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Ancora una volta la borghesia francese si lancia alla testa di un conflitto armato in Africa. Ancora una volta, lo fa in nome della pace. Nel Mali, si tratterebbe di una lotta contro il terrorismo e dunque per la sicurezza dei popoli. Non c’è alcun dubbio sulla crudeltà delle bande armate che regnano nel nord del Mali. Questi signori della guerra ovunque passino seminano morte e terrore. Ma i motivi dell’intervento francese non hanno niente a che vedere con le sofferenze delle popolazioni locali. Lo Stato francese mira solo a difendere i suoi sordidi interessi imperialisti. Gli abitanti di Bamako sono scoppiati di gioia e hanno salutato François Hollande come un salvatore. Queste sono le sole immagini di questa guerra che i media francesi diffondono: popolazioni in festa, tranquillizzate dal fatto che viene bloccata l’avanzata verso la capitale delle orde mafiose che intensificano i loro atroci soprusi. Ma questa esultanza sarà di breve durata. Quando una “grande democrazia” passa con i suoi carrarmati, dopo l’erba non è mai più verde di prima! Al contrario, desolazione, caos e miseria sono i risultati del suo intervento. La cartina geografica sotto riprodotta evidenzia nei dettagli i principali conflitti che hanno devastato l’Africa negli anni 90 e le carestie che l’hanno colpita. Il risultato è spettacolare: ogni guerra - spesso fatta sotto la bandiera del diritto all’ingerenza umanitaria, come in Somalia nel 1992 o in Ruanda nel 1994 - ha provocato gravi penurie alimentari. Non sarà diverso nel Mali. Questa nuova guerra andrà a destabilizzare l’intera regione e aumenterà notevolmente il caos.
Una guerra imperialista
“Con me Presidente, finisce la ‘Franciafrica’”. Questa grossolana menzogna di François Hollande susciterebbe una gran risata se non implicasse nuovi cadaveri. La sinistra continua a propagandare il suo umanesimo ma, da circa un secolo, i grandi valori che ipocritamente veste servono solo a dissimulare la sua reale natura: una frazione borghese che, come tutte le altre, è pronta a tutto, a ogni crimine, per difendere l’interesse nazionale. Perché è proprio di questo che si tratta nel Mali: difendere gli interessi strategici della Francia. Come François Mitterrand che decise di intervenire militarmente in Ciad, in Iraq, in ex-Iugoslavia, in Somalia e in Ruanda, oggi François Hollande dimostra che i “socialisti” non esitano mai a difendere i propri “valori” (in altre parole gli interessi borghesi della nazione francese) con il mitra in mano.
Sin dall’inizio dell’occupazione del Nord del paese da parte degli islamici, le grandi potenze, in particolare la Francia e gli Stati Uniti, hanno manovrato per spingere i paesi della zona a impegnarsi militarmente promettendo loro finanziamenti e mezzi logistici. Ma in questo gioco di alleanze e manipolazioni, lo Stato americano è sembrato più capace riuscendo poco a poco a guadagnarne in influenza. Farsi battere nel cuore del proprio territorio di caccia era inaccettabile per la Francia. Doveva reagire e alla grande: “Nel momento delle decisioni, la Francia ha reagito utilizzando il suo ‘diritto-dovere’ di vecchia potenza coloniale. Il Mali certamente si stava avvicinando un po’ troppo agli Stati Uniti, tanto da apparire come sede ufficiosa dell’Africom, il comando militare unificato per l’Africa, instaurato nel 2007 da George Bush e consolidato in seguito da Barack Obama” (Courrier international del 17 gennaio 2013).
In realtà, in questa regione del globo, le alleanze imperialiste sono estremamente complesse e molto instabili. Gli amici di oggi possono diventare i nemici di domani quando non lo sono entrambi allo stesso tempo! Tutti sanno che l’Arabia Saudita e il Qatar, “Grandi alleati" dichiarati della Francia e degli Stati Uniti, sono anche i principali finanziatori dei gruppi islamici che agiscono nel Sahel. Non sorprende quindi leggere nelle colonne di Le Monde del 18 gennaio, che il Primo ministro del Qatar si sia pronunciato contro la guerra che la Francia ha intrapreso nel Mali mettendo in dubbio la pertinenza dell’operazione “Serval”. E che dire delle superpotenze Stati Uniti e Cina che sostengono ufficialmente la Francia per giocare meglio dietro le quinte e continuare a far avanzare le loro pedine?
La Francia impantanata da molto tempo nel Sahel
Come gli Stati Uniti in Afghanistan, la Francia ha grandi probabilità di arenarsi sul nuovo campo di guerra. L’imperialismo francese sta manifestando il suo insabbiamento nel “pantano del Mali”, e più in generale nel Sahel, a tempo indeterminato (Hollande parla di “tempo necessario”). “Se l’operazione militare si giustifica per i pericoli rappresentati dalle attività di gruppi terroristici, ben armati e sempre più fanatici, essa non è esente da rischi di impantanamento e di instabilità duratura di tutta la regione ovest-africana. Non possiamo evitare, difatti, di assimilarla alla Somalia. La violenza nel paese, in seguito ai tragici avvenimenti di Mogadiscio all’inizio degli anni 90, si è propagata in tutto il Corno d’Africa che, vent’anni dopo, non sempre ha ritrovato la sua stabilità”. (A. Bourgi, Le Monde, 15 gennaio 2013). Quest’ultima idea è significativa: la guerra in Somalia ha destabilizzato tutto il Corno d’'Africa che “vent’anni dopo, non sempre ha ritrovato la sua stabilità ". Ecco cosa sono queste pretese guerre “umanitarie” o “antiterrorismo”. Quando le “grandi democrazie” sventolano la bandiera dell’intervento militare per difendere il “benessere dei popoli”, la “morale” e la “pace”, si lasciano sempre dietro campi di rovine dove regna l’odore della morte.
Dalla Libia al Mali, dalla Costa d’Avorio all’Algeria, il caos si generalizza
“Impossibile (…) non notare che il recente colpo di Stato (nel Mali) è un effetto collaterale delle ribellioni del Nord, che sono esse stesse la conseguenza della destabilizzazione della Libia per opera di una coalizione occidentale che non prova stranamente né rimorsi né sentimenti di responsabilità. Difficile anche non notare questo harmattan (vento africano) che soffia sul Mali, dopo essere passato per i suoi vicini ivoriani, guineani, nigeriani e mauritani” (Courrier international, 11 aprile 2012). In effetti, sono stati molti i gruppi armati che si sono battuti al fianco di Gheddafi e che oggi si trovano nel Mali, e altrove, con le proprie armi dopo avere svuotato i depositi di armi libici.
Eppure, anche in Libia, la “coalizione occidentale” è intervenuta con la scusa di far regnare l’ordine e la giustizia, per il benessere del popolo libico… Oggi, gli oppressi di questa regione del mondo subiscono la stessa barbarie e il caos continua a estendersi. Con questa guerra in Mali tocca all’Algeria essere destabilizzata. Il 17 gennaio un battaglione di AQMI[1] ha catturato centinaia di persone impiegate in un sito di produzione di gas a Tigantourine. L’esercito algerino ha reagito sparando massicciamente sui rapitori e i loro ostaggi facendo dozzine di morti. Di fronte a questa carneficina, Hollande ha dichiarato, come qualsiasi guerrafondaio della classe dominante è costretto a fare oggi per difendere il proprio campo, “un paese come l’Algeria ha le risposte che mi sembrano, almeno per me, le più adeguate perché non c’era possibilità di negoziati”. Questa entrata dell’Algeria nella guerra del Sahel, salutata come si deve da un capo di Stato preso dalla logica imperialistica, dimostra in quale cerchio infernale sta sprofondando il capitalismo. In fin dei conti: “Per Algeri, quest’azione inedita sul suo territorio spinge ancor più il paese in una guerra che ha cercato con tutti i mezzi di evitare, per timore delle conseguenze all’interno alle sue frontiere.” (Le Monde, 18 gennaio 2013).
Sin dall’inizio della crisi del Mali, il potere algerino ha condotto un doppio gioco, come dimostrano due fatti significativi: da un lato “ha negoziato” apertamente con certi gruppi islamisti lasciando anche alcuni di questi si rifornissero sul suo suolo di grosse quantità di carburante durante la loro offensiva per la conquista della città di Konna in direzione di Bamako; dall’altro, Algeri ha autorizzato gli aerei francesi a sorvolare il suo spazio aereo per bombardare i gruppi jihadisti nel nord del Mali. Questa posizione contraddittoria e la facilità con la quale gli elementi dell’AQMI hanno potuto accedere al sito industriale più “protetto” del paese, mostrano il carattere decomposto degli ingranaggi dello Stato e della società. Come per gli altri Stati del Sahel, l’entrata in guerra dell’Algeria non può che accelerare il processo di decomposizione in corso.
Tutte queste guerre indicano che il capitalismo è immerso in una spirale estremamente pericolosa, che mette in pericolo la stessa sopravvivenza dell’umanità. In modo progressivo, intere zone del globo sprofondano nel caos e la barbarie. Si mescola la ferocia dei torturatori locali (signori della guerra, capi clan, bande terroristiche…), la crudeltà degli imperialismi di second’ordine (piccoli e medi Stati), e il potere devastante delle grandi nazioni, e ognuno di questi è pronto a tutto, a ogni intrigo, a tutti i colpi bassi, a tutte le manipolazioni, a tutti i crimini, a tutte le atrocità… per difendere i propri miserabili e patetici interessi. Gli incessanti cambiamenti di alleanze danno all’insieme un’immagine di danza macabra.
Questo sistema moribondo continua a sprofondare, questi conflitti armati continuano a estendersi, arroventando sempre più vaste regioni del globo. Scegliere un campo, in nome del male minore, significa partecipare a questa dinamica che potrà avere come sbocco solo la morte dell’umanità. C’è una sola alternativa realistica, un solo modo di uscire da questo ingranaggio infernale: la lotta di massa e internazionale degli sfruttati per un mondo diverso, senza classi né sfruttamento, senza miseria né guerra.
Amina (19 gennaio)