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Il testo che pubblichiamo qui di seguito è uno degli ultimi del "Gruppo di lavoratori marxisti" messicano, un raggruppamento che, nonostante la sua effimera esistenza, fa parte di quel movimento di risposta alla degenerazione dell'Internazionale Comunista che è noto con il nome di Sinistra Comunista. Lo pubblichiamo per portare una ulteriore testimonianza di quel prezioso lavoro di bilancio e di critica degli errori del passato che vari gruppi in tutto il mondo hanno fatto tra le due guerre, e che è in generale sconosciuto ai compagni, soprattutto in Italia.
Non può non colpire l'attualità del tema, le lotte di liberazione nazionale, che continuamente viene agitato dalla borghesia come mistificazione contro il proletariato: la campagna messa recentemente in atto dalle forze di "sinistra" sul Salvador ne è 1'ultima testimonianza.
La violenta
ostilità di tutte le forze della borghesia, la campagna di denuncia pubblica di
stile stalinista fatta dalla sezione messicana della IV Internazionale contro i
militanti e il gruppo in quanto provocatori, agenti di Hitler e di Stalin, la
repressione del governo di sinistra (vedi il loro "Appello"
pubblicato sul n°10 della nostra Revue Internationale), e soprattutto la
burrasca della guerra che si avvicinava velocemente ebbero ragione delle deboli
forze della sinistra messicana, impossibilitate a resistere a lungo contro una
tale coalizione.
Il "Gruppo dei lavoratori marxisti" sparì nella tormenta del 1939. Ma nel piccolo lasso di tempo ( 2 anni ) della sua esistenza, il gruppo comunista di sinistra del Messico seppe portare un efficace contributo nella difesa delle principale posizioni comuniste. Questo contributo, offerto negli anni più bui del movimento rivoluzionario internazionale, non deve restare sconosciuto alle nuove generazioni.
Il testo è uno studio analitico delle tesi del 2° Congresso dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale.
E' assolutamente inevitabile per ogni gruppo comunista che esca dal lungo corso della degenerazione e del tradimento finale della III Internazionale non solo denunciare la controrivoluzione staliniana ma anche sottomettere ad una critica minuziosa i lavori dell'Internazionale Comunista fin da i suoi primi anni, i gloriosi anni di Lenin. Proprio come le frazioni italiana e belga della sinistra comunista internazionale, la sinistra messicana non poteva contentarsi semplicemente di fare la apologia di tutto ciò che veniva da Lenin, come facevano i trotskisti o come sono tornati a fare ancora oggi tanti gruppi di sinistra comunista. Lo stalinismo non è caduto dal cielo. E se è assurdo gettare il bambino con l'acqua sporca, condannare cioè l'Internazionale Comunista perchè nel suo seno si è potuto sviluppare e trionfare lo stalinismo, è altrettanto assurdo pretendere che l'acqua sia sempre stata assolutamente pura e perfettamente limpida, presentare la storia dell'Internazionale divisa in due periodi ben separati, il primo dei quali, puro, rivoluzionario, viene bruscamente interrotto dall’esplodere della controrivoluzione. Queste fantasticherie di un paradiso felice e di un orribile inferno senza legami fra di loro non hanno niente a che vedere con un movimento reale, quale è la storia del movimento comunista in cui la continuità passa attraverso profonde rotture e in cui le rotture future hanno i loro germi nel processo stesso della continuità.
Nella prima parte di questo testo la sinistra messicana cerca di dimostrare come i trotskisti e altri "antimperialisti" snaturino senza vergogna le posizioni di principio enunciate nelle tesi del II Congresso dell'I.C. Essa rivendica i suoi principi internazionalisti come un'acquisizione del movimento comunista e denuncia ogni alterazione come una regressione verso posizioni nazionalistiche borghesi. Nel seguito la sinistra messicana si proponeva di fare la critica delle insufficienze, delle ambiguità che queste tesi contenevano, in particolare il terzo paragrafo della seconda tesi. Mentre i primi due paragrafi mettono chiaramente l'accento sulla separazione necessaria tra gli interessi di classe degli sfruttati e l'ingannevole concetto borghese di un sedicente interesse nazionale comune a tutte le classi, il terzo paragrafo resta nel vago, nella semplice descrizione dello sfruttamento intensivo della maggioranza dei paesi sottosviluppati da parte di una minoranza di paesi a capitale altamente sviluppato senza tirare altra conclusione che "questa è la situazione propria dell'epoca del capitale finanziario imperialista".
Da questa constatazione la maggioranza dell'Internazionale intorno a Lenin e al partito bolscevico concludeva che in certe circostanze, e precisamente in un periodo rivoluzionario, il proletariato concentrato nei paesi a più alto sviluppo capitalista poteva trovare nel suo assalto contro il mondo capitalista un appoggio nelle lotte di liberazione nazionale dei paesi sottosviluppati soggetti all'oppressione delle grandi potenze. L'errore di una tale conclusione sta nel fatto di far derivare meccanicamente, dall'esistenza di antagonismi tra paesi dominanti e paesi dominati, l'affermazione secondo cui questi antagonismi costituiscono un'opposizione storica inconciliabile con l'ordine sociale esistente.
La pretesa natura rivoluzionaria delle lotte di liberazione nazionale e delle varie guerriglie nazionaliste è stato uno dei cavalli di battaglia della borghesia per confondere le idee ad un proletariato che iniziava appena a ritrovare la via della lotta verso la fine degli anni '60. 0ggi l'aggravarsi della crisi economica ha fatto cadere molte maschere, dai Cubani, costretti a combattere come mercenari in Angola, ai guerriglieri Montoneros, che si sono recentemente accodati al governo dei generali torturatori dell'Argentina in nome della lotta di liberazione nazionale delle isole Falkland.
La sparizione della sua rivista, "Comunismo", nel 1939, ha impedito alla sinistra messicana di proseguire la sua critica implacabile delle posizioni ambigue della III Internazionale. Ma già questa prima parte del loro studio costituisce un contributo molto importante a questo lavoro.
Tocca ai rivoluzionari di oggi riprenderlo e continuarlo.
UN'ANALISI DELLE TESI DEL II CONGRESSO DELL'INTERNAZIONALE COMUNISTA - 1920 1a parte
SULLA QUESTIONE NAZIONALE E COLONIALE
"Abolite lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e avrete abolito lo sfruttamento di un nazione sull'altra".
Il paragrafo 2 delle Tesi del II Congresso dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale dice testualmente:
"Il Partito comunista, in quanto espressione cosciente della lotta di classe proletaria per lo abbattimento del giogo della borghesia, conformemente al proprio compito precipuo - che è quello di combattere la democrazia borghese e di smascherare le sue menzogne e ipocrisie - non deve muovere da principi astratti e formali sulla questione nazionale, ma prima di tutto da un'analisi precisa della situazione storica concreta e soprattutto economica; in secondo luogo, deve separare nettamente gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, dal concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali, che esprimono di fatto gli interessi della classe dominante; in terzo luogo, deve separare nettamente le nazioni oppresse, soggette, prive di diritti, dalle nazioni che opprimono, sfruttano e godono di ogni diritto, per contrapporsi alle menzogne della democrazia borghese che dissimulano l'asservimento coloniale e finanziario della grande maggioranza della popolazione mondiale da parte di un'infima minoranza di paesi capitalisti più progrediti e più ricchi, fatto caratteristico dell'epoca del capitale finanziario e del colonialismo". (riprodotto da J. Degras, "Storia dell'Internazionale Comunista", edizione Feltrinelli, Milano 1975).
Analizziamo questo paragrafo con cura, punto per punto.
LA LOTTA CONTRO LA DEMOCRAZIA.
La parte più significativa di questo paragrafo è senza alcun dubbio il suo inizio: l'affermazione chiara, senza equivoci, che il compito essenziale del Partito Comunista Mondiale non è la famosa "difesa della democrazia" di cui tanto ci parlano oggi i pretesi "comunisti", ma al contrario la lotta contro di essa.
Questa affermazione ripetuta tante volte in altre tesi dell'Internazionale dell'epoca di Lenin, benché oggi negata categoricamente dall'istituzione che porta ancora questo nome, serviva a Lenin e ai suoi compagni come punto di partenza proprio per lo studio delle questione nazionale e coloniale. E non c'è altro punto di partenza!
Quelli che non accettano la lotta contro la democrazia borghese come il compito principale dei comunisti, non possono mai dare una soluzione marxista a queste questioni.
LA MENZOGNA DELL ‘ EGUAGLIANZA NEL SISTEMA CAPITALISTA
Il primo paragrafo delle tesi spiega più in dettaglio quali sono questi "principi astratti e formali" che il Partito della Rivoluzione Proletaria deve rigettare come base della sua tattica nelle questioni nazionale e coloniale.
“È caratteristica della democrazia borghese, per la sua stessa natura, il porre in modo astratto o formale la questione dell'uguaglianza in generale, e dell’uguaglianza nazionale in particolare. Con la generica affermazione di una uguaglianza della personalità umana, la democrazia borghese proclama 1'uguaglianza giuridica formale del proprietario e del proletario, dello sfruttatore e dello sfruttato, ingannando fino in fondo le classi oppresse. L'idea di uguaglianza, che è di per sé un riflesso dei rapporti di produzione mercantili, viene trasformata dalla borghesia in uno strumento di lotta contro l'abolizione delle classi, col pretesto di una presunta uguaglianza assoluta della personalità umana".(ibidem)
La lotta per l'abolizione delle classi sarebbe evidentemente superflua se, come afferma la borghesia, 1'uguaglianza fosse realmente possibile allo interno della società attuale nonostante la sua divisione in classi. La verità è che non solo non c’è uguaglianza nel seno di questa società, ma che non può essercene. Le tesi aggiungono, alla fine del paragrafo citato:
"Il significato autentico della rivendicazione dell’uguaglianza consiste puramente nella rivendicazione di abolire le classi".
E ancora, al paragrafo 4, si parla di:
"Perché soltanto l'azione congiunta assicurerà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica nazionale”.
In altre parole: affermare l'esistenza dell'uguaglianza o, almeno nella società attuale, la possibilità della sua esistenza, ha lo scopo di mantenere in piedi lo sfruttamento e l'oppressione delle classi e delle nazioni. Rivendicare 1'uguaglianza sulla base dell'abolizione delle classi mira allo scopo opposto: la distruzione della società attuale e la costruzione di una nuova società senza classi. La prima è l'arma preferita di tutti i riformisti al servizio della controrivoluzione. La seconda è una rivendicazione del proletariato cosciente dei suoi interessi di classe, l’esigenza del Partito della Rivoluzione Proletaria Mondiale.
I PROLETARI NON HANNO “INTERESSI NAZIONALI”
Per il secondo punto delle tesi citate, il Partito Comunista Mondiale deve rigettare il "concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali" perchè questi interessi non esistono e non possono esistere giacché tutte le nazioni sono divise in classi dagli interessi opposti e inconciliabili, quindi quelli che parlano di "interessi nazionali" coscientemente o inconsciamente, difendono gli interessi delle classi dominanti. L’affermazione secondo cui potrebbero esistere degli "interessi nazionali", cioè interessi comuni a tutti i membri di una nazione, si fonda appunto sulla sedicente "uguaglianza formale e giuridica dello sfruttatore e dello sfruttato" proclamati ipocritamente dalle classi possidenti e sfruttatrici stesse.
Sulla strada di Marx ed Engels, noi dobbiamo combattere la menzogna che dice per esempio che "tutti i messicani" sarebbero uguali e che noi avremmo interessi comuni e quindi una "patria" comune da difendere. La patria appartiene a loro. I lavoratori, come è stato affermato con assoluta chiarezza nel Manifesto dei Comunisti cento anni fa, non hanno patria.
Il nostro futuro non conoscerà patrie differenti in nome delle quali le classi possidenti potranno spedire gli sfruttati sui campi di battaglia, ma una sola patria: 1'umanità lavoratrice.
IL BUON VICINO DELLA BORGHESIA MESSICANA
Per combattere con efficacia la borghesia e distruggere la sua società, noi dobbiamo rigettare non solo la menzogna dell'uguaglianza degli uomini all'interno delle nazioni, ma anche quella dell'uguaglianza delle nazioni. Dobbiamo dimostrare, come ci mostra il secondo punto delle tesi citate, che "l'asservimento dell'immensa maggioranza delle popolazioni del globo a una minoranza di ricchi paesi capitalisti (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone) mediante la potenza finanziaria e colonizzatrice" è "una situazione caratteristica dell'epoca del capitalismo finanziario e imperialista” e che questo asservimento, di conseguenza, non può sparire con qualche ipocrita dichiarazione contro l'imperialismo in nome di una sedicente politica di "buon vicinato", ma solo con la distruzione del capitalismo stesso, con la sua distruzione violenta da parte del proletariato mondiale.
Non dobbiamo stancarci di ripetere questa verità fondamentale, non in una forma astratta, generale, ma in una forma che smascheri concretamente ogni giorno l'ipocrisia democratica di cui parlano le tesi. Nel caso del Messico, è necessario smascherare la menzogna secondo cui un paese capitalista avanzato e, conseguentemente, imperialista come gli Stati Uniti, potrebbe essere il "buon vicino" di un paese capitalista arretrato come il Messico. Bisogna distruggere la menzogna secondo cui l'amicizia che lega in questo momento gli sfruttatori dell'America del nord ai servili sfruttatori messicani equivale a una "amicizia tra i popoli dell'America del nord e del Messico" come gli sfruttatori di questi due paesi vorrebbero far credere. Bisogna al contrario insistere sul fatto che i nostri soli buoni vicini sono i proletari e tutti gli oppressi degli Stati Uniti e del mondo intero, ai quali ci uniscono dei veri interessi comuni contro gli sfruttatori e le loro rispettive "patrie".
IL PATRIOTTISMO CONTRORIVOLUZIONARIO DEGLI STALINISTI E DEI TROTSKYSTI
Tutto quello che abbiamo detto è accettato "teoricamente" dai sedicenti "comunisti" di stampo stalinista e trotskista, ma, nella pratica, essi fanno il contrario. Gli stalinisti del Messico e degli Stati Uniti sono oggi in prima fila tra quelli che fanno l'elogio della "nuova politica" dell'imperialismo nordamericano. I trotskisti non lo fanno così apertamente, ma utilizzano il metodo indiretto che consiste nell'attaccare solo i "cattivi vicini" della borghesia messicana: l'imperialismo inglese, tedesco, giapponese...
Ma la loro lotta contro le posizioni fondamentali dell'Internazionale Comunista del tempo di Lenin va più lontano. Utilizzando un metodo proprio dei rinnegati, gli stalinisti e i trotskisti "dimenticano" il punto delle tesi che parla di "separare nettamente gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, dal concetto generale dei cosiddetti interessi nazionali, che esprimono di fatto gli interessi della classe dominante" e si dedicano esclusivamente all'altro punto che parla di "separare nettamente le nazioni oppresse, soggette, prive di diritti, dalle nazioni che opprimono e sfruttano".
E’ quello che fa per esempio Trotsky nei suoi attacchi contro la nostra posizione sulla guerra cinese (vedere il bollettino interno della Lega Comunista Internazionalista del Messico n. 1). Con questo metodo, egli arriva esattamente alla stessa posizione degli stalinisti: invece di dimostrare ai proletari cinesi che i loro interessi di classe sono inconciliabili con i sedicenti "interessi nazionali" (in realtà gli interessi degli sfruttatori cinesi) e che, di conseguenza, essi devono lottare tanto contro i loro nemici "compatrioti" che contro il nemico invasore, mediante la fraternizzazione con i soldati giapponesi e il disfattismo rivoluzionario, Trotsky si sforza di convincere gli sfruttati in Cina che i loro interessi di classe coincidono in una certa misura, cioè sul punto della difesa della cosiddetta "patria", con gli “interressi nazionali" dei loro sfruttatori!
Per Trotsky "in generale" i proletari non hanno patria. Così egli resta "teoricamente” fedele al marxismo. Ma nel caso concreto dei proletari della Cina, del Messico, di tutti i paesi oppressi e dipendenti, cioè nel caso della schiacciante maggioranza dei paesi del mondo, questa fondamentale regola del marxismo non ha per lui nessuna applicazione. "Il patriottismo cinese è legittimo e progressista" afferma questo rinnegato. Ben inteso, per lui e per i suoi simili, la stessa cosa vale per il patriottismo messicano, guatemalteco, argentino, cubano, ecc.
ANCHE NEI PAESI OPPRESSI 1 LAVORATORI NON HANNO PATRIA !
Per un marxista non c'è alcun dubbio che tra i punti citati nelle tesi del Secondo Congresso dell'I.C. il più importante è appunto il secondo, quello che insiste sulla inesistenza di "interessi nazionali", e che la distinzione fatta nel terzo punto, tra "nazioni oppresse" e "nazioni che opprimono", si deve intendere in questo senso. In altri termini, anche nelle nazioni oppresse non esiste altro "interesse nazionale” che quello delle classi dominanti. La conclusione pratica di questa posizione teorica è che le regole fondamentali della politica comunista devono essere applicate a tutti i paesi, imperialisti, semicoloniali e coloniale. La lotta contro il patriottismo, la fraternizzazione con gli oppressi di tutti i paesi, ivi compresi i proletari e i contadini in uniforme dei paesi imperialisti, è una delle regole della politica comunista che non ammette eccezioni.
"Da tali principi deriva che tutta la politica dell'Internazionale Comunista sulla questione nazionale e coloniale deve basarsi principalmente sull'avvicinamento dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e di tutti i paesi per la lotta comune per l'abbattimento dei grandi proprietari terrieri e della borghesia. Perché solo l'azione congiunta assicurerà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile abolire l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica nazionale."
L'applicazione di questa "pietra angolare" alle situazioni concrete esclude chiaramente ogni caso di "patriottismo legittimo" e di "difesa nazionale”.
Nel caso della guerra in Cina per esempio, quale altra applicazione può avere la regola generale della "lotta comune dei proletari di tutti i paesi contro la borghesia" se non quella della fraternizzazione tra i soldati cinesi e giapponesi per la lotta comune contro i capitalisti di entrambi i paesi, cioè il disfattismo rivoluzionario sui due fronti? Come si può fare entrare in questa regola generale la politica di Trotsky di partecipazione alla lotta militare sotto gli ordini di Chiang-Kai-Shek?
CAMBIAMENTI DI TATTICA, NON DEI PRINCIPI !
Per risponderci, Trotsky cita il caso di Marx ed Engels che hanno sostenuto la guerra degli irlandesi contro la Gran Bretagna e quella dei Polacchi contro lo zar, anche se in queste due guerre nazionali i capi erano più borghesi e in qualche caso anche feudali.
Il problema è che Trotsky, malgrado la sua grande conoscenza, non ha capito la primordiale importanza del primo punto che le tesi del II Congresso dell'I.C. presentano come "chiave di volta della questione nazionale”: “una analisi precisa della situazione storica ed economica.."
Il nostro grande storico ex-marxista non si ricorda che la tattica comunista non può essere la stessa nella fase ascendente del capitalismo (di cui ci cita due esempi di guerra progressive) e nella fase di decomposizione, la fase imperialista, quella che viviamo attualmente? Le circostanze storiche ed economiche sono cambiate a un punto tale dall’epoca in cui Marx ed Engels hanno sostenuto la guerra degli irlandesi e dei polacchi che sarebbe un suicidio per il proletariato seguire oggi la stessa tattica di allora.
È chiaro che i cambiamenti tattici non devono mai uscire dal quadro dei principi comunisti già stabiliti e la cui validità è stata verificata mille volte dagli avvenimenti. Più che uscire da questo quadro, ogni riaggiustamento tattico deve essere un’applicazione più corretta, più rigida di questi principi, perchè non sono solo le nuove situazioni che ci devono guidare nell’effettuare tali cambiamenti, ma anche l’esperienza storica, cioè lo studio dei nostri errori passati. Solo così si può mantenere la continuità della lotta comunista attraverso la decomposizione degli antichi organismi operai e la creazione di nuovi.
IL RINNEGATO TROTSKY REVISIONA IL MANIFESTO DEI COMUNISTI E LE TESI DEL II CONGRESSO DELL’I.C.
Uno dei principi fondamentali che deve guidare ogni nostra tattica sulla questione nazionale è l’antipatriottismo. “I lavoratori non hanno patria”. Chiunque propone una nuova tattica che va da contro questi principio abbandona le fila del marxismo e passa al servizio del nemico.
Ora, quello che è interessante è che lo stesso Trotsky che insiste sul fatto che il proletariato oggi deve seguire la stessa tattica dell’epoca di Marx ed Engels, abbandona apertamente il principio già affermato da loro due nel Manifesto dei Comunisti! Nella sua prefazione alla nuova edizione del Manifesto pubblicata recentemente nell’Africa del sud, questo rinnegato dichiara senza vergogna:
“E’evidente che la ‘patria nazionale’ che, nei paesi avanzati, è diventata il peggiore freno storico, resta ancora un fattore relativamente progressista nei paesi arretrati, quelli che non sono obbligati a lottare per la loro indipendenza.”
Così il rinnegato vuole regolare il suo orologio con cento anni di ritardo!
(Testo non completato)