Annata 2014
Nell’ottobre 2013 è nato un nuovo “gruppo politico” donandosi il nome pomposo di “Groupe Internationale de la Gauche Communiste” (GIGC, Gruppo internazionale della Sinistra comunista). Questo nuovo gruppo si è costituito dalla fusione tra 2 elementi del gruppo Klasbatalo di Montreal ed elementi dell’ex sedicente “Frazione interna” della CCI (FICCI), i cui membri sono stati esclusi dalla CCI nel 2003 per i loro comportamenti indegni per dei militanti comunisti: oltre al furto, alle calunnie, al ricatto, questi elementi hanno attraversato il Rubicone per i loro deliberati comportamenti da delatori, in particolare pubblicando in anticipo su Internet la data della Conferenza della nostra sezione in Messico e pubblicizzando con insistenza le vere iniziali di un nostro compagno presentato come il “capo della CCI”. Rinviamo i nostri lettori che non fossero a conoscenza dei fatti agli articoli pubblicati all’epoca nella nostra stampa[1].
Nel nostro articolo “I metodi polizieschi della FICCI”, abbiamo chiaramente messo in evidenza che questi elementi offrono a titolo gratuito i loro utili e leali servizi allo Stato borghese. Spendono il loro tempo in un’attività di sorveglianza assidua del sito internet della CCI, cercando di informarsi su tutto quello che succede nella nostra organizzazione, nutrendosi e divulgando i pettegolezzi più nauseabondi ramazzati nelle fogne (e in particolare sulla coppia Louise/Peter, due militanti della CCI che li ossessionano e li eccitano all’estremo da più di dieci anni!).
Successivamente a quest’articolo, questi hanno ulteriormente peggiorato il loro caso pubblicando un documento di 114 pagine, riproducendo numerosi estratti delle riunioni del nostro organo centrale internazionale, che si proponeva di dare la prova delle loro accuse contro la CCI. Ciò che questo documento dimostrava in realtà, è che questi elementi hanno un cervello malato, completamente accecato dall’odio contro la nostra organizzazione, e che coscientemente consegnano alla polizia informazioni sensibili al fine di favorire il lavoro di questa.
Appena nato, questo piccolo aborto chiamato “Groupe international de la Gauche communiste” lancia il suo primo vagito scatenando una campagna isterica contro la CCI, come testimonia il manifesto pubblicitario del suo sito web: “Una nuova (ultima?) crisi interna nella CCI!” accompagnato, ovviamente, da un “Appello al campo proletario e ai militanti della CCI”.
Da diversi giorni questo “gruppo internazionale” (formato da 4 individui) è preso da un’attività frenetica, inviando lettere su lettere a tutto il “milieu proletario”, così come ai nostri militanti ed ad alcuni nostri simpatizzanti (dei quali hanno recuperato gli indirizzi) per salvarli dalle “grinfie” di una pretesa “frazione liquidatrice” (un clan Louise, Peter, Baruch).
I membri fondatori di questo nuovo gruppo, due delatori dell’ex-FICCI, fanno un passo ulteriore nell’ignominia svelando chiaramente i loro metodi polizieschi che mirano alla distruzione della CCI. Questo sedicente “Gruppo internazionale della Sinistra comunista” suona le campane e grida a squarciagola che è in possesso dei Bollettini interni della CCI. Esibendo il loro trofeo di guerra e facendo un tale baccano, il messaggio che questi delatori patentati cercano di far passare è molto chiaro: c’è una talpa nella CCI che lavora mano nella mano con l’ex-FICCI!
Questo è chiaramente un lavoro poliziesco che ha come unico obiettivo seminare il sospetto generalizzato, il turbamento e la zizzania all’interno della nostra organizzazione. Sono gli stessi metodi usati dalla GPU, la polizia politica di Stalin, per distruggere dall’interno il movimento trotskista degli anni 30. Sono questi stessi metodi che avevano già utilizzato i membri della ex-FICCI (ed in particolare due di loro, Juan e Jonas, membri fondatori del “GIGC”) quando hanno fatto dei viaggi “speciali” in diverse sezioni della CCI nel 2001 per organizzare riunioni segrete e far circolare voci secondo le quali uno dei nostri compagni (“la donna del capo della CCI”, secondo la loro espressione) era “un poliziotto”. Oggi, lo stesso procedimento per tentare di seminare il panico e distruggere la CCI dall’interno è ancora più abietto: sotto il pretesto ipocrita di voler “tendere la mano” ai militanti della CCI e salvarli dalla “demoralizzazione”, questi informatori di professione rivolgono in realtà a tutti i militanti della CCI il messaggio seguente: “c’è un (o più) traditore fra di voi che ci dà i vostri Bollettini interni, ma non vi si darà il suo nome perché tocca a voi cercarlo tra voi stessi!”.
Ecco il vero obiettivo di tutta quest’agitazione febbrile di questo nuovo “gruppo internazionale”: introdurre ancora una volta il veleno del sospetto e della sfiducia all’interno della CCI per cercare di distruggerla dall’interno. Si tratta di una vera e propria impresa di distruzione il cui grado di perversione non ha nulla da invidiare ai metodi della polizia politica di Stalin o della Stasi. Come abbiamo ricordato varie volte nella nostra stampa, Victor Serge nel suo libro ben noto e punto di riferimento nel movimento operaio, “Quello che ogni rivoluzionario deve sapere sulla repressione”, mette chiaramente in evidenza che la diffusione del sospetto e della calunnia è l’arma privilegiata dello Stato borghese per distruggere le organizzazioni rivoluzionarie: “la fiducia nel partito è il cemento di ogni forza rivoluzionaria (…) I nemici dell’azione, i vigliacchi, gli accomodati, gli opportunisti raccattano volentieri le loro armi nelle fogne! Il sospetto e la calunnia servono loro a discreditare i rivoluzionari (…) Questo male - il sospetto tra noi - può essere circoscritto soltanto da un grande sforzo di volontà. Occorre – ed è del resto la condizione preliminare di ogni lotta vittoriosa contro la vera provocazione alla quale fa gioco ogni accusa calunniosa portata contro un militante – che mai un uomo sia accusato alla leggera e che mai un’accusa formulata contro un rivoluzionario non sia archiviata. Ogni volta che un uomo viene sfiorato da un tale sospetto, deve istituirsi un giurì di compagni che deve deliberare e pronunciarsi sull’accusa o sulla calunnia. Regole semplici da osservare se si vuole preservare la salute morale delle organizzazioni rivoluzionarie”. La CCI è la sola organizzazione rivoluzionaria ad essere rimasta fedele a questa tradizione del movimento operaio difendendo il principio dei Giurì d’Onore di fronte alla calunnia: solo gli avventurieri, gli elementi torbidi e i vigliacchi non vogliono fare chiarezza dinanzi ad un Giurì d’Onore[2].
Victor Serge afferma anche che le motivazioni che conducono alcuni militanti a prestare i loro servizi alle forze di repressione dello Stato borghese non sono necessariamente la miseria materiale o la codardia: “ci sono, molto più pericolosi, i dilettanti, avventurieri che non credono in niente, indifferenti all’ideale che hanno servito fino a poco prima, innamorati del pericolo, dell’intrigo, della cospirazione, di un gioco complicato dove abbindolano tutti. Questi possono avere del talento, giocare un ruolo pressappoco indecifrabile”. E tra il profilo del delatore o dell’agente provocatore si trova, secondo Victor Serge, quello di ex-militanti “feriti dal partito”. Semplici ferite d’orgoglio, lagnanze personali (gelosia, frustrazione, delusione…), possono condurre dei militanti a sviluppare un odio incontrollabile contro il partito (o contro alcuni dei suoi membri che loro considerano come rivali) ed a prestare i loro servizi alle forze di repressione dello Stato borghese.
Tutti i chiassosi “Appelli” di quest’agenzia ufficiosa dello Stato borghese che è il “GIGC” non sono altro che appelli al pogrom contro alcuni dei nostri compagni (abbiamo già denunciato nella nostra stampa le minacce proferite da un membro dell’ex-FICCI che aveva detto a un nostro militante “a te, io ti taglierò la gola!”). Non è affatto un caso se questo nuovo “Appello” dei delatori dell’ex-FICCI è stato immediatamente diffuso da uno dei loro complici e “amico”, un certo Pierre Hempel (che pubblica un giornalucolo, del genere “stampa scandalistica”, tanto indigesta quanto delirante) intitolata “Il Proletariato Universale” nel quale si possono leggere cose dello stile tipo “Peter e la sua baldracca”. La “baldracca” in questione sarebbe, ben inteso, la nostra compagna tartassata da oltre 10 anni dai delatori e potenziali assassini dell’ex-FICCI ed i loro complici. Ecco attraverso quale genere di letteratura (molto “proletaria”) è trasmesso oggi l’“Appello” di questo sedicente “Gruppo internazionale della sinistra comunista” che attizza la curiosità (ed il voyeurismo) di tutti gli avvoltoi del piccolo “milieu” cosiddetto “proletario”. Ognuno ha gli amici che merita!
Ma non è tutto. Cliccando sui link che appaiono in nota[3] i nostri lettori, che appartengono realmente al campo della Sinistra comunista, potranno farsi un’idea un po' più precisa del pedigree di questo nuovo “Gruppo internazionale della sinistra comunista”: esso viene sponsorizzato da molti anni da una tendenza all’interno di un’altra officina dello Stato borghese, Il NPA (“Nuovo Partito Anticapitalista”, partito di Olivier Besancenot che si presenta alle elezioni e che viene invitato regolarmente negli studi televisivi). Questa tendenza del NPA gli fa regolarmente una pubblicità chiassosa, in prima pagina del suo sito Internet! Il fatto che un gruppo dell’estrema sinistra del capitale faccia tanta pubblicità alla FICCI e al suo attuale travestimento (il “GIGC”), è ben la prova che la borghesia sa riconoscere i suoi servi fedeli: sa su chi può contare per tentare di distruggere la CCI. Pertanto, i delatori del “GIGC” sarebbero legittimati a richiedere una decorazione allo Stato (rilasciata dal Ministro degli Interni, ovviamente!) per aver reso servizi molto più eminenti di quelli della maggior parte dei decorati.
La CCI farà piena chiarezza ed informerà i suoi lettori del seguito di quest’affare. È possibile che ci siano uno o più elementi torbidi infiltrati. Non sarebbe la prima volta ed abbiamo una lunga esperienza di questo tipo di problema, almeno dall’affare Chénier, un elemento escluso dalla CCI nel 1981 e che, alcuni mesi più tardi, lavorava ufficialmente per il Partito socialista allora al governo. Se questo è il caso, ovviamente, applicheremo i nostri Statuti come abbiamo sempre fatto.
Ma non possiamo scartare un’altra ipotesi: uno dei nostri computer ha potuto subire un attacco pirata da parte dei servizi della polizia (che sorveglia le nostre attività da oltre 40 anni). E non è da escludere che sia la polizia stessa (facendosi passare per una “talpa”, militante anonimo della CCI) che abbia trasmesso alla FICCI alcuni dei nostri Bollettini interni sapendo pertinentemente che questi delatori (e in particolare i due soci fondatori di questo sedicente “GIGC”) ne avrebbero fatto immediatamente buon uso. Ciò non avrebbe del resto nulla di sorprendente poiché i cowboy della FICCI (che sparano sempre più veloci della loro ombra!) si sono già fatti fregare nel 2004 flirtando con uno “sconosciuto” di casa staliniana in Argentina, il “cittadino B” che si nascondeva dietro un sedicente “Circulo de Comunistas internacionalistas”. Questo “Circulo” puramente virtuale presentava il grande vantaggio di pubblicare menzogne ignobili e grossolane contro la nostra organizzazione, menzogne che sono state con compiacenza ritrasmesse dalla FICCI. Appena queste menzogne sono state smontate, il “cittadino B” è scomparso della circolazione lasciando la FICCI nella costernazione e confusione totale.
La FICCI pretende che “il proletariato ha bisogno più che mai delle sue organizzazioni politiche per orientarsi verso la rivoluzione proletaria. Un indebolimento della CCI resta sempre un indebolimento del campo proletario nel suo insieme. Ed un indebolimento del campo proletario implica necessariamente un indebolimento del proletariato nella lotta di classe”. Ciò è di un'ipocrisia immonda. I partiti stalinisti si proclamavano difensori della rivoluzione comunista mentre ne erano i più feroci nemici. Nessuno deve essere stupido: quale che sia lo scenario, presenza di una “talpa” della FICCI nelle nostre file o manipolazione da parte dei servizi ufficiali dello Stato, l’ultimo “colpo teatrale” della FICCI-GIGC dimostra chiaramente che la sua vocazione non è assolutamente difendere le posizioni della Sinistra comunista ed operare per la rivoluzione proletaria, ma è quella di distruggere la principale organizzazione attuale della Sinistra comunista.
Che sia pagata o no, essa è un organismo poliziesco dello Stato capitalista.
La CCI si è sempre difesa contro gli attacchi dei suoi nemici, in particolare contro quelli che vogliono distruggerla con campagne di calunnie e di menzogne. Questa volta ancor di più, non lascerà correre. Non sarà né destabilizzata, né intimidita da quest’attacco del nemico di classe. Tutte le organizzazioni proletarie del passato hanno dovuto affrontare gli attacchi dello Stato borghese in vista di distruggerli. Si sono difese accanitamente e, molto spesso, questi attacchi, lungi dall’indebolirle hanno, al contrario, rafforzato la loro unità e la solidarietà tra militanti. È in questo modo che la CCI ed i suoi militanti hanno sempre reagito di fronte agli attacchi e alle delazioni della FICCI. E’ perciò che, appena è stata conosciuto l’“Appello” ignobile del “GIGC”, tutte le sezioni, tutti i militanti della CCI, si sono immediatamente mobilitati per difendere con la massima determinazione la nostra organizzazione ed i nostri compagni presi di mira in questo “Appello”.
Corrente Comunista Internazionale (4 maggio 2014)
[1] Défense de l'organisation : les méthodes policières de la "FICCI, https://fr.internationalism.org/ri330/ficci.html [1]; Les réunions publiques du CCI interdites aux mouchards, https://fr.internationalism.org/book/export/html/2245 [2]; “Calunnie e delazione, le due espressioni della politica della FICCI verso la CCI”, https://it.internationalism.org/icconline/2006_calunnie [3].
[2] Vedi in particolare il nostro comunicato del 21 febbraio 2002 Le combat des organisations révolutionnaires contre la provocation et la calomnie - Communiqué à nos lecteurs [4]
[3] tendanceclaire.org/breve.php?id=655 [5]
L'attuale crisi in Ucraina è la più grave dallo scoppio della Jugoslavia 25 anni fa. La Russia cerca di difendere i suoi interessi nella regione contro i tentativi delle forze occidentali di aumentare la loro influenza, minacciando di scatenare una guerra civile e la destabilizzazione della regione.
Il paese ha un nuovo presidente, Petro Porochenko, eletto a maggioranza nel primo turno delle elezioni sulla base della promessa di schiacciare senza esitazioni « i terroristi separatisti » nell'est del paese. Certamente egli non rappresenta niente di nuovo. La sua carriera politica è cominciata nel Partito unificato socialdemocratico dell'Ucraina, poi è passato nel Partito delle regioni, leale verso Kutchma, un alleato della Russia, prima di scegliere il Blocco Nostra Ucraina di Iuchtchenko nel 2001. E' stato ministro nei governi di Iuchtchenko e Ianukovitch. Miliardario del cioccolato, è stato accusato di corruzione nel 2005 e si è battuto alle elezioni presidenziali con il sostegno dell'ex pugile Vitaly Klitschko – che nello stesso momento è stato eletto sindaco di Kiev – e dei suoi corrotti partigiani Levochkin e Firtash. L'Ucraina attualmente è diretta da un nuovo oligarca corrotto, che offre la sola prospettiva che il sistema capitalista putrefatto riserva all'umanità : il militarismo e l'austerità.
Non essendo stato capace di sconfiggere rapidamente i separatisti filo-russi, il conflitto continua con alterne vicende, ma con i separatisti che continuano a mantenere le loro posizioni.
Lungi dall'aprire un nuovo perido di stabilità e di crescita, le elezioni presidenziali del 25 maggio hanno segnato una nuova tappa nello scivolamento verso una sanguinosa guerra civile, nonostante i referendum sull'autonomia tenuti dai separatisti in Crimea a marzo e quelli di Donetsk e Luhansk a maggio. Quello che sta accadendo è un allargamento delle divisioni interne di questo paese artificiale in fallimento, amplificate dalle manovre imperialiste esterne. Il rischio è che esso venga dilaniato dalla guerra civile, dalla pulizia etnica, i pogrom, i massacri e l'estensione dei conflitti imperialisti.
L'Ucraina è il secondo paese d'Europa come estensione, una costruzione artificiale con il 78% di ucraini e il 17% di russofoni, maggioritari nella regione del Donbass, più diverse etnie inclusi i Tartari della Crimea. Le divisioni sulle ricchezze economiche seguono le stesse linee di frattura, con il carbone e la siderurgia nell'est russofono, che esporta massicciamente verso la Russia rappresentando il 25% delle esportazioni. Per quanto riguarda la parte occidentale, teatro della « rivoluzione arancione » del 2004 e delle manifestazioni a Maidan, la piazza dell'indipendenza a Kiev, lo scorso inverno, guarda all'Occidente in cerca del suo sostegno.
L'economia è in fallimento. Nel 1999 la produzione era calata del 40% rispetto ai valori del 1991, data dell'arrivo all'indipendenza dell'Ucraina. Dopo una piccola ripresa, essa ha di nuovo perso il 15% nel 2009. L'apparato industriale dell'est è obsoleto, molto pericoloso e inquinante. L'esaurimento delle miniere ha comportato un aumento dei rischi di incidenti sul lavoro per l'aumento della profondità degli scavi fino a 1200 metri con la minaccia di esplosione di metano e di polvere di carbone nonchè dello sfaldamento delle rocce (le stesse condizioni di pericolo che hanno causato più di trecento morti recentemente a Soma, in Turchia). L'inquinamento causato dalle miniere compromette l'approvvigionamento d'acqua, mentre i mulini che trattano i residui di carbone e di ferro causano un inquinamento dell'aria visibile a occhio nudo e l'accumularsi delle scorie e del metallo arrugginito può causare frane nel terreno fangoso. A tutto questo bisogna aggiungere la radioattività causata dallo sfruttamento di miniere dell'epoca nucleare sovietica. Queste industrie non sono competitive sul medio termine, o anche a breve termine, se si devono confrontare con quelle dell'Unione Europea, ed è difficile intravedere chi avrà il coraggio di fare gli investimenti che ci vorrebbero. Certamente non gli oligarchi al potere, il cui unico obiettivo è riempirsi le tasche a spese dell'economia. Nè tantomeno la Russia che deve a sua volta fare i conti con la sua industria obsoleta ereditata dall'epoca sovietica. Nè ancora il capitale dell'Europa occidentale che ha deciso la chiusura della maggior parte delle proprie industrie minerarie e metallurgiche tra il 1970 e il 1980. L'idea che la Russia possa proporre una soluzione al disastro economico, all'impoverimento e alla disoccupazione che non ha smesso di aggravarsi man mano che gli oligarchi si arricchivano – una specie di nostalgia per lo stalinismo e la sua disoccupazione mascherata – è una illusione pericolosa che può solo indebolire la capacità della classe operaia di difendersi da se stessa.
Altrettanto pericolose sono le illusioni sulla moneta europea. Il Fondo Monetario Internazionale ha concesso un fido di 14/18 miliardi di dollari a marzo, in sostituzione dei 15 miliardi di dollari ritirati dalla Russia al momento della caduta di Ianukovitch. Questo fido è condizionato alla attuazione di una stretta austerità che ha provocato un aumento del prezzo del carburante del 40% e un taglio del 10% nel settore pubblico, corrispondente a 24.000 posti di lavoro. E le stesse cifre sulla disoccupazione non sono attendibili, dal momento che molte persone non sono registrate o sono sotto-impiegate.
Quando l'Ucraina faceva parte dell'URSS e confinava con paesi satelliti della Russia, le divisioni non minacciavano l'integrità del paese – il che non vuol dire che queste divisioni non esistevano. 70 anni fa, per esempio, i Tartari della Crimea furono espulsi ed alcuni sono tornati solo di recente. Le divisioni vengono utilizzate in maniera nauseante assetando di sangue tutte le parti in gioco. Il partito Svoboda, di estrema destra, non è solo in questa opera : il governo provvisorio di conciliazione di Stefan Bandera, la guerrafondaia nazista ucraina Iulia Timochenko, tutti fanno appello all'uccisione e al bombardamento dei dirigenti e della popolazione russa, e Porochenko lo mette in pratica. Il campo russo è altrettanto immondo e sanguinario. Entrambe le parti hanno costituito delle milizie paramilitari, e il governo stesso di Kiev non ricorre solo al suo esercito regolare. Queste forze irregolari riuniscono i fanatici più pericolosi, mercenari, terroristi, assassini, che spargono il terrore sulle popolazioni civili e si ammazzano reciprocamente. Una volta messe in marcia, queste forze tendono a diventare autonome, incontrollabili, portando alla stessa situazione di morte che si vive oggi in Iraq, Afganistan, Libia o Siria.
L'imperialismo russo ha bisogno della Crimea per la sua base navale sul Mar Nero, un mare caldo con accesso al Mediterraneo. Senza questa base la Russia non potrebbe effettuare operazioni nel Mare Mediterraneo o nell'Oceano Indiano. La sua posizione strategica dipende dalla Crimea. Ma essa ha bisogno anche dell'Ucraina per la difesa del gasdotto South Stream in corso di costruzione. E' una preoccupazione costante dall'indipendenza dell'Ucraina. La Russia non può assolutamente tollerare l'esistenza di un governo filo-occidentale in Crimea, motivo per cui si è opposta a qualsiasi accordo con l'Unione Europea. Nel 2010 essa ha concesso uno sconto sul prezzo del gas in cambio di un prolungamento della concessione per la sua base navale. Quando il governo Ianukovitch ha rinviato l'accordo di associazione all'U.E. lo scorso novembre, la Russia ha risposto con un'offerta di aiuto di 15 miliardi di dollari, ritirato quando Ianukovitch è stato deposto ed è scappato dall'Ucraina. Poco tempo dopo la Russia si è impadronita della Crimea e ha organizzato un referendum per la sua adesione, utilizzandolo poi nella sua propaganda di guerra in favore dell'annessione.
E così da marzo La Russia possiede la Crimea, di fatto, senza riconoscimento internazionale. Ma questa non è comunque sicura, dal momento che è circondata dall'Ucraina, un paese che è in procinto di firmare un accordo di associazione con l'U.E. alleandosi quindi con i nemici della Russia e liberarsi così del ricatto russo trovando nuovi donatori nell'Europa occidentale. Per poter avere un accesso via terra in Crimea la Russia ha bisogno di controllare la parte orientale dell'Ucraina. Questa tuttavia è differente dalla Crimea, nonostante il peso della popolazione russofona che ha fornito il pretesto per l'invasione. Non essendoci basi militari russe nell'Est dell'Ucraina i referendum separatisti di Donetsk e Luhansk non possono mettere al sicuro questa regione ma solo destabilizzarla, provocando altri scontri. L'Ucraina dell'est non è nemmeno sicura di controllare le gang separatiste locali.
La Russia ha comunque un'altra carta da giocare in caso di destabilizzazione di questa regione : la Transnistria, che si è separata dalla Moldavia, alla frontiera Sud-ovest dell'Ucraina dove vive ugualmente un'importante etnia russofona.
Questi fatti non significano assolutamente un ritorno alla guerra fredda. La guerra fredda costituisce un periodo di parecchie decine di anni di tensioni militari tra i due blocchi imperialisti che si dividevano l'Europa. Nel 1989 la Russia si è indebolita al punto da non poter più controllare i suoi satelliti, nemmeno la vecchia Unione Sovietica, come si è visto al momento della guerra in Cecenia. Ora molti paesi dell'Est Europa fanno parte della NATO che così si è impiantata fino alle frontiere della Russia. Tuttavia quest'ultima ha sempre un arsenale nucleare e conserva gli stessi interessi strategici. La minaccia di perdita di ogni influenza in Ucraina costituisce un pericolo di indebolimento che essa non può permettersi. Perciò è costretta a reagire.
Gli Stati Uniti sono la sola superpotenza restante, ma essi non hanno più l'autorità di un dirigente di blocco sui suoi « alleati » e concorrenti in Europa ; questo è stato attestato dal fatto che essi non hanno potuto mobilitare queste potenze per spalleggiarli nella seconda guerra in Iraq, come gli era riuscito nella prima. Gli Stati Uniti sono stati un po' indeboliti da più di vent'anni di usuramento nelle guerre in Iraq e in Afganistan. In più essi devono far fronte all'emergere di un nuovo rivale, la Cina, che è in grado di destabilizzare il Sud-Est asiatico e l'Estremo Oriente. Perciò, nonostante la loro intenzione di diminuire il budget militare, gli Stati Uniti sono obbligati a focalizzare la loro attenzione su questa regione del mondo. Obama ha dichiarato : « Alcuni dei nostri più grandi errori passati non vengono dal nostro disimpegno, ma dal nostro accanimento a precipitarci in avventure militari senza pensare alle conseguenze.» Questo non significa che gli Stati Uniti non cercheranno di avere la loro parte di torta in Ucraina, attraverso la via diplomatica, la propaganda e le azioni segrete, ma non c'è la prospettiva di un intervento immediato.
La Russia non si confronta con un Occidente unificato, ma con una moltitudine di paesi che difendono ognuno i loro propri interessi imperialisti, anche se a parole condannano l'intervento della Russia in Ucraina. La Gran Bretagna non vuole che le sanzioni compromettano gli investimenti russi nella City ; la Germania pensa alla sua attuale dipendenza dal gas russo, anche se cerca altre risorse energetiche.I paesi Baltici sono favorevoli a una condanna e ad azioni molto severe visto che una buona proporzione delle loro popolazioni sono russofone, e quindi si sentono anch'essi minacciati. E' così che il conflitto ucraino ha scatenato una nuova spirale di tensioni militari nell'est europeo dimostrando che non c'è rimedio contro di esse.
In questo momento la Russia affronta delle sanzioni che sono potenzialmente molto dannose, dato che riguardano le esportazioni di petrolio e di gas. La recente firma di un contratto per vendere gas alla Cina le è venuta in aiuto. La Cina non ha seguito l'ONU nella condanna dell'annessione della Crimea da parte della Russia. A livello di propaganda essa rivendica Taiwan sulle stesse basi delle pretese russe in Crimea : l'unità dei popoli che parlano cinese, mentre non vuole ammettere il principio di autodeterminazione per le sue numerose minoranze etniche.
Tutte le fazioni borghesi, sia all'interno dell'Ucraina che quelle che manovrano dall'esterno, sono confrontate a una situazione in cui ogni movimento non fa che peggiorare le cose. E' un po' come al gioco degli scacchi, gioco amato sia dai russi che dagli ucraini, quando ogni movimento fatto da un giocatore non può che aggravare la sua situazione, cosicchè egli non può fare altro che muovere o abbandonare. Per esempio, Kiev e l'U.E. auspicano un avvicinamento, il che non può che condurre a un conflitto e al separatismo nell'est ; la Russia vuole affermare il suo controllo sulla Crimea, ma siccome non può prendere il controllo dell'Ucraina o della sua parte orientale, tutto quello che può fare è provocare discordia e instabilità. Più ogni parte cerca di difendere i propri interessi, più la situazione diventa caotica e più il paese scivola verso la guerra civivle aperta – come nella Jugoslavia degli anni 1990. Questa è una caratteristica della decomposizione del capitalismo, in cui la classe dominante non può proporre una prospettiva razionale alla società e la classe operaia non è ancora capace di avanzare la sua prospettiva.
In questa situazione il rischio per la classe operaia è di essere irreggimentata dietro l’una o l’altra delle differenti fazioni nazionaliste. Questo pericolo è accresciuto dalla ostilità storica basata sulla vera e propria barbarie che ogni fazione ha esercitato durante tutto il 20° secolo: la borghesia ucraina può ricordare alla popolazione e in particolare alla classe operaia la carestia che ha ucciso milioni di persone come conseguenza della collettivizzazione forzata sotto la Russia stalinista; i Russi possono ricordare alla loro popolazione il sostegno degli ucraini alla Germania durante la seconda guerra mondiale mentre i Tartari non hanno dimenticato la loro espulsione dalla Crimea e la morte di circa la metà delle 200.000 persone coinvolte. C’è anche il pericolo, per la classe operaia, di rimproverare a questa o quella frazione di essere responsabile dell’aggravamento della miseria e di essere attirata nella trappola della difesa di un campo contro un altro. Nessuna di esse ha niente da offrire alla classe operaia, se non l’accentuazione dell’austerità e un conflitto sanguinario.
E’ quasi inevitabile che qualche operaio sia attirato nel sostegno a una fazione filo e anti-Russi, anche se non siamo sicuri di ciò che stia effettivamente avvenendo. Ma il fatto che il Donbass sia diventato un campo di battaglia per le forze nazionaliste evidenzia la debolezza della classe operaia in questa zona. Confrontati alla disoccupazione e alla povertà, gli operai non hanno la forza di sviluppare lotte sul proprio terreno insieme ai loro fratelli di classe dell’Ucraina dell’Ovest e corrono il rischio di essere sollevati gli uni contro gli altri.
C’è però una speranza, tenue ma significativa: una minoranza internazionalista in Ucraina e in Russia, il KRAS e altri, hanno espresso una presa di posizione coraggiosa: «Guerra alla guerra. Non versiamo una sola goccia di sangue per la ‘nazione’»; questi internazionalisti difendono la posizione della classe operaia. La classe operaia, sebbene non possa ancora mettere avanti la sua prospettiva rivoluzionaria, non è battuta a livello internazionale. E’ questa la sola speranza per un’alternativa di fronte alla corsa del capitalismo verso la barbarie e l’autodistruzione.
Alex, 8 giugno
1. Da un secolo, il modo di produzione capitalista è entrato nel suo periodo di declino storico, di decadenza. È lo scoppio della Prima Guerra mondiale, nell'agosto 1914 a segnare il passaggio tra la "Belle Époque", quella dell'apogeo della società borghese, e "l'era delle guerre e delle rivoluzioni", come l'ha qualificata l'Internazionale Comunista all'epoca del suo primo congresso, nel 1919. Da allora, il capitalismo non ha fatto che sprofondare nella barbarie con, al suo attivo in particolare, una Seconda Guerra mondiale che ha fatto più di 50 milioni di morti. E se il periodo di "prosperità" che è seguito a questa orribile macelleria ha potuto seminare l'illusione che questo sistema infine potesse superare le sue contraddizioni, la crisi aperta dell'economia mondiale, alla fine degli anni 60, è giunta a confermare il verdetto che i rivoluzionari avevano già enunciato mezzo secolo prima: il modo di produzione capitalista non sfuggiva al destino dei modi di produzione che l'avevano preceduto. Anch'esso, dopo avere costituito una tappa progressiva nella storia umana, era diventato un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive ed al progresso dell'umanità. L'ora del suo capovolgimento e della sua sostituzione con un'altra società era giunta.
2. Nello stesso momento in cui segnava lo storico vicolo cieco in cui si stava trovando il sistema capitalista, questa crisi aperta, come quella degli anni 1930, poneva una nuova volta la società davanti all'alternativa: guerra imperialistica generalizzata o sviluppo di combattimenti decisivi del proletariato con, in prospettiva, il capovolgimento rivoluzionario del capitalismo. Di fronte alla crisi degli anni 1930, il proletariato mondiale, schiacciato ideologicamente dalla borghesia in seguito alla sconfitta dell'ondata rivoluzionaria degli anni 1917-23, non aveva potuto dare la sua risposta, lasciando che la classe dominante imponesse la sua: una nuova guerra mondiale. Di contro, fin dai primi segni della crisi aperta, alla fine degli anni 1960, il proletariato si è impegnato in combattimenti di grande ampiezza: maggio 1968 in Francia, "maggio strisciante" italiano del 1969, scioperi massicci degli operai polacchi del Baltico nel 1970 e molti altri scontri meno spettacolari ma tutti così significativi di un cambiamento fondamentale nella società: la controrivoluzione era giunta a termine. In questa situazione nuova, la borghesia non ha potuto avere le mani libere per intraprendere la strada di una nuova guerra mondiale. Sono seguiti più di quattro decenni di marasma crescente dell'economia mondiale, corredati da attacchi sempre più violenti contro il livello e le condizioni di vita degli sfruttati. Durante questi decenni, la classe operaia ha condotto molte lotte di resistenza. Tuttavia, anche se non ha subito una sconfitta decisiva che avrebbe potuto invertire il corso storico, essa non è stata in grado di sviluppare le sue lotte e la sua coscienza ad un punto tale da presentare alla società anche un embrione di prospettiva rivoluzionaria. "In una tale situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si confrontano senza riuscire ad imporre la loro propria risposta decisiva, la storia non può attendere fermandosi. Ancor meno che per gli altri modi di produzione che lo hanno preceduto, non è possibile per il capitalismo congelare la situazione, la vita sociale. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l’incapacità della borghesia di offrire la minima prospettiva per l’insieme della società così come l’incapacità del proletariato di affermare apertamente la propria prospettiva nell’immediato non possono che sfociare in un fenomeno di decomposizione generalizzata, di incancrenimento generale della società. ". (La decomposizione, fase estrema della decadenza capitalista – Rivista Internazionale n°14). È dunque una nuova fase della decadenza del capitalismo che si è aperta da un quarto di secolo: il fenomeno della decomposizione sociale è diventato una componente determinante della vita di tutta la società.
3. Il campo dove si manifesta in modo più spettacolare la decomposizione della società capitalista è quello degli scontri militari e più generalmente delle relazioni internazionali. La successione di attentati omicidi che hanno colpito le grandi città europee, particolarmente Parigi, nel mezzo del decennio, attentati che non sono stati fatti da semplici gruppi isolati ma da Stati costituiti, ha spinto la CCI ad elaborare la sua analisi sulla decomposizione nella seconda metà degli anni 1980. É stato l'inizio di una forma di scontri imperialisti, qualificati in seguito come "guerre asimmetriche", che ha tradotto un cambiamento in profondità nelle relazioni tra Stati e, più generalmente, nell'insieme della società. La prima grande manifestazione storica di questa nuova, ed ultima, tappa nella decadenza del capitalismo è stata costituita dal crollo dei regimi stalinisti d'Europa e del blocco dell'Est nel 1989. La CCI ha immediatamente avanzato il significato che questo avvenimento rivestiva dal punto di vista dei conflitti imperialistici: "La scomparsa del gendarme imperialista russo, e ciò che conseguirà per il gendarme americano nei confronti dei suoi principali 'partner' di ieri, aprono la porta allo scatenamento di tutta una serie di rivalità locali. Queste rivalità e scontri non possono, al momento, degenerare in un conflitto mondiale (…). Di contro, a causa della scomparsa della disciplina imposta dalla presenza dei blocchi, questi conflitti rischiano di essere più violenti e più numerosi, in particolare, evidentemente, nelle zone dove il proletariato è più debole". (Revue Internationale n°61, "Dopo il crollo del blocco dell'Est, destabilizzazione e caos"). Da questo momento la situazione internazionale non ha fatto che confermare tale analisi:
- 1a guerra del Golfo nel 1991;
- guerra nell'ex Iugoslavia tra il 1991 ed il 2001;
- due guerre in Cecenia, nel 1994-1995 e nel 1999-2000;
- guerra in Afghanistan a partire dal 2001 che prosegue ancora, 12 anni dopo;
- la guerra in Iraq del 2003 le cui conseguenze continuano a pesare in modo drammatico su questo paese, ma anche sulla potenza americana, che ha iniziato la guerra;
- le numerose guerre che non hanno smesso di devastare il continente africano (Ruanda, Somalia, Congo, Sudan, Costa d'Avorio, Mali, ecc.);
- le numerose operazioni militari d'Israele contro il Libano o la Striscia di Gaza che replica ai lanci di razzi dalle posizioni di Hezbollah o di Hamas.
4. In realtà, questi differenti conflitti illustrano in modo drammatico come la guerra abbia acquisito un carattere totalmente irrazionale nel capitalismo decadente. Le guerre del XIX secolo, per quanto omicide siano state, hanno avuto una razionalità dal punto di vista dello sviluppo del capitalismo. Le guerre coloniali hanno permesso agli Stati europei di costituirsi un impero dove attingere materie prime o dove vendere le loro merci. La Guerra di Secessione del 1861-65 in America, vinta dal Nord, ha aperto le porte ad un pieno sviluppo industriale di quella che sarebbe diventata la prima potenza mondiale. La guerra franco-prussiana del 1870 è stata un elemento decisivo dell'unità tedesca e dunque della creazione del quadro politico della futura prima potenza economica d'Europa. Al contrario, la Prima Guerra mondiale ha lasciato esangui i paesi europei, sia i "vincitori" che i "vinti", ed in particolare quelli che avevano avuto la posizione più "bellicista" (Austria, Russia e Germania). In quanto alla Seconda Guerra mondiale, essa ha confermato ed ha amplificato il declino del continente europeo dove è esordita, con una menzione speciale per la Germania che nel 1945 è diventata un campo di rovine, come anche il Giappone, altra potenza "aggressiva". In effetti, il solo paese che abbia beneficiato di questa guerra è stato quello che vi è entrato più tardivamente e che ha potuto evitare, a causa della sua posizione geografica, lo svolgersi di quest’ultima sul suo territorio, gli Stati Uniti. Del resto, la guerra più importante che ha condotto questo paese dopo la Seconda Guerra mondiale, quella del Vietnam, ha ben mostrato il suo carattere irrazionale poiché non ha portato niente alla potenza americana se non un costo considerevole dal punto di vista economico e soprattutto umano e politico.
5. Detto ciò, il carattere irrazionale della guerra si è elevato ad un livello superiore nel periodo di decomposizione. Ciò che è ben illustrato, per esempio, dalle avventure militari degli Stati Uniti in Iraq ed in Afghanistan. Anche queste guerre hanno avuto un costo considerevole, soprattutto da un punto di vista economico. Infatti, il loro beneficio è molto ridotto, se non negativo. In queste guerre, la potenza americana ha potuto fare mostra della sua immensa superiorità militare, ma ciò non le ha permesso di raggiungere gli obiettivi desiderati: stabilizzare l'Iraq e l'Afghanistan ed obbligare i suoi vecchi alleati del blocco occidentale a stringere le righe intorno a lei. Oggi, il ritiro programmato delle truppe americane e della NATO dall’Iraq e dall'Afghanistan lascia un'instabilità senza precedente in questi paesi col rischio di contribuire all'aggravamento ed all'instabilità di tutta la regione. Allo stesso tempo, è in ordine sparso che gli altri partecipanti a queste avventure militari hanno lasciato o lasciano la nave. Per la potenza imperialista americana, la situazione non ha smesso di aggravarsi: se negli anni 1990 è riuscita a mantenere il suo ruolo di "Gendarme del Mondo", oggi, il suo primo problema è tentare di mascherare la sua impotenza di fronte all'ascesa del caos mondiale, come lo dimostra, per esempio, la situazione in Siria.
6. Durante l'ultimo periodo, il carattere caotico ed incontrollabile delle tensioni e conflitti imperialisti si è dimostrato ancora una volta con la situazione in Estremo Oriente e, chiaramente, in Siria. Nei due casi, siamo confrontati a conflitti che portano in sé la minaccia di un incendio e di una destabilizzazione ben più considerevole.
In Estremo Oriente si assiste ad un'impennata delle tensioni tra gli Stati della regione. È così che nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito allo sviluppo di tensioni coinvolgenti numerosi paesi, dalle Filippine al Giappone. Per esempio, la Cina ed il Giappone si disputano le isole Senkaku/Diyao, il Giappone e la Corea del Sud l'isola Takeshima/Dokdo, mentre altre tensioni sorgono a Taiwan, in Vietnam o in Birmania. Ma il conflitto più spettacolare riguarda evidentemente quello che oppone la Corea del Nord alla Corea del Sud, il Giappone e gli Stati Uniti. Presa alla gola da una crisi economica drammatica, la Corea del Nord si è lanciata in un riarmo militare che, evidentemente, utilizzerà come arma di ricatto, principalmente nei confronti degli Stati Uniti, per ottenere da questa potenza un certo numero di vantaggi economici. Ma questa politica avventurista contiene due fattori di gravità. Da una parte, il fatto che coinvolge, anche se in modo indiretto, il gigante cinese che resta uno dei pochi alleati della Corea del Nord. E ciò nel momento in cui questa potenza tende sempre più a fare valere ovunque i suoi interessi imperialisti, dove evidentemente può, in Estremo Oriente evidentemente, ma anche in Medio Oriente, grazie soprattutto alla sua alleanza con l'Iran che è peraltro il suo principale fornitore di idrocarburi, ed anche in Africa dove la sua crescente presenza economica mira a preparare una futura presenza militare quando ne avrà i mezzi. Dall'altra, questa politica avventurista dello Stato nordcoreano, uno Stato il cui barbaro dominio poliziesco manifesta una fragilità fondamentale, contiene il rischio di un tale sbandamento da innescare un processo incontrollato verso lo scoppio di un nuovo focolare di conflitti militari diretti con conseguenze difficilmente prevedibili, ma di cui possiamo già catalogare come un altro tragico episodio che va ad aggiungersi a tutte quelle manifestazioni della barbarie guerriera che oggi prostrano il pianeta.
7. La guerra civile in Siria fa seguito alla "primavera araba" che, indebolendo il regime di Assad, ha aperto il Vaso di Pandora consentendo lo sviluppo di una moltitudine di contraddizioni e conflitti che il pugno di ferro di questo regime per decenni aveva inscatolato. I paesi occidentali si sono pronunciati a favore della partenza di Assad, ma sono incapaci di proporre una soluzione di ricambio, mentre la sua opposizione è totalmente divisa e il settore preponderante è costituito dagli islamici. Allo stesso tempo, la Russia porta un deciso sostegno militare al regime di Assad che, col porto di Tartus, le garantisce la presenza della sua flotta da guerra in Mediterraneo. E non è il solo Stato poiché lo è anche l'Iran e del resto anche la Cina: la Siria è diventata una nuova sfida insanguinata dalle molteplici rivalità tra potenze imperialiste di primo o secondo ordine, di cui le popolazioni del Medio Oriente ne stanno da decenni facendo le spese. Il fatto che le manifestazioni della "Primavera araba" in Siria non abbiano apportato la benché minima conquista per le masse sfruttate ed oppresse ma una guerra che ha fatto più di 100.000 morti costituisce una sinistra illustrazione della debolezza in questo paese della classe operaia, la sola forza che possa mettere un freno alla barbarie guerriera. E questa è una situazione che vale anche, sotto forme meno tragiche, per gli altri paesi arabi dove la caduta dei vecchi dittatori è finita con la presa del potere da parte di settori più retrogradi della borghesia rappresentata dagli islamici, come in Egitto o in Tunisia, o in un caos senza nome come in Libia.
Così, la Siria ci offre oggi un nuovo esempio della barbarie che il capitalismo in decomposizione scatena sul pianeta, una barbarie che prende la forma di sanguinosi scontri militari ma che colpisce anche zone che hanno potuto evitare la guerra ma le cui società sprofondano in un caos crescente, come per esempio in America latina dove i narcotrafficanti, con la complicità di settori dello Stato, fanno regnare il terrore.
8. Ma è a livello della distruzione dell'ambiente naturale che le conseguenze a breve termine del crollo della società capitalista raggiungono una qualità totalmente apocalittica. Sebbene lo sviluppo del capitalismo si sia distinto fin dalle sue origini per la sua estrema rapacità nella sua ricerca di profitto e di accumulazione in nome del "dominio della natura", le depredazioni condotte negli ultimi 30 anni raggiungono livelli di devastazione sconosciuta nelle società del passato e nello stesso capitalismo all'epoca della sua nascita "nel fango e nel sangue". La preoccupazione del proletariato rivoluzionario di fronte all'essenza distruttiva del capitalismo è vecchia, come vecchia è la minaccia. Marx ed Engels allertavano già sull'impatto nefasto - tanto per la natura che per gli uomini - dell'assembramento e del confinamento delle popolazioni nelle prime concentrazioni industriali in Inghilterra a metà del XIX secolo. Nello stesso spirito, i rivoluzionari delle differenti epoche hanno compreso e denunciato la natura atroce dello sviluppo capitalista, avvertendo contro il pericolo che esso rappresenta non solo per la classe operaia, ma per tutta l'umanità e, oggigiorno, per la vita sul pianeta.
Oggi, la tendenza al deterioramento definitivo ed irreversibile del mondo naturale è realmente allarmante, come lo dimostrano le manifestazioni ripetute e terribili del riscaldamento climatico, del saccheggio del pianeta, la deforestazione, l'erosione dei suoli, la distruzione delle specie, l'inquinamento delle falde freatiche, dei mari e dell'aria e le catastrofi nucleari. Queste ultime costituiscono l'esempio per eccellenza del pericolo latente di devastazione risultante dal potenziale che il capitalismo ha messo al servizio della sua folle logica, trasformandolo in una spada di Damocle che minaccia l'umanità.
E benché la borghesia tenti di attribuire la distruzione dell'ambiente naturale alla meschinità di individui "senza coscienza ecologica" - creando così un'atmosfera di colpevolezza e di angoscia -, la verità, messa in evidenza dagli sforzi ipocriti e vani per "risolvere" il problema è che non si tratta di un problema di individui, neanche di imprese o di nazioni, ma della stessa logica di devastazione specifica di un sistema che, in nome dell'accumulazione, del profitto come principio e fine, non ha alcuno scrupolo a devastare forse per sempre, dal momento che può trarne un beneficio immediato, le premesse materiali dello scambio metabolico tra la vita e la Terra.
È là il risultato inevitabile della contraddizione tra le potenze produttive - umane e naturali - che il capitalismo ha sviluppato, e che si trovano oggi in costrizione e sul punto di esplodere in modo atroce, ed i rapporti di produzione antagonisti basati sulla divisione in classi e la competizione capitalista. È anche là il quadro mondiale drammatico la cui trasformazione deve stimolare il proletariato nei suoi sforzi rivoluzionari perché solo la distruzione del capitalismo può permettere alla vita di rifiorire di nuovo.
9. Fondamentalmente, questa impotenza della classe dominante di fronte al fenomeno della distruzione dell'ambiente naturale, di cui tuttavia essa ha sempre più coscienza della minaccia che fa pesare sull'insieme dell'umanità, trova le sue origini nella sua incapacità a superare le contraddizioni economiche che assillano il modo di produzione capitalista. È proprio l'aggravamento irreversibile della crisi economica che costituisce la causa fondamentale della barbarie che si estende sempre più nella società. Per il modo di produzione capitalista, la situazione è senza uscita. Sono le sue leggi che l'hanno condotto nel vicolo cieco dove si trova e non potrebbe uscirne che abolendo queste leggi, in altre parole abolendo se stesso. Concretamente, il capitalismo, dai suoi albori, ha avuto come motore essenziale del suo sviluppo la conquista permanente di nuovi mercati all'esterno della propria sfera. Le crisi commerciali che ha conosciuto fin dall'inizio del diciannovesimo secolo, e che esprimevano il fatto che le merci prodotte da un capitalismo in pieno sviluppo non arrivavano a trovare sufficientemente acquirenti per essere smaltite, erano superate da una distruzione del capitale eccedente ma anche e soprattutto attraverso la conquista di nuovi mercati, principalmente nelle zone del pianeta che non erano ancora sviluppate da un punto di vista capitalista. È per ciò che questo secolo è quello delle conquiste coloniali: per ogni potenza capitalista sviluppata, era primordiale costituirsi delle zone dove attingere delle materie prime a basso prezzo ma anche e soprattutto dove vendere le merci prodotte. La Prima Guerra mondiale ha proprio come causa fondamentale il fatto che, essendo compiuta la divisione del mondo tra le potenze capitaliste, ogni conquista di una nuova zona di dominio da parte di questa o quella potenza passava oramai attraverso lo scontro diretto con gli altri paesi coloniali. Ciò non voleva dire tuttavia che non esistevano più mercati extra-capitalisti capaci di assorbire l'eccesso di merci prodotte dal capitalismo. Come scriveva Rosa Luxemburg alla vigilia della Prima Guerra mondiale: "Più aumenta la violenza con la quale all'interno ed all'esterno il capitale annienta gli strati non capitalisti e degrada le condizioni di esistenza di tutte le classi lavoratrici, più la storia quotidiana dell'accumulazione nel mondo si trasforma in una serie di catastrofi e di convulsioni che, unendosi alle crisi economiche periodiche, finiranno per rendere impossibile continuare l'accumulazione e fare insorgere la classe operaia internazionale contro il dominio del capitale prim'anche che questo abbia raggiunto economicamente gli ultimi limiti obiettivi del suo sviluppo." (L'accumulazione del capitale). La Prima Guerra mondiale fu proprio la più terribile in quest'epoca "di catastrofi e di convulsioni" conosciute dal capitalismo "prima ancora che questo non abbia raggiunto economicamente gli ultimi limiti obiettivi del suo sviluppo". E dieci anni dopo la macelleria imperialistica, la grande crisi degli anni 1930 ne fu la seconda, una crisi che avrebbe aperto la strada ad un nuovo massacro imperialistico generalizzato. Ma il periodo di "prosperità" che ha conosciuto il mondo nel secondo dopoguerra, una prosperità pilotata da meccanismi di cui si era dotato il blocco occidentale prima ancora della fine della guerra (in particolare con gli accordi di Bretton Woods nel 1944), e che si basavano su un intervento sistematico dello Stato nell'economia, ha fatto si che questi "limiti obiettivi" non fossero raggiunti ancora. La crisi aperta alla fine degli anni 1960 ha dimostrato che il sistema si era avvicinato considerevolmente a questi limiti, principalmente con la fine della decolonizzazione che, paradossalmente, aveva permesso l'apertura momentanea di nuovi mercati. Ormai, la riduzione crescente dei mercati extra-capitalisti ha costretto il capitalismo, minacciato sempre più da una sovrapproduzione generalizzata, a fare ricorso in modo crescente al credito, vera fuga in avanti perché, più si accumulavano i debiti, più la possibilità un giorno di rimborsarli si assottigliava.
10. La salita portentosa della sfera finanziaria dell'economia, a danno della sfera propriamente produttiva, e che oggi è stigmatizzata da politici e giornalisti di ogni specie come responsabile della crisi, non è dunque per niente il risultato del trionfo di un pensiero economico su un altro pensiero economico ("monetaristi" contro "keynesiani", o "liberali" contro "interventisti"). Essa fondamentalmente è conseguenza del fatto che la fuga in avanti nel credito ha sempre dato un peso crescente a questi organismi, le banche, la cui funzione è distribuire questi crediti. In questo senso, la "crisi della finanza" non è all'origine della crisi economica e della recessione. Ben al contrario. È la sovrapproduzione che si trova all'origine della "finanziarizzazione". Infatti, essendo sempre più rischioso investire nella produzione, di fronte ad un mercato mondiale sempre più saturo, i flussi finanziari vengono orientati in modo crescente verso la semplice speculazione. È per tale motivo che tutte le teorie economiche "di sinistra" che preconizzano un "ridimensionamento della finanza internazionale" per "uscire della crisi" sono vani sogni poiché "dimenticano" le cause vere di questa ipertrofia della sfera finanziaria.
11. La crisi dei "subprimes" del 2007, il grande panico finanziario del 2008 e la recessione del 2009 hanno segnato il superamento di una nuova tappa molto importante e significativa dello sprofondamento del capitalismo nella sua crisi irreversibile. Per 4 decenni, il capitalismo ha usato ed abusato del credito per contrastare la tendenza crescente alla sovrapproduzione che si è espressa principalmente attraverso una successione di recessioni sempre più profonde e devastatrici seguite da "riprese" sempre più timide. Ne è risultato che, al di là delle variazioni dei tassi di crescita da un anno all'altro, la crescita media dell'economia mondiale non ha smesso di declinare di decennio in decennio nello stesso momento in cui si assisteva ad un aumento parallelo della disoccupazione. Quella del 2009 è stata la più importante recessione conosciuta dal capitalismo dalla grande depressione degli anni 1930 elevando, in molti paesi, il tasso di disoccupazione a livelli mai raggiunti dalla Seconda Guerra mondiale. È solo un intervento massiccio del FMI e degli Stati, deciso all'epoca del vertice del G20 di marzo 2009, che ha potuto salvare le banche da una bancarotta generalizzata a causa dell'accumulo dei loro "attivi tossici", e cioè di crediti che non potevano più essere rimborsati. In tal modo, la "crisi del debito", come la denominano i commentatori borghesi, è passata ad uno stadio superiore: non sono più solamente gli individui, come è capitato negli Stati Uniti nel 2007 con la crisi immobiliare, né le imprese o le banche a non essere in grado a rimborsare i loro debiti, e nemmeno a pagare gli interessi di quest’ultimi. Ma ora anche gli Stati, costretti a confrontarsi con il peso sempre più schiacciante del loro indebitamento, il "debito sovrano", vengono colpiti nella loro capacità ad intervenire per rilanciare le loro rispettive economie nazionali attraverso i deficit di bilancio.
12. È in questo contesto che si è dichiarato e sviluppato, dall'estate 2011, ciò che è conosciuto ormai con il nome di "crisi dell'Euro". Allo stesso titolo di quello dello Stato giapponese o dello Stato americano, il debito degli Stati europei ha conosciuto dal 2009 un aumento spettacolare, e particolarmente nei paesi della zona Euro dove l'economia era più fragile o più dipendente dai palliativi illusori messi in opera nel periodo precedente, i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Nei paesi che hanno una loro moneta, come gli Stati Uniti, il Giappone o il Regno Unito, l'indebitamento dello Stato può essere compensato in parte dalla creazione monetaria. È così che la FED americana ha ricomprato grosse quantità di Buoni del Tesoro dello Stato americano, e cioè il riconoscimento del debito pubblico, per trasformarli in biglietti verdi. Ma una tale possibilità non esiste per i paesi che hanno abbandonato la loro moneta nazionale a favore dell'Euro. Privati di questa possibilità di "monetizzazione del debito", i paesi della zona Euro non hanno altro ricorso che fare nuovi prestiti per colmare l’enorme buco delle loro finanze pubbliche. E se i paesi del nord Europa sono ancora capaci di racimolare fondi da banche private a tassi ragionevoli, una tale possibilità è vietata ai PIIGS i cui prestiti sono sottomessi a tassi di interesse esorbitanti a causa della loro insolvenza flagrante, ciò che li obbliga a fare appello ad una successione di "piani di salvataggio" messi in opera dalla Banca centrale europea e dal FMI accompagnati dall'obbligo di restrizioni drastiche dei deficit pubblici.
Queste restrizioni hanno per conseguenza attacchi drammatici contro le condizioni di vita della classe operaia senza permettere, pertanto, una reale capacità di questi Stati di limitare i loro deficit poiché la recessione che essi provocano ha per conseguenza la riduzione delle risorse prelevate attraverso le imposte. Così, i rimedi da cavallo proposti per "curare i malati" minacciano, sempre più, di ucciderli. Ed è proprio questa una delle ragioni per la quale la Commissione europea ha deciso proprio recentemente di rendere più flessibili le sue esigenze di riduzione dei deficit pubblici per un certo numero di paesi come la Spagna o la Francia. Così, possiamo constatare ancora una volta il vicolo cieco in cui si chiude sempre più il capitalismo: l'indebitamento ha costituito un mezzo per supplire all'insufficienza dei mercati solvibili ma esso non può aumentare indefinitamente, come è stato evidenziato dalla crisi finanziaria a partire dal 2007. Pertanto, tutte le misure che possono essere prese per limitare l'indebitamento pongono di nuovo il capitalismo davanti alla sua crisi di sovrapproduzione, e ciò in un contesto economico internazionale ogni giorno sempre più degradato che limita sempre più il suo margine di manovra.
13. Il caso dei paesi "emergenti", particolarmente i "BRIC" (Brasile, Russia, India, Cina) i cui tassi di crescita si mantengono ben al di sopra di quelli degli Stati Uniti, del Giappone o dell'Europa occidentale, non possono costituire una smentita del carattere insolubile delle contraddizioni del sistema capitalista. In realtà, il "successo" di questi paesi (di cui bisogna sottolineare le differenze poiché un paese come la Russia si distingue per la preponderanza delle esportazioni di materie prime, particolarmente gli idrocarburi) è stato in parte la conseguenza della crisi di sovrapproduzione generale dell'economia capitalista che, inasprendo la concorrenza tra le imprese ed obbligandole a ridurre in modo drastico il costo della forza lavoro ha condotto alla "delocalizzazione" di settori considerevoli dell'apparato produttivo dei vecchi paesi industriali (automobile, tessile ed abbigliamento, elettronica, ecc.) verso le regioni dove i salari operai sono incomparabilmente più bassi che in questi paesi. Questa nuova distribuzione nello sfruttamento della forza lavoro è stata notevolmente favorita dal crollo dei regimi stalinisti, alla fine degli anni 1980, che ha portato un colpo decisivo ad un modello di sviluppo fortemente autarchico dei paesi arretrati. La fine di questo modello ha egualmente permesso l'accesso ai mercati extra capitalisti residui fino ad ora inaccessibili a causa di questa autarchia; e ciò ha permesso una leggera tregua all'economia mondiale dando la possibilità ad un paese come la Germania di beneficiarne attraverso le sue esportazioni. Ciò detto, la stretta dipendenza dell'economia dei paesi emergenti nei confronti delle esportazioni verso i paesi più evoluti provocherà, prima o poi, forti sussulti di queste economie quando gli acquisti di questi ultimi saranno colpiti da recessioni sempre più profonde, ciò che non mancherà di arrivare.
14. Così, come dicevamo 4 anni fa, "anche se il sistema capitalista non crollerà come un castello di carta… la sua prospettiva è quella di un infognamento crescente nel suo blocco storico, quella di un ritorno su scala sempre più vasta delle convulsioni che lo affliggono oggi. Da quattro decenni la borghesia non ha potuto impedire l’aggravamento continuo della crisi. Essa parte oggi da una situazione ben più degradata di quella degli anni sessanta. Malgrado tutta l’esperienza che essa ha acquisito nel corso di questi decenni, essa non potrà fare meglio, ma solo peggio." (Risoluzione sulla situazione internazionale del 18° Congresso, punto 4). Ciò non vuole dire che stiamo ritornando ad una situazione simile a quella del 1929 e degli anni 1930. 70 anni fa, la borghesia mondiale era stata presa completamente alla sprovvista di fronte al crollo della sua economia e le politiche che aveva adottato, in particolare il ripiegamento di ogni paese su se stesso, erano riuscite solamente ad inasprire le conseguenze della crisi. L'evoluzione della situazione economica dagli ultimi 4 decenni ha provato che, pur non essendo stata in grado di impedire al capitalismo di sprofondare sempre più nella crisi, la classe dominante ha avuto la capacità di rallentare il ritmo di questo sprofondamento e d’evitare una situazione di panico generalizzato come quello innescato dal "giovedì nero" 24 ottobre 1929. Esiste un'altra ragione per la quale non vivremo di nuovo una situazione simile a quella degli anni 1930. A quell'epoca, l'onda d'urto della crisi, partita dalla prima potenza economica mondiale, gli Stati Uniti, si ripercosse principalmente sulla seconda potenza mondiale, la Germania. È in questi due paesi che abbiamo visto le più drammatiche conseguenze della crisi, come quella disoccupazione di massa che toccò oltre il 30% della popolazione attiva, quelle code interminabili davanti agli uffici di collocamento al lavoro o alle mense popolari, mentre paesi come la Gran Bretagna o la Francia furono più risparmiati. Attualmente, una situazione un po' simile si sta sviluppando nei paesi del Sud Europa, come per esempio in Grecia, senza tuttavia raggiungere ancora il grado di miseria operaia degli Stati Uniti o della Germania degli anni 1930. Contemporaneamente, i paesi più evoluti dell'Europa del Nord, gli Stati Uniti ed il Giappone sono ancora molto lontano da una tale situazione ed è più che improbabile che un giorno possano raggiungerla, da una parte, a causa della grande resistenza della loro economia nazionale di fronte alla crisi, dall'altra e soprattutto, per il fatto che oggi il proletariato di questi paesi, in particolare quello dell'Europa, non è pronto ad accettare un tale livello di attacchi contro le sue condizioni di esistenza. Così, una delle componenti maggiori dell'evoluzione della crisi sfugge al rigoroso determinismo economico e sfocia sul piano sociale, sul rapporto di forze tra le due principali classi della società, borghesia e proletariato.
15. Mentre la classe dominante vorrebbe farci passare i suoi ascessi purulenti per vezzi (nei) di bellezza, l'umanità comincia a svegliarsi da un sogno diventato incubo e che mostra il fallimento storico totale della sua società. Ma mentre l'intuizione della necessità di un ordine di cose differenti guadagna campo di fronte alla brutale realtà di un mondo in decomposizione, questa vaga coscienza non significa che il proletariato è convinto della necessità di abolire questo mondo, ancora meno di sviluppare la prospettiva di costruirne un nuovo.
Così, l'aggravamento inedito della crisi capitalista nel contesto della decomposizione è la cornice in cui attualmente si esprime la lotta di classe, sebbene in un modo ancora incerto nella misura in cui questa lotta non si sviluppa sotto forma di scontri aperti tra le due classi. A tale riguardo, dobbiamo sottolineare il quadro inedito delle lotte attuali poiché hanno luogo nel contesto di una crisi che dura da quasi 40 anni, i cui effetti graduali nel tempo - all'infuori dei momenti di convulsione - hanno “abituato" il proletariato a vedere le sue condizioni di vita degradarsi lentamente, perniciosamente, ciò che rende più difficile di percepire la gravità degli attacchi e di rispondere di conseguenza. Inoltre, è una crisi il cui ritmo rende difficile la comprensione di ciò che si trova dietro tali attacchi resi "naturali" per la loro lentezza ed il loro scaglionamento. È questa una cornice molto differente da quella di convulsioni e sconvolgimenti evidenti, immediati, dell'insieme della vita sociale che si conoscono in una situazione di guerra. Così, ci sono delle differenze tra gli sviluppi della lotta di classe - a livello delle risposte possibili, della loro ampiezza, della loro profondità, della loro estensione e del loro contenuto - in un contesto di guerra che rende il bisogno di lottare drammaticamente urgente e vitale (come avvenne all'epoca della Prima Guerra mondiale all'inizio del XX secolo anche se non ci fu immediatamente risposta alla guerra) ed in un contesto di crisi che ha un ritmo lento.
Così, il punto di partenza delle lotte di oggi è precisamente l'assenza di identità di classe di un proletariato che, dall'entrata del capitalismo nella sua fase di decomposizione, ha conosciuto non solo grandi difficoltà a sviluppare la sua prospettiva storica ma anche a riconoscersi come una classe sociale. La caduta del blocco dell'Est nel 1989 che avrebbe suonato la pretesa "morte del comunismo", scatenando una campagna ideologica che aveva per scopo di negare l'esistenza stessa del proletariato, ha portato un duro colpo alla coscienza ed alla combattività della classe operaia. La violenza dell'attacco di questa campagna ha pesato da allora sul corso delle sue lotte. Malgrado ciò, come abbiamo constatato dal 2003, la tendenza verso gli scontri di classe è stata confermata dallo sviluppo dei diversi movimenti in cui la classe operaia ha "dimostrato la sua esistenza" ad una borghesia che aveva voluto “seppellirla viva". Così, la classe operaia nel mondo intero non ha smesso di battersi, anche se le sue lotte non hanno raggiunto l'ampiezza né la profondità sperata nella situazione critica in cui si trova. Tuttavia, concepire la lotta di classe partendo da "ciò che dovrebbe essere", come se la situazione attuale “fosse caduta dal cielo", non è permesso ai rivoluzionari. Comprendere le difficoltà e le potenzialità della lotta di classe è sempre stato un compito che esige una visione materialista e storica paziente al fine di trovare un "senso" al caos apparente, di comprendere ciò che è nuovo e difficile, ciò che è promettente.
16. È in questo contesto di crisi, di decomposizione e di fragilità della condizione soggettiva del proletariato che prendono senso le debolezze, le insufficienze e gli errori, come le potenzialità e le forze della sua lotta, confermandoci nella convinzione che la prospettiva comunista non deriva in modo automatico né meccanico da circostanze determinate. Così, durante i due anni passati, abbiamo assistito allo sviluppo di movimenti che abbiamo caratterizzato attraverso la metafora dei 5 corsi:
• Movimenti sociali della gioventù precaria, disoccupata o ancora studentesca, che cominciano con la lotta contro il CPE in Francia nel 2006, e che proseguono attraverso le rivolte della gioventù in Grecia nel 2008, culminando nei movimenti degli Indignati e di Occupy nel 2011;
• Movimenti di massa ma ben inquadrati dalla borghesia che aveva preparato in anticipo il campo, come in Francia nel 2007, in Francia ed in Gran Bretagna nel 2010, in Grecia nel 2010-2012, ecc.;
• Movimenti che subiscono il peso dell'interclassismo come in Tunisia ed in Egitto in 2011;
• Embrioni di scioperi di massa in Egitto nel 2007, Vigo (Spagna) nel 2006, Cina nel 2009;
• Il susseguirsi di movimenti nelle fabbriche o in settori industriali localizzati, ma contenenti germi promettenti come Lindsay nel 2009, Tekel nel 2010, elettrici in Gran Bretagna nel 2011.
Questi 5 corsi appartengono alla classe operaia perché, malgrado le loro differenze, esprimono ciascuno a suo livello lo sforzo del proletariato per ritrovarsi come classe, nonostante le difficoltà e gli ostacoli seminati dalla borghesia; ciascuno a suo livello ha portato una dinamica di ricerca, di chiarimento, di preparazione del campo sociale. A differenti livelli, essi si inscrivono nella ricerca "della parola che ci porterà fino al socialismo" (come scrive Rosa Luxemburg parlando dei consigli operai) per mezzo delle assemblee generali. Le espressioni più avanzate di questa tendenza sono state i movimenti degli Indignati e di Occupy - principalmente in Spagna - perché sono quelli che hanno più chiaramente posto le tensioni, le contraddizioni e le potenzialità della lotta di classe oggi. Nonostante la presenza di strati provenienti dalla piccola borghesia impoverita, l'impronta proletaria di questi movimenti si è manifestata attraverso la ricerca della solidarietà, delle assemblee, l'inizio di una cultura del dibattito, la capacità di evitare le trappole della repressione, germi di internazionalismo, una sensibilità acuta al riguardo degli elementi soggettivi e culturali. Ed è attraverso questa dimensione, quella della preparazione del campo soggettivo, che questi movimenti mostrano tutta la loro importanza per il futuro.
17. La borghesia, da parte sua, ha mostrato segni di inquietudine di fronte a questa "resurrezione" del suo becchino mondiale che reagisce agli orrori che gli sono imposti nel quotidiano per mantenere in vita il sistema. Il capitalismo ha amplificato di conseguenza la sua offensiva rafforzando il suo inquadramento sindacale, seminando illusioni democratiche ed accendendo i fuochi d'artificio del nazionalismo. Non è un caso se la sua controffensiva si è centrata su queste questioni: l'aggravamento della crisi ed i suoi effetti sulle condizioni di vita del proletariato provocano una resistenza che i sindacati tentano di inquadrare attraverso azioni che frammentano l'unità delle lotte e prolungano la perdita di fiducia del proletariato nelle proprie forze.
Poiché lo sviluppo della lotta di classe al quale assistiamo si realizza oggi in una cornice di crisi aperta del capitalismo da circa 40 anni - ciò che è in una certa misura una situazione senza precedenti rispetto alle esperienze passate del movimento operaio - la borghesia tenta di impedire al proletariato di prendere coscienza del carattere mondiale e storico della crisi nascondendone la natura. Così, l'idea di soluzioni "nazionali" e l’ascesa dei discorsi nazionalisti impediscono la comprensione del vero carattere della crisi, indispensabile affinché la lotta del proletariato prenda una direzione radicale. Poiché il proletariato non si riconosce come classe, la sua resistenza tende ad orientarsi in un’espressione generale di indignazione contro ciò che ha luogo nell'insieme della società. Questa assenza di identità di classe e dunque di prospettiva di classe permettono alla borghesia di sviluppare delle mistificazioni sulla "cittadinanza" e le lotte per una "vera democrazia". Ci sono altre cause di questa perdita di identità di classe che prendono radice nella stessa struttura della società capitalista e nella forma che prende l'aggravamento della crisi attualmente. La decomposizione, determinando un aggravamento brutale delle condizioni minime di sopravvivenza umana, si ripercuote sul campo personale, mentale e sociale, devastandolo. Ciò si manifesta in una "crisi di fiducia" dell'umanità. Inoltre, l'aggravamento della crisi, attraverso l'estensione della disoccupazione e della precarietà, va ad indebolire la socializzazione giovanile e ne facilita la fuga verso un mondo di astrazione e di atomizzazione.
18. Così, i movimenti di questi due ultimi anni, ed in particolare i "movimenti sociali", sono segnati da molteplici contraddizioni. In particolare, la rarità delle rivendicazioni specifiche apparentemente non corrisponde alla traiettoria "classica" che va dall'individuo al generale come noi ci aspettavamo dalla lotta di classe. Ma dobbiamo considerare anche gli aspetti positivi di questo comportamento generale che deriva dal fatto che gli effetti della decomposizione si risentono su un piano generale ed a partire dalla natura universale degli attacchi economici condotti dalla classe dirigente. Oggi, la strada che ha preso il proletariato ha il suo punto di partenza nel "generale", ciò che tende a porre la domanda della politicizzazione in una maniera ben più diretta. Confrontata all'evidente fallimento del sistema ed agli effetti deleteri della sua decomposizione, la massa sfruttata si rivolta e non potrà farlo prima di comprendere questi problemi come i prodotti della decadenza del sistema e della necessità di superarlo. È a questo livello che prendono tutta la loro importanza i metodi di lotta propriamente proletari che osserviamo (assemblee generali, dibatti fraterni ed aperti, solidarietà, sviluppo di una prospettiva sempre più politica), perché sono questi metodi che permettono di condurre una riflessione critica e di arrivare alla conclusione che il proletariato può distruggere non solo il capitalismo ma costruire un mondo nuovo. Un momento determinante di questo processo sarà l'entrata in lotta dai luoghi di lavoro e la loro congiunzione con le mobilitazioni più generali, una prospettiva che comincia a svilupparsi malgrado le difficoltà che dovremo affrontare negli anni a venire. È là il contenuto della prospettiva della convergenza dei "cinque corsi" di cui parlavamo sopra in questo "oceano di fenomeni", come Rosa Luxemburg descrive lo sciopero di massa.
19. Per comprendere questa prospettiva di convergenza, il rapporto tra l’identità di classe e la coscienza di classe è di un'importanza capitale, ed una questione si pone: la coscienza può svilupparsi senza identità di classe o quest'ultima nascerà dallo sviluppo della coscienza? Lo sviluppo della coscienza e di una prospettiva storica è a giusta ragione associato al recupero dell'identità di classe ma non possiamo considerare questo processo svilupparsi poco a poco secondo una sequenza rigida: inizialmente forgiare la sua identità, poi lottare, poi sviluppare la sua coscienza e sviluppare una prospettiva, o qualsiasi programmazione di questi elementi. La classe operaia non appare oggi come un polo d'opposizione sempre più massiccio; perciò lo sviluppo di una posizione critica per un proletariato che ancora non riconosce se stesso è il più probabile. La situazione è complessa, ma ci sono più probabilità di vedere una risposta a forma di discussione generale, potenzialmente positiva in termini politici, partendo non da un'identità di classe distinta e netta ma a partire da movimenti che tendono a trovare la propria prospettiva mediante la loro lotta. Come dicevamo nel 2009, "Affinché la coscienza della possibilità della rivoluzione comunista possa guadagnare un terreno significativo in seno alla classe operaia è necessario che questa possa riacquistare fiducia nelle proprie forze e questo passa attraverso lo sviluppo di lotte di massa". (Risoluzione sulla situazione internazionale, punto 11, 18° Congresso della CCI) (https://it.internationalism.org/node/808 [11]). La formulazione "sviluppare le sue lotte per ritrovare fiducia in sé e nella sua prospettiva" è completamente adeguata perché vuole dire riconoscere un "sé" ed una prospettiva, ma lo sviluppo di questi elementi può derivare solamente dalle loro stesse lotte. Il proletariato "non crea" la sua coscienza, ma "prende" coscienza di ciò che è realmente.
In questo processo, il dibattito è la chiave per criticare le insufficienze dei punti di vista parziali, per smontare le trappole, rigettare la caccia ai capri espiatori, comprendere la natura della crisi, ecc. A questo livello, le tendenze al dibattito aperto e fraterno di questi ultimi anni sono molto promettenti per questo processo di politicizzazione che la classe dovrà fare avanzare. Trasformare il mondo trasformandoci noi stessi comincia a prendere corpo nell'evoluzione delle iniziative di dibattiti e nello sviluppo di preoccupazioni che si basano sulla critica delle potenti catene che paralizzano il proletariato. Il processo di politicizzazione e di radicalizzazione ha bisogno del dibattito per criticare l'ordine attuale e portare una spiegazione storica ai problemi. A questo livello resta valido che "La responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie, e della CCI in particolare, è di essere parte pregnante della riflessione che si conduce in seno alla classe fin da ora, non solo intervenendo attivamente nelle lotte che cominciano a svilupparsi ma anche stimolando il percorso dei gruppi ed elementi che si propongono di raggiungere la sua lotta" (Risoluzione sulla situazione internazionale del 17° Congresso della CCI, 2007). Dobbiamo essere convinti fermamente che la responsabilità dei rivoluzionari nella fase che si apre è di contribuire, catalizzare lo sviluppo nascente della coscienza che si esprime nei dubbi e le critiche che già cominciano a porsi nel proletariato. Proseguire ed approfondire lo sforzo teorico devono essere il centro del nostro contributo, non solo contro gli effetti della decomposizione ma anche come mezzo per fertilizzare pazientemente il campo sociale, come antidoto all'immediatismo nelle nostre attività, perché senza la radicalità e l'approfondimento della teoria da parte delle minoranze, la teoria non potrà impossessarsi mai delle masse.
Lo scorso maggio, la CCI ha tenuto una conferenza internazionale straordinaria. Da qualche tempo si era sviluppata al nostro interno una crisi con epicentro la nostra più vecchia sezione, la sezione in Francia. Abbiamo ritenuto necessario convocare una conferenza straordinaria, in aggiunta ai regolari congressi internazionali, di fronte al bisogno vitale di comprendere appieno la natura di questa crisi e di sviluppare i mezzi per superarla. La CCI ha già convocato delle conferenze internazionali straordinarie in passato, nel 1982 e nel 2002, in accordo con i nostri Statuti che ne prevedono la tenuta quando i principi fondamentali della CCI sono pericolosamente messi in discussione[1]. Tutte le sezioni internazionali della CCI hanno inviato delle delegazioni a questa terza Conferenza straordinaria e hanno partecipato molto attivamente alle discussioni. Le sezioni che non hanno potuto parteciparvi fisicamente (a causa delle costrizioni del trattato di Schengen) hanno inviato alla Conferenza delle prese di posizioni sui rapporti e le risoluzioni in discussione.
I nostri contatti e simpatizzanti potrebbero allarmarsi da questa notizia; i nemici della CCI avranno certamente un brivido di giubilo. Alcuni di loro sono già convinti che questa sia la nostra “ultima” crisi, foriera della nostra scomparsa. Ma previsioni di questo tipo sono state già fatte durante le precedenti crisi della nostra organizzazione. All’indomani della crisi del 1981-82, trentadue anni fa, rispondemmo ai nostri detrattori, così come lo facciamo oggi, ricordando queste parole di Mark Twain: “La notizia della mia morte è ampiamente esagerata!”.
Le crisi non sono necessariamente il segno di un crollo, di un fallimento imminente o irreparabile. Al contrario, l’esistenza delle crisi può essere l’espressione di una sana resistenza a un processo soggiacente che si era tranquillamente e insidiosamente sviluppato fino a quel momento e che, lasciato al suo libero corso, avrebbe potuto portarci al naufragio. Le crisi possono essere un segno di una reazione al pericolo e della lotta contro gravi debolezze che portano al collasso. Una crisi può finanche essere salutare. Essa può costituire un momento cruciale, l’opportunità di andare alla radice di gravi difficoltà, di individuarne le cause profonde per poterle superare. Il che può permettere, alla fine, all’organizzazione di rafforzarsi e di temprare i suoi militanti per le battaglie future.
Nella Seconda Internazionale (1889-1914), il Partito operaio socialdemocratico di Russia (POSDR) era noto per aver attraversato una serie di crisi e scissioni e, per questo, era considerato con disprezzo dai principali partiti dell’Internazionale, come dal Partito socialdemocratico Tedesco (SPD), che sembrava volare di successo in successo e il cui numero di membri e di risultati elettorali crescevano con regolarità.
Tuttavia, le crisi del partito russo e la lotta dell’ala bolscevica per superare queste crisi e trarne gli insegnamenti, hanno rafforzato la minoranza rivoluzionaria, l’hanno preparata a contrapporsi alla guerra imperialista del 1914 e a porsi all’avanguardia della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917. Al contrario, l’unità di facciata e la “calma” all’interno dell’SPD (messa in discussione solo dai “facinorosi” come Rosa Luxemburg) ha portato questo partito al collasso completo e irrevocabile nel 1914, con il totale tradimento dei suoi principi internazionalisti di fronte alla Prima guerra mondiale.
Nel 1982, la CCI ha identificato la propria crisi (causata dallo sviluppo di confusioni gauchiste e attiviste che avevano permesso all’individuo Chénier[2] di fare gravi danni nella nostra sezione in Gran Bretagna) e ne ha tirato le lezioni per ristabilire con maggiore profondità i propri principi per quanto riguarda la sua funzione e il suo funzionamento[3] E’ del resto all’uscita di questa crisi che la CCI ha adottato i suoi attuali Statuti.
Il Partito Comunista Internazionale “bordighista” (Programma Comunista), che era all’epoca il gruppo più importante della Sinistra Comunista, ha vissuto difficoltà simili e di maggiore gravità, ma questo gruppo non è stato in grado di trarne le lezioni ed è crollato come un castello di carta, con la perdita di quasi tutte le sue sezioni e dei suoi membri[4].
Oltre ad identificare le proprie crisi, la CCI si è basata su un altro principio appreso dall’esperienza bolscevica: far conoscere le circostanze e gli insegnamenti delle sue crisi interne per contribuire alla massima chiarezza (a differenza di altri gruppi rivoluzionari che nascondono al proletariato l’esistenza delle loro crisi interne). Siamo convinti che le lotte per superare le crisi delle organizzazioni rivoluzionarie servano per evidenziare più chiaramente le verità e i principi generali relativi alla lotta per il comunismo.
Nella Prefazione a Un passo avanti e due indietro, nel 1904, Lenin scriveva: "[I nostri avversari] si agitano e manifestano una gioia maligna dinanzi alle nostre polemiche: costoro tenteranno naturalmente di utilizzare ai loro fini singoli passi del mio opuscolo, consacrato ai difetti e alle lacune del nostro partito. I socialdemocratici russi sono già sufficientemente temprati alle battaglie per non lasciarsi commuovere da queste punture di spillo, per continuare, nonostante ciò, la loro opera di autocritica e di denuncia spietata dei propri difetti, che saranno sicuramente e inevitabilmente superati con lo sviluppo del movimento operaio. Si provino invece i signori avversari a presentarci il quadro della reale situazione esistente nei loro “partiti”, un quadro che si avvicini anche solo da lontano a quello offerto dagli atti del nostro secondo Congresso!”[5].
Come Lenin, riteniamo che, nonostante il piacere superficiale che i nostri nemici provano di fronte alle nostre difficoltà (interpretandole secondo le proprie lenti deformanti), i veri rivoluzionari imparano dai loro errori uscendone rafforzati.
È per questo che facciamo qui, per quanto brevemente, una presentazione dell’evoluzione di questa crisi nella CCI e il ruolo svolto dalla nostra Conferenza straordinaria per farvi fronte.
L’epicentro della crisi attuale della CCI è stato il riemergere nella sezione in Francia di una campagna di diffamazione, nascosta all’insieme dell’organizzazione, nei confronti di una compagna che è stata demonizzata (a tal punto che un militante riteneva che la sua presenza nell’organizzazione fosse un ostacolo allo sviluppo di questa). Evidentemente, l’esistenza di una tale pratica di stigmatizzazione di un capro espiatorio – che si suppone essere responsabile di tutti i problemi incontrati dall’insieme dell’organizzazione - è assolutamente intollerabile in un’organizzazione comunista che deve sentirsi in dovere di respingere la persecuzione endemica esistente nella società capitalista derivante dalla morale borghese del ciascuno per sé e Dio per tutti. Le difficoltà dell’organizzazione sono responsabilità di tutta l’organizzazione. La celata campagna di ostracismo verso un membro dell’organizzatore mette in discussione il principio stesso di solidarietà comunista, sul quale la CCI è fondata.
Quando questa campagna è emersa in piena luce, in seguito alla sua individuazione da parte dell’organo centrale, non potevamo accontentarci di semplicemente porvi fine.
Non era in genere di cosa che si potesse spazzar via come qualcosa di spiacevole. Bisognava andare alla radice e spiegare come e perché un tale flagello, una rimessa in causa così plateale di uno dei principi comunisti fondamentali, si fosse potuto sviluppare di nuovo nelle nostre file. Il compito della Conferenza straordinaria era raggiungere un accordo comune su questa spiegazione e sviluppare delle prospettive idonee a sradicare tali pratiche in futuro.
Uno dei compiti della Conferenza straordinaria è stato quello di capire e pronunciarsi sul rapporto finale del Giurì d’Onore, richiesto all’inizio del 2013 dalla compagna diffamata a sua insaputa. Non bastava che tutti fossero d’accordo sul fatto che contro la compagna erano state fatte calunnie e adottati metodi di stigmatizzazione; bisognava provarlo nei fatti. Era necessario esaminare minuziosamente tutte le accuse mosse contro la compagna e identificarne l’origine. Le affermazioni gratuite e le denigrazioni dovevano essere rese note a tutta l’organizzazione al fine di eliminare ogni ambiguità e impedire il ripetersi di calunnie in futuro. Dopo un anno di lavoro, il Giurì d'Onore (composto da militanti di quattro sezioni della CCI) ha confutato sistematicamente, perché prive di ogni fondamento, tutte le accuse (e particolarmente certe calunnie vergognose sviluppate da un militante)[6]. Il Giurì è stato in grado di dimostrare che questa campagna d’ostracismo si basava, in realtà, sull’infiltrazione nell’organizzazione di pregiudizi oscurantisti veicolati dallo spirito di circolo (e da una certa “cultura del pettegolezzo” ereditata dal passato, di cui alcuni militanti non si erano ancora liberati). Nel dedicare delle sue energie a questo Giurì, la CCI ha operato rifacendosi a un altro insegnamento del movimento rivoluzionario: ogni militante oggetto di sospetti, accuse infondate o calunnia ha il dovere di far appello a un Giurì d'Onore. Rifiutarsi di fare questo passo porta a riconoscere implicitamente la validità delle accuse.
Il Giurì d’Onore è anche uno strumento per “preservare la salute morale delle organizzazioni rivoluzionarie” (come affermava Victor Serge)[7], perché la diffidenza tra i suoi membri è un veleno che può distruggere rapidamente un’organizzazione rivoluzionaria. Questo, del resto, è qualcosa di ben noto dalla polizia che, come mostra la storia del movimento operaio, ha privilegiato il metodo del mantenere o provocare la diffidenza per cercare di distruggere dall’interno le organizzazioni rivoluzionarie. Lo si è visto, soprattutto negli anni 30 con le azioni della GPU di Stalin contro il movimento trotskista, in Francia e altrove. In effetti, prendere di mira dei militanti per sottoporli a campagne diffamatorie e alla calunnia, è stata un’arma di primo piano dell’insieme della borghesia per fomentare la diffidenza verso il movimento rivoluzionario e all’interno di questo.
Ecco perché i marxisti rivoluzionari hanno sempre dedicato il massimo sforzo per smascherare tali attacchi contro le organizzazioni comuniste.
Al tempo dei processi di Mosca negli anni 30 Leon Trotsky, in esilio, ha chiesto un Giurì d’Onore (noto come la Commissione Dewey) per confutare le calunnie ripugnanti mosse contro di lui dal procuratore Vyshinsky durante questi processi[8]. Marx ha interrotto il suo lavoro su Il Capitale per un anno, nel 1860, per preparare un intero libro di confutazione sistematica delle calunnie mosse contro di lui da Herr Vogt.
Mentre procedevano i lavori del Giurì d’Onore, l’organizzazione ha ricercato le radici profonde della crisi armandosi di un quadro teorico. Dopo la crisi del 2001-2002, avevamo già svolto un prolungato sforzo teorico per capire come fosse potuta apparire all’interno dell’organizzazione una sedicente frazione distintasi per dei comportamenti da teppisti e delatori: circolazione segreta di voci che accusavano un nostro militante di essere un agente dello Stato, furto di denaro e di materiale dell’organizzazione (in particolare l’archivio degli indirizzi dei militanti e dei nostri abbonati), ricatti, minacce di morte per uno dei nostri militanti, pubblicazione all’esterno d’informazioni interne che favorivano deliberatamente il lavoro della polizia, ecc. Questa ignobile frazione dai costumi politici da gangster (che ricordano quelli della tendenza Chenier all’epoca della nostra crisi nel 1981) è conosciuta sotto il nome di FICCI (Frazione interna della CCI)[9].
In seguito a questa esperienza, la CCI ha iniziato a esaminare da una prospettiva storica e teorica il problema della moralità. Nella Rivista Internazionale n.111 e 112, abbiamo pubblicato il “Testo di orientamento sulla fiducia e la solidarietà nella lotta del proletariato”[10] e nella Rivista 127 e 128 è stato pubblicato un altro testo su “Marxismo e etica”[11]. In legame a queste riflessioni teoriche, la nostra organizzazione ha sviluppato una ricerca storica sul fenomeno sociale del pogromismo - antitesi totale dei valori comunisti, al cuore invece della mentalità della FICCI nel suo sporco lavoro per distruggere la CCI. È sulla base di questi primi testi e del lavoro teorico sugli aspetti della morale comunista che l’organizzazione ha sviluppato la sua comprensione delle cause della crisi attuale. La superficialità, le derive opportuniste e “operaiste”, la mancanza di riflessione e di discussioni teoriche a favore dell’intervento attivista e gauchista nelle lotte immediate, l’impazienza e la tendenza a perdere di vista la nostra attività a lungo termine, hanno favorito questa crisi all’interno della CCI. Questa crisi è quindi stata identificata come una “crisi morale e intellettuale” ed è stata accompagnata da una perdita di vista e una violazione degli Statuti della CCI[12].
La Conferenza straordinaria è ritornata con maggiore profondità sulla comprensione marxista della moralità, al fine di preparare il cuore teorico della nostra attività nel prossimo periodo. Continueremo il nostro dibattito interno ed esploreremo questa questione come strumento principale della nostra rigenerazione di fronte alla crisi attuale. Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere organizzazione rivoluzionaria.
Contenuta nel progetto comunista e inseparabile da esso si trova una dimensione etica. Ed è questa dimensione che è particolarmente minacciata dalla società capitalistica prosperata sullo sfruttamento e la violenza, “sudando sangue e fango da tutti i pori”, come scriveva Marx ne Il Capitale. Questa minaccia si è sviluppata in particolare nel periodo di decadenza del capitalismo dove, progressivamente, la borghesia ha abbandonato anche i propri principi morali difesi nel periodo liberale di espansione capitalistica. La fase finale della decadenza del capitalismo, il periodo della decomposizione sociale - di cui il crollo del blocco dell’Est nel 1989 è stato il primo grande evento - accentua ulteriormente questo processo. Oggi la società borghese sta diventando sempre più apertamente, e finanche con orgoglio, barbara. Lo vediamo in tutti gli aspetti della vita sociale: la proliferazione delle guerre e la bestialità dei metodi utilizzati, il cui primario obiettivo sembra essere quello di umiliare e degradare le vittime prima di massacrarle; la crescita del gangsterismo - e la sua celebrazione nel cinema e nella musica; lo sviluppo di pogrom alla ricerca di capri espiatori designati come responsabili dei crimini del capitalismo e della sofferenza sociale; l’aumento della xenofobia verso gli immigrati e le molestie sul posto di lavoro (il “mobbing”); lo sviluppo della violenza contro le donne, le molestie sessuali e la misoginia (anche nelle scuole e tra bande di giovani delle città operaie). Il cinismo, la falsità e l’ipocrisia non sono più considerati riprovevoli, ma vengono insegnati nelle scuole di “management”. I valori più elementari di ogni vita sociale - senza parlare dei valori della società comunista - vengono profanati man mano che il capitalismo imputridisce.
I membri delle organizzazioni rivoluzionarie non possono sfuggire all’influenza di questo contesto sociale di pensiero e di comportamento barbaro. Essi non sono immuni contro quest’atmosfera deleteria di decomposizione della società borghese, soprattutto quando la classe operaia, come è ancora il caso oggi, è relativamente passiva e disorientata e, quindi, non è in grado di offrire un’alternativa di massa alla prolungata agonia della società capitalista. Altri settori della società, pur essendo vicino al proletariato riguardo alle condizioni di vita, costituiscono un vettore attivo di questa putrefazione. L’impotenza e la frustrazione proprie alla piccola borghesia – strato intermedio, senza un futuro storico, che si situa tra il proletariato e la borghesia - aumentano in modo smisurato e trovano uno sbocco nel comportamento pogromista, nell’oscurantismo e la “caccia alle streghe”. Tutte cose che danno a questo strato sociale la vile illusione di “accedere al potere” dando la caccia e perseguitando individui o minoranze (etniche, religiose, ecc.) che vengono stigmatizzati come “sobillatori”.
Alla Conferenza straordinaria del 2014 era particolarmente necessario ritornare sulla questione morale. In effetti, il carattere esplosivo della crisi del 2001-2002, le azioni ripugnanti della FICCI, il comportamento da avventurieri nichilisti di alcuni suoi membri, avevano teso a oscurare le più profonde incomprensioni, all’interno della CCI, che avevano fornito il terreno fertile per la mentalità pogromista all’origine della costituzione di questa cosiddetta “frazione”[13]. A causa della brutalità dello shock causato, un decennio fa, dalle azioni spregevoli della FICCI, è esistita in seguito una forte tendenza nella CCI a voler tornare alla normalità - a cercare una tregua illusoria. Si è sviluppato uno stato d’animo tendente a rifuggire da un approccio teorico e storico sulle questioni organizzative a favore di una focalizzazione sulle questioni più pratiche d’intervento immediato nella classe operaia e di una costruzione costante ma superficiale dell’organizzazione. Anche se un notevole sforzo è stato dedicato al lavoro di riflessione teorica per superare la crisi del 2001, questo lavoro è stato sempre più visto come una questione accessoria, secondaria, e non come una questione cruciale, di vita o morte, per il futuro dell’organizzazione rivoluzionaria.
La lenta e difficile ripresa della lotta di classe nel 2003 e la maggiore recettività dell’ambiente politico alla discussione con la Sinistra comunista, hanno teso a rafforzare tale debolezza. Alcune parti dell’organizzazione hanno iniziato a dimenticare i principi e le acquisizioni organizzative della CCI e a sviluppare un disprezzo per la teoria. Gli Statuti dell’organizzazione, che contengono i principi di centralizzazione internazionalista, sono stati tendenzialmente ignorati a favore di abitudini di filisteismo locali e di circolo, del buon senso comune e della “religione della vita quotidiana” (come diceva Marx nel libro I del Capitale). L’opportunismo ha iniziato a diffondersi in modo insidioso.
Tuttavia, c’è stata una resistenza a questa tendenza al disinteresse per le questioni teoriche, all’amnesia politica e alla sclerosi. Una compagna, in particolare, ha criticato apertamente questa deriva opportunista ed è stata, per questo, considerata sempre più come una “piantagrane” ed un ostacolo al funzionamento normale, abitudinario dell’organizzazione. Invece di dare una risposta politica coerente alle critiche ed alle argomentazioni della compagna, quello che si è espresso è stato l’opportunismo attraverso una subdola diffamazione personale. Altri militanti (in particolare nelle sezioni della CCI in Francia e in Germania), che condividevano il punto di vista della compagna contro queste derive opportuniste, sono diventati anche loro “vittime collaterali” di questa campagna di diffamazione.
La Conferenza straordinaria ha messo in evidenza che oggi, come già accaduto nella storia del movimento operaio, le campagne di denigrazione e l’opportunismo vanno mano nella mano. In effetti, le prime appaiono nel movimento operaio come un’espressione estrema del secondo. Rosa Luxemburg che, come portavoce della sinistra marxista, era spietata nelle sue denunce dell’opportunismo, fu diffamata sistematicamente dai dirigenti e burocrati della socialdemocrazia tedesca. La degenerazione del Partito bolscevico e della Terza Internazionale fu accompagnata dalla calunnia e dalla persecuzione permanente della vecchia guardia bolscevica, in particolare di Leon Trotsky.
L’organizzazione aveva dunque il dovere di ritornare al concetto classico di opportunismo organizzativo nella storia del movimento operaio, che include gli insegnamenti tratti dall’esperienza della stessa CCI.
La necessità di condurre la battaglia contro l’opportunismo (e la sua espressione conciliatrice che è il centrismo) ha costituito un asse centrale dei lavori della Conferenza straordinaria: la crisi della CCI richiedeva una lunga lotta contro le radici dei problemi che erano stati identificati e che consistevano in una certa tendenza a ricercare nella CCI un bozzolo sicuro, a trasformare l’organizzazione in “club di opinioni” e ad accomodarsi nella società borghese in decomposizione. In realtà la natura stessa della militanza rivoluzionaria è la lotta permanente contro il peso dell’ideologia dominante e di tutte le ideologie estranee al proletariato che si infiltrano insidiosamente all’interno delle organizzazioni rivoluzionarie. Questa lotta deve essere la norma della vita interna dell’organizzazione comunista e di ogni suo membro.
La lotta contro ogni accordo superficiale, lo sforzo individuale di ogni militante ad esprimere le proprie posizioni politiche di fronte all’insieme dell’organizzazione, la necessità di sviluppare le proprie divergenze con argomenti politici seri e coerenti, la forza di accettare le critiche politiche – queste sono state le insistenze messe avanti dalla Conferenza straordinaria. Come sottolinea la Risoluzione di Attività adottata alla Conferenza: “Il militante rivoluzionario deve essere un combattente, per le posizioni di classe del proletariato e per le proprie idee. Questa non è una condizione opzionale della militanza, è la militanza. Senza di questo non può esserci lotta per la verità, la quale può emergere solo a partire dal confronto delle idee e dal fatto che ogni militante si impegna per difende il proprio punto di vista. L’organizzazione ha bisogno di conoscere le posizioni di tutti i compagni, l’accordo passivo è inutile e controproducente (…) Assumersi la propria responsabilità individuale, essere onesto è un aspetto fondamentale della morale proletaria”.
Alla vigilia della Conferenza straordinaria, la pubblicazione su Internet di un “Appello al Campo proletario e ai militanti della CCI”, che annunciava “la crisi ultima” della CCI, ha fatto evidenziato pienamente l’importanza di questo spirito di lotta per la difesa dell’organizzazione comunista e dei suoi principi, soprattutto di fronte a tutti coloro che cercano di distruggerla. Questo “Appello” particolarmente nauseabondo proviene da un sedicente “Gruppo Internazionale della Sinistra Comunista” (GIGC), in realtà un camuffamento dell’infame ex-FICCI grazie al suo sodalizio con gli elementi di Klabastalo di Montreal. Si tratta di un testo che traspira odio ed invita al pogrom contro alcuni nostri compagni. Questo testo annuncia con fragore che tale “GIGC” è in possesso di documenti interni della CCI. La sua intenzione è chiara: tentare di sabotare la nostra Conferenza straordinaria, seminare turbamento e zizzania nella CCI spargendo il sospetto generalizzato nelle nostre fila giusto alla vigilia dellla Conferenza internazionale (facendo passare il messaggio: c’è un traditore nella CCI, un complice del “GIGC” che gli passa i nostri bollettini interni[14]).
La Conferenza straordinaria ha preso immediatamente posizione su questo “Appello” del GIGC: agli occhi di tutti i militanti, è stato chiaro che l’ex-FICCI sta facendo, ancora una volta e in modo ancora più nocivo, il lavoro della polizia, quello descritto eloquentemente da Victor Serge nel suo libro Quello che ogni rivoluzionario deve sapere sulla repressione (basato sugli archivi della polizia zarista scoperti dopo la rivoluzione d’Ottobre 1917)[15].
Ma invece di aizzare i militanti della CCI gli uni contro gli altri, il disgusto unanime generato dai metodi del “GIGC”, degni della polizia politica di Stalin e della Stasi, è servito a mettere in luce la maggiore posta in gioco della nostra crisi interna e ha teso a rafforzare l’unità dei militanti dietro la parola d’ordine del movimento operaio: “Tutti per uno e uno per tutti”! (ricordata nel libro di Joseph Dietzgen, che Marx chiamava il “filosofo del proletariato”, “L’essenza del lavoro intellettuale umano”). Quest’attacco poliziesco del GIGC (ex-FICCI) ha fatto prendere ancora più chiaramente coscienza a tutti i militanti che le debolezze interne dell’organizzazione, la mancanza di vigilanza di fronte alla pressione permanente dell’ideologia dominante sulle organizzazioni rivoluzionarie, l’aveva resa vulnerabile alle macchinazioni dei suoi nemici le cui intenzioni distruttrici sono indubbie.
La Conferenza straordinaria ha salutato il lavoro gigantesco e estremamente serio del Giurì d’Onore. Ha salutato anche il coraggio della compagna che lo ha richiesto e che era stata oggetto di ostracismo per le sue divergenze politiche[16]. Perché solo i vigliacchi e quelli che sanno di essere colpevoli si rifiutano di fare chiarezza davanti a questo tipo di commissione che è un’eredità tramandata dal movimento operaio. La nebbia sospesa al di sopra dell’organizzazione è stata dissipata. Ed era tempo.
La Conferenza straordinaria non poteva mettere termine alla lotta della CCI contro questa crisi “intellettuale e morale” - necessariamente questa lotta continua - ma ha dotato l’organizzazione di un orientamento preciso: l’apertura di un dibattito teorico interno sulle “Tesi sulla morale”, testo proposto dall’organo centrale della CCI. Chiaramente, riporteremo successivamente nella nostra stampa le eventuali posizioni divergenti quando il nostro dibattito avrà raggiunto un sufficiente livello di maturità.
Forse qualche lettore penserà che la polarizzazione della CCI sulla sua crisi interna e sulla lotta contro gli attacchi di tipo poliziesco di cui è bersaglio, sia l’espressione di una “follia narcisista” o di un “delirio paranoico collettivo”. La preoccupazione della difesa intransigente dei nostri principi organizzativi, programmatici ed etici sarebbe, secondo questo punto di vista, una diversione rispetto al compito immediato, pratico e “di buonsenso” di sviluppare il più possibile la nostra influenza nelle lotte immediate della classe operaia. Questo punto di vista nei fatti riprende, in un contesto diverso, l’argomento degli opportunisti sul funzionamento senza traumi del Partito socialdemocratico tedesco contro il Partito Operaio Socialdemocratico di Russia scosso da crisi durante il periodo precedente alla Prima Guerra mondiale. L’approccio che consiste nello schivare le divergenze, rifiutare il confronto degli argomenti politici, per “preservare l’unità” a qualsiasi prezzo, non fa che preparare la scomparsa, prima o poi, delle minoranze rivoluzionarie organizzate.
La difesa dei principi comunisti fondamentali, per quanto lontana possa sembrare dai bisogni e dalla coscienza attuale della classe operaia, resta, tuttavia, il compito primario delle minoranze rivoluzionarie. La nostra determinazione ad impegnarci in una lotta permanente per la difesa della morale comunista - che è al centro del principio della solidarietà - è una chiave per preservare la nostra organizzazione di fronte ai miasmi della decomposizione sociale capitalista che inevitabilmente si infiltrano nei ranghi di tutte le organizzazioni rivoluzionarie. Solo l’armamento politico, il rafforzamento del nostro lavoro di elaborazione teorica, può permetterci di far fronte a questo pericolo mortale. Inoltre, senza la difesa implacabile dell’etica della classe portatrice del comunismo, la possibilità che lo sviluppo della lotta di classe conduca alla rivoluzione ed alla costruzione futura di una vera comunità mondiale unificata, verrebbe continuamente soffocata.
Alla Conferenza straordinaria del 2014 è apparso con chiarezza che non ci sarà un ritorno alla normalità delle attività interne ed esterne della CCI.
Contrariamente a ciò che è accaduto all’epoca della crisi del 2001, possiamo già rallegrarci che i compagni che sono stati coinvolti in una logica di stigmatizzazione irrazionale di un capro espiatorio abbiano preso coscienza della gravità della loro deriva. Questi militanti hanno deciso liberamente di restare leali alla CCI e ai suoi principi, e oggi si sono impegnati nella nostra lotta di consolidamento dell’organizzazione. Come l’insieme della CCI, anche loro sono implicati da adesso nel lavoro di riflessione e di approfondimento teorico, largamente sottovalutato in passato.
Appropriandosi della formula di Spinoza “non ridere, non piangere, non disperare ma capire”, la CCI si è impegnata nel compito di riappropriarsi di questa idea fondamentale del marxismo: la lotta del proletariato per la costruzione del comunismo non ha solo una dimensione “economica” (come immaginano i materialisti volgari) ma anche e fondamentalmente una dimensione “intellettuale e morale” (come sostenuto in particolare da Lenin e Rosa Luxemburg).
Siamo dunque spiacenti di informare i nostri detrattori di ogni risma che nella CCI non c’è alcuna prospettiva immediata di nuova scissione parassitaria, come nelle crisi precedenti. Non c’è alcuna prospettiva di costituzione di una nuova “frazione” pronta ad unirsi all’“Appello” al pogrom del GIGC contro i nostri compagni (“Appello” freneticamente trasmesso da differenti “social network” e da un certo Pierre "Hempel" che si crede il rappresentante del “proletariato universale”). Al contrario: i metodi polizieschi del GIGC (sponsorizzato da una tendenza “critica” interna ad un partito riformistico borghese, il NPA![17]), non hanno fatto che rafforzare l’indignazione generale dei militanti della CCI e la loro determinazione a portare avanti la battaglia per rendere più forte l’organizzazione.
La “notizia” della nostra scomparsa è quindi enormemente esagerata e prematura!
Corrente Comunista Internazionale
[1] Come all’epoca della conferenza straordinaria del 2002 (vedi Rivista Internazionale n°110, “Conferenza straordinaria della CCI: La lotta per la difesa dei principi di organizzazione”, inglese [14]; francese [15]; spagnolo [16]), quella del 2014 si è tenuta in sostituzione parziale del congresso periodico della nostra sezione in Francia. Pertanto alcune sedute sono state dedicate alla Conferenza internazionale straordinaria ed altre al Congresso della sezione in Francia di cui il nostro giornale Révolution Internationale renderà in seguito conto.
[2] Chénier era un membro della sezione in Francia espulso nell’estate 1981 per aver fatto una campagna segreta di denigrazione degli organi centrali dell’organizzazione e di alcuni dei suoi più esperti militanti, mirante a scagliare i militanti gli uni contro gli altri. Comportamenti questi che ricordavano stranamente quelli degli agenti del GPU all’interno del movimento trotskista durante gli anni 30. Alcuni mesi dopo la sua espulsione, Chénier ha assunto funzioni di responsabilità nell’apparato del Partito Socialista all’epoca al governo.
[3] Rapporto sulla struttura e sul funzionamento delle organizzazioni rivoluzionarie - conferenza internazionale (gennaio 82) [17]; “Rapporto sulla funzione dell’organizzazione rivoluzionaria” Rivista Internazionale n.29 (in inglese [18]; spagnolo [19]; francese [20].
[4] “Convulsioni nel campo rivoluzionario” Rivista Internazionale n.32 (inglese, https://en.internationalism.org/node/3123 [21]; francese, https://fr.internationalism.org/rinte32/pci.htm [22])
[5] Un passo avanti e due indietro, “La crisi del nostro partito” Prefazione, Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti.
[6] Parallelamente a questa campagna, si erano anche sviluppati, in discussioni informali nella sezione in Francia, dei pettegolezzi messi in giro da alcuni militanti della “vecchia” generazione che denigravano in modo scandaloso il nostro compagno Marc Chirik, membro fondatore della CCI, senza il quale la nostra organizzazione non sarebbe esistita. Questi pettegolezzi sono stati identificati come una manifestazione del peso dello spirito di circolo e dell’influenza della piccola borghesia decomposta che aveva profondamente segnato la generazione uscita dal movimento studentesco del Maggio 68, con tutte le sue ideologie anarco-moderniste e sinistroidi.
[7] Quello che ogni rivoluzionario deve sapere sulla repressione.
[8] Il Giurì d’Onore della CCI si è basato sul metodo scientifico d’investigazione e di verifica dei fatti della Commissione Dewey. L’insieme dei suoi lavori (documenti, verbali, registrazioni di colloqui e di testimonianze, ecc.) è conservato preziosamente negli archivi della CCI.
[9] Vedi in particolare su questo argomento i nostri articoli: XV congresso della CCI: rafforzare l'organizzazione di fronte alla posta in gioco del periodo [23]; “Les méthodes policières de la FICCI”, Révolution internationale n.330 (https://fr.internationalism.org/ri330/ficci.html [1]) e Calunnie e delazione, le due espressioni della politica della FICCI verso la CCI [3]
[10] https://it.internationalism.org/node/1131 [24] I parte e https://it.internationalism.org/node/1132 [25] II parte.
[11] https://it.internationalism.org/rint29/etica [26].
[12] L’organo centrale della CCI (come il Giurì d’Onore) ha dimostrato chiaramente che non è stata la compagna oggetto di ostracismo a non aver rispettato gli Statuti della CCI, ma al contrario i militanti che si sono spinti in questa campagna di denigrazione.
[13] Le resistenze presenti al nostro interno a sviluppare un dibattito sulla questione della morale, trovano la loro origine in una debolezza congenita della CCI (e che colpisce, in realtà, l’insieme dei gruppi della Sinistra comunista): la maggioranza della prima generazione di militanti rigettava questa questione che quindi non è stata integrata nei nostri Statuti, come si augurava invece il nostro compagno Marc Chirik. La morale era vissuta da questi giovani militanti dell’epoca come una camicia di forza, un “prodotto dell’ideologia borghese”, a tal punto che alcuni di loro, provenienti dal campo libertario, rivendicavano di vivere “senza tabù”! Il che manifestava un’ignoranza avvilente della storia della specie umana e dello sviluppo della sua civiltà.
[14] Comunicato ai nostri lettori: La CCI attaccata da una nuova officina dello Stato borghese [27]
[15] Come per confermare la natura di classe di questo attacco, un certo Pierre Hempel ha pubblicato sul suo blog altri documenti interni che l’ex-FICCI gli ha trasmesso. Questo signore ha anche freddamente e pubblicamente affermato sul suo blog: “Se la polizia mi avesse fatto avere un tale docu[mento], l’avrei ringraziata a nome del proletariato”! La “santa alleanza” dei nemici della CCI (costituita, in buona parte, da una “associazione di reduci della CCI” riciclati), sa molto bene a quale campo appartiene!
[16] Cosa già successa all’inizio della crisi del 2001. Quando questa stessa compagna emise un disaccordo politico con un testo redatto da un membro del Segretariato Internazionale della CCI (sulla questione della centralizzazione) ci fu una levata di scudi da parte della maggioranza dei suoi membri che, invece di aprire un dibattito per rispondere agli argomenti politici della compagna, soffocarono il dibattito e diedero inizio ad una campagna di calunnie contro di lei, con riunioni segrete e divulgando pettegolezzi nelle sezioni in Francia e nel Messico. Pettegolezzi secondo i quali questa compagna, a causa dei suoi disaccordi politici coi membri dell’organo centrale, era una “istigatrice” ed anche uno “sbirro”, a detta di due elementi dell’ex-FICCI (Juan e Jonas) che sono stati all’origine della fondazione del “GIGC”.
[17] Bisogna costatare che il “GIGC” fino ad oggi non ha mai dato spiegazioni sulle sue relazioni e convergenze con questa tendenza che milita nel Nuovo Partito Anticapitalista (NPA, di Olivier Besancenot). Chi tace acconsente!
La CCI ha tenuto il suo 20° Congresso internazionale. Il congresso di un'organizzazione comunista costituisce uno dei momenti più importanti della sua attività e della sua vita. Quello dove l'insieme dell'organizzazione (per mezzo di delegazioni nominate da ciascuna delle sue sezioni) fa il bilancio delle sue attività, analizza in profondità la situazione internazionale, stabilisce delle prospettive ed elegge l'organo centrale che ha il compito di assicurare che le decisioni del congresso siano messe in opera.
Poiché siamo convinti della necessità del dibattito e della cooperazione tra le organizzazioni che combattono per il rovesciamento del sistema capitalista, abbiamo invitato tre gruppi - due della Corea e Opop del Brasile che hanno già partecipato a dei precedenti congressi internazionali. È poiché riteniamo che i lavori di un congresso di un'organizzazione comunista non rappresentino una questione “interna”, ma interessano l’insieme della classe operaia, informiamo i nostri lettori sulle questioni essenziali che sono state discusse durante questo congresso.
Questo congresso si è tenuto in un contesto d’incremento delle tensioni in Asia, di proseguimento della guerra in Siria, di aggravamento della crisi economica e di una situazione della lotta di classe complessa, contrassegnata da un debole sviluppo delle lotte operaie “classiche” contro gli attacchi economici della borghesia, ma anche dal sorgere internazionale di movimenti sociali i cui esempi più significativi sono stati quelli degli “Indignados” in Spagna e quello di “Occupy Wall Street” negli Stati Uniti.
La risoluzione sulla situazione internazionale adottata dal 20° Congresso della CCI, e che riassume le analisi sviluppate dalle discussioni, è pubblicata in questo stesso numero della Rivista internazionale[1]. Pertanto è inutile dettagliarla qui.
Questa risoluzione ricorda la cornice storica in cui è da noi compresa la presente situazione sociale, quella della decadenza del modo di produzione capitalista, decadenza che è esordita con la prima guerra mondiale, e la fase ultima di questa decadenza che la CCI, dalla metà degli anni 1980, ha analizzato come quella della decomposizione, del deterioramento di questa società. Questa decomposizione si manifesta particolarmente con la forma che oggi assumono i conflitti imperialisti, di cui la situazione in Siria ne costituisce un tragico esempio[2], ma anche con la degradazione catastrofica dell’ambiente naturale che la classe dominante, malgrado tutte le sue dichiarazioni e campagne allarmistiche, è perfettamente incapace di impedire, o anche solo frenare.
Il congresso non ha fatto discussioni specifiche sui conflitti imperialisti per mancanza di tempo ed anche perché le discussioni preparatorie avevano mostrato una grande omogeneità su questa questione. Tuttavia, il congresso ha preso conoscenza di una presentazione fatta dal gruppo coreano Sanoshin sulle tensioni imperialiste in Estremo Oriente (…).
Su questa questione, la risoluzione sottolinea il vicolo cieco nel quale si trova oggi la borghesia che è incapace di superare le contraddizioni del modo di produzione capitalista, ciò che costituisce una chiara conferma dell’analisi marxista. Un’analisi che tutti gli “esperti”, sostenitori o meno del “neoliberismo”, considerano col disprezzo degli ignoranti e combattono proprio perché prevede il fallimento storico di questo modo di produzione e la necessità di sostituirlo con una società dove il mercato, il profitto e il salariato saranno riposti nel museo della storia, dove l’umanità sarà liberata dalle leggi cieche che la gettano nella barbarie, per vivere secondo il principio “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Per quanto riguarda la presente situazione della crisi del capitalismo, il congresso si è pronunciato chiaramente sul fatto che l’attuale “crisi finanziaria” non è affatto all’origine delle contraddizioni in cui affonda l’economia mondiale, né le sue cause si troverebbero in una "finanziarizzazione dell’economia” preoccupata unicamente dai profitti immediati e speculativi: “È la sovrapproduzione che si trova all’origine della 'finanziarizzazione' ed essendo sempre più rischioso investire nella produzione, di fronte ad un mercato mondiale sempre più saturo, si orientano in modo crescente i flussi finanziari verso la semplice speculazione. È per tale motivo che tutte le teorie economiche 'di sinistra' che sostengono un 'ridimensionamento per questo che tutte le teorie economiche ‘di sinistra’ che preconizzano una ‘messa al passo della finanza internazionale' per 'uscire dalla crisi' sono dei puri sogni, in quanto 'dimenticano' le vere cause di questa ipertrofia della sfera finanziaria". (Risoluzione sulla situazione internazionale, punto 10). Parimenti, il Congresso ha considerato che: “La crisi dei 'subprime' del 2007, il grande panico finanziario del 2008 e la recessione del 2009 hanno segnato il raggiungimento di una nuova tappa molto importante e significativa dello sprofondamento del capitalismo nella sua crisi irreversibile" (Ibid. punto 11)
Detto ciò, il Congresso ha constatato che non c’era unanimità nell’organizzazione e che conveniva proseguire la discussione su un certo numero di questioni come le seguenti.
Il peggioramento della crisi nel 2007 ha costituito una rottura qualitativa ed ha aperto un nuovo capitolo che conduce l’economia a un crollo veloce e immediato? Quale è il significato della tappa qualitativa costituita dagli avvenimenti del 2007? Più generale, che tipo di evoluzione della crisi bisogna aspettarsi: un crollo improvviso o un “lento” declino accompagnato “politicamente” dagli Stati capitalisti? Quali paesi cadranno per primi e chi saranno gli ultimi? La classe dominante ha un margine di manovra e quali errori vuole evitare? O, più in generale, quando analizza le prospettive della crisi, la classe dominante può ignorare la possibilità di reazioni della classe operaia? Quali criteri prende in considerazione la classe dominante quando adotta dei programmi di austerità nei differenti paesi? Siamo in una situazione nella quale dove tutte le classi dominanti possono attaccare la classe operaia com’è stato fatto in Grecia? Possiamo aspettarci una riproduzione degli attacchi a uno stesso livello (riduzione dei salari fino al 40%, ecc.) nei vecchi paesi industriali centrali? Quali sono le differenze tra la crisi del 1929 e quella di oggi? Quale è il grado di pauperizzazione nei grandi paesi industrializzati?
L’organizzazione ha ricordato che, dopo il 1989, ha preso rapidamente coscienza e ha previsto i cambiamenti fondamentali sul piano imperialistico e nella lotta di classe causati dal crollo del blocco dell’Est e dei regimi detti “socialisti”[3]. Tuttavia, sul piano delle conseguenze economiche, non abbiamo previsto i grandi cambiamenti successivi. Che significato avrebbe avuto per l'economia mondiale l’abbandono da parte di regimi come la Cina e l’India di una certa autarchia e dei meccanismi d’isolamento nei confronti del mercato mondiale?
Evidentemente, com’è stato fatto qualche anno fa per il dibattito interno a proposito dei meccanismi che hanno permesso il “boom” seguito alla Seconda Guerra mondiale[4], porteremo a conoscenza dei nostri lettori i principali elementi del dibattito attuale quando questo avrà raggiunto un sufficiente grado di chiarezza.
Il Rapporto sulla lotta di classe ha tirato un bilancio degli ultimi due anni (Primavera araba, movimenti degli Indignados, di Occupy, le lotte in Asia, ecc.) e delle difficoltà della classe a rispondere agli attacchi sempre crescenti dei capitalisti in Europa e negli Stati Uniti. Le discussioni al congresso hanno trattato principalmente le seguenti questioni: come spiegare le difficoltà della classe operaia a rispondere “in modo adeguato” agli attacchi crescenti? Perché non si evolve ancora verso una situazione rivoluzionaria nei vecchi centri industriali? Quale politica segue la classe dominante per evitare lotte di massa nei vecchi centri industriali? Quali sono le condizioni dello sciopero di massa?
Nel rapporto di forze globale tra le classi, quale ruolo gioca la classe operaia dell’Asia, in particolare quella della Cina? Che cosa possiamo aspettarci dalla classe? Il centro dell’economia mondiale e del proletariato mondiale si è spostato in Cina? Come si valutano i cambiamenti nella composizione della classe operaia mondiale? La discussione ha ripreso la nostra posizione sull’anello debole sviluppata all’inizio degli anni 80 in opposizione alla tesi di Lenin secondo la quale la catena del dominio capitalista si sarebbe rotta a livello del suo “anello più debole[5], e cioè nei paesi poco sviluppati.
Anche se le discussioni non hanno mostrato dei disaccordi sul rapporto presentato (il quale è riassunto nella parte lotta di classe della risoluzione), abbiamo ritenuto che l’organizzazione aveva il dovere di proseguire la riflessione su questa questione, discutendo in particolare del tema “Con quale metodo occorre affrontare l’analisi della lotta di classe nell’attuale periodo storico?”
Le discussioni sulla vita dell’organizzazione, sul bilancio e le prospettive delle sue attività e del suo funzionamento hanno occupato un posto importante nei lavori del 20° congresso, com’è sempre avvenuto nei precedenti congressi. Questo perché le questioni di organizzazione non sono semplici questioni “tecniche” ma questioni pienamente politiche, e pertanto è necessario affrontarle approfonditamente. Quando ci si ferma a riflettere sulla storia delle tre Internazionali che si è data la classe operaia, si constata che queste questioni sono state prese risolutamente in carico dall’ala marxista di queste come dimostrano, tra tanti altri, i seguenti esempi:
- lotta di Marx e del Consiglio generale dell’AIT contro l’Alleanza di Bakunin, in particolare al Congresso dell’Aia nel 1872;
- lotta di Lenin e dei bolscevichi contro le concezioni piccolo-borghesi e opportuniste dei menscevichi all’epoca del 2° congresso del POSDR, nel 1903 e in seguito;
- lotta della Frazione di Sinistra del Partito Comunista d’Italia contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e per preparare le condizioni politiche e programmatiche per la formazione di un nuovo partito proletario, quando si sarebbero prodotte le condizioni storiche necessarie.
L’esperienza storica del movimento operaio ha mostrato il carattere indispensabile di organizzazioni politiche specifiche che difendano la prospettiva rivoluzionaria all’interno alla classe operaia affinché questa sia capace di rovesciare il capitalismo ed edificare la società comunista. Ma non basta proclamare l’esistenza delle organizzazioni politiche proletarie, bisogna costruirle. Dal momento che lo scopo è il capovolgimento del sistema capitalista e che una società comunista può essere costruita solo al di fuori di questo una volta rovesciato il potere della borghesia, è nella società capitalista che bisogna costruire un’organizzazione rivoluzionaria. Questa costruzione si trova dunque confrontata ad ogni tipo di pressioni e di ostacoli emanati dal sistema capitalista e dalla sua ideologia. Ciò vuole dire che questa costruzione non avviene nel vuoto, che le organizzazioni rivoluzionarie sono come un corpo estraneo nella società capitalista che quest’ultima cerca costantemente di distruggere. Un’organizzazione rivoluzionaria è costretta a difendersi continuamente contro tutta una serie di minacce emanate dalla società capitalista.
È evidente che essa deve resistere alla repressione. La classe dominante non ha mai esitato, quando l'ha ritenuto necessario, a scatenare i suoi mezzi polizieschi, addirittura militari, per fare tacere la voce dei rivoluzionari. La maggior parte delle organizzazioni del passato è vissuta per molto tempo in condizioni di repressione, erano “fuorilegge”, molti militanti erano esiliati. Detto ciò, questa repressione non ha spezzato tali organizzazioni. Spesso, al contrario, ha rafforzato la loro risoluzione e le ha aiutate a difendersi contro le illusioni democratiche. Fu il caso, ad esempio, del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) durante il periodo delle leggi antisocialiste, in cui ha resistito molto meglio al veleno della “democrazia” e del “parlamentarismo”, piuttosto che durante il periodo in cui è stato legale. Fu anche il caso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, (in particolare della sua frazione bolscevica che è stata illegale durante la quasi totalità della sua esistenza).
L’organizzazione rivoluzionaria deve resistere anche alla distruzione dall’interno che viene da delatori, da spie o da avventurieri che spesso possono provocare danni ben più importanti della repressione aperta.
Infine, e soprattutto, deve resistere alla pressione dell’ideologia dominante, in particolare quella del democraticismo e del “buonsenso comune” (stigmatizzato da Marx), e lottare contro tutti i “valori” e tutti i “principi” della società capitalista. La storia del movimento operaio ci ha insegnato, attraverso la cancrena opportunista che ha invaso la 2a e la 3a Internazionale, che la principale minaccia per le organizzazioni proletarie, è proprio quella della loro incapacità a combattere la penetrazione al loro interno di “valori” e di modi di pensiero della società borghese.
Pertanto, l’organizzazione rivoluzionaria non può funzionare come la società capitalista, deve funzionare in modo associato.
La società capitalista funziona sulla base della concorrenza, dell’alienazione, del “confronto” degli uni con gli altri, dell’instaurazione di stabilire norme, dell’efficacia massima. Un’organizzazione comunista richiede di lavorare insieme e di superare lo spirito di competizione. Può funzionare solo se i suoi membri non si comportano come un gregge di pecore, e non seguono né accettano ciecamente ciò che dicono l’organo centrale o altri compagni. La ricerca della verità e della chiarezza deve essere uno stimolo permanente in tutte le attività dell’organizzazione. L’autonomia del pensiero, la capacità di riflettere, di mettere in questione le cose è indispensabile. Ciò significa che non ci si può nascondere dietro un collettivo ma assumersi le proprie responsabilità esprimendo il proprio punto di vista e spingendo al chiarimento. Il conformismo è un grande ostacolo nella nostra lotta per il comunismo.
Nella società capitalista, se non si è nella “norma”, si viene rapidamente “esclusi”, trasformato in capro espiatorio, in colui che viene biasimato per tutto ciò che capita. Un’organizzazione rivoluzionaria deve stabilire un modo di funzionamento in cui i diversi individui, le differenti personalità possano integrarsi in una grande ed unica totalità, in altri termini un funzionamento che sviluppi l’arte di mettere a frutto e integrare la ricchezza di tutte le personalità. Ciò significa combattere l’orgoglio personale e altri atteggiamenti legati alla competizione, mentre si considera e si da importanza al contributo di ogni compagno. Allo stesso tempo, ciò significa che un’organizzazione deve avere un insieme di regole e di principi. Questi devono essere elaborati, e questo è di per sé una lotta politica. Mentre l’etica della società capitalista non conosce alcuno scrupolo, gli strumenti della lotta proletaria devono essere in armonia con lo scopo da raggiungere.
La costruzione ed il funzionamento di un’organizzazione implicano dunque una dimensione teorica e morale, entrambe richiedono sforzi costanti e permanenti. Ogni debolezza ed ogni indebolimento degli sforzi e della vigilanza in una dimensione preparano la strada all’indebolimento in un’altra. Queste due dimensioni sono inseparabili l’una dall’altra e si determinano reciprocamente. Meno sforzo teorico fa un’organizzazione, più rapidamente e più facilmente può sviluppare una regressione morale, e la perdita della bussola morale a sua volta indebolirà inevitabilmente le capacità teoriche. Alla svolta tra il 19° e il 20° secolo, Rosa Luxemburg aveva già messo in evidenza che la deriva opportunista della Socialdemocrazia tedesca andava di pari in passo con la sua regressione morale e teorica.
Uno degli aspetti fondamentali della vita di un’organizzazione comunista è il suo internazionalismo, non solo sul piano dei principi ma anche a livello della concezione che costruisce del suo modo di vita e di funzionamento.
Lo scopo - una società senza sfruttamento e che produce per i bisogni dell’umanità - non può essere realizzato che a livello internazionale e richiede l’unificazione del proletariato oltre tutte le frontiere. È per tale motivo che l’internazionalismo è stato la parola d’ordine centrale del proletariato fin dalla sua apparizione. Le organizzazioni rivoluzionarie devono essere l’avanguardia, adottare sempre un punto di vista internazionale e lottare contro ogni prospettiva “localista”.
Sebbene, fin dalla sua nascita, il proletariato abbia sempre cercato di organizzarsi a livello internazionale (La Lega dei Comunisti del 1847-1852 fu la prima organizzazione internazionale), la CCI è la prima organizzazione ad essere centralizzata a livello internazionale e dove tutte le sezioni difendono le stesse posizioni. Le nostre sezioni sono integrate al dibattito internazionale nell’organizzazione e tutti i membri - nei differenti continenti - possono basarsi sull’esperienza di tutta l’organizzazione. Questo vuole dire che dobbiamo imparare a riunire militanti che vengono da ambienti di ogni tipo, ed sviluppare dibattiti nonostante le differenti lingue - tutto ciò costituisce un processo appassionante e fruttuoso, dove il chiarimento e l’approfondimento delle nostre posizioni sono arricchite dai contributi di compagni di tutto il pianeta.
Infine, last but not least, è necessario che l’organizzazione abbia in permanenza una chiara comprensione del ruolo che le spetta nella lotta del proletariato per la sua emancipazione. Come la CCI ha spesso sottolineato, oggi la funzione dell’organizzazione rivoluzionaria non è quella di “organizzare la classe” e neanche le sue lotte (questo poteva essere valido all’epoca dei primi passi del movimento operaio, nel 19° secolo). Il suo ruolo essenziale, come enunciato già nel Manifesto Comunista del 1848, consegue dal fatto “che [i comunisti] hanno sul resto del proletariato il vantaggio di un’intelligenza chiara delle condizioni, della marcia e dei fini generali del movimento proletario”. In questo senso, la funzione permanente ed essenziale dell’organizzazione è l’elaborazione delle posizioni politiche e, per fare questo, non deve essere completamente assorbita dai compiti d’intervento nella classe. Essa deve dar prova di saper guardare al di là dell’immediato (prendere del “recul”), di saper avere una visione generale delle questioni ed approfondire continuamente le domande che si pongono alla classe nel suo insieme e nel quadro della sua prospettiva storica. Ciò significa che non può accontentarsi di analizzare la situazione mondiale ma, in modo più ampio, deve studiarne le questioni teoriche sottostanti, contrariamente alla superficialità ed alle distorsioni ideologiche della società capitalista. È una lotta permanente, con una prospettiva a lungo termine che abbraccia tutta una serie di aspetti che vanno ben oltre le questioni che possono porsi alla classe in questo o quel momento della sua lotta.
Poiché la rivoluzione proletaria non è semplicemente una lotta di “coltelli e forchette”, come sottolineava Rosa Luxemburg, la prima rivoluzione nella storia dell’umanità dove vengono rotte tutte le catene dello sfruttamento e dell’oppressione, questa lotta comporta necessariamente un’immensa trasformazione culturale. Un’organizzazione rivoluzionaria non tratta solo di questioni di economia politica e di lotta di classe in senso stretto; deve sviluppare una visione sulle questioni più importanti alle quali è confrontata l’umanità, sviluppare costantemente questa visione ed essere aperta e pronta a far fronte a nuove questioni. L’elaborazione teorica, la ricerca della verità, il desiderio di chiarimento deve essere una passione quotidiana.
E, allo stesso tempo, possiamo compiere il nostro ruolo solo se la vecchia generazione di militanti trasmette la sua esperienza e le sue lezioni ai nuovi militanti. Se la vecchia generazione non ha alcun “tesoro” di esperienza né alcuna lezione da trasmettere alla nuova generazione, fallisce nel suo compito. La costruzione dell’organizzazione richiede dunque l’arte di combinare le lezioni del passato per preparare il futuro.
Come possiamo vedere, la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria è un compito estremamente complesso e necessita di una lotta permanente. Nel passato, la nostra organizzazione ha già condotto importanti lotte per la difesa dei principi che abbiamo enunciato sopra. Ma l’esperienza ha mostrato che queste lotte erano ancora insufficienti e che avrebbero dovuto proseguire di fronte alle difficoltà ed alle debolezze dovute alle origini della nostra organizzazione e alle condizioni storiche in cui essa lavora:
“Non esiste un’unica causa, esclusiva per ciascuna delle differenti debolezze dell’organizzazione. Queste risultano dalla combinazione di diversi fattori che, anche se possono essere legati tra loro, devono essere chiaramente identificati:
- il peso delle nostre origini all’interno alla ripresa storica del proletariato mondiale alla fine degli anni ‘60, in particolare quello della rottura organica;
- il peso della decomposizione che inizia a produrre i suoi effetti dalla metà degli anni ‘80;
- la pressione della “mano invisibile del mercato”, della reificazione la cui impronta sulla società si è accentuata con il prolungarsi della sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalista.
Le differenti debolezze che abbiamo potuto identificare, anche se possono determinarsi tra loro, dipendono, in ultima istanza, da questi tre fattori e dalla loro combinazione:
- La sottovalutazione dell’elaborazione teorica, in particolare sulle questioni organizzative, ha le sue radici nelle nostre stesse origini: l’impatto della rivolta studentesca con la sua componente accademista (di natura piccolo-borghese) alla quale si è opposta una tendenza che confondeva l’anti-accademismo ed il disprezzo per la teoria, e ciò in un ambiente di contestazione dell’autorità" [dei militanti più vecchi]. In seguito, questa sottovalutazione della teoria è stata alimentata dall’ambiente generale di distruzione del pensiero specifico al periodo di decomposizione e alla presa crescente del “buonsenso comune” (…).
- La perdita delle acquisizioni è una conseguenza diretta della sottovalutazione dell’elaborazione teorica: le acquisizioni dell’organizzazione sia relative a questioni programmatiche, di analisi, che quelle sul piano organizzativo, non possono essere mantenute, in particolare di fronte alla pressione costante dell’ideologia borghese, se non vengono sostenute e alimentate continuamente dalla riflessione teorica: un pensiero che non progredisce che si accontenta di ripetere solamente delle formule stereotipate non solo rischia la stagnazione, ma regredisce. (…).
- L’immediatismo fa parte dei peccati di gioventù della nostra organizzazione che è stata formata da giovani militanti risvegliati alla politica dalla ripresa spettacolare della lotta di classe i quali (in molti) immaginavano che la rivoluzione fosse già a portata di mano. I più immediatisti tra noi non hanno resistito ed alla fine si sono demoralizzati, abbandonando la lotta, ma questa debolezza si è mantenuta anche tra quelli che sono restati (…). Questa è una debolezza che può essere fatale perché, associata alla perdita delle acquisizioni, inesorabilmente apre all’opportunismo, un percorso che regolarmente va a destabilizzare i fondamenti dell’organizzazione. (…)
- L’agire in maniera routinaria, da parte sua, è una delle maggiori manifestazioni del peso, nei nostri ranghi, di rapporti alienati, reificati, che domina la società capitalista e che tende a trasformare l’organizzazione in una macchina e i militanti in robot. (…)
- Lo spirito di circolo costituisce, proprio come lo attesta tutta la storia della CCI e anche quella di tutto il movimento operaio, uno dei veleni più pericolosi per l'organizzazione che porta in sé non solo la trasformazione di uno strumento di lotta proletaria in una semplice “banda di amici”, non solo la personalizzazione delle questioni politiche (erodendo così la cultura del dibattito), ma porta anche alla distruzione del lavoro collettivo nell’organizzazione e la sua unità, in particolare attraverso il clanismo. Esso è in egual misura responsabile della ricerca di capri espiatori, che erode la sua salute morale, ed è anche uno dei peggiori nemici della cultura della teoria attraverso la distruzione del pensiero razionale e profondo a favore delle contorsioni e del pettegolezzo. Inoltre, è molto spesso un vettore dell’opportunismo, anticamera del tradimento”. (Risoluzione di attività adottata dal Congresso, punto 4)
Per combattere le debolezze ed i pericoli ai quali è confrontata l’organizzazione, non esiste una formula magica ed è necessario orientare i nostri sforzi in parecchie direzioni. Uno dei punti su cui si è insistito particolarmente, è la necessità di combattere il rutinismo ed il conformismo, sottolineando il fatto che l'organizzazione non è un corpo uniforme ed anonimo ma un’associazione di militanti differenti che tutti devono portare il loro contributo specifico all’operato comune:
"Per operare alla costruzione di una vera associazione internazionale di militanti comunisti, dove ciascuno deve poter continuare ad apportare la sua pietra all’edificio collettivo, l’organizzazione rigetta l’utopia reazionaria del “militante esemplare”, del “militante standard”, del “super-militante” invulnerabile ed infallibile. (…) I militanti non sono né dei robot né dei “superuomini” ma esseri umani che hanno personalità, storie ed origini socioculturali differenti. È solo attraverso una migliore comprensione della nostra “natura” umana e della specifica diversità della nostra specie che possiamo costruire e consolidare la fiducia e la solidarietà tra i militanti. (…) In questa costruzione, ogni compagno ha la capacità di dare un contributo unico all’organizzazione. Ha anche la responsabilità individuale di farlo. In particolare, è responsabilità di ognuno esprimere la propria posizione nei dibattiti e in particolare i disaccordi e le questioni senza le quali l’organizzazione non sarà capace di sviluppare la cultura del dibattito e l’elaborazione teorica”. (Risoluzione di attività, punto 9).
E è proprio sulla necessità di assumere con determinazione e perseveranza lo sforzo di elaborazione teorica che il congresso ha insistito particolarmente.
“La prima sfida per l’organizzazione è prendere coscienza dei pericoli ai quali siamo confrontati. Non possiamo superare tali pericoli attraverso un’azione di “pompieraggio” (…), dobbiamo affrontare tutti i problemi con un comportamento teorico e storico e dobbiamo opporci ad ogni analisi pragmatica, superficiale. Ciò vuole dire sviluppare una visione a lungo termine e non cadere nell’atteggiamento empirico del “giorno per giorno”. Lo studio teorico e la lotta politica devono ritornare al centro dalla vita dell’organizzazione, non solamente per ciò che riguarda il nostro intervento quotidiano, ma, e più importante, proseguendo sulle questioni teoriche più profonde, sullo stesso marxismo, che si sono poste durante gli ultimi dieci anni negli orientamenti che ci siamo dati (…) Questo significa che ci diamo il tempo di approfondire e combattere ogni conformismo nelle nostre fila. L’organizzazione incoraggia il porre delle questioni critiche, l’espressione di dubbi e gli sforzi per esplorare più a fondo le cose.
Non dobbiamo dimenticare che ‘la teoria non è una passione del cervello ma il cervello di una passione’ e che quando questa “teoria si impossessa delle masse, diventa una forza materiale” (Marx). La lotta per il comunismo non comporta solo una dimensione economica e politica, ma anche e soprattutto una dimensione teorica (“intellettuale” e morale). É sviluppando la “cultura della teoria”, e cioè la capacità di porre continuamente in un quadro storico e/o teorico tutti gli aspetti dell’attività dell’organizzazione, che potremo sviluppare ed approfondire la cultura del dibattito al nostro interno e assimilare meglio il metodo dialettico del marxismo. Senza lo sviluppo di questa “cultura della teoria”, la CCI non sarà capace di “mantenere la rotta” sul lungo termine per orientarsi ed adattarsi alle situazioni inedite, di evolversi, di arricchire il marxismo che non è un dogma invariante ed immutabile ma una teoria vivente orientata verso l’avvenire.
Questa “cultura della teoria” non è un problema di “livello di studi” dei militanti. Essa contribuisce allo sviluppo di un pensiero razionale, rigoroso e coerente (indispensabile all’argomentazione), allo sviluppo della coscienza di tutti i militanti ed a consolidare nelle nostre fila il metodo marxista.
Questo lavoro di riflessione teorica non può ignorare l’apporto delle scienze (e particolarmente delle scienze umane, come la psicologia e l’antropologia), la storia della specie umana e dello sviluppo della sua civiltà. Per questo la discussione sul tema “marxismo e scienza” è stata importantissima e i passi avanti che ha permesso devono essere presenti e rafforzarsi nella riflessione e la vita dell’organizzazione" (Risoluzione di attività, punto 8).
Questa preoccupazione per l’apporto delle scienze non è nuova da parte della CCI. Abbiamo già reso conto negli articoli sui nostri precedenti congressi dell’invito di scienziati che hanno contribuito alla riflessione dell’insieme dell’organizzazione fornendole le proprie riflessioni nel proprio ambito di ricerca. Questa volta abbiamo invitato due antropologi britannici, Camilla Power e Chris Knight, che erano già venuti a precedenti congressi e a cui vogliamo, in questo articolo, inviare calorosi ringraziamenti. Questi due scienziati hanno fatto due presentazioni sul tema della violenza nella preistoria, nelle società che non conoscevano ancora la divisione in classi. L’interesse di questo tema per i comunisti è evidentemente fondamentale. Il marxismo ha dedicato tutta una riflessione sul ruolo della violenza. Engels dedica una parte importante de L’Anti-Dühring al ruolo della violenza nella storia. Oggi, mentre ci si prepara a celebrare il centenario della prima guerra mondiale, un secolo che è stato segnato dalle peggiori violenze che abbia conosciuto l’umanità, mentre la violenza è onnipresente nella società e quotidianamente presente sugli schermi televisivi, è importante che quelli che militano per una società libera dai flagelli della società capitalista, dalle guerre e dall’oppressione si interroghino sull’impiego della violenza nelle differenti società. In particolare, di fronte alle tesi dell’ideologia borghese secondo le quali la violenza della società attuale corrisponde alla “natura umana” la cui regola è il “ciascuno per sé”, dove domina necessariamente la “legge del più forte”, è necessario fermarsi a riflettere sull’impiego della violenza nelle società che non conoscevano la divisione in classi, come nel comunismo primitivo.
Non possiamo qui rendere conto delle presentazioni molto ricche fatte da Camilla Power e Chris Knight[6]. Ma vale la pena sottolineare che questi due scienziati hanno contraddetto la tesi di Steven Pinker secondo la quale grazie alla “civiltà” ed all’influenza dello Stato, la violenza è arretrata. Hanno mostrato che nelle società di cacciatori-raccoglitori esisteva un livello di violenza ben più bassa che nelle società che si sono susseguite.
La discussione seguita a queste presentazioni è stata, come nei congressi precedenti, molto animata. Ha illustrato in particolare, ancora una volta, quanto l’apporto delle scienze possa arricchire il pensiero rivoluzionario, un’idea difesa da Marx ed Engels più di un secolo e mezzo fa.
Il 20° congresso della CCI, attraverso la messa in evidenza degli ostacoli che la classe operaia affronta nella lotta per la sua emancipazione, così come sugli ostacoli che l’organizzazione dei rivoluzionari incontra nel compimento della sua specifica responsabilità in questa lotta, ha potuto constatare la difficoltà e la lunga strada che è davanti a noi. Ma questo non per scoraggiarci. Come dice la risoluzione adottata dal congresso:
“Il compito che ci aspetta è lungo e difficile. Dobbiamo armarci di pazienza, che Lenin diceva essere una delle principali qualità del bolscevico. Occorre resistere allo scoraggiamento di fronte alle difficoltà. Queste sono inevitabili e occorre considerarle non come una maledizione ma al contrario come un incoraggiamento a proseguire ed intensificare la lotta. I rivoluzionari, ed è una delle loro caratteristiche fondamentali, non sono delle persone che ricercano la comodità o la facilità. Sono dei combattenti che si danno per obiettivo il contribuire in modo decisivo al compito più immenso e più difficile che dovrà compiere la specie umana, ma anche il più entusiasmante perché significa la liberazione dell’umanità dallo sfruttamento e dall’alienazione, e l’inizio della sua ‘vera storia’” (Risoluzione di attività, punto 16).
CCI
[1] Rivista Internazionale n.152, 2° trimestre 2013 in inglese, francese e spagnolo. La traduzione in italiano della risoluzione sarà pubblicata al più presto sul sito.
[2] Vedi il Rapporto sulle tensioni imperialiste pubblicato nella Rivista internazionale su citata.
[3] Vedi “Crollo del blocco dell'Est: difficoltà aumentate per il proletariato "Rivista Internazionale n.60” https://en.internationalism.org/ir/60/difficulties_for_the_proletariat [30], https://fr.internationalism.org/rinte60/prolet.htm [31], https://es.internationalism.org/node/3502 [32]; Testo di orientamento: Militarismo e decomposizione" https://it.internationalism.org/node/974 [33]
[4] "Dibattito interno alla CCI: Le cause della prosperità seguita alla Seconda Guerra mondiale", serie di articoli pubblicati nei numeri della Rivista Internazionale dal n.133, 135, 136, 138 - 2008-2009. Pubblicati sul nostro sito in inglese, francese e spagnolo.
[5] Vedi “Il proletariato dell’Europa occidentale al centro della generalizzazione della lotta di classe”, Rivista Internazionale n.31; https://en.internationalism.org/ir/1982/31/critique-of-the-weak-link-theory [34], fr.internationalism.org/nation_classe.htm [35].
[6] Pubblicate sul nostro sito: https://en.internationalism.org/tag/25/1369/camilla-power [36] e https://en.internationalism.org/taxonomy/term/567 [37]
All’inizio di quest’anno la CCI scriveva: “Oggi, il ritiro programmato delle truppe americane e della NATO dall’Iraq e dall’Afghanistan lascia in questi paesi un’instabilità senza precedenti con il rischio che essa partecipi all’aggravamento dell'instabilità di tutta la regione” (“Risoluzione sulla situazione Internazionale (20° Congresso della CCI) [38], punto 5). Ed è questa la situazione presente che lascia inoltre presagire una prossima spirale d’instabilità bellica in tutta la regione e nei suoi dintorni. I governati ci hanno promesso la guerra per anni, per una generazione.
L’Iraq e la Siria non sono estranei alla guerra capitalista. La stessa esistenza di questi paesi è la conseguenza della guerra imperialista del 1914-1918. Essi sono stati creati dall’imperialismo lungo la linea di demarcazione Sykes-Picot[1], tracciata dagli inglesi e dai francesi nel 1916 per dividere la regione allora in mano all’impero ottomano.
Questi due paesi sono nati nel corso della guerra, che da allora è continuata, anche se in modi diversi. Entrambi sono stati preziosi per gli Alleati durante la Seconda Guerra mondiale contro la Germania e in seguito sono stati sottoposti a colpi di Stato e manipolazioni dagli inglesi e gli americani nella Guerra Fredda contro la Russia negli anni cinquanta. L’Iraq fu utilizzato di nuovo dall’occidente contro l’Iran all’epoca della guerra del 1980. Mentre nel 1991 ha rappresentato il capro espiatorio del vano sforzo degli americani di permettere al blocco occidentale di conservare la sua coesione, costando la vita a decine di migliaia di vittime quando il macellaio Saddam Hussein e la sua guardia repubblicana furono risparmiati per poter attuare la repressione. L’invasione del 2003, da parte degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, ha provocato migliaia di morti e feriti in più per l’uso di bombe a frammentazione o al fosforo e per munizioni a uranio impoverito. La popolazione irachena sa bene cosa sono gli abbracci e i baci dell’imperialismo, specialmente di quello americano, francese e inglese.
Il 10 giugno, la presa di Mossoul, una città con più di un milione di abitanti, da parte dell’IS (“lo Stato islamico”, conosciuto da giugno di quest’anno con il nome di ISIS, “Stato islamico dell’Iraq e al-Sham”), ha rappresentato un’ulteriore discesa nella barbarie capitalista: caos, terrore e guerra nelle regioni del Medio-Oriente già colpite da questi flagelli. L’ISIS non è un esercito di straccioni, più o meno affiliato a vaghi raggruppamenti, come lo è Al-Qaïda (che ha formalmente disconosciuto l’ISIS a febbraio scorso) ma un’efficientissima e spietata macchina da guerra attualmente capace di bombardare su tre fronti: verso Bagdad al sud, verso i territori curdi a est e verso Aleppo e la Siria a ovest. Hisham al-Hashimi, un esperto sull’ISIS residente a Bagdad, stima le sue forze a 50.000 uomini (The Guardian del 21 agosto 2014), lo stesso rapporto aggiunge che esso disporrebbe “di almeno cinque divisioni dell’esercito iracheno, tutte equipaggiate di materiale americano” e che “il gran numero di combattenti stranieri presenti acquista un’influenza sempre più grande in certe zone”. L’ISIS ha ampiamente esteso il suo regno di terrore crescendo in seno ad Al-Qaïda in Iraq (AQI), poi si è sviluppato nel maelstrom siriano dove ha assorbito, volontariamente o sotto minaccia di morte, altri jihadisti e forze “moderate” anti-Assad. Oggi controlla importanti zone della valle dell’Eufrate dove ha stabilito il suo “califfato” intorno a ciò che resta della frontiera Iraq/Siria, cioè la linea Sykes-Picot. La distruzione di questa frontiera è indicativa della decadenza e del caos che sempre più caratterizza la vita del capitalismo in tutte le grandi regioni del mondo.
Con la regressione nel caos in Medio-Oriente, s’installa una forza, lo Stato islamico, i cui principi in quanto califfato islamico si basano sulle divisioni religiose e su argomentazioni che risalgono a più di un secolo fa. La natura completamente reazionaria di questo califfato è sia uno sviluppo sia un riflesso della natura reazionaria e irrazionale dell’intero mondo capitalista, una tendenza in continuità con la Prima Guerra mondiale e tutti i massacri imperialistici che ne sono seguiti. Lo Stato islamico non ha futuro, se non costituendosi in una nuova gang di banditi, di bruti e di assassini che continueranno a destabilizzare la regione. Sebbene sia una forza religiosa reazionaria, come lo dimostra il terrore imposto ai civili sciiti, cristiani, yazidi, turkmeni, shabak, l’ISIS è fondamentalmente un’espressione capitalista costruita e sostenuta dalle forze imperialiste locali, ora diventata il fronte anti-Assad e anti-iraniano. Questa evoluzione è stata sostenuta dalle azioni dell’America e dell’Inghilterra.
Sputano nel piatto dove mangiano?
“Certo che no”, risponderanno alcuni, che senso avrebbe? Ma il capitalismo ha una lunga storia di creazione dei propri mostri: Adolf Hitler è stato democraticamente messo in campo col sostegno della Gran Bretagna e della Francia con lo scopo iniziale di costituire una forza capace di terrorizzare la classe operaia in Germania. Saddam e il suo regime di assassini sono stati sostenuti dall’occidente, e in particolare dalla Casa Bianca. Lo stesso per Robert Mugabe nello Zimbabwe e per Slobodan Milosevic in Serbia. Le scuole islamiche fondamentaliste, come lo stesso Osama bin Laden, sono essenzialmente dei prodotti della CIA e degli MI6 (fucili d'assalto adottati dell'esercito statunitense) in collaborazione con l’ISI, i servizi segreti pakistani, tutto un mondo al lavoro per bloccare l’imperialismo russo in Afghanistan. Una mistura che ha dato vita ai Talebani e ad Al-Qaïda. La creazione di Hamas è stata incoraggiata inizialmente da Israele per indebolire l’OLP, mentre le forze jihadiste sono state armate, incoraggiate e sostenute dall’occidente in Libia e nelle repubbliche dell’ex-URSS.
Tutto ciò si è ritorto contro i suoi iniziatori e ha sputato nel piatto di chi l’aveva sostenuto e nutrito. Il che dimostra che non si tratta di alcuni individui diabolici, ma di psicopatici efficaci capitalisti, armati e sostenuti dalla democrazia. E oggi più che mai, in Medio-Oriente, tutto ciò che gli imperialismi, sia quelli delle grandi potenze sia quelli locali, tentano di fare per affrontare i loro rivali, giocare le proprie carte e plasmare gli eventi, non solamente è destinato a fallire ma contribuisce al deterioramento generale della situazione perché acuisce i problemi e li dilata a più lungo termine. Al-Qaïda in Iraq è rimasto potente per una decina di anni, ma la sua ramificazione, l’ISIS, sotto la nuova direzione di Abu Bakr-al-Baghdadi[2], è stata sostenuta dai fondi sauditi e del Qatar, “ripuliti” dall’accomodante sistema bancario kuwaitiano, che in più gli hanno dato accesso alla frontiera con la Turchia. L’ISIS è stato armato, direttamente o indirettamente, dalla CIA ed esistono diversi rapporti che segnalano che alcuni suoi miliziani sono stati addestrati dalle forze speciali americane e britanniche in Giordania o nella base americana di Inçirlik in Turchia[3]. Perché? Perché americani e britannici volevano una forza di combattimento efficace contro il regime di Assad, comunque più efficace delle forze “moderate”. Anche il regime siriano ha fatto accordi con l’ISIS e l’ha utilizzato nella vecchia strategia che consiste nel sostenere il nemico del proprio nemico. Portando un aiuto alle forze dello Stato islamico, le potenze locali e occidentali hanno cercato di bloccare la minaccia crescente costituita dall’alleanza Iran/Hezbollah/Assad, una macchina da guerra sostenuta nelle retrovie dalla Russia. Il califfato dell’ISIS non ha nessuna prospettiva a lungo termine, ma per il momento si estende e s’ingrossa approfittando della particolare attrattiva che esercita sulla gioventù nichilista che va a costituire una specie di “brigata internazionale” al suo interno. Possiede miliardi di dollari in equipaggiamento e liquidità, tutti provenienti dai suoi numerosi “affari”. E questo non è certamente il primo ribaltamento avvenuto in zona: le forze aeree americane hanno dato la loro copertura al PKK curdo nella lotta contro gli jihadisti, un gruppo qualificato come “terrorista” dagli stessi Stati Uniti, L’Iran, la Siria di Assad e l’occidente si trovano ora più o meno dalla stessa parte, alcuni notiziari (The Observer, 17/08/14) segnalano che aerei da combattimento iraniani operano dall’enorme base aerea di Rasheed al sud di Bagdad e lanciano barili di esplosivo sulle zone sunnite. Senza dubbio, alcune forze iraniane operano sul suolo dell’Iraq e della Siria contro l’ISIS. La Turchia e la Giordania, la stessa Arabia Saudita, sono coinvolte dalla minaccia costituita da quest’organizzazione. Qui niente è stabile; tutto è in movimento, un continuo trambusto inter-imperialistico.
Quando gli elementi sunniti della provincia di Anbar si allearono con lo Stato islamico per prendere Mossoul nel giugno scorso, fu chiaro che la guerra in Siria era sconfinata in Iraq. C’è stato un completo capovolgimento rispetto alla situazione del 2006/2007, quando i capi tribali sunniti di Anbar si unirono alle forze americane nella “presa di coscienza” che bisognava sconfiggere Al-Qaïda. Ma il governo di Al-Maliki a Bagdad, sostenuto nell’ombra dagli americani e dominato dagli Sciiti, ha escluso i sunniti da ogni potere, ha incoraggiato le gang sciite a effettuare dei quasi-pogrom contro di questi e ha trattato le popolazioni sunnite come farebbe un esercito di occupazione. Il nuovo governo di “Unione nazionale” in Iraq può anche ammettere di nuovo alcuni deputati sunniti, ma questi probabilmente rischiano la decapitazione se osano tornare nelle loro circoscrizioni. Gli Stati Uniti possono anche sperare in una stabilità governativa, ma la prospettiva per l’Iraq sembra essere piuttosto una sua spartizione. Gli Stati Uniti non possono né controllare né contenere questo caos che hanno, al contrario, favorito. Per il momento, è stato deciso di difendere la capitale curda, Erbil, dove gli americani sono attualmente insediati, per il petrolio e altri interessi. La loro presenza nella zona non è assolutamente dovuta ad alcun “intervento umanitario”, che resta è una flagrante menzogna[4]. Un’altra menzogna è quella di Cameron quando afferma che “l’Inghilterra non si lascerà trascinare in una nuova guerra in Iraq” (BBC News, 18/08/14), che si unisce alla sedicente natura “umanitaria” del suo intervento, come di quello dello Stato italiano. La decisione degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna, dell’Italia, della Germania e della Repubblica ceca di armare i curdi non è affatto una politica comunitaria per questi paesi. Al contrario può solo rafforzare il governo regionale curdo (KRG) e la tendenza alla spartizione dell’Iraq, che provocherà nuovi problemi nella regione.
Ci sono 60.000 rifugiati a Erbil, e 300.000 in più si trovano a Dohuk, una delle regioni più povere dell’Iraq. Solo in Iraq ce ne sono un milione, parecchi milioni in tutta la regione. Questa cifra senza precedenti di persone erranti, così come il cedimento delle frontiere, sono espressioni del procedere della decadenza di questo sistema che sta marcendo. Il regime iraniano si è rafforzato, le frontiere della Turchia, che comunque è membro NATO, e della Giordania sono indebolite e minacciate, i terroristi di ieri e quelli che incarnavano allora il male, oggi sono diventati degli alleati. E ritorna un pericolo per le capitali occidentali e le regioni industrializzate. La minaccia, contro la quale il Primo ministro Blair era stato avvertito fin dal 2005 dal Joint Intelligence Commitee (JIC)[5], è oggi più seria che mai, dal momento che gli jihadisti vinti cercheranno di ritornare verso i grandi centri strategici per dotarsi di mezzi per continuare i loro attacchi. L’ISIS riassume in sé la natura putrefatta, regressiva del capitalismo, così come il suo sprofondamento nel militarismo, la barbarie e l’irrazionalità: uccidere e morire per la religione[6], il massacro in massa di civili, lo stupro e la messa in schiavitù di donne e bambini. Gli Stati Uniti e i loro “alleati” sono in grado di respingere l’ISIS, ma non possono contenere il caos imperialistico che l’ha fatto nascere. Al contrario! Le grandi potenze e le forze locali possono solamente aggravare sempre più l’instabilità e il caos. Ciò che non vogliono è esattamente quello per cui hanno lavorato e continuano a lavorare, perché è il sistema capitalista a condurli ciecamente in questa direzione.
Baboon, agosto 2014
[1] L’accordo Sykes-Picot, ufficialmente Accordo sull’Asia Minore, fu un accordo segreto tra i governi del Regno Unito e della Francia, in assenza della Russia, che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente in seguito alla sconfitta dell’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale. Al Regno Unito fu assegnato il controllo delle zone comprendenti approssimativamente la Giordania, l'Iraq e una piccola area intorno ad Haifa. Alla Francia fu assegnato il controllo della zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell'Iraq, la Siria e il Libano. La zona che successivamente fu riconosciuta come Palestina doveva essere destinata a un’amministrazione internazionale coinvolgente l'Impero russo e altre potenze. Da Wkipedia
[2] Il quale è stato liberato nel 2009 dalla prigione americana della base irachena di Umm Qasr su ordine di Obama (https://www.politifact.com/punditfact/statements/2014/jun/19/jeanine-pirro/foxs-pirro-obama-set-isis-leader-free-2009/ [39]
[3] guardianlv.com [40].
[4] Obama e il Primo ministro Cameron si sono attribuiti il merito di aver salvato gli Yazidi del Monte Singar, ma ciò che li preoccupava di più era difendere Erbil, ed è la stessa cosa per i Peshmerga curdi che hanno abbandonato questi civili, offrendo al PKK, ben più radicale, l’occasione per riversarsi nella breccia e presentarsi come il vero salvatore degli Yazidi, nonostante il fatto che molti di questi siano ancora in grande pericolo.
[5] warisacrime.org/node/22644.
[6] Uno dei più efficaci e assurdi mezzi di difesa dello Stato islamico, contro le forze irachene condotte dagli americani per riprendere Tikrit, sono state le bombe volanti umane che si gettavano dalle finestre e dai tetti sulle colonne che avanzavano.
Il 2014 è l’anno delle commemorazioni ufficiali della Prima Guerra mondiale.
I portavoce della classe dirigente, i politici e i professori, la televisione e i giornali, hanno dato le loro spiegazioni sul conflitto e sui motivi della sua fine. Tutti si sono rammaricati per le morti di questa guerra, auspicando che una tale tragedia non si riproduca. Ma tutto questo è solamente la ripugnante ipocrisia di una classe il cui sistema che ci ha portato gli orrori di questa guerra e di tutte quelle che da allora hanno devastato il mondo.
I rivoluzionari hanno il proprio metodo per spiegare le tragedie dell’ultimo secolo.
Nel 1914 l’umanità era di fronte ad un’alternativa: Rivoluzione o guerra, Socialismo o barbarie. E oggi si trova di fronte alla stessa alternativa.
1914: le grandi potenze arruolano le masse. La propaganda di tutti gli Stati belligeranti proclama: il vostro paese ha bisogno di voi. Battersi per la patria. Difendere la civiltà contro la barbarie dell’altro campo. Ma come la rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg diceva nella Junius brochure, scritto in prigione nel 1915: questa guerra è la barbarie. Non è una guerra per mettere fine alle guerre, ma esprime la fine definitiva dell’utilità del capitalismo per l’umanità. Se gli sfruttati e gli oppressi di tutti i paesi non si uniscono contro gli sfruttatori ed i mercanti d’armi in tutti i paesi, questa guerra sarà solamente il preludio a massacri ancora più terribili.
1917-19: vittime di massacri inutili nelle trincee, della fame e dell’intensificazione dello sfruttamento nelle retrovie, i lavoratori dei due campi si ribellano contro la guerra. Soldati e marinai si ammutinano e fraternizzano, i lavoratori organizzano manifestazioni e scioperi di massa. La rivoluzione esplode in Russia quando i soviet - consigli rivoluzionari di delegati dei lavoratori, dei soldati e dei contadini - prendono il potere. Esplode in Germania quando i marinai di Kiel rifiutano di sacrificarsi per lo sforzo bellico e in tutto il paese si formano consigli di operai e di soldati. Le classi dirigenti che fino a ieri si sgozzavano a vicenda, ora si uniscono per mettere precipitosamente fine alla guerra. Ma l’ondata rivoluzionaria prosegue di fronte alla miseria del dopoguerra, dando luogo ad altri scioperi in massa e sollevamenti, da Clydeside a Seattle, dall’Ungheria al Brasile.
1920-27: la sconfitta e la controrivoluzione. I rivoluzionari russi sapevano che se la rivoluzione non si fosse estesa nel mondo sarebbero stati condannati alla sconfitta. Nonostante lo sviluppo mondiale della lotta di classe e la fondazione dell’Internazionale comunista, i lavoratori non riescono a prendere il potere in alcun’altra parte nel mondo. Esaurita dalla guerra civile, nella quale le forze controrivoluzionarie sono state sostenute dalle grandi potenze, la classe operaia in Russia perde la sua presa sul potere e una nuova burocrazia emerge sulle ceneri della rivoluzione. Stalin proclama “il socialismo in un solo paese” nel 1924: non un programma per la rivoluzione mondiale, ma per il capitalismo di Stato russo. Nel 1927 in Cina, i comunisti che avevano preso parte all’insurrezione di Shanghai vengono decapitati nelle strade dai loro sedicenti “alleati”, i nazionalisti. In Germania, il partito socialdemocratico, diventato un partito del sistema, utilizzerà le forze dell’estrema destra come truppe d’assalto contro la rivoluzione. L’estrema destra incarnata da Hitler si appresta allora a finire il lavoro.
1929: la Grande depressione. La chiusura delle fabbriche e i milioni di lavoratori gettati in strada provano, ancora una volta, l’assurdità e l’obsolescenza del capitalismo. È una crisi di sovrapproduzione, una crisi della domanda mentre potenzialmente esiste l’abbondanza. Ma la classe operaia è stata vinta e non può rispondere alla crisi con la rivoluzione.
1936: Hitler e Stalin dirigono dei regimi che si basano sui campi di concentramento e le prigioni, e su di un’economia orientata verso la guerra. Le “democrazie” ostacolano loro il passo. La marcia verso una nuova guerra mondiale è aperta e fondamentalmente sarà una ripetizione della Prima. In Spagna, la classe operaia mantiene la sua combattività. Ma dopo aver fatto fallire il colpo di Stato franchista nel luglio 1936 con i propri metodi di lotta - scioperi e fraternizzazione con le truppe- viene reclutata nel fronte antifascista che subordina gli interessi della classe operaia all’interesse nazionale. La Spagna diventa un campo di battaglia tra i blocchi imperialisti, una prova generale per la Seconda Guerra mondiale.
1939-45: malgrado tutti i nuovi slogan di adunata ideologica – l’antifascismo, la difesa della democrazia o della “patria socialista”- la Seconda Guerra mondiale supera di molto la Prima in quanto a barbarie. Dal lato fascista, il culmine è lo sterminio industriale nei campi di concentramento. Ma il fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki mostra che gli alleati “democratici” non sono da meno nel liquidare milioni di vite innocenti.
1945-68: Un pugno di internazionalisti condanna la guerra come espressione di una nuova divisione del globo, e mentre questa sta per finire, esplodono rivolte sporadiche della classe operaia. Ma l’ombra della sconfitta è ancora troppo potente e, prima ancora della fine della Seconda Guerra mondiale, prendono forma i contorni per un terzo conflitto. L’URSS, ieri alleata contro il fascismo, diventa il nuovo nemico totalitario. Si formano due enormi blocchi imperialistici che si affrontano attraverso l’interposizione di guerre per procura: Corea, Medio Oriente, India e Pakistan, Cuba, Vietnam...
1968-89: la riorganizzazione dell’economia mondiale durante e dopo la guerra permette al capitalismo di uscire dalla depressione e, nonostante la persistenza della povertà nel mondo “sottosviluppato”, i paesi centrali conoscono un periodo di crescita e di prosperità. Ma la tregua è solamente temporanea. Alla fine degli anni 60 appaiono i segni di una nuova crisi economica sotto forma di un’inflazione galoppante e, nel 1973, di una nuova recessione mondiale. Questa volta, tuttavia, una nuova generazione della classe operaia comincia a rispondere alla crisi: 10 milioni di scioperanti in Francia nel 1968, “l’autunno caldo” in Italia nel 1969, lo sciopero dei minatori in Gran Bretagna nel 1972 e 1974. Questi focolai di rivolta, e altri ancora, smentiscono gli ideologi che avevano proclamato che la classe operaia si era integrata alla società dei consumi. La classe operaia non solo è viva, ma il suo rifiuto di ubbidire ai diktat dell’economia nazionale significa anche che il capitalismo non ha carta bianca per intensificare i suoi scontri imperialisti fino a una nuova guerra mondiale.
1989-2014: che questo è un problema per la classe dirigente è illustrato chiaramente dal crollo dell’URSS e del blocco russo. Gli scioperi di massa degli operai polacchi negli anni 80 indicano che i dirigenti di questo blocco, se avessero tentato di rispondere alle loro profonde difficoltà economiche lanciando una nuova offensiva imperialistica, non avrebbero potuto contare sul sostegno della classe operaia. Con la scomparsa de “l’Impero del male” dell’Est, George Bush padre dichiara l’avvento di un nuovo ordine mondiale di pace e prosperità. Quasi immediatamente dopo, le guerre nel Golfo e nell’ex Jugoslavia dimostrano che gli scontri imperialisti non sono spariti, ma hanno preso una forma nuova, più caotica, al di fuori dalla disciplina dei vecchi blocchi. Il continente africano e il Medio Oriente diventano oggetto di tutta una serie di battaglie sanguinose. Quanto alla prosperità, la “crisi del debito” del 2008 mette in luce il carattere artificiale della precedente fase di “crescita”. Dagli anni 30 il capitalismo reagisce alla malattia della sovrapproduzione usando la medicina del debito, ma oggi la cura mostra che è pericolosa tanto quanto la malattia. E durante questo periodo, il capitalismo folle ha bisogno di crescere, costi quel che costi e qualunque sia il risultato di un metodo che porta in sé una nuova espressione del suo impasse storico, vale a dire la crisi ecologica. L’inquinamento e la distruzione dell’ambiente, il cambiamento climatico cominciano a produrre una serie di catastrofi che sono solo un assaggio di ciò che può prodursi se si permette all’accumulazione capitalista di proseguire.
Il capitalismo si decompone sotto i nostri occhi. La classe operaia non è stata in grado di sviluppare le sue lotte, dal periodo 1968 – 1989, verso una messa in discussione cosciente del modo di produzione capitalista e deve far fronte al pericolo di essere travolta nel pantano di un ordine sociale in avanzato stato di decadenza - nella sua guerra di gang, nella sua disperazione, nella sua irrazionalità e nella sua dinamica verso l’autodistruzione. Ma la voce del proletariato non è stata ridotta al silenzio. Un sentimento crescente di indignazione contro un sistema che non offre alcun avvenire, ha spinto milioni di giovani nelle strade in Tunisia, Egitto, Grecia, Israele, Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti, Turchia e Brasile. Ci sono stati enormi scioperi di lavoratori in Bangladesh ed in Cina contro lo sfruttamento spietato che esige il “capitalismo globalizzato”. In Africa meridionale la repressione del governo contro i minatori di Marikana smentisce tutti i discorsi sulla “nuova Africa del Sud” fatti dopo il regime dell’apartheid. La classe operaia è più globale che mai e anche se non riesce facilmente a ricuperare la sua identità di classe e la fiducia nelle proprie capacità, la dinamica delle sue lotte continua a contenere la possibilità di rispondere alla barbarie del capitalismo con la prospettiva del socialismo, della rivoluzione comunista che sostituirà il dominio del capitale e del suo Stato con una nuova comunità umana a livello mondiale.
L’esplosione della guerra il 4 agosto 1914 non fu una sorpresa per le popolazioni europee e soprattutto per gli operai. È già dall’inizio del secolo che si succedono crisi, quelle marocchine del 1905 e 1911 e le guerre balcaniche del 1912 e 1913, per citare le più gravi. Queste crisi mettono direttamente le grandi potenze le une di fronte alle altre, lanciandosi tutte in una corsa sfrenata agli armamenti: la Germania inizia un enorme programma di costruzione navale al quale inevitabilmente deve rispondere la Gran Bretagna. La Francia introduce il servizio militare di tre anni e finanzia attraverso enormi prestiti l'ammodernamento delle ferrovie russe destinate ad istradare le truppe verso la frontiera con la Germania, ed anche per ammodernare l'esercito serbo. La Russia, dopo la debacle del conflitto russo-giapponese del 1905, dà il via ad un programma di riforme delle forze armate. Contrariamente a ciò che oggi ci dice la propaganda sulle origini della guerra, questa è stata preparata volontariamente e soprattutto voluta da tutte le classi dominanti delle grandi potenze.
Nessuna sorpresa dunque, ma per la classe operaia fu uno shock terribile. Per due volte, a Stoccarda nel 1907 ed a Basilea nel 1912, i partiti socialisti fratelli della Seconda Internazionale hanno preso impegni solenni nel difendere i principi internazionalisti, rifiutare il reclutamento degli operai nella guerra e resistere con ogni mezzo a quest'ultima. Il congresso di Stoccarda adotta un emendamento di risoluzione proposta dalla sinistra - Lenin e Rosa Luxemburg: "Se la guerra dovesse scoppiare [i partiti socialisti] hanno il dovere di intervenire per farla cessare subito utilizzando con tutte le loro forze la crisi economica e politica, prodotta dalla guerra, per agitare gli strati popolari più profondi ed affrettare la caduta del dominio capitalista". Jean Jaurès, il grande tribuno del socialismo francese, dichiara allo stesso congresso che "L'azione parlamentare non basta più in nessuno campo.... I nostri avversari sono spaventati davanti alle immense forze del proletariato. Noi che abbiamo proclamato così orgogliosamente il fallimento della borghesia, non permettiamo che la borghesia possa parlare del fallimento dell'Internazionale." Al congresso del Partito socialista francese, a Parigi nel luglio 1914, Jaurès fa adottare la formulazione secondo la quale "Il congresso considera come particolarmente efficace lo sciopero generale operaio, organizzato simultaneamente ed internazionalmente nei paesi interessati, così come l'agitazione e l'azione popolare sotto le forme più attive, tra tutti i mezzi adoperati per fare propaganda ed impedire la guerra."
E tuttavia, nell'agosto 1914, l'Internazionale crolla o meglio si smembra, nel momento in cui tutti i partiti che essa raggruppa (ad eccezioni di alcuni onorabili, come i Russi o i Serbi) tradiscono l'internazionalismo proletario, il suo principio fondatore, in nome della difesa della "patria in pericolo" e della "cultura". Ed ogni borghesia, mentre si prepara a gettare nel macello milioni di vite umane, si presenta come il massimo della civiltà e della cultura, mentre il nemico è solamente una bestia assetata di sangue responsabile delle peggiori atrocità...
Come è stata possibile una tale catastrofe? Come hanno potuto quelli che qualche mese, addirittura alcuni giorni prima, avevano minacciato la borghesia sulle conseguenze della guerra per il suo dominio, ad unirsi senza resistenza alla sacra unione col nemico di classe - il Burgfriedenpolitik secondo il termine tedesco?
Di tutti i partiti dell'Internazionale, è sul Sozialdemokratische Partei Deutschlands, il Partito socialdemocratico tedesco (SPD) che ricade la maggiore responsabilità. Ma ciò non discolpa affatto gli altri partiti, ed in particolare il partito francese. Allora il partito tedesco era il più bel fiore dell'Internazionale, il gioiello fabbricato dal proletariato. Con più di un milione di membri e più di 90 pubblicazioni regolari, l’SPD era il più forte e meglio organizzato partito dell'Internazionale. Sul piano intellettuale e teorico, era il riferimento di tutto il movimento operaio: gli articoli pubblicati nella sua rivista teorica, la Neue Zeit, danno il "la" sul piano della teoria marxista, e Karl Kautsky, redattore capo della Neue Zeit, è spesso considerato come il "papa del marxismo". Come scrive Rosa Luxemburg: "al prezzo di sacrifici innumerevoli, attraverso un lavoro scrupoloso ed infaticabile, [la socialdemocrazia tedesca] ha gettato le basi di una potentissima esemplare organizzazione, ha prodotto la stampa più numerosa, ha dato vita ai più efficaci mezzi di informazione e di istruzione, ha raccolto intorno a sé considerevoli masse di elettori ed ha ottenuto il più grande numero di seggi di deputati. La socialdemocrazia tedesca fu la più pura incarnazione del socialismo marxista. Essa ebbe e reclamò per sé una posizione particolare come maestra e guida della Seconda Internationale" (Opuscolo di Junius).
L’SPD è il modello che tutti gli altri cercano di imitare, non risparmiando gli stessi bolscevichi di Russia. "Nella Seconda Internazionale, il "gruppo d'assalto" tedesco aveva un ruolo preponderante. Durante i congressi, durante le sessioni dell’Ufficio Internazionale Socialista, tutti aspettavano l'opinione dei tedeschi. In particolare proprio sulla questione della lotta contro il militarismo e contro la guerra, la socialdemocrazia tedesca interveniva sempre in modo decisivo. ‘Per noi tedeschi questo è inaccettabile’ e questo bastava in genere a decidere l'orientamento dell'Internazionale. Con una fiducia cieca, quest'ultima si affidò alla guida della potente e tanto ammirata socialdemocrazia tedesca: era l'orgoglio di ogni socialista ed il terrore delle classi dominanti in tutti i paesi" (Opuscolo di Junius). Spettava dunque al partito tedesco attuare gli impegni di Stoccarda e lanciare la resistenza alla guerra.
E tuttavia, il giorno fatidico del 4 agosto 1914, l’SPD si unisce ai partiti borghesi del Reichstag votando i crediti di guerra. Dall’oggi al domani, la classe operaia in tutti i paesi belligeranti si trova disarmata e senza organizzazione, i suoi partiti politici ed i suoi sindacati sono passati alla borghesia e oramai sono i principali organizzatori non della resistenza alla guerra ma, al contrario, della militarizzazione della società in vista della guerra.
Oggi, la leggenda vuole che gli operai abbiano aderito alla guerra, come il resto della popolazione, attraverso un'immensa ondata di slancio patriottico, ed i media amano mostrarci immagini di truppe che partono al fronte con il fiore nel fucile. Come molte leggende, questa ha poco a che vedere con la realtà. Certamente non sono mancate manifestazioni di isteria nazionalista ma quest’ultime erano essenzialmente della piccola borghesia e dei giovani studenti indottrinati di patriottismo. Di contro, nel luglio 1914, in Francia ed in Germania, a centinaia di migliaia gli operai manifestavano contro la guerra e saranno ridotti all'impotenza dal tradimento delle loro organizzazioni.
Sicuramente, il tradimento dell’SPD non è avvenuto dall'oggi al domani: era preparato da lunga data. La potenza elettorale dell’SPD ha nascosto un'impotenza politica, o meglio è proprio la potenza elettorale dell’SPD e la potenza organizzativa sindacale tedesca che hanno ridotto l’SPD all'impotenza in quanto partito rivoluzionario. Il lungo periodo di prosperità economica e di relativa libertà politica che segue l'abbandono delle leggi antisocialiste e la legalizzazione dei partiti socialisti in Germania, a partire dal 1891, finisce per convincere i dirigenti parlamentari e sindacali che il capitalismo è entrato in una nuova fase dove ha superato le sue contraddizioni interne, al punto che l'avvento del socialismo non si farebbe più attraverso un sollevamento rivoluzionario delle masse, ma attraverso un processo graduale di riforme parlamentari. Vincere alle elezioni diventerà così lo scopo principale dell'attività politica dell’SPD, per cui il gruppo parlamentare acquisterà un peso sempre più preponderante in seno al partito. Il problema, nonostante le riunioni e le manifestazioni operaie all'epoca delle campagne elettorali, è che la classe operaia non partecipa alle elezioni in quanto classe ma in quanto individui isolati, in compagnia di altri individui che appartengono ad altre classi – con i cui pregiudizi non bisogna scontrarsi. Così, all'epoca delle elezioni del 1907, il governo imperiale del Kaiser conduce una campagna in favore di una politica coloniale aggressiva e l’SPD - che si era opposto fino ad allora alle avventure militari - subisce importanti perdite numeriche di seggi al Reichstag. I dirigenti dell’SPD e soprattutto il gruppo parlamentare, traggono la conclusione che non bisogna scontrarsi direttamente con le sensibilità patriottiche. Per tale motivo, l’SPD resisterà a tutti i tentativi in seno alla Seconda Internazionale, ed in particolare al Congresso di Copenaghen nel 1910, per discutere delle misure precise da adottare contro la guerra nel caso questa esplodesse.
Evolvendosi in un mondo borghese, i dirigenti e l'apparato dell’SPD acquisiscono sempre più il suo stato d’animo. La foga rivoluzionaria, che ha permesso ai loro predecessori di denunciare la guerra franco-prussiana nel 1870, si smorza presso i dirigenti, peggio ancora, essa è vista come pericolosa perché espone il partito alla repressione. In fin dei conti, nel 1914, dietro la sua imponente facciata, l’SPD è diventato solo "un partito radicale come gli altri". Il partito adotta il punto di vista della sua borghesia, vota i crediti di guerra e solo una piccola minoranza di sinistra resta ferma nel tentativo di resistere al crollo. Questa minoranza, espulsa, incarcerata, perseguitata, sarà all'origine del gruppo Spartakus che si isserà alla testa della rivoluzione tedesca nel 1919 e fonderà la sezione tedesca della nuova Internazionale, il KPD (Partito Comunista Tedesco).
Risulta quasi banale dire che viviamo sempre all'ombra della guerra del 14-18. Essa rappresenta il momento in cui il capitalismo ha conquistato e dominato tutto il pianeta, integrando l'insieme dell'umanità in un solo mercato mondiale, questo mercato mondiale che era ed è l'oggetto di tutte le brame dei potenti. A partire dal 1914, l'imperialismo, il militarismo dominerà la produzione e la guerra diventerà mondiale e permanente. Da allora, il capitalismo minaccia di portare tutta l'umanità alla sua scomparsa!
Lo sviluppo della Prima Guerra mondiale non era inevitabile. Se l'Internazionale avesse mantenuto i suoi impegni, forse non avrebbe potuto impedire la guerra, ma avrebbe potuto animare la resistenza operaia, che comunque c'è stata, darle una direzione politica e rivoluzionaria, aprendo così la via, per la prima volta nella storia, alla possibilità di creare una comunità planetaria, senza classi e senza sfruttamento, mettendo fine alla miseria ed alle atrocità che un capitalismo imperialistico e decadente infligge da allora alla specie umana. Non si tratta di un pio desiderio illusorio; al contrario la rivoluzione russa ha dato prova che la rivoluzione non era, e non è, solamente necessaria, ma anche possibile. Perché è stato proprio questo straordinario assalto al cielo da parte delle masse, questo immenso slancio proletario che ha fatto tremare la borghesia internazionale e l'ha costretta a fermare prematuramente la guerra. Guerra o rivoluzione, barbarie o socialismo, 1914 o 1917... : non potrebbe essere più chiara l'unica alternativa che ha l'umanità!
Gli scettici arguiranno che la rivoluzione russa è rimasta isolata ed è affondata per opera della controrivoluzione stalinista e aggiungeranno che al 14-18 ha fatto seguito il 39-45. Ciò è perfettamente vero. Ma per non trarre false conclusioni bisogna comprenderne le cause, chiedersi il perché e non accontentarsi di ingoiare senza profferire parola la costante e permanente propaganda ufficiale. Nel 1917, l'ondata rivoluzionaria internazionale è esordita in un contesto in cui lo sfaldamento sulla guerra era ancora profondamente radicato. Queste difficoltà hanno prodotto un'eterogeneità nelle fila del proletariato che è stata sfruttata dalla classe dominante per sconfiggere la classe operaia. Disorientato e diviso il proletariato in realtà non ha potuto unificarsi in un vasto movimento internazionale. È rimasto diviso tra i campi dei "vincitori" e dei "vinti". In tal modo è stato possibile annientare gli eroici assalti rivoluzionari, come quello del 1919 in Germania, schiacciati nel sangue, principalmente grazie all'intervento del grande partito operaio traditore, la socialdemocrazia. L'isolamento ha permesso poi alla reazione internazionale di completare il suo crimine, sconfiggere la Rivoluzione russa e preparare la seconda grande macelleria mondiale, che non fa che convalidare che l'unica alternativa storica che abbiamo è "socialismo o barbarie!"
Jens, 30 giugno 2014
Quella che iniziò nell'agosto 1914, oggi la chiamano ancora la "Grande Guerra". Tuttavia la Seconda guerra mondiale fece più del doppio delle vittime. Per non parlare delle guerre senza fine che, dal 1945, hanno provocato più morti ed ancor maggiori distruzioni.
Per comprendere perché la guerra del 14-18 resta sempre "La Grande Guerra", basta visitare un qualsivoglia villaggio in Francia, anche il più isolato, perduto nelle praterie alpine: là su marmi commemorativi troviamo i nomi di intere famiglie - fratelli, padri, zii, figli. Questi muti testimoni dell'orrore si trovano non solo nelle città ed i villaggi delle nazioni belligeranti europee, ma persino all'altra estremità del mondo: nella piccola frazione di Ross sull'isola australiana della Tasmania, il cui memoriale porta i nomi di 16 morti e di 44 superstiti, caduti probabilmente durante la campagna di Gallipoli.
Per due generazioni dopo la fine della guerra 1914-1918 sono stati sinonimi di un’insensata carneficina, dovuta alla cieca e precipitosa stupidità di una casta aristocratica dominante, all'avidità senza limiti degli imperialisti, di profittatori di guerra e fabbricanti di armi. Malgrado tutte le cerimonie ufficiali, tutte le corone d’alloro deposte davanti ai monumenti ai caduti, il portare simbolico di papaveri all'occhiello il giorno della commemorazione annuale, questa visione della Prima Guerra mondiale è stata trasmessa nella cultura popolare delle nazioni belligeranti. In Francia, il romanzo autobiografico di Gabriele Chevalier, La Paura, pubblicato nel 1930, ha conosciuto un successo così enorme da provocare il divieto del libro da parte delle autorità. Nel 1937, il film contro la guerra di Jean Renoir, La Grande Illusione, venne proiettato senza interruzioni al cinema Marivaux dalle ore 10 fino alle 2 del mattino, battendo tutti i record di incasso; a New York, il cartellone che lo pubblicizzava è stato affisso per 36 settimane[1].
Nella Germania degli anni ‘20, i disegni satirici di George Grosz mandavano su tutte le furie i generali, i politici e quelli che avevano approfittato della guerra. Il libro di Remarque Niente di nuovo sul fronte orientale (Im Westen Nichts Neues) fu pubblicato nel 1929: 18 mesi dopo la sua pubblicazione, erano stati venduti 2,5 milioni di esemplari tradotti in 22 lingue; la versione cinematografica degli Universal Studios nel 1930 conobbe un altisonante successo negli Stati Uniti, dove guadagnò l'Oscar come miglior film[2].
Disgregandosi, l'impero austro-ungarico lasciò al mondo uno dei più grandi romanzi contro la guerra: Il buon soldato Chweik (Osudy dobrélo vojáka Švejk za sv?tové války) di Jaroslav Hašek, pubblicato nel 1923 e da allora tradotto in 58 lingue - più di ogni altra opera in lingua ceca.
Il disgusto provocato dalla memoria della Prima Guerra mondiale è sopravvissuto al bagno di sangue ancora più terribile della Seconda. Paragonata agli orrori di Auschwitz e di Hiroshima, la barbarie del militarismo prussiano e dell'oppressione zarista - per non parlare del colonialismo francese o britannico - che erano serviti da giustificazione alla guerra del 1914, sembravano quasi insignificanti ed è per tale motivo che il massacro nelle trincee sembrava ancora più assurdo e mostruoso: in tal modo era possibile presentare la Seconda Guerra mondiale come una guerra se non "buona", almeno "giusta" e necessaria. Questa contraddizione non è da nessuna parte più flagrante che in Gran Bretagna, dove tutta una serie di film che esaltano la "giusta causa" nel puro stile patriottico (Dambusters nel 1955, 633 Squadron nel 1964, ecc.) hanno occupato gli schermi cinematografici durante gli anni ‘50 e ‘60, mentre allo stesso tempo gli scritti anti-guerra dei "poeti della guerra" Wilfred Owen, Siegfried Sassoon, e Robert Graves hanno fatto parte del corso scolastico obbligatorio per i collegiali[3]. Probabilmente la più grande opera di Benjamin Britten, il più celebre compositore britannico del ventesimo secolo, è il suo Requiem di Guerra (1961) che mette in musica la poesia di Owen, mentre l'anno 1969 ha visto l'uscita di due film molto differenti: nel genere patriottico Battle of Britain, e la satira pungente Oh What a Lovely War! che esprime in musica una denuncia della Prima Guerra mondiale servendosi delle canzoni create dai soldati nelle trincee.
Due generazioni dopo, ci troviamo alla vigilia del 100mo anniversario dello scoppio della guerra, il 4 agosto 1914. Considerando l'importanza degli anniversari a cifra tonda ed ancora più se centenari, grandi preparativi sono in corso per commemorare ("festeggiare" non è una parola conveniente) la guerra. In Francia ed in Grande Bretagna, sono stati assegnati budget di parecchie decine di milioni in euro o in sterline; in Germania, per evidenti ragioni, i preparativi sono più discreti e non hanno ricevuto la benedizione governativa[4].
"Chi paga i violini, sceglie la musica": allora che ci guadagnano le classi dominanti in cambio delle decine di milioni che hanno speso per "commemorare la Guerra”?
Se guardiamo i siti web degli organismi responsabili della commemorazione (in Francia, un organismo speciale è stato creato dal governo; in Gran Bretagna - in modo abbastanza appropriato – è toccato all'Imperial War Museum), la risposta sembra abbastanza chiara: acquistano una delle più costose cortine di fumo ideologiche della storia. In Gran Bretagna, l'Imperial War Museum si dà per compito di raccogliere le storie degli individui che hanno vissuto la guerra per trasformarle in podcast[5]. Il sito web del Centenary Project (1914.org) ci propone avvenimenti di un'importanza tanto cruciale quanto l'esibizione del revolver utilizzato durante la Guerra da JRR Tolkien (senza scherzo - si suppone che lo scopo sia di cavalcare la cresta dell'onda sul successo dei film "Il Signore degli Anelli" tratto dai libri di cui Tolkien è stato l'autore); la commemorazione di un drammaturgo del Surrey, la colletta per il Museo dei Trasporti di Londra della ''storia degli autobus durante la Grande Guerra” (no, ma veramente!); a Nottingham "un grande programma di avvenimenti e di attività (...) metterà in luce come il conflitto catalizzò degli immensi cambiamenti sociali ed economici nelle comunità del Nottinghamshire". La BBC ha prodotto un "documentario innovativo": "La Prima Guerra mondiale vista dall'alto" con foto e film eseguiti a partire dai palloni sonda dell'artiglieria. Si renderà omaggio ai pacifisti per le commemorazioni sugli obiettori di coscienza. Insomma, saremo annegati in un oceano di futilità. Secondo il Direttore Generale dell'Imperial War Museum, la "nostra ambizione è che molte più persone comprenderanno che voi non potete comprendere il mondo di oggi senza comprendere le cause, il corso, e le conseguenze della Prima Guerra mondiale"[6] e noi siamo d'accordo al 100% con questo. Ma in realtà, tutto è fatto - compreso da parte dell'onorabile Direttore Generale - per impedirci di comprendere le sue vere cause e le sue reali conseguenze.
In Francia, il sito del centenario mostra il Rapporto ufficiale del Presidente della Repubblica per commemorare la Grande Guerra, datato settembre 2011[7] , e che comincia con queste parole del discorso del Generale de Gaulle all'epoca del cinquantenario della guerra nel 1964: "Il 2 agosto 1914, giorno della mobilitazione, tutto il popolo francese si levò all’unisono in piedi. E ciò non era mai accaduto in precedenza. Tutte le regioni, tutte le località, tutte le categorie, tutte le famiglie, tutte le anime, si trovarono subito in accordo. In un istante, si cancellarono le molteplici liti, politiche, sociali, religiose che tenevano il paese diviso. Da un estremo all'altro del suolo nazionale, le parole, i canti, le lacrime e, soprattutto, i silenzi non espressero che una sola risoluzione". Nello stesso rapporto leggiamo che "Se susciterà lo spavento dei contemporanei di fronte alla morte di massa ed agli immensi sacrifici consentiti, il Centenario darà anche un brivido alla società francese, ricordando l'unità e la coesione nazionale mostrata dai francesi nella prova della Prima Guerra mondiale." E' poco probabile dunque che la borghesia francese ci parlerà della brutale repressione poliziesca delle manifestazioni operaie contro la guerra del luglio 1914, né del notorio Carnet B (l'elenco del governo dei militanti anti-militaristi socialisti e sindacalisti da arrestare ed internare o mandare al fronte fin dallo scoppio della guerra - i britannici intanto facevano la stessa cosa), ed ancora meno delle circostanze dell'assassinio del dirigente socialista anti-guerra Jean Jaurès alla vigilia del conflitto, o degli ammutinamenti nelle trincee[8]...
Come sempre, i propagandisti possono contare sul sostegno di dotti Signori universitari per fornirsi di materiale per i loro documentari ed interviste. Prenderemo qui un solo esempio che ci sembra emblematico: The Sleepwalkers, dello storico Christopher Clark dell'università di Cambridge, pubblicato nel 2012 e poi nel 2013 in versione tascabile, e già tradotto in francese (Les Somnambules) (I SonnambuIi) ed in tedesco (Die Schlafwandler)[9]. Clark è un empirista senza complessi, la sua introduzione annuncia chiaramente la sua intenzione: "Questo libro (…) tratta meno del perché la guerra abbia avuto luogo che di come è arrivata. Le domande del perché e del come sono inseparabili nella logica, ma ci conducono in direzioni differenti. La questione del come ci invita a guardare attentamente le sequenze di interazioni che hanno prodotto certi risultati. La questione del perché, invece, ci invita a partire dalla ricerca di cause lontane e categoriche: l'imperialismo, il nazionalismo, gli armamenti, le alleanze, la finanza, le idee di onore nazionale, i meccanismi della mobilitazione"[10]. Ciò che manca nell'elenco di Clark è, evidentemente, il capitalismo. Non è che a generare le guerre sia proprio il capitalismo? E che la guerra più che "la politica attraverso altri mezzi", per riprendere la nota espressione di von Clausewitz, non sia piuttosto l'espressione estrema della concorrenza inerente al modo di produzione capitalista? Ma certo che no, neanche per sogno! Clark, dunque, si impegna a consegnarci "i fatti" sulla strada della guerra, ciò che fa con immensa erudizione e nel minimo dettaglio, fino al colore delle piume di struzzo sul casco di Franz-Ferdinando il giorno del suo assassinio (erano verdi). Se qualcuno, quel giorno, si fosse preso la briga di annotare il colore delle mutandine del suo assassino, Gavrilo Princip, ci sarebbe anche questo nel libro.
La lunghezza del libro, la sua padronanza del dettaglio, rende un'omissione tanto più importante. Malgrado il fatto che dedica intere sezioni alla questione della "opinione pubblica", Clark non ha assolutamente niente da dire a proposito della sola parte della "opinione pubblica" veramente importante: la posizione adottata dalla classe operaia organizzata. Clark cita a lungo giornali come il Manchester Guardian, il Daily Mail, o Le Matin, e molti altri caduti da tempo in un oblio ben meritato, ma non cita neanche una sola volta né il Vorwärts, né L'Humanité (i giornali rispettivamente dei partiti socialisti tedesco e francese), né Vie Ouvrière, l'organo semi-ufficiale della CGT francese[11], né La Bataille Syndicaliste. Non erano pubblicazioni minori! Il Vorwärts non era che uno tra i 91 quotidiani del SPD con una diffusione totale di 1,5 milione di esemplari (a titolo di paragone, il Daily Mail rivendicava una diffusione di 900.000 copie)[12], e lo stesso SPD era il più grande dei partiti politici tedeschi. Clark menziona il congresso di Iena del 1905 dove il SPD si rifiutò di chiamare allo sciopero generale in caso di guerra, ma non c'è una parola sulle risoluzioni contro la guerra adottate ai congressi dell'Internazionale Socialista a Stoccarda (1907) ed a Basilea (1912). Il solo dirigente del SPD a meritare di trovarsi nel libro è Alberto Südekum, un personaggio relativamente minore alla destra del SPD il cui ruolo di comparsa rassicurò il cancelliere tedesco Bethmann-Hollweg il 28 luglio, sottolineando che il SPD non si sarebbe opposto ad una guerra "difensiva".
Sulla lotta tra sinistra e destra nel movimento socialista e più largamente operaio, è il silenzio. A proposito della battaglia politica di Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Anton Pannekoek, Herman Gorter, Domela Nieuwenhuis, John MacLean, Vladimir Ilyich Lenin, Pierre Monatte, e tanti altri, è ancora il silenzio. A proposito dell'assassinio di Jean Jaurès, sempre silenzio, nient’altro che silenzio...
Evidentemente, i proletari non possono contare sulla storiografia borghese per comprendere veramente le cause della Grande Guerra. Rivolgiamoci quindi piuttosto verso due militanti notevoli della classe operaia: Rosa Luxemburg, sicuramente la più grande teorica della Socialdemocrazia tedesca, ed Alfred Rosmer, un fedele militante della CGT francese dell’anteguerra. In particolare, ci soffermeremo su La Crisi nella Socialdemocrazia di Rosa Luxemburg (meglio conosciuta con il nome di Brochure di Junius[13]) ed Il movimento operaio durante la Prima Guerra mondiale[14]. Le due opere sono molto differenti: l'opuscolo della Luxemburg fu scritto in prigione nel 1916 (non beneficiò di alcuno accesso privilegiato alle biblioteche ed archivi governativi, ma la potenza e la chiarezza della sua analisi sono estremamente sorprendenti); il primo capitolo[15] dell'opera di Rosmer, dove tratta del periodo che condusse alla guerra, fu pubblicato nel 1936 ed è al tempo stesso il frutto della sua devozione scrupolosa alla verità storica e della sua difesa appassionata dei principi internazionalisti.
Potrebbero chiederci se tutto ciò ha veramente importanza. Da ben molto tempo il mondo è cambiato, che cosa possiamo veramente apprendere da questi scritti di un'altra epoca?
Risponderemmo che comprendere la Prima Guerra mondiale è primordiale per tre ragioni.
Innanzitutto, perché la Prima Guerra ha aperto una nuova epoca: viviamo ancora in un mondo formato dalle conseguenze di questa guerra.
Poi, perché le reali cause della guerra sono sempre presenti ed operative: c'è un parallelo, se vogliamo dirla fino in fondo, tra l'ascesa della nuova potenza tedesca prima del 1914 e l'ascesa della Cina oggi.
Infine - ed è forse l’aspetto più importante perché è questo che i propagandisti governativi e gli storici agli ordini della borghesia vogliono soprattutto nasconderci - non c'è che una sola forza capace di mettere fine alla guerra imperialista: la classe operaia mondiale. Come dice Rosmer: "i governi sanno bene che non possono lanciarsi nella pericolosa avventura che è la guerra - e soprattutto questa guerra - che a condizione di avere dietro di loro la quasi unanimità dell'opinione pubblica e, in particolare, della classe operaia; per ciò, bisogna ingannarla, abbindolarla, smarrirla, eccitarla"[16]. Luxemburg cita la frase di von Bülow, che diceva che era essenzialmente per timore della socialdemocrazia che ci si sforzava per quanto possibile di differire ogni guerra; cita anche il Vom Heutigen Krieg del Generale Bernhardi: "Se grandi masse scappano al controllo dell'alto comando, se sono prese dal panico, se l'intendenza fallisce su grande scala, se lo spirito di insubordinazione si impossessa delle truppe, in questo caso, tali masse non solo non sono più capaci di resistere al nemico, ma diventano un pericolo per loro stesse e per il comando dell'esercito; fanno saltare i legami della disciplina, turbano arbitrariamente il corso delle operazioni e pongono così l'alto comando davanti a dei compiti che non è in grado di compiere". E Luxemburg continua: "Politici borghesi ed esperti militari consideravano dunque la guerra moderna condotta con gli eserciti di massa come un 'gioco rischioso', ed era là la ragione essenziale che poteva fare esitare i padroni attuali dal poter scatenare la guerra e portarli a fare tutto affinché si concludesse velocemente nel caso esplodesse. L'atteggiamento della socialdemocrazia durante la guerra attuale ha dissipato le loro inquietudini, ha abbattuto le sole dighe che si opponevano al torrente scatenato del militarismo (...) E così, queste migliaia di vittime che cadono da mesi coprendo con i loro corpi i campi di battaglia, li abbiamo sulla coscienza"[17].
Lo scoppio di una guerra imperialista mondiale e generalizzata (non parliamo qui dei conflitti localizzati, e nemmeno di alcuni maggiori come le guerre di Corea o del Vietnam) è determinato da due forze che si affrontano: la spinta verso la guerra, verso una nuova divisione del mondo tra le grandi potenze imperialiste, e la lotta per la difesa della propria esistenza delle masse lavoratrici che devono fornire al tempo stesso carne da cannone e l'esercito industriale, senza di cui la guerra moderna è impossibile. La Crisi nella Socialdemocrazia, e soprattutto nella sua frazione più potente, la socialdemocrazia tedesca - una crisi che è passata sistematicamente sotto silenzio dagli storici universitari agli ordini della borghesia - è dunque il fattore critico che ha reso la guerra possibile nel 1914.
Vi ritorneremo con maggiori dettagli in un prossimo articolo, ma qui ci proponiamo di riprendere l'analisi della Luxemburg sulle rivalità ed alleanze che hanno spinto inesorabilmente le grandi potenze verso il bagno di sangue del 1914.
"Due linee di forza della più recente evoluzione storica conducono dritto alla guerra attuale. Una prende origine dal periodo della costituzione degli "Stati nazionali", degli Stati capitalisti moderni; essa ha per punto di partenza la guerra di Bismarck contro la Francia. La guerra del 1870 che, a seguito dell'annessione dell'Alsazia-Lorena, aveva gettato la Repubblica francese nelle braccia della Russia, provocato la scissione dell'Europa in due campi nemici ed inaugurato l'era della pazza corsa agli armamenti, ha attizzato il primo braciere mondiale attuale (…) Così, la guerra del 1870 ha avuto come conseguenze: in politica estera, di portare il raggruppamento politico dell'Europa intorno all'asse formato dalla contrapposizione franco-tedesca; e nella vita dei popoli europei, di assicurare il dominio formale del militarismo. Tuttavia, questo dominio e questo raggruppamento hanno dato poi all'evoluzione storica un tutt’altro contenuto.
La seconda linea di forza che sfocia sulla guerra attuale e conferma clamorosamente la predizione di Marx[18] deriva da un fenomeno a carattere internazionale che Marx non ha potuto conoscere: lo sviluppo imperialistico di questi ultimi venticinque anni"[19].
Gli ultimi trent’anni del diciannovesimo secolo hanno visto dunque un'espansione veloce del capitalismo attraverso il mondo, ma anche la nascita di un capitalismo nuovo, dinamico, in espansione e pieno di fiducia, nel cuore stesso dell'Europa: l'impero tedesco, dichiarato nel palazzo di Versailles nel 1871 dopo la disfatta francese all'epoca della guerra franco-prussiana, con cui la Prussia è entrata come una potenza maggiore tra una molteplicità di principati e di piccoli Stati tedeschi, distinguendosi come componente dominante di una Germania nuova ed unificata.
"(…) si poteva prevedere", continua Luxemburg, "dal momento che questo giovane imperialismo, pieno di forza, che non era disturbato da nessun tipo di ostacolo, e che fece la sua apparizione sulla scena mondiale con degli appetiti mostruosi, mentre il mondo era già per così dire ripartito, sarebbe diventato molto rapidamente il fattore imprevedibile dell'agitazione generale"[20].
Per certe bizzarrie della storia che ci permettono di prendere una sola data come simbolo di una modificazione della dinamica della storia, l'anno 1898 fu testimone di tre avvenimenti che segnarono un tale cambiamento.
Il primo fu "l'incidente di Fascioda", uno scontro tra le truppe francesi e britanniche per il controllo del Sudan. All'epoca, sembrava esserci un vero pericolo di guerra tra questi due paesi per il controllo dell'Egitto e del canale di Suez, così come per il dominio dell'Africa. Alla fine, l'incidente si concluse con un miglioramento dei rapporti franco-britannici, formalizzati nel 1904 con "l'intesa Cordiale", una tendenza contrassegnata da una Gran Bretagna sempre più impegnata a sostenere la Francia contro una Germania che entrambe vedevano come una minaccia. Le due "Crisi marocchine" del 1905 e 1911[21] mostrarono che d'ora in poi la Gran Bretagna si sarebbe opposta alle ambizioni tedesche in Africa settentrionale, tuttavia, essa era pronta a lasciare alcune briciole alla Germania: i possedimenti coloniali del Portogallo.
Il secondo avvenimento fu la presa da parte della Germania del porto cinese di Tsingtao, oggi Qingdao[22], e ciò annunciava l'arrivo della Germania sulla scena imperialista in quanto potenza dalle aspirazioni mondiali e non più solamente europee - una Weltpolitik, come all'epoca si diceva in Germania.
È dunque opportunamente che l'anno 1898 veda anche la morte di Ottone di Bismarck, il grande cancelliere che aveva guidato la Germania attraverso la sua unificazione e la sua industrializzazione veloce. Bismarck si era sempre opposto al colonialismo ed alla costruzione navale, perchè la sua principale preoccupazione sul piano della politica estera era di impedire la nascita di un'alleanza anti-germanica tra le altre potenze gelose - o inquiete - di fronte all'ascesa della Germania. Ma alla svolta del secolo, la Germania era diventata una potenza industriale di prim'ordine, superata solo dagli Stati Uniti, con le ambizioni mondiali che ne conseguivano. Luxemburg cita il ministro degli Affari Esteri di allora, von Bülow, in un discorso dell'11 dicembre 1899: "Se gli inglesi parlano di una Gran Bretagna, se i francesi parlano di una Nuova Francia, se i Russi guardano verso l'Asia, da parte nostra abbiamo la pretesa di creare una Grösseres Deutschland (Grande Germania).... Se noi non costruiremo una flotta capace di difendere il nostro commercio, i nostri compatrioti all'estero, le nostre missioni e la sicurezza delle nostre coste, metteremo in pericolo i più vitali interessi del paese. Nei secoli a venire, il popolo tedesco sarà il martello o l'incudine". E la Luxemburg osserva: "Se si eliminano i fiori della retorica della difesa delle coste, delle missioni e del commercio, resta questo programma lapidario: per una più Grande Germania, una politica del martello a riguardo degli altri popoli"[23].
All'inizio del ventesimo secolo, darsi una Weltpolitik esigeva una marina all'altezza delle sue ambizioni. Luxemburg mostra con molta chiarezza che la Germania non aveva alcun bisogno economico impellente di una marina: nessuno sarebbe andato a strapparle i suoi possedimenti in Africa o in Cina. La marina era soprattutto una questione di "reputazione": per potere continuare la sua espansione la Germania doveva essere vista come una potenza importante, una potenza con la quale bisognava fare i conti, e per ciò una "flotta offensiva di prima qualità" ne era la premessa. Nelle parole indimenticabili della Luxemburg, quest'ultima era "una provocazione che aveva per bersaglio non solo la classe operaia tedesca, ma anche tutti gli altri Stati capitalisti, un pugno brandito non verso uno Stato in particolare, ma verso tutti gli Stati".
Il parallelo tra l'ascesa della Germania alla svolta tra 19° e 20° sec., e quello della Cina cent’anni più tardi, è evidente. Come quella di Bismarck, la politica estera di Deng Xiaoping si è sforzata di non inquietare né i vicini della Cina, né la potenza egemonica mondiale, gli Stati Uniti. Ma con la sua ascesa allo statuto di seconda potenza economica mondiale, la "reputazione" della Cina esige che essa possa, almeno, controllare le sue frontiere e proteggere le sue vie marittime: da qui il suo programma di costruzione navale, con sottomarini e una portaerei, e con la sua recente dichiarazione dell’individuazione di una zona di difesa aerea (ADIZ) che arriva a coprire le isole Senkaku/Diaoyu.
Questo parallelo non è, certamente, un'identità, per due ragioni in particolare: innanzitutto, la Germania dell'inizio del ventesimo secolo era non solo la seconda potenza industriale dopo gli Stati Uniti, ma stava anche all'avanguardia del progresso tecnico e dell'innovazione (come si può giudicare, per esempio, dal numero di premi Nobel tedeschi e dall'innovazione tedesca nelle industrie siderurgiche, elettriche e chimiche); secondo, la Germania aveva la capacità di trasportare la sua forza militare ovunque nel mondo.
Proprio come gli Stati Uniti oggi che si devono opporre alla minaccia cinese alla sicurezza dei suoi alleati (il Giappone, la Corea del Sud e le Filippine in particolare), la Gran Bretagna all’epoca non poteva che vedere una minaccia l'ascesa della marina militare tedesca, e, peggio ancora, una minaccia esistenziale contro l'arteria marittima vitale della Manica e le sue difese costiere[24].
Tuttavia, qualunque fossero le sue ambizioni navali, la direzione naturale per l'espansione di una potenza terrestre come la Germania era verso l'Est, più specificamente verso l'impero ottomano in decomposizione; ciò era tanto più vero in quanto le sue ambizioni in Africa e nel Mediterraneo occidentale erano ostacolate dai francesi e dai britannici. Il denaro ed il militarismo andavano mano nella mano, ed il capitale tedesco era affluito in Turchia[25], agendo di gomito coi suoi concorrenti britannici e francesi. Una grande parte di questo capitale era destinata al finanziamento della linea ferroviaria Berlino-Bagdad: in realtà, si trattava di una rete di strade ferrate che doveva collegare Berlino a Costantinopoli, poi al sud dell'Anatolia, la Siria, e Bagdad, ma anche la Palestina, l’Hedjaz e La Mecca. In un'epoca in cui il movimento delle truppe dipendeva dalle ferrovie, ciò avrebbe dato la possibilità all'esercito turco, equipaggiato di armi tedesche e guidato dai militari tedeschi, di inviare truppe che avrebbero minacciato sia la raffineria britannica di Abadan (in Persia, oggi Iran)[26], sia il controllo britannico dell'Egitto, del canale di Suez: ecco ancora una minaccia tedesca diretta verso gli interessi strategici della Gran Bretagna. Per buona parte del diciannovesimo secolo, l'espansione russa in Asia Centrale che rappresentava una minaccia sulle frontiere persiane e sull'India, è stata il principale pericolo per la sicurezza dell'Impero britannico; la sconfitta della Russia da parte del Giappone nel 1905 aveva raffreddato i suoi ardori orientali al punto che nel 1907 una convenzione anglo-russa poteva - almeno provvisoriamente - risolvere le dispute tra i due paesi in Afghanistan, in Persia, e nel Tibet. Adesso il rivale da affrontare era la Germania.
Inevitabilmente, la politica orientale della Germania le conferiva un interesse strategico nei Balcani, il Bosforo ed i Dardanelli. Il fatto che la strada ferrata tra Berlino e Costantinopoli doveva passare da Vienna e Belgrado faceva si che il controllo, o almeno la neutralità della Serbia, diventava di colpo di grande importanza strategica per la Germania. Ciò a sua volta la metteva in conflitto con un paese che - dal tempo di Bismarck - era stato il bastione della reazione e della solidarietà autocratica, dunque l'alleato principale della Prussia e della Germania imperiale: la Russia.
Dal regno della Grande Caterina, la Russia si era stabilita, negli anni 1770, come potenza dominante del Mare Nero, estromettendo gli ottomani. Il commercio sempre più importante dell'industria e dell'agricoltura russe dipendeva dalla libertà di navigazione nel distretto del Bosforo. L'ambizione russa mirava ai Dardanelli ed al controllo del traffico marittimo tra il Mar Nero ed il Mediterraneo (le mire russe sui Dardanelli l'avevano già condotta alla guerra con la Gran Bretagna e la Francia in Crimea nel 1853). Luxemburg riassume così la dinamica in seno alla società russa che stimolava la sua politica imperialistica: "Nelle tendenze conquistatrici del regime zarista si esprime, da una parte, l'espansione tradizionale di un potente Impero la cui popolazione comprende oggi 170 milioni di esseri umani e che, per ragioni economiche e strategiche, cerca di ottenere il libero accesso ai mari, Oceano Pacifico ad Est, Mediterraneo a sud, e, dall'altra, questo bisogno vitale dell'assolutismo: la necessità sul piano della politica mondiale di conservare un atteggiamento che impone il rispetto nella competizione generale dei grandi Stati, per ottenere dal capitalismo straniero il credito finanziario senza il quale lo zarismo non potrebbe vivere (...) Tuttavia, gli interessi borghesi moderni vengono sempre più considerati come fattore dell'imperialismo nell'Impero degli zar. Il giovane capitalismo russo che non può raggiungere naturalmente uno sbocco completo sotto il regime assolutista e che, in linea di massima, non può abbandonare lo stadio del sistema primitivo di rapina, vede aprirsi tuttavia davanti a sé un avvenire prodigioso nelle risorse naturali immense di questo Impero gigantesco (…) proprio perché pressata da questo avvenire e, per così dire in anticipo, affamata di accumulazione, che la borghesia russa è divorata da una febbre imperialistica violenta, e che manifesta con ardore le sue pretese nella divisione del mondo"[27]. La rivalità tra la Germania e la Russia per il controllo del Bosforo trovò dunque ineluttabilmente il suo punto nevralgico nei Balcani, dove la montata dell'ideologia nazionalista, caratteristica di un capitalismo in via di sviluppo, creava una situazione di tensione permanente e di guerra intermittente tra i tre Stati prodotti dalla decomposizione dell'impero ottomano: la Grecia, la Bulgaria e la Serbia. Questi tre paesi si allearono contro gli ottomani nella Prima Guerra dei Balcani, si batterono poi tra loro per la ripartizione del bottino - in particolare in Albania ed in Macedonia - all'epoca della Seconda Guerra dei Balcani[28].
L'ascesa di questi nuovi Stati nazionali aggressivi nei Balcani non poteva lasciare indifferente l'altro impero declinante della regione: l'Austria-Ungheria. Per la Luxemburg "la monarchia asburgica non è un'organizzazione politica di Stato borghese, ma solamente un trust che unisce attraverso legami abbastanza deboli alcune consorterie di parassiti sociali che vogliono riempirsi le tasche sfruttando al massimo le risorse del potere finché la monarchia si tiene ancora in vita", e l'Austria-Ungheria si trovava costantemente sotto la minaccia delle nuove nazioni che la stringevano e che tutte erano composte dalle stesse etnie di certe parti dell'impero: da qui l'annessione da parte dell'Austria-Ungheria della Bosnia-Erzegovina, per impedire alla Serbia di aprirsi un accesso al Mediterraneo.
Nel 1914, la situazione in Europa somigliava ad un cubo di Rubik mortale, i suoi differenti pezzi erano così strettamente interconnessi tra loro che lo spostamento di uno implicava necessariamente lo spostamento di tutti.
Ciò vuole dire che le classi dominanti, i governi, non sapevano ciò che facevano? Che I Sonnambuli, secondo il titolo del libro di Christopher Clark, siano, in qualche modo, entrati in guerra per caso? Che la Prima Guerra Mondiale non sia stata altro che un terribile errore?
Per niente. Certamente, le forze storiche descritte dalla Luxemburg, in quella che è probabilmente la più profonda analisi mai scritta sull'entrata in guerra, tenevano attanagliata la società: in questo senso, la guerra era il risultato delle rivalità interimperialistiche. Ma le situazioni storiche chiamano al potere degli uomini ben assortiti tra loro ed i governi che condussero l'Europa ed il mondo alla guerra sapevano molto bene ciò che facevano, l'hanno fatto deliberatamente. Gli anni della svolta del secolo fino allo scoppio della guerra erano segnati da allertamenti a ripetizione, ciascuno più grave del precedente: la crisi di Tangeri nel 1905, l'incidente di Agadir nel 1911, la Prima e la Seconda Guerra dei Balcani. Ciascuno di questi incidenti spingeva più in avanti la frazione pro-guerra di ogni borghesia, attizzava il sentimento che la guerra era, ad ogni modo, inevitabile. Il risultato fu una corsa dissennata agli armamenti: la Germania lanciò il suo programma di costruzione navale e la Gran Bretagna la seguì; la Francia aumentò la durata del servizio militare a tre anni; enormi prestiti francesi finanziarono l'ammodernamento delle ferrovie russe concepite per trasportare le truppe verso la sua frontiera occidentale, così come l'ammodernamento del piccolo ma efficace esercito serbo. Tutte le potenze continentali irreggimentarono sempre più uomini sotto le bandiere nazionali.
Sempre più convinti che la guerra fosse inevitabile, la domanda per i governi europei diventava semplicemente "quando"?. Quando i preparativi di ciascuno avrebbero raggiunto il loro massimo possibile rispetto a quelli dei loro rivali? Perché questo sarebbe stato il "momento buono" per la guerra.
Se Luxemburg vedeva nella Germania il nuovo "fattore imprevedibile" della situazione europea, ciò vuol dire che le potenze della Tripla Intesa (la Gran Bretagna, la Francia e la Russia) non erano che vittime innocenti dell'aggressione espansionista tedesca? È la tesi di certi storici revisionisti oggi: non solo che la lotta contro l'espansionismo tedesco era giustificata nel 1914, ma che in fondo, 1914 erano solamente il precursore della "buona guerra" del 1939. Ciò è senza dubbio vero, ma i paesi della Triplice Intesa erano tutto, tranne che vittime innocenti. E l'idea che la Germania fosse la sola ad essere "espansionista" è risibile se paragoniamo la grandezza in estensione dell'Impero britannico - il frutto dell'aggressione espansionista britannica - con quello della Germania: bizzarramente, ciò non sembra mai preso in considerazione dagli addomesticati storici inglesi[29].
In realtà, la Triplice Intesa stava preparando da anni una politica di accerchiamento della Germania (proprio come durante la Guerra Fredda gli Stati Uniti hanno sviluppato una politica di accerchiamento dell'URSS, e come oggi stanno provando a fare con la Cina). Rosmer mostra ciò con una limpidezza inesorabile, sulla base delle corrispondenze segrete tra gli ambasciatori belgi delle differenti capitali europee[30].
Nel maggio 1907, l'ambasciatore a Londra scriveva: "È evidente che l'Inghilterra ufficialmente persegue una politica sordamente ostile che tende a finire con l'isolamento della Germania, e che il re Eduardo non ha esitato ad influenzare personalmente una tale idea"[31]. Nel febbraio 1909, apprendiamo dall'ambasciatore a Berlino: "Il re d'Inghilterra afferma che la conservazione della pace è sempre stata lo scopo dei suoi sforzi; ed è questo che lui non ha smesso di ripetere dall'inizio della campagna diplomatica per raggiungere infine lo scopo di isolare la Germania; ma non possiamo fare a meno di ammettere che mai prima la pace del mondo sia stata più compromessa da quando il re dell'Inghilterra si è impegnato per consolidarla"[32]. Ad aprile 1913, di nuovo da Berlino leggiamo: "L'arroganza ed il disprezzo con cui questi ultimi [i serbi] accolgono le proteste del gabinetto di Vienna si spiegano solo per l'appoggio che essi credono di ricevere da San Pietroburgo. L’incaricato d’ affari della Serbia recentemente diceva che il suo governo non sarebbe durato oltre i sei mesi, senza tenere conto delle minacce austriache, se non fosse stato incoraggiato dal ministro della Russia, il Signore Hartwig... "[33]. In Francia, (gennaio 1914) per l'ambasciatore belga a Parigi era perfettamente chiaro lo sviluppo cosciente di una politica aggressiva e sciovinista: "Ho avuto già l' onore di dirvi che sono i Sigg. Poincaré, Delcassé, Millerand ed i loro amici che hanno inventato e perseguito la politica nazionalista, di bandiera e sciovinista di cui abbiamo constatato la rinascita (…) in questo vedo il più grande pericolo che minaccia oggi la pace dell'Europa (…) perché l'atteggiamento che ha preso il gabinetto Barthou è, secondo me, la causa determinante di un sovrappiù di tendenze militariste in Germania"[34].
La reintroduzione in Francia di un servizio militare di tre anni non era una politica di difesa, ma un preparativo deliberato alla guerra. Ecco di nuovo l'ambasciatore a Parigi (giugno 1913): "I carichi della nuova legge saranno talmente pesanti per la popolazione, le spese che essa implicherà saranno talmente esorbitanti, che il paese subito protesterà e la Francia si troverà davanti a questo dilemma: una marcia indietro che non potrà permettersi, o la guerra a breve scadenza"[35].
Due fattori entrarono in gioco nei calcoli degli uomini di Stato e dei politici negli anni che condussero alla guerra: il primo, la valutazione dei loro preparativi militari e di quelli dei loro avversari, il secondo - altrettanto importante, anche nella Russia zarista ed autocratica - era la necessità di apparire davanti al mondo e davanti alle loro popolazioni, soprattutto gli operai, come la parte offesa, che agiva unicamente per difendersi. Tutte le potenze volevano entrare in una guerra che qualcun altro aveva provocato: "Il gioco consiste nel portare l'avversario a compiere un atto che si potrà sfruttare contro di lui o a mettere a profitto una decisione già presa"[36].
L'assassinio di Franz-Ferdinando, la scintilla che mise fuoco alle polveri, non fu opera di un individuo isolato: Gavrilo Princip tirò il colpo di pistola mortale, ma lui non era che un membro di un gruppo di assassini organizzati ed armati da circoli sostenuti dai gruppi serbi ultra-nazionalisti "La Mano Nera" e Narodna Odbrana ("La Difesa nazionale"), che formava quasi uno Stato nello Stato e le cui attività erano certamente conosciute dal governo serbo ed in particolare dal suo primo ministro, Nicolas Pasic. La Serbia intratteneva rapporti stretti con la Russia e non avrebbe mai effettuato una tale provocazione se non fosse stata assicurata del sostegno russo contro una reazione austro-ungarica.
Per il governo austro-ungarico, era troppo allettante l'opportunità di richiamare la Serbia all’ordine[37]. L'inchiesta poliziesca non fece che puntare il dito sulla Serbia e gli austriaci contavano sullo shock provocato tra le classi dirigenti europee per ottenerne il sostegno, o almeno la neutralità, quando essi avrebbero attaccato la Serbia. E difatti, l'Austria-Ungheria non aveva altra scelta che attaccare o umiliare la Serbia: fare di meno avrebbe portato un colpo devastante alla sua "reputazione" e alla sua influenza nella critica regione dei Balcani, lasciandola completamente alla mercé del suo rivale russo.
Per il governo francese, una "guerra dei Balcani" era lo scenario ideale per lanciare un attacco contro la Germania: se la Germania fosse stata spinta in una guerra per difendere l'Austria-Ungheria, e la Russia per accorrere in difesa dei serbi, la mobilitazione francese sarebbe stata ritenuta una misura di difesa preventiva contro il pericolo di un attacco tedesco. Inoltre, sarebbe stato poco probabile che l'Italia, in principio un alleato della Germania ma con propri interessi nei Balcani, potesse entrare in guerra per difendere la posizione dell'Austria-Ungheria in Bosnia-Erzegovina.
Data una tale alleanza con cui avrebbe dovuto scontrarsi, la Germania si trovò in posizione di debolezza, con come solo alleato l'Austria-Ungheria, un "mucchio di decomposizione organizzata" per riprendere l'espressione della Luxemburg. I preparativi militari in Francia ed in Russia, lo sviluppo della loro Intesa con la Gran Bretagna, portarono gli strateghi tedeschi alla conclusione che sarebbe stato meglio battersi subito, prima che i loro avversari terminassero la loro piena preparazione, Da qui la seguente osservazione nel 1914: "Se il conflitto [tra la Serbia e l'Austria-Ungheria] si estende (...,) è necessario assolutamente che sia la Russia a portane la responsabilità"[38].
La Germania gliene fornisce uno, eccellente, lanciando i suoi eserciti attraverso il Belgio". Rosmer cita a tale riguardo la Tragedy di Lord Kitchener del Viscount Esher: "L'episodio belga fu un colpo di fortuna che venne appunto a dare alla nostra entrata in guerra il pretesto morale necessario per preservare l'unità della nazione, e quella del governo"[39]. In realtà, erano anni che i piani britannici per un attacco contro la Germania, preparati da lunga data in collaborazione con i militari francesi, prevedevano la violazione della neutralità belga...
Tutti i governi dei paesi belligeranti dovevano ingannare la loro "opinione pubblica" facendole credere che una guerra che essi preparavano e che cercavano da anni era stata loro imposta. L'elemento critico di questa "opinione pubblica" era la classe operaia organizzata, coi suoi sindacati ed i suoi partiti socialisti che dichiaravano da anni chiaramente la loro opposizione alla guerra. Il fattore principale che avrebbe aperto la strada alla guerra era dunque il tradimento della socialdemocrazia ed il suo pieno sostegno a quella che la classe dominante chiamò in modo menzognero una "guerra difensiva".
Le cause reali di questo tradimento mostruoso del più elementare dovere internazionalista della socialdemocrazia saranno oggetto di un prossimo articolo. Qui basta dire che l’attuale pretesa della borghesia francese che "in un istante, si cancellarono le molteplici liti, politiche, sociali, religiose che tenevano il paese diviso" è una sfrontata menzogna. Al contrario, la storia dei giorni precedendo lo scoppio della guerra raccontata da Rosmer è quella di manifestazioni costanti contro la guerra, brutalmente represse dalla polizia. Il 27 luglio, la CGT chiamò ad una manifestazione, e "dalle 9 a mezzanotte (…), una folla enorme ha invaso continuamente i viali. Ingenti forze di polizia sono state mobilitate (…) Ma gli operai che scendono dai sobborghi sul centro sono così numerosi che la tattica poliziesca [di dividere i manifestanti in piccoli gruppi] finisce con un risultato imprevisto: velocemente si producono in tutte le strade altrettante manifestazioni. Le violenze e le brutalità poliziesche non possono avere ragione della combattività di questa folla; per tutta la sera, il grido di 'Abbasso la guerra!' risuonerà dall'Opera fino a Piazza della Repubblica"[40]. Le manifestazioni continuarono il giorno seguente, estendendosi alle principali città delle province.
La borghesia francese aveva ancora un altro problema: l'atteggiamento del dirigente socialista Jean Jaurès. Jaurès era un riformista, in un momento storico in cui il riformismo si trovava incastrato tra la borghesia ed il proletariato, ma era legato profondamente alla difesa della classe operaia (per tale motivo la sua influenza tra gli operai era molto grande) ed appassionatamente si opponeva alla guerra. Il 25 luglio, quando la stampa riportò il rigetto da parte della Serbia dell'ultimatum austroungarico, Jaurès doveva parlare ad una riunione elettorale a Vaise, vicino Lione: il suo discorso fu centrato non sull'elezione ma sullo spaventoso pericolo di guerra. "Mai, da quarant'anni l'Europa è stata in una situazione più minacciosa e tragica (…) contro di noi, contro la pace, contro la vita degli uomini, al momento, abbiamo terribili probabilità e contro le quali occorrerà che i proletari dell'Europa tentino i massimi sforzi di solidarietà possibile"[41].
Inizialmente, Jaurès ha creduto alle assicurazioni fraudolente del governo francese secondo cui quest'ultimo operava per la pace, ma il 31 luglio, aveva perso le sue illusioni ed al Parlamento chiamò di nuovo gli operai a fare tutto il possibile per opporsi alla guerra. Rosmer racconta: "corre voce che l'articolo che si apprestava a scrivere per il numero di sabato de L'umanité sarà un nuovo 'Atto d’accusa!'[42] denunciando gli intrighi e le menzogne che hanno messo il mondo sulla soglia della guerra. In serata (…) è a capo di una delegazione del gruppo socialista al Quai d'Orsay [Il Ministero degli Affari Esteri] e lì Viviani non c’è. È il sottosegretario di Stato a ricevere la delegazione. Dopo avere ascoltato Jaurès, gli chiede cosa contano fare i socialisti di fronte alla situazione: 'Continuare la nostra campagna contro la guerra!', risponde Jaurès. A cui Abel Ferry replica: 'Ciò voi non l’oserete, perché sareste ucciso al prossimo angolo di strada!'[43]. Due ore più tardi, mentre si reca al suo ufficio de L'umanité per scrivere il temuto l'articolo, Jaurès viene abbattuto dall'assassino Raoul Villain; due palle di revolver sparate a bruciapelo gli provocano una morte quasi immediata"[44].
Indubbiamente, la classe borghese francese non lasciò niente al caso, per assicurarsi "l'unità e la coesione nazionale!".
Quando vengono depositate le corone d'alloro e quando i grandi di questo mondo si inchinano davanti al milite ignoto durante le commemorazioni, quando la tromba suona per i morti alla fine delle cerimonie solenni, quando i documentari dilagano sugli schermi televisivi e i dotti storici ci raccontano tutte le cause della guerra - tranne quelle che veramente contano -, tutti i fattori che avrebbero potuto impedirla - tranne quelli che avrebbero potuto pesare veramente sulla bilancia -, i proletari del mondo intero, essi, hanno bisogno di ricordare.
Che si ricordino che la causa della Prima Guerra mondiale non è stata accidentale, ma gli ingranaggi spietati del capitalismo e dell'imperialismo, che la Grande Guerra ha aperto un nuovo periodo della storia, una "epoca di guerre e di rivoluzioni" proprio come diceva l'Internazionale Comunista. Questo periodo è ancora con noi oggi, e le stesse forze che hanno spinto il mondo in guerra nel 1914 oggi sono responsabili degli interminabili massacri in Medio Oriente ed in Africa, alimentando sempre più pericolose tensioni tra la Cina ed i suoi vicini nel Mare della Cina del Sud.
Che si ricordino che la guerra non può essere condotta senza operai, come carne da cannone e carne da fabbrica. Che si ricordino che le classi dominanti devono assicurarsi l'unità per la guerra e che non si fermeranno di fronte a niente per ottenerla, dalla repressione brutale fino all'omicidio.
Che si ricordino che sono gli stessi partiti "socialisti" che oggi si mettono alla testa di ogni campagna pacifista ed umanitaria che hanno tradito la fiducia dei loro avi nel 1914, lasciandoli disorganizzati e senza difesa di fronte alla macchina di guerra capitalista.
Infine, che si ricordino che se la classe dominante ha dovuto fare un tale sforzo per neutralizzare il proletariato nel 1914, è perché solo il proletariato può alzare una barriera efficace di fronte alla guerra. Solo il proletariato mondiale porta in sé la speranza di rovesciare il capitalismo ed il pericolo di guerra, una volta per tutte.
Cento anni fa, l'umanità ha avuto davanti a sé un dilemma la cui soluzione resta tra le mani del solo proletariato: socialismo o barbarie. Ancora oggi questo dilemma è davanti a noi.
Jens
[1] È ironico vedere che il titolo del film è tratto da un libro d'anteguerra scritto dall'economista britannico Norman Angell, che argomentava che la guerra tra le potenze capitaliste avanzate era diventata impossibile perché le loro economie erano troppo strettamente integrate ed interdipendenti - precisamente lo stesso genere di argomentazione che possiamo sentire oggi a proposito della Cina e degli Stati Uniti.
[2] Va da sé dire che, come tutte le opere che abbiamo menzionato qui, Niente di nuovo sul fronte occidentale fu interdetto dai Nazisti dopo il 1933. Fu anche vietato tra il 1930 ed il 1941 dalla censura australiana.
[3] È invece sorprendente che il più celebre dei poeti di guerra patriottica inglese, Rupert Brooke, non abbia mai conosciuto il combattimento poiché è morto di malattia sulla strada verso l'assalto su Gallipoli.
[4] Ciò è stato oggetto di una certa polemica nella stampa tedesca.
[5] Probabilmente progetto in sé molto lodevole, ma che non contribuirà granchè a comprendere le ragioni della Grande Guerra.
[6] https://www.iwm.org.uk/centenary [45]
[7] "Commemorare la Grande Guerra (2014-2020): proposte per un centenario internazionale" da Joseph Zimet della "Direzione della memoria, del patrimonio e degli archivi", https://centenaire.org/sites/default/files/references-files/rapport_jz.pdf [46]
[8] È sorprendente vedere che la grande maggioranza delle esecuzioni per disobbedienza militare nell'esercito francese ha avuto luogo durante i primi mesi della guerra, ciò che suggerisce una mancanza di entusiasmo che doveva essere stroncato sul nascere. (Cf il rapporto al Ministro degli Antichi Combattenti Kader Arif di ottobre 2013):
https://centenaire.org/sites/default/files/references-files/rapport_fusi... [47]
[9] Vale la pena di menzionare qui il fatto che il titolo I Sonnambuli è tratto dalla trilogia dallo stesso nome scritto da Hermann Broch nel 1932. Broch è nato nel 1886 a Vienna, in una famiglia ebraica, ma si è convertito nel 1909 al cattolicesimo. Nel 1938, dopo l'annessione dell'Austria fu fermato dalla Gestapo. Tuttavia, grazie all'aiuto di amici, tra cui James Joyce, Albert Einstein e Thomas Mann, è potuto emigrare negli Stati Uniti dove è vissuto fino al 1951. Die Schlafwandler racconta rispettivamente la storia di tre individui durante gli anni 1888, 1905 e 1918, ed esamina le domande poste dalla decomposizione dei valori e la subordinazione della moralità alle leggi del profitto.
[10] La traduzione dall'inglese è nostra.
[11] Vedere il nostro articolo "L'anarco-sindacalismo di fronte ad un cambiamento di epoca: la CGT fino al 1914", nella Révue internationale n°120: https://fr.internationalism.org/rint/120_cgt [48].
[12] Cf. Hew Strachan, The First World War, volume 1.
[13] https://www.marxists.org/francais/luxembur/junius/index.html [49]
[14] Edizioni di Avron, maggio 1993.
[15] Il secondo capitolo fu pubblicato dopo la Seconda Guerra mondiale. È più riassunto, poiché Rosmer è dovuto fuggire da Parigi durante l'occupazione nazista ed i suoi archivi furono presi e distrutti durante la guerra.
[16] Rosmer, p 84.
[17] Opuscolo di Junius, capitolo "La fine della lotta di classe"
[18] Luxemburg cita qui una lettera di Marx al Braunschweiger Ausschuss: "Colui che nell'ora presente non è assordato completamente dal baccano, e che non ha interesse ad assordare il popolo tedesco, deve comprendere che la guerra del 1870 darà nascita ad una guerra tra la Russia e la Germania, come quella del 1866 che necessariamente ha portato a quella del 1870. Necessariamente ed ineluttabilmente, salvo l'improbabile caso dello scoppio in anticipo di una rivoluzione in Russia. Se quest’improbabile eventualità non accadrà, allora la guerra tra la Germania e la Russia deve essere considerata da ora come un fatto compiuto. Che questa guerra sia utile o nociva, ciò dipende interamente dall'atteggiamento attuale dei vincitori tedeschi. Se prendono l'Alsazia e la Lorena, la Francia combatterà contro la Germania affianco della Russia. È superfluo indicarne le funeste conseguenze".
[19] https://marxists.org/francais/luxembur/junius/rljcf.html [50]
[20] Idem.
[21] La prima crisi marocchina del 1905 fu indotta da una visita del Kaiser a Tangeri, per sostenere - si diceva - l'indipendenza marocchina, in realtà per bloccare l'influenza francese. La tensione militare era al punto massimo: la Francia annullò i permessi militari ed avanzò le sue truppe alla frontiera tedesca, mentre la Germania cominciava a raccogliere i riservisti sotto le bandiere. Alla fine, i francesi cedettero ed accettarono la proposta tedesca di una Conferenza internazionale, tenutasi ad Algésiras nel 1906. Ma i tedeschi ebbero uno shock: si sono trovati abbandonati da tutte le potenze europee, più particolarmente dai britannici, non trovando sostegno che presso l'Austria-Ungheria. La seconda crisi marocchina sopraggiunse nel 1911 quando una rivolta contro il sultano Abdelhafid diede alla Francia un pretesto per l'invio di truppe in Marocco con la scusa di proteggere i cittadini europei. I tedeschi, in quanto ad essi, approfittarono dello stesso pretesto per inviare la cannoniera Panther nel porto atlantico di Agadir. I britannici vi vedevano il preludio dell'installazione di una base navale tedesca sulla costa atlantica, a minacciare direttamente Gibilterra. Il discorso di Lloyd George al Mansion House (citato da Rosmer) fu una dichiarazione di guerra velata se la Germania non avesse ceduto. Infine, la Germania riconobbe il protettorato francese in Marocco, e ricevè in scambio alcune paludi alla foce del Congo.
[22] I tedeschi vi stabilirono la birreria che oggi produce la birra "Tsingtao".
[23] Opuscolo di Junius, idem.
[24] . L'idea espressa da Clark, ma anche da Niall Fergusson in The Pity of War, che la Germania sia restata indietro alla Gran Bretagna nella corsa agli armamenti marittimi, è assurda: contrariamente alla marina tedesca, la marina britannica doveva proteggere un commercio mondiale, ed è difficile pensare come la Gran Bretagna potesse sentirsi non minacciata dalla costruzione di una flotta potente che sostava a meno di 800 chilometri della sua capitale ed ancora più vicino alle sue coste.
[25] . Sebbene, nei testi europei dell'epoca, i termini "Turchia" e "Impero ottomano" siano identici, è importante ricordarsi che l'ultimo termine è più appropriato: all'inizio del diciannovesimo secolo, l'Impero ottomano copriva non solo la Turchia ma anche ciò che oggi è la Libia, la Siria, l'Iraq, la penisola d'Arabia, ed in più una grande parte della Grecia e dei Balcani.
[26] Questa raffineria era soprattutto importante per ragioni militari: la flotta britannica era appena stata convertita alla nafta al posto del carbone, e se la Gran Bretagna possedeva del carbone in abbondanza, essa non aveva petrolio. La ricerca del petrolio in Persia fu innanzitutto stimolata dai bisogni della Royal Marine di assicurarsi le sue forniture in nafta.
[27] Junius, Capitolo 4
[28] La Prima Guerra dei Balcani esplose nel 1912 quando i membri della Lega dei Balcani (la Serbia, la Bulgaria ed il Montenegro) si unirono all'Impero ottomano col sostegno tacito della Russia. Sebbene non facesse parte della Lega, la Grecia si unì ai combattimenti, alla fine dei quali gli eserciti ottomani si trovavano battuti su tutta la linea: l'Impero ottomano per la prima volta in 500 anni si trovò privo della maggior parte dei suoi territori europei. La Seconda Guerra dei Balcani esplose immediatamente dopo, nel 1913, quando la Bulgaria si unì alla Serbia che aveva occupato, con la connivenza della Grecia, una grande parte della Macedonia che era stata promessa alla Bulgaria.
[29] https://www.theguardian.com/commentisfree/2013/jun/17/1914-18-not-futile-war [51].
[30] Questi documenti furono presi dai tedeschi che dopo la guerra ne pubblicarono lunghi brani. Come Rosmer segnala: "Gli apprezzamenti dei rappresentanti del Belgio a Berlino, Parigi e Londra, hanno un valore particolare. Il Belgio è neutrale. Essi hanno dunque una visione più libera rispetto ai sostenitori per apprezzare gli avvenimenti; in più, non ignorano che in caso di guerra tra i due grandi gruppi belligeranti il loro piccolo paese correrà grande rischi, in particolare di servire da campo di battaglia" (Ibid, p.68).
[31] Ibid, p69
[32] Ibid, p70.
[33] Ibid, p70
[34] Ibid, p73
[35] Ibid, p72.
[36] Ibid, p87.
[37] Del resto, il governo austro-ungarico aveva già tentato di esercitare una pressione sulla Serbia divulgando allo storico Heinrich Friedjung dei documenti fraudolenti supposti manifestare un complotto serbo contro la Bosnia-Erzegovina (cf, Clark, p.88, edizione Kindle).
[38] Citato da Rosmer, p. 87, a partire da documenti tedeschi pubblicati dopo la guerra.
[39] Rosmer, p. 87.
[40] Rosmer, p. 102
[41] Ibid, p. 84.
[42] Une riferimento all'attacco devastante portato da Emile Zola contro il governo durante l'affare Dreyfus.
[43] Rosmer, p. 91. La conversazione è riportata nella biografia di Jaurès di Charles Rappoport ed è confermata nelle proprie carte di Abel Ferry. (cf. Alexandre Croix, Jaurès ed i suoi detrattori, Edizioni Spartacus, p. 313).
[44] Jaurès fu ucciso mentre mangiava al Caffè del Croissant, di fronte agli uffici de L'Humanité. Raoul Villain presentava molte similarità con Gavrilo Princip: instabile, emotivamente fragile, dedicato al misticismo politico o religioso - tutto sommato, esattamente il genere di personaggio che i servizi segreti utilizzano come provocatore che si può sacrificare senza alcun ripensamento . Dopo l'omicidio, Villain fu arrestato e trascorse il periodo di guerra in sicurezza, con il conforto di una prigione. Al suo processo fu assolto, e la Sig.ra Jaurès si vede obbligata a pagare le spese giudiziarie.
La guerra del 1914-18 non sarebbe stata possibile senza la sconfitta politica del proletariato, che impedendogli di lottare in quanto classe contro la borghesia lo ha di conseguenza trascinato nelle trincee a massacrare altri lavoratori. E questa sconfitta è stata preparata e realizzata dal tradimento della maggior parte dei partiti operai dell'epoca, soprattutto del più grande e più esemplare partito a livello internazionale: il Partito socialdemocratico di Germania (SPD) che votò i crediti di guerra nell'agosto 1914.
Questo lungo e completo articolo è incentrato sulla questione organizzativa, ed è un'analisi storica del processo attraverso il quale la socialdemocrazia tedesca degenerò al punto da tradire raggiungendo il campo borghese. Come è potuta accadere una tale cosa? Che cosa possiamo apprendere oggi dal degrado del tessuto organizzativo in seno al partito, dalla censura e dalla repressione dell'ala sinistra, dall’esclusione del dibattito e dalla decadenza morale di un partito che era la "fierezza di ogni socialista?" Questo articolo fornendo materiale storico concreto resta sempre d’attualità per la riflessione e la discussione.
Tra tutti i partiti della 2a Internazionale, l’SPD, Sozialdemokratische Partei Deutschlands, (Partito socialdemocratico tedesco) era in assoluto il più potente. Nel 1914, l’SPD contava più di 1 milione di membri e aveva guadagnato più di 4 milioni di voti alle elezioni legislative del 1912[1]: in effetti, era l’unico partito di massa in Germania ed il più grande partito al Reichstag – anche se non aveva alcuna possibilità di formare realmente un governo sotto il regime autocratico imperiale del Kaiser Guglielmo II.
Per gli altri partiti della 2a Internazionale, l’SPD era il partito di riferimento. Karl Kautsky[2], redattore capo della Neue Zeit, la rivista teorica del partito, era riconosciuto come il “papa del marxismo”, il faro teorico dell’Internazionale. All’epoca del Congresso del 1900 dell’Internazionale, Kautsky scrisse la risoluzione che condannava la partecipazione del socialista francese Millerand ad un governo borghese, ed al Congresso di Dresda dell’SPD del 1903, sotto la direzione del suo presidente August Bebel[3], condannò le teorie revisioniste di Eduard Bernstein riaffermando gli obiettivi rivoluzionari dell’SPD. Lenin aveva elogiato lo “spirito di partito” dell’SPD e del suo essere immune rispetto alle meschine animosità personali come quelle che avevano condotto i Menscevichi a provocare la scissione nel POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico della Russia), dopo il Congresso del 1903[4]. Infine e soprattutto, la supremazia teorica ed organizzativa dell’SPD fu incoronata chiaramente di successo sul campo: nessuno altro partito dell’Internazionale avrebbe potuto neanche lontanamente rivendicare i successi elettorali come quelli dell’SPD e rispetto all’organizzazione sindacale solo i britannici potevano competere con i tedeschi in quanto al numero e alla disciplina dei loro membri.
“Durante i congressi, durante le sessioni del bureau dell'Internazionale socialista, tutti aspettavano l’opinione dei tedeschi. In particolare quando nei dibattiti sui problemi posti dalla lotta contro il militarismo e sulla questione della guerra, la posizione della socialdemocrazia tedesca era sempre determinante. “Per noi altri tedeschi, questo è inaccettabile”, regolarmente bastava una tale frase per decidere l’orientamento dell’Internazionale. Con una fiducia cieca, quest’ultima si rimetteva alla direzione della potente e tanto ammirata socialdemocrazia tedesca: essa era l’orgoglio di ogni socialista ed il terrore delle classi dirigenti in tutti i paesi”[5].
Di conseguenza, mentre le nuvole di guerra avevano cominciato ad accumularsi durante il luglio 1914, fu evidente che l’atteggiamento della socialdemocrazia tedesca sarebbe stato cruciale per decidere l’uscita da questa situazione. I lavoratori tedeschi - le grandi masse organizzate in seno al partito e ai sindacati per l’esistenza dei quali avevano fatto dure lotte - si trovarono in una posizione in cui erano i soli a poter fare inclinare il piatto della bilancia: resistenza e difesa dell’internazionalismo proletario, oppure collaborazione di classe e tradimento, con anni di massacro, i più cruenti che l’umanità abbia mai conosciuto.
“E che cosa abbiamo visto in Germania al momento della grande prova storica? La caduta più catastrofica, il crollo più formidabile. Da nessun’altra parte l’organizzazione del proletariato è stata messa così completamente a servizio dell’imperialismo, da nessuna parte lo Stato di assedio è stato sopportato con tanta poca resistenza, da nessuna parte la stampa così imbavagliata, l’opinione pubblica così strangolata, la lotta di classe economica e politica della classe operaia così totalmente abbandonata quanto in Germania”[6].
Il tradimento della socialdemocrazia tedesca provocò un tale shock per i rivoluzionari che quando Lenin lesse nel Vorwärts[7] 7 che la frazione parlamentare dell’SPD aveva votato i crediti di guerra, inizialmente pensò che questo numero del giornale era un falso preparato dalla propaganda “nera” del governo imperiale. Come era stato possibile un tale disastro? Come il fiero e potente SPD aveva potuto, in pochi giorni, rinnegare le sue promesse più solenni, trasformarsi dall’oggi al domani da gioiello dell’Internazionale operaia nella più potente arma dell’arsenale guerriero della classe dirigente?
Nel tentativo di rispondere a questa domanda, può sembrare paradossale concentrarsi in questo articolo maggiormente sugli scritti e le azioni di un numero relativamente ristretto di individui; dopotutto, l’SPD e i sindacati erano delle organizzazioni di massa, capaci di mobilitare centinaia di migliaia di lavoratori. Tuttavia, un tale modo di procedere si giustifica perché individui come Karl Kautsky o Rosa Luxemburg rappresentavano tendenze definite all’interno del partito. In questo senso, i loro scritti esprimevano tendenze politiche con le quali masse di militanti e di lavoratori - rimasti anonimi nella storia - si identificavano. Se si vuole capire il peso che queste personalità avevano nel partito è anche necessario tener conto delle loro biografie politiche. August Bebel, Presidente dell’SPD dal 1892 fino alla sua morte nel 1913, fu uno dei fondatori del partito e fu imprigionato insieme a Wilhelm Liebknecht, anche lui deputato al Reichstag, per il rifiuto di sostenere la guerra della Prussia contro la Francia nel 1870. Kautsky e Bernstein furono entrambi costretti all’esilio a Londra per le leggi anti-socialiste di Bismarck, dove lavorarono sotto la direzione di Engels. Per questa esperienza godettero nel partito di immenso prestigio e altrettanta autorità morale. Anche Georg von Vollmar, uno dei leader riformistici della Germania del Sud, era considerato come appartenente all’ala sinistra ed anche come organizzatore dinamico e di talento nella clandestinità, avendo subito ripetuti arresti.
Era dunque una generazione che si era politicizzata durante la guerra franco-tedesca e la Comune di Parigi, durante anni di propaganda clandestina e di agitazione sotto la sferza delle leggi anti-socialiste di Bismarck (1878-1890). Di una tempra molto diversa erano uomini come Gustav Noske, Friedrich Ebert o Philipp Scheidemann, tutti membri dell’ala destra della frazione parlamentare dell’SPD che votò i crediti di guerra nel 1914 e che giocò un ruolo chiave nella repressione della rivoluzione tedesca del 1919 - e nell’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht da parte dei Corpi Franchi. Come Stalin più tardi, si trattava di uomini di apparato, che lavoravano nei retroscena piuttosto che partecipare attivamente al dibattito pubblico; rappresentanti di un partito che, crescendo, tendeva a somigliare ed a identificarsi sempre più allo Stato tedesco, il cui abbattimento rimaneva pur sempre l’obiettivo ufficiale.
La sinistra rivoluzionaria aveva preso le distanze rispetto alla tendenza crescente nel partito a fare concessioni alla “politica pratica”. Questa era in grande parte composta da stranieri e da giovani (con l’eccezione notevole del vecchio Franz Mehring). A parte l’olandese Anton Pannekoek e il figlio di Wilhelm Liebknecht, Karl, uomini come Parvus, Radek, Jogiches, Marchlewski, venivano tutti dell’Impero russo e si erano forgiati come militanti nelle difficili condizioni dell’oppressione zarista. Sicuramente, la figura di sinistra più grande fu Rosa Luxemburg, lei che era un “outsider” nel partito tedesco su tutti i piani possibili: giovane, donna, polacca, ebrea e, forse peggio di tutto dal punto di vista di alcuni dirigenti tedeschi, dominava intellettualmente e teoricamente gli altri leader del partito che non le arrivavano nemmeno alla caviglia.
Il SAP (Partito operaio tedesco) che diventerà l’SPD, fu fondato nel 1875 a Gotha, attraverso la fusione di due partiti socialisti: l’SDAP (Partito operaio socialdemocratico - Sozialdemokratische Arbeiterpartei)[8], diretto da Wilhelm Liebknecht ed August Bebel, e l’ADAV (Associazione dei lavoratori tedeschi - Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein) inizialmente fondata da Ferdinando Lassalle nel 1863.
La nuova organizzazione ebbe dunque due origini molto differenti. Il SDAP aveva solamente sei anni di esistenza all'epoca della fusione. Grazie alla relazione di lunga data di Liebknecht con Marx ed Engels, questi ultimi portarono un contributo importante allo sviluppo del SDAP - anche se Liebknecht non fu per niente un teorico, ebbe un ruolo importante nell'introduzione delle idee di Marx in uomini come Bebel e Kautsky. Nel 1870, il SDAP adottò risolutamente una linea internazionalista contro la guerra di aggressione della Prussia contro la Francia. Così a Chemnitz, una riunione di delegati rappresentante 50.000 operai sassoni, adottò all'unanimità la seguente risoluzione: "In nome della democrazia tedesca, e specialmente degli operai del Partito socialdemocratico, dichiariamo che la guerra attuale è esclusivamente dinastica.... siamo felici di stringere la mano fraterna che ci tendono gli operai di Francia. Attenti alla parola d'ordine dell'Associazione internazionale dei Lavoratori: Proletari di tutti i paesi unitevi! Non dimenticheremo mai che gli operai di tutti i paesi sono i nostri amici ed i despoti di tutti i paesi, i nostri nemici"! [9]
L'ADAV, invece, rimase fedele alla posizione del suo fondatore, Lassalle, contrario allo sciopero e convinto che la causa dei lavoratori avrebbe potuto avanzare attraverso un'alleanza con lo Stato di Bismarck e, più generalmente, grazie a ricette di "socialismo di Stato" [10]. Durante la guerra franco-prussiana, l'ADAV rimase pro-tedesca, ed il suo Presidente di allora, Mende, pretese dalla Francia il pagamento dei risarcimenti di guerra da utilizzare per la creazione di laboratori nazionali a favore dei lavoratori tedeschi [11].
Marx ed Engels furono profondamente critici verso il programma adottato all'epoca della fusione. Tuttavia, le note marginali di Marx su questo programma sono state rese pubbliche ben più tardi [12]. In effetti, Marx riteneva che "Ogni passo fatto in avanti, ogni progressione reale conta più di una dozzina di programmi" [13]. Pur astenendosi entrambi dal criticare apertamente il nuovo partito, essi annunciarono con chiarezza il loro punto di vista ai suoi dirigenti ed Engels, scrivendo a Bebel, sottolineò due punti deboli che, se ignorati, avrebbero seminato i semi del successivo tradimento, che poi, di fatto, avvenne nel 1914:
- "il principio dell'internazionalismo del movimento operaio è, in pratica, per il presente completamente abbandonato, e ciò da persone che, per cinque anni e nelle circostanze più difficili, hanno difeso altamente questo principio rendendosi degni dei più alti elogi. Il fatto che gli operai tedeschi sono oggi alla testa del movimento europeo si basa innanzitutto sull'atteggiamento veramente internazionale che hanno avuto durante la guerra; nessun altro proletariato avrebbe potuto comportarsi così bene. Ed è oggi, dove ovunque all'estero gli operai affermano questo principio con lo stesso vigore e dove i governi fanno del tutto per impedire che esso si manifesti in un'organizzazione, che essi dovrebbero abbandonarlo"?
- "la sola rivendicazione sociale che il programma faccia valere è l'aiuto lassaliano di Stato, presentato sotto una forma meno velata rispetto a quello che Lassalle ha rubato a Buchez. E ciò, dopo che Bracke abbia provato tutto il niente di una simile rivendicazione; dopo che quasi tutti, se non tutti gli oratori del nostro Partito siano stati obbligati, nella loro lotta contro i lassalliani a combatterla! Il nostro partito non poteva cadere più in basso nell'umiliazione. L'internazionalismo sceso a livello di Armand Goegg, il socialismo a quello del repubblicano-borghese Buchez, che opponeva questa rivendicazione ai socialisti per combatterli"! [14]
Queste faglie nella pratica politica non erano tanto sorprendenti se si considera la base teorica eclettica del nuovo partito. Quando Kautsky fondò la Neue Zeit nel 1883, era intenzionato che questa venisse "pubblicata come un organo marxista avente per compito di elevare il debole livello teorico della socialdemocrazia tedesca, di distruggere il socialismo eclettico e fare ottenere la vittoria al programma marxista" ; scriveva ad Engels: "forse sono riuscito attraverso i miei tentativi a fare della Neue Zeit il punto di riunione della scuola marxista. Guadagno la collaborazione di numerose forze marxiste, mentre mi sbarazzo dell'eclettismo e del Rodbertussianismo". [15]
Fin dall'inizio, anche durante la sua esistenza clandestina, il SDAP rappresentò dunque un campo di battaglia tra tendenze teoriche contraddittorie - come è la norma in ogni organizzazione proletaria in buona salute. Ma, secondo le parole di Lenin, "senza teoria rivoluzionaria, non c’è pratica rivoluzionaria", e queste differenti tendenze, o visioni dell'organizzazione e della società, dovevano avere delle conseguenze molto pratiche.
Nel mezzo degli anni 1870, il SDAP raggruppava circa 32.000 membri in più di 250 distretti e, nel 1878, il cancelliere Bismarck impose una legge "anti-socialista" con l'intento di paralizzare l'attività del partito. Decine di giornali, riunioni, organizzazioni furono vietate, e migliaia di militanti imprigionati o multati. Ma la determinazione dei socialisti restò intatta di fronte alla legge anti-socialista. L'attività del SDAP prosperò nelle condizioni di semi-illegalità. Essere messo fuori legge costrinse il partito ed i suoi membri ad organizzarsi fuori dai circuiti della democrazia borghese – anche della stessa democrazia limitata della Germania di Bismarck - ed a sviluppare una forte solidarietà contro la repressione poliziesca e la sorveglianza permanente dello Stato. A dispetto dell'assillo poliziesco costante, il partito riuscì a mantenere la sua stampa ed ad aumentare la circolazione di quest'ultima, al punto che il giornale satirico Der wahre Jacob, fondato nel 1884, contava da solo 100.000 abbonati.
Malgrado le leggi anti-socialiste, un'attività pubblica fu ancora accessibile al SDAP: era ancora possibile per i membri del SDAP partecipare alle elezioni al Reichstag in quanto candidati indipendenti non affiliati. Ciò fu possibile perché gran parte della propaganda del partito fu incentrata intorno alle campagne elettorali a livelli nazionali e locali. Ciò può spiegare il perché la frazione parlamentare doveva rimanere rigorosamente subordinata ai congressi ed all'organo centrale del partito, il Vorstand [16], ed anche il peso crescente della frazione parlamentare nel partito dal momento che il suo successo elettorale era in aumento. Bismarck conduceva la classica politica della "carota e del bastone". Mentre impediva ai lavoratori di organizzarsi, lo Stato imperiale cercava di tagliare l'erba sotto i piedi ai socialisti instaurando, a partire dal 1883, sussidi di assicurazione sociale in caso di disoccupazione, di malattia o di pensione. E tutto questo una buona ventina di anni prima dell'instaurazione, in Francia, della Legge sulle pensioni dei lavoratori e dei contadini (1910) e, in Gran Bretagna, della Legge sull'assicurazione nazionale (1911). Alla fine degli anni 1880, circa 4,7 milioni dei lavoratori tedeschi ricevettero delle indennità di sicurezza sociale.
Sia le leggi anti-socialiste che l'introduzione della sicurezza sociale non ebbero l'effetto desiderato, e cioè l'indebolimento del sostegno di cui godeva la socialdemocrazia. Al contrario, tra il 1881 ed il 1890, il risultato elettorale del SDAP passò da 312.000 a 1.427.000 voti, rendendolo il più grande partito della Germania. Nel 1890, i suoi membri raggiunsero il numero di 75.000 e circa 300.000 lavoratori avevano aderito ai sindacati. Nel 1890, il cancelliere Bismarck fu destituito dal nuovo Imperatore Guglielmo II e le leggi anti-socialiste furono abrogate.
Uscito dalla clandestinità, il SDAP fu rifondato come organizzazione legale, il SPD (Partito socialdemocratico tedesco - Sozialdemokratische Partei Deutschlands), all'epoca del suo congresso di Erfurt nel 1891. Il Congresso adottò un nuovo programma, e benché Engels considerò il programma di Erfurt migliorato rispetto al suo predecessore di Gotha, ritenne necessario attaccare la tendenza all'opportunismo: "Ma, ad ogni modo, le cose devono andare avanti. Quanto ciò sia necessario, è provato oggi proprio dall'opportunismo che comincia a propagarsi in gran parte della stampa socialdemocratica. Nel timore di un rinnovo della legge contro i socialisti o ricordandosi di certe opinioni emesse prematuramente al tempo in cui questa legge era in vigore, si vuole adesso che il Partito riconosca l'ordine legale attuale in Germania come sufficiente a poter realizzare tutte le sue rivendicazioni per via pacifica (…) Una simile politica a lungo andare, non può che portare il Partito su una falsa via. Si mettono in primo piano astratte questioni politiche generali, e si nascondono, in tal modo, le più pressanti questioni concrete che, ai primi avvenimenti importanti, alle prime crisi politiche, diventano al momento esse stesse cruciali. Che cosa ne può risultare, se non che, improvvisamente, al momento decisivo, il Partito sarà preso alla sprovvista e che sui punti decisivi regnerà la confusione e l'assenza di unità, perché queste questioni non saranno mai discusse? (…) Questo oblio delle grandi considerazioni essenziali davanti agli interessi passeggeri del giorno, questa corsa ai successi effimeri e la lotta che si libera intorno, senza preoccuparsi delle ulteriori conseguenze, questo abbandono dell'avvenire del movimento che viene sacrificato al presente, tutto ciò forse ha anche dei moventi onesti. Ma ciò è e resta opportunismo. E, l'opportunismo "onesto" è forse il più pericoloso". [17]
Engels qui ha dato prova di una notevole prescienza: le dichiarazioni pubbliche su intenti rivoluzionari dovevano rivelarsi impotenti senza un piano di azione concreto per salvaguardarle. Nel 1914, il partito si è ritrovato difatti "improvvisamente preso alla sprovvista".
Tuttavia, lo slogan ufficiale del SPD rimaneva: "Non un uomo né un soldo per questo sistema", ed i suoi deputati al Reichstag rifiutavano sistematicamente ogni sostegno ai bilanci pubblici, in particolare per le spese militari. Questa opposizione di principio ad ogni compromesso di classe restava solo una possibilità in seno al sistema parlamentare perché il Reichstag non aveva alcun potere reale. Il governo dell'Impero tedesco di Guglielmo era autocratico, poco differente da quello della Russia zarista [18], e l'opposizione sistematica del SPD non aveva in effetti alcuna conseguenza pratica immediata.
Nel sud della Germania, le cose erano differenti. Là, il SPD locale, sotto la direzione di uomini come Vollmar, affermava che esistevano certe "condizioni particolari" e che se il SPD non votava in modo significativo nelle elezioni dei Länder e non si dotava di una politica agraria richiesta dalla classe dei contadini poveri, sarebbe stato destinato all'impotenza ed all'inutilità. Questa tendenza apparve appena il partito fu legalizzato all'epoca del Congresso di Erfurt del 1891 e, da allora, i deputati SPD dei parlamenti provinciali di Wurtemberg, Baviera e Bade votarono a favore dei bilanci governativi. [19]
La reazione del partito a questo attacco diretto contro la sua politica, espressa in modo ripetuta nelle risoluzioni dei congressi, fu di lasciare la questione sotto il tappeto. Un tentativo di Vollmar di proporre un programma agrario speciale fu rigettato dal Congresso di Francoforte del 1894 ma lo stesso Congresso rigettò anche una risoluzione che vietava il voto di ogni deputato SPD in favore di qualsiasi bilancio governativo. Si considerò che finché la politica riformista si fosse limitata "eccezionalmente" al Sud della Germania, essa poteva essere tollerata. [20]
L'esperienza per la classe operaia di una decina di anni di semi-illegalità stava per essere minata rapidamente dal veleno della democrazia. Per loro stessa natura, la democrazia borghese e l'individualismo, che va di pari passi con quest’ultima, sabotano i tentativi del proletariato di sviluppare una propria visione come classe storica con una sua prospettiva opposta a quella della società capitalista. Poiché l'ideologia democratica divide la classe operaia in una semplice massa di cittadini atomizzati, essa rappresenta un ostacolo continuo alla solidarietà operaia. Durante questo periodo, i successi elettorali del partito, sia come voti che come seggi al Parlamento, aumentavano velocemente nel mentre che i lavoratori si organizzavano, sempre più, nei sindacati e vedevano anche migliorate le loro condizioni materiali.
La crescente potenza politica del SPD e la forza della classe operaia industriale organizzata diedero nascita ad una nuova corrente politica che cominciò a teorizzare l'idea secondo la quale non solo era possibile costruire il socialismo in seno al capitalismo, di dar luogo ad una transizione progressiva senza che fosse necessario rovesciare il capitalismo attraverso una rivoluzione, ma anche che il SPD avrebbe dovuto avere una politica estera espansionista specificamente tedesca: questa corrente si cristallizzò nel 1897 intorno a la Sozialistische Monatshefte (Fascicoli mensili socialisti), una rivista fuori dal controllo del SPD, negli articoli di Max Schippel, Wolfgang Heine e Heinrich Peus. [21]
Questa situazione, scomoda ma sopportabile, esplose nel 1898 con la pubblicazione delle Precondizioni del socialismo ed i compiti della socialdemocrazia (Die Voraussetzungen dei Sozialismus und die Aufgaben der Sozialdemokratie) di Eduard Bernstein. L'opuscolo di Bernstein spiegava apertamente ciò che lui ed altri stavano sostenendo già da tempo: "praticamente, scriveva nel 1896 a Kautsky, noi non siamo che un partito radicale; noi facciamo solo ciò che fanno tutti i partiti borghesi radicali, se non fosse per il fatto che noi lo dissimuliamo sotto un linguaggio interamente sproporzionato alle nostre azioni ed ai nostri mezzi" [22]. Le posizioni teoriche di Bernstein attaccavano i fondamenti stessi del marxismo nel senso che rigettavano il carattere inevitabile del declino del capitalismo e del suo crollo finale. Basandosi sulla prosperità in pieno sviluppo degli anni 1890, associata alla veloce espansione colonialista del capitalismo attraverso il pianeta, Bernstein sosteneva che il capitalismo aveva superato la sua tendenza verso le crisi autodistruttive. In queste condizioni, lo scopo era niente, il movimento era tutto, la quantità doveva prevalere sulla qualità, l'antagonismo tra gli Stati e la classe operaia doveva essere superato [23].
Bernstein proclamò apertamente che il principio fondamentale del Manifesto comunista secondo cui i lavoratori non hanno patria, era "obsoleto". Chiamò i lavoratori tedeschi a portare il loro sostegno alla politica coloniale dell'Imperatore in Africa ed in Asia. [24]
In realtà, tutta un'epoca, quella dell'espansione e dell'ascesa del sistema capitalista, stava volgendo alla sua fine. Per i rivoluzionari, tali periodi di profonda trasformazione storica pongono sempre una maggiore sfida poiché per comprendere i cambiamenti fondamentali in corso, ed anche adattare il loro programma, se necessario, loro devono analizzare le caratteristiche del nuovo periodo e sviluppare un quadro teorico pur continuando a difendere lo stesso obiettivo rivoluzionario.
L'espansione veloce del capitalismo attraverso il globo, il suo massiccio sviluppo industriale, la nuova fierezza della classe dirigente ed il suo posizionamento imperialistico, tutto ciò fece pensare alla corrente revisionista che il capitalismo sarebbe durato sempre, che al socialismo si sarebbe potuto arrivare a partire dal capitalismo ed in sua continuità, e che lo Stato capitalista avrebbe potuto servire gli interessi della classe operaia. L'illusione di una transizione pacifica dimostrava che i revisionisti erano diventati prigionieri del passato, incapaci di comprendere che un nuovo periodo storico si profilava all'orizzonte: il periodo di decadenza del capitalismo e dell'esplosione violenta delle sue contraddizioni. La loro incapacità ad analizzare la nuova situazione storica e la teorizzazione del carattere "eterno" delle condizioni del capitalismo alla fine del 19° secolo significavano anche che i revisionisti erano incapaci di vedere che le vecchie armi di lotta, il parlamentarismo e la lotta sindacale, non erano più utilizzabili. La polarizzazione sul lavoro parlamentare come asse dell'attività del partito, l'orientamento in favore della lotta per le riforme in seno al sistema, l'illusione di un "capitalismo esente da crisi" e la possibilità di arrivare pacificamente al socialismo attraverso il capitalismo, dimostrarono che una grande parte della direzione del SPD si era identificata col sistema. La corrente apertamente opportunista in seno al partito esprimeva una perdita di fiducia nella lotta storica del proletariato. Dopo anni di lotte difensive per il programma "minimo", l'ideologia democratica borghese era penetrata nel movimento operaio. Ciò significò che l'esistenza e le caratteristiche delle classi sociali erano messe in discussione, che una visione individualistica tendeva a dominare ed a sciogliere le classi ne "il popolo". L'opportunismo rigettava così il metodo marxista di analisi della società in termini di lotta di classe e di contraddizioni di classe; in effetti, l'opportunismo significava l'assenza di ogni metodo, di ogni principio e di ogni teoria.
La reazione della direzione del partito al testo di Bernstein fu quella di minimizzarne l'importanza (il Vorwärts l'accolse come uno "stimolante contributo da dibattere", dichiarando che tutte le correnti in seno al partito dovrebbero essere libere di esprimere le loro opinioni) pur rammaricandosi, in privato, che tali idee venissero espresse apertamente. Ignaz Auer, il segretario del partito, scriveva a Bernstein: "Mio caro Ede, formalmente non prendiamo la decisione di fare le cose che voi suggerite, queste cose non si dicono, semplicemente le facciamo". [25]
In seno al SPD, l'opposizione più determinata a Bernstein giunse dalle forze che non erano state abituate al lungo periodo di legalità seguito alla fine delle leggi anti-socialiste. Non fu un caso se ad opporsi con maggiore chiarezza e virulenza alla corrente di Bernstein furono militanti stranieri, in particolare, dell'Impero russo. Parvus, d'origine russa, che era emigrato in Germania negli anni 1890 e che, nel 1898, lavorò come redattore capo della stampa del SPD a Dresda, il Sächsische Arbeiterzeitung [26], lanciò un attacco infuocato alle idee di Bernstein sostenuto dalla giovane rivoluzionaria, Rosa Luxemburg che emigrata in Germania nel maggio 1898 già aveva conosciuto la repressione in Polonia. Appena si trasferì in Germania, Rosa Luxemburg cominciò a condurre la lotta contro i revisionisti col suo testo Riforma sociale o rivoluzione redatto nel 1898-99. In questo testo, presentando il metodo di Bernstein, confutava l'idea dell'avvento del socialismo attraverso riforme sociali, denunciava la teoria e la pratica dell'opportunismo. Nella sua risposta a Bernstein, sottolineò che la tendenza riformistica si era notevolmente sviluppata dall'abolizione delle leggi anti-socialiste e con la possibilità di lavorare legalmente. Il socialismo di Stato di Vollmar, l'approvazione del bilancio bavarese, il socialismo agrario Sud-tedesco, le proposte di compensi di Heine, la posizione di Schippel sulle dogane e la milizia, tutti costituivano gli elementi di una pratica opportunista crescente.
La Luxemburg metteva in evidenza il denominatore comune di questa corrente: l'ostilità verso la teoria:"Ciò che distingue [tutte le tendenze opportuniste in seno al partito] in superficie? L'avversione della "teoria" e ciò è naturale visto che la nostra teoria, cioè a dire le basi del socialismo scientifico, assegna alla nostra attività pratica dei compiti chiari e dei limiti, sia per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere, sia per i mezzi da utilizzare ed infine per il metodo della lotta. Naturalmente, coloro che vogliono solo correre appresso alle realizzazioni pratiche sviluppano velocemente un desiderio di liberarsi, in altre parole di separare la pratica dalla teoria". [27]
Per lei, il primo compito dei rivoluzionari era difendere lo scopo finale. "Il movimento come tale senza legame con l'obiettivo finale, il movimento come scopo in sé non è niente, ciò che conta è l'obiettivo finale". [28]
In un testo del 1903, Stagnazione e progresso del marxismo, Rosa Luxemburg considerò l'insufficienza teorica della socialdemocrazia in questi termini: "lo sforzo scrupoloso di restare "nei limiti del marxismo" talvolta è stato tanto disastroso per l'integrità del processo di pensiero quanto l'altro estremo - il rinnegamento completo della prospettiva marxista e la determinazione di manifestare "l'indipendenza della pensiero" di fronte a tutti i pericoli".
Attaccando Bernstein, la Luxemburg pretese anche che l'organo di stampa centrale del partito difendesse le posizioni decise dai congressi del partito. Quando a marzo 1899, il Vorwärts rispose che la critica della Luxemburg alla posizione di Bernstein (in un articolo intitolato "Vane speranze" - Eitle Hoffnungen), era ingiustificata, quest’ultima replicò che il Vorwärts "si trova nella situazione comoda di non correre mai il rischio di avere un'opinione erronea o di cambiare parere, un peccato che ama trovare in altri, semplicemente perché non ha mai difeso né difende alcuna opinione". [29]
Continuando sulla stessa linea, scrisse "ci sono due tipi di creature organiche: quelle che hanno una colonna vertebrale e che possono camminare in piedi, talvolta anche correre; e ci sono altre che non hanno colonna vertebrale e non possono dunque che strisciare e arrancare". A coloro i quali volevano che il partito abbandonasse ogni posizione programmatica ed ogni criterio politico, rispose all'epoca della Conferenza del partito a Hannover nel 1899: "se ciò significa che il partito - in nome della libertà di critica - non deve prendere posizione né dichiararla per mezzo di un voto alla maggioranza, noi non difendiamo questa posizione. Dobbiamo dunque protestare contro questa idea, perché noi non siamo un club di discussione ma un partito di lotta politica che deve difendere certe visioni fondamentali". [30]
Tra l'ala sinistra determinata, intorno a Rosa Luxemburg, e la destra che difendeva le idee di Bernstein e la revisione dei principi, c'era una "palude" che Bebel descrisse nei seguenti termini all'epoca del Congresso di Dresda del 1903: "è sempre la stessa vecchia ed eterna lotta tra una sinistra ed una destra e, tra le due, la palude. Sono elementi che non sanno mai ciò che vogliono o piuttosto che non lo dicono mai. Sono i Signori-io-so-tutto i quali, abitualmente, prima ascoltano per vedere chi dice e che cosa, e ciò che viene detto qua e là. Cercano sempre di capire dove si trova la maggioranza ed abitualmente la raggiungono. Abbiamo anche questo genere di persone nel partito (...) l'uomo che difende apertamente la sua posizione, ed almeno so dove si trova; almeno posso battermi con lui. O vince lui o io, ma gli elementi parassiti che schivano e sempre evitano una decisione chiara, che sempre dicono "siamo tutti d'accordo, sì siamo tutti fratelli", sono i peggiori. Io li combatto duramente". [31]
Questa palude, incapace di prendere una posizione chiara, vacillava tra quelli che erano chiaramente revisionisti, la destra, e la sinistra rivoluzionaria. Il centrismo è uno dei volti dell'opportunismo. Si posiziona sempre tra forze antagoniste, tra correnti reazionarie e correnti radicali, tenta di conciliare le due. Evita il confronto aperto delle idee, sfugge al dibattito, pensa sempre che "un lato non ha completamente ragione", ma che "neanche l'altro c’è l’abbia del tutto". Considera il dibattito politico con degli argomenti chiari ed un tono polemico come "esagerato", "estremista", "sconcertante", addirittura "violento". Pensa che il solo modo di mantenere l'unità, per preservare l'organizzazione, sia quello di permettere a tutte le tendenze politiche di coesistere, ivi compreso quelle i cui obiettivi sono in contraddizione diretta con quelli dell'organizzazione. Inorridisce a prendersi in carico le sue responsabilità ed a posizionarsi. Il centrismo nel SPD tendeva ad allearsi con reticenza con la sinistra, pur rammaricandosi de "l'estremismo" e della "violenza" di quest’ultima, impedendo nei fatti che venissero prese ferme misure - come l'espulsione dei revisionisti dal partito - e che fosse preservata la natura rivoluzionaria del partito.
Rosa Luxemburg, al contrario, riteneva che il solo modo di difendere l'unità del partito in quanto organizzazione rivoluzionaria era di insistere sulla più completa esposizione e discussione pubblica dei punti di vista opposti.
"Dissimulando le contraddizioni per "l'unità" artificiale di posizioni incompatibili, le contraddizioni non possono che raggiungere un apice, finché esplodono violentemente prima o poi in una scissione (...) Coloro che portano avanti le divergenze di posizione, e combattono le opinioni divergenti, lavorano all'unità del partito. Ma coloro che dissimulano le divergenze lavorano ad una reale scissione nel partito". [32]
Il massimo del centrismo in quel momento della vita del SPD ed il suo più prestigioso rappresentante era Karl Kautsky.
Quando Bernstein cominciò a sviluppare la sua posizione revisionista, Kautsky, inizialmente, rimase in silenzio, preferendo non opporsi pubblicamente al suo vecchio amico e compagno. Non riusciva neanche a vedere fino a che punto le teorie revisioniste di Bernstein stessero destabilizzando i fondamenti rivoluzionari su cui il partito era stato costruito. Come sottolineato dalla Luxemburg, dal momento in cui si accetta l'idea che il capitalismo possa durare eternamente, che non è destinato a crollare a causa delle sue contraddizioni interne, si è condotti inevitabilmente ad abbandonare lo scopo rivoluzionario. [33] L'insuccesso di Kautsky - come quello della maggior parte della stampa del partito - fu un evidente segno della perdita dello spirito di lotta nell'organizzazione: il dibattito politico non fu più una questione di vita o di morte per la lotta di classe, era diventato una preoccupazione accademica di esperti intellettuali.
L'arrivo di Rosa Luxemburg a Berlino nel 1898 (da Zurigo dove aveva terminato con vivacità i suoi studi con una tesi di dottorato sullo sviluppo economico della Polonia) e le sue reazioni alle teorie di Bernstein, avrebbero giocato un ruolo pesante nel condizionare l'atteggiamento di Kautsky.
Quando Luxemburg, prese coscienza delle esitazioni di Bebel e di Kautsky e del loro rifiuto a combattere le posizioni di Bernstein, criticò questo atteggiamento in una lettera a Bebel [34]. Ella chiese perché non insistevano nel rispondere energicamente a Bernstein e, nel marzo 1899, dopo che ebbe cominciato la serie di articoli, che più tardi sarebbe diventata l'opuscolo Riforma sociale o rivoluzione, riportò a Jogiches: "in quanto a Bebel, in una conversazione con Kautsky mi sono lamentata del fatto che lui non si ergesse né si battesse. Kautsky mi ha detto che Bebel aveva perso il suo dinamismo, aveva perso la fiducia in sé e non aveva più nessuna forza. Lo apostrofai nuovamente e gli chiesi: 'perché non lo stimolate voi, non lo incoraggiate ridandogli forza? Kautsky ha risposto: 'dovreste farlo voi, andate a parlare a Bebel, dovreste voi incoraggiarlo'". Quando Luxemburg chiese allo stesso Kautsky perché non avesse reagito, lui rispose: "Come posso io impegnarmi ora negli assembramenti e nelle riunioni, dal momento che sono impegnato pienamente nella lotta parlamentare, ciò significa solamente che ci saranno scontri, e dove porterebbe ciò? Per questo non ho né il tempo né l'energia". [35]
Nel 1899, in Bernstein ed il programma socialdemocratico - un'anti-critica (Bernstein und das sozialdemokratische Programm - Eine Antikritik), Kautsky si espresse finalmente contro le idee di Bernstein sulla filosofia marxista e l'economia politica così come sulle sue posizioni relative allo sviluppo del capitalismo. Tuttavia, salutando il libro di Bernstein come un prezioso contributo al movimento, si oppose all'idea della sua espulsione dal partito ed evitò di dire che Bernstein stava tradendo il programma marxista. In breve, secondo Rosa Luxemburg, Kautsky voleva evitare sia ogni contestazione alla routine piuttosto comoda della vita del partito che la necessità di criticare in pubblico il suo vecchio amico. E lo stesso Kautsky lo ammise in privato a Bernstein: "Parvus e Luxemburg hanno già ben colto la contraddizione del vostro punto di vista con i nostri principi programmatici, mentre io non ho voluto ancora ammetterlo credendo fermamente che tutto ciò fosse un malinteso (...) Questo è stato il mio errore, non sono stato perspicace quanto Parvus e Luxemburg che, già all'epoca, avevano fiutato la linea di pensiero del vostro opuscolo".[36] In effetti, nel Vorwärts, Kautsky minimizzò e camuffò l'attacco costituito dalla nuova teoria revisionista di Bernstein, dicendo che era stata amplificata fuori da ogni proporzione, da un modo di "immaginazione assurda" tipico di una mentalità piccolo-borghese. [37]
Per fedeltà al suo vecchio amico, Kautsky ritenne che avrebbe dovuto scusarsi con Bernstein in privato, e scrisse: "Sarebbe stato da vile rimanere in silenzio. Non credo che vi abbia fatto del male adesso che ho parlato. Se non avessi detto ad August Bebel che avrei risposto alla vostra dichiarazione, l'avrebbe fatto lui stesso. Conoscendo il suo temperamento e la sua insensibilità, immaginate ciò che avrebbe potuto dire" [38]. Ciò significò che lui preferiva rimanere muto e cieco di fronte al suo vecchio amico. Reagì contro la sua volontà e solamente dopo essere stato costretto dalla sinistra. Più tardi, ammise che "aveva peccato" permettendo alla sua amicizia con Bernstein di dominare il suo giudizio politico: "Nella mia vita, ho peccato solamente una volta per amicizia, ed oggi io rimpiango ancora questo peccato. Se non avessi esitato tanto con Bernstein, e se l'avessi affrontato fin dall'inizio con la necessaria rettitudine, avrei potuto risparmiare al partito numerosi problemi sgradevoli". [39] Tuttavia, questa "confessione" resta senza valore se non va alla radice del problema. Malgrado avesse confessato il suo "peccato", Kautsky non diede mai una spiegazione politica più profonda, dando le ragioni per le quali un tale atteggiamento, basato sull'affinità personale piuttosto che sui principi politici, avrebbe rappresentato un pericolo per un'organizzazione politica. In realtà, questo atteggiamento lo portò ad accordare ai revisionisti una "libertà di opinione" illimitata in seno al partito. Come lo stesso Kautsky dice alla vigilia del Congresso del partito di Hannover: "In generale, bisogna lasciare ad ogni membro del partito la possibilità di decidere se condivide o no ancora i principi del partito. Espellendo una persona, agiamo solamente contro coloro che recano offesa al partito; nessuno è stato espulso ancora dal partito a causa di critiche ragionevoli, perché il nostro partito ha sempre apprezzato molto la libertà di discussione. Anche se Bernstein non avesse meritato tanta stima per la sua partecipazione nella nostra lotta, e per il fatto che si è dovuto esiliare a causa delle sue attività di partito, comunque non avremmo intenzione di espellerlo". [40]
La risposta di Rosa Luxemburg fu chiara. "Per quanto grande sia il nostro bisogno di autocritica e per quanto larghi siano i limiti tracciati, tuttavia, deve esistere un minimo di principi che costituisca la nostra energia e la nostra stessa esistenza, il fondamento della nostra cooperazione in quanto membri di un partito. Tra le nostre fila la 'libertà di critica' non può applicarsi a questi principi, poco numerosi e molto generali, giustamente perché sono la condizione preliminare di ogni attività nel Partito, e di conseguenza anche di ogni critica esercitata nei con fronti di questa attività. Non dobbiamo tapparci le orecchie quando questi stessi principi sono criticati da qualcuno che si trova all'infuori del nostro Partito. E’ da tempo che noi li consideriamo come il fondamento della nostra esistenza in quanto partito, per cui dobbiamo rimanerne legati e non lasciarli smantellare da nostri membri. Su questo argomento, possiamo solamente concedere una libertà: quella di appartenere o non al nostro Partito". [41]
L'implicazione logica de "l'assenza di posizione" di Kautsky, è che tutti potrebbero restare in seno al partito e difendere ciò che gli piace, che il programma sia edulcorato, che il partito diventi un "crogiuolo" di opinioni differenti e non la punta di lancia di una lotta determinata. L'atteggiamento di Kautsky mostrò che lui preferiva la fedeltà ad un amico alla difesa delle posizioni di classe. Nello stesso tempo, volle adottare la posizione di un "esperto" teorico. È vero che aveva scritto alcuni libri molto importanti e preziosi (vedere sotto), e che godeva della stima di Engels, ma, come rilevò Luxemburg in una lettera a Jogiches: "Karl Kautsky si limita alla teoria" [42]. Preferendo astenersi da ogni partecipazione alla lotta per la difesa dell'organizzazione e del suo programma, Kautsky perse progressivamente ogni atteggiamento combattivo, e ciò significava che poneva ciò che considerava come i suoi obblighi verso i suoi amici al di sopra di ogni obbligo morale verso la sua organizzazione ed i suoi principi. Ciò portò a che la teoria venisse staccata dall'azione pratica e concreta: per esempio, il prezioso lavoro di Kautsky sull'etica, in particolare il capitolo sull'internazionalismo, non era legato ad una difesa indissolubile dell'internazionalismo nell'azione.
C'è un contrasto sorprendente tra gli atteggiamenti di Kautsky nei confronti di Bernstein e quello di Rosa Luxemburg nei confronti di Kautsky. Al suo arrivo a Berlino, Luxemburg intrattenne relazioni strette con Kautsky e la sua famiglia. Ma rapidamente sentì che la grande stima che la famiglia di Kautsky le mostrava diventava per lei un fardello. Già nel 1899 si lamentò con Jogiches: "Comincio a schivare le loro belle parole. I Kautsky mi considerano come facente parte della loro famiglia". (11/12/1899). "Io sento tutti questi segni di affetto (è molto benintenzionato verso di me, posso vederlo) come un terribile fardello, invece di un piacere. In effetti, ogni amicizia nata in età adulta e più ancora quando è basata sull'appartenenza al partito, è un fardello: vi impone certi obblighi, è una costrizione, ecc. E proprio questo aspetto dell'amicizia che è un handicap. Dopo la redazione di ogni articolo, mi chiedo: non sarà deluso, ciò non comprometterà la nostra amicizia"? [43].
Lei era consapevole dei pericoli indotti da un atteggiamento fondato su delle affinità, dove le considerazioni di obbligo personale, di amicizia o di gusti comuni, oscurano il giudizio politico del militante ma, anche, quello che potremmo chiamare il suo giudizio morale, pronta a riconoscere se una linea di azione fosse conforme ai principi dell'organizzazione [44]. Tuttavia, Luxemburg osava confrontarsi apertamente con Kautsky: "Ho un problema fondamentale sul modo di affrontare le cose con Kautsky. In conclusione mi ha detto che fra vent'anni io la penserò come lui; ho risposto che se ciò dovesse accadere fra 20 anni io sarò diventata una zombie". [45]
All'epoca del Congresso di Lubecca nel 1901, Luxemburg fu accusata di deformare le posizioni degli altri compagni, un'accusa che ritenne diffamatoria e per la quale esigé un chiarimento pubblico. A questo scopo, presentò una dichiarazione da pubblicare nel Vorwärts [46]. Ma Kautsky, in nome della Neue Zeit, l'esortò a ritirare la sua richiesta di pubblicazione. Rispose a Kautsky: "Certamente, sono pronta a rinunciare a pubblicare la mia dichiarazione nella Neue Zeit, ma permettetemi di aggiungere alcune parole di spiegazione. Se fossi stata uno di quelli che, senza considerazione per nessuno, avessi protetto i miei diritti ed i miei interessi - e questi sono numerosi nel nostro partito – anzi, sono tutti così - insisterei naturalmente per la pubblicazione, perché voi stesso, in quanto redattore capo, ammettete che avete certi obblighi verso di me in questo affare. Ma, pure ammettendo quest'obbligo, ponete allo stesso tempo un revolver di esortazione e di domanda amichevole sul mio cuore e mi chiedete di non fare uso di quest'obbligo e dunque di non difendere i miei diritti. Ebbene sono nauseata all'idea di dovere insistere su questi diritti se questi sono concessi solamente a mezzo di sospiri e digrignar di denti e quando le persone mi afferrano non solo per il braccio nella speranza che "mi difenda" da sola, ma in più cercano di ridurmi in poltiglia, nella speranza che così sarò convinta a rinunciare ai miei diritti. Avete avuto ciò che cercate, siete libero di ogni obbligo verso me in questo affare.
Ma sembrerebbe che agiate nell'illusione che è unicamente per amicizia e nel mio interesse. Permettetemi di distruggere questa illusione. In quanto amico, avreste dovuto dirmi: 'vi consiglio, costi quel che costi e senza condizione, di difendere il vostro onore come redattore, perché scrittori più grandi (…) come Marx ed Engels, hanno scritto interi opuscoli, condotto guerre di penna senza fine, quando qualcuno aveva osato accusarli di falsificazione. Voi tanto più, come giovane scrittrice che ha molti nemici, dovete cercare di ottenere intera soddisfazione'... Ecco ciò che avreste dovuto consigliarmi in quanto amico. L'amica, tuttavia, è stata relegata velocemente in secondo piano dal redattore capo della Neue Zeit, e quest'ultimo ha solamente un desiderio dopo il Congresso del partito [di Lubecca]; vuole la pace, vuole mostrare che la Neue Zeit ha appreso la lezione dopo avere ricevuto una batosta, ha imparato a chiudere la bocca [47]. Ed è per tali ragioni che i diritti essenziali di un redattore capo aggiunto e collaboratore regolare... devono essere sacrificati. Permettiamo che un collaboratore della Neue Zeit - che non fa certamente il peggiore lavoro - ingoia anche un'accusa pubblica di falsificazione purché la pace e la calma siano mantenuti! Ecco come stanno le cose, amico mio! Ed adesso con i migliori saluti, vostra Rosa" [48].
Qui, vediamo una giovane rivoluzionaria, determinata, e per di più donna, dichiarare che l'autorità di un "anziano", l'autorità "ortodossa", esperta, dovrebbe assumersi la propria responsabilità in prima persona. Kautsky rispose a Luxemburg: "Vedete, noi non dovremmo contrariare le persone della frazione parlamentare, non dovremmo dare l'impressione che li si prende con arroganza. Se voi desiderate inviare loro un suggerimento, è preferibile farlo con una lettera privata che sarà molto più efficace" [49]. Ma Rosa Luxemburg tentò di "rianimargli" il suo spirito combattivo: "Veramente voi dovreste battervi con le viscere e con gioia, e non come se si trattasse di un intermezzo noioso; il pubblico è sempre sensibile allo stato di spirito combattivo e la gioia della lotta dà risonanza alla controversia, ed assicura la superiorità morale" [50]. Questo atteggiamento di non volere disturbare il corso normale della vita del partito, di non prendere posizione nel dibattito, di non spingere al chiarimento delle divergenze, di evitare il dibattito e di tollerare i revisionisti, allontanava Rosa Luxemburg e mostrava chiaramente fino a che punto la perdita della combattività, della morale, la perdita di convinzione, di determinazione, erano diventate la caratteristica dominante dell'atteggiamento di Kautsky: "Ho appena letto il suo [articolo] "Nazionalismo ed internazionalismo" era orribile e dava la nausea. Presto non sarò più capace di leggere uno solo dei suoi scritti. Ho l'impressione che una ragnatela nauseabonda mi ricopra la testa"... [51]. "Kautsky diventa sempre più duro da mandare giù. È sempre più fossilizzato, non ha più alcuna preoccupazione umana verso chiunque, salvo la sua famiglia. Mi sento veramente a disagio con lui". [52]
L'atteggiamento di Kautsky può così considerarsi all’opposto di quello di Luxemburg e Léo Jogiches. Dopo la rottura della relazione di Rosa Luxemburg con Léo Jogiches nel 1906 (che le causò non solo uno stress ed un immenso dolore ma anche una grande delusione verso di lui come compagno di vita), sono entrambi rimasti molto vicino come compagni di lotta fino al giorno dell'assassinio di Rosa. Malgrado i profondi rancori personali, la delusione e la gelosia, questi sentimenti emozionali profondi consecutivi alla rottura della loro relazione non hanno mai impedito loro di essere fianco a fianco nella lotta politica.
Si potrebbe obiettare che, nel caso di Kautsky, l’atteggiamento di quest’ultimo rifletteva solo la sua mancanza di personalità ed il suo carattere, ma è più corretto dire che egli personificava la putrefazione morale in seno alla socialdemocrazia nel suo insieme.
Luxemburg fu costretta, fin dall'inizio, a far fronte alla resistenza della "vecchia guardia". Quando criticò la politica revisionista all'epoca del Congresso di Stoccarda 1898, "Vollmar mi ha rimproverato amaramente, in quanto giovane del movimento, di volere dare delle lezioni ai vecchi veterani (...) Ma se Vollmar risponde alle mie argomentazioni con un 'voi inesperta, potrei essere vostro nonno', in questo non vedo altro se non la prova che è a corto di argomenti". [53]. Per quanto riguarda l'indebolimento della combattività dei veterani più centristi, in un articolo redatto dopo il Congresso del 1898, lei dichiarò che: "Avremmo preferito che i vecchi combattenti avessero ripreso la lotta fin dall'inizio del dibattito (...) Se il dibattito è decollato, non è a causa, ma a dispetto del comportamento dei leader del partito (...) Abbandonando il dibattito alla sua sorte, guardando passivamente per due giorni per vedere in che direzione avrebbe soffiato il vento ed intervenendo solamente quando i portavoce dell'opportunismo sono stati obbligati a mostrarsi alla luce del giorno, poi facendo delle osservazioni sarcastiche sul tono tagliente di quelli di cui si difende poi il punto di vista, è una tattica che non proietta una buona immagine dei dirigenti del partito. E le spiegazioni di Kautsky in quanto alle ragioni per le quali non ha fatto finora dichiarazione pubblica sulla teoria di Bernstein, perché voleva riservarsi il diritto di dire l'ultima parola durante un possibile dibattito, per la verità non danno alcuna idea di una buona scusa. A febbraio, pubblica l'articolo di Bernstein senza alcun commento editoriale nella Neue Zeit, poi resta muto per 4 mesi, in giugno, apre le discussioni con alcuni complimenti al "nuovo" punto di vista di Bernstein, questa nuova copia mediocre di socialista da camera, poi di nuovo, resta muto per 4 mesi, lascia cominciare il Congresso del partito, poi dichiara durante il dibattito che preferirebbe fare le osservazioni finali.
Preferiremmo che il "teorico di ufficio" intervenisse sempre nei dibattimenti e non accontentarsi di fare la conclusione di queste questioni cruciali; che non dia l'impressione erronea ed ingannatrice che, per molto tempo, non abbia saputo ciò che doveva dire." [54]
Così, molti membri della vecchia guardia che avevano combattuto sotto le condizioni della Legge anti-socialista, furono disarmati dal peso del democratismo e del riformismo. Furono incapaci di comprendere il nuovo periodo e cominciarono a teorizzare l'abbandono dell'obiettivo socialista. Al posto di trasmettere le lezioni della lotta condotta durante le condizioni della Legge anti-socialista ad una nuova generazione, avevano perso la loro combattività. E la corrente centrista che si nascondeva ed evitava il combattimento, evitando la battaglia aperta contro l'opportunismo, apriva la via alla salita della destra.
Mentre i centristi evitarono la lotta, l'ala sinistra intorno a Luxemburg mostrò il suo spirito combattivo ed era pronta ad assumersi le proprie responsabilità. Vedendo che in realtà "lo stesso Bebel è diventato già vecchio e lascia andare le cose; è alleggerito se altri lottano, ma lui stesso non ha né l'energia né lo slancio per prendere l'iniziativa. K [Kautsky] si limita alla teoria, nessuno si assume alcuna responsabilità". [55] "Ciò significa che il partito è su una cattiva strada (...) Nessuno lo dirige, nessuno si prende responsabilità". L'ala sinistra mirava a guadagnare più influenza ed era convinta della necessità di agire come punta di lancia. Luxemburg scrisse a Jogiches: "Ancora un anno di lavoro perseverante, positivo e la mia posizione sarà forte. Per il momento non posso attenuare il taglio del mio discorso, perché dobbiamo difendere la posizione più intransigente" [56]. Questa influenza non doveva essere ottenuta al prezzo di una diluizione delle posizioni.
Convinta della necessità di una leadership determinata e che avrebbe potuto affrontare la resistenza degli esitanti, volle spronare il partito. "Una persona, che in più non appartiene alla cricca al potere, che non vuole contare sul sostegno di nessuno ma utilizza solamente i suoi gomiti, una persona preoccupata non solo dell'avvenire a causa di avversari così scoperti come Auer e Co. ma anche degli alleati (Bebel, Kautsky, Singer), una persona che è meglio tenere a distanza perché potrebbe superarli di molto (…) Non ho alcuna intenzione di limitarmi a criticare. Al contrario, veramente ho l'intenzione ed il desiderio di "spronare" in modo positivo, non gli individui ma il movimento nel suo insieme... di mostrare vie nuove, di combattere, di non agitarsi inutilmente - in una parola, di essere uno stimolo permanente per l'insieme del movimento" [57]. Nell'ottobre del 1905, Luxemburg si vide proporre la possibilità di partecipare al Comitato di redazione del Vorwärts. Fu intransigente su una possibile censura delle sue posizioni. "Se a causa dei miei articoli c'è un conflitto con la direzione o con il Comitato di redazione, non sarò la sola a lasciarlo, ma è l'insieme della sinistra che esprimerà la sua solidarietà e lascerà il Vorwärts, ed il Comitato di redazione sarà spazzato via". Per un breve periodo, la sinistra guadagnò una certa influenza.
Il processo di degenerazione del partito non fu contrassegnato solamente dai tentativi aperti di abbandono delle posizioni programmatiche e per la mancanza di combattività di larghi settori al suo interno. Sotto la superficie, esisteva in modo permanente una corrente fatta di rancori meschini e di denigrazioni personali, diretti contro coloro che difendevano nella maniera più intransigente i principi dell'organizzazione e perturbavano la facciata di unità. L'atteggiamento di Kautsky nei confronti della critica di Luxemburg a Bernstein, per esempio, era ambivalente. Malgrado le sue relazioni di amicizia con Luxemburg, poteva tuttavia scrivere a Bernstein: "Questa maligna creatura Luxemburg è scontenta della tregua fino alla pubblicazione del vostro opuscolo, ogni giorno, infligge un altro colpo alle tattiche [58].
Talvolta, come vedremo, questa corrente sotterranea emergeva in superficie attraverso accuse calunniose ed attacchi personali.
È soprattutto la destra che reagiva personalizzando e facendo de "il nemico" in seno al partito un capro espiatorio. Mentre un chiarimento delle divergenze profonde attraverso un confronto aperto era necessario, la destra, al posto di portare degli argomenti al dibattito, arretrò e si mise a calunniare i membri più importanti della sinistra.
Mostrando un chiaro sentimento di inferiorità sul piano teorico, i membri della destra diffusero insinuazioni calunniose in particolare su Luxemburg, facendo commenti maschilisti ed insinuazioni sulla sua vita sentimentale e le sue "sfortunate" relazioni sociali (la sua relazione con Léo Jogiches non era conosciuta dal partito): "Questa vecchia ragazza intelligente e meschina verrà lo stesso ad Hannover. La rispetto e ritengo che lei sia più brava di Parvus. Ma mi detesta dal fondo del suo cuore". [59]
Il segretario dell'ala destra del partito, Ignaz Auer, disse a Bernstein:"Anche se non siamo uguali ai nostri avversari, perché nessuno è in grado di giocare un grande ruolo, non cediamo contro la retorica ed i propositi ingiuriosi. Ma se ci fosse "proprio" un divorzio, che nessuno considera del resto seriamente, Clara [Zetkin] e Rosa si ritroverebbero sole. Neanche i loro [innamorati] prenderebbero la loro difesa, né i vecchi né gli attuali". [60]
Lo stesso Auer non esitò ad utilizzare toni xenofobi; diceva che "i principali attacchi contro Bernstein ed i suoi sostenitori e contro Schippel non provenivano dai compagni tedeschi o comunque dal movimento in Germania. Le attività di queste persone, in particolare della Sig.ra Rosa Luxemburg, sono state sleali e non bene accolte tra i compagni" [61].
Questo tipo di tono xenofobo – specialmente contro Luxemburg che era di origine ebraica - diventerà un fattore permanente della campagna della destra che si evolverà in modo sempre più violento durante gli anni che precederanno la Prima Guerra mondiale. [62]
L'ala destra del partito scrisse anche commenti satirici o testi su Luxemburg [63]. Luxemburg ed altre personalità di sinistra erano già state prese di mira in una maniera particolarmente meschina in Polonia. Paul Frölich riporta, nella sua biografia di Luxemburg, che molte calunnie furono lanciate contro personalità di sinistra come Warski e Luxemburg. Luxemburg fu accusata di essere pagata dall'ufficiale di polizia di Varsavia, Markgrafski, quando pubblicò un articolo sulla questione dell'autonomia nazionale; fu ancora accusata di essere un agente al soldo dell'Okhrana, la polizia segreta russa. [64]
Rosa Luxemburg fu sempre più nauseata dall'ambiente in seno al partito. "Ogni contatto più stretto con la gang del partito crea un tale sentimento di malessere che ogni volta sono determinata a dire: a tre miglia marine dal punto più basso della bassa marea! Dopo essere stata con loro, sento un tale odore di sporcizia, provo una tale impotenza caratteriale, una tale meschinità, che mi precipito a rientrare nella mia tana di topo". [65]
Era il 1899, ma dieci anni più tardi, la sua opinione sul comportamento dei dirigenti del partito non migliorò. "Dopo tutto, provate a restare calmi e a non dimenticare che all'infuori della direzione del partito e dei furfanti del tipo Zietz, ci sono ancora molte cose belle e pure. Oltre all'inumanità immediata, lui [Zietz] manifesta un sintomo doloroso della miseria generale in cui è sprofondata la nostra "leadership", il sintomo di uno stato d'animo spaventoso e terribilmente povero. Ancora una volta, io spero, che quest’alga in decomposizione verrà spazzata via da un'onda spumeggiante" [66].
Ed espresse spesso la sua indignazione di fronte all'atmosfera burocratica soffocante in seno al partito: "Talvolta mi sento proprio miserabile qui e ho voglia di fuggire dalla Germania. In qualsiasi villaggio della Siberia di cui avete voglia di parlare, c'è più umanità che nell'insieme della socialdemocrazia tedesca". [67] Questo atteggiamento di designare capri espiatori miranti a distruggere la reputazione della sinistra seminò i germi del futuro assassinio di Rosa Luxemburg da parte dei Corpi Franchi che la trucidarono, a gennaio 1919, su ordine del SPD. Il tono adoperato contro di lei in seno al partito preparò l'atmosfera di pogrom contro i rivoluzionari durante l'ondata rivoluzionaria del 1918-1923. La diffamazione che, poco a poco, si era infiltrata nel partito e l'assenza di indignazione rispetto a questo argomento, in particolare da parte del centro, contribuirono a disarmare moralmente il partito.
Oltre a creare capri espiatori, personalizzare e condurre attacchi xenofobi, le differenti istanze del partito, sotto l'influenza della destra, cominciarono a censurare gli articoli della sinistra ed in particolare della Luxemburg. Soprattutto dopo il 1905, nel momento in cui la questione dell'azione di massa era all'ordine del giorno (vedere sotto), il partito tendeva sempre più ad imbavagliare Rosa Luxemburg ed impedire la pubblicazione dei suoi articoli sulla questione dello sciopero di massa e dell'esperienza russa. Sebbene la sinistra disponesse di bastioni in certe città [68], l'insieme dell'ala destra dell'apparato del partito tentava di impedire la propagazione delle posizioni di Rosa Luxemburg nell'organo centrale del partito, il Vorwärts: "Dobbiamo purtroppo declinare il vostro articolo dato che, conformemente ad un accordo tra gli esecutivi del partito, il Consiglio esecutivo dell'organizzazione provinciale prussiana [del SPD] ed il redattore capo, ci impedisce per il momento di esaminare la questione dello sciopero di massa nel Vorwärts". [69]
Come vedremo, il declino morale e l'indebolimento della solidarietà in seno al partito ebbero un effetto nocivo quando le tensioni imperialistiche si acuirono, mentre la sinistra insisteva sulla necessità di rispondervi attraverso un'azione di massa.
Anche Franz Mehring, personalità molto conosciuta e rispettata della sinistra, fu egualmente e spesso attaccato. Ma, contrariamente a Rosa Luxemburg, lui si offendeva facilmente e tendeva a ritirarsi dalla lotta se riteneva di essere stato attaccato ingiustamente. Per esempio, prima del Congresso del partito a Dresda nel 1903, Mehring aveva denunciato l'incompatibilità, per dei socialdemocratici, di essere affiliati al partito e, allo stesso tempo, scrivere nella stampa borghese. Gli opportunisti gli lanciarono contro una campagna diffamatoria. Mehring si appellò al tribunale del partito. Questo si riunì ed emise un "giudizio clemente" contro gli opportunisti. Ma, dal momento che su di lui aumentava sempre più la pressione crescente della destra, Mehring tese a ritirarsi dalla stampa del partito. Luxemburg insisté affinché resistesse alla pressione della destra ed alle sue calunnie: "Voi avvertite sicuramente che ci avviciniamo sempre più ai momenti in cui le masse del partito avranno bisogno di una direzione energica, spietata e generosa e che, senza di voi, i nostri poteri, cioè l'esecutivo, l'organo centrale, le primarie al Reichstag ed il 'giornale scientifico', diventeranno sempre più pietosi, meschini e vili. È chiaro che ci accingiamo a far fronte a questo attraente avvenire, e noi dobbiamo occupare e tenere tutte le posizioni che ci permettono di neutralizzare la direzione ufficiale esercitando il diritto di criticare. (…) È nostro dovere dunque resistere e non favorire i padroni ufficiali del partito ritirandoci dal gioco. Dobbiamo accettare le lotte e le frizioni continue, particolarmente quando qualcuno ha attaccato questo santo dei santi, il cretinismo parlamentare, così fortemente come l'avete fatto voi. Ma a dispetto di tutto, non cedere di un passo sembra essere la giusta parola d'ordine. La Neue Zeit non deve essere consegnata tutta intera alla senilità ed alla burocrazia". [70]
Nel momento in cui si apriva un nuovo secolo, il fondamento sul quale revisionisti e riformisti avevano basato la loro teoria e la loro pratica cominciò a sgretolarsi.
Superficialmente ed a dispetto di difficoltà occasionali, la salute dell'economia capitalista sembrava robusta; continuava irresistibilmente ad espandersi nelle ultime regioni ancora libere dalle potenze imperialiste, in particolare Africa e Cina. L'espansione del capitalismo aveva raggiunto nel mondo intero uno stadio in cui le potenze imperialiste non potevano estendere oltre la loro influenza se non a scapito delle loro rivali. Tutte le grandi potenze si trovarono costrette sempre più in una corsa agli armamenti senza precedenti, la Germania in particolare si era impegnata in un programma di rafforzamento massiccio della sua marina da guerra. Benché in quel periodo pochi se ne resero conto, l'anno 1905 segnò una svolta: un conflitto tra due grandi potenze condusse ad una guerra a grande scala, e la guerra condusse alla prima grande apparizione rivoluzionaria della classe operaia.
La guerra esordì nel 1904 tra Russia e Giappone per il controllo della penisola coreana. La Russia subì un’umiliante sconfitta, e gli scioperi di gennaio 1905 furono una reazione diretta contro gli effetti della guerra. Per la prima volta nella storia, una gigantesca ondata di scioperi massicci scosse un intero paese. Il fenomeno non si limitò alla Russia. Anche se non in modo così massiccio, con rivendicazioni ed in contesti differenti, movimenti di sciopero simili esplosero in una serie di paesi europei: nel 1902 in Belgio, nel 1903 in Olanda, nel 1905 nella regione della Ruhr in Germania e in Olanda. Un certo numero di scioperi selvaggi massicci ebbe luogo anche negli Stati Uniti tra il 1900 ed il 1906, in particole nelle miniere di carbone in Pennsylvania. In Germania, Rosa Luxemburg - agitatrice e giornalista rivoluzionaria per il partito tedesco e membro del Comitato Centrale del SDKPiL [71] seguì attentamente le lotte in Russia ed in Polonia [72]. Nel dicembre 1905, essa ritenne che non poteva restare più in Germania come semplice osservatrice e partì per la Polonia per partecipare direttamente al movimento. Fortemente coinvolta giorno per giorno al processo della lotta di classe e all'agitazione rivoluzionaria, fu testimone diretto della nuova dinamica di sviluppo dello sciopero di massa [73]. Con altre forze rivoluzionarie, cominciò a trarne le lezioni. Nello stesso momento in cui Trotsky scriveva il suo celebre libro sul 1905, in cui metteva in evidenza il ruolo dei consigli operai, Luxemburg nel suo testo, Sciopero di massa, partito e sindacati [74] sottolineò l'importanza storica della "nascita dello sciopero di massa" e le sue conseguenze per la classe operaia a livello internazionale. Il suo testo sullo sciopero di massa fu un primo testo programmatico delle correnti di sinistra nella 2a Internazionale, mirante a tirare le più ampie lezioni ed a sottolineare l'importanza di un'azione autonoma, massiccia della classe operaia. [75]
La teoria di Luxemburg dello sciopero di massa andò completamente contro la visione della lotta di classe generalmente accettata dal partito e dai sindacati. Per i secondi, la lotta di classe era un poco come una campagna militare nella quale lo scontro doveva essere ricercato solo dopo che l'esercito avesse riunito una forza schiacciante, ed i dirigenti dei sindacati e del partito dovevano agire come uno Stato Maggiore generale che dirigesse la massa dei lavoratori. Tutto ciò era molto distante dall'insistenza della Luxemburg sull'autoattività creatrice delle masse, ed ogni idea secondo la quale gli stessi lavoratori potrebbero agire indipendentemente dalla direzione rappresentava un anatema per i dirigenti sindacali che, nel 1905, per la prima volta si dovettero scontrare con la prospettiva di essere sommersi da un'ondata massiccia di lotte autonome. La reazione dell'ala destra del SPD e della direzione sindacale fu semplicemente quella di vietare ogni discussione sulla questione. Al Congresso dei sindacati nel maggio 1905 a Colonia, venne rigettata ogni discussione sullo sciopero di massa come "riprovevole" [76] e si giunse a dire che "il Congresso dei Sindacati raccomanda a tutti i lavoratori organizzati di opporsi energicamente a ciò [la propagazione dello sciopero di massa]". Questo atteggiamento annunciava la cooperazione del SPD e dei sindacati con la classe dirigente nella lotta contro la rivoluzione.
Anche la borghesia tedesca aveva seguito il movimento con attenzione per impedire innanzitutto ai lavoratori tedeschi di "copiare l'esempio russo". A causa del suo discorso sullo sciopero di massa al Congresso del SPD di Iena nel 1905, Rosa Luxemburg fu accusata "di incitamento alla violenza" e fu condannata a due mesi di prigione. Kautsky, nello stesso tempo, tentò di minimizzare l'importanza dello sciopero di massa, insistendo sul fatto che esso era innanzitutto un prodotto di condizioni arretrate della Russia e pertanto non poteva essere applicato in un paese avanzato come la Germania. Utilizzò "il termine 'Metodo russo' come simbolo della mancanza di organizzazione, di primitivismo, di caos, di ferocia" [77].
Nel suo libro del 1909, Le strade del potere, Kautsky affermò che "l'azione di massa è una strategia obsoleta per rovesciare il nemico" e la oppose alla strategia di "guerra di logoramento" da lui proposta. [78]
Negando di considerare lo sciopero di massa come una valida prospettiva per la classe operaia mondiale, Kautsky attaccò la posizione della Luxemburg come se si trattasse di un semplice ghiribizzo personale di quest'ultima. Kautsky scrisse a Luxemburg: "Non ho il tempo di spiegarvi le ragioni che Marx ed Engels, Bebel e Liebknecht hanno considerato come sostanziali. In breve, ciò che voi volete è un genere totalmente nuovo di agitazione, che finora abbiamo sempre rifiutato. Ma questa nuova agitazione è di una natura tale che non conviene dibatterla in pubblico. Se pubblicassimo l'articolo, agireste per conto vostro, come un individuo e proclamereste un'agitazione ed un'azione totalmente nuova, sempre rigettata dal partito. Una sola persona, qualunque sia il suo stato, non può agire per proprio conto e creare così un fatto compiuto, ciò che avrebbe delle conseguenze imprevedibili per il partito".[79]
Luxemburg rigettò il tentativo di presentare l'analisi e l'importanza dello sciopero di massa come una "politica personale" [80]. Sebbene i rivoluzionari debbano riconoscere l'esistenza di condizioni differenti in differenti paesi, devono però innanzitutto afferrare la dinamica globale dell'evoluzione delle condizioni della lotta di classe, in particolare le tendenze che annunciano l'avvenire. Kautsky si opponeva a "l'esperienza russa" considerata come espressione dell'arretramento della Russia, rifiutando così indirettamente la solidarietà internazionale e diffondendo un punto di vista impregnato di pregiudizi nazionali, pretendendo che i lavoratori in Germania con i loro potenti sindacati fossero più avanzati ed i loro metodi "superiori" ... e ciò in un momento in cui i dirigenti sindacali già combattevano lo sciopero di massa e l'azione autonoma del proletariato! E quando Luxemburg fu mandata in prigione per avere fatto la propaganda allo sciopero di massa, Kautsky ed i suoi sostenitori non mostrarono alcun segno di indignazione e non protestarono.
Luxemburg, che non voleva essere ridotta al silenzio da questi tentativi di censura, rimproverò alla direzione del partito di concentrare ogni sua attenzione sulla preparazione delle elezioni: "Tutte le questioni di tattica dovrebbero essere soffocate dal delirio di gioia intorno ai nostri successi elettorali attuali e futuri? Il Vorwärts crede veramente che l'approfondimento e la riflessione politica di larghi strati del partito potrebbero essere favoriti da questa atmosfera permanente di acclamazione dei futuri successi elettorali un anno, forse un anno e mezzo prima della tenuta delle elezioni e facendo tacere ogni autocritica in seno al partito? [81]
Oltre Rosa Luxemburg, il più critico della "strategia di logorio" di Kautsky fu Anton Pannekoek. Nel suo libro "Differenze tattiche nel movimento operaio" [82] Pannekoek intraprese una critica fondamentale e sistematica dei "vecchi attrezzi" del parlamentarismo e della lotta sindacale. Pannekoek divenne così la vittima della censura e della repressione in seno alla Socialdemocrazia e all'apparato sindacale e perse anche il suo impiego alla scuola del partito. Sempre più, sia gli articoli di Luxemburg che quelli di Pannekoek vennero censurati dalla stampa del partito. Nel novembre 1911, per la prima volta, Kautsky impedì la pubblicazione di un articolo di Pannekoek nella Neue Zeit. [83]
Così, gli scioperi di massa del 1905 costrinsero la direzione del SPD a mostrare il suo vero volto ed ad opporsi ad ogni mobilitazione della classe operaia che tentava di riprendere sul suo conto l'esperienza "russa". Molti anni prima dello scoppio della Guerra, i dirigenti sindacali erano diventati un bastione del capitalismo. L'argomento consistente nel "prendere in conto condizioni differenti della lotta di classe" era in realtà un pretesto per rigettare la solidarietà internazionale, mentre l'ala destra della socialdemocrazia tentava di evocare timori ed anche di attizzare il risentimento nazionale nei confronti del "radicalismo russo"; ciò costituirà un'arma ideologica importante nella guerra che esploderà alcuni anni più tardi. Dopo il 1905, il centro, che fino a quel momento era stato esitante, fu attirato progressivamente e sempre più verso la destra. L'incapacità ed il rifiuto del centro a sostenere la lotta della sinistra nel partito volevano dire che la sinistra era più isolata in seno al partito.
Come sottolineò Luxemburg: "l'effetto pratico dell'intervento del compagno Kautsky si riduce dunque a questo: egli ha fornito una copertura teorica a quelli che, nel partito e nei sindacati, vivono con un sentimento di malessere la crescita impetuosa del movimento di massa e che desidererebbero mettervi un freno e riportarlo il più rapidamente possibile sulla buona vecchia e comoda strada della routine parlamentare e sindacale. Kautsky ha fornito un alibi ai loro scrupoli di coscienza, e ciò sotto l'egida di Marx ed Engels, ma anche un mezzo per rompere la schiena di un movimento di manifestazioni che lui pretendeva rendere 'sempre più potente'". [84]
Il Congresso dell'Internazionale a Stoccarda nel 1907 tentò di trarre le lezioni dalla guerra russo-giapponese e di far pesare l’intervento della classe operaia organizzata contro la minaccia crescente di guerra. Circa 60000 persone parteciparono ad una manifestazione dove gli oratori di più di una dozzina di paesi misero in guardia contro il pericolo di guerra. August Bebel propose una risoluzione contro il pericolo di guerra che però evitava la questione del militarismo come facente parte integrante del sistema capitalista e non menzionò la lotta dei lavoratori in Russia contro la guerra. Il Partito tedesco tentò di evitare di essere colpito da qualsiasi prescrizione in quanto alla sua azione in caso di guerra, sotto forma di uno sciopero generale innanzitutto. Luxemburg, Lenin e Martov proposero insieme un emendamento che dava un taglio più energico alla risoluzione: "Nel caso in cui scoppiasse la guerra, [i partiti socialisti] hanno il dovere di intervenire per farla cessare prontamente e di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare i più profondi strati popolari e aiutare a buttare giù il dominio capitalista" [85]. Al Congresso di Stoccarda si votò all'unanimità questa risoluzione, ma in seguito la maggioranza della 2a Internazionale non riuscì a rafforzare la sua opposizione ai crescenti preparativi di guerra. Il Congresso di Stoccarda è entrato nella storia come un esempio di dichiarazioni verbali senza azione della maggior parte dei partiti partecipanti [86]. Ma fu un momento importante di cooperazione tra le correnti dell'ala sinistra che, malgrado le loro divergenze su molte altre questioni, presero una posizione comune sulla questione della guerra.
A febbraio 1907, Karl Liebknecht pubblicò il suo libro Militarismo ed antimilitarismo con un'attenzione particolare per il movimento internazionale dei giovani, in cui denunciava in particolare il ruolo del militarismo tedesco. Nell'ottobre 1907, fu condannato a 18 mesi di prigione per alto tradimento. Durante lo stesso anno, un dirigente dell'ala destra del SPD, Noske, dichiarava in un discorso pronunciato al Reichstag che, in caso di una "guerra di difesa", la socialdemocrazia avrebbe sostenuto il governo e "difenderebbe la patria con grande passione.... il nostro atteggiamento nei confronti dell'esercito è determinato dal nostro parere sulla questione nazionale. Esigiamo l'autonomia di ogni nazione. Ma ciò significa che insistiamo anche sulla preservazione dell'autonomia del popolo tedesco. Siamo pienamente coscienti che è nostro dovere e nostro obbligo assicurarci che il popolo tedesco non sia spinto contro il muro da altri popoli" [87]. Si trattava dello stesso Noske che, nel 1918, sarebbe diventato il "cane sanguinario" (come lui stesso si definiva) della repressione che la SPD esercitò contro i lavoratori.
Nel 1911, la spedizione tedesca della cannoniera Panther ad Agadir provocò la seconda crisi marocchina con la Francia. La direzione del SPD aveva allora rinunciato ad ogni azione antimilitarista per evitare di mettere in pericolo il suo successo elettorale alle prossime elezioni del 1912. Quando Luxemburg denunciò questo atteggiamento, la direzione del SPD l'accusò di tradire i segreti del partito. Nell'agosto 1911, dopo molta esitazione e tentativi di eludere la questione, la direzione del partito distribuì un volantino che voleva essere una protesta contro la politica dell'imperialismo tedesco in Marocco. Il volantino fu molto criticato da Luxemburg nel suo articolo il "Il nostro volantino sul Marocco" ignorando, come lei stessa scrisse [88], che Kautsky ne fosse l'autore. Kautsky rispose allora con un attacco molto personalizzato.
Luxemburg rispose: "Kautsky, lei disse, ha presentato la sua critica come 'un cattivo colpo di coltello nella schiena, un perfido attacco contro [Kautsky] in quanto persona'. (…) Il compagno Kautsky farà fatica a dubitare del mio coraggio nel fare apertamente fronte ad una persona, nel criticare o battermi direttamente contro qualcuno. Non ho mai attaccato nessuno tendendogli un'imboscata e rigetto fermamente l'idea del compagno Kautsky secondo la quale io già fossi a conoscenza dell’autore del volantino e che – anche senza nominarlo - l'avrei indicato. (…) Ma avrei fatto attenzione a non cominciare una polemica inutile con un compagno che reagisce in modo eccessivo con un tale diluvio di vituperazione personale, di amarezza e di sospetto contro una critica rigorosamente puntuale, sebbene forte, e che suppone un'intenzione personale, maligna, un letamaio dietro ogni parola della critica" [89]. Al Congresso del partito di Iena nel settembre 1911, la direzione del partito distribuì un opuscolo speciale contro Rosa Luxemburg, pieno di attacchi, accusandola di violazione di confidenzialità e di avere informato il Bureau socialista internazionale della 2a Internazionale della corrispondenza interna del SPD.
Sebbene nel suo libro del 1909, la strada del potere, Kautsky abbia avvertito che "la guerra mondiale si avvicinava pericolosamente", nel 1911 predisse che "tutti sarebbero diventati patrioti" quando la guerra fosse esplosa. E che se la Socialdemocrazia decidesse di andare contro corrente, sarebbe ridotta in briciole dalla folla in collera. Poneva le sue speranze di pace nei "paesi rappresentanti la civiltà europea" costituiti da alcuni Stati Uniti d'Europa. Nello stesso tempo, cominciò a sviluppare la sua teoria del "superimperialismo", basandola sull'idea che il conflitto imperialistico non è una conseguenza inevitabile dell'espansione capitalista, ma semplicemente una "politica" che gli Stati capitalisti illuminati potrebbero scegliere di rigettare. Kautsky già pensava che la guerra avrebbe potuto respingere le contraddizioni di classe e che l'azione di massa del proletariato sarebbe destinata all'insuccesso, che - come dirà quando la guerra esploderà - l'Internazionale era utile solamente in tempo di pace. Questo atteggiamento, consistente nell'essere cosciente del pericolo di guerra ma di inclinarsi davanti alla pressione nazionalista dominante schivando una lotta determinata, disarmava la classe operaia ed apriva la via al tradimento degli interessi del proletariato. Così, da una parte, Kautsky minimizzava il carattere esplosivo reale delle tensioni imperialistiche con la sua teoria del "superimperialismo" fallendo completamente nel percepire la determinazione delle classi dirigenti a preparare la guerra; e, d'altra parte, cedeva all'ideologia nazionalista del governo, e sempre più all'ala destra del SPD, piuttosto che affrontarla, per timore di un insuccesso elettorale del SPD. La sua spina dorsale, il suo spirito combattivo, erano scomparsi.
Allorquando risultava necessaria una denuncia determinata della preparazione della guerra, e l'ala sinistra faceva del suo meglio per organizzare riunioni pubbliche contro la guerra attirando a migliaia i partecipanti, la direzione del SPD si mobilitò fino all'esaurimento per le prossime elezioni legislative del 1912. Luxemburg denunciò il silenzio imposto sul pericolo di guerra come un tentativo opportunista di guadagnare seggi al Parlamento, sacrificando l'Internazionalismo per ottenere più voti.
Nel 1912, la minaccia per la pace rappresentata dalla seconda guerra balcanica condusse il Bureau socialista internazionale ad organizzare con urgenza un Congresso straordinario che si tenne a novembre a Basilea, in Svizzera, allo scopo di mobilitare la classe operaia internazionale contro il pericolo imminente di guerra. Luxemburg criticò il fatto che il partito tedesco si fosse limitato a mettersi in coda ai sindacati tedeschi che avevano organizzato alcune manifestazioni discrete, dimostrando che il partito come organo politico della classe operaia aveva manifestato solo un interesse puramente formale alla denuncia della guerra. Mentre alcuni partiti in altri paesi reagirono vigorosamente, il SPD, il più grande partito dei lavoratori del mondo, essenzialmente si ritirò dall'agitazione astenendosi anche dalle proteste più energiche sul piano della mobilitazione. In realtà, il Congresso di Basilea che, ancora una volta, si concluse con una grande manifestazione ed un appello alla pace, servì a mascherare nei fatti la putrefazione ed il tradimento futuro di un gran numero di partiti membri dell'Internazionale.
Il 3 giugno 1913, la frazione parlamentare del SPD votò a favore di una tassa militare speciale: 37 deputati SPD che si opposero al voto di questa tassa furono ridotti al silenzio dal principio dalla disciplina della frazione parlamentare. La violazione aperta del motto "non un solo uomo, non un solo centesimo" per il sistema preparava il voto dei crediti di guerra da parte della frazione parlamentare nell'agosto 1914 [90]. Il declino morale del partito si rivelò anche nella reazione di Bebel. Nel 1870/71, August Bebel - così come Wilhelm Liebknecht (padre di Karl Liebknecht) - si era distinto per la sua opposizione risoluta alla guerra franco-prussiana. Adesso, quattro decenni più tardi, Bebel è stato incapace di adottare una posizione risoluta contro il pericolo di guerra [91].
Diventò sempre più evidente che, non solo la destra si accingeva a tradire apertamente, ma anche che i centristi vacillanti avevano perso ogni spirito di lotta ed erano falliti nell'opporsi alla preparazione alla guerra in un modo determinato. L'atteggiamento difeso dal più celebre rappresentante del "centro", Kautsky, secondo cui il partito doveva adattare la sua posizione sulla questione della guerra in funzione delle reazioni della popolazione (sottomissione passiva se la maggioranza del paese si sottometteva al nazionalismo o un atteggiamento più risoluto se cresceva un'opposizione alla guerra), fu allora giustificato con il rischio di "isolarsi dalla maggior parte del partito". Quando, dopo il 1910, la corrente intorno a Kautsky pretese essere il "centro marxista", in opposizione alla sinistra (radicale, estremista, non marxista), Luxemburg etichettò questo "centro" di rappresentanti di vigliaccheria, di prudenza e di conservatorismo.
Il suo abbandono della lotta, la sua incapacità ad opporsi alla destra ed a seguire la sinistra nella sua lotta determinata, contribuì a disarmare i lavoratori. Così, il tradimento dell'agosto 1914 da parte della direzione del partito non fu una sorpresa; era stato preparato poco a poco in un processo frammentario. Il sostegno all'imperialismo tedesco diventò tangibile con i parecchi voti al Parlamento a sostegno dei crediti di guerra, negli sforzi che mirarono a bloccare le manifestazioni contro la guerra, nell'atteggiamento a favore dell'imperialismo tedesco e l'incatenamento della classe operaia al nazionalismo ed al patriottismo. Il processo di imbavagliamento dell'ala sinistra fu cruciale nell'abbandono dell'internazionalismo e per preparare la repressione dei rivoluzionari nel 1919.
Mentre la direzione del SPD aveva concentrato le sue attività sulle elezioni legislative, lo stesso partito, accecato dal successo elettorale, perdeva di vista l'obiettivo finale del movimento operaio. Il partito salutò l'apparente continua crescita dei suoi elettori, del numero dei suoi deputati e di quello dei lettori della stampa del partito. La crescita fu difatti impressionante: nel 1907, il SPD aveva 530000 membri; nel 1913, la cifra aveva più che superato 1,1 milione. Il SPD in realtà era il solo partito di massa della 2a Internazionale ed il più grande partito di qualsiasi parlamento europeo. Questa crescita numerica dava l'illusione di una grande forza. Lo stesso Lenin rimase molto sorpreso dalle "cifre impressionanti" relative all'impatto del partito, al numero dei suoi elettori e dei suoi membri [92].
Sebbene sia impossibile stabilire una relazione meccanica tra l'intransigenza politica ed i punteggi elettorali, le elezioni del 1907, quando il SPD condannava ancora la repressione barbara dell'imperialismo tedesco contro i sollevamenti degli Herero nel sud-ovest africano, si conclusero con una "sconfitta". Il SPD perse 38 seggi al Parlamento e si ritrovò "solamente" con 43 seggi. Nonostante la percentuale di voto globale del SPD fosse effettivamente aumentata, per la direzione del partito, questa sconfitta elettorale sembrò sancita dagli elettori ed innanzitutto da quelli della piccola borghesia, a causa della sua denuncia dell'imperialismo tedesco. La conclusione tratta fu che il SPD doveva evitare una opposizione intransigente all'imperialismo ed al nazionalismo, perché ciò gli avrebbe fatto perdere voti. Al contrario, il partito doveva concentrare tutte le sue forze sulla campagna per le prossime elezioni, anche se ciò significava censurare le discussioni al suo interno ed evitare qualsiasi cosa che rischiava di mettere in pericolo il suo punteggio elettorale. All'epoca delle elezioni del 1912, il partito ottenne 4,2 milioni voti (il 38,5% dei suffragi espressi) ed ottenne 110 seggi. Era diventato il più grande partito parlamentare, ma solamente seppellendo l'internazionalismo ed i principi della classe operaia. Nei parlamenti locali, aveva più di 11000 eletti. Il SPD contava 91 giornali e 1,5 milioni di abbonati. All'epoca delle elezioni del 1912, l'integrazione del SPD nel gioco della politica parlamentare andò ancora oltre poiché ritirò i suoi candidati in parecchi circoscrizioni a profitto del Partito popolare progressista (Fortschrittliche Volkspartei), sebbene questo partito appoggiasse incondizionatamente la politica dell'imperialismo tedesco. Durante questo tempo, il Sozialistische Monatshefte (in principio una pubblicazione indipendente del partito, ma in realtà l'organo teorico dei revisionisti) sostenne apertamente la politica coloniale della Germania e le rivendicazioni dell'imperialismo tedesco per una ridistribuzione delle colonie.
In effetti, la mobilitazione totale del partito per le elezioni legislative andò di pari in passo con la sua integrazione progressiva nell'apparato di Stato. Il voto indiretto per il bilancio a luglio 1910 [93], il rafforzamento della cooperazione con i partiti borghesi che fino a quel momento era stato un tabù, la rinuncia di candidati per fare eleggere deputati borghesi del Fortschrittliche Volkspartei, la designazione di un candidato per le elezioni municipali a Stoccarda - queste furono alcune delle tappe del percorso di partecipazione diretta del SPD nell'amministrazione dello Stato.
Questa tendenza globale ad un'interconnessione crescente tra le attività parlamentari del SPD e la sua identificazione con lo Stato fu fustigata dalla sinistra, in particolare da Anton Pannekoek e Rosa Luxemburg. Pannekoek dedicò tutto un libro alle Differenze tattiche in seno al movimento operaio. Luxemburg che era estremamente attenta all'effetto asfissiante del parlamentarismo, fece pressione per l'iniziativa e l'azione della base: "L'esecutivo più ideale di un partito non sarebbe in grado di giungere a niente, affonderebbe involontariamente nell'inefficacia burocratica, se la fonte naturale di energia, la volontà del partito, non si facessero sentire, se il pensiero critico, l'iniziativa della massa dei membri del partito fosse dormiente. In effetti era più di questo. Se la sua energia, la vita intellettuale indipendente della massa del partito, non è abbastanza attiva, le autorità centrali tendono allora non solo ad arrugginirsi nella burocrazia ma anche a farsi un'idea totalmente falsa della loro autorità e della loro posizione di forza all'interno del partito. Il più recente decreto detto "segreto" dell'esecutivo riguardante il personale editoriale del partito può servire da recente prova, un tentativo di prendere delle decisioni per la stampa del partito, che può solo essere rigettato nella maniera più severa. Tuttavia, anche qui, necessita precisare: contro l'inefficacia e le illusioni eccessive del potere delle autorità centrali del movimento operaio, non c'è altra strada che la sua propria iniziativa, il suo proprio pensiero e la vita politica fresca, palpitante della larga massa del partito" [94].
In effetti, Luxemburg insistette costantemente sulla necessità per la massa dei membri del partito di "svegliarsi" e di assumere la loro responsabilità contro la direzione del partito che degenerava. "Le grandi masse [del partito] devono attivarsi sulla propria strada, devono essere in grado di sviluppare la loro energia di massa, la loro condotta, devono diventare attive in quanto masse, agire, mostrare e sviluppare passione, coraggio e determinazione" [95].
"Ogni passo avanti nella lotta per l'emancipazione della classe operaia deve significare allo stesso tempo un'indipendenza intellettuale crescente della massa degli operai, la crescita della propria attività, l'autodeterminazione e l'iniziativa (...) Ciò è d'importanza vitale per lo sviluppo normale della vita politica nel partito, per tenere sveglio ed attivo il pensiero politico e la volontà della massa del partito. Abbiamo, certamente, la Conferenza annua del partito, la più alta istanza che fissa regolarmente la volontà di tutto il partito. Tuttavia, è evidente che le conferenze dei partiti possono solo dare grandi linee tattiche per la lotta socialdemocratica. L'applicazione di queste linee direttrici alla pratica esige un pensiero infaticabile e dell'iniziativa (...) Volere che un quadro del partito sia responsabile del compito enorme di vigilanza quotidiana e di iniziative politiche su un'organizzazione di quasi 1 milione di membri che aspettano passivamente di essere comandate, è la cosa più scorretta che ci sia dal punto di vista della lotta di classe proletaria. È probabilmente questa riprovevole "ubbidienza cieca" che, sicuramente, i nostri opportunisti vogliono vedere nella subordinazione che va da sé a tutte le decisioni del partito nel suo insieme" [96].
Il 4 Agosto 1914, la frazione parlamentare del SPD votò all'unanimità i crediti di guerra. La direzione del partito e della frazione parlamentare aveva preteso la "disciplina di frazione". La censura (censura dello Stato o autocensura?) e la falsa unità del partito seguivano la loro logica, tutto il contrario della responsabilità individuale. Il processo di degenerazione significava che la capacità di pensiero critico e di opposizione alla falsa unità del partito erano stati eliminati. I valori morali del partito furono sacrificati sull'altare del capitale. In nome della disciplina del partito, si esigeva l'abbandono dell'internazionalismo proletario. Karl Liebknecht il cui padre osò rigettare il sostegno ai crediti di guerra nel 1870, in quel momento cedette alle pressioni del Partito. Solo alcune settimane dopo, dopo un primo raggruppamento di compagni restati fedeli all'internazionalismo, si espresse apertamente contro il rigetto della mobilitazione per la guerra da parte della direzione del SPD. Ma il voto dei crediti di guerra da parte del SPD tedesco scatenò una valanga di sottomissione al nazionalismo in altri paesi europei. Con il tradimento del SPD, la 2a Internazionale firmò la sua condanna a morte e si disgregò.
L'ascesa della corrente opportunista e revisionista che era apparsa chiaramente nel più grande partito della 2a Internazionale, e che aveva abbandonato l'obiettivo del capovolgimento della società capitalista, significava che la vita proletaria, la combattività e l'indignazione morale erano sparite dal SPD, o almeno nei ranghi della sua direzione e della sua burocrazia. Allo stesso tempo, questo processo fu indissolubilmente legato alla degenerazione programmatica del SPD, visibile nel suo rifiuto di adottare le nuove armi della lotta delle classi, lo sciopero di massa e l'autoorganizzazione dei lavoratori, e nell'abbandono progressivo dell'internazionalismo. Il processo di degenerazione della socialdemocrazia tedesca che non fu un fenomeno isolato nella 2a Internazionale, condusse al suo tradimento nel 1914. Per la prima volta, un'organizzazione politica di lavoratori non aveva tradito solamente gli interessi della classe operaia, era diventata una delle armi più efficaci tra le mani della classe capitalista. La classe dirigente in Germania poteva contare oramai sull'autorità del SPD, e la fedeltà che essa aveva ispirato nella classe operaia, per scatenare una guerra e schiacciare la rivolta contro la guerra da parte dei lavoratori. Le lezioni della degenerazione della Socialdemocrazia restano dunque di un'importanza cruciale per i rivoluzionari di oggi.
Heinrich / Jens
[1] Con il 38,5% dei suffragi espressi, l’SPD ebbe 110 seggi al Reichstag.
[2] Karl Kautsky nacque a Praga nel 1854. Suo padre era capo decoratore e sua madre attrice e scrittrice. La famiglia si installò a Vienna quando Kautsky aveva 7 anni. Studiò all’università di Vienna e raggiunse il partito socialista austriaco (SPÖ) nel 1875. A partire dal 1880, dopo Zurigo, contribuì ad introdurre la letteratura socialista in Germania.
[3] August Bebel nacque nel 1840, in quella che è oggi una periferia di Colonia. Orfano a 13 anni, fece l’apprendista presso un carpentiere e, da ragazzo, viaggiò molto in Germania. Incontrò Wilhelm Liebknecht nel 1865, e fu impressionato immediatamente dalla sua esperienza internazionale. Nella sua autobiografia, Bebel ricorda di aver esclamato: “È un uomo da cui si può imparare qualcosa” (“Donnerwetter, von dem kann man das lernen”, Bebel, Aus Meinen Leben, Berlino 1946, citato in James Joll, La Seconda Internazionale). Con Liebknecht, Bebel divenne uno dei leader di primo piano della socialdemocrazia tedesca nei suoi primi anni.
[4] Questo lo si può vedere in particolare nel libro di Lenin, Un passo avanti e due indietro, sulla crisi del POSDR nel 1903. Parlando dei futuri Menscevichi, Lenin si esprime in questi termini: “Lo spirito di circolo e la sorprendente mancanza di maturità politica, che non può sopportare il vento fresco di un dibattito pubblico, appare qui in tutta la sua nettezza (…) Immaginate per un istante che una simile assurdità, che un litigio come la lagnanza di una “falsa accusa di opportunismo” si sia potuto produrre nel partito tedesco! L’organizzazione e la disciplina proletaria hanno da molto fatto dimenticare laggiù questa mollezza da intellettuali (…). Solo lo spirito di circolo più abitudinario, con la sua logica “un pugno in faccia o un baciamano, per favore”, ha potuto sollevare questa crisi d’isteria, questa vana disputa e questa scissione del Partito intorno ad una "falsa accusa di opportunismo" contro la maggioranza del gruppo Liberazione dal Lavoro". (Capitolo J, “Quelli che hanno sofferto per essere falsamente accusati di opportunismo”).
[5] Rosa Luxemburg, La crisi della Socialdemocrazia, anche conosciuta come Junius Brochure.
[6] Rosa Luxemburg. Ibidem
[7]Organo di stampa dell’SPD.
[8] Anche conosciuto come Partito eisenachiano, dal nome della sua città di fondazione, Eisenach.
[9] Primo Indirizzo del Consiglio Generale dell'AIT sulla guerra franco-tedesca.
https: / / www.marxists.org/francais/ait/1870/07/km18700723.htm [52]
[10] Una tendenza simile è sopravvissuta nel socialismo francese attraverso la nostalgia per il programma di "laboratori nazionali" che fece seguito al movimento rivoluzionario del 1848.
[11] Cf. Toni Offerman, in Between reform and revolution (Tra riforma e rivoluzione): German socialism and communism from (Socialismo e comunismo tedesco dal) 1840 al 1990, Berghahn Books, 1998, p. 96.
[12] È conosciuta oggi sotto il titolo di Critica del Programma di Gotha.
[13] Lettera di invio di Karl Marx a W. Bracke, il 5 maggio 1875. Nella Critica del Programma di Gotha.
[14] Engels, Sul Programma di Gotha. Lettera ad August Bebel. Marzo 1875.
[15] Citato in Aspects of internationale socialism (Aspetti del socialismo internazionale) 1871-1914. Cambridge University Press & Éditions della Casa delle Scienze dell'uomo (Maison des Sciences de l'Homme). Traduzione nostra.
[16] Il voto al Parlamento dei crediti di guerra ha costituito dunque una chiara violazione degli statuti e delle decisioni del congresso del SPD, come sottolineato da Rosa Luxemburg.
[17] Engels, Critica del progetto di programma socialdemocratico del 1891. II - Rivendicazioni politiche.
[18] Anche se l'autocrazia russa era più estrema, non bisogna dimenticare che l'equivalente russo del Reichstag, la Duma di Stato, non è stata appellata che sotto la pressione del movimento rivoluzionario del 1905.
[19] Vedere la rimarchevole biografia di Rosa Luxemburg di JP Nettl, p. 81 (edizione Schocken trasformata in un sunto dall'edizione Oxford University Press del 1969, con un saggio introduttivo di Hannah Arendt). In tutto questo articolo, le citazioni sono state prese dal sunto o dall'edizione integrale.
[20] È significativo che, mentre il partito tollerava il riformismo dell'ala destra, il circolo degli "Jungen" ("giovani") che aveva criticato violentemente l'evoluzione verso il parlamentarismo, venisse espulso dal partito all'epoca del Congresso di Erfurt. Se era vero che questo gruppo era essenzialmente un'opposizione intellettuale e letteraria con tendenze anarchiche (infatti, un certo numero dei suoi membri ha deviato verso l'anarchismo, dopo avere lasciato il SPD), è però anche significativo che il partito abbia reagito più duramente di fronte ad una critica della sinistra che di fronte alla pratica opportunista della destra.
[21] Cf. Jacques Droz, Storia generale del socialismo, p.41, Edizioni Quadrige/PUF, 1974.
[22] Lettera a Kautsky, 1896, citata da Droz, op. cit., p.42
[23] Il revisionismo di Bernstein non era in nessun caso un'eccezione isolata. In Francia, il socialista Millerand raggiungeva il governo Waldeck-Rousseau, affiancandosi al generale Gallifet, il boia della Comune di Parigi; una tendenza simile esisteva in Belgio; il movimento laburista britannico era dominato completamente dal riformismo e da un sindacalismo nazionalista limitato.
[24] "La questione coloniale (...) è una questione di propagazione della cultura e, finché esistono grandi differenze culturali, si tratta della propagazione, o piuttosto dell'affermazione, della cultura superiore. Perché, presto o tardi, capiterà inevitabilmente che le culture superiori ed inferiori entrino in collisione e, in ciò che riguarda questa collisione, questa lotta per l'esistenza tra le culture, la politica coloniale dei popoli colti deve essere valutata come un processo storico. Il fatto che generalmente altri scopi siano perseguiti con altri mezzi e forme che noi social-democratici condanniamo, può condurci in casi particolari a rigettarli ed a lottare contro, ma ciò non può costituire una ragione per cambiare il nostro giudizio in quanto alla necessità storica della colonizzazione". (Bernstein, 1907, citato in Discovering Imperialism, 2012, Haymarket Books, p. 41).
[25] Cf. Nettl, op. cit. p. 101
[26] Parvus, conosciuto anche con il nome di Alexander Helphand, era una figura strana e controversa nel movimento rivoluzionario. Dopo alcuni anni alla sinistra della socialdemocrazia in Germania, poi in Russia durante la rivoluzione del 1905, si trasferisce in Turchia dove creò una società di commercio in armamenti, arricchendosi grazie alla guerra dei Balcani e, allo stesso tempo, dando luogo, in quanto consigliere finanziario e politico, al movimento nazionalista "Giovani turchi", che editava la pubblicazione nazionalista Yurdu Turk. Durante la guerra, Parvus diventò un sostenitore aperto dell'imperialismo tedesco, con grande dispiacere di Trotsky che era stato molto influenzato dalle sue idee sulla "rivoluzione permanente" (Cf Deutscher, Il profeta armato, "La guerra e l'Internazionale").
[27] Citato in Nettl, op. cit., p.133.
[28] Parteitag der Sozialdemokratie (Congresso di partito della socialdemocrazia), Ottobre 1898 a Stoccarda, Rosa Luxemburg, Gesammelte Werke (Ges Werke – Opere raccolte), T. 1/1 p. 241. Traduzione nostra.
[29] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 1/1, p. 565, 29 settembre 1899. Traduzione nostra.
[30] Rosa Luxemburg, 1899, Ges. Werke, T. 1/1, p. 578, 9 -14. Ottobre. Traduzione nostra.
[31] August Bebel, Dresden (Desdra), 13 settembre 1903, citato da Luxemburg After the Jena Party congress (dopo il congresso del partito a Iena), Ges. Werke, T. 1/1, p.351. Traduzione nostra.
[32] "Unser leitendes Zentralorgan" (Il nostro organo centrale direttivo), Leipziger Volkszeitung (Giornale di Lipsia), 22 settembre 1899, Rosa Luxemburg in Ges. Werke, T. 1/1, p.558. Traduzione nostra
[33] Inoltre, Bernstein "aveva cominciato ad abbandonare lo scopo finale per il movimento. Ma poiché in pratica non può esistere un movimento socialista senza scopo socialista, lui è obbligato a rinunciare allo stesso movimento" (Riforma sociale o rivoluzione? Capitolo 4: Il crollo).
[34] "Sono molto riconoscente per la notizia. Essa mi aiuta a comprendere meglio gli orientamenti del partito. Certamente, era chiaro per me che Bernstein e le idee che ha presentato fino a questo momento non erano più in linea con il nostro programma, ma è doloroso che non possiamo più contare su di lui. Ma se voi ed il compagno Kautsky avevate questa valutazione, sono sorpresa che non abbiate messo a profitto l'atmosfera favorevole del Congresso per lanciare immediatamente un dibattito energico, ma che voi abbiate voluto incoraggiare Bernstein a scrivere un opuscolo, ciò che farà ritardare ancora più la discussione". Rosa Luxemburg, Ges. Briefe (raccolta di lettere), Bd 1, p.210, lettera a Bebel, 31 ottobre 1898. Traduzione nostra.
[35] Rosa Luxemburg. Ges. Briefe, Bd 1, p. 289, lettera a Léo Jogiches, 11 marzo 1899. Traduzione nostra.
[36] Kautsky a Bernstein, 29 luglio 1899, II SG-Kautsky-Nachlass, C. 227, C. 230, citato in Till Schelz-Brandenburg, Eduard Bernstein und Karl Kautsky, Entstehung und Wandlung dei sozialdemokratischen Parteimarxismus im Spiegel ihrer Korrespondenz (Nascita e trasformazione di socialdemocratici marxisti riflessa nella loro corrispondenza) 1879 bis 1932, Köln, 1992. Traduzione nostra.
[37] Rosa Luxemburg, "Parteifragen im Vorwärts" (Questioni future del partito), Ges. Werke, T. 1/1, p.564, 29 settembre 1899.
[38] Laschitza, Im Lebensrausch, Trotz Alledem, p.104, 27 ottobre 1898, Kautsky-Nachlass C 209: Kautsky e Bernstein. Traduzione nostra.
[39] Karl Kautsky a Victor Adler, 20 luglio 1905, in Victor Adler Briefwechsel (Corrispondenza), a.a.O. S. 463, citato in Till Schelz-Brandenburg, p.38. Traduzione nostra.
[40] Rosa Luxemburg - Ges. Werke, T. 1/1, p.528, citazione in "Kautsky zum Parteitag in Hannover" (Kautsky al congresso di partito ad Hannover), Neue Zeit 18, Stoccarda 1899-1900, 1. Bd. S. 12. Traduzione nostra.
[41] Rosa Luxemburg, "Libertà della critica e della scienza".
https: / / www.marxists.org/francais/luxembur/works/1899/rl189909.htm [53]
[42] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, T. 1, p. 279, lettera a Léo Jogiches, 3 marzo 1899. Traduzione nostra.
[43] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, T. 1, p. 426, Lettera a Léo Jogiches, 21 dicembre 1899. Traduzione nostra.
[44] Luxemburg fa un punto d'onore di apportare un suo sostegno totale, in quanto agitatrice (era un'oratrice pubblica molto richiesta), anche ai membri del partito che lei criticava molto, per esempio durante la campagna elettorale del revisionista Max Schippel.
[45] Rosa Luxemburg Ges. Briefe, T. 1, p. 491, Lettera a Léo Jogiches, 7 luglio 1890. Traduzione nostra.
[46] Rosa Luxemburg, Erklärung (Spiegazioni), Ges. Werke, T. 1/2, p. 146, 1 ottobre 1901.
[47] All'epoca del Congresso di Lubecca, la Neue Zeit e Kautsky in quanto redattore capo erano stati fortemente attaccati dagli opportunisti a causa della controversia sul revisionismo.
[48] JP Nettl, Rosa Luxemburg, Vol. 1, p. 192 (questa citazione è tratta dall'edizione integrale), Rosa Luxemburg, lettera a Kautsky, 3 ottobre 1901. Traduzione nostra.
[49] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, T. 1. P. 565, Lettera a Jogiches, 12 gennaio 1902. Traduzione nostra.
[50] Citato in Nettl, op. cit., p127. Traduzione nostra.
[51] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, T. 3, p. 358, Lettera a Kostja Zetkin, 27 giugno 1908. Traduzione nostra.
[52] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, T. 3, p. 57, Lettera a Kostja Zetkin, 1 agosto 1909. Traduzione nostra.
[53] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 1/1, p.239, p.245, - Parteitag der Sozialdemokratie 1898 Stoccarda, Ottobre 1898.
[54] Rosa Luxemburg, Ges. Werke Bd 1 1/1, S. 255, Nachbetrachtungen zum Parteitag (Osservazioni dopo il congresso di partito) 12-14. Ottobre 1898, Sächsische Arbeiter-Zeitung Dresden. Traduzione nostra.
[55] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, Bd 1, p.279, Lettera a Léo Jogiches, 3 marzo 1899. Traduzione nostra.
[56] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe Bd 1, p. 384, Lettera a Léo Jogiches, 24 settembre 1899. Traduzione nostra.
[57] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, Bd 1, p.322, lettera a Jogiches, 1 maggio 1899. Traduzione nostra.
[58] Kautsky a Bernstein, 29 ottobre 1898, IISG, Amsterdam, Kautsky-Nicholas, C 210. Traduzione nostra.
[59] Laschitza, Ibid, p.129, (Ignatz Auer in una lettera a Bernstein. Traduzione nostra. Nella sua Storia generale del socialismo, Giacomo Droz descrive Auer nel seguente modo: "È un 'praticone', un 'riformista' della pratica che si fa gloria di non conoscere altre dottrine, ma nazionalista al punto di esaltare davanti agli uditori socialisti l'annessione dell'Alsazia-Lorena e di opporsi alla ricostituzione della Polonia, e cinico fino a negare l'autorità dell'Internazionale; in effetti, copre l'orientamento dei Sozialistische Monatshefte (Fascicoli socialisti mensili) e favorisce attivamente lo sviluppo del riformismo". (p.41)
[60] Laschitza, ibid, p.130. Traduzione nostra.
[61] Laschitza, ibid, p.136, in Sächsische Arbeiterzeitung, 29 novembre 1899. Traduzione nostra.
[62] Rosa Luxemburg fu presto cosciente dell'ostilità nei suoi riguardi. All'epoca del Congresso del partito di Hannover nel 1899, la direzione non voleva lasciarle prendere la parola sulla questione delle dogane. Descrisse il suo atteggiamento in una lettera a Jogiches: "Faremmo meglio a regolare questo nel partito, cioé nel clan. Ecco come loro fanno funzionare le cose: se la casa brucia, hanno bisogno di un capro espiatorio (un giudeo), se l'incendio è stato spento, il giudeo è cacciato". (Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, Bd 1, p.317, lettera a Léo Jogiches, 27 aprile 1899).
Victor Adler scrive a Bebel nel 1910 che lei aveva "sufficientemente dei bassi istinti per provare un certo piacere per il fatto che Karl [Kautsky] soffra tra le mani dei suoi amici. Ma questo è proprio un danno - la cagna tossica va a fare ancora molti danni, tanto più che è intelligente quanto una scimmia mentre d'altra parte il suo senso delle responsabilità è totalmente assente e la sua sola motivazione è un desiderio quasi perverso di auto-giustificazione". (Nettl, 1, p.432, versione integrale, Victor Adler a Bebel, 5 agosto 1910). Traduzione nostra.
[63] Il giornale satirico settimanale Simplicissimus ha anche pubblicato una poesia cattiva diretta contro Luxemburg (Laschitza, 136, Simplicissimus, 4. Jahrgang, Nr.33, 1899/1900, S. 263).
[64] Frölich, Paul, "Gedanke und Tat" (Pensiero ed Azione), Rosa Luxemburg, Dietz-Verlag Berlino, 1990, p.62.
65. Rosa Luxemburg, Ges. Briefe Bd 1, S. 316, lettera a Léo Jogiches, 27 aprile 1899. Traduzione nostra.
[65] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe Bd 1, S. 316, lettera a Leo Jogiches, 27 avril 1899. Traduzione nostra.
[66] Rosa Luxemburg, Ges. Briefe, Bd 3 S. 89, lettera a Clara Zetkin, 29 septembre 1909. Traduzione nostra.
[67] Rosa Luxemburg Ges. Briefe, Bd 3, p.268, lettera a Kostja Zetkin, 30 novembre 1910. Nostra traduzione. Queste righe furono provocate dalla reazione filistea della direzione del partito ad un articolo che lei aveva scritto su Tolstoj, che era stato considerato fuori luogo (le discipline artistiche non erano importanti) e poco desiderato nella stampa del partito perché elogiava un artista che era russo e mistico.
[68] Visto che il partito aveva un gran numero di giornali, la maggior parte non erano sotto il controllo diretto della direzione di Berlino. La pubblicazione di articoli della corrente di sinistra dipendeva spesso dall'atteggiamento del Comitato di redazione locale. L'ala sinistra aveva maggiore pubblico a Lipsia, Stoccarda, Brema e Dortmund.
[69] Nettl 1, p.421 (edizione integrale). Traduzione nostra.
[70] Nettl, I, p.464 (edizione integrale). Traduzione nostra.
[71] Socialdemocrazia del regno di Polonia e della Lituania. Il partito fu stato fondato nel 1893 come socialdemocrazia del Regno di Polonia (SDKP), i suoi membri più conosciuti furono Rosa Luxemburg, Léo Jogiches, Julian Marchlewski ed Adolf Warszawski. In seguito divenne il SDKPiL con la fusione con il Sindacato dei lavoratori in Lituania diretto, tra altri, da Feliks Dzerzhinski. Una delle sue più importanti caratteristiche era il suo internazionalismo incrollabile, la sua convinzione che l'indipendenza nazionale polacca non era nell'interesse dei lavoratori e che al contrario il movimento operaio polacco dovrebbe allearsi strettamente con la socialdemocrazia russa ed in particolare con i bolscevichi. Ciò costituì continuamente un motivo di disaccordo col partito socialista polacco (PPS - Polska Partia Socjalistyczna) che adottò un orientamento sempre più nazionalista sotto la direzione di Josef Pilsudski, che diventò più tardi, come Mussolini, dittatore della Polonia.
[72] La Polonia, conviene ricordarlo, non esisteva come paese separato. Grande parte della Polonia storica faceva parte dell'impero degli zar, mentre altre parti erano stati assorbite dalla Germania e dall'Impero austroungarico.
[73] Fu arrestata a marzo 1906, con Léo Jogiches che era ritornato in Polonia. Poiché c'erano seri timori per la sua sicurezza, il SDKPiL fece sapere che avrebbe effettuato una rappresaglia fisica contro gli agenti del governo se l'avessero toccata. Una mescolanza di sotterfugio e di aiuto da parte della sua famiglia riuscì a tirarla fuori dai carceri zaristi, facendo ritornò in Germania. Jogiches fu condannato ad otto anni di lavori forzati ma riuscì ad evadere di prigione.
[74] Il testo integrale può essere trovato su marxists.org
[75] Vedere la serie di articoli sul 1905 nei numeri 120, 122, 123 e 125 della Revue Internationale (Rivista Internazionale in francese).
[76] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 2, p. 347.
[77] Rosa Luxemburg, "Das Offiziösentum der Theorie", Ges. Werke, T. 3, p.307, articolo pubblicato sulla Neue Zeit, 1912. Traduzione nostra.
[78] Il dibattito tra Kautsky, Luxemburg e Pannekoek è stato pubblicato in francese sotto il titolo Socialismo, la via occidentale, Stampe Universitarie di Francia, Parigi, 1983.
[79] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 2, p.380, "Theorie und die Praxis" (Teoria e Pratica), pubblicato nella Neue Zeit, 28. Jg, 1909/1910, in risposta all'articolo di Kautsky "Was nun? (Ora cosa?)". Traduzione nostra.
[80] Rosa Luxemburg, "Die Theorie und Praxis", Ges. Werke, T. 2, p.398.
[81] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 3, S. 441 "Die totgeschwiegene Wahlrechtsdebatte" ("Il dibattito nascosto sui diritti elettorali") 17 agosto 1910. Traduzione nostra.
[82] Pubblicato in inglese sotto il titolo Teoria marxista e tattiche rivoluzionarie.
[83] All'epoca, un'altra voce forte della sinistra in Olanda, Herman Gorter, scriveva a Kautsky. "Certe divergenze tattiche spesso provocano disaccordo tra amici. Nel mio caso, mentre la mia relazione con voi è riguardata, non è vero; come l'avete notato. Anche se avete criticato spesso Pannekoek e Rosa con cui sono in generale in accordo (e voi dunque mi avete ugualmente criticato) ho sempre mantenuto lo stesso genere di relazione con voi". Gorter, lettera a Kautsky. Dicembre 1914. Kautsky Archive IISG, DXI 283, citato in Herman Gorter, Herman di Liagre Böhl, Nijmegen, 1973, p.105). "Per ammirazione ed antichi affetti, ci siamo sempre astenuti, per quanto possibile, di opporci a voi in Die Tribune". Die Tribune (La tribuna) era la pubblicazione della Sinistra olandese di quell'epoca).
[84] In "Socialismo, la via occidentale", p.123.
[85] Nettl, I, p.401 (edizione integrale). Traduzione nostra.
[86] Una maggiore debolezza delle più combattive dichiarazioni fu l'idea di un'azione simultanea. Così, la giovane guardia socialista belga adottò una risoluzione: "È dovere dei partiti socialisti e dei sindacati di tutti i paesi opporsi alla guerra. Il mezzo più efficace di questa opposizione è lo sciopero generale e l'insubordinazione in risposta alla mobilitazione di guerra" (Il pericolo di guerra e la 2a Internazionale, J. Jemnitz, p.17). Ma questi mezzi non potevano essere utilizzati se non erano adottati simultaneamente in tutti i paesi, in altri termini l'internazionalismo intransigente e l'azione antimilitarista erano subordinati alla necessità che tutti condividessero la stessa posizione.
[87] Fricke, Dieter, Handbuch zur Geschichte der deutschen Arbeiterbewegung, (Fricke, Dieter, Manuale di storia del movimento dei lavoratori tedeschi), 1869 bis 1917; Dietz-Verlag, Berlino, 1987, p.120. Traduzione nostra.
[88] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 3, p.34, pubblicato nella Leipziger Volkszeitung (Gazzetta di Lipsia), 26 agosto 1911. Traduzione nostra.
[89] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 3, p.43, pubblicato nella Leipziger Volkszeitung, 30 agosto 1911. Traduzione nostra.
[90] Luxemburg, Ges. Werke, T. 3, p.11.
[91] "Sono in una situazione assolutamente assurda - devo assumermi la responsabilità di condannarmi al silenzio benché, se seguissi i miei desideri mi ritorcerei contro la direzione, condannandomi lo stesso" (Jemnitz, p.73, Lettera di Bebel a Kautsky). Bebel morì per un attacco cardiaco in un sanatorio in Svizzera, il 13 agosto.
[92] In un articolo intitolato "Come V. Zassoulitch annienta la corrente liquidatrice: "Attualmente in Germania si contano circa 1 milione di membri del partito. Gli elettori social-democratici sono approssimativamente 4,25 milioni, ed i proletari 15 milioni (…) Il milione, è il partito. Questo milione aderisce alle organizzazioni del partito; i 4,25 milioni, è il 'largo strato'. Ed esso mette in evidenza che "In Germania, per esempio, è 1/15 circa della classe che è organizzata nel partito; in Francia, è circa 1/140; in Germania, per un membro del partito si contano da 4 a 5 Social-democratici dello "strato largo"; in Francia, 14". Lenin aggiunge: "Il partito è lo strato cosciente ed avanzato della classe, ne è l'avanguardia. La forza di questa avanguardia è superiore di dieci volte, di cento volte, ed oltre rispetto alla sua importanza numerica. (…) L'organizzazione decupla le forze" (settembre 1913, Opere complete, Tomo 19. Éditions sociales).
[93] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 2, p.378,
[94] Rosa Luxemburg, "Di nuovo sulle masse ed i leader", agosto 1911, pubblicato inizialmente nella Leipziger Volkszeitung. Traduzione nostra.
[95] Rosa Luxemburg, Ges. Werke, T. 3, p.253, "Taktische Fragen (Questioni tattiche)", giugno 1913. Traduzione nostra.
[96] "Di nuovo sulle masse ed i leader", op. cit. Traduzione nostra.
Tutto questo prima di un tributo e della sepoltura in programma per il 15 dicembre nel suo villaggio di Qunu nel sud. La maggior parte dei grandi dignitari del mondo (ufficialmente 53) era presente in questo grande stadio: gli Obama, Hollande, Joakim Gauk (Germania), Dilma Rousseff (Brasile) e molti altri personaggi come il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
Questa grande e sacra unione è la migliore prova che Mandela, elogiato in precedenza da tutti i gauchisti e gli stalinisti, è ora riconosciuto come un degno rappresentante storico della sua classe: la borghesia! Questo riconoscimento unanime di tutta la classe dominante, sinceramente a lutto, è in netto contrasto con il comportamento che la stessa classe ha avuto in passato nei confronti di autentici rivoluzionari. Gli stessi dignitari hanno spesso non solo fatto assassinare le grandi figure del movimento operaio, come è avvenuto per Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht e Trotzkij ma, lungi dal meditare in seguito, hanno sempre scaricato tonnellate di calunnie contro di loro. Fu in particolare il caso della morte di Lenin dove, in tutti i giornali dell’epoca, venne raddoppiato l'odio accumulato. E che dire di Marx che, agli occhi di tutti i borghesi, incarnava il “diavolo” in persona?
Oggi, il riconoscimento dei valori nazionalisti e di uomo del capitale vale per Mandela tutti gli onori postumi. Una manna per l'azienda che ha trasformato momentaneamente i bordi dello stadio di Soweto a Johannesburg in un vero e proprio supermercato all’aperto: T-shirt con l'immagine del grande leader e altri prodotti del mondo capitalista che Mandela ha difeso con zelo. Il proletariato non perde nulla. Egli non piangerà questa figura che, come viene mostrato nell’articolo qui sotto, incarnava molto bene lo sfruttamento capitalista.
Nell’ultima parte della sua vita, Nelson Mandela era considerato una sorta di “santo” moderno, un apostolo della riconciliazione nazionale e internazionale sotto gli auspici benevoli della democrazia e della non violenza. Intellettuali borghesi di ogni sorta, stampa, politici e tutta la banda di “opinionisti” descrivevano con il ritratto di un uomo illustre “il padre della nazione sudafricana”, facendolo apparire a volte nelle vesti di un modello di umiltà, integrità e onestà, a volte sotto quelle di un “eroe” dotato di una notevole propensione per il perdono.
Ma questo ritratto elogiativo nasconde di fatto la vita reale di un politico borghese che non ha mai esitato a sferrare i colpi più duri e utilizzare le peggiori manovre contro le classi sfruttate.
Il “bilancio” di Mandela come capo del governo è eloquente: secondo un recente rapporto di Oxfam, il Sudafrica è “il paese con più diseguaglianze al mondo e queste diseguaglianze sono aumentate rispetto alla fine dell’apartheid”. L'ANC[1] ha in effetti governato per quasi vent’anni una società in cui le classi sfruttate, soprattutto la popolazione nera di queste, sono immerse nella peggiore miseria. Eppure, benché Mandela sia stato il rappresentante indiscusso della ANC dagli anni 1940, gli “opinionisti” lo presentano ancora come un uomo politico molto diverso dagli altri leader africani e del resto del mondo.
L'uomo del perdono?
Dopo la morte di Mandela, i bollettini speciali della stampa borghese l’hanno ripetuto in tutti i modi possibili: Mandela ha perdonato i suoi aguzzini! Che generosità! Che altruismo per il bene di tutti!
Il mito dell’“uomo del perdono”, che esiste solo per magnificare le illusioni democratiche veicolate dalla figura di Mandela, è d’altronde confermato da lui stesso nella sua autobiografia, scritta nel 1994, La lunga strada verso la libertà (Long Walk to Freedom - LWF): “In prigione, la mia collera contro i bianchi si affievolisce, ma il mio odio per il sistema cresce. Volevo che il Sudafrica vedesse che io ho amato anche i miei nemici mentre odiavo il sistema che ci spingeva l’uno contro l'altro.” (LWF, p.6802)[2]
Nonostante le ricostruzioni storiche completamente irrazionali circolanti dopo la sua morte, Mandela non è uscito di prigione grazie al suo carattere moderato e neanche per la “forza delle sue convinzioni” o per la bontà d’anima del vincitore ex aequo del Nobel per la Pace F.W. de Klerk, capo del governo sudafricano. Come sempre con la borghesia, la realtà è molto più spregevole. Mandela è stato liberato dalla sua prigione sotto la pressione di una parte dell’apparato politico sudafricano e di diverse grandi potenze, soprattutto gli Stati Uniti, che sono stati in grado di individuare in questo vecchio alleato dell'URSS, appena smantellata, l’opportunità di garantire una continua fornitura mineraria, nonostante i problemi provenienti da una società di apartheid sfiatata e minacciata ad ogni momento di esplosione sociale. Così, quando Mandela lasciò la prigione, l’ANC subito s’adoperò per rassicurare gli investitori circa la capacità del futuro governo di tutelare gli interessi economici. Nel Messaggio di Mandela alle Grandi Imprese americane del 19/06/1990, possiamo leggere ciò che lui ha detto molte volte: “Il settore privato, sia nazionale che internazionale, riceverà un contributo fondamentale per realizzare la ricostruzione economica e sociale dopo l'apartheid. (... ) Siamo sensibili al fatto che, in quanto investitori in un’Africa post apartheid, avrete bisogno di avere fiducia nella sicurezza dei vostri investimenti, un ritorno sufficiente ed equo per il vostro capitale e un buon clima generale di pace e di stabilità.”[3] Assicurare al Capitale la pace sociale attraverso la mistificazione democratica: questo è il vero significato della liberazione “miracolosa” di Mandela e l’improvvisa conversione di questo fomentatore di attentati mortali alla non violenza e al perdono!
Un convinto sostenitore degli interessi del Capitale nazionale!
All’inizio alleato del regime stalinista, che ha per molto tempo fornito addestramento militare ai suoi partigiani, Mandela, alla fine del 1980, cioè nel momento stesso in cui stava negoziando la sua liberazione, si è adoperato per demolire la sua immagine di “socialista” a favore di quella di difensore degli interessi nazionali sudafricani.
Mandela ha spesso fatto riferimento alla Carta della Libertà dell’ANC, adottata nel 1955: “Nel giugno del 1956, nel mensile Libération, ho notato che la Carta mirava all’impresa privata e permetteva al capitalismo di svilupparsi per la prima volta in Africa.” (LWF, p.205). Nel 1988, quando lui negoziava in segreto con il governo, ha fatto riferimento allo stesso articolo “in cui dicevo che la Carta per la libertà non era una ricetta per il socialismo, ma per il capitalismo applicato in Africa. Ho detto loro che dopo non avevo cambiato idea.” (LWF, p.642). Analogamente, quando Mandela ha ricevuto la visita, nel 1986, di una delegazione di importanti personalità, “ho detto loro che ero un nazionalista sudafricano, non un comunista, che i nazionalisti stanno diventando sempre più importanti.” (LWF, p.629)
Di questo nazionalismo immutabile e del suo ruolo nella “pacificazione” della società a favore della borghesia, Mandela ne era pienamente consapevole quando scriveva sul massacro di Sharpeville nel 1960, “la Borsa di Johannesburg crollò e i capitali cominciarono a fuggire dal paese.” (LWF, p.281). Di fatto, la fine dell'apartheid aprì un periodo di incremento degli investimenti esteri in Sudafrica.
Ma "l’emergenza" economica del paese si fece ben inteso con il sudore della classe operaia, in gran parte composta da lavoratori neri, senza che questa potesse uscire minimamente dalla povertà assoluta in cui era immersa da molti decenni. Tuttavia, nel corso degli anni ‘950, Mandela diceva che “l’obiettivo nascosto del governo era di creare una classe media africana per spegnere l’appello dell’ANC e la lotta per la liberazione.” (LWF, p.223) In pratica, la “liberazione” politica dei lavoratori neri e quasi tre decenni di governo dell’ANC non hanno gonfiato in modo significativo le fila di questa “classe media” africana.
L'incremento dello sfruttamento ha significato anche la repressione, la rimilitarizzazione della polizia, il divieto di manifestazioni e attacchi fisici contro i lavoratori, come si è visto, per esempio, con lo sciopero dei minatori di Marikana, nel corso del quale quarantaquattro lavoratori sono stati uccisi e decine seriamente feriti.[4]
Nella sua autobiografia, Mandela ha ipocritamente scritto che “tutti gli uomini, anche quelli che hanno più sangue freddo, hanno un minimo di decenza e se il loro cuore è toccato, sono in grado di cambiare” (LWF, p.549). Ciò che può essere vero per gli individui non lo è per il capitalismo: questo sistema non ha alcuno scrupolo di decenza e non può essere modificato. Le apparenze del governo nero dell’ANC sono diverse da quelle dei loro predecessori bianchi, ma lo sfruttamento e la repressione rimangono.
La favola della non violenzaLa classe dominante usa l’ideologia della non violenza per spingere il proletariato a rinunciare alla sua violenza di classe, di massa e organizzata, e sostituirla con l’impotenza politica. E per farlo, deve inventarsi dei modelli e delle storie che dimostrano l’efficacia della lotta non violenta.
Il mito di un Mandela “non violento” è come tale una grossa e ridicola menzogna. L’ANC, nella sua lotta di “liberazione”, ha spudoratamente utilizzato una forma particolarmente malvagia di violenza, tipica delle classi senza futuro: il terrorismo. Quando la tattica non violenta ha dimostrato la sua inefficacia, l'ANC ha creato un’ala militare, nella quale Mandela ha svolto un ruolo centrale. “Esistevano quattro tipi di attività violente: il sabotaggio, la guerriglia, il terrorismo e la rivoluzione aperta”. Mandela sperava che il sabotaggio “portasse il governo al tavolo dei negoziati”. Sebbene furono date precise istruzioni “affinché non avessimo nessuna perdita di vite umane ( ... ), se il sabotaggio non avesse prodotto i risultati attesi, eravamo pronti a fare il passo successivo: la guerriglia e il terrorismo.” (LWF, p.336)
Così, il 16 Dicembre 1961, “degli ordigni artigianali esplosero nelle centrali elettriche e negli uffici governativi a Johannesburg, Port Elizabeth e Durban.” (LWF, p.338) Nel 1983, quando l’ANC organizzò il primo attentato mortale in cui diciannove persone furono uccise e più di duecento ferite, Mandela scrisse: “La morte violenta di civili è stato un tragico incidente e ho sentito un profondo orrore all'annuncio del numero delle vittime. Ma come sono stato scosso da queste vittime, allo stesso modo sapevo che tali incidenti sono l’inevitabile conseguenza della decisione di intraprendere un conflitto militare” (LWF, p.618). Adesso si fa riferimento a tali “incidenti” utilizzando il dolce eufemismo di “danni collaterali”.
Nella sua testimonianza in tribunale, nel 1964, Mandela si è autodefinito come un “ammiratore” della democrazia: “Ho un grande rispetto per le istituzioni politiche britanniche e il sistema giuridico di questo paese. Considero il Parlamento inglese come l’istituzione più democratica del mondo e l'indipendenza e l’imparzialità della sua magistratura hanno sempre suscitato la mia ammirazione. Il congresso degli Stati Uniti, la dottrina di questo paese che garantisce la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura, risvegliano in me sentimenti analoghi” (LWF, p.436 ). Come campione di democrazia, Mandela serve ancora gli interessi sordidi della sua classe essendo chiaramente destinato a incarnare, da morto come da vivo, la punta avanzata dell’ideologia democratica moderna e di un preteso capitalismo dal volto umano.
KS e El Genericor (10 dicembre)
[1] African National Congress, il partito di Nelson Mandela al potere dalla fine dell'apartheid nel 1994.
[2] L’impaginazione è quella del libro in inglese.
[3] Sottolineatura nostra.
[4] Potete leggere i nostri articoli sul movimento sociale del 2012: Sudafrica: la borghesia sguinzaglia poliziotti e sindacati contro la classe operaia [54], (https://it.internationalism.org/node/1236 [54]) e: Dopo il massacro di Marikana, l’Africa del Sud è attraversata da scioperi massicci [55] (it.internationalism.org/node/1255 [55]).
Links
[1] https://fr.internationalism.org/ri330/ficci.html
[2] https://fr.internationalism.org/book/export/html/2245
[3] https://it.internationalism.org/icconline/2006_calunnie
[4] https://fr.internationalism.org/node/2309
[5] https://tendanceclaire.org/breve.php?id=655
[6] https://tendanceclaire.org/breve.php?id=2058
[7] https://tendanceclaire.org/breve.php?id=7197
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[9] https://it.internationalism.org/en/tag/4/68/balcani
[10] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[11] https://it.internationalism.org/node/808
[12] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/risoluzioni-del-congresso
[13] https://it.internationalism.org/en/tag/3/47/economia
[14] https://en.internationalism.org/ir/110_conference.html
[15] https://fr.internationalism.org/french/rint/110_conference.html
[16] https://es.internationalism.org/revista-internacional/200207/3276/documentos-de-la-vida-de-la-cci-el-combate-por-la-defensa-de-los-p
[17] https://it.internationalism.org/node/1177
[18] https://en.internationalism.org/specialtexts/IR029_function.htm
[19] https://es.internationalism.org/revista-internacional/198204/135/informe-sobre-la-funcion-de-la-organizacion-revolucionaria
[20] https://fr.internationalism.org/rinte2/orga.htm
[21] https://en.internationalism.org/node/3123
[22] https://fr.internationalism.org/rinte32/pci.htm
[23] https://it.internationalism.org/rziz/2003/131/congresso
[24] https://it.internationalism.org/node/1131
[25] https://it.internationalism.org/node/1132
[26] https://it.internationalism.org/rint29/etica
[27] https://it.internationalism.org/cci/201405/1310/comunicato-ai-nostri-lettori-la-cci-attaccata-da-una-nuova-officina-dello-stato-borg
[28] https://it.internationalism.org/en/tag/2/39/organizzazione-rivoluzionaria
[29] https://it.internationalism.org/en/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/corrente-comunista-internazionale
[30] https://en.internationalism.org/ir/60/difficulties_for_the_proletariat
[31] https://fr.internationalism.org/rinte60/prolet.htm
[32] https://es.internationalism.org/node/3502
[33] https://it.internationalism.org/node/974
[34] https://en.internationalism.org/ir/1982/31/critique-of-the-weak-link-theory
[35] https://fr.internationalism.org/nation_classe.htm
[36] https://en.internationalism.org/tag/25/1369/camilla-power
[37] https://en.internationalism.org/taxonomy/term/567
[38] https://it.internationalism.org/cci/201405/1311/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-20%C2%B0-congresso-della-cci
[39] https://www.politifact.com/punditfact/statements/2014/jun/19/jeanine-pirro/foxs-pirro-obama-set-isis-leader-free-2009/
[40] https://guardianlv.com/
[41] https://it.internationalism.org/en/tag/4/85/iraq
[42] https://it.internationalism.org/en/tag/6/107/iraq
[43] https://it.internationalism.org/en/tag/5/102/prima-guerra-mondiale
[44] https://it.internationalism.org/en/tag/2/25/decadenza-del-capitalismo
[45] https://www.iwm.org.uk/centenary
[46] https://centenaire.org/sites/default/files/references-files/rapport_jz.pdf
[47] https://centenaire.org/sites/default/files/references-files/rapport_fusilles.pdf
[48] https://fr.internationalism.org/rint/120_cgt
[49] https://www.marxists.org/francais/luxembur/junius/index.html
[50] https://marxists.org/francais/luxembur/junius/rljcf.html
[51] https://www.theguardian.com/commentisfree/2013/jun/17/1914-18-not-futile-war
[52] http://www.marxists.org/francais/ait/1870/07/km18700723.htm
[53] http://www.marxists.org/francais/luxembur/works/1899/rl189909.htm
[54] https://it.internationalism.org/content/sudafrica-la-borghesia-sguinzaglia-poliziotti-e-sindacati-contro-la-classe-operaia
[55] https://it.internationalism.org/content/dopo-il-massacro-di-marikana-lafrica-del-sud-e-attraversata-da-scioperi-massicci
[56] https://it.internationalism.org/en/tag/4/58/sud-africa
[57] https://it.internationalism.org/en/tag/2/33/la-questione-nazionale