Inviato da RivoluzioneInte... il
In Siria, per esempio, la guerra ed i massacri a cui sono esposte le popolazioni (più di 100.000 morti in quindici mesi) illustrano tutto l’orrore e la barbarie di un sistema agonizzante. Traducono la situazione drammatica in cui sono immersi milioni di proletari, coinvolti nello scatenamento di scontri tra cricche borghesi sostenute da ogni grande potenza. Presi in ostaggio, non possono costituire una forza sufficiente per potere giocare anche minimamente un loro ruolo particolare ed a maggior ragione liberare la loro prospettiva. Purtroppo, il corollario di questa situazione è che, come in una parte crescente del Medio Oriente o dell’Africa, la gioventù sfruttata, ritrovandosi arruolata massicciamente in uno o l’altro dei campi opposti, è ridotta a carne da cannone.
All’opposto, in Turchia come in Brasile[1], centinaia di migliaia di proletari sofferenti, attualmente si organizzano e lottano. Sono capaci di suscitare un immenso slancio di solidarietà e di protesta. In prima linea, le giovani generazioni si richiamano e si ispirano fortemente ai movimenti degli Indignati in Spagna, pur dovendo affrontare una repressione feroce sia da un governo islamico retrogrado che da un potere tenuto dalla sinistra. Una sinistra che si vanta di essere la più “radicale” e “progressista”, una variante del famoso “socialismo del XXI secolo” in voga in America latina, e che pretende fare del Brasile un modello di paese emergente tale da tirare fuori la maggioranza della popolazione dalla sua immensa povertà. Anche se in Brasile, il rifiuto dell’aumento del biglietto dei trasporti pubblici è servito da detonatore/unificatore del movimento, questo non si è ridotto a rivendicazioni strettamente economiche. Alla stessa stregua del governo francese che cercando di imporre il CPE (Contratto di primo impiego) ha dovuto fare retromarcia di fronte alla mobilitazione dei giovani proletari nel 2006, l’indietreggiamento spettacolare del governo brasiliano, costretto dalla pressione a rinunciare a questo attacco, non è bastato ad arginare la mobilitazione perché quest’ultima è espressione di un profondo malcontento. L’esempio della Turchia è ancora più edificante. Vi si trova, oltre una continuità con la lotta degli operai della Tekel nel 2008, che aveva già dimostrato in modo ancora embrionale tutto un potenziale di combattività e di solidarietà al di là delle stesse divisioni inter-etniche alimentate dalla borghesia, il rigetto di una gogna e un’oppressione culturale ed ideologica insopportabile, in particolare tra le nuove generazioni di proletari all’avanguardia del movimento. I valori morali oscurantisti ed autoritari incarnati dal governo pro-islamico di Erdogan, i suoi atteggiamenti provocatori che provocano radicalizzazione ed estensione del movimento di fronte alla repressione, rafforzano la potente inspirazione alla dignità. A dispetto del peso della violenza e della decomposizione sociale, più che verso la Primavera araba facilmente recuperata dai religiosi, la protesta dei giovani proletari in Turchia, impregnata questi ultimi mesi da un contesto di lotte operaie importanti nei grandi centri industriali del paese ed influenzata dalla sua esperienza laica dopo Mustapha Kemal Atatürk, si iscrive, malgrado tutte le debolezze che esprime, in una dinamica profonda ed in linea con il movimento degli Indignati, degli Occupy e di Maggio 1968. Vi attinge le sue più vive risorse, di fronte ad un mondo di miseria, di oppressione ideologica e di sfruttamento, proprio come il movimento sociale in Brasile che si è egualmente e nettamente smarcato dalla religione di Stato e dalla sacra unione nazionale intorno al “Dio calcio” (prendendo di mira le spese esorbitanti dello Stato per i preparativi della Coppa del Mondo). Questa intensa agitazione, questo rombo fremente venuto dalle viscere della società imputridita traduce una stessa aspirazione, una stessa speranza. Essa è portata dalle giovani generazioni combattive, figli di proletari meno segnati rispetto ai loro padri dal peso delle sconfitte, dallo stalinismo ed in generale dalla controrivoluzione. Reagiscono e chiamano così agli assembramenti di massa o alle mobilitazioni attraverso portatili e social network, come Twitter. Dal profondo delle favelas a nord di Rio, alle gigantesche manifestazioni in tutte le grandi città brasiliane, fino a piazza Taksim ed alle assemblee aperte al dibattito pubblico nei parchi di Istanbul o presso gli studenti cileni, aspirano ad un altro tipo di rapporti sociali, dove non si è più disprezzati né trattati come bestie da soma.
Questi movimenti annunciano un nuovo periodo per il futuro, quello di una scossa in profondità che risuona come mezzo e promessa per sfuggire alla rassegnazione ed alla logica di concorrenza propria del capitalismo. Essi si pongono sullo stesso terreno dei paesi del centro storico del capitalismo dove, pur essendo presente lo stesso degrado delle condizioni di esistenza, la classe operaia non riesce ancora a prendere la strada di lotte massicce, in grande parte perché confrontata ad una borghesia molto esperta ed organizzata. Ma fin da ora è verso questa classe operaia dei paesi centrali, in particolare d’Europa, che si portano gli sguardi delle mobilitazioni attuali, perché essa rappresenta la parte del proletariato mondiale più concentrata, più esperta e la più rotta alle trappole ed alle più sofisticate mistificazioni tese dal nemico, come la democrazia o la libertà sindacale. I metodi di lotta che questa è potenzialmente capace di riproporre, come le assemblee generali di massa ed autonome, sono vere armi per l’insieme del proletariato internazionale. Dalla loro avvio dipenderà l’avvenire dell’umanità intera.
Wim, 26 giugno
[1] Per la Turchia vedi “Movimento sociale in Turchia: il rimedio contro il terrore di Stato non è la democrazia”, per il Brasile “Manifestazioni contro l’aumento del prezzo dei trasporti in Brasile: la repressione poliziesca provoca la collera della gioventù”.