Italia: le divisioni della borghesia rendono ancora più gravi le conseguenze della pandemia

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C’è una crisi economica storica alla base del fatto che la diffusione di un virus abbia prodotto una pandemia che si è trasformata in una vera tragedia per le popolazioni del mondo intero. Ma a questa realtà, che è sotto gli occhi di tutti, anche se non tutti ne percepiscono le reali dimensioni, si aggiunge un altro elemento che è l’irresponsabilità completa con cui i vari organi di governo, istituzioni e partiti, hanno fatto fronte alla situazione, esprimendo un’incapacità completa a mettersi d’accordo sulle cose da fare e ad agire assieme per ottimizzare gli interventi. Così la crisi di pandemia da Covid 19, che ha già fatto una strage enorme di morti, di posti di lavoro e una caterva di nuovi poveri che si vanno a sommare a quelli già esistenti, si è ulteriormente aggravata per la forte disunione della borghesia, espressione di quel fenomeno più generale che abbiamo definito decomposizione del capitalismo[1]. Lo si è visto a livello internazionale, con episodi come la guerra delle mascherine[2], con la guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti, con gli attacchi di questi ultimi all’OMS, una delle istituzioni create proprio per unire le forze contro le malattie.

Per non parlare dell’incapacità della UE di mostrarsi unita per affrontare in maniera coordinata la pandemia, visto, peraltro, che si trattava di qualcosa che colpiva tutti i paesi: ogni paese ha pensato a sé stesso (a cominciare dal rubarsi le mascherine), a chiudere le frontiere con i paesi più colpiti dalla pandemia (alla faccia degli accordi di Schengen), fino ad arrivare al fatto che alcuni paesi si sono opposti anche a mettere in campo delle misure economiche per far fronte alla minaccia di recessione che la pandemia ha reso più grave (ed anche qui si tratta di qualcosa che toccherà, chi più, chi meno, tutti i paesi). Alla fine è stata proprio la coscienza di quale disastro si profila per l’economia che ha spinto le istituzioni europee a varare delle misure di sostegno all’economia ed evitare il tracollo.

Ma lo si vede anche all'interno dei singoli paesi, e in Italia in maniera addirittura paradossale.

Se è naturale che le forze politiche all’opposizione siano critiche verso la maggioranza al governo, questo è in genere attenuato nei periodi di emergenza, quelli in cui si fa appello all’unità nazionale. In particolare, ci sembra veramente paradossale che la borghesia, dopo aver dichiarato dall’inizio della pandemia che eravamo in guerra, una guerra non contro una nazione ma contro un virus, e che occorreva la massima coesione, abbia dato una tale dimostrazione di sfilacciamento non solo tra maggioranza e opposizione, ma addirittura nella stessa compagine governativa e finanche tra i vari organi dello Stato (governo, regioni, comuni, …).

Infatti le forze di opposizione hanno assunto una posizione di contrarietà ad ogni azione governativa, un’opposizione “a prescindere”, che poco tiene conto del merito delle questioni, ma che è stata fatta solo per difendere i propri interessi di partito. Lo si è visto all’inizio della pandemia, quando Salvini ogni giorno cambiava idea e posizione sull’opportunità o meno di chiudere le frontiere e i passaggi fra le regioni, ma anche per esempio rispetto al rapporto con la UE e le misure che questa propone contro il disastro economico. Particolarmente significativa l’opposizione all’uso da parte dell’Italia dei fondi messi a disposizione con il cosiddetto fondo salvastati (MES). A quanto se ne sa l’Italia potrebbe avere più di 30 miliardi di prestito ad interessi più bassi di quelli che gravano sui propri titoli di Stato offerti periodicamente sul mercato, e questo alla sola condizione che i soldi siano spesi per la sanità. Insomma, l’Italia potrebbe recuperare una forte liquidità pagando meno interessi del solito, ma Salvini e la Meloni si oppongono in nome di non si sa quale trappola ci sarebbe sotto l’utilizzo di questi fondi.

Ma quello che forse è ancora più grave sono le divisioni all’interno della maggioranza, divisioni che a volte paralizzano l’azione di governo (e questo in una fase in cui la rapidità delle misure da prendere è una parte importante nell’efficacia di queste misure).

Lo si è visto per esempio sul cosiddetto decreto “aprile” che doveva mettere in campo risorse sia per il sostegno ad imprese e famiglie che per sostenere in generale l’economia. Questo decreto doveva essere pronto entro aprile (da qui il suo nome), ma è stato varato solo il 18 maggio, e questo solo perché i partiti di governo non riuscivano a mettersi d’accordo su come utilizzare i 55 miliardi (di debito, naturalmente) che si era deciso di mettere in campo.

Lo si è visto anche sullo stesso MES ricordato prima, su cui il governo non ha ancora deciso niente perché i 5S sono contrari al suo utilizzo. Ed anche qui l’unico motivo per cui si oppongono è che questo fa parte della loro tradizione, cioè per difendere una loro bandiera e non per argomenti nel merito della cosa.

Lo si è visto ancora sul decreto scuola, quello che doveva decidere sia sull’assunzione di nuovi insegnanti, sia sulle modalità di ripresa delle lezioni a settembre, dopo che la chiusura delle scuole ha reso un disastro (nonostante i sacrifici e gli sforzi degli insegnanti) questo anno scolastico. Anche questo decreto ha visto un enorme ritardo perché i partiti della maggioranza non riuscivano a mettersi d’accordo sulle modalità del concorso per l’assunzione dei precari, quando poi il vero problema è che il numero di assunzioni previste è assolutamente insufficiente per fare fronte anche solo all’esigenza di sostituire i docenti andati in pensione. Non parliamo poi della confusione che resta su come si potrà iniziare il nuovo anno scolastico in sicurezza.

Ancora è il caso di ricordare i contrasti verificatisi fra lo Stato centrale e le Regioni (nonché tra i sindaci e i presidenti di regione), contrasti e prese di posizione che niente avevano di efficacia sulle misure da prendere, ma solo con gli interessi elettorali di ognuna di queste forze. A cominciare dal governatore della Lombardia, Fontana, che prima ha criticato le decisioni di chiudere i trasferimenti tra le regioni e la sospensione delle attività produttive non essenziali, poi, di fronte al vero e proprio disastro che si è avuto nella sua regione, ha finito per criticare la fine del lockdown. Per non parlare del governatore della Campania De Luca, che cogliendo l’occasione della pandemia per mostrarsi il vero difensore della “sua popolazione” (e assicurarsi una rielezione che prima della pandemia non era affatto scontata) ha criticato tutte le decisioni sulle “aperture”, arrivando a varare ordinanze più restrittive rispetto a quelle del governo, scontrandosi poi con quell’altro demagogo del sindaco di Napoli De Magistris, che, a sua volta, varava altre ordinanze in contrasto con quelle di De Luca. Insomma una bailamme capace solo di generare confusione, incertezza, quando in una situazione come quella della pandemia ci vorrebbe solo chiarezza, sicurezza e rapidità delle decisioni.

Dopo più o meno trecento anni di sistema capitalista, la classe operaia ha ben preso coscienza che si tratta di un sistema di sfruttamento, ma deve ancora prendere coscienza del fatto che questa classe dominante non è più capace di offrire una prospettiva all’umanità.

Helios, 07/06/2020

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