".
E’ quello che fa per esempio Trotsky nei suoi attacchi contro la nostra posizione sulla guerra cinese (vedere il bollettino interno della Lega Comunista Internazionalista del Messico n. 1). Con questo metodo, egli arriva esattamente alla stessa posizione degli stalinisti: invece di dimostrare ai proletari cinesi che i loro interessi di classe sono inconciliabili con i sedicenti "interessi nazionali" (in realtà gli interessi degli sfruttatori cinesi) e che, di conseguenza, essi devono lottare tanto contro i loro nemici "compatrioti" che contro il nemico invasore, mediante la fraternizzazione con i soldati giapponesi e il disfattismo rivoluzionario, Trotsky si sforza di convincere gli sfruttati in Cina che i loro interessi di classe coincidono in una certa misura, cioè sul punto della difesa della cosiddetta "patria", con gli “interressi nazionali" dei loro sfruttatori!
Per Trotsky "in generale" i proletari non hanno patria. Così egli resta "teoricamente” fedele al marxismo. Ma nel caso concreto dei proletari della Cina, del Messico, di tutti i paesi oppressi e dipendenti, cioè nel caso della schiacciante maggioranza dei paesi del mondo, questa fondamentale regola del marxismo non ha per lui nessuna applicazione. "Il patriottismo cinese è legittimo e progressista" afferma questo rinnegato. Ben inteso, per lui e per i suoi simili, la stessa cosa vale per il patriottismo messicano, guatemalteco, argentino, cubano, ecc.
ANCHE NEI PAESI OPPRESSI 1 LAVORATORI NON HANNO PATRIA !
Per un marxista non c'è alcun dubbio che tra i punti citati nelle tesi del Secondo Congresso dell'I.C. il più importante è appunto il secondo, quello che insiste sulla inesistenza di "interessi nazionali", e che la distinzione fatta nel terzo punto, tra "nazioni oppresse" e "nazioni che opprimono", si deve intendere in questo senso. In altri termini, anche nelle nazioni oppresse non esiste altro "interesse nazionale” che quello delle classi dominanti. La conclusione pratica di questa posizione teorica è che le regole fondamentali della politica comunista devono essere applicate a tutti i paesi, imperialisti, semicoloniali e coloniale. La lotta contro il patriottismo, la fraternizzazione con gli oppressi di tutti i paesi, ivi compresi i proletari e i contadini in uniforme dei paesi imperialisti, è una delle regole della politica comunista che non ammette eccezioni.
"Da tali principi deriva che tutta la politica dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale deve basarsi principalmente sull'avvicinamento dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e di tutti i paesi per la lotta comune per l'abbattimento dei grandi proprietari terrieri e della borghesia. Perché solo l'azione congiunta assicurerà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica nazionale."
L'applicazione di questa "pietra angolare" alle situazioni concrete esclude chiaramente ogni caso di "patriottismo legittimo" e di "difesa nazionale”.
Nel caso della guerra in Cina per esempio, quale altra applicazione può avere la regola generale della "lotta comune dei proletari di tutti i paesi contro la borghesia" se non quella della fraternizzazione tra i soldati cinesi e giapponesi per la lotta comune contro i capitalisti di entrambi i paesi, cioè il disfattismo rivoluzionario sui due fronti? Come si può fare entrare in questa regola generale la politica di Trotsky di partecipazione alla lotta militare sotto gli ordini di Chiang-Kai-Shek?
CAMBIAMENTI DI TATTICA, NON DEI PRINCIPI !
Per risponderci, Trotsky cita il caso di Marx ed Engels che hanno sostenuto la guerra degli irlandesi contro la Gran Bretagna e quella dei Polacchi contro lo zar, anche se in queste due guerre nazionali i capi erano più borghesi e in qualche caso anche feudali.
Il problema è che Trotsky, malgrado la sua grande conoscenza, non ha capito la primordiale importanza del primo punto che le tesi del II Congresso dell'I.C. presentano come "chiave di volta della questione nazionale”: “una analisi precisa della situazione storica ed economica.."
Il nostro grande storico ex-marxista non si ricorda che la tattica comunista non può essere la stessa nella fase ascendente del capitalismo (di cui ci cita due esempi di guerra progressive) e nella fase di decomposizione, la fase imperialista, quella che viviamo attualmente? Le circostanze storiche ed economiche sono cambiate a un punto tale dall’epoca in cui Marx ed Engels hanno sostenuto la guerra degli irlandesi e dei polacchi che sarebbe un suicidio per il proletariato seguire oggi la stessa tattica di allora.
È chiaro che i cambiamenti tattici non devono mai uscire dal quadro dei principi comunisti già stabiliti e la cui validità è stata verificata mille volte dagli avvenimenti. Più che uscire da questo quadro, ogni riaggiustamento tattico deve essere un’applicazione più corretta, più rigida di questi principi, perchè non sono solo le nuove situazioni che ci devono guidare nell’effettuare tali cambiamenti, ma anche l’esperienza storica, cioè lo studio dei nostri errori passati. Solo così si può mantenere la continuità della lotta comunista attraverso la decomposizione degli antichi organismi operai e la creazione di nuovi.
IL RINNEGATO TROTSKY REVISIONA IL MANIFESTO DEI COMUNISTI E LE TESI DEL II CONGRESSO DELL’I.C.
Uno dei principi fondamentali che deve guidare ogni nostra tattica sulla questione nazionale è l’antipatriottismo. “I lavoratori non hanno patria”. Chiunque propone una nuova tattica che va da contro questi principio abbandona le fila del marxismo e passa al servizio del nemico.
Ora, quello che è interessante è che lo stesso Trotsky che insiste sul fatto che il proletariato oggi deve seguire la stessa tattica dell’epoca di Marx ed Engels, abbandona apertamente il principio già affermato da loro due nel Manifesto dei Comunisti! Nella sua prefazione alla nuova edizione del Manifesto pubblicata recentemente nell’Africa del sud, questo rinnegato dichiara senza vergogna:
“E’evidente che la ‘patria nazionale’ che, nei paesi avanzati, è diventata il peggiore freno storico, resta ancora un fattore relativamente progressista nei paesi arretrati, quelli che non sono obbligati a lottare per la loro indipendenza.”
Così il rinnegato vuole regolare il suo orologio con cento anni di ritardo!
(Testo non completato)
1. Introduzione
Nell'ambiente politico proletario si sa, più o meno bene, cosa presume di essere la corrente bordighista, cioè un “Partito duro e puro” con un “Programma completo e invariante”. Naturalmente ciò appartiene più alla leggenda che alla realtà. Infatti nella realtà noi conosciamo, come “Partito” per esempio, almeno 4 o 5 gruppi provenienti dallo stesso troncone, tra cui Programma Comunista, che pretendono ognuno di essere l’unico erede, il solo legittimo, di quello che fu la Sinistra Italiana, e di incarnare il “Partito-storico” dei loro sogni. Probabilmente questa è la sola “invarianza” che li accomuna. Ciò che si conosce molto male, invece, o non si conosce per niente - e ciò è vero prima di tutto per la maggioranza dei militanti di questi partiti - sono le vere posizioni di questo “Partito” alla sua origine, cioè al momento della sua fondazione, nel '43-44, dopo e in seguito alla disgregazione del regime di Mussolini. Per rimediare a questa ignoranza riteniamo molto utile pubblicare qui uno dei primi documenti di questo nuovo partito (P.C. Internazionalista) apparso sul primo numero del suo giornale Prometeo. Questo documento, che riguarda una questione cruciale: la posizione dei rivoluzionari di fronte alla guerra imperialista e alle forze politiche che vi partecipano, permetterà ad ogni militante di farsi un’idea esatta sul grado di chiarezza e maturità delle posizioni politiche presenti alla fondazione di questo Partito, e l’azione pratica che necessariamente ne derivava.
2. Ciò che il P.C. Internazionalista pretende di essere
Per meglio vedere la differenza tra quello che pretende di essere e quello che è stato e continua ad essere sarà bene cominciare col ricordare ciò che pretende essere. Per farlo ci limiteremo ad alcune citazioni estratte da un articolo che voleva essere fondamentale e che serve sempre da riferimento: “Sulla via del ‘Partito compatto e potente’ di domani”, apparso sui numeri 18,19,20,22 del 1977 di Programma Comunista:
“… la sua esistenza [del partito] non è provata dal fatto che sia bell’e costruito anziché “in costruzione”, ma dal fatto che, come l'organismo si sviluppa sulla base delle cellule e articolazioni di cellule con le quali è nato, così esso cresca e si rafforzi coi mattoni delle sue fondamenta, le sue membrature teoriche e il suo scheletro organizzativo...” (P.C. n. 20, ottobre 1977).
Lasciando da parte lo stile sempre pomposo proprio dei bordighisti e facendo grandi riserve sull’affermazione che i “materiali teorici” siano l’unica ed esclusiva condizione per la proclamazione del Partito, indipendentemente dalla situazione di flusso o riflusso della lotta di classe, possiamo condividere l’idea che l’evoluzione ulteriore di una organizzazione dipende largamente dalle sue posizioni politiche e dalla sua coerenza iniziali. Programma Comunista ne è un’eccellente dimostrazione! Polemizzando con noi, l’autore dell'articolo è costretto ad esprimersi (per una volta non è peccato!) sulle posizioni difese dalla Frazione Italiana della Sinistra Comunista e sull’enorme contributo teorico e politico di questa sulla sua rivista Bilan e in seguito sulla rivista Octobre tra gli anni trenta e il 1945[1]:
“Rivendicare il filo che essa [la Frazione] riuscì a tenere ben saldo …, significa anche capire le ragioni materiali per cui la Frazione lasciò dietro di sé, accanto a molti valori positivi, degli elementi caduchi.” (P.C. n.19, ottobre 1977).
Questi elementi caduchi sono, tra gli altri, che:
“… la via della rinascita passa non già attraverso la scoperta di una falla nella propria corazza teorica e programmatica, ma, al contrario, attraverso la riscoperta della sua potenza in tutti i punti, e rifarsi ad essa come blocco monolitico, per riprendere il cammino. […] per capire fino in fondo, con gli strumenti originari - non trovati lungo la strada - della critica, le cause della rotta insieme ai presupposti in un futuro ritorno all’attacco.” (ibidem)
Aver commesso l’imprudenza di sottomettere a critica le posizioni dell’Internazionale Comunista
“… si tradusse per la Frazione in sbandamenti in questioni come quella nazionale e coloniale, e non tanto nel giudizio su che cos’era diventata la Russia, quanto nella ricerca di una via, diversa da quella battuta dai bolscevichi nell’esercizio della dittatura” (ibidem).
E più avanti Programma cita, come illustrazione delle eresie della Frazione, Bilan quando scrive:
“le frazioni di sinistra non potranno trasformarsi in partito che quando gli antagonismi fra la posizione del partito degenerato e la posizione del proletariato minacceranno tutto il sistema dei rapporti di classe…”[2]
aggiungendo:
“Su queste e analoghe formulazioni oggi speculano ad arte coloro che, come il gruppo Révolution internationale, teorizzano l’inevitabile degenerazione opportunistica di qualunque partito di classe pretenda di costituirsi prima dell’ondata rivoluzionaria futura, e che, nel frattempo, si dedicano ad una revisione completa delle Tesi costitutive dell'Internazionale presentata come il ‘bilancio’ preliminare alla rinascita del partito formale.” (ibidem).
Il partito bordighista non concepisce assolutamente che si possano sottoporre a critica, alla luce dell’esperienza reale, delle posizioni che si sono rivelate false o inadeguate. L’invarianza lo vuole. Notiamo comunque che, dopo aver salutato la “fermezza”, i “valori positivi”, Programma rigetta con altrettanta “fermezza” quello che costituisce giustamente l’essenziale del reale contributo dell’opera della Frazione. Quanto a noi, CCI, riconosciamo volentieri che questo apporto della Frazione ci è servito molto per il nostro proprio sviluppo e non solo nella questione del momento della costituzione del Partito, ma in tante altre questioni che l’articolo considera come “sbandamenti”. Il “blocco monolitico” di cui parla l’articolo, oltre a sembrarci una frase tronfia, non indica nient’altro che un ritorno al di qua delle posizioni della Frazione, e anche una regressione rispetto alla IC.
“È la piena consapevolezza di doversi conquistare un’influenza (che possiede solo potenzialmente) nella classe, e l'impegno messo nel lavoro diretto a questo scopo partecipando attivamente alle lotte e alle forme di vita associativa della classe, non solo propagandando il suo programma, che definisce come partito anche un piccolissimo numero di militanti, e che lo definì come tale fin da allora.” (P.C. n.20, ottobre 1977).
Ecco una nuova definizione della costituzione del Partito. Questa volta l’accento è messo sull’“attivismo”. Quell’attivismo proprio dei gauchisti, dai differenti partiti trotskisti ai maoisti. Programma c’è caduto spesso, sia ieri che oggi, dalla sua fondazione durante la guerra nel ‘43 fino al suo sostegno attivo alla guerra in Libano nel campo palestinese, passando per la partecipazione, a fianco di trotskisti e maoisti, ad ogni tipo di Comitato fantasma, quello dei soldati, di sostegno alla lotta della Sonacotra, degli immigrati, etc. In questa febbrile attività la questione era più quella di farsi portatori d’acqua al fine di “conquistare un’influenza sulla classe” che di “difendere il programma”. Ma ciò non gli impedisce di ricadere sulle zampe, come un gatto, scrivendo:
“La Frazione all’Estero, d’altronde, non si è puramente dedicata alla ‘ricerca teorica’, ma ha condotto un’aspra battaglia pratica: caso mai, è stato l’insufficiente sviluppo della prima, che ne ha fatto soltanto il preludio del Partito, non ancora il Partito.” (P.C. n.20, nota 6).
Passiamo sopra “l’insufficienza del lavoro teorico” della Frazione. Quest’ultima non ha mai avuto la pretesa di avere nella sua tasca un “programma acquisito”, sullo stile di Programma, e si contentava umilmente di voler essere un contributo allo sviluppo del programma alla luce di un esame critico dell’esperienza della prima grande ondata rivoluzionaria e della controrivoluzione che l’ha seguita. La Frazione non aveva, certo, questa megalomania propria del bordighismo all’indomani della guerra mondiale che, senza il minimo pudore e senza ridere, può scrivere:
“La storia del nostro piccolo movimento ha provato del resto che questo era il cammino da percorrere, e che il Partito sarebbe nato non perché e quando la classe avrebbe ritrovato, sotto la spinta di determinazioni materiali, la via unica e necessaria della ripresa, ma perché e quando una cerchia forzatamente ‘microscopica’ di militanti avrebbe attinto dalla comprensione delle cause della situazione oggettiva immediata e dalla coscienza dei presupposti della sua inversione futura la forza non di elaborare nuove teorie ad ‘integrazione’ del marxismo […], ma di ripresentare il marxismo nella sua intatta e immutata integralità e su questa base […] trarre il bilancio della controrivoluzione come totale conferma della nostra dottrina in tutti i campi…” (P.C. n.19).
“È per esservi giunta [al bilancio globale del passato, n.d.r.] che ha potuto (in quali condizioni e in base a quali presupposti lo si vedrà: non certo, lo diciamo subito, sull’onda di un movimento reale di classe in ascesa; anzi precedendolo di lunga mano) costituirsi in coscienza critica organizzata, in milizia operante, in Partito, venticinque anni dopo.” (P.C. n.18, ottobre 1977)
Dunque il Partito non può farsi che “nelle sue file”. Tuttavia sembra che sia capitato a questo Partito un riprovevole incidente di percorso, incidente di cui ancora si parla con qualche vergogna:
“Quando, nel 1949, allorché si era già cominciato a gettare le basi teoriche e programmatiche del Partito, si redasse l’Appello per la riorganizzazione internazionale del movimento rivoluzionario marxista, non si offrì ai piccoli e sparsi nuclei di operai rivoluzionari che in tutti i paesi mostravano, sia pure su scala microscopica, di reagire al corso rovinoso dell’opportunismo un emporio di mercanzie disparate fra le quali ‘scegliere’ liberamente così come liberamente erano state allineate alla rinfusa, e costruire con esse, compensando coi pregi delle une i difetti delle altre, l’amorfo edificio della sempre rincorsa e mai raggiunta ‘unità delle forze rivoluzionarie’: si offrì loro un terreno di lotta omogeneo perché basato sulla conferma, fornita insieme dalla ‘critica dottrinale’ e da ‘una terribile esperienza storica’, dell’improponibilità delle soluzioni presentate da ‘gruppi influenzati sia pure parzialmente e indirettamente dalle suggestioni è dal conformismo filisteo delle propagande che infestano il mondo’…” (Programma Comunista n.20)
Lasciamo da parte tutti questi giri di parole, che dovrebbero chiarire il senso di un documento che già, dal suo titolo stesso è perfettamente chiaro.
È molto più importante ricordare che non era la prima volta che il Partito Comunista Internazionalista lanciava simili Appelli - e purtroppo anche a forze ben diverse dai “piccoli e sparsi nuclei di operai rivoluzionari”. Come vedremo un simile Appello fu indirizzato in piena guerra imperialista a forze certo più “serie” per la costituzione di un “Fronte Operaio” per “l’Unità di classe del proletariato”.
Andiamo dunque a vedere questo Partito al lavoro, per capire veramente come è e come è stato a partire dalla sua fondazione.
___________________________________________
PROMETEO
Organo del Partito Comunista Internazionalista
Riportiamo qui l’appello indirizzato dal nostro Comitato di Agitazione ai Comitati di Agitazione del Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Partito del lavoro, Federazione Comunista Libertaria (attraverso l’allora Lega dei Consigli rivoluzionari), Sindacalisti Rivoluzionari, Partiti d’Azione in data 10 febbraio 1945:
Appello del Comitato d’Azione del P.C.INT.[3]
Il presente appello è rivolto dal Comitato d’Agitazione del Partito Comunista lnternazionalista ai Comitati d’Agitazione dei partiti a tradizione proletaria e dei movimenti sindacali di fabbrica per dare alla lotta rivoluzionaria del proletariato unità di direttive e di organizzazione alla vigilia di avvenimenti sociali e politici che dovranno rivoluzionare la situazione italiana e europea; e a tale scopo si fa iniziatore di un convegno dei rispettivi rappresentanti per addivenire alla definizione di un piano d'intesa.
Per facilitare tale compito, il Comitato di Agitazione del P.C.Int. espone brevemente il suo punto di vista programmatico che potrebbe considerarsi come iniziale base di discussione.
Perché abbiamo creduto opportuno di rivolgerci ai Com. d’Agit. e di fabbrica piuttosto che al C.C. dei rispettivi partiti?
Uno sguardo panoramico del fronte politico quale si è venuto precisando non solo nella lotta genericamente antifascista ma in quella più specificamente proletaria, ci ha convinti, e non da oggi, dell’impossibilità di trovare un benché minimo comune denominatore ideologico e politico su cui gettare le fondamenta di un’intesa di azione rivoluzionaria. Il diverso modo di considerare la guerra nella sua natura e nelle sue finalità, il diverso modo di concepire e definire l’imperialismo e di conseguenza il contrasto esistente nei metodi di lotta o sindacale o politica o militare documentano a sufficienza ·tale impossibilità.
D’altro canto, siamo tutti d’accordo nel considerare la crisi aperta dalla guerra come la più profonda e insanabile che si sia abbattuta sul regime borghese; nel considerare il regime fascista come socialmente e politicamente finito, anche se le armi tedesche gli servono tuttavia di ossigeno, anche se si dovrà duramente e sanguinosamente combattere per sradicarlo dal suolo italiano; nel considerare infine il proletariato come il solo grande protagonista nella nuova storia del mondo che sta per sorgere da questo immane conflitto.
Ma il trionfo del proletariato è possibile alla sola condizione che esso abbia preventivamente risolto il problema della sua unità nell’organizzazione e nella lotta. E una tale unità non si è realizzata, né potrà mai realizzarsi sul piano del C.d.L.N. [Comitato di Liberazione Nazionale, ndr], il quale, sorto da ragioni contingenti scaturite dalla guerra, che si è voluto assumesse aspetto di guerra ideologica contro il fascismo e l’hitlerismo, era costituzionalmente impotente a porre problemi che superassero tale contingenza, non ha fatto proprie le rivendicazioni proletarie e gli obbiettivi storici della classe operaia, che si sarebbero del resto urtati con le ragioni e le finalità della guerra democratica di cui il C. di L.N. si è fatto assertore e animatore, e si è dimostrato così incapace a convogliare unitariamente le profonde e vere forze del lavoro.
Di fronte alla guerra è a tutt’oggi possibile, costrizioni ideologiche a parte, vedere sullo stesso piano di lotta, accanto ai rappresentanti dell’alta finanza, del capitalismo industriale e agrario, ·quelli dell’organizzazione operaia; ma chi oserebbe pensare ad un C. di L.N. centro propulsore della lotta di classe e dell’assalto rivoluzionario al potere borghese, nel quale dominassero i De Gasperi, i Gronchi, i Soleri, i Gasparotto, i Croce, gli Sforza, ecc.?
Se il C. di L.N. può essere storicamente idoneo a risolvere i problemi connessi allo stato di guerra e alla sua continuazione nei quadri dello stato borghese, non sarà in nessun caso l’organo della rivoluzione proletaria, compito proprio, questo, di quel partito di classe che meglio avrà interpretato le esigenze fondamentali del proletariato e avrà più profondamente aderito alle necessità della sua lotta. Ma questo stesso partito si sentirà impotente a concludere la sua missione storica se si troverà davanti un proletariato moralmente e fisicamente scisso, sfiduciato dalla inanità delle lotte intestine, scettico nella valutazione del suo stesso avvenire.
È questo l’angolo morto che abbiamo conosciuto in tutte le situazioni di crisi degli ultimi decenni, e contro cui sono sempre andati ad infrangersi i marosi della rivolta proletaria. Con un proletariato disunito non si va all’attacco del potere borghese, e dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che, attualmente, il proletariato italiano è disunito e scettico, come disunito e scettico è il proletariato europeo. Il comandamento dell’ora è perciò l’unità classista del proletariato che troverà nella fabbrica e in ogni altro posto di lavoro l’ambiente naturale e storicamente idoneo all’affermazione di tale unità. A questa sola condizione il proletariato sarà in grado di volgere a suo vantaggio la crisi del capitalismo che la guerra ha aperto, ma che è impotente a risolvere.
Concludiamo questo nostro Appello riassumendo in alcuni punti di sintesi il nostro pensiero:
1) Poiché le ragioni, le finalità, la prassi della guerra dividono il proletariato e le sue forze di combattimento, alla politica che mira a subordinare alla guerra la lotta di classe si dovrà contrapporre la subordinazione della guerra e di tutte le sue manifestazioni alla lotta di classe.
2) Auspichiamo alla creazione di organismi unitari del proletariato che siano emanazione della fabbrica e delle aziende commerciali e agrarie.
3) Tali organismi saranno di fatto il fronte unico di tutti i lavoratori, dai quali si origineranno democraticamente i Comitati di Agitaz.
4) Tutti i partiti legati alla lotta del proletariato avranno in esso diritto di cittadinanza per propagandare le loro idee e i loro programmi: pensiamo anzi che sarà proprio in virtù di questo sano conflittare di idee e di programmi che il proletariato perverrà alla sua maturità politica e alla libera scelta di quell’indirizzo politico che lo condurrà alla vittoria.
5) La lotta del proletariato, dalle agitazioni parziali all’insurrezione armata per trionfare dovrà svilupparsi su di un piano di classe, per culminare nella conquista violenta di tutto il potere che costituisce l’unica e seria garanzia di vittoria.
10 febbraio 1945.
Il Comitato d’Agitazione del Partito Comunista Internazionalista.
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3. Commenti del PC.Int alle risposte degli altri partiti
A quest’appello, mentre non giungeva, riteniamo per ragioni contingenti, la risposta del Comitato d’Agitazione del P.D.A., e la Comunità di Milano del Partito del Lavoro dichiarava di non poter prendere in considerazione, come avrebbe fatto in condizioni più favorevoli, la nostra proposta perché “la particolare linea politica seguita dal P.I.L., benché volta alla rivoluzione proletaria, non consente al P.I.L. di esercitare per ora alcuna influenza sulle masse dell’Italia settentrionale”, giungeva invece la piena adesione dei Sindacalisti Rivoluzionari, che esplicitamente accettavano di collaborare alla creazione di organismi unitari di base e si dichiaravano pienamente consenzienti col nostro punto di vista sulla lotta concreta contro la guerra, e dei Comunisti Libertari, i quali riconoscevano nei termini della proposta ricevuta il terreno sul quale essi stessi si trovano, “sia riguardo alla situazione generale politica, sia per l’atteggiamento nei confronti della guerra, sia per la necessità di un un’organizzazione classista dei lavoratori che punti direttamente alla rivoluzione espropriatrice mediante la costituzione dei Consigli di gestione dei lavoratori stessi ...” e si compiacevano “che tale punto di vista sia condiviso dai compagni comunisti internazionalisti”.
È per contro addirittura stupefacente che il P.C.I. si rifiutasse attraverso comunicazione verbale di risponderci, essendo già stato più volte espresso attraverso la sua stampa il suo giudizio sul nostro partito. Poco dopo, infatti, a conclusione dì una sporadica campagna di denigrazione contro di noi (accusati di essere... spie nazifasciste o dei fascisti mascherati), usciva sulla “Fabbrica”, un trafiletto a noi dedicato col significativo titolo “Provocatori”, in cui ci si riferiva direttamente ai nostri approcci per la costituzione di organismi di fronte unico operaio e, in marzo, seguiva una circolare della Federazione Milanese agli organismi di base in cui si invitavano “le Sap a intervenire energicamente per la necessaria epurazione, nei nostri confronti", splendido preludio alla tanta conclamata e sbandierata, democrazia progressiva (in verità, il gangsterismo fascista ha avuto i suoi discepoli).
Tradizionalmente incapace di rispondere sì o no, il Partito Socialista ha invece risposto: “Cari compagni, in risposta al vostro appello, vi confermiamo che il nostro Partito non ha pregiudizialmente nulla in contrario a che vostri compagni partecipino ai Comitati di Agitazione periferici in quelle fabbriche ove il vostro Partito ha realmente un seguito, e sempre che la loro collaborazione sia data nel quadro della lotta generale delle masse per cui i Comitati di Agitazione stessi sono sorti”.
A questa lettera, che lasciava adito a nuovi passi, ma girava elegantemente la questione, abbiamo risposto: “Cari compagni, avremmo preferito che la risposta vostra fosse più conforme alle questioni poste dal nostro documento e, in questo senso, più conclusiva, evitando la perdita di tempo, tanto più che la situazione politica, in conseguenza degli avvenimenti militari, si aggrava di momento in momento, e pone alla massa in genere, e ai partiti proletari in particolare, compiti sempre più gravi ed urgenti. Ciò premesso, ci permettiamo di fermare la vostra attenzione su questi due punti: a) la nostra iniziativa non poneva la questione di un’adesione a comitati di agitazione già esistenti di questo e quel partito, ma di un’intesa fra gli organismi direttivi di tali comitati al fine di concretare un piano di azione comune per risolvere unitariamente tutti i problemi scaturienti dalla crisi in atto del capitalismo; b) era implicito che la nostra iniziativa non poteva avere per obiettivo una troppo comoda e generica “lotta generale delle masse” ma la creazione di organismi a rappresentanza proporzionale nati sul terreno della classe e aventi obiettivi di classe. Va da sé che tali comitati non possono· aver nulla di comune coi Comitati sorti sul piano della politica del C.L.N. che come voi c’insegnate, non può essere considerato un organismo di classe. Vi sollecitiamo pertanto ad esserci prontamente precisi su questi punti dai quali è ovvio che dipenda la possibilità di un lavoro comune”. A questa lettera non ci è giunta a tutt’oggi risposta.
4. Conclusioni
Possiamo risparmiarci la pena di fare dei commenti. Un Appello indirizzato a P.C. e P.S., (forze vive del proletariato!), per la costruzione dell’unità proletaria parla da sé, al di là di tutte le astuzie tattiche consistenti nel fatto che non è il Partito in prima persona che lo rivolge direttamente agli altri partiti, ma per via intermedia attraverso un “Comitato di Agitazione” fantasma del Partito che lo rivolge ai “Comitati di Agitazione” degli altri partiti.
Bisogna aggiungere che da questo Appello non ne uscì niente (a buon motivo!), salvo il fatto di lasciarci una testimonianza, una indicazione su un partito che è “cresciuto... con i materiali che sono serviti a costruirlo, con le sue membrature teoriche e il suo scheletro organizzativo”. Ma in effetti è sbagliato dire che questo Appello non abbia prodotto niente. Ecco quale fu il suo risultato:
“Seguendo le direttive dei nostri organi dirigenti, sotto la pressione degli avvenimenti, i nostri compagni - dopo aver preventivamente messo in guardia le masse contro i colpi di testa prematuri e dopo aver ripetutamente indicato quali obiettivi (obiettivi di classe) bisognava raggiungere - si sono uniti senza distinguersi alle formazioni che operavano nell’opera di distruzione dell’odioso apparato fascista partecipando alla lotta armata e all’arresto dei fascisti...” (Colpo d’occhio panoramico sul movimento delle masse nelle fabbriche, in Prometeo n.2, maggio 1945, citato anche in: A. Peregalli, “L’Altra Resistenza, la dissidenza di sinistra in Italia 1943-45).
Questo per quanto riguarda il Partito nel nord del paese. Quanto al sud, possiamo citare come esempio Catanzaro dove i militanti bordighisti raggruppati intorno a Maruca, futuro dirigente del gruppo di Damen, restano nel PCI stalinista fino al 1944, data in cui passano alla “Frazione di sinistra del PCI e del PSI” formatasi nel centro-sud.
“Maruca afferma (nel 1943) che la vittoria del fronte antifascista è la condizione storica indispensabile perché il proletariato e il suo partito siano messi nella condizione di compiere la loro missione di classe”. (citato nell’opera suddetta di A. Peregalli).
In conclusione, per quello che riguarda l’attuale Programma Comunista, possiamo dire: dimmi da dove vieni e saprò dove vai.
M.C.
(tradotto dalla Révue Internationale n. 32, I trimestre 1983).
[1] L’autore parla dell’attività della Frazione dal 1930 al '40, passando completamente sotto silenzio la sua esistenza ed attività tra il '40 e il '45, anno della sua dissoluzione. È per semplice ignoranza o per evitare di dover fare un paragone tra le posizioni difese dalla Frazione durante la guerra e quelle del P.C. Internazionalista costituito nel '43-44?
[2] Vers l'Internationale deux et trois quarts...? in Bilan n°1, bollettino teorico mensile della Frazione.
[3] Riportato in Prometeo n°1, aprile 1945 [11].
Quando la nostra organizzazione ha pubblicato, all’inizio del 1983, l’articolo Il Partito Comunista Internazionale (Programma Comunista) alle sue origini. Come è e come pretende di essere [19], comparso sulla Rivista Internazionale nelle varie lingue in cui questa viene pubblicata, Battaglia Comunista, attuale componente della Tendenza Comunista Internazionalista (TCI), si è sentita toccata e ha dedicato a tale articolo, sul numero 3 del suo omonimo giornale dello stesso anno, il commento che segue, a cui noi abbiamo dato la dovuta risposta.
A proposito di provenienze (commento di Battaglia Comunista)
Capita spesso che nella polemica di parte, chi non ha argomenti troppo validi ricorra alle furbate, fra il retorico e il demagogico. È così che per esempio la CCI, argomentando sulla crisi di Programma Comunista su Revue Internationale 32, fa finta di trovare nelle origini del P.C.Int. e quindi nel periodo ‘43-‘45, i peccati originari che votavano alla dannazione il P.C.Int. (o almeno uno dei tronconi in cui nel ‘52 si scisse).
Non vogliamo qui farla lunga, facciamo solo notazioni telegrafiche.
1) Il documento “Appello del Comitato d’Agitazione del P.C.Int.”, contenuto nel n. 1 di Prometeo aprile ‘45, fu un errore? Concesso. Fu l’ultimo tentativo della Sinistra Italiana di applicare la tattica di “fronte unico dal basso” preconizzata dal P.C.d’I. in polemica con l’Internazionale negli anni ‘21-‘23. Come tale noi lo cataloghiamo fra i “peccati veniali” perché i nostri compagni seppero mondarsene definitivamente, sul piano sia politico che teorico con una chiarezza che oggi ci rende sicuri di fronte a chiunque.
2) Qua e là alcuni altri errori tattici sono stati commessi e, senza aspettare la CCI, ce li siamo già rivisti da soli da un bel pezzo e ce li rivediamo continuamente per metterci in guardia dal ripeterli. Ma erano, quelli, errori che non ci hanno impedito di andare avanti, appunto correggendoli e non ci hanno mai portato fuori dal terreno, che ci è proprio, del marxismo rivoluzionario.
3) È chi sta fermo che non sbaglia mai, o chi non c’è. E allora nel cuore della guerra imperialista, mentre le masse sfruttate e spinte al macello accennavano alcune prime reazioni e tendenze a rompere la rete delle forze interclassiste, legate ai blocchi imperialisti, “i padri” della CCI, sentenziato che il proletariato era sconfitto perché aveva... accettato la guerra, se ne stavano al caldo, senza minimamente pensare di “sporcarsi le mani” nel movimento operaio.
4) Dopo di che, sentenziato che il proletariato non era più prostrato e sconfitto, sono riapparsi, hanno raccolto un po’ di studenti e di capziosi intellettuali, per “fecondare” le nuove lotte rivoluzionarie di cui saremmo in presenza o in attesa che grandiosamente ci portino diritti alla rivoluzione. Ed eccoci dunque al vero errore di fondo della CCI. Il peccato di origine della CCI sta proprio nella impostazione dei problemi: su questo come su quello del rapporto di classe-coscienza-partito. Se (e diciamo se, perché è una probabilità elevata da mettere in conto) la guerra scoppia prima che la classe operaia insorga, la CCI non potrà che... tornarsene a casa, mentre noi, ancora una volta, ci “sporcheremo le mani”, operando con tutta la concretezza che ci sarà consentita dalle nostre forze organizzative, per il disfattismo rivoluzionario durante e dopo, come prima della guerra stessa.
5) Per quanto riguarda gli errori di Programma, sono grandi come è grande il suo opportunismo di fondo. Lo abbiamo già scritto (v. numeri precedenti di BC): anche in Programma Comunista sono rimaste “aperte” (nonostante dicessero, prima, il contrario) questioni enormi: quella dell’imperialismo e delle guerre nazionali e quella - guarda caso - sindacale. Su queste sono entrati in crisi, così come è entrata in crisi la CCI.
E, ci si permetta, non è quello che scrivemmo sul n. 15-16 del dicembre ‘81? In “Crisi delle CCI o del movimento rivoluzionario?” dichiaravamo che ad essere in crisi sono «solo certe ben individuabili organizzazioni». CCI e Programma. Quelle organizzazioni, per intenderci, che non avendo le idee chiare su problemi maggiori, “saltano” quando questi, in un modo o nell’altro, andando in avanti o all’indietro, emergono con forza. Sono le organizzazioni-crisi, quelle che nel movimento non reggono: appaiono “vive” solo quando la situazione è ferma; così come un peso morto si regge finché l’equilibrio delle forze non è turbato.
La nostra risposta (CCI)
Per prima cosa, prendiamo atto che Battaglia conferma l’autenticità e fedeltà all’originale del testo da noi pubblicato. Chiarito questo, Battaglia si interroga: “fu un errore? Concesso”, ma si tratta tutt’al più di un “peccato veniale”. Non si può che restare ammirati per la delicatezza con cui ci si esprime, per l’abilità nel non ferire la propria sensibile suscettibilità. Se un’offerta di fronte unico ai macellai stalinisti e socialdemocratici è un semplice peccato veniale, per poter parlare esplicitamente di sbandate che cosa avrebbe dovuto fare il PCInt. nel ‘45? Entrare nel governo? Ma Battaglia ci rassicura: i propri errori se li è rivisti da un bel pezzo, senza aspettare la CCI, e quindi non ha mai avuto motivo di nasconderli. Può essere. Ma quando nel 1977 abbiamo per la prima volta accennato sulla nostra stampa alle sbandate collezionate dal PCInt. nell'immediato dopoguerra, Battaglia replicò con una lettera indignata in cui ammetteva le sbandate, ma sosteneva che erano responsabilità esclusiva dei compagni poi usciti nel '52 a costituire Programma Comunista. Già allora rispondemmo che ci sembrava strano che Battaglia si lavasse le mani di tutto: “In altri termini: alla costituzione del PCInt. abbiamo partecipato noi e loro; ciò che c’era di buono eravamo noi, il cattivo erano loro. Ammettendo che fosse così, rimane il fatto che questo ‘cattivo’ c’era... e che nessuno ha trovato nulla da ridire...” (Risposta a B.C.: “Ambiguità sulla natura di classe della ‘Resistenza’ nella fondazione del PCInt.”, Rivoluzione Internazionale n.7, 1977).
È troppo facile accettare in silenzio compromesso su compromesso per fare il partito con Bordiga (il cui nome in Italia richiama migliaia di aderenti) e con Vercesi (che assicura una rete di contatti all’estero), e poi, quando le cose vanno a scatafascio, mettersi a strillare che è tutta colpa dei bordighisti. Per fare un compromesso bisogna essere almeno in due... A parte questo, la pretesa di rigettare ogni colpa sui “cattivi” non regge più. L’appello del ‘45 non è stato scritto dai “gruppi del sud” che facevano riferimento a Bordiga, ma dal centro ufficiale del partito al Nord, costituito dalla tendenza Damen, oggi Battaglia Comunista. Per fare ancora un solo esempio fra mille possibili, possiamo ricordare che le peggiori sbandate localiste ed attiviste vennero dalla Federazione di Catanzaro, diretta da Francesco Maruca che era rimasto nel PCI stalinista fino alla sua espulsione nel 1944. Ora, al momento della scissione del ’52, la Federazione di Catanzaro non è confluita in Programma ma è rimasta in Battaglia, ed infatti un articolo su Prometeo n. 26/27 del 1976 ancora additava Maruca come un militante esemplare. Vero è che l’articolo (di natura apologetica) non faceva parola delle posizioni tenute allora da Maruca, anzi, per far quadrare meglio i conti, anticipava di ben quattro anni, al 1940, la sua esclusione dal PCI. Ecco come Battaglia fa continuamente i conti con i suoi errori...
All’inizio B.C. vantava pubblicamente un passato senza macchia alcuna. Poi, quando le sbandate sono venute alla luce, le ha attribuite ai programmisti. Quando non ha potuto più negare la propria partecipazione, ci ha ripensato e le ha ridotte a semplici peccati veniali. Ma le sbandate bisogna pur scaricarle su qualcuno e questa volta è toccato a noi, o meglio ai nostri “padri” che “sentenziato che il proletariato era sconfitto perché aveva accettato la guerra, se ne stavano al caldo, senza minimamente pensare di 'sporcarsi le mani' nel movimento operaio”.
L’accusa di diserzione dalle trincee di classe è un’accusa grave e la CCI tiene a rispondere immediatamente, non tanto per discolpare sé stessa o i suoi “padri” - non ce ne sarebbe bisogno - ma per difendere l’ambiente rivoluzionario da pratiche inammissibili quali quella di fare accuse gravissime senza sentire minimamente il bisogno di provare quello che si afferma. È fuori di dubbio che tutta una parte della Frazione Italiana e Frazione Belga della Sinistra Comunista Internazionale durante la guerra considerò il proletariato come socialmente non esistente ed abbandonò di conseguenza ogni attività di classe, fino a partecipare, verso la fine della guerra, al Comitato Antifascista di Bruxelles. Contro questa tendenza, guidata da Vercesi reagirono la maggioranza della Frazione Italiana raggruppatasi a Marsiglia e - a partire dal ‘42 - il nuovo nucleo francese che, alla fine del ’44, si costituì in Sinistra Comunista di Francia, iniziando la pubblicazione della rivista Internationalisme e del giornale di agitazione L’Etincelle. Lo scontro si focalizzò sulla natura di classe degli scioperi del '43 in Italia:
“Una tendenza della Frazione Italiana, la tendenza Vercesi, ed in parte anche la Frazione Belga, negavano, e questo fino alla fine della guerra, l’apparizione del proletariato italiano sulla scena politica... Il proletariato italiano, secondo questa tendenza, era e continuava ad essere assente sia politicamente che socialmente. Questa per far quadrare i conti con tutta la loro teoria sulla ‘inesistenza sociale del proletariato durante la guerra e per tutto il periodo dell’economia di guerra’. Prima e dopo il ‘43 questi elementi sostenevano la passività assoluta, fino alla dissoluzione organizzativa della Frazione. Assieme alla Frazione Italiana noi abbiamo combattuto questa tendenza liquidazionista nella Sinistra Comunista Internazionale. Assieme alla Frazione Italiana noi abbiamo analizzato gli avvenimenti del 1943 in Italia come una manifestazione avanzata di scontro sociale e dell’apertura del corso alla Rivoluzione ed abbiamo sostenuto l’orientamento della trasformazione della Frazione in Partito” (“A proposito del I Congresso del PCInt. d’Italia”, Internationalisme n.7, gennaio 1946).
Nel 1945 si ha tutta una serie di colpi di scena. Quando si viene a sapere che in Italia si è effettivamente costituito un partito dalla fine del ‘43, la tendenza Vercesi, con un triplo salto mortale, si ritrova nella direzione di quel partito, assieme alla tendenza esclusa nel ‘36 per la sua partecipazione alla guerra di Spagna ed alla maggioranza della Frazione Italiana che le aveva escluse entrambe!
Unici estranei a questo abbraccio opportunista sono i nostri “padri” di Internationalisme. E non senza motivo. Proprio perché, al contrario di Vercesi, sono stati in prima fila nel lavoro illegale durante la guerra per la ricostituzione dell’organizzazione proletaria, non sentono il bisogno di nascondersi dietro alle grida di “viva il partito”. Al contrario, constatando che il capitalismo è riuscito a sconfiggere le reazioni operaie contro la guerra (Marzo ‘43 in Italia, Primavera ‘45 in Germania) ed a precludere ogni possibilità di apertura di situazioni prerivoluzionarie, iniziano a porsi la questione se sia ancora valida la prospettiva della trasformazione della Frazione in Partito. Inoltre la Sinistra Comunista di Francia, pur continuando a difendere la natura proletaria del PCInt., anche di fronte agli attacchi degli altri gruppi[1], non per questo accettava di stendere un velo pietoso sulla sua disomogeneità politica e le sue continue sbandate. Al contrario non cessava di esigere una rottura politica con tutte le tentazioni opportuniste:
“... o la tendenza Vercesi liquida pubblicamente di fronte al partito ad al proletariato la sua politica di Coalizione antifascista e tutte le sue teorie opportuniste che l'hanno portata a questa politica, oppure tocca al Partito, dopo una discussione politica aperta, liquidare teoricamente, politicamente ed organizzativamente la tendenza opportunista di Vercesi” (Ibidem).
Quale fu la reazione del PCInt.? Per più di un anno fece orecchie da mercante ed ignorò i ripetuti appelli di Internationalisme. Alla fine del ‘46, in occasione della ricostituzione dell’Ufficio Internazionale della Sinistra Comunista Internazionale ad opera del PCInt. e dei nuclei francesi e belga che vi facevano riferimento, Internationalisme inviò un’ennesima lettera aperta in cui chiedeva di partecipare alla Conferenza, in vista di una discussione franca sui punti lasciati sotto silenzio e di una definitiva delimitazione politica dalle sbandate opportuniste. Come tutta risposta ebbe questa lettera:
“Poiché la vostra lettera dimostra una volta di più la costante deformazione dei fatti e delle posizioni politiche prese sia dal PCInt. che dalle Frazioni francese e belga, poiché dimostra che non siete un’organizzazione politica rivoluzionaria e che la vostra attività si limita a gettare confusione e fango sui nostri compagni, noi abbiamo escluso all’unanimità la possibilità di accettare la vostra domanda di partecipare alla riunione internazionale delle organizzazioni della S.C.I.”[2]
Così i “padri” di Battaglia, pur di conservare l’alleanza opportunista con la tendenza Vercesi, liquidarono l’unica tendenza della S.C.I. che aveva avuto il coraggio politico di non adattarsi ad avere paraocchi chiusi e memoria corta. Quanto al coraggio fisico, non è nostra abitudine vantarcene, ma possiamo assicurare a Battaglia che ci voleva molto più coraggio ad attaccare manifesti disfattisti contro i partigiani durante la “liberazione” di Parigi che non a partecipare, inquadrati nelle file partigiane, alla caccia ai fascisti durante la “liberazione” del Nord-Italia.
Tornando ai nostri giorni, Battaglia dice che non è il movimento rivoluzionario ad essere in crisi, ma la CCI, Programma, tutti gli altri gruppi della Sinistra Italiana (ad eccezione di Battaglia) ed in più tutti i gruppi degli altri paesi che non hanno partecipato alla Conferenza Internazionale organizzata da B.C. e dalla C.W.O. Ma, scusate, se leviamo questi gruppi, cosa resta? Giusto Battaglia e la C.W.O.! Tanto valeva allora sostenere che il movimento rivoluzionario non esiste e per questo non può essere in crisi. Inoltre la crisi non si manifesta solo con disintegrazione di gruppi o scissioni, si manifesta anche con le sbandate politiche, come quando la CWO sosteneva che in Polonia bisognava “fare la rivoluzione, subito!” o quando Battaglia presentava forze più che dubbie come 1’U.C.M. iraniano ed il Komala curdo come organizzazioni comuniste e si spingeva fino a sostenere acriticamente “lo scambio di prigionieri” (!) fra il Komala e l’esercito iraniano. Bisogna notare che sia Battaglia che la CWO hanno corretto i loro errori dopo le fraterne critiche apparse sulla nostra stampa, specie inglese. Ma questo dimostra appunto che le esitazioni temporanee di ogni gruppo possono essere corrette anche grazie all’apporto di altri gruppi e che quindi nessuna organizzazione rivoluzionaria può considerarsi totalmente indipendente dall’insieme dell’ambiente rivoluzionario.
Battaglia ritiene che, ripubblicando i documenti del movimento rivoluzionario, la CCI voglia dimostrare che Battaglia ha una storia piena di errori e quindi si trova fuori dal campo proletario. In questo B.C. commette un grave errore. Le esitazioni di un Maruca non appartengono a Battaglia, più di quanto non le appartenga il disfattismo coerente di un Damen, così come errori e contributi di Vercesi non appartengono a Programma Comunista. Tutto questo, nel bene e nel male, costituisce un patrimonio di tutto il movimento rivoluzionario e spetta all’insieme del movimento farne un bilancio critico che permetta di trarne tutte le lezioni. Questo bilancio non può essere fatto dai singoli gruppi, rinchiusi a leccarsi ciascuno le sue ferite, ma richiede la possibilità di un dibattito aperto ed organizzato, come era possibile nel quadro delle Conferenze Internazionali della Sinistra Comunista. Battaglia ha contribuito ad affossare le Conferenze; non è dunque sorprendente che oggi non capisca come contribuire al dibattito.
Una nota finale
Molti compagni - non essendo già familiarizzati con la storia della Sinistra Comunista - potrebbero avere qualche difficoltà ad orientarsi nei riferimenti ad una fase del movimento rivoluzionario di cui si sa poco o niente. Ce ne rendiamo conto, ed è proprio per colmare questo “buco” nella comprensione del nostro passato che la CCI si è assunta il compito di ripubblicare tutta una serie di vecchi testi, la cui conoscenza può offrire una base più solida alla ripresa del dibattito rivoluzionario oggi. Dopo l’articolo di B.C. riprodotto sopra, la ripubblicazione dell’Appello del ‘45 ha stimolato anche la CWO a replicare con un articolo sul n.20 di Revolutionary Perspectives (nuova serie). In attesa di rispondere con la dovuta ampiezza alle critiche fatteci da questi compagni, ci limitiamo ad una breve osservazione di metodo. Per la CWO, la CCI mente parlando di appello agli stalinisti, “lasciando così intendere che fosse rivolto al partito stalinista e non semplicemente ai lavoratori caduti sotto la sua influenza” (R.P. n.20, pag.36). A questo punto ci sono due obiezioni da fare. In primo luogo, non è vero: l’Appello non è indirizzato ai lavoratori ingannati dai partiti controrivoluzionari, ma ai Comitati di Agitazione del partito stalinista, socialdemocratico, ecc. In secondo luogo, anche se la CCI si fosse sbagliata nel valutare l’Appello, non ha “lasciato intendere” niente, ma ha ripubblicato il testo integralmente in modo che tutti i compagni potessero giudicarlo di persona. A proposito, sul contenuto del testo, che giudizio dà la CWO? Atteggiamenti di questo tipo non sono produttivi e soprattutto sono in contraddizione con l’eccellente iniziativa di pubblicare sullo stesso numero di Revolutionary Perspectives tutta una serie di testi di discussione interna sulla Sinistra Italiana, “per portare il nostro dibattito di fronte all’insieme del movimento rivoluzionario”. Fino ad ora la CCI era praticamente la sola organizzazione a pubblicare sulla sua stampa alcune delle sue discussioni interne. Alla CCI ed alla CWO non resta che augurarsi che Battaglia Comunista segua il loro esempio.
Beyle
[1] Vedi, nell’articolo citato, il paragrafo “I rivoluzionari (in Italia, n.d.r.) debbono aderire al PCInt. d’Italia”, in risposta ai Comunisti Rivoluzionari di Francia e Germania.
[2] Tutti questi documenti furono pubblicati sul n.16 di Internationalisme, dicembre 1946. La lettera aperta della Sinistra Comunista di Francia al PCInt. è stata riprodotta con altri documenti sul Bulletin d’Etude et Discussion n.7, giugno 1974, di Revolution Internationale.
1. La questione del Partito Comunista e dei suoi rapporti con la classe deve essere affrontata nel quadro dei nostri testi di base sulla funzione dell’organizzazione dei rivoluzionari ed in coerenza con questa visione[1].
2. Il Partito Comunista è una parte della classe, un organismo che essa produce nel proprio movimento come strumento per lo sviluppo della sua lotta storica fino alla vittoria: la trasformazione radicale dell'organizzazione e dei rapporti sociali per fondare una società che realizzi l’unità della comunità umana: ognuno per tutti e tutti per uno.
3. In opposizione alla tesi difesa da Lenin nel “Che fare?” sul Partito “al servizio della classe” e contro le caricature stupide del “leninismo” di cui si sono fatte sostenitrici le diverse tendenze del bordighismo secondo cui “è il partito che fonda la classe”, affermiamo, con Rosa Luxemburg, che “il partito è un prodotto della classe stessa” nella misura in cui la costituzione del Partito traduce ed esprime sia il processo di presa di coscienza che avviene nella lotta di classe che il grado di coscienza cui la classe è giunta. Questa formulazione non ha nulla in comune con quell'altra concezione proveniente dal bordighismo rovesciato che durante gli anni 70 trovava la sua espressione più compiuta nella rivista Invariance, concezione secondo cui “il Partito è la classe”. Una simile concezione semplicista sostituisce il Tutto, l’Unità del Tutto ed il suo movimento reale con una stretta identificazione degli elementi, ignorando le differenze che esistono e si producono, ed il legame dialettico tra questi elementi nel seno stesso dell’unità di cui sono parte integrante.
4. Questa concezione che identifica partito e classe non può comprendere il ruolo che giocano i differenti elementi all’interno dell’unità di cui fanno parte. Essa non vede il movimento, è statica e fondamentalmente astorica. Questa concezione raggiunge l’idealismo ed il moralismo dei modernisti (gli epigoni moderni del consiliarismo in degenerazione) che operano con la vecchia dicotomia tra bianco e nero, bene e male e per i quali ogni organizzazione politica in seno alla classe è, per definizione, il male assoluto.
5. Il difetto principale del consiliarismo della sinistra olandese, sotto l’influenza di Pannekoek, sta nell’attribuire a correnti e gruppi che sorgono dalla classe una funzione unicamente educatrice e pedagogica. Nei fatti esso rifiuta il loro ruolo politico: quelle di costituire una parte cosciente militante in seno alla classe, che elabora e difende al suo interno posizioni comuniste coerenti cristallizzate in un programma, il programma comunista, in vista del quale questi gruppi agiscono in modo organizzato. Attribuendo loro una funzione educativa e non di difesa di un programma comunista, Pannekoek dà alla sua organizzazione comunista il ruolo di Consigliere della classe, raggiungendo cosi la visione di Lenin di un’organizzazione al servizio della classe. Le due concezioni si ritrovano così nella negazione dell’idea che il Partito fa parte della classe, è uno degli organismi attivi della classe.
6. La società politica è il mondo sociale unito dell’umanità che si è perduto, dividendosi in classi, ed al quale l’umanità, attraverso il proletariato e la sua lotta, cerca faticosamente di arrivare. In questo senso, la lotta del proletariato assume ancora necessariamente un carattere politico (in quanto si tratta ancora della lotta di una classe).
In effetti, la lotta del proletariato è fondamentalmente sociale nel senso pieno del termine. Essa conduce, nel suo trionfo, alla dissoluzione di tutte le classi e della stessa classe operaia nella comunità umana ricostituita a livello planetario. Tuttavia questa soluzione sociale passa necessariamente per la lotta politica - finalizzata a stabilire il potere del proletariato sulla società - per cui la classe operaia si dà gli strumenti che sono le organizzazioni rivoluzionarie, i partiti politici.
7. La formazione di forze politiche che esprimono e difendono interessi di classe non è una caratteristica esclusiva del proletariato.
Tutte le classi della storia producono forze politiche il cui grado di sviluppo, di strutturazione e definizione corrisponde all’immagine delle classi di cui sono emanazione. Queste forze trovano la loro forma più compiuta nella società capitalistica – l’ultima società di classi nella storia - in cui le classi sociali conoscono il loro sviluppo più completo, in cui gli antagonismi che le oppongono si manifestano con più chiarezza.
Tuttavia, se esistono innegabilmente punti comuni tra i partiti del proletariato e quelli delle altre classi - soprattutto della borghesia - le differenze che 1i contrappongono sono considerevoli.
Come per le altre classi storiche del passato, l’obiettivo della borghesia, nel fondare il suo potere sulla società, non era di abolire lo sfruttamento, ma di perpetuarlo sotto altre forme, non era di sopprimere la divisione della società in classi, ma di instaurare una nuova società di classi, non era di distruggere lo Stato, ma al contrario di perfezionarlo. Il tipo di organismi politici che la borghesia si dà, il loro modo di azione e di intervento nella società sono direttamente determinati da questi obiettivi. I partiti borghesi sono partiti statali che hanno per ruolo specifico la presa e l’esercizio del potere di Stato come emanazione e garante della perpetuazione della divisione della società in classi.
Il proletariato invece è l’ultima classe della storia, quella per cui la presa del potere politico ha come obiettivo l’abolizione della divisione della società in classi e l’eliminazione dello Stato, espressione di questa divisione. In questo senso, i partiti del proletariato non sono partiti statali. La loro vocazione non è la presa e l’esercizio del potere di Stato, il loro fine ultimo è invece la scomparsa dello Stato e delle classi.
8. Bisogna mettere in guardia contro le interpretazioni abusive della frase infelice del Manifesto Comunista (comprensibile solo nel contesto precedente al 1848) in cui è detto che “i comunisti non formano un partito distinto...”.
Presa alla lettera, questa frase è in contraddizione evidente con il fatto che questo era il manifesto di un’organizzazione che si denominava proprio Lega dei Comunisti, a cui serviva da programma. E’ tanto più sorprendente questa frase in quanto formulata da due uomini, Marx ed Engels, che sono stati durante la loro vita sia militanti del movimento generale della classe che uomini di partito e di azione politica.
IL LEGAME TRA LA VITA DELLA CLASSE E QUELLA DELLE SUE ORGANIZZAZIONI POLITICHE
9. In quanto parte del movimento generale della classe che li fa nascere, i partiti evolvono con lo sviluppo della lotta della classe. Come ogni organismo vivente, questi partiti politici del proletariato hanno una storia che è indissolubilmente legata alla storia del movimento generale della classe, con i suoi momenti alti di lotta ed i suoi riflussi momentanei.
Non si può studiare e comprendere la storia di questo organismo, il Partito, se non nel contesto generale delle differenti tappe percorse dal movimento della classe, dei problemi che si pongono al proletariato, della sua faticosa presa di coscienza, della sua capacità in un determinato momento di rispondere adeguatamente ai propri problemi, di trarre le lezioni della propria esperienza e di farne un nuovo trampolino per la lotta futura.
Se i partiti politici sono un fattore di prim’ordine dello sviluppo della classe, sono anche un’espressione dello stato reale di quest’ultima ad un dato momento della sua storia.
10. Lungo il suo movimento, la classe è stata sottomessa al peso dell’ideologia borghese, che tende a deformare, corrompere i partiti proletari, snaturare la loro vera funzione. A questa tendenza si sono opposte le frazioni rivoluzionarie, che si sono date il compito di elaborare, chiarificare, precisare le posizioni comuniste. Questo vale soprattutto per la Sinistra Comunista uscita dalla Terza Internazionale. La comprensione della questione del partito passa necessariamente per l’assimilazione dell’esperienza e degli apporti di questa Sinistra Comunista Internazionale.
Alla Frazione Italiana della Sinistra Comunista (FIGC) spetta però il merito specifico di aver messo in evidenza la differenza qualitativa che si pone nel processo di organizzazione dei rivoluzionari secondo i periodi: quello dello sviluppo della lotta di classe e quello delle sue sconfitte. La FIGC ha delineato con chiarezza, per ognuno dei due periodi, la forma presa dall’organizzazione dei rivoluzionari ed i compiti corrispondenti: nel primo caso, la forma del partito, in grado di esercitare un’influenza diretta ed immediata nella lotta della classe; nel seconde caso, quello di un’organizzazione numericamente ridotta, la cui influenza è ben più debole e poco attiva nella vita immediata della classe. Questo tipo di organizzazione, cui la FIGC dà il nome di Frazione, costituisce un legame ed una cerniera tra due periodi di sviluppo della lotta di classe, un ponte organico tra il vecchio ed il futuro Partito.
La Frazione italiana ha combattuto le incomprensioni di un Trotskij che credeva di poter creare un Partito ed un’Internazionale in qualsiasi situazione - ad esempio negli anni ‘30 - e che ha finito per produrre solo ulteriori scissioni e dispersioni delle forze rivoluzionarie. Nei fatti la Frazione risponde anche alle false posizioni sviluppate in seguito da Bordiga, il quale cade in astrazioni vuote di senso ed in sofismi quali “l’invarianza del programma” e la distinzione tra “partito formale” e “partito storico”[2].
Contro queste differenti aberrazioni, la Frazione italiana della Sinistra Comunista ha dimostrato la validità della sua tesi, fondandosi sulla solida base dell’esperienza di un secolo di storia del movimento operaio e delle sue organizzazioni.
11. La storia reale ci mostra che il partito di classe vive attraverso un movimento ciclico che conosce le fasi della nascita, dello sviluppo e dell’estinzione. Estinzione che si manifesta con la sua degenerazione interna, il suo passaggio al campo nemico o ancora la sua scomparsa pura e semplice e a cui seguono degli intervalli più o meno lunghi, fino a che non si presentano di nuovo le condizioni per la sua rinascita. Questo è vero sia per il periodo premarxista - a partire da Babeuf e dalla formazione in seguito di organizzazioni rivoluzionarie - sia durante la vita e l’attività di Marx ed Engels, sia dopo la loro morte, fino ai nostri giorni. La Lega dei Comunisti ha vissuto solo 5 anni (1847-1852), la Prima Internazionale 9 anni (1864-1873), la Seconda 25 anni (1889-1914), la Terza 8 anni (tenendosi larghi, 1919-1927). Se esiste un legame evidente di continuità (la loro continuità deriva dal fatto che erano tutti organismi della stessa classe, momenti successivi di questa unità che è la classe) non esiste invece alcuna stabilità, alcuna fissità di questo organismo chiamato Partito.
La pseudo teoria bordighista sul “Partito storico” ed il “Partito formale” è intrisa di misticismo. Secondo questa teoria, il “Partito storico” - proprio come il Programma – sarebbe un dato fisso, immutabile, invariante. Ma questo Partito non potrebbe manifestare la sua realtà che nel Partito “formale”.
Ma che accade quando il “formale” scompare? Diventa invisibile ed inoperante, ma tuttavia sussiste, non si sa dove, perché immortale. Ritroviamo qui i temi e gli interrogativi della filosofia idealista e religiosa che separa lo spirito e la materia, l’anima ed il corpo, l’uno nella beatitudine eterna e l’altro nella mortalità.
12. Nessuna teoria illuminista, volontarista, della generazione spontanea o dell’intelligenza geniale, potrebbe spiegare il fenomeno della nascita e dell’esistenza del Partito, ed ancor meno le ragioni della sua periodicità, dell’ordine di successione delle sue differenti fasi. Solo un dinamica che tiene conto del movimento reale della lotta di classe, esso stesso condizionato e determinato dall’evoluzione del sistema capitalista e dalle sue contraddizioni, può dare una risposta valida al problema del Partito, inserendolo nella realtà del movimento della classe.
13. Lo stesso criterio deve essere applicato quando si esamina la variabilità, constatata nella storia, di certe funzioni del Partito.
Allo stesso modo in cui la filosofia, nell’antichità, inglobava discipline diverse, il Partito, prodotto del movimento di classe del proletariato, assicura, ai suoi inizi nella storia, la realizzazione di un gran numero di compiti nella classe, in particolare:
QUATTRO GRANDI TAPPE NELLA VITA DEL PROLETARIATO 1848, 1870, 1914, 1917
14. La storia degli ultimi 140 anni ha visto quattro grandi sconvolgimenti del capitalismo:
15. Come ha reagito il proletariato a questi 4 avvenimenti capitali?
1848: dietro la borghesia appare l’ombra gigantesca del giovane proletariato (giornate di giugno, sollevamento degli operai di Parigi), avvenimento annunciato qualche mese prima dalla costituzione della Lega dei Comunisti.
Primo vero Partito del proletariato moderno, questa organizzazione, in rottura con il romanticismo delle società corporative, annuncia e dimostra in un Programma coerente, attraverso la critica del capitalismo (“II Manifesto”), 1’inevitabile crollo di questo sistema sotto il peso delle sue insormontabili contraddizioni interne. La Lega designa il proletariato come soggetto della soluzione storica, soggetto che, con la sua rivoluzione, dovrà mettere fine alla lunga divisione della società umana in classi antagoniste e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In opposizione ad ogni fraseologia rivoluzionaria ed al volontarismo, la Lega riconosce, nel 1852, la vittoria del capitalismo sulle prime sollevazioni operaie in una situazione di immaturità storica delle condizioni essenziali per il trionfo della Rivoluzione Socialista. In questa situazione nuova di sconfitta la Lega deve inevitabilmente scomparire come organizzazione attiva e centralizzata.
1870: i militanti della Lega non sono scomparsi. Nell’attesa della maturazione delle condizioni di una nuova ondata di lotte operaie, essi hanno mantenuto un lavoro di elaborazione teorica, di assimilazione delle esperienze sviluppate nel seno della classe nella grande convulsione sociale del 1848. Da parte sua la borghesia, ripresasi da questa convulsione, ha proseguito a grandi passi il suo sviluppo e la sua espansione. Circa 15 anni dopo, ci troviamo di fronte ad un proletariato più numeroso, presente anche in altri paesi, più maturo e deciso ad intraprendere grandi battaglie, certo non ancora per una rivoluzione (per 1’immaturità delle condizioni oggettive necessarie per questo obiettivo) ma sicuramente per la difesa delle sue condizioni economiche di esistenza immediata. In questo contesto, per iniziativa degli operai di Francia e di Inghilterra, viene fondata nel 1864 la Prima Internazionale, che raggruppa decine di migliaia di operai di tutti i paesi industrializzati o in via di industrializzazione, dall’America alla Russia. I vecchi militanti della Lega dei Comunisti si ritroveranno naturalmente nelle file di questa Associazione Internazionale dei Lavoratori (A.I.T.), in cui occuperanno i posti di maggiore responsabilità, con Marx alla testa.
Di anno in anno, in tutti gli angoli del mondo, 1’Internazionale diventerà la bandiera di operai sempre più numerosi, sempre più combattivi, al punto di diventare una preoccupazione crescente per tutti i governi di Europa. In questa organizzazione generale della classe si scontreranno la corrente marxista, autentica espressione del proletariato, e la corrente anarchica di Bakunin, rappresentante dell’ideologia piccolo-borghese che ha ancora una grande influenza tra i proletari della prima generazione e gli artigiani semi-proletarizzati.
La guerra franco-prussiana, la sconfitta miserevole del secondo Impero e la sua caduta in Francia, il tradimento della borghesia repubblicana, la miseria e la fame degli operai parigini accerchiati da Bismarck, la provocazione del Governo... tutto spingeva gli operai parigini ad uno scontro armato prematuro per farla finita con il governo borghese e proclamare la Comune.
La sconfitta della Comune era inevitabile. Se da un lato essa testimoniava la combattività e la volontà esasperata della classe operaia all’assalto contro il capitale ed il suo Stato, lasciando alle generazioni operaie future un insegnamento inestimabile, la sua sconfitta in un immenso bagno di sangue aveva come conseguenza immediata 1’irrimediabile scomparsa dell’Internazionale.
1914: il sanguinoso trionfo del capitale, il massacro della Comune e la scomparsa successiva dell’Internazionale dovevano pesare per lunghi anni e segnare tutta una generazione di proletari. Solo dopo che le ferite si sono cicatrizzate, il proletariato riprende lentamente fiducia in sé stesso e nella sua capacità di affrontare il capitale.
A poco a poco si ricostituiscono le organizzazioni della classe: Borse di Lavoro, sindacati, partiti politici, che tenderanno a centralizzarsi, a livello nazionale prima e poi a livello internazionale, dando luogo nel 1889 (18 anni dopo la Comune) alla costituzione della Seconda Internazionale, organizzazione strettamente politica.
Ma il mondo capitalista si trova in quel momento all’apogeo del suo sviluppo a livello internazionale e trae il massimo profitto da un mercato che sembra illimitato. E’ l’età d’oro del colonialismo, dello sviluppo dei mezzi di produzione e del plusvalore relativo che si sostituisce al plusvalore assoluto.
La lotta del proletariato per la diminuzione della giornata di lavoro, per l’aumento dei salari, per riforme politiche, è notevolmente pagante. Questa situazione sembra dover continuare all’infinito, sfociando nell’illusione che, con una serie di riforme, il mondo capitalista potrebbe trasformarsi gradualmente in una società socialista. Questa illusione è il riformismo, malattia che penetrerà profondamente nella testa degli operai e nelle loro organizzazioni sia politiche che economiche (soprattutto economiche) rodendo la coscienza della classe e facendole perdere di vista il suo fine storico e la sua pratica rivoluzionaria.
Il trionfo del riformismo costituirà alla fine la sconfitta del proletariato. Sarà un trionfo per la borghesia averlo conquistato ai suoi valori, prima di tutto patriottici, nazionalisti, corrompendo definitivamente le sue organizzazioni, partiti e sindacati, passati senza possibilità di ritorno nel campo del capitale.
1917: addormentato, cloroformizzato, tradito dal passaggio delle sue organizzazioni nel campo borghese, ubriacato dal nazionalismo e dal patriottismo di cui la borghesia inietta dosi massicce, il proletariato, mobilitato nella guerra, si risveglierà nel fracasso assordante degli obici, al centro di milioni di cadaveri di suoi fratelli, immerso in un oceano di sangue, del suo sangue. Gli sono stati necessari tre anni di cataclisma di guerra imperialista per disintossicarsi e cominciare a prendere coscienza della realtà.
Il 1917 era la prima esplosione di un’ondata rivoluzionaria che durerà anni. Nel corso di questa esplosione il proletariato sarà condotto a ricostruire nuove organizzazioni di classe corrispondenti ai suoi nuovi compiti: non più i sindacati divenuti inadeguati ormai nel periodo di decadenza del capitalismo, ma i Consigli Operai. Nessuna rifondazione della Socialdemocrazia, ormai persa e passata nel campo nemico, ma un Partito Comunista mondiale (la Terza Internazionale) all’altezza del compito che si imponeva: contribuire alla marcia verso la rivoluzione mondiale del proletariato.
Saranno le Frazioni e le minoranze di sinistra uscite dalla Seconda Internazionale, che avevano combattuto per anni 1’ideologia riformista, denunciato il tradimento della vecchia Socialdemocrazia, lottato contro la guerra e 1’ideologia della difesa nazionale, in una parola che erano rimaste fedeli al marxismo ed alla rivoluzione proletaria, a costituire il nuovo Partito, la nuova Internazionale, 1’Internazionale Comunista.
LA PROVA DELLA CONTRORIVOLUZIONE
16. Questa grandiosa prima ondata della rivoluzione proletaria è stata sconfitta principalmente perché sorta durante la guerra, ciò che non è la condizione più favorevole per la rivoluzione. Ma un altro importante motivo è stata 1’immaturità della coscienza proletaria, che si è manifestata, tra 1’altro, con la sopravvivenza, in seno alla nuova Internazionale, di molte posizioni erronee ereditate dalla vecchia Socialdemocrazia:
Questi differenti errori, la sopravvivenza dello Stato sovietico proclamato “Stato operaio” e l’insufficienza delle analisi dell’“Opposizione di Sinistra” sulla sua degenerazione (la quale non avrebbe intaccato il carattere “proletario” e le “conquiste di Ottobre”), assieme alle sconfitte successive del proletariato negli altri paesi, hanno contribuito al ristabilimento di un rapporto di forze in favore della borghesia mondiale e sono all’origine di una sconfitta storica della classe. Tutti questi elementi comporteranno anche il decadimento, la degenerazione, infine il passaggio alla borghesia del Partito bolscevico, di tutti i partiti dell’Internazionale Comunista e la morte di quest’ultima.
La profondità della disfatta subita dal proletariato sarà direttamente proporzionale all’altezza dell’ondata rivoluzionaria che 1’ha preceduta. Né la grande crisi mondiale che scoppia nel ’29, né la seconda guerra mondiale, né il periodo di ricostruzione del dopoguerra vedranno lotte significative del proletariato. Anche nei rari paesi in cui la combattività operaia persisteva ancora perché non messa direttamente alla prova, questa combattività sarà facilmente dirottata dal suo terreno di classe dalle forze politiche della Sinistra in vista della seconda guerra mondiale.
Questo si è verificato soprattutto durante lo sciopero generale del ‘36 in Francia e, nello stesso anno, con la sollevazione del proletariato spagnolo rapidamente trasformata in guerra “civile” tra fascismo e antifascismo, preparazione e ripetizione generale per la seconda guerra mondiale. In altri paesi, come la Russia, la Polonia, la Romania, la Germania, l’Austria, 1’Italia, i paesi balcanici, la Spagna ed il Portogallo, i1 proletariato è sottoposto alla più nera repressione: a milioni, i proletari sono gettati nelle prigioni e nei campi di concentramento.
Ogni condizione per la formazione di un Partito di classe è assente. Solo il volontarismo e l’incomprensione totale della realtà porteranno Trotskij, nel 1936, a salutare l’inizio della rivoluzione in Francia e Spagna, ed a confondere il capitalismo di Stato in Russia con la “sopravvivenza delle conquiste di Ottobre”. Sono queste le basi che gli consentiranno di lanciarsi, con i suoi partigiani, nell’avventura della proclamazione di nuovi partiti e di un’Internazionale pretesa rivoluzionaria, dopo essere tornato, per un certo periodo, nei partiti socialisti della definita Seconda Internazionale di triste memoria.
Quello che caratterizza questo periodo non è un movimento centripeto di convergenza delle forze rivoluzionarie verso 1’unificazione e la formazione del Partito di classe, ma un movimento categoricamente centrifugo, di sparpagliamento e dispersione dei gruppi ed elementi rivoluzionari: la sinistra inglese scomparsa da molto tempo, la sinistra russa inesorabilmente sterminata fisicamente nelle galere di Stalin, la sinistra tedesca completamente liquidata. I gruppi rivoluzionari che sussistono si isolano o ripiegano su sé stessi, diminuendo via via che passano mesi ed anni.
La guerra del ‘36 in Spagna farà una selezione severa tra questi gruppi, quelli che sono presi nella trappola dell’antifascismo e quelli che si mantengono fermamente sul terreno di classe: le frazioni della Sinistra Comunista Internazionale. Queste proseguono e sviluppano un lavoro di comprensione teorica, sottoponendo, senza alcun ostracismo, le posizioni politiche dell’Internazionale Comunista al suo apogeo alla critica più severa, più feconda, fondata sull’esperienza reale del movimento dal ‘17 in poi.
La stessa Sinistra Comunista Internazionale subirà i contraccolpi degli avvenimenti. Una prima volta, nel ‘36, con la scissione di una minoranza che sceglie la partecipazione alla guerra di Spagna nel fronte repubblicano antifascista. Una seconda volta con 1’allontanamento, all’inizio della guerra, di una minoranza che proclama la “scomparsa sociale del proletariato” in tempo di guerra e, di conseguenza, 1’impossibilità di proseguire ogni attività e mantenere 1’organizzazione delle Frazioni. La terza crisi - che sarà definitiva - iniziò nel 1945 con la scissione della Frazione francese della Sinistra Comunista (la GCF) in opposizione alla decisione di scioglimento della Sinistra Comunista Internazionale e 1’assorbimento puro e semplice dei suoi membri, a titolo individuale, in un partito proclamato in Italia, di cui si ignorava tutto di piattaforma e posizioni, mentre era noto solo che era costituito attorno a O. Damen e Bordiga, due eminenti figure della Sinistra Italiana degli anni ‘20. Così fini tristemente la Frazione Italiana della Sinistra Comunista.
I PRINCIPALI INSEGNAMENTI DI DUE SECOLI DI STORIA SULLA NATURA E FUNZIONE DEL PARTITO
17. Questo rapido panorama della storia del movimento operaio ci insegna:
a) La necessaria esistenza di uno stretto legame tra la classe come un tutto ed il Partito come organismo particolare di questo tutto. Ci sono periodi in cui la classe esiste senza il Partito, ma non può mai esistere Partito senza classe.
b) La classe secerne il Partito come un organismo indispensabile con funzioni di cui la classe ha bisogno nella e per la sua maturazione e la sua presa di coscienza tale da metterla in grado di raggiungere la vittoria finale. E’ impossibile prevedere il trionfo finale del proletariato senza che esso abbia sviluppato gli organi che gli sono indispensabili: soprattutto 1’organizzazione generale della classe di tutti gli operai e l’organizzazione politica - il Partito - che si costituisce su un programma generale e le cui posizioni mostrano il fine ultimo della lotta del proletariato ed i mezzi per raggiungerlo.
c) Esiste una differenza sostanziale, nella loro evoluzione, tra le organizzazioni generali aperte a tutti gli operai e 1’organizzazione politica che è il Partito.
Nel periodo ascendente del capitalismo l’organizzazione generale che si dà come compito la difesa degli interessi economici immediati della classe ha, pur registrando modificazioni importanti della struttura, un’esistenza permanente. Diverso è il caso del Partito, che esiste solo nei periodi di sviluppo della lotta e della combattività della classe. Questa constatazione sottolinea con forza la stretta dipendenza dell’esistenza del Partito dallo stato della lotta di classe. Nel caso di un periodo di ascesa della lotta, ci sono le condizioni per la formazione e l’attività del Partito; nei periodi di riflusso, con la scomparsa di queste condizioni, il Partito tende a scomparire. Nel primo caso, vince la tendenza centripeta, nel seconde quella centrifuga.
d) Nel periodo di decadenza del capitalismo, in cui non sono neanche più possibili il mantenimento e miglioramento reali delle condizioni di vita della classe operaia, anche un’organizzazione permanente con questi fini non potrebbe più esistere. Per questo il sindacalismo è svuotato di ogni contenuto operaio. I sindacati non possono mantenere la loro esistenza e permanenza che come appendici dello Stato, incaricati di inquadrare, controllare e sviare ogni azione e lotta della classe. In questo periodo solo gli scioperi selvaggi che tendono verso lo sciopero di massa, controllati e diretti dalle assemblee generali, presentano la forma possibile di un contenuto di classe. Per questo motivo, queste assemblee non possono avere una vita permanente al loro inizio. Un’organizzazione generale della classe non può esistere e diventare permanente che quando la difesa degli interessi immediati si sposa con la possibilità della rivoluzione, nel periodo rivoluzionario. Questa è 1’organizzazione dei Consigli Operai. E’ il solo momento nella storia del capitalismo in cui la permanenza di questa organizzazione è veramente generale e costituisce una concretizzazione dell’unità reale della classe. Il discorso cambia per il Partito politico, che può senz’altro nascere prima di questo punto culminante che sono i Consigli Operai. Questo perché la sua esistenza non è condizionata dal momento finale, ma semplicemente da un periodo di ascesa della lotta di classe.
e) Abbiamo potuto constatare nel corso della storia come, con l’evoluzione della lotta di classe, si modificano alcune funzioni passate del Partito. Facciamo qualche esempio:
· via via che evolve la lotta di classe, gli operai accumulano esperienze ed elevano la loro cultura, il Partito perde gradualmente il suo ruolo di educatore generale;
· ciò vale ancora di più per quello che riguarda il suo ruolo di organizzatore della classe.
Una classe operaia come quella degli operai inglesi del 1864, che è capace di prendere l’iniziativa di fondare un’Associazione Internazionale dei Lavoratori, non aveva veramente bisogno di un tutore per organizzarla. La parola d’ordine “andare al popolo” o “verso gli operai” per organizzarli, aveva ancora un senso in un paese arretrato come la Russia della fine del 19° secolo, ma aveva perso ogni senso per paesi industrializzati come Inghilterra, Francia, etc.
La fondazione dell’AIT nel 1864 non era opera di nessun partito. Praticamente non ne esistevano, e nei casi in cui ne esistevano, come il cartismo in Inghilterra o il blanquismo in Francia, erano in piena decomposizione.
La Prima Internazionale è molto più vicina all’organizzazione generale che ad un’organizzazione sul tipo della Lega dei Comunisti, cioè del tipo Partito, strettamente selezionato sulla base di un programma teorico e politico coerente. Per questo potevano coesistere e scontrarsi al suo interno diverse correnti: marxista (collettivista), operaista, proudhoniana, anarchica ed anche, all’inizio, una corrente così particolare come quella mazziniana.
L’Internazionale era un crogiuolo in cui si decantavano le idee e le correnti. Un partito è già il prodotto di una decantazione. Per questo le correnti restano ancora informali al suo interno. Un solo partito politico nel senso vero del termine è nato dopo la dissoluzione della Lega dei Comunisti e durante 1’esistenza della Prima Internazionale nel 1868: il Partito Socialdemocratico eisenachiano, a tendenza marxista, sotto la direzione di W. Liebknecht e Bebel. Bisognerà aspettare il 1878, in occasione delle elezioni, perché nasca, sotto la direzione di Guesde e Lafargue, con la partecipazione diretta di Marx (che ne scrisse la piattaforma politica), il Partito Operaio in Francia.
Ma solo a partire dagli anni '80, con lo sviluppo accelerato del capitalismo e la ripresa della lotta di classe che si fanno sentire il bisogno e la possibilità di formazione di partiti politici per la lotta politica propriamente detta, distinti dalle organizzazioni di difesa degli interessi immediati sul piano economico, i sindacati. A partire dagli anni 1880, un po’ in tutti i paesi industrializzati o in via di industrializzazione si apre un vero processo di formazione di partiti, sul modello della Socialdemocrazia tedesca, che prenderà l’iniziativa della costituzione della Seconda Internazionale nel 1889.
La Seconda Internazionale sarà il risultato di una decantazione politica operata nel movimento operaio nel periodo successivo allo scioglimento della Prima Internazionale (16 anni) e di unificazione della corrente marxista a livello internazionale. Essa si richiamerà al “socialismo scientifico” cosi come è stato formulato 40 anni prima da Marx ed Engels nel Manifesto della Lega dei Comunisti nel 1848. Non sarà più tra i suoi compiti, come era stato per la Prima Internazionale, procedere ad un’inchiesta sulle condizioni della vita operaia in differenti paesi, né elaborare rivendicazioni economiche. Le attività di questo genere che all’inizio svolge ancora, saranno definitivamente lasciate ai sindacati. Invece sarà al centro la lotta per rivendicazioni politiche immediate: suffragio universale, diritto di riunione e libertà di stampa, partecipazione alle campagne elettorali, lotte per riforme politiche, contro la politica colonialista della borghesia, contro la sua politica estera, contro il militarismo, ecc., pur proseguendo un lavoro di elaborazione teorica e di difesa dei fini ultimi del movimento, la rivoluzione socialista.
Giustamente Engels (in una delle sue prefazioni al Manifesto Comunista) segnala, negli anni ‘80, che la Prima Internazionale aveva esaurito completamente i suoi compiti nel periodo storico in cui era nata. Ha torto però nel concludere frettolosamente che il movimento politico della classe, la formazione di differenti partiti in diversi paesi, ha preso un tale slancio che la classe operaia “non ha più bisogno di un’organizzazione internazionale”. Con tutte le sue insufficienze, con tutti i suoi errori, con tutta la penetrazione riformista – che trionferà al suo interno e la distruggerà come organizzazione della classe, introducendosi al suo interno soprattutto attraverso i sindacati - la Seconda Internazionale ha comunque compiuto un’opera altamente positiva nella classe, un’opera che resta un’acquisizione del movimento, se non altro perché è servita come terreno insostituibile di confronto e chiarificazione teorica, di scontro delle posizioni politiche della sinistra contro il revisionismo bernsteiniano ed il centrismo kautzkiano. Al suo interno vive e si agguerrisce la sinistra rivoluzionaria.
Quando i moralisti-modernisti di tutte le sfumature si compiacciono oggi di tracciare un bilancio unicamente negativo della storia – nella misura in cui ne sanno qualcosa - della Seconda Internazionale in una certa epoca e del suo apporto al movimento operaio, dimostrano solo la loro ignoranza totale di quello che è un movimento storico in sviluppo. Nella loro ingenuità essi non si rendono conto neanche che il poco che conoscono oggi 1’hanno imparato e lo devono alla storia, al passato di un movimento vivente della classe operaia! Quegli stessi che si affrettano a gettare il bambino con 1’acqua sporca non sospettano neanche che le loro idee e “invenzioni”, che credono originali, sono state semplicemente raccolte dai cestini dell’epoca utopistica del movimento operaio, perché ormai da tempo inutilizzabili. Anche i bastardi hanno i genitori, pur se ignoti.
Proprio come i modernisti, i bordighisti si compiacciono di ignorare la storia del movimento, la storia vivente di una classe in movimento ed in evoluzione, con i suoi momenti deboli e i suoi momenti forti. Invece di studiarla e comprenderla, la sostituiscono con divinità morte, eternamente immobili e mummificate dal Bene e dal Male assoluti.
18. II risveglio del proletariato dopo tre anni di massacro imperialista e la morte vergognosa della Seconda Internazionale con il marchio infame del tradimento, aprono un periodo di ascesa di lotte e ricostituzione del partito della classe. Questo nuovo periodo di intense lotte sociali - che vede crollare come volgari castelli di carta cittadelle e fortezze credute alla vigilia ancora imprendibili, che vede sprofondare nello spazio di pochi giorni un apparato militare considerevole, monarchie e imperi creduti invulnerabili come la Russia, l’Austria-Ungheria e la Germania prussiana, costituisce non un semplice momento ma un formidabile balzo qualitativo nell’evoluzione della storia e per il movimento operaio, perché pone direttamente la questione della rivoluzione, del suo processo e della strategia della presa del potere politico da parte della classe operaia. Per la prima volta nella storia la classe operaia ed i suoi partiti comunisti recentemente costituiti devono rispondere a tutta una serie di questioni cruciali, tutte poste in termini di vita o morte della rivoluzione. Per quanto riguarda le risposte a queste questioni, la classe ed i suoi partiti ne hanno un’idea estremamente vaga o non ne hanno del tutto, o ne hanno una visione anacronistica ed erronea. Solo nani minuscoli, ma dotati di incommensurabile megalomania - che non hanno mai visto una rivoluzione, neanche da lontano (e la rivoluzione proletaria è il più grande salto della storia fino a questo momento) - possono dalla loro infima statura puntare, sessanta anni dopo, il piccolo dito pieno di disprezzo e sufficienza contro gli errori ed i tentativi di questi giganti che hanno osato andare all’assalto del cielo capitalista impegnandosi risolutamente sulla via della rivoluzione.
E’ vero, la classe operaia, e prima di tutto i partiti e l’Internazionale Comunista, hanno spesso tentennato, improvvisato e commesso gravi errori che hanno largamente ostacolato la marcia della rivoluzione. Ma ci hanno lasciato non solo acquisizioni inestimabili, ma anche un’esperienza ricchissima che dobbiamo studiare minuziosamente per comprendere le difficoltà incontrate, evitare le trappole in cui sono caduti, superare gli errori commessi e, sulla base di queste esperienze, poter meglio rispondere ai problemi che solleva la rivoluzione.
Dobbiamo mettere a profitto il tempo di cui disponiamo per tentare di risolvere, anche se parzialmente, questi problemi, pur sapendo che la prossima rivoluzione porterà con sé problemi nuovi che non possiamo completamente prevedere.
19. Per tornare al problema specifico del partito e della sua funzione nel periodo presente e nella rivoluzione, possiamo prima di tutto vedere cosa non è per poi ricavarne quello che dovrebbe essere.
a) II Partito non può pretendere di essere il solo ed esclusivo portatore e rappresentante della coscienza della classe. Non è predestinato ad avere questo monopolio. La coscienza della classe è inerente alla classe come una totalità e nella sua totalità. Il Partito è l’organo privilegiato di questa coscienza e niente di più. Questo non implica che sia infallibile né che talvolta, in certi momenti, non sia indietro rispetto al livello di coscienza raggiunto da altri settori o frazioni della classe. La classe operaia non è omogenea, ma tende ad esserlo. Lo stesso avviene per quanto riguarda la coscienza di classe che tende ad omogeneizzarsi e generalizzarsi. E’ compito del Partito, una delle sue principali funzioni, contribuire coscientemente ad accelerare questo processo.
b) Pertanto, il Partito ha il compito di orientare la classe, fecondare la sua lotta; non è il dirigente nel senso di colui che decide da solo, al posto della classe.
c) Inoltre dobbiamo riconoscere la possibilità di formazione di gruppi (che si denominino o no Partito non cambia nulla) all’interno della classe e nella sua organizzazione unitaria che sono i Consigli Operai. Non solo il Partito Comunista non può, a nessun titolo, arrogarsi il diritto di proibire la loro esistenza o fare pressione in questo senso, ma deve anche combattere energicamente contro tali tentativi.
d) Allo stesso modo della classe che, come un tutto, può essere attraversata da molte correnti rivoluzionarie più o meno coerenti, il Partito, nel quadro del suo programma, prevede la possibilità di divergenze e di tendenze. Il Partito Comunista respinge categoricamente la concezione di un partito monolitico.
e) II Partito, sotto nessun pretesto, può pretendere di stabilire un elenco di ricette per rispondere dettagliatamente a tutte le questioni che possono porsi nelle lotte.
Non si tratta né di un organo esecutivo né amministrativo né tecnico della classe. Il Partito è e deve restare un organo politico. Questo principio si applica tanto alle lotte che precedono la rivoluzione quanto a quelle dello stesso periodo rivoluzionario, in cui il Partito non può assolutamente giocare un ruolo di “stato maggiore” dell’insurrezione.
f) La disciplina di organizzazione e di azione che il Partito esige dai suoi membri può essere reale solo con costante libertà di discussione e di critica, all’interno del quadro della piattaforma. Non sarebbe possibile esigere dai suoi membri, che sono in divergenza con alcune posizioni importanti, di presentare e difendere queste posizioni all’esterno, contro la loro convinzione, di farsene portavoce in nome del Partito. Lo scopo è rispettare la coscienza di questi compagni, ma soprattutto salvaguardare 1’interesse dell’organizzazione come un tutto. Affidare la difesa di posizioni importanti dell’organizzazione a militanti che non le condividono conduce ad una cattiva difesa. Sempre in questo senso, il Partito non può ricorrere a misure repressive per fare pressione sui suoi membri.
Per principio, il Partito respinge l’utilizzazione della forza e della violenza come mezzo di persuasione e convinzione al suo interno, così come respinge la pratica della violenza e dei rapporti di forza fisica nella classe e nel suo rapporto con la classe.
g) Il Partito in quanto tale non chiede alla classe di “dargli la sua fiducia”, di delegargli il potere di decisione. Per principio il Partito comunista è contro ogni delega del potere da parte della classe ad un organismo, gruppo o partito che non è sottoposto in quanto tale al suo controllo costante. Il principio comunista esige la pratica reale dei delegati eletti e revocabili in ogni momento, sempre responsabili davanti all’assemblea che li ha eletti; in questo senso, bandisce ogni tipo di elezioni per liste presentate dai partiti politici. Ogni altra concezione conduce inesorabilmente ad una pratica sostituzionista.
Se è diritto del Partito esigere le dimissioni di uno dei suoi membri da un posto, un comitato, un organismo o anche da un incarico statale, al quale il militante è stato eletto da un’assemblea di fronte alla quale è e resta responsabile, non è possibile imporre la sua sostituzione con un altro membro, con una decisione autonoma.
h) Infine, e a differenza dei partiti borghesi, il Partito proletario non è un organo destinato ad impadronirsi dello Stato o a gestirlo. Questo principio deriva sia da quanto detto prima, sia dalla necessaria indipendenza della classe operaia nei confronti dello Stato del periodo di transizione. L’abbandono di questo principio conduce ineluttabilmente alla perdita da parte del Partito del suo carattere proletario.
i) Da tutto quel che precede consegue che il Partito proletario della nostra epoca non può essere un partito di massa. Senza alcuna funzione statale o di inquadramento della classe, selezionato sulla base di un programma - il più coerente possibile - il Partito sarà necessariamente un’organizzazione minoritaria fino al periodo rivoluzionario e durante il suo corso. In questo senso, la concezione dell’Internazionale Comunista del “Partito rivoluzionario di massa”, che a quel tempo era già falsa e portava il segno di un periodo superato, deve essere rifiutata categoricamente.
VERSO IL FUTURO PARTITO
20. La CCI analizza il periodo aperto dalla ripresa delle lotte operaie a partire dal 1968 come un periodo di ripresa storica delle lotte della classe che risponde alla crisi aperta sviluppatasi alla fine della ricostruzione del secondo dopoguerra. Coerentemente con questa analisi, considera dunque che questo periodo pone le premesse per la ricostituzione del Partito. Tuttavia sono gli uomini che fanno la storia, anche se le condizioni non dipendono dalla loro volontà. Per questo la formazione del futuro Partito sarà il risultato di uno sforzo cosciente, deliberato, sforzo al quale i gruppi rivoluzionari esistenti devono dedicarsi già da ora.
Questo sforzo impone una comprensione chiara sia delle caratteristiche generali, valide in tutte le epoche, del processo di formazione del Partito, sia delle condizioni specifiche, inedite nella storia, che presiedono alla nascita di quelle di domani.
21. Una delle specificità maggiori della formazione del futuro Partito sta nel fatto che si formerà direttamente a livello mondiale contrariamente a quello che é successo nel passato.
Già le precedenti organizzazioni politiche del proletariato erano mondiali o tendevano verso l’unità mondiale. Tuttavia queste risultavano dal raggruppamento di formazioni più o meno costituite a livello nazionale o attorno ad una formazione proveniente da un settore nazionale particolare del proletariato in una posizione di avanguardia nell’insieme del movimento operaio.
Così, nel 1864, l’AIT si costituisce essenzialmente attorno al proletariato inglese (la Conferenza costitutiva si tiene a Londra, che é anche la sede del Consiglio Generale fino al 1872, le Trade Unions costituiscono a lungo il contingente più importante dell'AIT), cioè del paese più sviluppato dell’epoca, in cui il capitalismo é più potente e concentrato.
Allo stesso modo, nel 1889, la Seconda Internazionale si costituisce principalmente attorno alla Socialdemocrazia tedesca che é - in Europa e nel mondo - il partito operaio più vecchio, più sviluppato e più potente, prodotto del formidabile sviluppo del capitalismo tedesco nella seconda metà del 19° secolo.
Infine, la Terza Internazionale ha come polo indiscutibile il Partito bolscevico, non a causa di una qualsiasi preminenza del capitalismo russo (che, benché al quinto posto nel mondo, resta molto arretrato) ma perché il proletariato di questo paese è, per specifiche circostanze, il primo (ed il solo) a rovesciare lo Stato capitalista ed a prendere il potere durante la grande ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra.
La situazione attuale si distingue notevolmente da quella che prevaleva in questi differenti momenti del passato. Da un parte, il periodo di decadenza del capitalismo non ha consentito la nascita di nuovi grandi settori del proletariato mondiale che avrebbero potuto costituire un nuovo polo per tutto il movimento operaio (come è stato per la Germania nel secolo scorso).
D’altra parte, il capitalismo - a causa sia della fase di decadenza che per l’estensione del commercio mondiale e dei mezzi di comunicazione - ha subito un livellamento considerevole delle sue caratteristiche economiche, sociali e politiche, in particolare nei paesi avanzati. Mai, nella storia del mondo capitalista, malgrado le insormontabili divisioni nazionali e di blocco, si è raggiunto un tale grado di omogeneità e di interdipendenza tra le sue differenti parti.
Questa rivoluzione si è tradotta, per la lasse operaia, in un livellamento senza confronti nel passato delle proprie condizioni di vita e, da certi punti di vista, della propria esperienza politica.
Infine, le circostanze attuali dello sviluppo storico della lotta di classe verso la rivoluzione (aggravamento simultaneo in tutti i paesi della crisi economica e non guerra imperialista come nel 1917, grado considerevole di unità della borghesia di fronte al proletariato), fa prevedere che si tenderà verso una simultaneità, unità e generalizzazione della lotta mai visti finora.
Tutte queste considerazioni spingono alla costituzione del futuro Partito mondiale non attorno a questo o quel settore nazionale del proletariato, ma direttamente a livello internazionale attorno alle posizioni ed al polo politico più chiari, coerenti e sviluppati.
Proprio per queste ragioni è fondamentale, ancora più oggi che in tutto il passato del movimento operaio, che i differenti gruppi comunisti esistenti mobilitino ed unifichino i loro sforzi in vista della costituzione di questo polo ed in primo luogo della chiarificazione delle posizioni politiche proletarie.
Questi compiti essenziali sono conseguenti all’assunzione cosciente e volontaria da parte dei rivoluzionari delle loro responsabilità nel processo di formazione del futuro Partito.
22. Conformemente a questa prospettiva, la CCI difende l’idea di rompere con 1’isolamento in cui si trovano i gruppi comunisti esistenti, di combattere lo spirito che fa della necessità (oggettiva) di ieri una virtù da difendere ancora oggi (con uno spirito di cappella e di setta), per aprire una vera discussione internazionale tra questi gruppi.
Questa discussione dovrà manifestare la ferma volontà di eliminare i malintesi, le incomprensioni, le false interpretazioni delle posizioni degli uni e degli altri - prodotto della polemica e dell’ignoranza di queste posizioni - per aprire un vero confronto delle divergenze politiche e permettere un processo di decantazione e di raggruppamento.
La CCI non ignora le enormi difficoltà che incontrerà la realizzazione di questo compito. Queste difficoltà sono legate in gran parte al peso della terribile controrivoluzione subita per 40 anni dalla classe operaia. Controrivoluzione che ha eliminato le frazioni di sinistra dell’Internazionale ed ha spezzato la continuità organica che esisteva tra le differenti organizzazioni politiche proletarie dalla metà dello scorso secolo. Per la rottura di questa continuità organica, il futuro Partito non potrà costituirsi secondo il processo messo in evidenza dalla Frazione italiana, processo in cui la Frazione costituiva un ponte tra il vecchio ed il nuovo Partito.
Tale situazione rende ancora più indispensabile il compito di confronto e decantazione in vista del raggruppamento delle organizzazioni del campo comunista. La CCI si è sforzata di contribuirvi mantenendo il contatto con questi gruppi; ha suggerito la convocazione di conferenze internazionali di gruppi del campo proletario e vi ha partecipato attivamente. Bisogna registrare lo scacco di questi primi tentativi, prima di tutto per lo spirito di setta dei gruppi - resti della Sinistra Italiana - alquanto sclerotizzati che, pur essendo in 4, si proclamano tutti “Partito storico”. Se mantengono questo atteggiamento, questi sedicenti “partiti” sono votati ad una sclerosi irreversibile.
Per quanto la riguarda, la CCI é convinta che non esiste altra via. E’ la via che ha sempre trionfato nella storia del movimento operaio, la via di Marx e di Engels, la via di Lenin e di R. Luxemburg, la via seguita dalla Sinistra Comunista Internazionale e da Bilan negli anni ‘30. E’ la sola via feconda e ricca di promesse, ed è questa la via che, più che mai, la CCI è decisa a perseguire fermamente.
CCI 1983
[1] Tra i testi a cui fare riferimento segnaliamo:
[2] II fatto che Bordiga abbia sviluppato delle analisi aberranti - in particolare a partire dal 1945 - non può in alcun modo sminuire il suo contributo di primo piano nella fondazione del Partito Comunista d’Italia e nella lotta della Sinistra contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista. Ugualmente, il fatto che queste analisi siano state sviluppate per tentare di rispondere a dei problemi reali - quale la natura non permanente dell’esistenza del partito - non toglie niente al fatto che non è al livello delle astuzie teoriche, dei giochi di parole, che si trova la soluzione a questi problemi, come lo ha largamente dimostrato il lavoro della Frazione Italiana. Il riconoscimento dell’importanza del contributo di Bordiga al movimento rivoluzionario non deve servire a giustificare l’adesione a queste aberrazioni, a considerarle come l’alfa e l’omega delle posizioni comuniste.
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