La conquista dei soviet da parte del proletariato

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L’Ottobre 1917 ci ha lasciato una lezione fondamentale: la borghesia non lascia via libera alla lotta rivoluzionaria delle masse operaie. Al contrario, cerca di sabotarla con tutti i mezzi. Oltre la repressione diretta, essa utilizza un’arma molto pericolosa: il sabotaggio dall’interno, esercitato dalle forze borghesi mascherate da “operaie” e “radicali” – allora i partiti “socialisti”, oggi i partiti di “sinistra” e di “estrema sinistra”, e i sindacati.

Questo sabotaggio ha costituito la principale minaccia per la rivoluzione iniziata a febbraio: il sabotaggio dei soviet da parte dei partiti socialtraditori che tenevano in piedi l’apparato di Stato borghese. In questo articolo affronteremo questo problema e gli strumenti con i quali il proletariato è riuscito a risolverlo: il rinnovamento dei Soviet, il Partito bolscevico, l’insurrezione.

Il sabotaggio borghese dei soviet

La borghesia presenta la Rivoluzione di febbraio come un movimento per la democrazia violentato dal colpo di Stato bolscevico. Le sue leggende consistono nell’opporre Febbraio ad Ottobre, presentando il primo come un’autentica “festa democratica” e il secondo come un colpo di Stato “contro la volontà popolare”.

Questa menzogna è il prodotto della rabbia della borghesia di fronte agli avvenimenti tra il febbraio e l’ottobre che non hanno seguito lo schema sperato. La borghesia pensava che una volta passate le convulsioni che a febbraio avevano rovesciato lo Zar, le masse sarebbero rientrate a casa tranquillamente, lasciando i politici borghesi a dirigere alla loro maniera, legittimati di tanto in tanto da elezioni “democratiche”. Tuttavia il proletariato non abbocca all’amo, dispiega una immensa attività, prende coscienza della sua missione storica e si dà i mezzi per lottare: i Soviet. Ha inizio allora un periodo di doppio potere: “o la borghesia si impadronirà effettivamente del vecchio apparato di Stato, dopo averlo rimesso a nuovo per servire i suoi disegni, e allora i soviet dovranno scomparire; oppure i soviet costituiranno la base del nuovo Stato, avendo liquidato non solo il vecchio apparato, ma anche il dominio delle classi che se ne servivano” (1).

Per distruggere i soviet ed imporre l’autorità dello Stato, la borghesia utilizza la carta dei partiti menscevico e socialista-rivoluzionario, vecchi partiti operai che, con la guerra, erano passati nel campo borghese. All’inizio della rivoluzione di febbraio questi godevano d’una immensa fiducia tra gli operai di cui approfittano per accaparrarsi i soviet e servire da copertura alla borghesia: “Dove un ministro borghese non avrebbe potuto presentarsi a difendere il governo, dinanzi agli operai rivoluzionari o nei Soviet, là si presentava (o meglio: veniva inviato dalla borghesia) un ministro “socialista” – Skobelev, Tsereteli, Cernov o un altro – che adempiva coscienziosamente al compito di servire la borghesia, sudava sangue, difendeva il ministero, assolveva di tutto i capitalisti, ingannava il popolo ripetendogli di aspettare, di aspettare e di aspettare” (2).

A partire da febbraio comincia una situazione estremamente pericolosa per le masse operaie: esse lottano, con i bolscevichi in testa, per fermare la guerra, per la soluzione del problema agrario, per abolire lo sfruttamento capitalista e per questo hanno creato i Soviet dando loro una fiducia senza riserve. Eppure questi Soviet, nati dalle loro viscere, invasi dai demagoghi menscevichi o socialdemocratici negano ora le necessità più importanti.

Promettono mille volte la pace e lasciano che il governo provvisorio continui la guerra.

Il 27 marzo, il governo provvisorio tenta di scatenare l’offensiva dei Dardanelli, il cui obiettivo è la conquista di Costantinopoli. Il 18 aprile, Miliukov, ministro degli Affari esteri, ratifica con un famoso documento l’adesione della Russia alla banda dell’Intesa (Francia e Gran Bretagna). A maggio, Kerensky inizia una campagna sul fronte per sollevare il morale dei soldati e spingerli a battersi, arrivando a dire, colmo del cinismo, “avete la pace sulla punta delle vostre baionette”. Nuovamente in giugno ed in agosto, i socialdemocratici, in stretta collaborazione con gli odiosi generali zaristi, tentano di trascinare gli operai nella carneficina di guerra.

Inoltre questi demagoghi dei “diritti dell’uomo”, tentano di ristabilire una brutale disciplina militare nell’esercito restaurando la pena di morte e costringendo i Comitati dei soldati a non “mettersi al di sopra degli ufficiali”. Ad esempio, quando il Soviet di Pietrogrado decide in massa di pubblicare il famoso decreto n° 1, che proibisce le sevizie corporali sui soldati e difende i loro diritti e la loro dignità, i socialtraditori del Comitato esecutivo spediscono “…alla stampa, come antidoto, un appello ai soldati, che, pur avendo l’aria di condannare il linciaggio degli ufficiali, esigeva sottomissione dinanzi al vecchio ordine” (3).

Blaterano senza interruzione sulla “soluzione del problema agrario”, mentre lasciano intatto il potere dei proprietari e schiacciano le ribellioni contadine.

Hanno bloccato sistematicamente i pur timidi decreti sulla questione agraria - ad esempio, quello che proibisce il trasferimento delle terre - restituendo le terre occupate spontaneamente dai contadini ai loro ex padroni; hanno represso i sollevamenti contadini con il sangue ed il fuoco inviando spedizioni punitive. Hanno restaurato l’impiego della frusta nei villaggi. Bloccano l’applicazione della giornata lavorativa di 8 ore e permettono ai proprietari di smantellare le imprese. Hanno lasciato che i proprietari sabotassero la produzione con l’obiettivo, da un lato, di affamare gli operai e, dall’altro, di disperderli e demoralizzarli: “Approfittando della produzione capitalista moderna e della sua relazione stretta con le banche internazionali e nazionali, come pure con le organizzazioni del capitale unificato (sindacati patronali, trust, etc.), i capitalisti cominciarono ad  applicare un sistema di sabotaggio di grande portata e minuziosamente calcolato. Non arretrarono dinanzi ad alcun mezzo, cominciando con l’assenza di amministrazione delle fabbriche, la disorganizzazione artificiale della vita industriale, lo stoccaggio o la scomparsa delle materie prime, e finendo con la chiusura di fabbriche private delle risorse (...)” (4).

Scatenano una terribile repressione contro le lotte operaie.

“A Kharkov, 30.000 minatori s’organizzarono, prendendo come massima il preambolo degli statuti dell’I.W.W.” (Industrial Woekers of the World, Lavoratori Industriali del Mondo): “Non c’è nulla in comune tra la classe dei lavoratori e la classe dei datori di lavoro”. “I cosacchi li dispersero; alcuni proprietari di miniere dichiararono la serrata ed il resto dei minatori proclamò lo sciopero generale. Il ministro del commercio e dell’industria, Konovalov, incaricò il suo assistente, Orlov, fornito dei pieni poteri, di porre fine ai disordini. Orlov era odiato dai minatori. Lo Zik (5), non solo ne approvò la missione, ma rifiutò anche di domandare che i cosacchi fossero ritirati dal bacino del Donetz” (6).

Seminano l’illusione tra le masse con vuote parole sulla “democrazia rivoluzionaria”, mentre sabotano con tutti i mezzi i Soviet.

Hanno provato a liquidare i Soviet dall’interno: non rispettando gli accordi, relegando in secondo piano le riunioni plenarie a profitto della cospirazione del “comitato ristretto”, cercando di dividere le masse sfruttate e di provocare scontri: “Fin da aprile, i menscevichi ed i socialisti-rivoluzionari avevano iniziato a fare appello alla provincia contro Pietrogrado, ai soldati contro gli operai, alla cavalleria contro i mitraglieri. Avevano dato alle compagnie una rappresentazione nei Soviet più favorita di quella delle fabbriche; avevano patrocinato le piccole imprese diffuse piuttosto che le fabbriche giganti della metallurgia. Rappresentando il passato di ieri, cercavano un appoggio nei ritardatari di qualsiasi specie. Perdendo colpi, stimolavano la retroguardia contro l’avanguardia” (7). Hanno fatto di tutto affinché i Soviet rendessero il potere agli “organi democratici”: gli Zemstva – organi locali d’origine zarista - e la conferenza “Democratica” di Mosca che si era tenuta in agosto, vero nido di vipere dove si erano riunite le forze “rappresentative” che comprendevano nobili, militari, anziani membri dei Cento Neri, cadetti, etc., tutte forze che hanno dato la loro benedizione al colpo di Stato militare di Kornilov. A settembre hanno fatto un nuovo tentativo per eliminare i soviet: la convocazione della Conferenza pre-democratica nella quale i delegati della borghesia e della nobiltà - le minoranze sfruttatrici odiate da tutti e che rappresentano solo se stesse – occupano, secondo l’espressa volontà  dei socialtraditori, più di 683 posti di rappresentanti di fronte ai 230 posti dei delegati dei Soviet. Kerensky promette all’ambasciatore americano: “Faremo in modo che i soviet muoiano di morte naturale. Il centro di gravità della vita politica si sposterà progressivamente dai Soviet verso i nuovi organi democratici di rappresentanza autonoma”. I Soviet che chiedono la presa del potere vengono massacrati “democraticamente” dalla forza delle armi: “I bolscevichi, che avevano conquistato la maggioranza nei Soviet (di Kaluga), liberarono alcuni prigionieri politici. Con il consenso del commissario del governo, la Duma municipale fece arrivare le truppe da Minsk e bombardare con l’artiglieria la sede dei Soviet. I bolscevichi si arresero. Mentre essi abbandonavano l’edificio, i cosacchi li attaccarono gridando: «Ecco quello che capiterà a tutti i Soviet bolscevichi…” (8).

Gli operai vedono come i loro organi di classe vengono confiscati, snaturati e incatenati ad una politica che va contro i loro interessi. Ciò che, come abbiamo visto nella prima parte di questo opuscolo, aveva portato alle crisi politiche di aprile, di giugno e soprattutto di luglio, li spinge all’azione decisiva: rinnovare i soviet e prendere il potere. Come afferma Lenin i soviet sono “organi dove la fonte del potere è direttamente nelle mani delle masse popolari, alla base” (“Il dualismo di potere”). È questo che permette agli operai di cambiarli rapidamente appena si rendono conto che questi non rispondono più ai loro interessi. A partire dalla metà di agosto la vita dei soviet si accelera a un ritmo vertiginoso. Le riunioni di succedono giorno e notte, senza interruzione. Gli operai e i soldati discutono coscienziosamente, prendono decisioni, votano più volte al giorno. In questo clima d’intesa attività delle masse (9) numerosi soviet (Helsinfors, Urali, Kronstadt, Reval, flotta del Baltico, etc.) eleggono maggioranze rivoluzionarie formate da delegati bolscevichi, menscevichi internazionalisti, massimalisti, socialisti-rivoluzionari di sinistra, anarchici, etc.

Il 31 agosto, il soviet di Pietrogrado approva una mozione bolscevica. I suoi dirigenti – menscevichi e socialisti-rivoluzionari – rifiutano di applicarla e danno le dimissioni. Il 9 settembre, il soviet elegge una maggioranza bolscevica, seguito da quello di Mosca e, in seguito, da tutti quelli del paese. Le masse hanno i soviet di cui hanno bisogno e si preparano quindi a prendere il potere e ad esercitalo.

Il ruolo del partito bolscevico

In questa lotta delle masse per prendere il controllo delle loro organizzazioni contro il sabotaggio borghese, i bolscevichi giocarono un ruolo decisivo. Essi concentrarono la loro attività sullo sviluppo dei soviet. “La Conferenza dichiara ancora una volta che è indispensabile proseguire un lavoro sistematico in tutti i campi all’interno dei Soviet dei deputati operai e dei soldati, di aumentarne il numero, di accrescerne le forze e d’unire strettamente nel loro seno i gruppi proletari, internazionalisti, del nostro Partito” (10).

Questa attività aveva come asse centrale lo sviluppo della coscienza di classe: “è precisamente un paziente lavoro di chiarificazione della coscienza di classe del proletariato e di coesione dei proletari della città e della campagna” (11). I bolscevichi, da una parte, avevano fiducia nella capacità di critica e di analisi delle masse: “Ma, mentre l’agitazione dei menscevichi e dei socialrivoluzionari aveva un carattere dispersivo, contraddittorio, spesso elusivo, l’agitazione dei bolscevichi si distingueva per la sua natura meditata e concentrata. I conciliatori chiacchieravano per eludere le difficoltà, i bolscevichi le affrontavano. Una costante analisi della situazione, una verifica delle parole d’ordine sulla base dei fatti, un atteggiamento serio anche verso l’avversario poco serio, conferivano una forza particolare, un vigore persuasivo all’agitazione bolscevica” (12). D’altra parte essi avevano fiducia nelle loro capacità di unione e di autorganizzazione: “Non credete alle parole. Non lasciatevi ingannare con promesse. Non sopravvalutate le vostre forze. Organizzatevi in ogni fabbrica, in ogni reggimento ed in ogni compagnia, in ogni quartiere. Lavorate ad organizzarvi giorno dopo giorno, ora dopo ora (...)” (13).

I bolscevichi non pretendevano di sottomettere le masse a un “piano d’azione” precostituito, sollevando le masse come si solleva un esercito. Sapevano che la Rivoluzione è l’opera dell’azione diretta delle masse e che la loro missione politica era agire all’interno di quest’azione diretta. “La principale forza di Lenin consisteva nel comprendere la logica interna del movimento e regolava secondo questa la sua politica. Non imponeva il suo piano alle masse. Aiutava le masse ad elaborare e realizzare i loro piani” (14).

Il partito non sviluppava il suo ruolo d’avanguardia dicendo alla classe: “qui è la verità, inginocchiatevi”, al contrario, esso era attraversato da inquietudini e preoccupazioni che attraversavano tutta la classe e, come tale, benché in modo diverso, era esposto alle influenze deleterie dell’ideologia borghese. Assumeva il proprio ruolo di motore nello sviluppo della coscienza di classe attraverso una serie di dibattiti politici durante i quali superava gli errori e le insufficienze delle sue posizioni precedenti e si batteva a morte per eliminare le deviazioni opportuniste che potevano minacciarlo.

All’inizio di marzo un’importante parte dei bolscevichi propose di unirsi con i partiti socialisti (menscevichi e socialisti-rivoluzionari). La loro argomentazione, apparentemente giusta, in questi primi momenti di gioia generale e di inesperienza delle masse aveva un cero impatto: piuttosto che andare ciascuno per conto proprio, perché non unirsi, tutti i socialisti? Perché gettare confusione tra gli operai con due o tre partiti distinti che si richiamano tutti al proletariato e al socialismo? Ciò rappresentava una grave minaccia per la rivoluzione: il partito, che dal 1902 aveva lottato contro l’opportunismo ed il riformismo; che dal 1914 era stato il più conseguente, il più deciso ad opporre la rivoluzione internazionale alla prima guerra mondiale, correva il pericolo di diluirsi nelle acque torbide dei partiti “social-traditori”. Come il proletariato avrebbe superato le confusioni e le illusioni che restavano al suo interno? Come avrebbe combattuto le manovre e le trappole del nemico? Come avrebbe conservato la rotta della lotta nei momenti di debolezza o di sconfitta? Lenin e la base del partito lottarono contro questa falsa unità che, nei fatti, significava unirsi  dietro la borghesia.

Il partito bolscevico era all’inizio fortemente minoritario. Molti operai conservavano ancora illusioni sul Governo provvisorio e lo vedevano come un’emanazione dei Soviet, mentre in realtà era il loro peggior nemico. Gli organi dirigenti dei bolscevichi assunsero in marzo-aprile un atteggiamento conciliante con il governo provvisorio finiva per essere un appoggio aperto alla guerra imperialista. Contro questa deviazione opportunista si sviluppò un movimento della base del partito (comitato di Vyborg) che trovò in Lenin e le sue Tesi d’Aprile la sua espressione più chiara. Per Lenin il problema di fondo era “Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio; dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo invece di ‘esigere’ (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista” (15).

Lenin denunciava anche l’arma fondamentale dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari contro i Soviet: “L’ ”errore” dei capi su menzionati sta nella loro posizione piccolo-borghese, sta nel fatto che essi offuscano la coscienza degli operai invece d’illuminarla, inculcano illusioni piccolo-borghesi invece di confutarle, consolidano l’influenza della borghesia sulle masse invece di liberarle da questa influenza” (16).

Contro quelli che giudicavano questa denunzia “poco pratica”, Lenin sosteneva: “In realtà questo è, più di ogni altro, un lavoro rivoluzionario pratico; perché non è possibile far progredire la rivoluzione, che si è fermata, che è soffocata dalle frasi, che “segna il passo”, non in conseguenza di un impedimento esteriore, non in seguito a violenze della borghesia (...), ma a causa della fiducia incosciente delle masse. Solo combattendo questa fiducia incosciente (non si può e non si deve combatterla che sul terreno delle idee, colla persuasione amichevole, con consigli basati sull’esperienza vissuta) noi possiamo liberarci della trionfante orgia di frasi rivoluzionarie e dare impulso reale allo sviluppo sia della coscienza proletaria, sia della coscienza delle masse, sia della loro iniziativa locale (...)” (17). Difendere l’esperienza storica del proletariato, mantenere vive le sue posizioni di classe, esige spesso di restare in minoranza fra gli operai. È così perché “(..) la massa esita tra la fiducia nei suoi vecchi padroni, i capitalisti, e la rabbia contro questi; tra la fiducia nella nuova classe, la sola animata da uno spirito rivoluzionario conseguente e che apre a tutti i lavoratori la via di un futuro radioso, - il proletariato - ed una coscienza ancora oscura del ruolo storico e mondiale di quest’ultimo” (18).

Per aiutare a superare queste debolezze “non è il numero che importa, ma l’espressione fedele delle idee e della politica del proletariato veramente rivoluzionario” (19).

Come ogni partito autenticamente proletario, il partito bolscevico era una parte integrante del movimento della classe. I suoi militanti erano i più attivi nelle lotte, nei Soviet, nei consigli di fabbrica, nelle assemblee e nelle riunioni. I giorni di luglio hanno messo in evidenza quest’impegno irremovibile del partito nei confronti della classe.

Come abbiamo già visto, la situazione alla fine di giugno diventava intollerabile a causa della fame, della guerra, del caos, del sabotaggio dei Soviet, della politica del comitato centrale nelle mani dei social-traditori, politica che consisteva nel non fare nulla, in complicità con la borghesia. Gli operai ed i soldati, soprattutto nella capitale, iniziavano a sospettare apertamente dei social-traditori. L’impazienza, la disperazione, la collera, diventavano ogni giorno più forti tra gli operai, spingendoli a prendere il potere con un’azione di forza. Tuttavia non c’erano ancora tutte le condizioni:

- gli operai ed i soldati delle province non erano allo stesso livello politico dei loro fratelli di Pietrogrado;

- i contadini avevano ancora fiducia nel governo provvisorio;

- l’idea dominante tra gli operai di Pietrogrado non era tanto prendere il potere ma piuttosto fare un’azione di forza per obbligare i dirigenti “socialisti” a “prendere realmente il potere”, cioè richiedere alla quinta colonna della borghesia di prendere il potere in nome degli operai.

In un tale situazione, lanciarsi nello scontro decisivo con la borghesia e i suoi sostenitori, significava imbarcarsi in un’avventura che poteva compromettere definitivamente il destino della rivoluzione. Era una scossa prematura che poteva concludersi con una sconfitta definitiva. Il partito bolscevico sconsigliò tale azione ma, vedendo che le masse non ne tenevano conto e continuavano ad avanzare, non si ritirò dicendo “sono affari vostri”. Il partito partecipò all’azione cercando, da una parte, di impedire che si trasformasse in un’avventura disastrosa e, d’altra parte, di fare in modo che gli operai traessero il maggior numero di lezioni per preparare l’insurrezione definitiva. Lottò con tutte le sue forze affinché fosse il Soviet di Pietrogrado, grazie ad una discussione approfondita e dotandosi dei dirigenti adeguati, a mettersi d’accordo sull’orientamento politico dominante nelle masse.

Tuttavia il movimento fallì e subì la sconfitta. La borghesia ed i suoi accoliti menscevichi e socialisti-rivoluzionari lanciarono una repressione violenta contro gli operai e soprattutto contro i bolscevichi. Questi pagarono un prezzo molto alto: prigione, processi, esilio. Ma questo sacrificio aiutò la classe, in modo decisivo, a limitare gli effetti della sconfitta subita e porre in modo più cosciente e più organizzato, dunque nelle migliori condizioni, il problema dell’insurrezione. Quest’impegno del partito verso la classe permise a partire da agosto, una volta passati i momenti peggiori della reazione borghese, lo sviluppo della piena armonia tra il partito e la classe, indispensabile per il trionfo della rivoluzione.

“Durante le giornate di febbraio, venne alla luce tutto il lavoro svolto in precedenza per lunghi anni dai bolscevichi, e gli operai avanzati, educati dal partito, trovarono il loro posto nella lotta; ma non c’era ancora una direzione immediata da parte del partito. Negli avvenimenti di aprile, le parole d’ordine del partito rivelarono la loro forza dinamica, ma il movimento come tale si sviluppò spontaneamente. In giugno, si manifestò l’enorme forza del partito, ma le masse marciavano ancora entro il quadro di una manifestazione ufficialmente organizzata dagli avversari. Solo in luglio, dopo aver sperimentato su se stesso la violenza della pressione delle masse, il partito bolscevico scende nelle piazze contro tutti gli altri partiti e determina la natura sostanziale del movimento non solo con le sue parole d’ordine, ma con la sua direzione organizzata. La funzione di una avanguardia dai ranghi serrati si rivela per la prima volta in tutta la sua portata nelle giornate di luglio, quando il partito -pagandolo a caro prezzo - preserva il proletariato da una disfatta, e garantisce l’avvenire della rivoluzione e il suo stesso avvenire” (20).

L’insurrezione, opera dei Soviet

La situazione di doppio potere che prevalse nel periodo da febbraio ad ottobre fu una situazione instabile e pericolosa. La sua durata eccessiva, senza che nessuno delle due classi potesse imporsi, fu soprattutto dannosa al proletariato: se l’incapacità ed il caos che caratterizzavano la classe al potere accentuavano la sua mancanza di credibilità, al tempo stesso causavano lassismo e confusione nelle masse operaie, disgregavano le loro forze in combattimenti sterili, ed iniziavano ad intaccare la simpatia delle classi intermedie verso il proletariato. Perciò era necessario per il proletariato decidere di prendere il potere con l’insurrezione. “ (.. ) le grandi rivoluzioni (...) hanno una legge vitale: o andare avanti con uno slancio molto rapido e risoluto, eliminare con decisione tutti gli ostacoli e porsi obiettivi sempre più lontani, o essere rapidamente rigettate indietro al debole punto di partenza e schiacciate dalla controrivoluzione” (21).

L’insurrezione è un’arte. Richiede di essere compiuta ad un momento preciso nell’evolvere della situazione rivoluzionaria: né prematuramente, cosa che condurrebbe al fallimento, né troppo tardi, cosa che condurrebbe il movimento rivoluzionario, una volta passata l’opportunità, a disgregarsi, vittima della controrivoluzione.

All’inizio del mese di settembre la borghesia, attraverso Kornilov, tentò un colpo di Stato che costituì il segnale dell’offensiva finale della borghesia per rovesciare i Soviet e ristabilire interamente il suo potere. Il proletariato, con l’aiuto massiccio dei soldati, riuscì a far fallire la manovra, e ciò accelerò la decomposizione dell’esercito: i soldati di numerosi reggimenti si pronunciarono a favore della Rivoluzione espellendo gli ufficiali e organizzandosi in consigli di soldati.

Come abbiamo visto prima, il rinnovo dei Soviet, a partire dalla metà del mese di agosto, iniziava a far pendere il rapporto di forze chiaramente a favore del proletariato. La sconfitta del gruppo di Kornilov accelerò questo processo.

Da metà settembre una marea di risoluzioni che chiedevano la presa del potere dilagò dai Soviet locali e regionali (Kronstadt, Ekaterinoslav, etc.): il Congresso dei Soviet della regione Nord, riunitosi dall’11 al 13 ottobre, chiamò apertamente all’insurrezione. A Minsk, il Congresso regionale dei Soviet decise di sostenere l’insurrezione ed inviare truppe di soldati favorevoli alla rivoluzione. Il 12 ottobre “l’assemblea generale degli operai di una delle fabbriche più rivoluzionarie della capitale (Stary-Par-vyeinen) rispose agli attacchi incessanti della stampa borghese: ‘affermiamo fermamente che scenderemo in piazza quando giudicheremo ciò indispensabile. Non abbiamo timore della prossima lotta che si annuncia e crediamo fermamente che ne usciremo vincitori’ ” (22).

Il 17 ottobre, il Soviet dei soldati di Pietrogrado decise: “La guarnigione di Pietrogrado non riconosce più il governo provvisorio. Il nostro governo è il Soviet di Pietrogrado. Seguiremo soltanto gli ordini del Soviet di Pietrogrado, trasmessi dal suo Comitato militare rivoluzionario” (23).  Il Soviet del  distretto di Vyborg decise di fare una marcia per sostenere questa risoluzione alla quale si aggiunsero i marinai. Un giornale liberale di Mosca - citato da Trotsky - descrive così l’atmosfera nella capitale: “Nel quartieri, nelle fabbriche di Pietrogrado, Vevski, Obujov e Putilov, l’agitazione bolscevica per il sollevamento raggiunge il culmine . Lo stato d’animo degli operai è tale che sono pronti a mettersi in marcia in qualsiasi momento”. L’accelerazione delle rivolte contadine a settembre costituì un altro elemento della maturazione delle condizioni necessarie all’insurrezione: “Lasciar reprimere l’insurrezione contadina quando si hanno nelle proprie mani i Soviet delle due capitali, significa perdere, e perdere meritatamente, tutta la fiducia dei contadini, significa mettersi, agli occhi dei contadini, alla pari dei Liber-Dan e delle altre canaglie” (24).

Ma è a livello mondiale che si trova la chiave della rivoluzione. Lenin ha chiarito questo punto in “Lettera ai compagni bolscevichi del Congresso dei Soviet della regione Nord” (8-10-1917): “La nostra rivoluzione attraversa un periodo estremamente critico. Questa crisi coincide con la grande crisi di sviluppo della rivoluzione socialista mondiale e della lotta dell’imperialismo universale contro la rivoluzione. Un compito gigantesco incombe ai dirigenti responsabili del nostro partito; se non lo si adempie, il movimento proletario internazionalista rischia di andare incontro ad un fallimento totale. Il momento è così grave che ogni temporeggiamento equivale effettivamente alla morte”. In un’altra lettera precisa: “I bolscevichi non hanno il diritto di attendere il Congresso dei Soviet, devono prendere il potere immediatamente. Così facendo salvano la rivoluzione mondiale (altrimenti persisterà la minaccia di una transazione tra gli imperialisti di tutti i paesi che, dopo le esecuzioni in Germania, avranno delle compiacenze reciproche e si uniranno contro di  noi); essi salvano la rivoluzione russa (diversamente l’ondata d’anarchia attuale può diventare più forte di noi)” (25).

Questa coscienza della responsabilità internazionale del proletariato russo non apparteneva solo a Lenin ed ai bolscevichi. Al contrario, molti settori operai condividevano questa coscienza.

- Il 1 maggio 1917, “ovunque in Russia, i prigionieri di guerra presero parte a manifestazioni al fianco dei soldati, sotto bandiere comuni, a volte intonando lo stesso inno in varie lingue (...). Il ministro cadetto Singarev, in una conversazione con i delegati delle trincee, difendeva l’ordinanza di Guckov contro una “indulgenza eccessiva” nei confronti dei prigionieri, alludendo a ‘gli atti di crudeltà da parte dei tedeschi’ (…). L’assemblea si pronunciò risolutamente per il miglioramento della sorte dei prigionieri” (26).

- “Un soldato del fronte rumeno, magro, tragico, appassionato gridò: “Compagni, al fronte noi moriamo di fame e di freddo. Ci si fa morire senza ragione. Prego i compagni americani di dire in America che i russi abbandoneranno la loro Rivoluzione solo quando saranno tutti morti. Noi difenderemo la nostra fortezza con tutte le nostre forze fino a che tutti i popoli si leveranno e ci verranno in aiuto. Dite agli operai americani di sollevarsi e di combattere per la rivoluzione sociale!” (27).

Il governo Kerenski provò a spostare i reggimenti più rivoluzionari di Pietrogrado, Mosca, Vladimir, Reval, ecc., verso il fronte o in regioni isolate per tentare di decapitare la lotta. A sostegno di questa misura la stampa liberale e menscevica scatenò una campagna di calunnie contro i soldati, trattandoli da “vigliacchi”, accusandoli “non di voler sacrificare la loro vita per la patria”, ecc.. Gli operai della capitale risposero immediatamente; numerose assemblee di fabbrica sostennero i soldati, richiedendo tutto il potere ai Soviet e adottando misure per armare gli operai. In questo contesto il Soviet di Pietrogrado decise, nella sua riunione del 9 ottobre, di istituire un Comitato militare rivoluzionario con l’obiettivo primario di controllare il governo, rapidamente trasformatosi in centro organizzatore dell’insurrezione. Questo Comitato raccoglieva rappresentanti del Soviet di Pietrogrado, del Soviet dei marinai, del Soviet della regione della Finlandia, del sindacato delle ferrovie, del Congresso dei consigli di fabbrica e delle Guardie rosse.

Queste ultime erano un corpo operaio: “si erano costituite per la prima volta durante la rivoluzione del 1905; riapparvero durante i giorni del febbraio 1917 dove una forza armata era necessaria per il mantenimento dell’ordine nella città. Allora, avendo ricevuto armi, tutti gli sforzi compiuti successivamente dal governo provvisorio per disarmarli restarono quasi inutili. Ad ogni grande crisi della rivoluzione, si vedono apparire nelle strade le guardie rosse, indisciplinate, senza addestramento militare, ma piene di ardore rivoluzionario” (28).

Appoggiandosi su questo raggruppamento di forze di classe, il Comitato militare rivoluzionario (CMR) convocò una conferenza dei comitati di reggimento che, il 18 ottobre, discussero apertamente la questione dell’insurrezione. Questa conferenza si pronunciò a grande maggioranza a favore, ad eccezione di due comitati che erano contro e altri due che si dichiararono neutrali (ci furono più di cinque reggimenti che non furono rappresentati alla conferenza). Con lo stesso spirito, la conferenza adottò una risoluzione a favore dell’armamento degli operai.

Questa risoluzione veniva già applicata nella pratica, gli operai in massa si erano recati agli arsenali dello Stato per richiedere che si consegnassero loro delle armi. Quando il governo proibì la consegna delle armi, gli operai ed i dipendenti dell’arsenale della fortezza Pietro e Paolo (roccaforte reazionaria) decisero di mettersi a disposizione del CMR e, in contatto con altri arsenali, organizzarono la consegna delle armi agli operai.

Il 21 ottobre, la Conferenza dei comitati di reggimento prese la risoluzione seguente: “1- La guarnigione di Pietrogrado e dintorni promette al Comitato militare rivoluzionario di appoggiarlo completamente in tutte le sue decisioni (…); 2- (...) La guarnigione si rivolge ai cosacchi: vi invitiamo alle nostre riunioni di domani. Benvenuti, fratelli cosacchi; 3- Il congresso panrusso dei Soviet deve prendere il potere(..). La guarnigione promette solennemente di mettere tutte le proprie forze a disposizione del Congresso. Contate su di noi, legittimi rappresentanti dei soldati, degli operai e dei contadini. Siamo tutti ai nostri posti, pronti a vincere o a morire” (29).

Possiamo vedere qui i tratti caratteristici dell’insurrezione operaia: l’iniziativa creativa delle masse, un’organizzazione semplice ed ammirevole, discussioni e dibattiti che danno luogo a risoluzioni che sintetizzano la coscienza acquisita dalle masse, il ricorso alla convinzione ed alla persuasione, l’appello ai cosacchi perché abbandonino la banda del Governo, o la riunione appassionata e drammatica dei soldati della fortezza Pietro e Paolo tenutasi il 23 ottobre che decide di obbedire soltanto al CMR. Tutte queste caratteristiche sono quelle di un movimento di emancipazione dell’umanità, dell’azione diretta, appassionata, creativa delle masse sfruttate.

Il giorno del 22 ottobre, su appello del Soviet di Pietrogrado, sigillò definitivamente l’insurrezione: riunioni ed assemblee si tennero in tutte le zone, in tutte le fabbriche, e furono in massa d’accordo: “Abbasso Kerenski”, “Tutto il potere ai Soviet”. Fu un atto gigantesco nel quale gli operai, gli impiegati, i soldati, numerosi cosacchi, donne e bambini, segnarono apertamente il loro impegno nell’insurrezione.

Non è possibile raccontare tutti i dettagli degli avvenimenti nel quadro di quest’articolo (rinviamo ai libri citati di Trotsky e di John Reed). Ciò che vogliamo mettere in luce è il carattere massiccio, aperto, collettivo dell’insurrezione: “L’insurrezione fu decisa, per così dire, per una data fissa: il 25 ottobre. Non fu fissata da una riunione segreta, ma apertamente e pubblicamente, e la rivoluzione trionfante ebbe luogo precisamente il 25 ottobre (6 novembre) come era stato previsto. La storia universale ha conosciuto un grande numero di sommosse e di rivoluzioni: ma cercheremmo invano un'altra insurrezione di una classe oppressa che sia stata fissata in anticipo e pubblicamente, con una data annunciata, e che sia stata compiuta vittoriosamente il giorno annunciato. In questo senso ed in numerosi altri, la rivoluzione di novembre è unica ed incomparabile” (30).

Fin da settembre i bolscevichi posero chiaramente la questione dell’insurrezione nelle assemblee di operai e di soldati, presero le posizioni più combattive e decise all’interno del CMR e della Guardia rossa. Andarono nelle caserme dove c’erano maggiori dubbi o erano favorevoli al Governo provvisorio, per convincere i soldati - il discorso di Trotsky fu determinante per convincere i soldati della fortezza Pietro e Paolo. Denunciarono senza tregua le manovre, le esitazioni, le trappole dei menscevichi. Lottarono per la convocazione del secondo Congresso dei Soviet contro il sabotaggio del social-traditori.

Tuttavia non furono i bolscevichi, ma tutto il proletariato di Pietrogrado che decise e fece l’insurrezione. I menscevichi ed i socialisti-rivoluzionari rifiutarono molte volte la convocazione del secondo Congresso dei Soviet. Fu la pressione delle masse, l’insistenza dei bolscevichi, la spedizione di migliaia di telegrammi dei Soviet locali che richiedevano questa convocazione che, infine, costrinse il Comitato esecutivo centrale - covo dei social-traditori - a convocarla per il 25 ottobre.

“Dopo la rivoluzione del 25 ottobre, i menscevichi, e soprattutto Martov, parlarono molto di usurpazione del potere alle spalle del Soviet e della classe operaia. È difficile immaginare una deformazione più vergognosa dei fatti. Quando abbiamo deciso a maggioranza, nel corso della riunione dei Soviet, la convocazione del secondo Congresso per il 25 ottobre, i menscevichi hanno detto: ‘voi avete deciso la rivoluzione’. Quando, con la schiacciante maggioranza del Soviet di Pietrogrado, noi abbiamo rifiutato di lasciare partire i reggimenti della capitale, i menscevichi hanno detto: ‘è l’inizio dell'insurrezione’. Quando abbiamo creato, nel Soviet di Pietrogrado, il CMR, i menscevichi hanno constatato: ‘è l’inizio dell’insurrezione armata’. Ma quando il giorno decisivo scoppiò l’insurrezione prevista da quest’organismo, creato e ‘scoperto’ molto prima, gli stessi menscevichi gridarono: ‘è una macchinazione di cospiratori che ha causato una rivoluzione alle spalle della classe’.” (31).

Il proletariato si diede i mezzi - armamento generale degli operai, formazione del CMR, insurrezione - per avere la forza necessaria affinché il congresso dei Soviet potesse prendere effettivamente il potere. Se il congresso dei Soviet avesse deciso “di prendere il potere” senza questa preparazione precedente, tale decisione sarebbe stata solo un inutile gesticolare facilmente disarticolabile da parte dei nemici della Rivoluzione. Non si può comprendere il Congresso dei Soviet come un fenomeno isolato, formale. Occorre capirlo in tutta la dinamica generale della classe e, concretamente, all’interno di un processo nel quale si sviluppavano le condizioni della rivoluzione su scala mondiale e dove, all’interno della Russia, un’infinità di Soviet locali chiamava alla presa del potere o lo prendeva effettivamente: è simultaneamente che a Pietrogrado, Mosca, Tula, negli Urali, in Siberia, ecc., i Soviet fecero trionfare l’insurrezione.

Il Congresso dei Soviet prese la decisione definitiva confermando la piena validità dell’iniziativa del proletariato di Pietrogrado: “appoggiandosi sulla volontà dell’immensa maggioranza degli operai, dei soldati e dei contadini, e sull’insurrezione vittoriosa degli operai e della guarnigione di Pietrogrado, il Congresso prende il potere. Il congresso decide: tutto il potere nelle località passa nelle mani dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, destinati a garantire un ordine realmente rivoluzionario”.

AD.

1. Trotsky, “Storia della rivoluzione russa”, Vol. I, capitolo “Il dualismo di potere”.

2. Lenin, “Gli insegnamenti della rivoluzione”, punto VI. (“Le opere”).

3. Trotsky, op. cit. Vol I, capitolo “I dirigenti e la guerra”.

4. Ana M. Pankratova, “I consigli di fabbrica nella Russia del1917”, capitolo “Lo sviluppo della lotta tra il Capitale e il  Lavoro e la prima Conferenza dei comitati di fabbrica”.

5. Zik: Comitato centrale esecutivo pan-russo dei soviet dei deputati operai e dei soldati.

6. J. Reed: “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”.

7. Trotsky, op. cit., vol. II, capitolo “Le giornate di luglio”.

8. J. Reed, idem.

9. Noi non abbiamo mai negato gli errori commessi dal partito bolscevico, né la sua degenerazione e la sua trasformazione in colonna vertebrale dell’odiosa dittatura staliniana. Il ruolo del partito bolscevico così come la critica implacabile dei suoi errori e la sua degenerazione sono stati analizzati in diversi articoli della nostra Rivista Internazionale:

- “La degenerazione della Rivoluzione Russa” e “Le lezioni di Kronstadt” (n° 3)

- “La difesa del carattere proletario della Rivoluzione d’Ottobre” (n° 12 e 13).

La ragione essenziale della degenerazione dei partiti e delle organizzazioni politiche del proletariato sta nel peso dell’ideologia borghese tra i loro ranghi, che crea costantemente delle tendenze all’opportunismo e al centrismo (vedi “Risoluzione sul centrismo e l’opportunismo”, Revue Internationale n° 44).

10. “Risoluzione sui Soviet dei deputati operai e soldati adottato alla VII conferenza bolscevica di tutta la Russia”, aprile 1917.

11. idem

12. Trotsky, op. cit. Vol. II, capitolo I bolscevichi e i soviet”.

13. Lenin, “Introduzione alla Conferenza d'aprile 1917”.

14. Trotsky, op. cit., Vol. I, capitolo Il riarmo  del partito”.

15. Lenin, “I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, tesi 3.

16. Lenin, “Il dualismo del potere”.

17. Lenin, “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, tesi 7.

18. Lenin, “Gli insegnamenti della crisi”, aprile 1917.

19. Lenin, “I compiti del proletariato …” , tesi 17.

20. Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “I bolscevichi  avrebbero potuto prendere il  potere in luglio?”.

21. Rosa Luxemburg, “La Rivoluzione Russa”.

22. Trotsky, op. cit., Vol II, capitolo “Il Comitato militare rivoluzionario”.

23. J.Reed, op. cit.

24. Lenin, La crisi è matura”, VI parte.

25. “Lettera al Comitato Centrale”, 1 ottobre 1917.

26. Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo Il gruppo  dirigente e la guerra”.

27. J. Reed, op. cit.

28. J. Reed, op. cit.

29. Citato da Trotsky, op. cit., Vol. II, capitolo “Il Comitato militare rivoluzionario.

30. Trotsky, La rivoluzione di novembre”, 1919.

31. Trotsky, idem.

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