Autoferrotranvieri: una lotta significativa, una lotta piena di lezioni

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La preoccupazione della borghesia per gli autoferrotranvieri comincia il primo dicembre scorso, quando a Milano i lavoratori hanno deciso che gli scioperi simbolici del sindacato non servivano a niente e hanno scioperato senza rispettare le cosiddette “fasce protette”. La stessa cosa è successa il 15 dicembre, quando a non rispettare le consegne sindacali sono stati i lavoratori di diverse città, che hanno sfidato anche le minacce di precettazione, pur di cercare di dare efficacia alla loro lotta. Ed ancora il 20 dicembre e nei giorni immediatamente successivi, quando i lavoratori sono scesi spontaneamente in sciopero contro l’accordo bidone che i sindacati avevano siglato con il governo, che prevedeva un aumento di 80 euro, contro i 106 della piattaforma contrattuale (corrispondente alla perdita di potere d’acquisto calcolato con l’inflazione programmata, cioè un aumento ridicolo, visto che l’inflazione reale è di gran lunga più alta), e 600 euro di arretrati, contro i 2000 e passa dovuti per i mesi di vacanza contrattuale.

Questo accordo è stato proprio l’inizio della controffensiva della borghesia contro questo scoppio di combattività operaia. Una controffensiva affidata a quelli che sono i migliori difensori dell’ordine borghese, i sindacati (ed infatti a niente erano servite le minacce di denuncia per interruzione di pubblico servizio, o di sanzioni per il mancato rispetto della legge che “regolamenta” - ovvero, limita - gli scioperi nel settore dei pubblici servizi). Firmando un accordo con una cifra superiore a quella offerta dalle aziende fino a poche settimane prima, i sindacati volevano dare ai lavoratori l’impressione di aver conseguito una vittoria, e allo stesso tempo volevano metterli di fronte al fatto compiuto: non accettando l’accordo i lavoratori avrebbero dovuto scioperare senza l’avallo dei sindacati. Ed è proprio quello che è successo in diverse città nei giorni successivi all’accordo, per cui i sindacati hanno dovuto continuare il loro sporco lavoro per convincere i lavoratori ad arrendersi. Così si è passati alla firma dell’accordo integrativo con l’ATM di Milano, che concedeva i famosi 25 euro mancanti (ma in cambio di una maggiore flessibilità del lavoro), per cercare di dividere il fronte degli scioperanti, proprio a partire dalla città che aveva dato il via al movimento. Contemporaneamente la CGIL teneva le assemblee con i propri iscritti, per convincerli della bontà dell’accordo, e allo stesso tempo per cercare di intimidirli, mettendo avanti tutti i rischi di scioperi fatti contro le regole stabilite (da loro).

Ma il lavoro più efficace è toccato ai sindacati che meno avevano responsabilità nella lunghezza della vacanza contrattuale e nella sequela di scioperi (sette) senza risultati: i sindacati di base, che erano stati gli unici a non condannare gli scioperi spontanei delle settimane precedenti. In questa maniera essi avevano conservato una certa fiducia presso i lavoratori, per cui si sono potuti presentare come quelli che avrebbero continuato la lotta. Però i sindacati hanno tutti la stessa natura: quelli di sabotatori delle lotte proletarie. Ed infatti anche i Cobas hanno fatto di tutto (riuscendovi questa volta) per spingere i lavoratori a rientrare nei ranghi. Prima hanno proclamato uno sciopero per il 9 gennaio (nel sacrosanto rispetto della tregua natalizia, cioè allo scopo di far allentare la tensione), con tutti i crismi del rispetto della legge di regolamentazione (e per questo si sono presi il plauso anche del giornale di Rifondazione Comunista, Liberazione, che il 10 gennaio presentava lo sciopero in questa maniera: “piena responsabilità dei lavoratori che hanno garantito senza alcuna eccezione le fasce orarie garantite”). Recuperato tempo in questa maniera, i Cobas hanno subito proclamato un altro sciopero per il 26 gennaio, spostato poi al 30 gennaio, preoccupandosi però di continuare a dividere i lavoratori, spostando lo sciopero dei tranvieri milanesi a data da destinarsi con la scusa del concomitante sciopero dei tassisti il 30, venendo ancora una volta meno alla banale considerazione che uno sciopero debba dare un qualche risultato. Naturalmente questo sciopero ha avuto una minore partecipazione, a testimonianza della riuscita dell’opera di pompieraggio fatta dal sindacalismo di base, al punto che possiamo ben pensare che il movimento dei tranvieri è, almeno per il momento, terminato. Terminato con pochi o nessun risultato per i lavoratori, ma comunque con tutta una serie di lezioni che possono tornare utili per le prossime lotte.

Innanzitutto l’importanza di questo movimento sta da un lato nella combattività che si è espressa, una combattività che mostra che la classe operaia sta uscendo da quel periodo di riflusso della combattività che aveva seguito il crollo dello stalinismo, e la conseguente campagna sulla fine del comunismo, che aveva lo scopo di iniettare sfiducia nella classe. E’ stata questa volontà di battersi veramente che ha fatto sì che i lavoratori fossero spinti ad andare al di là delle consegne sindacali e a sfidare anche tutte le minacce di denunce e sanzioni. Un altro aspetto importante è stata la solidarietà e la compattezza che i lavoratori del settore hanno saputo dimostrare, lottando uniti in tutto il paese, giovani e vecchi. Questa compattezza nel settore ha mostrato però anche il più forte limite del movimento, quello di essere rimasto isolato all’interno del singolo settore, cosa che indebolisce l’impatto di qualsiasi movimento.

Allo stesso tempo questo movimento ha mostrato la vera natura dei sindacati, quella di sabotatori della lotta operaia, alla faccia di tutti quelli che pensano che per poter lottare ci vuole un sindacato, questo movimento ha dimostrato che quando c’è una vera volontà di battersi, i lavoratori sono in grado di organizzare la propria lotta cercando i mezzi migliori per darle efficacia. Viceversa quando essi si affidano ai sindacati (siano essi quelli tradizionali, o i nuovi) non solo non riescono a dare nessuna efficacia alla loro lotta, ma subiscono anche tutto il lavoro di pompieraggio che questi fanno. Queste lezioni dovranno tornare preziose ed utili per le prossime lotte, perché i motivi della lotta degli autoferrotranvieri, cioè la necessità di aumentare un salario che non basta più a campare, accomunano tutti i lavoratori, perché l’impoverimento di questi ultimi anni, e il peggioramento delle condizioni di lavoro, ha colpito tutti i lavoratori indistintamente.

9 feb '04 Helios


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