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Il movimento è iniziato contro l’abbattimento degli alberi in vista della distruzione del parco Gezi e della piazza Taksim a Istanbul, ed ha preso un’ampiezza sconosciuta nella storia della Turchia fino ad oggi. (...) Si può comprendere il vero carattere di questo movimento soltanto ponendolo nel contesto internazionale. E visto da quest’angolo, diventa chiaro che il movimento in Turchia è in continuità diretta non soltanto con le rivolte del Medio Oriente del 2011 – le più importanti delle quali (Tunisia, Egitto, Israele) ebbero un’impronta molto forte della classe operaia – ma in particolare con il movimento degli Indignati in Spagna e di Occupy negli Stati Uniti, dove la classe operaia rappresentava non solo la maggioranza della popolazione nel suo insieme ma anche dei partecipanti al movimento. Lo stesso vale per l’attuale rivolta in Brasile e per il movimento in Turchia, la cui stragrande maggioranza immensa delle componenti appartiene alla classe operaia, e particolarmente alla gioventù proletaria. (...) Il settore che vi ha partecipato maggiormente era quello chiamato: “la generazione degli anni 90”. L’apoliticismo è stata l’etichetta appiccicata ai manifestanti di questa generazione, di cui molti non potevano ricordarsi dell’epoca precedente al governo AKP[2]. Questa generazione, di cui si è detto che non si sentiva investita negli avvenimenti e che i cui membri cercavano solo di salvare stessi, ha capito che restando soli non c’era scampo ed era stufa dei discorsi del governo che gli diceva come e come vivere. Gli studenti (…) hanno partecipato in massa alle manifestazioni. I giovani operai e i giovani disoccupati erano largamente presenti nel movimento ed erano presenti anche operai e disoccupati più istruiti. In certi settori dell’economia dove lavorano soprattutto giovani in condizioni precarie e dove è di solito difficile lottare - in particolare nel settore dei servizi - i lavoratori si sono organizzati sulla base del luogo di lavoro ma in modo da trascendere ogni particolare posto di lavoro ed hanno partecipato insieme alle manifestazioni. Si trovano esempi di tale partecipazione fra i fattorini dei negozi di kebab, il personale dei bar, quello dei call center e degli uffici. Allo stesso tempo, il fatto che questo genere di partecipazione non ha prevalso sulla tendenza degli operai ad andare alle manifestazioni individualmente ha costituito una delle debolezze più significative del movimento. Ma questo è stato tipico anche dei movimenti in altri paesi, dove la preminenza della rivolta di piazza è stata un’espressione pratica del bisogno di superare la dispersione sociale creata dalle condizioni che esistono nella produzione e la crisi capitaliste – in particolare, il peso della disoccupazione e del precariato. Ma queste stesse condizioni, accoppiate agli immensi attacchi ideologici della classe dominante, hanno reso difficile alla classe operaia vedersi come classe ed hanno contribuito a rafforzare l’idea nei manifestanti di essere essenzialmente una massa di singoli cittadini, dei membri legittimi della Comunità “nazionale”. Questo è il cammino contradittorio verso la ricostituzione del proletariato in classe, ma indubbiamente questi movimenti sono un passo su questa strada.
Una delle principali ragioni per la quale una massa significativa di proletari insoddisfatti delle loro condizioni di vita ha organizzato delle manifestazioni con una tale determinazione, sta anche nell’indignazione e il sentimento di solidarietà contro la violenza poliziesca e il terrore dello Stato. Ciò nonostante, diverse tendenze politiche borghesi sono state attive nel tentare di influenzare il movimento dall’interno per mantenerlo nel quadro dell’ordine esistente, per evitarne la radicalizzazione e impedire alle masse proletarie, che avevano guadagnato la strada contro il terrore statale, di sviluppare rivendicazioni di classe sulle proprie condizioni di vita. Così, non potendo evocare rivendicazioni portavano all’unanimità nel movimento, quello che ha generalmente predominato quest’ultimo sono state le rivendicazioni democratiche. La linea che rivendicava “più di democrazia”, che si è formata attorno ad una posizione anti-AKP e, nei fatti, anti-Erdogan, in sostanza non esprimeva che una riorganizzazione dell’apparato di Stato turco su un modello più democratico. L’impatto delle rivendicazioni democratiche sul movimento ha costituito la sua più grande debolezza ideologica.
Poiché Erdogan stesso ha costruito tutti i suoi attacchi ideologici contro il movimento intorno a quest’asse della democrazia e delle elezioni; le autorità governative, benché con mucchi di menzogne e manipolazioni, hanno ripetuto a sazietà l’argomentazione secondo la quale anche nei paesi considerati più democratici, la polizia utilizza la violenza contro le manifestazioni illegali – questa su cui non avevano torto. Inoltre, la linea che mirava a ottenere diritti democratici legava le mani delle masse dinanzi agli attacchi della polizia e il terrore statale, e pacificava la loro resistenza. (...) Detto ciò, l’elemento più attivo in questa tendenza democratica che sembra aver preso il controllo della Piattaforma di Solidarietà di Taksim sta nelle confederazioni sindacali di sinistra come la KSEK e la DISK. (...) La Piattaforma di Solidarietà di Taksim e dunque la tendenza democratica, per il fatto di essere costituita da rappresentanti di ogni sorta di associazioni e organizzazioni, ha tratto la sua forza non da un legame organico con i manifestanti ma dalla legittimità borghese, dalle risorse mobilitate e dal sostegno delle sue componenti. (...) La sinistra borghese è un’altra tendenza che occorre citare. La base dei partiti di sinistra, che si possono anche definire come la sinistra legale borghese, è stata per larga parte tagliata dalle masse. In generale è stata alla coda della tendenza democratica. I circoli stalinisti e trotskisti, o la sinistra radicale borghese, erano anch’essi in gran parte tagliati delle masse. Erano influenti nei quartieri, dove hanno tradizionalmente una certa forza. Benché si opponevano alla tendenza democratica quando questa provava a disperdere il movimento, l’hanno generalmente sostenuta. Le analisi della sinistra borghese si limitavano, per la maggior parte, a rallegrarsi “del sollevamento popolare” e a cercare di presentare i propri portavoce come i leader del movimento. Anche gli appelli allo sciopero generale, una linea tradizionalmente messa avanti dalla sinistra, non hanno avuto veramente eco al suo interno a causa dell’atmosfera di gioia cieca. Il suo slogan più accettato fra le masse era “spalla contro spalla contro il fascismo”. (...) Oltre alle tendenze citate sopra, si può parlare di una tendenza proletaria o di più tendenze proletarie all’interno del movimento. (...) In generale, una parte significativa dei manifestanti difendeva l’idea che il movimento doveva creare un’auto-organizzazione che gli permettesse di determinare il proprio futuro. La parte dei manifestanti che voleva che il movimento si unisse con la classe operaia era composta da elementi coscienti dell’importanza e della forza della classe, che erano contro il nazionalismo, anche se mancava loro una chiara visione politica. (...) [Tuttavia], la debolezza comune delle manifestazioni in tutta la Turchia è la difficoltà a creare discussioni di massa e prendere il controllo del movimento grazie a forme d’auto-organizzazione sulla base di queste discussioni. Discussioni di massa simili a quelle che si sono sviluppate nei movimenti attraverso il mondo sono state assenti in particolare nei primi giorni. Un’esperienza limitata della discussione di massa, di riunioni, di assemblee generali, ecc., e la debolezza della cultura del dibattito in Turchia hanno senza dubbio giocato su questa debolezza. Allo stesso tempo, il movimento ha avvertito la necessità della discussione e i mezzi per organizzarla sono iniziati a emergere. La prima espressione della coscienza del bisogno di discutere è stata la creazione di una tribuna aperta nel parco Gezi. Questa non ha attirato molto l’attenzione, né è durata molto, ma ha avuto tuttavia un certo impatto. (...) Se si guarda questo movimento a livello del paese, l’esperienza cruciale è fornita dai manifestanti di Eskișehir.
In un’assemblea generale nella piazza della Resistenza di Eskișehir, sono stati istituiti dei comitati per organizzare e coordinare le manifestazioni. (...) Inoltre, dal 17 giugno, nei parchi di diversi quartieri di Istanbul, masse di gente ispirate dai forum del parco Gezi hanno messo su assemblee di massa anch’esse chiamate “forum”. Tra i quartieri dove si sono organizzati questi forum, ci sono Beșiktaș, Elmadağ, Harbiye, Nișantașı, Kadıköy, Cihangir, Ümraniye, Okmeydanı, Göztepe, Rumelihisarüstü, Etiler, Akatlar, Maslak, Bakırköy, Fatih, Bahçelievler, Sarıyer, Yeniköy, Sarıgazi, Ataköy e Alibeyköy. I giorni seguenti, altri se ne sono tenuti ad Ankara e in altre città. Di colpo, per paura di perdere il controllo su queste iniziative, la Piattaforma di Solidarietà di Taksim ha iniziato anche lei appelli a favore di questi forum. (...).
Benché per molti aspetti la resistenza del parco Gezi sia in continuità con il movimento di Occupy negli Stati Uniti, degli Indignati in Spagna e dei movimenti di protesta che hanno destituito Mubarak in Egitto e Ben Ali in Tunisia, ha anche delle sue particolarità: come in tutti questi movimenti, in Turchia c’è un peso vitale del giovane proletariato. L’Egitto, la Tunisia e la resistenza del parco Gezi hanno in comune la volontà di sbarazzarsi di un regime che è percepito come “una dittatura”. (...) Ma, contrariamente al movimento in Tunisia che ha organizzato comitati locali, e in Spagna o negli Stati Uniti dove le masse si sono generalmente assunte la responsabilità del movimento attraverso assemblee generali, in Turchia questa dinamica è restata all’inizio molto limitata. (...) [Inoltre] le questioni più discusse riguardavano i problemi pratici e tecnici degli scontri con la polizia. (...) La similitudine con Occupy negli Stati Uniti è stata l’occupazione effettiva [della strada]; anche se in Turchia, le occupazioni superavano in numero, con una partecipazione di massa, quelle degli Stati Uniti. Inoltre in Turchia come negli Stati Uniti, c’è stata una tendenza fra i dimostranti a comprendere l’importanza dell’implicazione nella lotta della parte del proletariato occupato. (...) Benché il movimento in Turchia non sia riuscito a stabilire un legame serio con l’insieme della classe operaia, le chiamate allo sciopero attraverso i social network hanno incontrato una certa eco che si è manifestata attraverso una maggiore astensione dal lavoro che negli Stati Uniti. Nonostante le sue particolarità, non c’è alcun dubbio che il movimento di questa “canaglia” è parte integrante della catena dei movimenti sociali internazionali. (...) Uno dei migliori indicatori che mostrano che questo movimento fa parte dell’onda internazionale si trova nel suo rifarsi ai manifestanti brasiliani. I manifestanti turchi hanno salutato la risposta venuta dall’altra sponda del mondo con le parole d’ordine: “Siamo insieme, Brasile + Turchia!” e “Brasile, resisti!”. E poiché il movimento si è ispirato alle manifestazioni in Brasile che contengono rivendicazioni di classe, questo può in futuro favorire la nascita di rivendicazioni di classe in Turchia. (...) Nonostante tutte le debolezze e i pericoli che minacciano questo movimento, se le masse in Turchia non fossero riuscite a diventare un anello della catena delle rivolte sociali che scuotono il mondo capitalista, il risultato sarebbe stato un ben più grande sentimento d’impotenza. La nascita di un movimento sociale di un’ampiezza mai vista dal 1908 in questo paese è dunque di un’importanza storica.(...)
Dünya Devrimi, il 21 giugno
[1] Disponibile in inglese, spagnolo e francese sulle rispettive pagine del nostro sito: www.internationalism.org.
[2] Partito per la giustizia e lo sviluppo, islamista “moderato”, al potere dal 2002 in Turchia (ndr)