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All’avanguardia di questo movimento internazionale che fermerà la guerra ed aprirà la possibilità della rivoluzione mondiale, fin dal 1915 troviamo gli scioperi economici degli operai russi che vengono duramente repressi. Tuttavia il movimento cresce: il 9 gennaio 1916, l’anniversario dell’inizio della rivoluzione del 1905 viene celebrato con grossi scioperi operai. Nuovi scioperi scoppiano durante tutto l’anno accompagnati da riunioni, discussioni, rivendicazioni, scontri con la polizia.
“Verso la fine del1916 il costo della vita aumenta a salti. All’inflazione ed alla disorganizzazione dei trasporti si aggiunge una vera e propria penuria di merci. In quel periodo, il consumo si è ridotto della metà. La curva del movimento operaio delinea una brusca ascesa. A partire dall’ottobre, la lotta entra in una fase decisiva, che unisce insieme tutte le gamme svariate di malcontento: Pietrogrado prende la rincorsa per il grande salto di febbraio. Nelle fabbriche i comizi dilagano. Argomenti trattati: i rifornimenti alimentari, l’alto costo della vita, la guerra, il governo. Vengono distribuiti i volantini dei bolscevichi. Si proclamano scioperi politici. All’uscita dalle fabbriche si svolgono manifestazioni improvvisate. Capita che gli operai di certe aziende fraternizzano con i soldati. Scoppia un violento sciopero di protesta contro il processo ai marinai rivoluzionari della flotta del Baltico. (… ) Gli spiriti sono sovraeccitati, i metallurgici si sono messi in prima fila, gli operai hanno sempre di più la sensazione che non c'è possibilità di ritirata. In ogni fabbrica si costituisce un nuovo nucleo d’azione, perlopiù raccolto attorno ai bolscevichi. Gli scioperi e i comizi si succedono senza interruzione nel corso delle due prime settimane di febbraio. L’8 febbraio, alla Poutilov i poliziotti vengono accolti da ‘una grandine di ferraglie e di scarti’. Il 14, giorno di apertura della Duma, ci sono circa 90.000 scioperanti a Pietrogrado. Molte fabbriche chiudono anche a Mosca. Il 16, le autorità decidono di introdurre a Pietrogrado le tessere del pane. Questa novità accresce il nervosismo. Il 19, vicino ai negozi di rifornimento, si formano dei gruppi, composti soprattutto da donne, e tutti esigono pane. L’indomani, in certi quartieri della città, vengono saccheggiati i forni. Sono i lampi che preannunciano l’insurrezione destinata a scoppiare qualche giorno dopo.” (1).
Un movimento di massa
Sono queste le tappe successive di un processo sociale che appare oggi utopico a molti operai: quelle della trasformazione dei lavoratori da una massa sottomessa e divisa, in una classe unita che agisce come un solo uomo e diventa pronta a lanciarsi nella lotta rivoluzionaria, come dimostrato dai 5 giorni, dal 22 al 27 febbraio, del 1917.
“Sin dal mattino gli operai si presentano nelle fabbriche e, invece di mettersi al lavoro, tengono comizi, e successivamente si dirigono verso il centro della città. Nuovi quartieri, nuovi settori della popolazione vengono trascinati nel movimento. La parola d’ordine “Pane” è lasciata cadere o è soffocata da altre: “Abbasso l’autocrazia! Abbasso la guerra!”. Continuano le manifestazioni sulla prospettiva Nevsky (…).
Sotto le insegne della “giornata della donna”, si scatenò il 23 febbraio un’insurrezione a lungo maturata, a lungo contenuta, delle masse operaie di Pietrogrado. La prima fase fu lo sciopero, che in tre giorni si estese al punto di divenire quasi generale. Questo solo fatto bastava ad infondere fiducia alla massa ed a spingerla in avanti. Lo sciopero, assumendo un carattere offensivo sempre più accentuato, si combinò con manifestazioni che misero di fronte le folle rivoluzionarie e le truppe. (...) la massa non vuol più battere in ritirata, resiste con ottimistico furore e non abbandona il campo neppure dopo aver subito cariche omicide. (...) ‘Non sparate sui vostri fratelli e sulle vostre sorelle!’ gridano gli operai e le operaie. E non solo questo: ‘Marciate con noi!’. Così, nelle strade, sulle piazze, dinanzi ai ponti, alle porte delle caserme, si svolgeva una lotta incessante, ora drammatica, ora impercettibile, ma sempre accanita, per la conquista dei soldati. (...) Gli operai non cedono affatto, non ripiegano e intendono raggiungere il loro scopo anche sotto le pallottole. Accanto a loro, le operaie, madri e sorelle, spose e compagne. E poi non è forse giunta l’ora di cui spesso si era parlato bassa voce, negli angoli nascosti: ‘Se ci mettessimo tutti insieme?’” (2).
Le classi dirigenti non arrivano a crederci, pensano che si tratti di una rivolta che sparirà con una buona punizione. L’insuccesso strepitoso delle azioni terroristiche di piccoli corpi scelti comandati dai colonnelli della gendarmeria mette in evidenza le vere radici del movimento: “La rivoluzione, ai comandanti d’armata, intraprendenti a parole, sembra indifendibile (...); sembra che basti alzare la sciabola su tutto questo caos perché tutto si disperda immediatamente senza lasciare traccia. Ma è un’illusione ottica grossolana. Il caos esiste solo in apparenza. In profondità si produce una irresistibile cristallizzazione delle masse intorno a nuovi assi” (3).
Una volta rotte le prime catene, gli operai non vogliono arretrare più e, per non avanzare alla cieca, riprendono l’esperienza del 1905 creando i soviet, organizzazioni unitarie dell’insieme della classe in lotta. I soviet vengono subito accaparrati dai partiti menscevico e socialista-rivoluzionario, vecchi partiti operai passati al campo borghese con la loro partecipazione alla guerra, e permettono la formazione di un governo provvisorio composto dalle “grandi personalità” russe di sempre: Miliukov, Rodzianov, Kerenski.
La prima ossessione di questo governo è convincere gli operai a “ritornare alla normalità”, ad “abbandonare i loro sogni”, diventare la massa sottomessa, passiva, atomizzata di cui la borghesia ha bisogno per mantenere i suoi affari e continuare la guerra. Gli operai non cedono. Vogliono vivere e sviluppare la nuova politica: quella che loro stessi esercitano, unendo in un legame inseparabile la lotta per i loro interessi immediati e la lotta per l’interesse generale. Così, di fronte alla resistenza dei borghesi, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari per i quali “ciò che importa, è lavorare e non rivendicare, perché, adesso, abbiamo la libertà politica”, gli operai rivendicano la giornata di 8 ore per avere la “libertà” di riunirsi, di discutere, di leggere, di stare tra loro: “Un’ondata di sciopero ricomincia dopo la caduta dell’assolutismo. In ogni fabbrica o laboratorio, senza aspettare gli accordi firmati dall’alto,si presentano rivendicazioni sui salari e la giornata di lavoro. I conflitti si aggravano di giorno in giorno e si complicano in un’atmosfera di lotta” (4).
Il 18 aprile, Miliukov, ministro liberale del partito Cadetto del governo provvisorio, pubblica una nota provocatrice che riafferma l’impegno della Russia con gli alleati nella continuazione della guerra imperialista. Gli operai ed i soldati rispondono immediatamente: sorgono manifestazioni spontanee, si tengono assemblee di massa nei quartieri, nei reggimenti, nelle fabbriche: “L’agitazione che si era sviluppata nella città non arretrava. Folle di persone si riunirono. Le riunioni continuavano. Si discuteva nelle strade. Nei tram, i viaggiatori si dividevano tra sostenitori ed avversari di Miliukov... L’agitazione non si limitava a Pietrogrado. A Mosca, gli operai che abbandonavano le macchine ed i soldati che uscivano dalle caserme invadevano le strade con le loro rumorose proteste” (5).
Il 20 aprile, una gigantesca manifestazione impone le dimissioni di Miliukov. La borghesia deve arretrare nei suoi piani di guerra. Maggio registra una frenetica attività di organizzazione. Ci sono meno manifestazioni e meno scioperi; ciò non esprime un riflusso del movimento, ma piuttosto un avanzamento ed uno sviluppo perché gli operai si dedicano ad un aspetto della lotta fino ad allora poco considerato: la propria organizzazione di massa. I soviet si estendono in tutti gli angoli della Russia, ed intorno ad essi appare una moltitudine di organismi di massa: comitati di fabbrica, comitati di contadini, soviet di quartiere, comitati di soldati. Attraverso questi le masse si raggruppano, discutono, pensano e decidono. Al loro contatto i gruppi di lavoratori più in ritardo si svegliano: “I servi, trattati come animali e a mala pena pagati, si emancipavano. Poiché allora un paio di scarpe costava più di cento rubli e le paghe erano di circa 35 rubli al mese, si rifiutavano di consumare le scarpe per fare la coda. (…) Anche i vetturini avevano il loro sindacato ed erano rappresentati al Soviet di Pietrogrado. I garzoni di hotel e ristoranti si erano organizzati e rifiutavano le mance”. (6)
Gli operai ed i soldati cominciano a stancarsi delle eterne promesse del governo provvisorio e dell’appoggio datogli dai socialisti menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari. Vedono come aumentano le difficoltà di approvvigionamento, la disoccupazione, la fame. Vedono che, di fronte alla guerra ed alla questione contadina, quelli in alto offrono solo discorsi ampollosi. Sono stanchi della politica borghese e cominciano ad intravedere le possibili conseguenze ultime della loro propria politica: la rivendicazione di tutto il potere ai soviet si trasforma in aspirazione di larghe masse operaie (7).
Giugno è un mese di intensa agitazione politica che culmina con le manifestazioni armate degli operai e dei soldati di Pietrogrado il 4 e 5 luglio: “Il primo posto spetta agli operai di fabbrica (…). Dove i dirigenti esitano o si oppongono, i giovani operai costringono il membro di servizio del comitato di fabbrica a suonare la sirena per far arrestare il lavoro.(…) Tutte le fabbriche scioperavano e si tenevano delle assemblee. Si eleggevano dirigenti della manifestazione e i delegati che avrebbero presentato le rivendicazioni al Comitato esecutivo” (8).
Tuttavia, le giornate di luglio si chiudono con un amaro insuccesso per i lavoratori. La situazione non è ancora matura per la presa del potere perché: i soldati non sono pienamente solidali con gli operai, i contadini sono pieni di illusioni sui socialisti-rivoluzionari e il movimento in provincia è in ritardo rispetto alla capitale.
Nei mesi successivi di agosto e settembre, amareggiati dalla sconfitta e dalla violenza della repressione borghese, gli operai sono spinti a risolvere praticamente questi ostacoli, non seguendo un piano d’azione prestabilito, ma in un “oceano di iniziative”, nelle lotte e le discussioni nei soviet dove si materializza la presa di coscienza del movimento. Le azioni degli operai e quelle dei soldati si fondono completamente: “Appare un fenomeno di osmosi, specialmente a Pietrogrado. Quando l’agitazione si impossessa del quartiere di Viborg, i reggimenti della capitale entrano in effervescenza, e viceversa. Gli operai ed i soldati imparano ad uscire in strada per manifestare i loro sentimenti. La strada appartiene a loro. Nessuna forza, nessun potere, può impedire loro in quel momento di difendere le proprie rivendicazioni o di cantare a pieno polmone inni rivoluzionari.” (9).
Con la sconfitta di luglio, la borghesia crede di farla finita con questo incubo. Per ciò, dividendo il compito tra il blocco “democratico” di Kerenski e quello apertamente reazionario di Kornilov, capo dell’esercito, organizza il colpo di Stato di quest’ultimo. Kornilov mette assieme reggimenti di cosacchi, di caucasi ecc., che sembrano ancora fedeli al potere borghese, e tenta di lanciarli contro Pietrogrado.
Ma il tentativo fallisce clamorosamente. La reazione degli operai e dei soldati, la loro ferma organizzazione nel Comitato di difesa della rivoluzione - che, sotto il controllo del soviet di Pietrogrado, si trasformerà più tardi in Comitato militare rivoluzionario, organo dell’insurrezione di ottobre - fanno si che le truppe di Kornilov, o restano immobilizzate e si arrendono, o disertano per unirsi agli operai ed ai soldati, il che succede quasi sempre.
“Il complotto era diretto da gente abituata a non far nulla, incapace di far nulla senza gli strati inferiori, senza la forza operaia, senza la carne da cannone, senza attendenti, domestici,furieri, autisti, facchini, cuochi, lavandaie, deviatori, telegrafisti, palafrenieri, cocchieri. E tutte queste piccole ruote umane, impercettibili, innumerevoli, indispensabili, erano dalla parte dei soviet e contro Kornilov. (...) L’ideale dell’educazione militare è che il soldato agisca senza la sorveglianza dei capi, ma come se fosse sotto i loro occhi. I soldati ed i marinai russi del 1917, che non eseguivano gli ordini ufficiali neppure sotto gli occhi dei comandanti, afferravano al volo, avidamente, gli ordini della rivoluzione e, ancor più spesso, li eseguivano di loro iniziativa, prima ancora di averli ricevuti. (…)
Per esse (le masse) si trattava, non di proteggere il Governo, ma di difendere la rivoluzione:e tanto più era decisa e intrepida la loro lotta. La resistenza all’ammutinamento sorgeva dai binari ferroviari, dalle pietre, dall’aria stessa. I ferrovieri della stazione di Luga, dove era giunto Krymov, si rifiutavano ostinatamente di far partire i treni che trasportavano truppe, e addicevano la mancanza di locomotive. I reparti cosacchi si trovavano a loro volta accerchiati da soldati armati facenti parte della guarnigione di Luga che contava ventimila uomini. Scontri non ce ne furono, ma accadde qualcosa di assai più pericoloso: ci fu il contatto, lo scambio di idee, la reciproca comprensione” (10).
Un movimento cosciente
I borghesi concepiscono le rivoluzioni operaie come un atto di pazzia collettiva, un caos spaventoso che finisce in modo orrendo. L’ideologia borghese non può ammettere che gli sfruttati possano agire per proprio conto. Azione collettiva e solidale, azione cosciente della maggioranza lavoratrice, sono nozioni che il pensiero borghese considera come un’utopia contro natura (le cose “naturali” per la borghesia sono la guerra di tutti contro tutti e la manipolazione di grandi masse umane da parte di un’élite).
“In tutte le rivoluzioni precedenti, sulle barricate si battevano operai, piccoli artigiani, un certo numero di studenti; i soldati facevano la loro parte; dopo la borghesia facoltosa, che aveva osservato gli scontri di barricata standosene prudentemente alla finestra, raccoglieva il potere. Ma la rivoluzione del febbraio 1917 differiva delle rivoluzioni precedenti per il carattere sociale incomparabilmente più elevato e per l’alto livello di politicizzazione della classe rivoluzionaria, per un’ostile diffidenza degli insorti nei riguardi della borghesia liberale e, quindi, per la creazione, nel momento stesso della vittoria, di un nuovo organo di potere rivoluzionario: un soviet che si basava sulla forza armata delle masse” (11).
Questa natura totalmente nuova della rivoluzione d’ottobre corrisponde all’essere stesso del proletariato, classe sfruttata e rivoluzionaria allo stesso tempo, che può liberarsi solo se agisce in maniera collettiva e cosciente.
La rivoluzione russa non è il semplice prodotto passivo di condizioni oggettive eccezionali. È anche il prodotto di una presa di coscienza collettiva. Sotto forma di lezioni, di riflessioni, di parole d’ordine, di ricordi, possiamo vedere i segni delle esperienze del proletariato, della Comune di Parigi del 1871 e della rivoluzione del 1905, e quelli delle battaglie politiche del movimento operaio, della Lega dei comunisti, della 1a e 2a Internazionale, della sinistra di Zimmerwald, degli spartachisti e del partito bolscevico. La rivoluzione russa è certamente una risposta alla guerra, alla fame ed alla barbarie dello zarismo moribondo, ma è una risposta cosciente, guidata dalla continuità storica e mondiale del movimento proletario.
Ciò si manifesta concretamente nell’enorme esperienza degli operai russi che avevano vissuto le grandi lotte del 1898, 1902, la rivoluzione del 905 e le battaglie del 1912-14, e che avevano anche fatto nascere il partito bolscevico, alla sinistra della 2a Internazionale.
“Era necessario contare non con una qualsiasi massa, ma con la massa degli operai di Pietrogrado e degli operai russi in generale che avevano vissuto l’esperienza della rivoluzione del 1905, l’insurrezione di Mosca del mese di dicembre dello stesso anno, ed era necessario che all’interno di questa massa ci fossero operai che avessero riflettuto sull’esperienza del 1905, che avessero assimilato la prospettiva della rivoluzione, che avesseroriflettuto una dozzina di volta sulla questione dell’esercito” (12).
Più di 70 anni prima della rivoluzione del 1917, Marx ed Engels avevano scritto: “Questa rivoluzione non è dunque solo necessaria in quanto unico mezzo per rovesciare la classe dominante, ma anche perché solo una rivoluzione permetterà alla classe che rovescia l’altra di spazzare via tutto il marciume del vecchio sistema che le è incollato addosso e di diventare adatta a fondare la società su basi nuove” (13).
La rivoluzione russa conferma pienamente questa posizione: il movimento porta in sé gli strumenti per l’auto-educazione delle masse. “Qui è la sua forza. Ogni settimana apportava alle masse qualcosa di nuovo. Due mesi facevano un epoca. Alla fine di febbraio: insurrezione. Alla fine di aprile: manifestazione degli operai e dei soldati armati a Pietrogrado. All'inizio di luglio: nuova manifestazione, con maggiore ampiezza e parole d’ordine più risolute. Alla fine di agosto: il tentativo di colpo di Stato di Kornilov, respinto dalle masse. Alla fine di ottobre: conquista del potere da parte dei bolscevichi. Sotto questo ritmo degli avvenimenti di una regolarità sorprendente si compivano profondi processi molecolari che saldavano in un solo insieme politico gli elementi eterogenei della classe operaia” (14).
“L’intera Russia imparava a leggere; leggeva di politica, di economia, di storia, perché il popolo aveva bisogno di sapere. (...) La sete d’istruzione, per tanto tempo frenata, diventò con la rivoluzione un vero delirio. Dal solo Istituto Smolny uscivano ogni giorno, durante i primi sei mesi, tonnellate di letteratura che con carri e vagoni andavano a saturare il paese. La Russia assorbiva, insaziabile, come la sabbia calda assorbe l’acqua. (…) E quale ruolo giocava la parola! I ‘torrenti di eloquenza’ di cui parla Carlyle a proposito della Francia erano solamente inezie rispetto alle conferenze, ai dibattiti, ai discorsi nei teatri, nei circoli, le scuole, i club, le sale di riunioni dei Soviet, le sedi dei sindacati le caserme. Si tenevano riunioni e comizi nelle trincee, sulle piazze dei villaggi, nelle fabbriche. Quale ammirevole spettacolo i 40.000 operai della Poutilov che ascoltavano oratori socialdemocratici, socialisti-rivoluzionari, anarchici ed altri, così attenti a tutti ed indifferenti per mesi alla lunghezza dei discorsi, a Pietrogrado ed in tutta la Russia, ogni angolo di strada era una tribuna pubblica. Nei treni, nei tram, dovunque nasceva all’improvviso la discussione. (…) In tutte le riunioni, la proposta di limitare il tempo di parola era respinta regolarmente; ciascuno poteva esprimere liberamente ciò che pensava..” (15).
La “democrazia” borghese parla molto di “libertà di espressione” quando l’esperienza ci dice che tutto in essa è manipolazione, spettacolo e lavaggio del cervello: l’autentica libertà di espressione è quella che conquistano le masse operaie nella loro azione rivoluzionaria: “In ogni fabbrica, in ogni laboratorio, in ogni compagnia, in ogni caffè, in ogni cantone, anche nelle borgate deserte, il pensiero rivoluzionario realizzava un lavoro silenzioso e molecolare. Ovunque sorgevano degli interpreti degli avvenimenti, degli operai a cui si poteva chiedere la verità su ciò che era accaduto e da cui si potevano aspettare le necessarie parole d’ordine. Il loro istinto di classe si trovava accresciuto dal criterio politico e, sebbene non sviluppavano tutte le loro idee in modo conseguente, il loro pensiero spingeva invariabilmente in una stessa direzione. Questi elementi di esperienza, di critica, di iniziativa, di abnegazione, si sviluppavano nelle masse e costituivano la meccanica interna, inaccessibile allo sguardo superficiale, e tuttavia decisiva, del movimento rivoluzionario come processo cosciente” (16).
Questa riflessione, questa presa di coscienza, mette a nudo “tutta l’ingiustizia materiale e morale inflitta ai lavoratori, lo sfruttamento disumano, i salari di miseria, il lavoro spossante, le devastazioni sulla salute, i sistemi raffinati di sanzione, ed il disprezzo e 1’offesa alla loro dignità umana da parte dei capitalisti e dei padroni, quest’insieme di condizioni di lavoro rovinoso e vergognoso che è imposto loro e che rappresa il destino quotidiano del proletariato sotto il giogo del capitalismo” (17).
Anche per tale motivo, la rivoluzione Russa presenta un’unità permanente, inseparabile, tra la lotta politica e la lotta economica: “Ogni ondata d’azione politica lascia dietro di sé un terreno fertile da cui nascono subito mille nuovi germogli: le rivendicazioni economiche. E viceversa, la guerra economica incessante che gli operai fanno al capitale tiene sveglia l’energia combattiva anche nei momenti di tregua politica, costituisce in qualche modo un serbatoio permanente di energia da dove la lotta politica trae sempre delle forze fresche: allo stesso tempo il lavoro infaticabile di azione rivendicativa innesca ora qui, ora là, acuti conflitti da cui esplodono bruscamente battaglie politiche” (18). Questo sviluppo della coscienza ha portato gli operai in giugno-luglio alla convinzione che essi non devono consumare le loro energie disperdendosi in mille conflitti economici parziali, ma devono concentrare le forze nella lotta politica rivoluzionaria. Ciò non significa rigettare la lotta rivendicativa ma, al contrario, assumerne le conseguenze politiche: “I soldati e gli operai ritenevano che dalla soluzione data al problema del potere, il paese sarebbe governato dalla borghesia o dai soviet, dipendevano tutti gli altri problemi: salari, prezzo del pane, obbligo di farsi uccidere al fronte per le ragioni ignote” (19). Questa presa di coscienza delle masse operaie culmina con l’insurrezione di ottobre di cui Trotsky descrive così l’atmosfera preesistente: "”Le masse sentivano il bisogno di tenersi unite, ciascuno voleva controllare sé stesso attraverso gli altri e tutti, con un’attenzione ed una tensione estrema, osservavano come un identico pensiero maturasse nelle coscienze, sia pure con diverse sfumature e caratteristiche. Folle innumerevoli frequentavano i circhi e gli altri luoghi di riunione dove parlavano i bolscevichi più popolari, con gli ultimi argomenti e gli ultimi appelli. (…) Ma in quest’ultima fase prima della rivoluzione, incomparabilmente più efficace era l’agitazione molecolare condotta da anonimi operai, marinai e soldati che conquistavano simpatizzanti uno dietro l’altro, eliminando gli ultimi dubbi, vincendo le ultime esitazioni. Mesi di vita politica febbrile avevano creato innumerevoli quadri di base, avevano educato centinaia e migliaia di autodidatti che si erano abituati a seguire la politica dal basso e non dall’alto. (...) Ormai la massa non tollerava più nel suo ambiente gli esitanti, i dubbiosi, i neutrali. Cercava di prendere tutti, di attirarli, di convincerli, di conquistarli. Le fabbriche come i reggimenti, inviavano delegati al fronte. Le trincee si legavano agli operai e ai contadini delle più immediate retrovie. Nelle città di questo settore avevano luogo assemblee, consultazioni, conferenze innumerevoli, in cui i soldati combinavano la loro azione con quella degli operai e dei contadini” (20).
“Mentre la società ufficiale - questa sovrastruttura a numerosi piani che le classi dirigenti costituiscono, coi loro strati distinti, i loro gruppi, i loro partiti e le loro cricche - viveva giorno per giorno nella sua inerzia ed il suo automatismo, alimentandosi di resti di idee consumate, sorda alle fatali esigenze dell’evoluzione, sedotta dai fantasmi, non prevedendo niente, nelle masse operaie si avverava un processo spontaneo e profondo, non solo di odio crescente contro i dirigenti, ma di giudizio critico sulla loro impotenza, di accumulo di esperienza e di coscienza creatrice che si confermò nel sollevamento rivoluzionario e nella sua vittoria” (21).
Il proletariato, unica classe rivoluzionaria
Mentre la politica borghese è sempre al profitto di una minoranza della società che costituisce la classe dominante, la politica del proletariato non insegue un beneficio particolare ma quello di tutta l'umanità. “La classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non può più liberarsi della classe che lo sfrutta e l’opprime (la borghesia) senza liberare, contemporaneamente e per sempre, la società intera dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalla lotta di classe” (22).
La lotta rivoluzionaria del proletariato costituisce l’unica speranza di liberazione per tutte le masse sfruttate. Come la rivoluzione russa ha evidenziato, gli operai poterono guadagnare alla loro causa i soldati, in maggioranza contadini in uniforme, e tutta la popolazione contadina in generale. Il proletariato confermava così che la rivoluzione non è solo una risposta in difesa dei suoi interessi, ma anche l’unico sbocco possibile per farla finita con la guerra ed i rapporti sociali dell’oppressione capitalista e dello sfruttamento in generale.
La volontà operaia di dare una prospettiva alle altre classi oppresse è stata sfruttata abilmente dai partiti menscevico e socialista-rivoluzionario che pretendevano, in nome dell’alleanza con i contadini ed i soldati, che il proletariato rinunciasse alla sua lotta autonoma di classe e alla rivoluzione socialista. A prima vista questa posizione può sembrare la più “logica”: se vogliamo conquistare le altre classi, bisogna piegarsi alle loro rivendicazioni, bisogna cercare il minimo comune denominatore intorno al quale tutti possono unirsi.
Tuttavia, “Le classi medie, i piccoli fabbricanti, i commercianti al dettaglio, gli artigiani, i contadini, combattono tutti la borghesia perché è una minaccia per la loro esistenza in quanto classi medie. Non sono rivoluzionarie dunque, ma conservatrici, anzi sono reazionarie: cercano di far girare alla rovescia la ruota della storia” (23).
In un’alleanza interclassista, il proletariato ha tutto da perdere: non guadagna le altre classi oppresse ma le spinge nelle braccia del capitale ed indebolisce la sua unità e la sua coscienza in modo decisivo: non difende le sue rivendicazioni ma le diluisce e le nega; non avanza sulla strada del socialismo, ma si impantana ed annega nella palude del capitalismo decadente. In realtà non aiuta gli strati piccolo-borghesi e contadini. Contribuisce piuttosto al loro sacrificio sull’altare degli interessi del capitale, perché le rivendicazioni “popolari” sono la maschera che utilizza la borghesia per far passare sottobanco i propri interessi. Nel “popolo” non sono gli interessi delle “classi lavoratrici” ad essere rappresentati, ma l’interesse sfruttatore, nazionale e imperialista dell’insieme della borghesia. “L’alleanza tra i menscevichi e i socialrivoluzionari significava, in quelle condizioni, non una collaborazione del proletariato con i contadini, ma una coalizione di partiti che avevano rotto col proletariato e coni contadini per far blocco con le classi possidenti” (24).
Se il proletariato vuole guadagnare alla sua causa gli strati non-sfruttatori, deve affermare in modo chiaro ed eclatante le proprie rivendicazioni, il proprio essere, la sua autonomia di classe. Deve guadagnare gli altri strati non-sfruttatori in ciò che questi possono avere di rivoluzionario. “Se sono rivoluzionari, è in considerazione del loro passaggio imminente al proletariato: difendono allora i loro interessi futuri e non i loro interessi attuali, abbandonano il loro punto di vista per condividere quello del proletariato” (25). Mettendo al centro della lotta la fine della guerra imperialista; cercando di dare una prospettiva risolutiva al problema agrario (26); creando i soviet come organizzazione di tutti gli sfruttati; e, soprattutto, ponendo l’alternativa di una nuova società di fronte alla bancarotta ed al caos della società capitalista, il proletariato in Russia si pose oggettivamente all’avanguardia di tutte le classi sfruttate e seppe dar loro una prospettiva alla quale unirsi e per la quale lottare.
L’affermazione autonoma del proletariato non lo isola dagli altri strati oppressi. Al contrario gli permette di isolare lo Stato borghese da quest’ultimi. Di fronte all’impatto sui soldati ed i contadini della campagna della borghesia russa su “l’egoismo” degli operai che rivendicavano la giornata di 8 ore, questi ultimi “compresero il pericolo e si difesero abilmente. Allo scopo bastava loro raccontare la verità, citare i dati dei profitti di guerra, mostrare ai soldati le fabbriche e i reparti in cui si sentiva il rumore delle macchine, le fiamme infernali dei forni, fronte permanente su cui i lavoratori subivano perdite innumerevoli. Per iniziativa degli operai, cominciarono, da parte dei distaccamenti della guarnigione, visite regolari nelle fabbriche, soprattutto in quelle che lavoravano per la difesa. Il soldato guardava ed ascoltava, l’operaio mostrava e spiegava. Le visite si concludevano con una solenne fraternizzazione” (27).
“L’esercito era irrimediabilmente malato. Valeva ancora qualche cosa per dire la sua parola nella rivoluzione. Ma per la guerra, non esisteva già più” (28).
Questa “malattia incurabile” dell’esercito era il prodotto della lotta autonoma della classe operaia. Allo stesso modo, il proletariato ha affrontato con risolutezza il problema agrario che il capitalismo decadente è incapace di risolvere, e soprattutto aggrava: uscivano tutti i giorni dalle città industriali legioni di agitatori, di delegazioni di fabbrica, di soviet per discutere con i contadini, per incoraggiarli alla lotta, per organizzare gli operai agricoli e gli agricoltori poveri. I soviet ed i comitati di fabbrica adottarono numerose risoluzioni in cui dichiaravano la loro solidarietà ai contadini e proponevano misure concrete di soluzione del problema agrario: “La conferenza dei comitati di fabbrica e delle officine dedica la sua attenzione alla questione agraria ed elabora, sulla base di un rapporto di Trotsky, un manifesto ai contadini: il proletariato ha coscienza di sé non solo come classe particolare, ma come dirigente del popolo” (29).
I soviet
Mentre la politica della borghesia concepisce la maggioranza come una massa da manipolare affinché voti ciò che è già preparato dai poteri dello Stato, la politica operaia si pone come l’opera libera e cosciente della grande maggioranza per i propri interessi.
“I soviet, consigli di deputati o delegati di assemblee, apparvero spontaneamente per la prima volta durante il grande “sciopero di massa” del 1905. Erano l’emanazione diretta delle migliaia di assemblee di lavoratori, nelle fabbriche e nei quartieri, che si moltiplicavano nella più importante esplosione di vita operaia mai vista fino allora nella storia. Come se riprendessero la lotta là dove i loro antenati della Comune di Parigi l’avevano lasciata, gli operai russi generalizzavano nella pratica la forma di organizzazione che i comunardi avevano abbozzato: assemblee sovrane, centralizzazione attraverso delegati eleggibili e revocabili” (30).
A partire dal rovesciamento dello zarismo da parte degli operai si costituirono velocemente a Pietrogrado, a Mosca, a Jarkov, a Helsinfors, in tutte le città industriali Soviet dei delegati operai ai quali si unirono i delegati dei soldati ed, in seguito, dei contadini. Intorno ai soviet il proletariato e le masse sfruttate costituirono una rete infinita di organizzazioni di lotta, basate sulle assemblee, sulla libera discussione e decisione di tutti gli sfruttati: soviet di quartiere, consigli di fabbrica, comitati di soldati, comitati contadini... “Coprendo tutto il territorio russo, la rete dei consigli locali di deputati degli operai e dei soldati costituiva in qualche modo l’ossatura della rivoluzione” (31).
La “democrazia” borghese riduce la “partecipazione” delle masse all’elezione ogni 4 anni di qualcuno che fa quello di cui ha bisogno la borghesia; di fronte a ciò, i soviet costituiscono la partecipazione permanente, diretta, delle masse operaie che discutono in gigantesche assemblee generali e decidono su ogni questione che tocca la società. I delegati sono eletti e revocabili ogni momento ed essi assistono al Congresso con mandati definiti.
La “democrazia” borghese concepisce la “partecipazione” come la farsa dell’individuo libero che decide solo nell’urna. In effetti questo è la consacrazione dell’atomizzazione, dell’individualismo, del tutti contro tutti, il camuffamento della divisione in classi, il che favorisce la classe minoritaria e sfruttatrice. Al contrario, i soviet si basano sulla discussione e la decisione collettiva, ciascuno può sentire lo spirito e la forza dell’insieme e su questa base sviluppare tutte le sue capacità rafforzando a sua volta il collettivo. I soviet partono dall’organizzazione autonoma della classe lavoratrice per lottare in vista dell’abolizione delle classi.
Gli operai, i soldati e i contadini consideravano i soviet la propria organizzazione.
"Non solo gli operai e i soldati delle formidabili guarnigioni delle retrovie, ma anche il popolo variopinto delle città, gli artigiani,i piccoli commercianti, i piccoli funzionari, i cocchieri, i portieri, i domestici di tutti i tipi si tenevano lontano dal governo provvisorio e dai suoi uffici, cercavano un potere più vicino a loro, più accessibile. In numero sempre maggiore si presentavano al palazzo di Tauride delegati provenienti dalle campagne. Le masse affluivano nei soviet come sotto gli archi di trionfo della rivoluzione. Tutto ciò che era al di fuori dei soviet, restava in qualche modo tagliato fuori dalla rivoluzione e sembrava appartenere ad un altro mondo. Era proprio così: al di fuori dei soviet restava il mondo dei possidenti…” (32).
Niente poteva essere fatto in Russia senza i soviet: le delegazioni delle squadre del Baltico e del Mare Nero, dichiararono fin dal 16 marzo che avrebbero ubbidito solo agli ordini del governo provvisorio che fossero in accordo con le decisioni dei soviet. Il 172° reggimento è ancora più esplicito: “L’esercito e la popolazione devono sottoporsi solo alle decisioni del Soviet. Gli ordini del governo che contravvengono alle decisioni dei soviet non sono da eseguire” (33).
Guchkov, grande capitalista e ministro del governo provvisorio dichiarava: “Purtroppo il governo non dispone di un potere effettivo, le truppe, le ferrovie, la posta, il telegrafo, tutto è in mano ai Soviet e si può affermare che il governo provvisorio esiste solo nella misura in cui il soviet lo permette” (34).
La classe operaia, come classe che aspira alla trasformazione rivoluzionaria e cosciente del mondo, necessita di un organo che le permetta di esprimere tutte le sue capacità, tutte le sue tendenze, tutti i suoi pensieri: un organo estremamente dinamico che sintetizzi ad ogni momento l’evoluzione e l’avanzamento delle masse; un organo che non cada nel conservatorismo e la burocrazia che le permetta di respingere e di combattere ogni tentativo di confiscare il potere diretto della maggioranza. Un organo di lavoro dove le cose si decidono velocemente e in modo vivente, sebbene al tempo stesso in modo consapevole e collettivo, in modo che tutti si sentano coinvolti nella loro applicazione.
I soviet “Non accettavano affatto la teoria della divisione dei poteri e intervenivano nella direzione dell’esercito, nei conflitti economici, nelle questioni dei rifornimenti alimentari e dei trasporti, e persino nelle faccende giudiziarie. Sotto la pressione degli operai decretavano la giornata delle otto ore, eliminavano gli amministratori troppo reazionari, destituivano i più insopportabili commissari del governo provvisorio, procedevano ad arresti e a perquisizioni,proibivano i giornali ostili” (35).
Abbiamo visto come la classe operaia è stata capace di unirsi, di esprimere ogni sua energia creatrice, di agire in modo organizzata e cosciente, e, in fin dei conti, di elevarsi di fronte alla società come la classe rivoluzionaria che ha la missione di instaurare la nuova società, senza classi e senza Stato. Ma, per fare ciò, la classe operaia doveva distruggere il potere della classe nemica: lo Stato borghese incarnato dal governo provvisorio ed imporre il proprio potere: il potere dei soviet.
(dalla Révue Internationale n°71)
1. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il proletariato ed i contadini”, ed. Mondadori
2. Trotsky, ibid., cap. “Dal 23 al 27 febbraio 1917”.
3. Trotsky, ibid.
4. Ana M.Pankratova, I consigli di fabbrica nella Russia del 1917.
5. Trotsky, Storia della rivoluzione russa
6. John Reed, I 10 giorni che sconvolsero il mondo.
7. Questa rivendicazione fu respinta dallo stesso partito bolscevico come utopica, astratta, ecc. quando, due mesi prima, veniva sostenuta da Lenin nelle sue “Tesi di aprile”.
8. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Le giornate di luglio”.
9. Tradotto dallo spagnolo: G. Soria, I 300 giorni della rivoluzione russa.
10. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “La borghesia si misura con la democrazia…”
11. Trotsky, ibid., cap. “Il paradosso della rivoluzione di febbraio”.
12. Trotsky, ibid.
13. Marx-Engels, L’idéologia tedesca, cap. 1, “Feuerbach”.
14. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Raggruppamento nelle masse”.
15. John Reed, I 10 giorni che sconvolsero il mondo.
16. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Raggruppamento nelle masse”.
17. Rosa Luxemburg, Nell'ora rivoluzionaria, 2a parte.
18. Rosa-Luxemburg, Sciopero di massa, partito e sindacati
19. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Le giornate di luglio, preparazione ed inizio”.
20. Trotsky, ibid., cap. “L’uscita dal pre-parlamento”.
21. Trotsky, ibid., cap. “Chi diresse l’insurrezione di febbraio?”.
22. Engels, Prefazione del 1883 al Manifesto comunista.
23. Marx-Engels, Il manifesto comunista.
24. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il comitato esecutivo”.
25. Marx-Engels, Il manifesto comunista.
26. Non si tratta nell’ambito di quest’articolo di discutere se la soluzione che i bolscevichi ed i soviet hanno alla fine dato alla questione agraria - la ripartizione delle terre - fu giusta o meno. Rosa Luxemburg l’ha criticata e l’esperienza ha dimostrato che non lo fu. Ma ciò non può nascondere l’essenziale e cioè che il proletariato ed i bolscevichi hanno posto seriamente la necessità di una soluzione dal punto di vista del potere del proletariato e dal punto di vista della lotta per la rivoluzione socialista.
27. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il comitato esecutivo”.
28. Trotsky, ibid., cap. “L’esercito e la guerra”.
29. Trotsky, ibid., cap. “L'uscita dal pre-parlamento”.
30. Révolutione Internationale, n°190 “Il proletariato dovrà imporre la sua dittatura per condurre l’umanità all’emancipazione”.
31. O. Anweiler, I soviet in Russia.
32. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, cap. “Il nuovo potere”.
33. Trotsky, ibid.
34. Trotsky, ibid.
35. Trotsky, ibid., cap. “La prima coalizione”.