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Ecologia verde: trappole, mistificazioni e alternative
Anche se il libro non ci risulta essere stato pubblicato in Italia, pensiamo che quest’articolo, scritto dai nostri compagni in Belgio, possa costituire comunque un utile contributo alla riflessione sul problema del degrado ambientale e sulla risposta che questo richiede.
Il libro Il mito dell’economia verde[1], si presenta come una critica spietata de “l’economia verde”, perché rimette in causa un buon numero di soluzioni (ad esempio, il fracking) proprie di questo cosiddetto approccio “alternativo”: sia perché queste risolvono solo un problema parziale, senza tener conto dell’impatto ecologico distruttivo a lungo termine, sia perché il rimedio si rivela più terribile del male per l’uso, nel quadro de “l’economia verde”, di mezzi che mettono in moto processi che sono altrettanto inquinanti, se non di più, a medio e lungo termine.
Una critica apparentemente dura de “l’economia verde” …
Nel primo e nel secondo capitolo, la situazione disastrosa viene spiegata dal fatto che non ci si può aspettare alcuna soluzione da parte del capitalismo perché questo sistema considera la natura come “un dono gratuito”[2], che può essere utilizzato a proprio piacere.
Gli autori tentano anche di ricercare le radici di questa crisi ecologica e spiegano che queste si trovano nell’espropriazione dei beni sociali comunitari (definiti con il termine inglese common). Dimostrano molto minuziosamente come il capitalismo gioca un ruolo attivo nella degradazione della natura e come s’interessa a essa solo quando la può trasformare in valore commerciale. Ne consegue che ogni cosa riguardante la natura cui il capitalismo è interessato è destinata a essere saccheggiata o distrutta. Mostrano, infine, che la stessa “economia verde”, non solo non riesce a fermare i misfatti della mercificazione della natura, ma li aggrava.
Con fatti e argomenti, descrivono come tutte le soluzioni proposte servano solo a spostare l’ipoteca che pesa sulla società e tentino di farne ricadere la colpa sulla popolazione e “i cittadini”. Secondo gli autori, uno degli obiettivi prioritari è ridurre il consumo di petrolio e di altri combustibili fossili in quanto causa principale di inquinamento, riduzione che deve essere affrontata con urgenza.
Il libro porta poi, essenzialmente, sull’alternativa ecologica dei beni sociali comunitari o common - attaccati costantemente dalla liberalizzazione dell’economia - e sull’insuccesso evidente del neoliberismo in campo ecologico. Parlando di una necessaria alternativa, viene fatta una critica rispetto al “socialismo reale” dell’USSR e dei paesi che adesso s’ispirano, dove è flagrante la catastrofe ecologica[3]. Ma quando si fa riferimento a Cuba, questa critica improvvisamente non è più valida. Cuba sarebbe oggi un esempio, il paese con la minore impronta ecologica al mondo, grazie all’arresto improvviso delle consegne di petrolio dopo il crollo dell’USSR. Che Cuba abbia sterminato la sua foresta subtropicale per la coltivazione della canna da zucchero all’inizio degli anni 60 e che sia stata responsabile di altre catastrofi ecologiche, gli autori sembrano non averne mai sentito parlare. Ma anche questo mito è stato già da tempo sfatato da alcuni attivisti ecologici cubani[4].
… per promuovere la mistificazione della “democrazia verde”
Innanzitutto, bisogna dire che la scienza può diventare un’alleata della classe operaia e più in generale dell’umanità. Inoltre, gli studi scientifici che oggi possono liberarsi dal dominio materiale o ideologico del capitalismo e della sua inevitabile sponsorizzazione, sono più che benvenuti. Tuttavia, la domanda da porsi è: il libro esplora realmente fino in fondo la contraddizione del sistema capitalista per ciò che riguarda “l’economia verde”? Una lettura attenta del lavoro permette immediatamente di rilevare un certo numero di contraddizioni nell’argomentazione.
Da una parte, si afferma giustamente che le soluzioni che sono proposte da “l’economia verde” restano rigorosamente nel quadro della possibilità di realizzare profitti. Dall’altra, si dice che i common farebbero esattamente il contrario. Ma per dare ai beni sociali comunitari tutti i loro diritti, viene tuttavia invocato l’aiuto di una regolamentazione da parte dello Stato (o dagli organi che sono controllati o promossi dallo Stato, come i sindacati). Poiché non viene evocata nessuna soppressione dello sfruttamento capitalista, ma unicamente una diversa regolamentazione dei consumi, in sostanza non si fa altro che chiedere il sostegno dello Stato borghese che deve essere riformato “ecologicamente” per servire meglio “gli interessi del popolo”. Il presentare i regimi di Morales e di Chavez e il modello Cuba, come esempi di un’alternativa, conferma questa logica di una regolamentazione da parte dello Stato, tipico dell’ambiente gauchista. Che questi regimi oltre ad essere totalitari, abbiano anche più di una volta represso con violenza la protesta operaia – usando l’esercito a più riprese contro le fabbriche in sciopero e gli operai agricoli – non viene detto.
Sul piano delle rivendicazioni il libro è molto ambiguo: vantare i common come soluzione ecologica creativa alternativa e allo stesso tempo elemosinare l’aiuto dello Stato e dei sindacati, che sono elementi propri alla società capitalista, è come voler conciliare l’acqua con il fuoco. Questi non sono attori neutrali nel contesto capitalista: lo Stato garantisce “l’ordine sociale globale" e bada alla sopravvivenza del sistema capitalista, possibilmente attraverso elezioni democratiche o se no con le armi. La struttura sindacale, già dalla prima guerra mondiale, ha il ruolo di “disciplinare la fabbrica” e non ha mai sostenuto esigenze che possono minacciare l’interesse nazionale e il sistema. I soli che minacciano sono gli operai, quando scendo in lotta con uno sciopero “selvaggio” (come recentemente hanno sperimentato gli operai dei subappalti di Ford-Genk).
Nell’alternativa proposta dagli autori viene sostenuta “una soluzione democratica”. Ma che significa una soluzione democratica? Delle volte sembra situarsi - secondo gli autori - al di fuori del capitalismo, in altri momenti, sembra dover passare attraverso delle leggi veloci perché “il tempo stringe”. Eppure, loro stessi hanno constatato prima che tutte le misure de “l’economia verde” vanno nella direzione del sistema e sono distruttrici per la natura. Non è chiaro con quali misure pensano sia possibile rovesciare tale tendenza. Da un lato, avanzano dei “successi”, come i casi di autogestione in Argentina, in Messico e in Gran Bretagna, ma dopo viene fuori che questi sono solo temporanei…
Degli argomenti avanzati nel libro possono talvolta somigliare a quelli della componente riformista del movimento Occupy e degli “Indignados” - (Democracia Real Ya – “Una vera democrazia ora” - in Spagna), che ha tentato con tutti i mezzi di orientare il movimento di protesta verso obiettivi “concreti” nel quadro del capitalismo, mentre in questi movimenti si manifestavano molte tendenze proletarie che mettevano in discussione il sistema stesso.
Nel libro vengono poi enumerate vari elementi per un’alternativa, tipo “l’insieme dei paesi del Sud”, il proletariato ecologico, i cittadini coscienti. Ciò che colpisce è che della classe operaia non si parla proprio. Esiste ancora? A quanto pare, per gli autori non conta. A pagina 192, affermano che un capitalismo verde fabbrica “consumatori” al posto di “cittadini”! Ai “cittadini coscienti”, allora, spetterebbe il compito di impedire la catastrofe ecologica. Il posto centrale della classe operaia nel processo di produzione capitalista sparisce. Resta solo l’indignazione morale del “consumatore cosciente”, del “cittadino”. In questo modo ogni protesta viene sradicata dalla sfera della produzione e canalizzata verso quella del consumo. Diventa così impossibile avere una comprensione reale dei rapporti di produzione capitalista e del ruolo centrale della classe operaia nel capovolgimento di questi.
Alla fine, la critica “radicale” dell’economia verde diventa solo una cortina di fumo per fare ingoiare le classiche ricette dell’estrema sinistra del capitale: lo Stato, la “democrazia popolare”, la riforma dei consumi come alternativa all’interno della logica del profitto capitalista.
Il marxismo propone un’alternativa?
Nella ricerca di alternative al di fuori del capitalismo, dove si porrà fine alla produzione per il profitto (il valore di scambio delle merci) e dove l’uso (il valore d'uso), sarà posto come fine della produzione, si arriva necessariamente a Marx ed Engels.
Due attuali ricercatori accademici, John Bellamy Foster e Paul Burkett[5], hanno fornito un importante contributo sulla reale visione difesa da Marx ed Engels riguardante il rapporto tra Uomo e Natura. J. Bellamy Foster aveva constatato che i Verdi erano fortemente influenzati dal filosofo inglese Francis Bacone, un pensatore materialista che, nel 1660, è stato uno dei fondatori della Royal Society of London. Investigando ulteriormente, e attraverso Bacone e la sua visione materialista sulla natura (espressa nel suo lavoro Novum Organum), è risalito ai filosofi materialisti ed Epicuro, nell’antica Grecia, e a Lucrezio, nella cultura romana antica. Attraverso questo percorso ha “riscoperto” Marx (la cui tesi trattava di Epicuro.) A partire da qui, ha messo in evidenza che la “critica verde” era in fondo “idealista” e che attaccava in modo totalmente infondato il marxismo, per il suo sedicente “produttivismo”, sulla base di una critica delle posizioni di Stalin e di molti partiti e gruppi dell’estrema sinistra borghese. Il suo collega P. Burkett ha condotto una ricerca complementare apportando ulteriori elementi, provenienti soprattutto da Il Capitale, parte III, da Teorie sul plusvalore di Marx e dalla Dialettica della natura di Engels. Ma, in quest’articolo, per mancanza di spazio purtroppo non possiamo sviluppare questo punto.
Lo stalinismo ha tradito tutti i principi marxisti: l’internazionalismo proletario è stato messo a profitto della patria “socialista”, l’arte e la cultura sono state violate subordinandole allo Stato onnipotente, il materialismo storico è stato abbandonato a favore del materialismo volgare, la crescita mostruosa dello Stato si è sostituita alla sua soppressione, l’analisi dei rapporti di produzione è stata scalzata da quella del modo di produzione. Questo ha permesso allo stalinismo di promuovere a “socialismo” il proprio sistema di produzione di plusvalore e dunque di sfruttamento. In effetti, era una forma di capitalismo di Stato, visto che i rapporti di produzione capitalista continuavano ad esistere come plusvalore realizzato globalmente dallo Stato (la concezione di un “socialismo di Stato” era già stata rigettata da Engels).
Nei primi anni della rivoluzione russa ci si basava minuziosamente sulle idee di Marx ed Engels a proposito della natura. All’epoca dello sviluppo di nuovi complessi industriali, fu calcolato quali danni questi avrebbero potuto causare all’ambiente naturale e come compensarli, per esempio con la creazione di parchi naturali, gli zapovedniki (tra il 1919 e 1929, furono creati 61 parchi naturali con una superficie totale di circa 4 milioni di ettari), nei quali le regioni naturali erano protette come modelli da paragonare alle terre coltivate[6]. All’epoca dell’industrializzazione forzata sotto lo stalinismo, i difensori di questa politica furono liquidati e non solo nel senso figurato del termine, con tutte le conseguenze che ne sono derivate per l’ambiente[7].
In seno alla tradizione marxista, ciò ha significato un serio colpo per la riflessione relativa alla natura e all’equilibrio ecologico. A parte Christopher Caudwell e Amadeo Bordiga, la riflessione sul legame indissociabile tra uomini e natura si è fermata quasi totalmente fino agli anni 80. I comunisti di sinistra intorno a Bordiga si sono basati sulle idee di Engels riguardanti la soppressione nel socialismo della contrapposizione tra città e campagna, come mostrano queste citazioni di Engels e di Bordiga: “La soppressione dell’opposizione tra città e campagna non è un’utopia più di quanto non lo sia la soppressione dell’antagonismo tra capitalisti e salariati. Essa diventa ogni giorno di più un’esigenza pratica sia dal punto di vista della produzione industriale che della produzione agricola. Nessuno l’ha difesa con più forza di Liebig nei suoi lavori sulla chimica agricola nei quali chiede che l’uomo renda alla terra ciò che ha ricevuto da essa…”[8]; “Siamo in pieno nel quadro delle atroci contraddizioni che il marxismo rivoluzionario denunzia come proprie dell’odierna società borghese, e che non si limitano alla spartizione dei prodotti del lavoro e ai conseguenti rapporti tra i produttori, ma - inseparabilmente - si estendono alla dislocazione geografica e territoriale degli strumenti ed impianti di produzione e di trasporto, e quindi degli uomini stessi, che forse in nessun’altra epoca storica presentò caratteri così disastrosi e raccapriccianti”[9]; “La lotta rivoluzionaria per lo sventramento dei paurosi agglomerati tentacolari può definirsi: ossigeno comunista contro fogna capitalista. Spazio contro cemento”[10].
Per l’umanità, si tratta di fermare il Moloch del capitalismo attraverso la rivoluzione proletaria, la sola che può e deve rovesciare questo sistema di produzione. Solo dopo un’altra logica potrà mettersi in moto e rompere radicalmente col principio del profitto, che sfrutta l’uomo e la natura minacciando di distruggerli. Come dice Caudwell: “Da qui a quando maturerà una situazione rivoluzionaria, ci sarà una nuova sovrastruttura che esisterà in modo latente in seno alla classe sfruttata derivante da tutto ciò che questa ha appreso dallo sviluppo delle forze produttive… è il ruolo creativo delle rivoluzioni… La rivoluzione proletaria è una conseguenza dell’antagonismo crescente tra la sovrastruttura borghese ed il lavoro proletario”.
Per seguire questa strada, abbiamo bisogno di un’analisi molto più radicale di quella che è avanzata dagli autori de “Il mito dell’economia verde”. Con i loro argomenti si continua a restare prigionieri nella spirale discendente della riflessione all’interno dei limiti di un sistema di sfruttamento che distrugge tutto.
JZ
Da Internationalisme, organo della CCI in Belgio, maggio 2013
[1] Anneleen Kennis & Matthias Lievens, Le mythe de l’économie verte, EPO, Anversa, 2012.
[2] Secondo Adam Smith, economista e padre del pensiero economico capitalista.
[3] Il 20% dell’immenso territorio dell’ex-URSS è gravemente inquinato e per generazioni intere.
[4] Vedi i contributi, interessanti da questo punto di vista, dell’attivista ecologico cubano, Gilberto Romero, Cuba’s environmental Crisis, Contacto, Magazine. 1994-96, e due contributi critici che provengono dal campo anarchico: Frank Fernández, Cuban Anarchism, the history of a movement, See Sharp Press Arizona 2001 e Sam Dolgoff, The Cuban revolution, a critical perspective, Blackrose Books, Montreal 1976.
[5] John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, materialism and nature, Monthly Review Press, Nex York, 2000. Paul Burkett, Marx and Nature, a red and green perspective, St Martins' press, New York, 1999. L’unico limite dei due ricercatori è che, anche se partono da punti di vista materialisti basati su Marx ed Engels, nella loro ricerca di prospettive non fanno riferimento alle esperienze del movimento operaio rivoluzionario, tra altro all’eredità dei comunisti di sinistra. Questo non sminuisce, tuttavia, il valore di un contributo che permette la “riabilitazione” dell’analisi marxista del rapporto tra uomo e natura di fronte alle falsificazioni staliniste.
Altre fonti interessanti al riguardo sono: The myth of the “green economy” nella nostra Rivista Internazionale n.138, 2009 (in inglese, francese e spagnolo) e il lavoro dello scienziato russo Vladimir I. Vernadsky, perseguitato dallo stalinismo, che ha elaborato il concetto di noosfera e sviluppato quello di biosfera nel suo libro La Biosfera, Mosca 1926.
[6] Arran Gare in Soviet Environmentalism: The Path not taken in “The Greening of Marxism”, edito da Ted Benton, Guilford Press, New York London, 1996.
[7] Christopher Caudwell, Studies e Further studies in Dying Culture, Monthly Review Press, 1971, Men and Nature, pag.151-2. Critico marxista morto in giovane età durante la guerra civile in Spagna.
[8] F. Engels, La Questione delle Abitazioni.
[9] A. Bordiga, Specie umana e crosta terrestre, Sul Filo del Tempo 1952, ed. Iskra.
[10] A. Bordiga, Spazio contro cemento, Sul Filo del Tempo 1953, ed. Iskra.