Inviato da ICConline il
Intanto questi ultimi, e soprattutto quelli che hanno perso il lavoro, che stanno in cassa integrazione da anni, o quelli che non riescono più a vivere con i pochi soldi che guadagnano, ma anche quelli che hanno dovuto chiudere la loro piccola attività, che hanno visto un proprio caro suicidarsi perché oberato di debiti o umiliato dalla povertà, ed ancora la stragrande maggioranza dei precari a vita o di giovani che non riescono a diventare neanche questo, tutti questi guardano a questa sceneggiata con sempre maggiore disincanto. E spesso in questi giorni si sente dire dalla gente più diversa “Ma vale la pena andare a votare?”.
Eppure il “senso civico”, l’idea che comunque non si può restare passivi, che almeno si può tentare di scegliere “il male minore”, alla fine possono prendere il sopravvento e portarci nella cabina elettorale, anche se con un nodo allo stomaco.
E’ vero, non si può rimanere inerti di fronte alla degradazione continua delle nostre condizioni di vita. Reagire è legittimo, anzi necessario. Ma è veramente mobilitandosi sul piano elettorale che possiamo far fronte a tutti questi attacchi?
La democrazia, una grande macchina per seminare illusioni
Formalmente il diritto di voto è un bene prezioso. Grazie a questo ogni cittadino ha nelle proprie mani il potere di scegliere la politica nella sua città, la sua regione, la sua nazione. È il fondamento della democrazia. Ma questo “potere” non è forse una farsa?
Ad ogni elezione sembra che si scontrino progetti differenti per il futuro della società. Adesso i vari Bersani, Vendola, ecc. ci vengono a parlare di difesa dei più deboli, di “equità sociale”, di sviluppo economico basato sull’occupazione e sulle opportunità per i giovani. Aria fritta! La politica portata avanti dalla sinistra per decenni, e che i proletari hanno pagato a proprie spese, non si differenzia affatto da quella della destra. I governi di destra del famigerato Berlusconi hanno solo continuato l’opera iniziata da Prodi e compagni di smantellamento delle pensioni e dell’assistenza sanitaria, di precarizzazione del lavoro, di aumento dei carichi di lavoro… E non poteva che essere così. Tutte queste misure erano necessarie per la competitività dell’economia nazionale. Anzi, l’ultimo governo Berlusconi è stato tolto di mezzo proprio perché non abbastanza attento e capace su questo piano quando la crisi mondiale necessitava, e necessita tuttora, misure ancora più draconiane. Cosa a cui ha provveduto il governo Monti. E chiunque vincerà queste elezioni non potrà che continuare sulla strada di Monti.
La propaganda elettorale serve appunto a nascondere questa cruda verità facendo credere nella possibilità di un’alternativa: “Sì, un’altra politica è possibile... a condizione che si voti bene”. Fandonie e fumo negli occhi! Cosa potrà essere il nuovo governo? Forse che Berlusconi, Bersani, Monti, Maroni, Ingroia, Vendola e lo stesso Grillo, con tutto il loro seguito, non appartengono alla stessa famiglia... la borghesia? Le differenze che separano i partiti borghesi sono nulla in confronto a ciò che hanno in comune: la difesa del capitale. E per difendere questo, tutti questi signori sono ben capaci di lavorare insieme, gomito a gomito, specialmente dietro le porte chiuse delle commissioni parlamentari e i più alti livelli dell’apparato statale. Quello che vediamo in Parlamento non sono che scaramucce all’interno della borghesia. I membri del Parlamento sono diventati nei fatti dei funzionari dello Stato con il compito, di volta in volta, di gesticolare in aula davanti alle telecamere per fingere indignazione rispetto a questa o quella misura, questa o quella parola “fuori posto” di un altro deputato... tutto questo per impressionare la platea e farla illudere che ci sia un’intensa vita democratica.
Nella realtà, le elezioni non offrono nessuna vera alternativa, nessuna via d’uscita. La possibilità di essere ascoltati attraverso le urne è solo un’illusione sapientemente mantenuta.
Isolato, il proletario è impotente
Se la classe operaia non ha nulla da guadagnare sul terreno elettorale, la borghesia ne esce vincente ogni volta. Trasformando i proletari in cittadini-elettori, li diluisce nella massa della popolazione, li isola gli uni dagli altri. Soli e quindi impotenti, può cercare di ficcare nel loro cervello quello che vuole.
“Tutti gli uomini sono nati liberi ed uguali davanti alla legge”, questo è inciso nel marmo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Per questo ogni cittadino ha un diritto inalienabile, quello di votare. Questa ideologia può essere riassunta in una semplice equazione: un individuo = un voto. Ma il problema è proprio che questa bella affermazione di principio è solo virtuale. Nel mondo reale gli uomini sono tutt’altro che uguali. Nel mondo reale la società è divisa in classi. Sopra e dominante, con le redini in mano, c’è la borghesia; sotto, ci sono tutti gli altri strati della società e in particolare la classe operaia. In concreto questo significa che una minoranza detiene lo Stato, i capitali, i media... La borghesia può quindi imporre ogni giorno le sue idee, la sua propaganda.
Questo rullo compressore mediatico passa e ripassa sul corpo elettorale da mesi. La propaganda non si ferma un solo istante. Riviste, giornali, programmi speciali si susseguono ad un ritmo infernale caso mai (mai sia!) i lavoratori si mettano a riflettere un istante per conto loro. Questo lavaggio del cervello non è nuovo. Il primo Congresso dell’Internazionale Comunista affermava già nel 1919: “(la libertà di stampa) è illusoria, finché i migliori stabilimenti tipografici e le più grosse forniture di carta sono nelle mani dei capitalisti (...). I capitalisti danno il nome di libertà di stampa alla libertà dei ricchi di comperare la stampa, alla libertà di usare la ricchezza per creare e distorcere la cosiddetta opinione pubblica”[1].
Votando, il proletario diventa passivo e spettatore
Chi osa “confessare” che pensa di non andare più a votare perché è da anni che ci prendono in giro, che i politici sono tutti uguali e lui si rifiuta di scegliere tra peste e colera, quasi sempre si sente rispondere che non votare significa... far ritornare il fascista e dittatore Berlusconi! L’antidemocratico per eccellenza che vuole imporre solo i suoi interessi personali ed economici, infischiandosene, anzi, limitando i diritti degli altri.
Appoggiandosi sulla paura del fascismo, che plana come un’ombra lontana sulle nostre teste, la borghesia insiste instancabilmente sulla fragilità della democrazia, sulla necessità per tutti di difenderla e farla vivere. Così facendo tenta di annientare preventivamente qualsiasi idea di avanzare dei dubbi sulla questione elettorale. Il succo dell’argomentazione è semplice: anche se la democrazia non è perfetta, consente a tutti di essere ascoltati. È pertanto vietato rovinare questa possibilità.
Ma a guardare più da vicino, ancora una volta, la realtà è tutt’altra. La democrazia borghese serve da maschera alla dittatura che esercita il capitale. Votare dà l’illusione di agire. L’elettore diventa attore giusto per 3 secondi, il tempo di infilare la scheda elettorale nell’urna, un attore costretto a giocare un copione scritto da qualcun altro. Una volta eletto “il responsabile politico”, l’elettore ritorna ad essere uno spettatore.
La classe operaia deve darsi i mezzi per sviluppare un modo di vivere, di agire e di decidere collettivamente radicalmente diverso. Nella democrazia borghese, una volta ogni tot anni, la società fa finta di avere una grande discussione collettiva nella quale tutti sono coinvolti. Nella lotta, al contrario, il coinvolgimento di tutti è reale. Nelle assemblee generali autenticamente proletarie, la parola è condivisa, i dibattiti sono aperti e fraterni e, soprattutto, i delegati sono revocabili. Questa revocabilità è importante, perché significa che il potere resta nelle mani delle masse. Se il delegato non difende più l’interesse generale lo si cambia. La lotta in Polonia nel 1980 è stato un esempio eclatante di questa vita proletaria in azione, di questa volontà di agire davvero collettivamente. Quando il comitato di sciopero, costituito da delegati eletti, si riuniva la folla ascoltava da fuori, grazie a microfoni e altoparlanti, gli sviluppi delle discussioni e manifestava gridando la sua approvazione o disapprovazione! Non era immaginabile lasciare che un pugno di persone decidesse per tutti[2].
C’è quindi un abisso tra la democrazia borghese e la vita politica proletaria. Da un lato le manovre, le manipolazioni, il potere nelle mani di una minoranza dominante. Dall’altro, la solidarietà, il dibattito aperto e fraterno, il potere nelle mani delle masse! Da decenni, le elezioni si susseguono e sono sempre le stesse. Durante la campagna elettorale i candidati fanno a gara a chi promette di più, giurando con la mano sul cuore che con loro il futuro sarà migliore. Ma una volta eletti, di destra o di sinistra, tutte le loro belle parole volano via per ricadere sotto forma di attacchi brutali. Sempre la stessa politica antiproletaria, sempre la stessa austerità. Di queste “disillusioni” la classe operaia ne ha fin sopra ai capelli.
Il terreno elettorale è campo della borghesia. Su questo campo di battaglia, tutte le armi sono nelle mani della classe dominante che ne esce ogni volta vittoriosa, mentre il proletariato ne esce ogni volta sconfitto. Invece per la strada, nelle fabbriche, in assemblea generale, i lavoratori possono unirsi, organizzarsi e battersi collettivamente. La solidarietà della classe operaia è una delle chiavi per il futuro a differenza di questi miserabili pezzi di carta chiamati schede elettorali!
Pawel
(Adattato dall’articolo pubblicato da Révolution Internationale il 5 giugno 2007).
[1] “Tesi approvate al primo congresso del Comintern sulla democrazia borghese e la dittatura proletaria”, scritte da Lenin e adottate dal congresso, 4 marzo 1919, J. Degras, Storia dell’Internazionale comunista, primo tomo, Feltrinelli
[2] Leggere la nostra brochure 'Sulla Polonia' (non disponibile on-line attualmente).