L’irruzione della decomposizione sul terreno economico (Rapporto luglio 2020)

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Per quanto riguarda la crisi economica, possiamo chiaramente sostenere le due seguenti prospettive:

1. La crisi che si profila già da ora sarà, nella sua portata storica, la più grave della decadenza, superando sotto questo aspetto quella iniziata nel 1929.

2. La novità nella storia del capitalismo è che gli effetti della decomposizione avranno un peso molto importante sull'economia e sullo sviluppo della nuova fase aperta dalla crisi.

Tuttavia, al di là della validità di queste previsioni generali, la situazione senza precedenti che si è aperta sarà più che mai dominata da una forte incertezza. Più precisamente, allo stadio attuale raggiunto dalla crisi storica da sovrapproduzione, l'irruzione della decomposizione sul terreno economico sconvolge profondamente i meccanismi del capitalismo di Stato, intesi ad accompagnare e limitare l'impatto della crisi. Pertanto, sarebbe falso e pericoloso trarne come conseguenza il fatto che la borghesia non utilizzerà al massimo le sue capacità politiche per rispondere, al meglio dei suoi interessi, alla crisi economica globale che sta cominciando a manifestarsi. L'irruzione del peso della decomposizione significa un ulteriore fattore di instabilità e fragilità nel funzionamento economico che rende particolarmente difficile analizzare l'evoluzione della situazione.

In passato, troppo spesso, abbiamo puntato gli occhi solo sugli aspetti della situazione che spingevano la crisi economica del capitale verso il suo inesorabile aggravamento non tenendo sufficientemente conto di tutti i fattori che tendevano a frenarne lo sviluppo. Tuttavia, per essere fedeli al metodo di analisi marxista consistente nell'individuare le tendenze, certamente storicamente pesanti, dobbiamo tracciare delle prospettive, ma anche le controtendenze che la borghesia non tarderà ad attuare. Bisogna quindi individuare, il più chiaramente possibile, le linee generali di sviluppo futuro, senza cadere in previsioni azzardate ed incerte. Dobbiamo armarci per affrontare la situazione, assicurandoci di sviluppare e attuare la nostra capacità di riflessione e di risposta rapida agli eventi di grandissima importanza che sicuramente si presenteranno. Il nostro metodo deve essere ispirato al seguente approccio: "Il marxismo può tracciare con certezza solo linee principali e tendenze storiche generali. Il compito delle organizzazioni rivoluzionarie deve ovviamente essere quello di individuare delle prospettive per il loro intervento nella classe, ma queste prospettive non possono essere "previsioni" basate su modelli matematici deterministici (e tanto meno prendendo alla lettera le previsioni degli "esperti" della borghesia, o nel senso di un falso "ottimismo" o di un altrettanto mistificante "allarmismo")" (estratto da un contributo interno).

La gravità della crisi

La crisi del 2008 ha rappresentato un momento molto importante per il capitalismo. La ripresa (2013-2018) è stata molto debole, la più debole dal 1967. È stata descritta dalla borghesia come una ripresa "morbida". Per il decennio 2010-2020, prima della crisi del Covid19, il sito di Cycle Business Bourse ha stimato, sembra realisticamente, una crescita mondiale di poco inferiore al 3% in media annua. La crisi economica venuta alla luce con la pandemia aveva già visto le sue prime chiare espressioni, soprattutto a partire dal 2018. Lo abbiamo evidenziato nel Rapporto e nella Risoluzione sulla situazione internazionale del 23° Congresso della CCI (2019): "La situazione del capitalismo è stata segnata, dall'inizio del 2018, da un netto rallentamento della crescita mondiale (passata dal 4% nel 2017 al 3,3% nel 2019), che la borghesia prevede come duratura e che dovrebbe peggiorare nel 2019-20. Questo rallentamento si è rivelato più rapido del previsto nel 2018, poiché l'FMI ha dovuto rivedere al ribasso le sue previsioni nei prossimi due anni e cointeresserà contemporaneamente differenti parti del capitalismo: Cina, Stati Uniti, zona euro. Nel 2019, Il 70% dell'economia mondiale ha rallentato ed in particolare i paesi "avanzati" (Germania, Regno Unito). Alcuni paesi emergenti sono già in recessione (Brasile, Argentina, Turchia), mentre la Cina, rallentando dal 2017 e con una crescita stimata al 6,2% per il 2019, incassa dati di crescita tra i più bassi degli ultimi trent'anni" (Punto 16 della Risoluzione).

È in questo contesto di rallentamento della crescita che la pandemia da Covid 19 è diventata un potente acceleratore della crisi economica, mettendo in primo piano tre fattori:

  • Il grado di fragilità dei sistemi sanitari pubblici, uno degli elementi chiave del capitalismo di Stato dal 1945. Questo processo di indebolimento del sistema sanitario è legato alla crisi economica in generale e si è notevolmente accelerato con i fatti del 2008. Nella maggior parte degli Stati, i sistemi sanitari non sono stati in grado di far fronte alla pandemia, costringendo la borghesia a prendere misure di contenimento che hanno portato ad un brusco arresto dell'economia mai visto in tempo di pace. Per il capitalismo, pronto a sacrificare la vita di milioni di persone nelle guerre imperialiste, il dilemma non era salvare vite o mantenere la produzione. Di fronte allo sviluppo della pandemia, il problema fondamentalmente era: come mantenere contemporaneamente la produzione, la competitività economica, il proprio rango sulla scena imperialista, dal momento che lo scoppio della pandemia non poteva che colpire seriamente la produzione e la posizione commerciale e imperialista di ciascuna potenza.
  • Il crescente grado di irresponsabilità e di incuria della classe dominante in tutti i paesi e soprattutto nei paesi centrali come conseguenza del fenomeno della decomposizione della società.
  • La brutale irruzione del "ciascuno per sé" sul piano economico, fattore egualmente legato alla decomposizione ma con conseguenze molto importanti in campo economico.

La più importante manifestazione della gravità della crisi è che, a differenza del 2008, ad essere i più colpiti soni i paesi più centrali (Germania, Cina e soprattutto Stati Uniti); anche se essi hanno tutti i mezzi per attutire la crisi, l'onda d'urto destabilizzerà fortemente l'economia mondiale.

Prima che scoppiasse la crisi sanitaria, il forte calo dei prezzi del petrolio ha colpito duramente gli Stati Uniti: c'era stata una "guerra dei prezzi" sul petrolio. Di conseguenza, i prezzi del petrolio sono diventati, forse per la prima volta nella storia, negativi. Anche i più ottimisti analisti in materia di energia prevedono il fallimento di un centinaio di compagnie petrolifere negli Stati Uniti. Alcuni hanno accumulato miliardi di dollari di debiti, molti dei quali ad alto rischio: "Il primo focolaio di rischio nel debito delle imprese è l'energia", afferma Capital Economics, sebbene Macadam ritenga che non si tratti di un rischio sistemico. Ma una catena di fallimenti nel settore petrolifero aumenterebbe il rischio di una crisi finanziaria. E se uno dei colossi petroliferi più indebitati del mondo - Shell, per esempio, che ha un debito di 77 miliardi di dollari, uno dei più alti al mondo - si trovasse nei guai, le ripercussioni sarebbero devastanti"[1].

Questi prezzi negativi sono una perfetta illustrazione del livello di irrazionalità del capitale. La sovrapproduzione di petrolio e la speculazione sfrenata in questo settore fanno sì che i proprietari di petrolio paghino per sbarazzarsi del petrolio in eccesso che non può essere immagazzinato per mancanza di spazio.

Mentre nel 2008 il fallimento delle banche è stato principalmente prodotto dalla speculazione immobiliare, oggi sono direttamente le imprese produttive a mettere in pericolo il settore bancario: "Le quattro maggiori società americane, JP Morgan, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo hanno investito ciascuna più di 10 miliardi di dollari nel settore del fracking petrolifero [tecnica di estrazione del petrolio che si basa sulla fratturazione dei pozzi petroliferi in profondità per aumentare le possibilità di estrazione] nel solo 2019, secondo Statista. E ora queste compagnie petrolifere corrono il serio rischio di diventare insolventi, lasciando carta straccia sui bilanci delle loro banche (...) Secondo Moody's, il 91% dei fallimenti di imprese statunitensi nell'ultimo trimestre dello scorso anno sono stati nel settore del petrolio e del gas. I dati forniti da Energy Economics and Financial Analysis indicano che le imprese di fracking non sono state, lo scorso anno, in grado di ripagare 26 miliardi di dollari di debiti"[2]. Con la pandemia, la situazione sta seriamente peggiorando: "la Consulting Rystad Energy stima che anche se il barile dovesse recuperare i 20 $ al barile, 533 compagnie petrolifere statunitensi potrebbero diventare insolventi entro il 2021. Ma se i prezzi restassero a 10 $, potrebb ero esserci più di 1.100 fallimenti, praticamente tutte le società"[3].

La crisi della fase "multilaterale" del capitalismo di Stato

Il capitalismo - attraverso il capitalismo di Stato - compie uno sforzo enorme per proteggere i centri vitali del sistema e prevenire una brusca caduta, come afferma il rapporto sulla crisi del 23° Congresso della CCI: "Facendo affidamento sulle leve del capitalismo di Stato e traendo le lezioni del 1929, il capitalismo è in grado di preservare i suoi centri vitali (in particolare Stati Uniti e Germania), di accompagnare la crisi, di attenuarne gli effetti respingendoli verso i paesi più deboli, di rallentare il loro ritmo prolungandoli nel tempo".

Il capitalismo di Stato ha seguito diverse fasi che abbiamo iniziato ad affrontare, in particolare in occasione di una delle nostre Giornate di Studio del 2019. Dal 1945, le esigenze dei blocchi imperialisti hanno imposto un certo coordinamento della gestione statale dell'economia al livello internazionale, in particolare nel blocco americano, con la creazione di organizzazioni internazionali di "cooperazione" (OCSE   -Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico; FMI - Fondo monetario Internazionale, inizio della UE - Europa Unita e dell’organizzazione commerciale GATT - Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio).

Negli anni '80, il capitale dei paesi centrali, travolto dalla montata della crisi e colpito da una caduta brusca dei profitti, cerca di spostare intere sezioni della produzione in paesi dove la forza lavoro era molto meno cara, come la Cina. A tal fine è stata necessaria una fortissima "liberalizzazione" finanziaria su scala globale che ha consentito di mobilitare il capitale per effettuare gli investimenti necessari. Negli anni '90, dopo il crollo del blocco dell'Est, si sono rafforzate le organizzazioni internazionali, dando vita a una struttura di "cooperazione internazionale" a livello monetario e finanziario, per il coordinamento delle politiche economiche, l'instaurazione di filiere produttive internazionali, lo stimolo del commercio mondiale attraverso l'eliminazione delle barriere doganali, ecc. Questo quadro è stato messo in atto a beneficio dei paesi più forti: essi potevano conquistare nuovi mercati, delocalizzare la loro produzione e appropriarsi di alcune delle aziende più redditizie dei paesi più deboli. Questi ultimi sono stati costretti a cambiare la propria politica statale. D'ora in poi, la difesa dell'interesse nazionale non è più passata attraverso la protezione doganale delle industrie chiave ma attraverso lo sviluppo delle infrastrutture, la formazione della forza lavoro, l'espansione internazionale delle proprie aziende chiave, la captazione degli investimenti internazionali, ecc.

C'è stata "una vasta riorganizzazione della produzione capitalistica su scala planetaria tra il 1990 e il 2008. Sul modello di riferimento dell'UE, eliminazione delle barriere doganali tra gli stati membri, l'integrazione di molti rami della produzione mondiale è stata rafforzata sviluppando vere catene di produzione su scala planetaria. Combinando logistica, informatica e telecomunicazioni, consentendo economie di scala [Per economia di scala si intende la possibilità di realizzare una diminuzione del costo unitario del prodotto], il maggiore sfruttamento della forza lavoro del proletariato (attraverso l'aumento della produttività, la concorrenza internazionale, la libera circolazione di mano d'opera  per imporre salari più bassi), la sottomissione della produzione alla logica finanziaria di massimo rendimento, il commercio mondiale ha continuato ad aumentare, anche se più debolmente, stimolando l'economia mondiale, di un "secondo" respiro che ha prolungato l'esistenza del sistema capitalista" (punto 18 della Risoluzione sulla situazione internazionale adottata al 23° Congresso della CCI).

Questa "cooperazione internazionale" ha costituito una politica molto rischiosa e audace per alleviare la crisi e mitigare alcuni degli effetti della decomposizione sull'economia, cercando di limitare l'impatto della contraddizione del capitalismo tra la natura sociale e globale della produzione e la natura privata dell'appropriazione del plusvalore da parte delle nazioni capitaliste concorrenti. Una tale evoluzione del capitalismo decadente è spiegata nella nostra brochure sulla decadenza quando, criticando la visione secondo la quale la decadenza sarebbe sinonimo di blocco definitivo e permanente dello sviluppo delle forze produttive, si afferma: "Se ci poniamo nell'ipotesi [che non è la nostra] di un blocco definitivo e permanente di questo sviluppo, solo un restringimento "assoluto" dello sviluppo costituito dai rapporti di produzione esistenti potrebbe spiegare un movimento netto di approfondimento di questa contraddizione. Ora, possiamo constatare che il movimento che generalmente si verifica durante le varie decadenze della storia (compreso il capitalismo) tende più verso un allargamento dell'involucro fino ai suoi limiti estremi che ad un restringimento. Sotto l'egida dello Stato e sotto la pressione delle necessità economiche e sociali, il guscio si distende spogliandosi di tutto ciò che può rivelarsi superfluo ai rapporti di produzione non essendo strettamente necessario alla sopravvivenza del sistema". Questo è ancora più vero per il capitalismo, il modo di produzione più duttile e dinamico della storia fino ad oggi.

Come dimostrano il Rapporto sulla crisi economica e la Risoluzione sulla situazione internazionale del 23° Congresso della CCI, questa "organizzazione mondiale della produzione" ha iniziato a subire scosse nella seconda decina degli anni 2000: la Cina, dopo aver abbastanza beneficiato dei meccanismi mondiali di commercio (l'OMC), ha iniziato a sviluppare un meccanismo economico, commerciale e imperialista parallelo (la nuova Via della Seta). La guerra commerciale si è accelerata con l'ascesa al potere di Trump... Questi fenomeni esprimono chiaramente che il capitalismo stava incontrando difficoltà sempre più grandi nella sua tendenza ad ampliare questo famoso involucro citato nella nostra brochure sulla decadenza del capitalismo.

"Dagli anni '60, questo indicatore [che misura la proporzione tra esportazioni e importazioni in ciascuna economia nazionale] ha seguito una tendenza al rialzo che ha subito un rallentamento negli ultimi 18 mesi. Nel corso di questo periodo è passato da circa il 23% a una stabilizzazione intorno al 60%, e dal 2010 è costantemente diminuito”[4].

L'irruzione brutale della decomposizione sociale sul terreno economico

Tre fattori all'origine della crisi pandemica mostrano l'irruzione degli effetti della decomposizione sul terreno economico: "ciascuno per sé", incuria e irresponsabilità degli Stati. Due tra questi trovano la loro origine direttamente nella decomposizione capitalista: ciascuno per sé e l'irresponsabilità. Si tratta di fattori molto delicati che la borghesia - almeno nei paesi centrali - era riuscita a controllare il più possibile, anche se con difficoltà crescenti. Allo stadio attuale raggiunto dallo sviluppo delle contraddizioni interne del capitalismo, e visto come queste ultime si manifestano nell'evoluzione della crisi, l'esplosione degli effetti di decomposizione diventa ora un fattore di aggravamento della crisi economica, di cui abbiamo visto solo le prime conseguenze. Questo fattore influenzerà lo sviluppo della crisi costituendo un ostacolo all'effettiva efficacia delle attuali politiche di capitalismo di Stato. "Rispetto alle risposte alle crisi del 1975, 1992, 1998 e 2008, vediamo come prospettiva una notevole riduzione della capacità della borghesia di limitare gli effetti della decomposizione sul terreno economico. Fino ad ora, attraverso una "cooperazione internazionale" dei meccanismi di capitalismo di Stato - quella che è stata chiamata "mondializzazione", la borghesia era riuscita a preservare il terreno vitale dell'economia e del commercio mondiale dagli effetti centrifughi altamente pericolosi della decomposizione. Alla più grave delle convulsioni economiche del 2007-2008 e nel 2009-2011, con la crisi del "debito sovrano", la borghesia ha potuto coordinare le sue risposte che le hanno permesso di attenuare un poco i colpi della crisi e di garantire una ripresa "anemica" nella fase 2013-2018" (contributo interno alla CCI sulla crisi economica).

Con la pandemia, abbiamo visto come la borghesia cerca di raggruppare la popolazione dietro lo Stato rilanciando l'unità nazionale. A differenza del 2008, quando il tono nazionalista non era così forte, ora le borghesie di tutto il mondo hanno chiuso le loro frontiere, diffondendo così il messaggio: "dietro i confini nazionali si trova protezione, i confini aiutano a contenere il virus". È un modo per i diversi Stati di cercare di radunare la popolazione dietro di loro; parlano dappertutto in termini marziali: "siamo in guerra, e la guerra ha bisogno di unità nazionale", con i messaggi "lo Stato vi aiuterà", "vi salveremo"; "chiudendo le frontiere, allontaneremo il virus". Imponendo piani di emergenza, organizzando chiusure, gli Stati vogliono far passare il messaggio: "uno Stato forte è il vostro migliore alleato".

L'OMS è stata completamente inoperante anche se la sua azione era vitale per lo sviluppo di un'azione medica efficace. Ogni Stato temendo una perdita di posizione competitiva rispetto agli altri ha ritardato in maniera suicida le misure per far fronte alla pandemia. L'ottenimento di attrezzature sanitarie ha visto lo spettacolo sbalorditivo di furti di ogni tipo, di colpi bassi tra Stati (e anche all'interno di ciascuno Stato). Nell'Unione Europea, dove la "cooperazione tra Stati" era arrivata il più lontano possibile, abbiamo assistito alla crescita brutale ed incontrollata del protezionismo e del "ciascuno per sé" economico. Non solo l'UE non ha alcuna possibilità giuridica di imporre le proprie regole nel settore sanitario, ma soprattutto ogni Paese ha adottato misure per difendere i propri confini, le proprie catene d'approvvigionamento e si è assistito, per la prima volta, a un vero e proprio blocco delle merci, alla confisca di attrezzature sanitarie - e al divieto di consegnarle ad altri paesi europei.

Abbiamo qui un'illustrazione, ancora più grave, della prospettiva espressa dalla Risoluzione sulla situazione internazionale dell'ultimo Congresso della CCI: " L'attuale sviluppo della crisi, con le crescenti perturbazioni che esso provoca nell’organizzazione della produzione in una costruzione multilaterale unificata attraverso regole comuni internazionali, mostra i limiti della "globalizzazione": il bisogno sempre maggiore di unità (che non ha mai significato altro che l'imposizione della legge del più forte sui più deboli) a causa della interconnessione "transnazionale" della produzione altamente segmentata paese per paese (in cui ogni prodotto è concepito qui, assemblato là con l'ausilio di elementi prodotti altrove) si scontra con la natura nazionale di ogni capitale, con i limiti stessi del capitalismo, irrimediabilmente diviso in nazioni concorrenti e rivali, il massimo grado di unità che il mondo borghese non può superare. Il peggioramento della crisi (così come le esigenze delle rivalità imperialiste) ha gravemente eroso le istituzioni e i meccanismi multilaterali." (punto 20).

Quello che stiamo vedendo è che in risposta alla pandemia si è sviluppato un ritorno molto significativo alle misure di "ricollocazione nazionale" della produzione, di preservazione dei settori chiave in ogni capitale nazionale, sviluppo di ostacoli alla circolazione internazionale di merci e persone, ecc., tutti fattori che possono solo determinare gravi conseguenze sullo sviluppo dell'economia mondiale e sulla capacità complessiva della borghesia di rispondere alla crisi. Il ripiego nazionale non può che aggravare la crisi portando a una frammentazione delle catene di produzione che in precedenza avevano una dimensione globale, e ciò non può che seminare caos nelle politiche monetarie, finanziarie, commerciali ... Questa situazione può portare al blocco e persino al collasso parziale di alcune economie nazionali. È troppo presto per valutare le conseguenze di questa relativa paralisi dell'apparato economico. Ciò che è più grave e significativo, tuttavia, è che questa paralisi si stia verificando a livello internazionale.

La risposta generalizzata degli Stati alla pandemia ha illustrato la validità di un'analisi del Rapporto sulla crisi economica del 23° Congresso della CCI: “Una delle maggiori contraddizioni del capitalismo è quella derivante dal conflitto tra la natura sempre più globale della produzione e la struttura necessariamente nazionale del capitale. Spingendo al limite le possibilità di "associazioni" di nazioni a livello economico, finanziario e produttivo, il capitalismo ha ottenuto una significativa "boccata d'aria" nella sua lotta contro la crisi che lo sta incancrenendo, ma allo stesso tempo si è messo in una situazione rischiosa. Questa corsa precipitosa al multilateralismo si sta sviluppando in un contesto di decomposizione, cioè in una situazione in cui l'indisciplina, le tendenze centrifughe, il radicamento nella struttura nazionale, sono sempre più potenti e colpiscono non solo le frazioni di ogni borghesia nazionale ma coinvolgono anche ampi settori della piccola borghesia e perfino frange di proletari che credono erroneamente che il loro interesse sia legato alla nazione. Tutto questo si cristallizza in una sorta di "rivolta nazionalista nichilista" contro la <<globalizzazione>>".

Come risponderà la borghesia?

Esaminiamo di seguito la risposta avviata dalla borghesia, che va ad articolarsi in 3 parti:

1) proseguimento dell’indebitamento abissale;

2) ripiego nazionale;

3) attacco brutale alle condizioni di vita della classe operaia.

Il debito globale era pari a 255.000 miliardi di $ nel 2020, il 322% del PIL globale, mentre prima della crisi del 2008 era pari a 60.000 miliardi di $, con il PIL globale che da allora è progredito solo relativamente e  "lentamente". Abbiamo qui un quadro dello sviluppo dell'indebitamento pubblico e privato degli ultimi tredici anni e che ha contribuito a sostenere quella che la borghesia ha chiamato crescita "morbida". Di fronte alla violenta accelerazione della crisi economica causata dalla pandemia, la borghesia ha reagito ovunque nel mondo stampando moneta attraverso le banche centrali di tutti i paesi, sviluppati ed emergenti. A differenza della crisi del 2008, non è stato attuato alcun coordinamento tra le principali banche centrali del mondo. Questa massiccia creazione di moneta centrale e di debiti è stata dettata dalla elevata preoccupazione che ha immediatamente investito la classe borghese di fronte alla portata della recessione che sembra aprirsi davanti. Prendendo una media dei dati forniti dalla borghesia alla fine di maggio, abbiamo le seguenti previsioni di cali di crescita:

  • All'interno dell'Unione Europea del 6,8% del PIL, dall'11 al 12% per i paesi del Mediterraneo;
  • Negli Stati Uniti i dati forniti esprimono la difficoltà o la perfidia ideologica della borghesia nella valutazione dando cifre che vanno dal - 6,5% al ​​- 30%! In termini statistici, questo è inaudito. La Fed di Filadelfia ha addirittura avanzato la cifra del 35%.
  • La Cina annuncia un calo del suo PIL del 3,5% e una caduta della sua attività industriale del 13%.

Se prendiamo l'ipotesi più bassa avanzata dalla borghesia e in assenza di una seconda ondata di pandemia, la crescita mondiale nel 2020 dovrebbe registrare una forte contrazione di almeno il 3%, cioè un calo molto più marcato rispetto al periodo della crisi del 2008-2009.

Di seguito una sintesi delle prospettive incerte espresse dal FMI (che è in linea con le previsioni formulate dagli organi ufficiali a livello internazionale):

 

Paesi                                                                                           2019          2020

Paesi avanzati                                                                              2,9              - 3   

Zone euro                                                                                     1,7             - 6,1

Germania                                                                                      0,6             - 7

Francia                                                                                          1,3             - 7,2

Italia                                                                                              0,3             - 9,1

Spagna                                                                                           2                - 8

Giappone                                                                                        0,7             - 5,2

Regno Unito                                                                                   1,4             - 6,5

Cina                                                                                                6,1               1,2

India                                                                                               4,2               1,9

Brasile                                                                                            1,1             - 5,3

Russia                                                                                             1,3             - 5,5

 

Crescita mondiale                                                                            2,4            - 4,2

 

 

Volume del commercio mondiale                                                2019       2020

Importazioni dei paesi avanzati                                                    1,5          - 11,5

Importazioni dei paesi emergenti e in sviluppo                            0,8          -  8,2

Esportazioni dei paesi emergenti e in sviluppo                             0,8          -  9,6

 

Queste tabelle forniscono una panoramica non solo del processo di recessione previsto, ma anche della contrazione prevista del commercio mondiale.

Una sintesi della discussione all'interno della CCI fornisce i seguenti dati molto significativi: "La situazione è sostenibile solo perché i debiti degli Stati e il loro rimborso sono sostenuti dalle banche centrali; così la FED immette nell'economia americana 625 miliardi di dollari a settimana mentre il Piano Paulson lanciato nel 2009 per fermare il fallimento delle banche è stato globalmente di 750 miliardi di dollari (anche se è vero che altri piani di riacquisto dei debiti da parte della FED furono lanciati negli anni successivi)", "La risposta più eclatante di tutte è giunta dalla Germania, sebbene essa fosse solo una parte di una più ampia risposta europea all'accelerazione della crisi economica. Il motivo per cui le misure previste dal governo tedesco sono di particolare importanza è spiegato in un articolo del Financial Times di lunedì 23 marzo 2020: le misure proposte da Olaf Scholtz, ministro delle Finanze, rappresentano una decisa rottura con la stretta adesione del governo alla politica di "schwarze Null" o "black zero", che consiste nel bilanciare i bilanci e non contrarre nuovi debiti"[5]. (...) "Da febbraio sono stati sbloccati 14.000 miliardi di dollari per evitare il collasso. Tutto questo in un contesto completamente diverso dal passato. Come possono queste politiche "espansive" - ​​che hanno superato le differenze tra banche centrali e Stati, la ripresa, i piani di salvataggio - come possono essere efficaci?"[6].

Un esempio meno noto riguarda la Cina, che è uno dei Paesi più indebitati al mondo, anche se possiede degli asset (beni di proprietà, che possano essere monetizzati e quindi usati per il pagamento di debiti) significativi da non sottovalutare. Il debito complessivo della Cina nel 2019 è pari al 300% del suo PIL, ovvero 43.000 miliardi di dollari. Inoltre, il 30% delle aziende in Cina è classificato come "imprese zombie", ed è la percentuale più alta al mondo. E’ ancora in questo paese che il tasso di utilizzazione delle capacità produttive è il più basso, anche se tutti i paesi sviluppati conoscono questo fenomeno di sovracapacità di produzione. Ufficialmente, i tassi di utilizzo delle capacità industriali delle due prime potenze mondiali - e questo prima del Covid-19 - erano del 76,4% in Cina e del 78,2% negli Stati Uniti. Il piano di rilancio messo in atto in Cina ammonterebbe a 64.000 miliardi di dollari, una somma faraonica e sicuramente destinata in gran parte alla propaganda ideologica. Il piano di rilancio dovrebbe estendersi su un periodo da cinque a vent'anni e, sebbene non si sappia quale sarà la realtà, può essere collegato solo agli obiettivi di egemonia economica e imperialista della Cina. Il piano di rilancio degli Stati Uniti ha raggiunto i 10.000 miliardi di dollari. In confronto, il piano di rilancio dell'UE appare quasi ridicolo, poiché ammonterebbe, secondo le ultime informazioni, a 1290 miliardi di dollari sotto forma di prestiti, finanziati in parte dai mercati finanziari e in parte direttamente dalla BCE. In realtà, il denaro immesso dalla BCE nell'insieme dell'economia, banche private, finanziamenti occulti e imprese, ammonta a parecchi miliardi di euro. Gli Stati, in particolare la Germania, garantiscono per mutualizzazione [condivisione del debito tra più soggetti, che ne diventano contemporaneamente garanti] parte di questo piano che sarà fatto sotto forma di sovvenzioni e prestiti rimborsabili tra il 2028 e il 2058! In realtà, la classe borghese ammette che gran parte del debito mondiale non sarà mai ripagato. Il che ci riporta agli aspetti di cui parleremo ora.

Nel quadro di questo rapporto, non possiamo rendere conto di tutta l’entità delle creazioni monetarie in corso, né dettagliare tutti i piani di ripresa. Un'altra statistica al momento della stesura di questo rapporto riguarda il debito degli Stati Uniti che ha raggiunto i 10.000 miliardi di $. Per quanto tutto ciò possa sembrare superare qualsiasi immaginazione, resta il fatto che il capitalismo usa questa creazione monetaria astronomica per investire e per vendere i suoi beni. Da questo punto di vista, la creazione monetaria centrale e privata deve crescere in modo esponenziale (in varie forme) per consentire di mantenere il più possibile l'accumulazione di capitale e, nella situazione attuale, rallentare lo sprofondamento nella depressione. Questa depressione porta con sé il pericolo di deflazione ma soprattutto quello della stagflazione (presenza di stagnazione ed inflazione). La svalutazione delle valute, anche al di là della guerra monetaria in corso che la favorisce, è inscritta nella prospettiva della crisi del capitalismo. L'accelerazione dell'attuale crisi è un passo molto significativo in questa direzione. La questione di fondo è la seguente: in ogni paese e sempre di più, il capitale globale ipoteca il valore futuro da produrre e di cui realizzare il plusvalore per consentire la crescita attuale e continuare l'accumulazione di capitale. È quindi in gran parte grazie a questa anticipazione che il capitalismo riesce a capitalizzare e ad investire. Questo processo si concretizza nel fatto che, sempre di più, il colossale debito emesso è sempre meno coperto dal plusvalore già prodotto e realizzato. Ciò apre la prospettiva a crolli finanziari sempre maggiori e alla distruzione sempre più importante del capitale finanziario. Logicamente, questo processo implica che il mercato interno al capitale non può crescere all'infinito, anche se non ci sono limiti fissi in materia. È in questo contesto che la crisi della sovrapproduzione allo stadio attuale del suo sviluppo pone un problema di redditività e profitto per il capitalismo. La borghesia stima che quasi il 20% delle forze produttive mondiali siano inutilizzate. La sovrapproduzione dei mezzi di produzione è particolarmente visibile e colpisce l'Europa, Stati Uniti, India, Giappone, ecc.

Questo è importante se vogliamo stabilire come il capitalismo di Stato debba assolutamente rafforzarsi di fronte alla crisi incombente, ma anche come i piani di ripresa contengano limiti molto forti e effetti perversi crescenti. E come il ciascuno per sé, in questo contesto, non sia solo il prodotto della decomposizione, ma anche del crescente stallo economico, una tendenza a cui il capitalismo non può sfuggire, che è anche storicamente una dinamica mortale. Sarà importante in questo senso, nel periodo a venire, studiare e confrontare la storia delle crisi aperte del capitalismo. In particolare quelle del 1929, 1945, 1975, 1998, 2008.

Il ripiego nazionale

La situazione che si apre con la profonda accelerazione dell'attuale crisi riporta in primo piano il ruolo degli Stati (e quindi della loro banca centrale visto che il mito della sua indipendenza è finito). Sarà interessante mostrare quali sono state le politiche economiche, il ruolo degli Stati e il keynesianesimo in termini concreti nei periodi 1930 e 1945. Quindi mostrare la differenza con il modo in cui la borghesia ha affrontato il 2008. Durante tutto questo periodo ci sono differenze di grande importanza, ad esempio l'esistenza di mercati e zone extra-capitaliste, ma anche l'estensione dell'economia mondiale e delle grandi potenze imperialiste ed economiche, nonché la questione dei blocchi imperialisti, ecc. Ma in questa crisi, i piani di rilancio sono realizzati sotto forma di deficit pubblico e debito statale e non, come negli anni '30 e '40, in cui si è sfruttato essenzialmente il plusvalore già raggiunto e accumulato e a cui veniva aggiunto una quota di debito che non ha nulla in comune con quello di oggi. Gli attuali piani di rilancio si dimostreranno sempre più difficili da sostenere nel loro finanziamento, visto i livelli di indebitamento che, richiesti da loro, si discosteranno dalla crescita che genereranno. Tuttavia, sorgono una serie di domande.

Gli insegnamenti della crisi del 1929 portarono la borghesia, malgrado e contro la propria "natura", a muoversi verso una maggiore cooperazione al fine di rallentare il più possibile lo sviluppo della sua crisi economica, sia attraverso le politiche keynesiane sia attraverso l'orchestrazione della mondializzazione da parte degli Stati. Anche se, nella situazione attuale, ci sarà un ritorno a politiche di tipo keynesiano nel contesto di una tendenza crescente verso il ciascuno per sé, l'efficacia di queste politiche, per quanto riguarda i mezzi messi in atto, non sarà paragonabile ai periodi del passato.

Dobbiamo vedere a questo proposito la maggiore tendenza - rispetto al periodo precedente - delle risposte isolate date dalla borghesia su scala nazionale. Ad esempio, questa nuova tendenza di chiudere le frontiere per fermare il trasporto di passeggeri da un continente all'altro - o chiudere le frontiere nazionali, come se il virus rispettasse l'isolamento nazionale. Tutto questo è molto più il riflesso di un'impotenza e di uno stato d'animo piuttosto che una decisione scientificamente fondata di messa in quarantena e destinata a tenere lontano il virus. In effetti, è più probabile che si contragga il virus su un treno internazionale tra Stoccarda e Parigi o tra Stoccarda e Amburgo su un treno nazionale? La chiusura delle frontiere nazionali non è di alcuna utilità, esprime i "limiti" dei mezzi della borghesia.

Il rimpatrio della produzione nei paesi centrali è in aumento con la pandemia. Così, 208 aziende europee hanno deciso di ritirare la produzione dalla Cina. "Secondo una recente inchiesta condotta su 12 industrie mondiali, 10 tra queste - comprese le industrie automobilistiche, dei semiconduttori e delle apparecchiature mediche - stanno già spostando le loro catene di approvvigionamento, principalmente fuori dalla Cina. Il Giappone offre 2 miliardi di dollari alle imprese purché esse spostino le loro fabbriche fuori dalla Cina riportandole nell'arcipelago giapponese"[7]. Un presidente come Macron che sembra essere un sostenitore del multilateralismo ha dichiarato che "delegare forniture alimentari e mediche è da folli. Il suo ministro delle finanze, Bruno Le Maire, fa appello al "patriottismo economico" affinché i francesi consumino prodotti nazionali" (ibidem.). In tutti i paesi hanno privilegiato piani di economia locale, preferibilmente per consumare prodotti locali o nazionali. È un ripiegarsi su sé stessi che tende a spezzare le catene della produzione industriale, alimentare, ecc., progettate su scala globale e che hanno notevolmente ridotto i costi.

Le tendenze centrifughe del "ciascuno per sé" hanno raggiunto un livello più elevato, mentre allo stesso tempo, in ogni paese, lo Stato e ogni banca nazionale, hanno pompato o promesso somme gigantesche (illimitate nel caso della Germania) all'industria. Nessuna di queste misure è stata adottata o concordata dalla BCE o dall'FMI; va aggiunto che non è solo il populista Trump ad aver agito da campione del "ciascuno per sé". La Germania - con l'accordo dei principali partiti politici - ha agito nella stessa direzione, così come Macron. Quindi, che siano populisti o no, tutti i governi hanno agito nella stessa direzione - ritirandosi dietro i confini nazionali - "ognuno per sé" - con solo un minimo di coordinamento internazionale o europeo.

Le conseguenze di queste politiche sembrano controproducenti per ogni capitale nazionale e anche peggio per l'economia mondiale. "Tra il 2007 e il 2008, a causa di una fatale convergenza di fattori sfavorevoli - raccolti scarsi, prezzi del petrolio e dei fertilizzanti in aumento, boom dei biocarburanti... - 33 paesi hanno limitato le loro esportazioni per proteggere la loro "sovranità alimentare". Ma la cura è stata peggiore della malattia. Le restrizioni hanno prodotto un aumento dei prezzi del riso (116%), del grano (40%) e del mais (25%), secondo le stime della Banca Mondiale (…) L'esempio della Cina, primo paese colpito dall'epidemia, non è di buon augurio: le minacce che pesano sulle catene di approvvigionamento globali hanno già causato un aumento del 15% e del 22% delle derrate alimentari in questo paese asiatico dall'inizio dell'anno" (idem).

Controtendenze al ripiego nazionale

Sicuramente la borghesia reagirà. A livello dell'UE, la Germania ha finalmente accettato il "debito in comune", il che dimostra che le controtendenze sono all'opera di fronte all'accelerazione della decomposizione sociale. Forse la borghesia americana licenzierà Trump nelle prossime elezioni presidenziali a beneficio dei democratici che sono i tradizionali sostenitori del "multilateralismo"[8]. D'altra parte, "lo scorso 22 aprile, i 164 paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), che rappresentano il 63% delle esportazioni agroalimentari mondiali, si sono impegnati a non intervenire sui loro mercati. Allo stesso tempo, i ministri dell'agricoltura di 25 paesi dell'America Latina e dei Caraibi hanno firmato un accordo vincolante per garantire forniture a 620 milioni di persone"[9].

Con il piano di "transizione ecologica" e la promozione di una "economia verde" si compiranno sforzi per riorganizzare l'economia - almeno a livello UE: con il massiccio sviluppo delle telecomunicazioni, l'applicazione della robotica e dell'informatica, nuovi materiali molto più leggeri, la   biotecnologie, i droni, auto elettriche, ecc., l'industria pesante tradizionale basata sui combustibili fossili tende ad essere superata, anche in ambito militare. L'imposizione dei "nuovi standard" di organizzazione economica sta diventando una risorsa per i paesi centrali, in particolare Germania, Stati Uniti e Cina.

La borghesia combatterà passo dopo passo questa marea di frammentazione nazionale dell'economia. Ma si scontra con l'accresciuta forza della sua contraddizione storica tra la natura nazionale del capitale e la natura globale della produzione. Questa tendenza di ciascuna borghesia a voler salvare la propria economia a scapito degli altri è una tendenza irrazionale e disastrosa per tutti i paesi e per l'intera economia mondiale (anche se ci saranno differenze tra i paesi). La tendenza al "ciascuno per sé" può essere addirittura irreversibile e l'irrazionalità che l'accompagna mette in discussione gli insegnamenti che la borghesia aveva tratto dalla crisi del 1929.

Come diceva la Piattaforma dell’Internazionale Comunista, "Il risultato finale del modo di produzione capitalista è il caos"; il capitalismo ha resistito a questo caos in diversi modi durante il periodo di decadenza e ha continuato a resistere durante la sua fase di decomposizione. Emergeranno ancora controtendenze. Tuttavia, la situazione che si apre oggi è quella di un significativo aggravamento del caos, in particolare sul piano economico, ciò che storicamente è molto pericoloso.

Un incubo per il proletariato di tutti i paesi e soprattutto dei paesi centrali

La Risoluzione sulla situazione internazionale del 23° Congresso della CCI, 2019, ha fornito il seguente quadro:

  • "Per quanto riguarda il proletariato, queste nuove convulsioni non possono che tradursi in attacchi ancora più gravi contro le sue condizioni di vita e di lavoro a tutti i livelli e nel mondo intero, in particolare:
  • rafforzando lo sfruttamento della forza lavoro, continuando a tagliare i salari e aumentare i ritmi e la produttività in tutti i settori;
  • continuando a smantellare ciò che resta del Welfare State (ulteriori restrizioni sui vari sistemi di previdenza concessi ai disoccupati, assistenza sociale e sistemi pensionistici); e più in generale l'abbandono "in dolcezza" del finanziamento di ogni forma di aiuto o sostegno sociale del settore associativo o para pubblico;
  • la riduzione da parte degli Stati dei costi che rappresentano l'istruzione e la sanità nella produzione e nel mantenimento della forza lavoro del proletariato (e quindi maggiori attacchi contro i proletari in questi settori pubblici);
  • l'aggravamento e lo sviluppo ancora maggiore della precarietà come mezzo per imporre e far pesare lo sviluppo della disoccupazione di massa su tutte le parti della classe;
  • attacchi camuffati dietro transazioni finanziarie, come tassi di interesse camuffati dietro operazioni finanziarie che erodono piccoli risparmi e pensioni. E sebbene i tassi di inflazione ufficiali dei beni di consumo siano bassi in molti paesi, le bolle speculative hanno contribuito a una vera esplosione del costo delle abitazioni;
  • l'aumento del costo della vita e in particolare delle tasse e del prezzo dei beni di prima necessità".

Questo quadro è stato chiaramente confermato e la situazione è gravemente peggiorata con l'irruzione della pandemia. Il cuore della situazione economica è l'attacco alle condizioni di vita del proletariato in tutto il mondo.

Impoverimento ad alta velocità

Nel 2019, secondo l'ONU, 135 milioni di persone hanno sofferto la fame. Nell'aprile 2020, con lo scoppio della pandemia, l'ONU ha previsto che  265 milioni di persone si troveranno in questa situazione[10]. La Banca mondiale ha dichiarato a marzo che la popolazione povera avrebbe raggiunto il numero di 3,5 miliardi di persone con una brusca accelerazione di oltre 500.000 al mese. Da allora, questo ritmo sembra essere effettivamente proseguito, soprattutto in Centro e Sud America, così come in Asia, comprese le Filippine, India e Cina. L'impoverimento dei lavoratori accelererà, secondo il rapporto dell'OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro) "la pressione sui redditi derivante dal calo dell'attività economica avrà un effetto devastante sui lavoratori vicini o al di sotto della soglia di povertà". Tra l'8,8 e 35 milioni di lavoratori in più vivranno in povertà a livello globale, rispetto alla stima iniziale per il 2020 (che prevedeva un calo di 14 milioni a livello globale).

Una disoccupazione di massa

In India e in Cina, il numero dei proletari licenziati è secondo il FMI nell'ordine delle centinaia di migliaia. Alcuni siti come il Business bourse parlano di diversi milioni di lavoratori che hanno perso ogni impiego in Cina. Tutti questi numeri dovrebbero in realtà essere presi con molta cautela poiché spesso variano da un sito di notizie all'altro. Quello che va ricordato del fenomeno è la sua imponenza e rapidità di espansione, dovute al confinamento e alla chiusura di gran parte dell'attività economica globale. Nello stesso periodo la disoccupazione di massa ha raggiunto i 35 milioni di persone negli Stati Uniti e, nonostante gli aiuti eccezionali di Stato, le code ai punti di distribuzione alimentare si allungano, ricordando le immagini degli anni '30 negli Stati Uniti. Lo stesso fenomeno si sta verificando in Brasile dove i disoccupati non sono più nemmeno ufficialmente registrati. In Francia, la disoccupazione entro pochi mesi dovrebbe colpire quasi 7 milioni di persone. L'esplosione della disoccupazione di massa sta accelerando allo stesso ritmo in Italia e in Spagna. Attualmente, i piani per massicci licenziamenti stanno iniziando ad affluire come nel trasporto aereo e nella produzione aereonautica. Ma anche nell'industria automobilistica, nella produzione di petrolio, ecc. L'elenco si allungherà ancora di più nel prossimo periodo.

Precarietà generalizzata

In una prima valutazione delle conseguenze della pandemia, l'OIT ha stimato che la pandemia causerebbe la perdita definitiva di 25 milioni di posti di lavoro nel mondo, mentre la precarietà aumenterebbe drasticamente: "Anche la sottoccupazione dovrebbe aumentare in modo esponenziale, perché le conseguenze economiche dell'epidemia virale si traducono in riduzioni dell'orario di lavoro e dei salari. Nei paesi in via di sviluppo, le restrizioni alla circolazione delle persone (ad esempio, i fornitori di servizi) e delle merci possono questa volta annullare l'effetto tampone che il lavoro autonomo di solito ha in questi paesi"[11]. Inoltre, nell'economia informale, decine di migliaia di lavoratori - che non rientrano in nessuna statistica e altro sostegno finanziario dallo Stato - si trovano senza attività. Al momento è troppo presto per avere un'idea del livello di deterioramento globale del tenore di vita.

Attacchi a tutti i livelli

Attraverso salari più bassi, aumento dell'orario di lavoro, tasse, pensioni e assegni sociali più bassi… Sembra anche che la borghesia stia cercando di allungare l'orario di lavoro reale (come in Francia). Ma si tratta anche di abbassare i salari diretti, in particolare attraverso nuove tasse "giustificate" dalla pandemia. L'Unione Europea, ad esempio, sta studiando seriamente una tassa Covid, un intero programma!

L'indebitamento è sempre più colossale, implica necessariamente una contropartita: l'intensificazione delle misure di austerità nei confronti dei lavoratori. È in questo contesto che dobbiamo esaminare il significato del reddito universale, un mezzo per contenere le tensioni sociali e per infliggere un duro colpo alle condizioni di vita della classe operaia. Questo è un ulteriore passo organizzato dallo Stato verso l'impoverimento universale.

Nei paesi centrali e in particolare nell'Europa occidentale, la borghesia cercherà di attuare i suoi attacchi nel modo più giudizioso possibile e far sì che siano condotti in modo "politico", provocando le maggiori divisioni all'interno del proletariato. Sebbene il margine di manovra della borghesia in questo settore tenderà a ridursi sempre di più, non dobbiamo perdere di vista il fatto che: "i paesi più sviluppati del Nord Europa, gli Stati Uniti o il Giappone sono ancora molto lontani da una situazione del genere ed è più che improbabile che un giorno vi rientreranno, da un lato per la maggiore resistenza della loro economia nazionale a la crisi, d'altro, e soprattutto, per il fatto che oggi il proletariato di questi paesi, e in particolare quello dell'Europa, non è pronto ad accettare un simile livello di attacchi contro le sue condizioni di esistenza. Così una delle componenti maggiori dell'evoluzione della crisi sfugge al rigoroso determinismo economico e conduce sul piano sociale, sui rapporti di forza tra le due classi principali della società” (Risoluzione sulla situazione internazionale del XX Congresso della CCI).

 

[1] Estratto da La Vanguardia del 25 aprile 2020 "Las zonas de riesgo del sistema financiero" (La zona di rischio del sistema finanziario)

[2] Estratto da La Vanguardia del 22 aprile 2020 "La quiebra de las petroleras golpeará a los mayores bancos de EE.UU" [Il fallimento delle compagnie petrolifere colpirà le maggiori banche statunitensi]

[3] Ibidem

[4] La Vanguardia del 23 aprile 2020 "Cómo el coronavirus está acelerando el proceso de desglobalización" [Come il coronavirus sta accelerando il processo di deglobalizzazione]

[5]  BBC World Service, 6-4-20

[6]  Presentazione a una riunione dell'organizzazione.

[7] Leggi di più in Política exterior.

[8] Tuttavia, all'interno del Partito Democratico si stanno sviluppando posizioni protezionistiche, simili a quelle di Trump. Due membri del Congresso democratico hanno presentato nel marzo 2020 una proposta per gli Stati Uniti di ritirarsi dall'OMC.

[9] Política exterior.

[10]  Política exterior.

[11] Rapporto dell'OIT di marzo 2020.

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Pandemia Covid19